lunedì 21 giugno 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) IL PAPA: PER ESSERE DISCEPOLI DI CRISTO BISOGNA APPROPRIARSI DELLA SUA CROCE - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
2) DIGNITAS PERSONAE E BIOETICA - Le sfide della scienza e della tecnica all’etica umana - di padre Gonzalo Miranda L.C.*
3) PATERNITÀ ANONIMA - Le conseguenze della donazione di sperma - di padre John Flynn, LC
4) Cultura gender, la nuova egemonia - Le contraddittorie giravolte ideali di un mainstream in cui si può discutere tutto tranne che il dogma della sacralità dell'agenda omosessuale - Michele Gastaldo (Tempi) – dal sito pontifex.roma.it
5) Apologia della crociata - L’irenismo ecumenico è una distorsione della dottrina della chiesa e della sua storia. Il vero spirito del cristianesimo è combattere per la verità e per difendere le radici che affondano nei secoli luminosi del medioevo - Roberto de Mattei (Il Foglio) – dal sito pontifex.roma.it


IL PAPA: PER ESSERE DISCEPOLI DI CRISTO BISOGNA APPROPRIARSI DELLA SUA CROCE - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 20 giugno 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI affacciandosi a mezzogiorno alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare la preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli convenuti in Piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Questa mattina nella Basilica di San Pietro ho conferito l’ordine presbiterale a quattordici diaconi della Diocesi di Roma. Il sacramento dell’Ordine manifesta, da parte di Dio, la sua premurosa vicinanza agli uomini e, da parte di chi lo riceve, la piena disponibilità a diventare strumento di questa vicinanza, con un amore radicale a Cristo e alla Chiesa. Nel Vangelo dell’odierna domenica, il Signore domanda ai suoi Discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Lc 9,20). A questo interrogativo l’apostolo Pietro risponde prontamente: «Tu sei il Cristo di Dio, il Messia di Dio» (Ibid.), superando, così, tutte le opinioni terrene che ritenevano Gesù uno dei profeti. Secondo sant’Ambrogio, con questa professione di fede, Pietro «ha abbracciato insieme tutte le cose, perché ha espresso la natura e il nome» del Messia (Exp. in Lucam VI, 93, CCL 14, 207). E Gesù, di fronte a questa professione di fede rinnova a Pietro e agli altri discepoli l’invito a seguirlo sulla strada impegnativa dell’amore fino alla Croce. Anche a noi, che possiamo conoscere il Signore mediante la fede nella sua Parola e nei Sacramenti, Gesù rivolge la proposta di seguirlo ogni giorno e anche a noi ricorda che per essere suoi discepoli è necessario appropriarci del potere della sua Croce, vertice dei nostri beni e corona della nostra speranza.
San Massimo il Confessore osserva che «il segno distintivo del potere del nostro Signore Gesù Cristo è la croce, che egli ha portato sulle spalle» (Ambiguum 32, PG 91, 1284 C). Infatti, «a tutti diceva: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua"» (Lc 9,23). Prendere la croce significa impegnarsi per sconfiggere il peccato che intralcia il cammino verso Dio, accogliere quotidianamente la volontà del Signore, accrescere la fede soprattutto dinanzi ai problemi, alle difficoltà, alla sofferenza. La santa carmelitana Edith Stein ce lo ha testimoniato in un tempo di persecuzione. Scriveva così dal Carmelo di Colonia nel 1938: «Oggi capisco … che cosa voglia dire essere sposa del Signore nel segno della croce, benché per intero non lo si comprenderà mai, giacché è un mistero… Più si fa buio intorno a noi e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto». (La scelta di Dio. Lettere (1917-1942), Roma 1973, 132-133). Anche nell’epoca attuale molti sono i cristiani nel mondo che, animati dall’amore per Dio, assumono ogni giorno la croce, sia quella delle prove quotidiane, sia quella procurata dalla barbarie umana, che talvolta richiede il coraggio dell’estremo sacrificio. Il Signore doni a ciascuno di noi di riporre sempre la nostra solida speranza in Lui, certi che, seguendolo portando la nostra croce, giungeremo con Lui alla luce della Risurrezione.
Affidiamo alla materna protezione della Vergine Maria i nuovi sacerdoti oggi ordinati che si aggiungono alla schiera di quanti il Signore ha chiamato per nome: siano sempre fedeli discepoli, coraggiosi annunciatori della Parola di Dio e amministratori dei suoi Doni della salvezza.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Desidero rivolgere un pressante appello perché la pace e la sicurezza siano presto ristabilite nel Kirghizistan meridionale, in seguito ai gravi scontri verificatisi nei giorni scorsi. Ai parenti delle vittime e a quanti soffrono per questa tragedia esprimo la mia commossa vicinanza ed assicuro la mia preghiera. Invito, inoltre, tutte le comunità etniche del Paese a rinunziare a qualsiasi provocazione o violenza e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi perché gli aiuti umanitari possano raggiungere prontamente le popolazioni colpite.
Oggi l’Organizzazione delle Nazioni Unite celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, per richiamare l’attenzione ai problemi di quanti hanno lasciato forzatamente la propria terra e le consuetudini familiari, giungendo in ambienti che, spesso, sono profondamente diversi. I rifugiati desiderano trovare accoglienza ed essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali; in pari tempo, intendono offrire il loro contributo alla società che li accoglie. Preghiamo perché, in una giusta reciprocità, si risponda in modo adeguato a tale aspettativa ed essi mostrino il rispetto che nutrono per l’identità delle comunità che li ricevono.
Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli delle parrocchie Santa Paola Romana in Roma, SS.mo Redentore in Casette d’Ete, Santa Maria Assunta e San Bartolomeo in Frassinelle Polesine; come pure agli automobilisti del Ferrari Club Italia. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


