Benedetto XVI: San Girolamo, "innamorato" della Parola di Dio
Intervento all'Udienza generale
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 novembre 2007 (ZENIT.org).- L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui Padri Apostolici, si è soffermato ancora una volta sulla figura di San Girolamo.
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Cari fratelli e sorelle!
Continuiamo oggi la presentazione della figura di san Girolamo. Come abbiamo detto mercoledì scorso, egli dedicò la sua vita allo studio della Bibbia, tanto che fu riconosciuto da un mio Predecessore, il Papa Benedetto XV, come «dottore eminente nell'interpretazione delle Sacre Scritture». Girolamo sottolineava la gioia e l'importanza di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare - già qui, sulla terra - nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient'altro?» (Ep. 53,10). In realtà, dialogare con Dio, con la sua Parola, è in un certo senso presenza del Cielo, cioè presenza di Dio. Accostare i testi biblici, soprattutto il Nuovo Testamento, è essenziale per il credente, perché «ignorare la Scrittura è ignorare Cristo». E' sua questa celebre frase, citata anche dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 25).
Veramente "innamorato" della Parola di Dio, egli si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?» (Ep. 30,7). La Bibbia, strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai fedeli» (Ep. 133,13), diventa così stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. Leggere la Scrittura è conversare con Dio: «Se preghi, - egli scrive a una nobile giovinetta di Roma - tu parli con lo Sposo; se leggi, è Lui che ti parla» (Ep. 22,25). Lo studio e la meditazione della Scrittura rendono l'uomo saggio e sereno (cfr In Eph., prol.). Certo, per penetrare sempre più profondamente la Parola di Dio è necessaria un'applicazione costante e progressiva. Così Gerolamo raccomandava al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare (Ep. 52,7). Alla matrona romana Leta dava questi consigli per l'educazione cristiana della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura... Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (Ep. 107,9.12). Con la meditazione e la scienza delle Scritture si «mantiene l'equilibrio dell'anima» (Ad Eph., prol.). Solo un profondo spirito di preghiera e l'aiuto dello Spirito Santo possono introdurci alla comprensione della Bibbia: «Nell'interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo» (In Mich. 1,1,10,15).
Un appassionato amore per le Scritture pervase dunque tutta la vita di Girolamo, un amore che egli cercò sempre di destare anche nei fedeli. Raccomandava ad una sua figlia spirituale: «Ama la Sacra Scrittura e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini» (Ep. 130,20). E ancora: «Ama la scienza della Scrittura, e non amerai i vizi della carne» (Ep. 125,11).
Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell'interpretazione delle Scritture era la sintonia con il magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il "noi" nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. Per lui un'autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva: "Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep. 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva - deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep. 16).
Girolamo ovviamente non trascura l'aspetto etico. Spesso anzi egli richiama il dovere di accordare la vita con la Parola divina e solo vivendola troviamo anche la capacità di capirla. Tale coerenza è indispensabile per ogni cristiano, e particolarmente per il predicatore, affinché le sue azioni, quando fossero discordanti rispetto ai discorsi, non lo mettano in imbarazzo. Così esorta il sacerdote Nepoziano: «Le tue azioni non smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: "Perché dunque proprio tu non agisci così?". Carino davvero quel maestro che, a pancia piena, disquisisce sul digiuno; anche un ladro può biasimare l'avarizia; ma nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono accordare» (Ep. 52,7). In un'altra lettera Girolamo ribadisce: «Anche se possiede una dottrina splendida, resta svergognata quella persona che si sente condannare dalla propria coscienza» (Ep. 127,4). Sempre in tema di coerenza, egli osserva: il Vangelo deve tradursi in atteggiamenti di vera carità, perché in ogni essere umano è presente la Persona stessa di Cristo. Rivolgendosi, ad esempio, al presbitero Paolino (che divenne poi Vescovo di Nola e Santo), Girolamo così lo consiglia: «Il vero tempio di Cristo è l'anima del fedele: ornalo, questo santuario, abbelliscilo, deponi in esso le tue offerte e ricevi Cristo. A che scopo rivestire le pareti di pietre preziose, se Cristo muore di fame nella persona di un povero?» (Ep. 58,7). Girolamo concretizza: bisogna «vestire Cristo nei poveri, visitarlo nei sofferenti, nutrirlo negli affamati, alloggiarlo nei senza tetto» (Ep. 130,14). L'amore per Cristo, alimentato con lo studio e la meditazione, ci fa superare ogni difficoltà: «Amiamo anche noi Gesù Cristo, ricerchiamo sempre l'unione con lui: allora ci sembrerà facile anche ciò che è difficile» (Ep. 22,40).