DIGNITAS PERSONAE E BIOETICA - Le sfide della scienza e della tecnica all’etica umana - di padre Gonzalo Miranda L.C.*
ROMA, domenica, 20 giugno 2010 (ZENIT.org).- Dignitas personae vent’anni dopo Donum vitae. La scienza e la tecnica continuano nella loro “avanzata”, che non sempre e necessariamente comporta un avanzamento in umanità. Il Magistero della Chiesa analizza sempre con interesse le nuove scoperte, invenzioni, applicazioni tecnologiche, ecc. Le analizza dal punto di vista etico, dentro l’orizzonte del rispetto e della promozione della dignità della persona umana, di ogni singolo essere umano.
Nel 1987 la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò l’Istruzione intitolata “Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione”. In essa offriva l’insegnamento del Magistero cattolico universale sulle problematiche etiche legate all’applicazione delle tecniche di riproduzione assistita, applicate in grande scala e con metodiche di fecondazione extracorporea appena dieci anni prima.
Nel dicembre 2008 la stessa Congregazione ha presentato una nuova Istruzione, questa volta intitolata “Istruzione su alcune questioni di bioetica”. Nonostante l’ampiezza designata dal titolo, la tematica è sostanzialmente la stessa di Donum vitae.
Il nuovo testo si presenta con carattere di aggiornamento, approfondimento e chiarificazione. Aggiornamento, in quanto nei vent’anni trascorsi molte sono le novità che hanno fatto irruzione nell’ambito della riproduzione artificiale e annessi e connessi.
Alcuni interventi erano appena iniziati negli anni Ottanta, altri sono arrivati dopo. Si pensi alla crioconservazione degli embrioni umani, con tutti i problemi etici, psicologici e sociali che sta creando. Si pensi alle tecniche di diagnosi preimpianto e alla conseguente eliminazione degli embrioni non desiderati. Si pensi alle proposte di clonazione “terapeutica” o alla proposta di congelare gli ovociti o di fare diagnosi sugli stessi anziché congelare o attuare la diagnosi sugli embrioni. E un lungo eccetera.
Per quanto riguarda i valori in gioco, i beni da proteggere, i principi etici che possono illuminare le nuove applicazioni tecnologiche, non era necessario aprire nuove strade. Conveniva, però, affrontare esplicitamente queste nuove frontiere. Il Magistero della Chiesa intende essere dinamico, proporre la luce della ragione e della fede per accompagnare i cattolici e tutti coloro che desiderano ascoltarlo nei meandri vecchi e nuovi, spesso tortuosi, che si presentano di fronte a noi.
L’opera di approfondimento è un compito sempre incompiuto. Sempre si può, e spesso conviene, ulteriormente indagare, capire, valorizzare… E anche in questo il Magistero ci accompagna e ci illumina. La nuova Istruzione ci propone una più articolata considerazione dello statuto ontologico dell’embrione umano, in base agli insegnamenti anteriori, di natura soprattutto etica. Si tratta, lo sappiamo, del punto centrale, e anche del punctum dolens, di tutte le dispute e delle prese di posizione intorto a tutto ciò che oggi la tecnica riesce a fare con gli embrioni: dalla loro produzione alla loro distruzione, passando per la loro selezione e manipolazione. L’illuminazione teologica del tema, proposta nella prima parte, arricchisce ulteriormente la nostra comprensione della dignità inviolabile dell’essere umano che si trova, come ci siamo trovati tutti noi una volta, nei suoi primi momenti di esistenza e di sviluppo.
Si attendeva anche, da parte di molti, un servizio di chiarificazione in relazione ad una serie di problemi etici sui quali non esisteva un insegnamento magisteriale chiaramente definito e intorno ai quali divergevano le opinioni di parecchi autori, tra coloro che sinceramente si dichiarano a favore dei valori custoditi e promossi dalla dottrina cattolica.
È eticamente ammissibile l’adozione prenatale, unica via disponibile per dare l’opportunità di continuare la loro esistenza agli embrioni umani congelati e abbandonati? Quali interventi artificiali possono essere considerati “integrativi” e non “sostitutivi” dell’atto sponsale in vista della
assistenza alla procreazione, tenendo presente l’insegnamento offerto a suo tempo da papa Pio XII e raccolto da Donum vitae? Si possono accettare ricerche che mirano all’ottenimento di cellule staminali pluripotenti, “di tipo embrionale”, senza la formazione e la distruzione di embrioni umani? È moralmente accettabile l’utilizzo di medicinali, come vaccini, provenienti da ricerche svolte con l’ottenimento eticamente illecito di materiali biologici?
Su alcune di questi dilemmi l’Istruzione offre un discernimento articolato e chiaro (per esempio sull’uso di “materiale biologico” umano di origine illecita).
Sulle tecniche per ottenere cellule staminali pluripotenti senza produrre degli embrioni, il testo invita brevemente alla prudenza, in quanto non si vede ancora quale possa essere lo statuto ontologico del risultato che verrebbe ottenuto (da tener presente che chi ha avanzato quelle proposte, concretamente le due menzionate dall’Istruzione in nota a pié di pagina, ha sempre dichiarato che intendeva procedere eventualmente all’applicazione su cellule umane solamente se si fosse arrivati alla conferma certa dell’ipotesi, e cioè che non si venissero a formare degli embrioni umani in alcun momento del processo). Sul tema delle tecniche “integrative”, si ripropone solamente la dottrina di Pio XII e Donum vitae, senza applicarla al discernimento sulle tecniche discusse: inseminazione artificiale “impropriamente detta” e GIFT. A proposito del dibattito sulla liceità della adozione prenatale, si è aperto un nuovo dibattito sull’interpretazione corretta del testo dell’Istruzione.
A questo proposito, alcuni hanno suggerito che si sospenda la discussione sul tema e sul significato del paragrafo che ne parla e si rivolga la domanda alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Senza escludere questa possibilità, forse conveniente (e pensando che probabilmente più di uno avrà già presentato la domanda alle autorità della Santa Sede in materia), mi sembra importante tentare di leggere ed interpretare il Documento così come ci viene proposto. Dopo quasi vent’anni di dibattito sul tema dell’adozione, la Santa Sede si è espressa espressamente. Se l'ha fatto nel modo in cui l’ha fatto, ci sarà qualche motivo.
L’Istruzione forma parte del cosiddetto “Magistero ordinario”, al quale dobbiamo (e vogliamo) dare quel “religiosum voluntatis et intellectus obsequium” che la nostra fede ci chiede e che ci viene ricordato dal Concilio Vaticano II (GS,25). Lo ha sottolineato opportunamente monsignor Francisco Ladaria, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella presentazione pubblica
dell’Istruzione. Questo obsequium non significa però che non ci si debba sforzare per capire nel miglior modo ciò che il testo insegna, ed eventualmente distinguerlo da quello che il testo non ci insegna. Che non si debba fare uno sforzo sincero per interpretare correttamente il significato del testo così come ci viene proposto. E che non si debba anche approfondire, illustrare, applicare e difendere la dottrina in esso offerta.
 P.Gonzalo Miranda dal 1993 al 2001 è stato Segretario Operativo del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Roma. Nel 2001 ha fondato la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA). Dal 2001 fino al 2006 è stato Decano della Facoltà di Bioetica della stessa Università. Professore ordinario di Bioetica e di Teologia Morale nelle Facoltà di Bioetica e di Teologia dell’APRA, è membro del Comitato Direttivo del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Membro onorario del Consejo de Bioética della Conferenza Episcopale Messicana, è membro del Consiglio Direttivo della Federazione Internazionale di Centri di Bioetica di Ispirazione Personalista (FIBIP) e del Comitato Di Bioetica della Federazione Internazionale di Facoltà di Medicina Cattoliche (AIFMC). E' inoltre membro del Comitato Direttivo delle riviste “Medicina e Morale” (Roma), “Medicina y Ética” (Messico) e “Vida y Ética” (Argentina).


PATERNITÀ ANONIMA - Le conseguenze della donazione di sperma - di padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 20 giugno 2010 (ZENIT.org).- Il costante aumento del ricorso alle tecniche di inseminazione artificiale con l’utilizzo di sperma di donatori significa che è in aumento anche il numero dei bambini che ignorano l’identità del proprio padre biologico. A tale riguardo, un recente rapporto ha preso in esame le conseguenze sulla vita di quelli che hanno ormai raggiunto l’età adulta.
La ricerca, pubblicata dalla Commission on Parenthood's Future con il titolo “My Daddy's Name is Donor: A New Study of Young Adults Conceived Through Sperm Donation”, è stata condotta da Elizabeth Marquardt, Norval D. Glenn e Karen Clark.
Secondo lo studio, negli Stati Uniti ogni anno nascono grazie alla donazione di sperma tra 30.000 e 60.000 bambini. Si tratta, tuttavia, solo di una stima ponderata, poiché non esiste alcun ente che raccolga statistiche su tali procedure. Questa ricerca è inoltre il primo studio serio sulla valutazione del grado di benessere degli adulti nati da tali tecniche.
Il rapporto osserva che la donazione di sperma è un fenomeno internazionale. Le richieste di seme donato negli Stati Uniti provengono infatti da tutto il mondo, per via della mancanza di ogni regolamentazione. Anche altri Paesi come la Danimarca, l’India e il Sudafrica contribuiscono con i propri donatori a un fiorente mercato del turismo della fertilità.
Gli autori svolgono un interessante confronto tra la donazione di seme e l’adozione. L’adozione è regolamentata da una stretta normativa e i genitori adottivi sono sottoposti a un attento esame prima di ottenere l’autorizzazione ad adottare. Per quanto riguarda la donazione di sperma, invece, è possibile scegliere il donatore su cataloghi on-line, in cui sono confrontate le caratteristiche fisiche, di intelligenza e di realizzazione professionale. Occorre solo pagare la transazione.
Sul tema del paragone con l’adozione, gli autori osservano che spesso questo viene proposto dai loro amici e colleghi. Il rapporto ricorda tuttavia che spesso non si tiene conto delle difficoltà che molti figli adottati riscontrano a causa della separazione dalle loro origini biologiche. I figli adottati possono poi trarre conforto dall’idea che i loro genitori li abbiano dovuti dare in adozione solo malvolentieri in seguito a circostanze eccezionali. Diversamente, nella nascita da seme donato, il figlio sa di essere il risultato di una mera transazione commerciale, senza alcun pensiero nei loro confronti da parte del donatore.
Conseguenze negative
Per studiare la situazione delle persone concepite grazie alla donazione di sperma e giunte all’età adulta, gli autori hanno preso in considerazione più di un milione di famiglie e poi individuato un campione rappresentativo di 485 adulti in età tra i 18 e i 45 anni. Il campione è stato messo a confronto con un gruppo di 562 adulti che erano stati adottati da piccoli e con un altro gruppo di 563 adulti cresciuti con i propri genitori biologici.
“Abbiamo riscontrato che, in media, i giovani adulti concepiti con la donazione di sperma soffrono di più, sono più confusi e si sentono più isolati dalle loro famiglie”, afferma il rapporto.
Non meno del 65% di questi adulti si è ritrovato nella frase “Il donatore rappresenta la metà di me”. Persino le madri ammettono di essere curiose sull’identità del padre.
Poco meno della metà del campione ha espresso disagio in relazione alle proprie origini, e molti hanno affermato di pensarci spesso. Alcuni hanno detto di sentirsi diversi, come il prodotto di esperimenti di laboratorio, mentre altri di avere problemi di identità. Anche il fatto che nella procedura vi sia stato un giro di denaro rappresenta un elemento di turbamento per molti. Altri hanno espresso disagio per il fatto di essere un prodotto destinato a soddisfare i desideri del proprio genitore, e non meno del 70% ha ammesso di chiedersi come sia la famiglia del proprio donatore.