Girolamo, definito da Prospero di Aquitania «modello di condotta e maestro del genere umano» (Carmen de ingratis, 57), ci ha lasciato anche un insegnamento ricco e vario sull'ascetismo cristiano. Egli ricorda che un coraggioso impegno verso la perfezione richiede una costante vigilanza, frequenti mortificazioni, anche se con moderazione e prudenza, un assiduo lavoro intellettuale o manuale per evitare l'ozio (cfr Epp. 125,11 e 130,15), e soprattutto l'obbedienza a Dio: «Nulla... piace tanto a Dio quanto l'obbedienza..., che è la più eccelsa e l'unica virtù» (Hom. de oboedientia: CCL 78,552). Nel cammino ascetico può rientrare anche la pratica dei pellegrinaggi. In particolare, Girolamo diede impulso a quelli in Terra Santa, dove i pellegrini venivano accolti e ospitati negli edifici sorti accanto al monastero di Betlemme, grazie alla generosità della nobildonna Paola, figlia spirituale di Girolamo (cfr Ep. 108,14).
Non può essere taciuto, infine, l'apporto dato da Girolamo in materia di pedagogia cristiana (cfr Epp. 107 e 128). Egli si propone di formare «un'anima che deve diventare il tempio del Signore» (Ep. 107,4), una «preziosissima gemma» agli occhi di Dio (Ep. 107,13). Con profondo intuito egli consiglia di preservarla dal male e dalle occasioni peccaminose, di escludere amicizie equivoche o dissipanti (cfr Ep. 107,4 e 8-9; cfr anche Ep. 128,3-4). Soprattutto esorta i genitori perché creino un ambiente di serenità e di gioia intorno ai figli, li stimolino allo studio e al lavoro, anche con la lode e l'emulazione (cfr Epp. 107,4 e 128,1), li incoraggino a superare le difficoltà, favoriscano in loro le buone abitudini e li preservino dal prenderne di cattive perché – e qui cita una frase di Publilio Siro sentita a scuola - «a stento riuscirai a correggerti di quelle cose a cui ti vai tranquillamente abituando» (Ep. 107,8). I genitori sono i principali educatori dei figli, i primi maestri di vita. Con molta chiarezza Girolamo, rivolgendosi alla madre di una ragazza ed accennando poi al padre, ammonisce, quasi esprimendo un'esigenza fondamentale di ogni creatura umana che si affaccia all'esistenza: «Essa trovi in te la sua maestra, e a te guardi con meraviglia la sua inesperta fanciullezza. Né in te, né in suo padre veda mai atteggiamenti che la portino al peccato, qualora siano imitati. Ricordatevi che... potete educarla più con l'esempio che con la parola» (Ep. 107,9). Tra le principali intuizioni di Girolamo come pedagogo si devono sottolineare l'importanza attribuita a una sana e integrale educazione fin dalla prima infanzia, la peculiare responsabilità riconosciuta ai genitori, l'urgenza di una seria formazione morale e religiosa, l'esigenza dello studio per una più completa formazione umana. Inoltre un aspetto abbastanza disatteso nei tempi antichi, ma ritenuto vitale dal nostro autore, è la promozione della donna, a cui riconosce il diritto ad una formazione completa: umana, scolastica, religiosa, professionale. E vediamo proprio oggi come l’educazione della personalità nella sua integralità, l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo, sia la vera condizione di ogni progresso, di ogni pace, di ogni riconciliazione ed esclusione della violenza. Educazione davanti a Dio e davanti all’uomo: è la Sacra Scrittura che ci offre la guida dell’educazione e così del verso umanesimo.