I problemi di chi è nato da seme donato non si limitano alle questioni di identità e di famiglia, ma riguardano anche aspetti medici. Il rapporto sottolinea che da alcuni donatori sono nati dozzine di bambini e che vi sono persino casi che superano le cento procreazioni. Di conseguenza gli attuali adulti, figli di donatori, si preoccupano per una loro eventuale unione con i propri fratellastri, o che i loro figli possano unirsi ai propri cugini.
Negli ultimi anni, la questione della donazione anonima di seme è stata molto discussa in diversi Paesi. Le critiche a tale pratica hanno indotto il Regno Unito, la Svezia, la Norvegia, i Paesi Bassi, la Svizzera e alcune parti dell’Australia e della Nuova Zelanda a vietarla, secondo il rapporto. Negli Stati Uniti e in Canada, invece, queste restrizioni non sono presenti.
La Chiesa cattolica è fortemente contraria a ogni pratica di inseminazione artificiale, ma – come chiarisce il rapporto – anche se non si condivide questa posizione, esistono ottime ragioni per difendere i diritti dei figli a conoscere il loro padre e a porre fine alla paternità anonima.
Lo studio ha anche esaminato i problemi sociali e psicologici. Il 21% delle persone nate da donatore ha affermato di aver avuto problemi con la legge prima di aver compiuto i 25 anni. Le percentuali nel gruppo degli adottati e di quelli cresciuti con i genitori biologici risulta essere rispettivamente del 18% e dell'11%. Risultati analoghi sono emersi per i problemi di alcol e stupefacenti. E i dati non cambiano neanche se si tiene conto dello status socio-economico e di altre variabili.
Riguardo i fattori variabili, un dato interessante che emerge dallo studio è che il 36% dei figli di donatori ha detto di essere cresciuto come cattolico, rispetto al 22% dei figli adottivi e al 28% dei figli biologici. Si tratta di un dato sorprendente, osserva il rapporto, considerata l’opposizione della Chiesa cattolica a tali pratiche. Per giunta, il 32% dei figli di donatori ha confermato di essere ancora cattolico, mentre un buon numero degli appartenenti agli altri due gruppi afferma di aver abbandonato la Chiesa.
Segretezza
Un altro elemento di sofferenza per i figli di donatori è la segretezza sulle loro origini. In molti casi i genitori, all’inizio, fanno credere a questi figli di avere legami biologici con entrambi. Quando poi il figlio scopre la verità, si sente tradito e il rapporto con i genitori si incrina. Questo produce un senso di sfiducia, tanto che il 47% di loro ha dichiarato che la madre gli ha probabilmente mentito su altre questioni importanti quando era più piccolo. Questo dato è assai più elevato rispetto al 27% degli adottati e al 18% di coloro che sono cresciuti con i genitori biologici. Risultati analoghi riguardano la probabilità che anche l’altro genitore gli abbia potuto mentire.
Non sorprende che una sostanziale maggioranza degli adulti concepiti con la donazione di sperma si sia espressa a favore del diritto a sapere tutto. Ciò comprende sia il diritto di conoscere l’identità del donatore che il diritto ad avere qualche forma di rapporto con lui. Si è anche detto di voler sapere se e quanti fratellastri si hanno. Ad oggi, la legge negli Stati Uniti non concede alcuno di questi diritti. Anzi, essa tutela i donatori e le cliniche della fertilità, a danno dei bambini concepiti.
Ma i problemi non finiscono con quello della segretezza. Dai risultati del sondaggio risulta che il 44% dei figli di donatori accetta questa modalità di concepimento a condizione che i genitori dicano la verità e preferibilmente a un’età precoce. D’altra parte, il 36% ha espresso contrarietà anche qualora i genitori dicessero la verità, e l’11% ha detto che sarebbe difficile per i figli anche se i genitori fossero in grado di gestire bene la situazione.
In questo senso, il rapporto osserva che “la trasparenza da sola non sembra risolvere i possibili danni, la confusione e i rischi che possono derivare dalla decisione di concepire figli che saranno cresciuti senza uno dei due genitori biologici”.
Il rapporto conclude con una serie di raccomandazioni. Tra queste vi è l’osservazione secondo cui nessuna procedura clinica presenta implicazioni così pesanti nei confronti di persone che non ne hanno fatto richiesta: i figli. E si chiede: “Una società sana può creare intenzionalmente figli in questo modo?”. Una domanda su cui varrebbe la pena di riflettere.