Non possiamo concludere queste rapide annotazioni sul grande Padre della Chiesa senza far cenno all’efficace contributo da lui recato alla salvaguardia degli elementi positivi e validi delle antiche culture ebraica, greca e romana nella nascente civiltà cristiana. Girolamo ha riconosciuto ed assimilato i valori artistici, la ricchezza dei sentimenti e l'armonia delle immagini presenti nei classici, che educano il cuore e la fantasia a nobili sentimenti. Soprattutto, egli ha posto al centro della sua vita e della sua attività la Parola di Dio, che indica all'uomo i sentieri della vita, e gli rivela i segreti della santità. Di tutto questo non possiamo che essergli profondamente grati, proprio nel nostro oggi.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i rappresentanti dell’Unione Apostolica del Clero ed auguro che contribuisca a tener viva nei sacerdoti la coscienza della loro vocazione alla santità, condizione indispensabile per essere nel mondo segno credibile dell’amore di Cristo. Saluto poi i fedeli di Ficulle, qui convenuti in occasione del Millennio di fondazione dell’Abbadia di S. Nicolò al Monte e, mentre li ringrazio per la loro visita, li esorto a trarre dalla loro storia sempre nuovo impulso per progredire nel cammino della testimonianza cristiana. Saluto inoltre i membri dell'Associazione Cuochi italiani, venuti a Roma da tutte le Regioni d'Italia in occasione del loro simposio d'autunno. Cari amici, nel vostro lavoro siate messaggeri non solo della gioia serena del convivio, ma anche della condivisione fraterna e solidale.
Il mio affettuoso pensiero va ora ai familiari delle vittime di Nassirya, che ricordano i loro cari nel quarto anniversario della loro tragica morte. La memoria di questi nostri fratelli e di quanti hanno sacrificato il bene supremo della vita per il nobile intento della pace contribuisca a sostenere il cammino della rinascita, piena di speranza, del caro popolo iracheno.
Saluto, infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Celebreremo domani la festa del vescovo sant'Alberto Magno, apostolo di pace tra le popolazioni del suo tempo. Il suo esempio sia stimolo per voi, cari giovani, specialmente per voi cari studenti del Collegio Mondo Unito dell’Adriatico e per voi alunni della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Salesiana, ad essere artefici di riconciliazione e di giustizia. Sia per voi, cari ammalati, incoraggiamento a confidare nel Signore, che mai ci abbandona nel momento della prova. Sia per voi, cari sposi novelli, spinta a trovare nel Vangelo la gioia di accogliere e servire generosamente la vita, dono incommensurabile di Dio.
[© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana]
Sesso, droga e omicidi nel "normale" inferno di Perugia
di Assuntina Morresi
L’Occidentale
Un delitto multietnico a sfondo sessuale; Amanda, Raffaele e Patrick, un’americana, un italiano, e un congolese che uccidono o collaborano all’uccisione di Meredith, la ragazza inglese, forse in un festino finito male accidentalmente: queste finora le ipotesi degli investigatori. Tanti indizi ma nessuna certezza, tranne che su due cose: Meredith è stata uccisa, e gli indagati erano suoi amici, universitari a Perugia. Una città universitaria di provincia come tante, non è l’inferno, come scriveva ieri il Corriere. Ragazzi come tanti, normali.
In ventidue hanno scritto da Giovinazzo, il paese di Raffaele, al Corriere della Sera, sono i suoi amici che non lo credono capace di tanto, proprio lui “sempre disponibile ad aiutare nel silenzio”, “hanno costruito un Raffaele che siamo sicuri non sei tu”. Quel Raffaele che racconta “ Faccio uso di cannabis tutte le volte che è un giorno di festa e tutte le volte che ne ho bisogno. Sono una persona ansiosa”. Aveva conosciuto Amanda due settimane prima e lei era andata a vivere da lui fin dal primo giorno. Amanda l’americana, vent’anni, da Seattle, “ragazza tranquilla e romantica, studiosa”, dicono stupefatti i suoi concittadini “non è l’Amanda che conosciamo”. “Lei gridava e io mi sono tappata le orecchie. Poi mi sono addormentata e non ricordo più nulla”, ha confessato qualche giorno fa, ma adesso ha cambiato versione e nega tutto.
Giacomo era coinquilino di Meredith e ci stava insieme da qualche settimana, non è indagato perché nei giorni del delitto era fuori Perugia, a casa dei suoi: “Insieme ai miei amici faccio spesso uso di hashish e marijuana, ma non di altre droghe. Anche Meredith faceva uso di hashish e spesso l’assumevamo insieme, o noi due da soli o insieme ai ragazzi del condominio. In genere prendevamo la droga al centro di Perugia […] ogni volta che ci serviva, uscivamo e andavamo in piazza per rifornirci”. Solo droghe leggere, però, e poi alcol: pare che accadesse spesso che Meredith e le sue amiche tornassero a casa ubriache.
Patrick invece a Perugia ci sta da vent’anni, lo conoscono tutti. Un’amica mi ha telefonato, sconvolta: con Patrick ci ha passato anche il Natale, è una persona buona e mite, ha un figlio piccolo che adora, non può assolutamente essere coinvolto in questa storia. E altri: "non si faceva di roba pesante. Qualche canna, certo, ogni tanto, come tanti. Beveva sì, a volte troppo. Capitava che esagerasse. Ma scriveva anche cose come: “Rebecca, mia bella ragazza africana/con gli sguardi e gli occhi pieni d’amore/oggi i tuoi occhi sono pieni di lacrime”.
Gente normale, solo droga leggera, alcol e “sesso facile, disinvolto, come accade spesso quando si ha vent’anni”.
Normalità è un pomeriggio come quello raccontato da Raffaele, prima del delitto: due ore, forse tre in centro, non si ricorda a fare che, poi torna a casa, poi una canna, la cena, la telefonata del padre, naviga su internet, poi arriva Amanda, forse ci è andato a letto, o forse no, non ricorda. Non ricordano. Forse non c’è niente da ricordare.
Tutta gente normale, insomma. Come se gli assassini, quelli veri, se ne andassero notoriamente in giro con gli occhi iniettati di sangue, la bava alla bocca, o girassero liberi con pistola alla mano e colpo in canna, perché li hanno stuprati da piccoli.
Lo sballo non è una novità, e non ci si sballa solo a Perugia. Niente roba pesante, poi, e niente spaccio, niente reati: la droga si compra regolarmente in centro, in piazza, davanti al duomo, quasi ci fosse un sali&tabacchi&droga. Ultimamente, poi, a Perugia ce n’è proprio tanta (ma non è l’unica città, vuoi mettere con Roma e Milano?), lo sanno tutti. In certe scuole superiori hanno mandato pure l’avviso a casa, arriverà a sorpresa la Guardia di Finanza con i cani antidroga. Lo fanno perché se un insegnante si accorge che qualche ragazzino fuma, non può fare niente per via della “modica quantità”.
Capita dappertutto, è normale.
La sera in centro è meglio non andarci, in certe strade vedi spacciare anche alla luce del sole, ma non è una novità, certo non succede solo a Perugia, e poi in fondo in tanti quartieri ancora si vive tranquilli e i bambini possono ancora giocare fuori - per esempio nel campetto sotto casa mia - e nessuno che dice che se tutta Perugia fosse impraticabile allora non sarebbe più una città ma un penitenziario.
Ma perché sono normali le canne, gli spinelli, l’alcol, o il sesso che non ricordi?
O forse sarebbe meglio chiedersi: perché no? Per quale motivo non dovrebbero essere normali una canna e uno spinello, un pomeriggio intero di cui non ricordi niente di quel che hai fatto, come tanti?
Non è certo l’inferno. E’ la normalità.
12 Novembre 2007
IL NEOSPIRITUALISMO. L’ALTRA FACCIA DELLA MODERNITA’
Di Francesco Agnoli (del 14/11/2007)
E Pio XII arruolò l’ebreo per salvarlo dai nazisti
Di Andrea Tornielli - Il Giornale 15/11/2007
SI PARLA DI NOI :: Il declino dei consultori
Norlevo - Le donne e la pillola del giorno dopo
Modena/ Filmano la compagna travolta e uccisa dall'autobus
Giovedí 15.11.2007 09:13
Affari italiani – quotidiano on line
Modena sotto choc: un preside di un istituto d'arte che ha denunciato la diffusione su Internet di un video che ritrae una studentessa travolta e uccisa da un autobus. Riprese dai compagni, le immagini agghiaccianti dell'investimento sono finite in Rete accompagnate da commenti e battute. Subito dopo la denuncia alla polizia postale, le clip incriminate sono state rimosse dai siti.