Cultura gender, la nuova egemonia - Le contraddittorie giravolte ideali di un mainstream in cui si può discutere tutto tranne che il dogma della sacralità dell'agenda omosessuale - Michele Gastaldo (Tempi) – dal sito pontifex.roma.it
Non più di un anno fa era soltanto «una trentaduenne ex pin-up la cui principale qualifica è chiaramente l'attrazione sessuale del premier nei suoi confronti» (Alexander Stille, Repubblica). Oggi finalmente il ministro Mara Carfagna è stata espunta dalle liste di proscrizione. Potenza di una "campagna contro l'omofobia" e di una salita al Quirinale in compagnia di Anna Paola Concia, lesbica, attivista per i diritti degli omosessuali, deputata Pd e ministro ombra delle Pari opportunità. Oplà: da ex velina che presenta noiose leggi a tutela delle donne e della maternità, Mara si è magicamente trasformata in una applaudita icona gay. Siamo abituati a considerare il livello di attenzione e di tolleranza verso gli omosessuali come un indicatore di democraticità di una società. Ed è normale che sia così. Ma ciò che si segnala nella "conversione" del ministro Carfagna è qualcosa di più. È la vittoria della cultura del gender, il trionfo ...

... assoluto dell'idea secondo la quale "l'identità di genere" è risultato esclusivo di una "costruzione sociale", dell'"educazione etero sessi-sta".

Ora, sarà anche poco elegante scriverlo, ma come si fa a non notare la crescente attitudine alla censura delle idee altrui che caratterizza il ceto politico fondato sull'identità sessuale? Perché, ad esempio, l'opinione divergente dalle rivendicazioni dell'agenda gay viene quasi sempre qualificata di "pregiudizio omofobo"? «Sono deluso, perché le mie convinzioni personali mi sono costate la possibilità di continuare il mio lavoro per la comunità di Sacramento».

Con queste parole Scott Eckern, direttore artistico del Teatro di Musica della California, conclude la lettera con cui rassegna le sue dimissioni. Un autolicenziamento a cui Eckern è stato costretto perché, nel referendum sui matrimoni gay in California, aveva sostenuto il movimento per la difesa della famiglia tradizionale.

Simili atti di intolleranza non sono fatti isolati. Basti pensare a Donnie McClurkin, cantante gospel che ha accompagnato Obama nella campagna elettorale, finito nel mirino degli attivisti gay d'America perché si dichiara ex gay. O alla famosa hit di Povia, che ha esigito un'apparizione a Sanremo dell'onorevole Grillini, dal momento che neppure una canzonetta si deve permettere di discutere il dogma degli "omosessuali per sempre felici e contenti". O a Luca di Tolve (secondo alcuni lo stesso Luca cantato da Povia), che forse può vantare il primato di uomo più insultato d'Italia perché ha abbandonato un ruolo di spicco nell'Arci-gay e si è sposato con una donna. O agli psicologi come Antonio Cantelmi, perseguitati perché non accettano la teoria (mai dimostrata scientificamente) che "omosessuali si nasce". E ancora - notizia di questi giorni - si pensi alla campagna di screditamento, intimidazione, atti di vandalismo, che ha accompagnato la tournée italiana dello psichiatra americano Joseph Nicolosi.

Idee come titoli tossici

Dice l'ex omosessuale Randy Thomas: «Quando negli anni Ottanta collaboravo a promuovere la liberazione dei gay, il nostro unico scopo era di ottenere la tolleranza, mentre l'attivismo politico odierno si è spostato dalla tolleranza alla dominazione e al potere. È sconcertante guardare un gruppo formato da persone che si dichiaravano oppresse diventare esso stesso oppressore».

Si potrebbe obiettare: Scott Eckern ha perso soltanto il lavoro, in fondo Donnie McClurkin non è stato licenziato da Obama, e Povia la sua canzone alla fine l'ha cantata, Luca di Tolve sta con chi vuole e Joseph Nicolosi ha svolto la sua conferenza. Vero. Ma la creazione ad arte di un nemico (l'"omofobo d'opinione") e la stigmatizzazione del pensiero divergente dalla teoria del gender stanno facendo emergere una pericolosa censura illiberale in un campo così importante per il nostro futuro come quello della questione antropologica e delle biopolitiche.

Siamo ancora in mezzo al guado della crisi causata nella finanza dai cosiddetti titoli tossici. Fino a qualche istante prima che questi ultimi provocassero il crollo dell'economia mondiale, le informazioni finanziarie venivano filtrate e deformate ad arte. Il rischio che corriamo oggi rispetto alla questione antropologica è analogo. C'è un mondo politico, culturale e giornalistico che senza opporre resistenza sdogana la teoria del gender che stravolge la natura dell'uomo.

Si tratta di un processo già accaduto nella storia moderna, per esempio con il razzismo scientifico di Gobineaut e soci, che a partire dalla metà dell'Ottocento estremizzava le differenze tra le razze. Oggi, a distanza di tempo, tutti sappiamo come tale pensiero fosse funzionale al colonialismo e all'imperialismo, ma si dimentica che la maggior parte delle associazioni scientifiche dell'epoca aderivano alle teorie razziste ed eugenetiche con la stessa euforia e acriticità con cui adesso università come la prestigiosa Harvard battezzano la cattedra dedicata al gender e i mezzi di comunicazione di massa celebrano la scientificità dei postulati dell'agenda gay
I segreti intenti dell’Europa

II percorso del pendolo della manipolazione è lo stesso, si trova soltanto alla sua altra estremità. Il razzismo scientifico negava la pari dignità tra gli uomini, il gender nega la "pari dignità nella diversità" tra uomo e donna. Concettualmente richiede che in futuro uomo e donna si conformino su un comune format desessuato, quello codificato nel "Gender Mainstreaming" che già oggi e all'insaputa della maggioranza delle persone costituisce la politica ufficiale dell'Unione Europea. In ossequio alla linea del Gender Mainstreaming, l'Unione Europea ha infatti cominciato a parlare di "ruoli stereotipati" (tipicamente maschili, tipicamente femminili) e a penalizzarli.

In Italia la battaglia del movimento gay e dei gruppi di interesse ad esso collegati, oltre al tema delle unioni civili, si concentra sulla limitazione della libertà di scelta terapeutica da parte degli omosessuali egodistonici, cioè di quelle persone che provano sentimenti indesiderati di attrazione verso lo stesso sesso.

Non solo. Dal momento che certe rivendicazioni del movimento gay non ottengono il consenso della maggioranza in un confronto democratico aperto, esse vengono fatte passare "top-down", dall'alto verso il basso, attraverso campagne di immagine e leggi apparentemente innocue, o attraverso organismi internazionali del cui lavoro poche persone sono a conoscenza. Al tempo stesso si delegittimano le persone che esprimono dissenso come razziste o omofobe, si tenta di trasformarle in "fuorilegge", rovesciando il concetto di tolleranza nel suo esatto contrario.
Michele Gastaldo (Tempi)


Apologia della crociata - L’irenismo ecumenico è una distorsione della dottrina della chiesa e della sua storia. Il vero spirito del cristianesimo è combattere per la verità e per difendere le radici che affondano nei secoli luminosi del medioevo - Roberto de Mattei (Il Foglio) – dal sito pontifex.roma.it
"L’addio della chiesa allo spirito di crociata” è un refrain che ricorre da almeno quarant’anni e che condensa la concezione del mondo di un certo cristianesimo, che ha fatto del dialogo ecumenista il suo vangelo. Questa visione si basa su di una distorsione storica e su di un’altrettanto grave deformazione della dottrina della chiesa. Nel caso dell’articolo di Giancarlo Zizola su Repubblica del 7 giugno, si aggiunge a ciò un impervio tentativo di attribuire allo stesso Papa regnante questo slittamento storico e dottrinale. Benedetto XVI, come egli disse nella sua prima udienza del 27 aprile 2005, ha assunto questo nome, non solo in onore di Benedetto XV, ma anche e soprattutto per evocare la straordinaria figura del grande “Patriarca del monachesimo occidentale”, san Benedetto da Norcia, che “costituisce un fondamentale punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane ...della sua cultura e della sua civiltà”.
Ma quali sono quelle radici cristiane che, secondo Benedetto XVI, come per il suo predecessore Giovanni Paolo II, non solo i cattolici, ma anche i laici, hanno il diritto e il dovere di difendere? Queste radici, o se si preferisce, i frutti di queste radici, sono sotto i nostri occhi: sono cattedrali, monumenti, palazzi, piazze, strade, ma anche musica, letteratura, poesia, scienza, arte. Questa visibile mappa della memoria è impressa nel codice genetico della nostra civiltà. Ebbene le crociate fanno parte, come le cattedrali, del paesaggio spirituale europeo e ne esprimono la stessa concezione del mondo.
Lo storico dell’arte Erwin Panofsky ha studiato il rapporto tra le vetrate gotiche e la filosofia scolastica, sottolineando come la luminosità delle cattedrali medievali corrisponda alla trasparenza di pensiero di opere come la “Somma Teologica” di san Tommaso d’Aquino (Erwin Panofsky, “Architettura gotica e filosofia scolastica”). Dall’epopea delle crociate traspare – potremmo aggiungere – la stessa luminosità, la stessa diafana bellezza, lo stesso slancio verso l’alto, la stessa forza creatrice, delle opere di san Tommaso d’Aquino e di Dante. Anche le crociate fanno parte di quel patrimonio di valori che, come scriveva Giovanni Paolo II, sono derivati dal Vangelo e si sono sviluppati in coerenza con esso (“Memoria e identità”).
“I capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell’anima religiosa che li ha ispirati (…)” – ha affermato ancora Benedetto XVI (udienza generale del 18 novembre 2009). Lo stesso potrebbe dirsi delle crociate, che hanno inciso nei campi di battaglia della Palestina quella stessa scala di valori che gli architetti infondevano in quegli anni nella pietra delle cattedrali. Né le crociate, né le cattedrali possono essere comprese da chi ignora il modo di pensare, e soprattutto, la fede vissuta, che animava i loro artefici.