"Siamo di fronte a un agghiacciante degenerazione delle relazioni umane di molti adolescenti"; denuncia il preside dell'istututo che ha segnalato il fatto alle autorità, Eugenio Sponzilli. Oltre alle immagini, diffuse su diversi portali video e blog privati, in Rete il tragico video dell'incidenteè stato accompagnato da battute e commenti ironici assolutamente imbarazzanti e di pessimo gusto. "Dai, vai a vederla anche tu, ha la testa staccata", scriveva uno dei ragazzi che ha inserito la clip dell'investimento su un sito.
La vittima, una sedicenne marocchina, era una rappresentante di classe ed era una persona molto attiva nell'istituto. A scuola la conoscevano tutti, ma quando è stata investita alcuni coetanei invece di soccorrerla si sono affrettati a riprendere la scena con i telefonini. Un comportamento agghiacciante, che ha poi innescato un allarmante scambio di file su Internet. "Parecchi ragazzi mi hanno detto di sapere che quelle immagini sono finite su Internet - ha spiegato il preside -. Non siamo riusciti a trovarle, tuttavia. Secondo me, le hanno tolte quando hanno saputo che stavo per fare denuncia alla Polizia Postale".
Forlì, un successo l’iniziativa anti-aborto
Avvenire, 15.11.2007
Positiva l’intesa fra enti locali, Asl e associazioni: in sei mesi 15 donne hanno rinunciato all’interruzione di gravidanza
MILANO. Un’iniziativa di successo a Forlì a sostegno della vita, tramite aiuti economici alle donne intenzionate ad abortire. Dopo la firma di un protocollo d’intesa tra gli enti locali, la locale azienda sanitaria e le associazioni di volontariato, in sei mesi e mezzo sono state quindici le donne che alla fine hanno rinunciato a interrompere la gravidanza. Il progetto è iniziato nel 2000, come spiega Elena Pulitini, del Servizio maternità dell’associazionecomunità 'Papa Giovanni XXIII'.
«Facciamo parte – spiega – della Consulta comunale delle famiglie, alla quale fu sottoposto nel 2000 un progetto per il miglioramento del percorso nascita. Il nostro giudizio fu positivo, ma facemmo presente che talvolta vi sono problemi oggettivi che rendono impossibile a una donna portare avanti la gravidanza».
L’anno successivo l’Asl effettuò un monitoraggio per capire quante donne che abortivano erano spinte solo dal bisogno economico: «Emerse che erano la maggior parte, più della metà – continua Pulitini –.
Da questo dato è nato allora il protocollo firmato nel marzo 2003, che prevede che quando una donna si reca nelle strutture per abortire, invece di andare subito dal ginecologo che le dà il modulo per l’interruzione di gravidanza, incontri subito un assistente sociale che chiede se la motivazione a monte è solo economica. Se è così, viene proposta la possibilità di costruire un percorso di aiuto, personalizzato, fatto con risorse sia pubbliche sia delle associazioni aderenti al protocollo». In sintesi, alla donna che sceglie di 'ripensarci' viene dato un opuscolo dove indicare tutti i problemi pratici: lavoro, casa, se ha un partner e se ha già avuto altri figli. In base alle esigenze, vengono stanziate le risorse messe a disposizione dalle associazioni; il Comune di Forlì ha messo invece a disposizione l’assistente sociale per i colloqui con le donne. Il progetto, nei mesi dal 12 febbraio scorso al 31 agosto, ha coinvolto 15 donne, di cui 9 straniere e 6 italiane, che alla fine non hanno abortito. Cifre «significative» le definisce Pulitini, «perché indicano che qui a Forlì un 10% abbondante non ha voluto più abortire, su un totale complessivo di 141 donne che, nello stesso periodo, si erano rivolte alle strutture per l’aborto».