Nella cattedrale il popolo cristiano si raccoglieva attorno a un sacerdote che, celebrando la Messa su di un altare rivolto a oriente, rinnovava in maniera incruenta il mistero stesso del cristianesimo: l’Incarnazione, Passione e morte di Gesù Cristo. Nelle crociate, questo stesso popolo prendeva le armi per liberare la Città Sacra di Gerusalemme, caduta nelle mani dei maomettani. La tomba vuota del Santo Sepolcro era, con la Sindone, la testimonianza viva della Resurrezione e la reliquia più preziosa della cristianità.
La prima crociata fu predicata come meditazione all’appello di Cristo che dice: “Chi vuole venire dietro di me rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt. 16, 21-27). Quella stessa Croce, attorno a cui si riuniva il popolo delle cattedrali, era impressa sulla veste dei crociati ed esprimeva l’atto con cui il cristiano si diceva disposto ad offrire la propria vita, per il bene soprannaturale del prossimo, impugnando le armi. Lo spirito delle crociate era, e rimane, lo spirito stesso del cristianesimo: l’amore al mistero incomprensibile della Croce.
Il professor Jonathan Riley-Smith, caposcuola del rinnovamento degli studi sulle crociate, riferendosi a coloro che avevano risposto all’appello della prima crociata, afferma che essi erano “infiammati dall’ardore della carità”, e alla carità, all’amor di Dio, fa risalire la motivazione profonda di questa impresa. Offrire la propria vita è infatti la più grande forma di amore e il più perfetto atto di carità, poiché ci fa perfetti imitatori di Gesù secondo le parole del Vangelo, secondo cui “nessuno ha più grande amore di colui che dà la sua vita per Lui e per i suoi fratelli” (Gv. 3, 16; 15, 13). Solo l’amore, riassunto dal sacrificio di Cristo sulla Croce, è in grado di sconfiggere la morte, che è la suprema sofferenza fisica, e il peccato, che è il supremo male morale. Tale spirito e stato d’animo, abbondantemente documentato dalle fonti, non sorge come un fiume limaccioso dall’inconscio collettivo dell’occidente, ma dall’atto libero di singoli uomini che nei secoli luminosi del medioevo rispondono ad un appello che si rivolge alla loro coscienza.
La risposta a questo appello può essere considerata una “categoria dello spirito” che non tramonta. L’idea di crociata infatti non è solo un evento storico circoscritto al medioevo, ma è una costante dell’animo cristiano che nella storia conosce momenti di eclissi, ma che sotto diverse forme è destinata a riaffiorare. Espungere l’idea di crociata dalla propria “piattaforma programmatica” significa espungere l’idea stessa del combattimento cristiano. L’insegnamento che la vita spirituale è lotta è particolarmente svolto nelle lettere di san Paolo dove si trovano in molti luoghi metafore e immagini tratte dalla vita del guerriero; l’Apostolo spiega come la vita del cristiano sia un bonum certamen che va combattuto “da buon soldato di Gesù Cristo” (II Tim. 2, 3). “Spogliamoci – egli dice – dalle opere delle tenebre e indossiamo l’armatura della luce” (Rom. 13, 12); “Rivestitevi dell’armatura di Dio per potere resistere agli assalti del diavolo (…). State dunque cinti della verità, rivestiti della lorica della giustizia, calzati della saldezza del Vangelo della pace, impugnando lo scudo della fede, col quale potrete estinguere i dardi infuocati del Maligno, prendere l’elmo della salvezza e il gladio dello spirito, che è la parola di Dio” (Ef. 6, 11, 14-17).

Lo spirito di crociata e quello del martirio hanno una comune origine in questa dimensione profonda del combattimento spirituale. Il martirio, come ogni sofferenza, presuppone il combattimento. La vita stessa di Gesù Cristo può essere considerata come un costante combattimento contro l’insieme delle forze ostili al Regno di Dio: il peccato, il mondo e il demonio. Che la vita del cristiano sia una lotta è uno dei concetti che più spesso risuona nel Nuovo Testamento dove si legge: “Non sarà coronato se non colui che avrà legittimamente combattuto” (II Tim. 2, 5). Il Vangelo del resto, nel suo significato originario, è annuncio di vittoria militare, in questo caso la vittoria di Cristo sul male e sulle potenze delle tenebre.
Perché la chiesa non può abbandonare lo spirito di crociata? Molto semplicemente perché non può rinnegare la propria storia e la propria dottrina. La storia delle crociate non è una appendice insignificante della storia della chiesa, ma si intreccia strettamente con la storia del papato. Le crociate non sono legate a un singolo Papa, ma ad una storia ininterrotta di pontefici, per lo più santi, dal Beato Urbano II, che promulgò la prima crociata, a san Pio V e al Beato Innocenzo XI, che promossero “leghe sante” contro i Turchi a Lepanto, Budapest e Vienna, tra il XVI e il XVII secolo. Non è ignoto agli storici che, ancora nel XX secolo, Pio XII studiò la possibilità di bandire una “crociata” anticomunista dopo la rivolta di Ungheria nel 1956.
A quella dei Papi, si aggiunge la testimonianza dei santi, a cominciare da Luigi IX, il re crociato per eccellenza, che con Giovanna d’Arco, anch’essa a suo modo “crociata”, è patrono della Francia, la “figlia primogenita della chiesa”. Contrapporre a queste figure il nostro san Francesco denota, se non malafede, una notevole misconoscenza storica. La più attendibile fonte che abbiamo del viaggio di Francesco è la testimonianza del suo compagno, frate Illuminato, che ci racconta come il santo difese l’opera dei crociati e propose al Sultano la conversione. E come dimenticare le legioni di francescani che si unirono, nei secoli ai crociati, a cominciare da san Giovanni da Capestrano (1386-1456), predicatore della grande crociata del XV secolo, culminata con la liberazione di Belgrado?
Al nome di san Francesco dovremmo affiancare quello di santa Caterina da Siena, patrona d’Italia e Dottore della chiesa di cui in un recente saggio Massimo Viglione ha mostrato l’animo profondamente “crociato” (“L’idea di crociata in Santa Caterina da Siena”). A Lei potremmo aggiungere un altro dottore di sesso femminile, questa volta contemporaneo, santa Teresina del Bambin Gesù, che in una pagina toccante, rivolgendosi a Gesù, afferma di voler “percorrere la terra, predicare il tuo nome, e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa”, riunendo in un’unica vocazione quelle dell’apostolo, del crociato, del martire. “Sento – ella scrive – la vocazione di Guerriero, di Sacerdote, di Apostolo, di Dottore, di Martire; insomma, sento il bisogno, il desiderio di compiere per te, Gesù, tutte le opere più eroiche. Sento nella mia anima il coraggio di un Crociato, di uno Zuavo Pontificio: vorrei morire su un campo di battaglia per la difesa della Chiesa…”. E il 4 agosto 1897, sul letto di morte, rivolgendosi alla Superiora, mormora: “Oh, no, non avrei avuto paura di andare in guerra. Per esempio, ai tempi delle crociate, con quale felicità sarei partita per combattere gli eretici” (“Storia di un’anima”, in “Opere complete”).
La chiesa non ha mai professato il pacifismo. Il combattimento cristiano, che è prima di tutto un atteggiamento spirituale, ma che comprende la possibilità della legittima difesa, della guerra giusta e perfino della “guerra santa”, appartiene alla più pura tradizione cattolica. Chi professa l’ecumenismo e il pacifismo a oltranza dimentica che esistono mali più profondi di quelli fisici e materiali, e confonde le conseguenze rovinose della guerra sul piano fisico, con le sue cause, che sono morali e risalgono alla violazione dell’ordine, in una parola a quel peccato che solo può essere sconfitto dalla Croce. Il mondo moderno, che è immerso nell’edonismo e ha perso la fede, giudica come mali, e come mali assoluti, solo quelli fisici, dimenticando che il male e il dolore accompagna inevitabilmente la vita dell’uomo, spesso elevandola.

Lo spirito delle crociate e di Lepanto ci trasmette un messaggio di fortezza cristiana che è disposizione d’animo a sacrificare i beni terreni, di fronte a beni più alti, quali la giustizia, la verità, l’avvenire della nostra civiltà.
Oggi il nemico che minaccia la chiesa e l’occidente è l’attitudine mentale di chi ritiene che sia finito il tempo di Lepanto e delle crociate e allo spirito del combattimento cristiano contrappone una visione del mondo secondo la quale nulla esiste di assoluto e di vero, ma tutto è relativo ai tempi, ai luoghi e alle circostanze. E’ questo il relativismo denunciato da Giovanni Paolo II quando nelle sue encicliche “Splendor Veritatis” ed “Evangelium Vitae” parla di quella “confusione del bene e del male, che rende impossibile costruire e conservare l’ordine morale dei singoli e delle comunità” (SV n. 93). La battaglia contro il relativismo in difesa delle radici cristiane della società, a cui ha chiamato Giovanni Paolo II e oggi invita Benedetto XVI, è una battaglia in difesa della nostra memoria storica, senza la quale non c’è identità nel presente, perché è sulla memoria che si fonda l’identità degli uomini e dei popoli. Ma le radici cristiane non appartengono solo alla memoria o alla storia: esse sono viventi perché il Crocifisso, che le riassume, non è solo un simbolo storico e culturale, ma è una fonte attuale e perenne di verità e di vita, di sofferenza e di lotta.
La chiesa ha nemici, anche se noi tendiamo a dimenticarlo perché abbiamo perso quella concezione militante della vita cristiana, fondata sulla Croce, che ha sempre caratterizzato il cristianesimo. La perdita di questo spirito militante è la conseguenza dell’edonismo e del relativismo in cui sono immersi purtroppo anche molti uomini di chiesa. Benedetto XVI ha parlato spesso di minoranze “creative”; potremmo aggiungere “militanti”, perché quella in corso è una guerra culturale e morale in cui ci si affronta in termini di principi di concezioni del mondo. La storia del resto è fatta da minoranze militanti e anche Zizola appartiene a una di esse. Si può militare per il bene o per il male, in un campo o nell’altro, ma solo chi milita lascia il suo segno nelle vicende storiche.
Non si illuda Zizola: si può e si deve sfuggire, per quanto possibile, allo scontro delle armi, ma non si può sfuggire allo scontro delle idee. Egli stesso ne brandisce una come una clava che vorrebbe abbattere sulle teste dure dei cristiani fondamentalisti o “lepantiani”. D’altra parte, le idee che non si scontrano, non si “incontrano”, ma si fondono, formando a loro volta nuove idee all’insegna dell’indifferentismo e del sincretismo.

La chiesa è una società soprannaturale che ha la missione di annunciare una Verità salvifica e liberatrice. Essendo un’istituzione immersa nel mondo si serve, come è giusto, anche di strumenti politici e diplomatici, ma la politica per lei è mezzo, mai fine. Giuliano Ferrara nel Foglio del 7 giugno lo ha ben visto. Non bisogna confondere un viaggio diplomatico, come è stato quello recente del Papa a Cipro, con il messaggio teologico e spirituale che la chiesa ha il dovere di annunziare.

Nell’omelia a Nicosia, il 5 giugno, Benedetto XVI ha peraltro sottolineato che il legno della Croce non è semplicemente un simbolo privato di devozione, non è un distintivo di appartenenza a qualche gruppo all’interno della società, ma è un segno di speranza, di amore, di vittoria. “Un mondo senza Croce – ha detto – sarebbe un mondo senza speranza”. Anche un mondo senza spirito di crociata sarebbe un mondo senza speranza, perché significherebbe la rinunzia alla lotta per fare della Croce la salvezza di un mondo in rovine.
Roberto de Mattei (Il Foglio)