Andrea D’Agostino
Sorpresa: «La diagnosi preimpianto non funziona» Avvenire, 15.11.2007
di Viviana Daloiso
Per gli antagonisti della legge 40 è il preferito tra i cavalli di battaglia, soprattutto dopo la discussa sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari alla fine di settembre sul caso della donna affetta da beta-talassemia: parliamo della diagnosi preimpianto, la tecnica di analisi e selezione degli embrioni che – nei proclami di chi la sostiene – dovrebbe permettere alle donne che accedono alla fecondazione assistita di moltiplicare le possibilità di successo della futura gravidanza, individuando e impiantando gli 'esemplari' potenzialmente più sani. Fosse così – ammettiamolo pure, per un istante – suonerebbe come una bella tentazione: una donna desiderosa di diventare madre, ma forse troppo avanti con gli anni o affetta da qualche patologia ereditaria, si rivolge a un centro specializzato in fecondazione assistita e chiede di avere un figlio (sano, s’intende). Quelli gli dicono che sì, è semplice: basta 'analizzare' e 'individuare' gli embrioni più adatti. Il che comprende lo scarto di tutti gli altri. Tutto avviene nel nome della salute della futura madre, per garantire maggiori possibilità di riuscita ed evitare nuovi cicli di fecondazione artificiale. Chi esiterebbe? E perché mai una pratica di tutela nei confronti delle donne dovrebbe essere vietata per legge? Quante volte abbiamo sentito queste domande. Soprattutto nell’ultimo mese, alla luce di quella revisione delle linee guida della legge 40 per cui è stato costantemente suggerito il dilemma fuorviante tra tutela della donna e tutela dell’embrione, come se la soluzione in uno soltanto dei due sensi (in particolare il primo) fosse la sola da percorrere, se non altro sul piano scientifico. Falso.
A dimostrarlo – dati alla mano – per la prima volta non è affatto la legge italiana. Tra lo stupore di una parte dei partecipanti al meeting annuale delle società per la riproduzione assistita statunitensi, riunite a Washington a metà ottobre, i medici della Asrm (l’American Society for Reproductive Medicine, tra le più autorevoli e rappresentative Oltreoceano) si sono espressi nettamente contro la tecnica di diagnosi preimpianto dello screening, che consiste nello studio dell’assetto cromosomico degli embrioni per il trattamento delle pazienti che accedono alle tecniche di procreazione assistita in età avanzata o dopo aborti e fallimenti d’impianto reiterati. In pratica si prende un embrione, si estrae una delle sue cellule e si analizza cercandone delle anomalie cromosomiche, al fine di stabilirne la ' normalità' o l’'anormalità' e la conseguente possibilità di dare con esso origine a una gravidanza a termine, rara con queste pazienti. Peccato che negli ultimi otto anni – secondo quanto emerso durante il convegno e ampiamente riportato in uno dei più recenti numeri di Nature – la tecnica abbia dimostrato la sua inconsistenza, spesso contribuendo addirittura a diminuire le possibili gravidanze.
A spiegarci i motivi di questo sorprendente fallimento è il medico newyorchese Glenn Schattmann, noto specialista nel campo dell’infertilità e docente di Endocrinologia riproduttiva al Weill Medical College della Cornell University. Schattmann, si badi bene, come la quasi totalità dei medici e ginecologi statunitensi non soltanto è un convinto sostenitore della pratica ma esegue diagnosi preimpianto sulle donne che ogni anno ricorrono alla fecondazione assistita per avere figli nel suo studio. Proprio per questo la sua testimonianza è ancor più sbalorditiva: «Da tempo ormai – ci spiega – vado sostenendo, appoggiato dall’Asrm, che non c’è alcuna prova evidente che lo screening preimpianto aumenti le possibilità di successo nelle gravidanze a seguito di fecondazione in vitro. Ecco perché sarebbe un errore gravissimo quello di continuare, come medici, a illudere le nostre pazienti e, quel che è peggio, far correre loro rischi inutili». Rischi per le pazienti, menzogne dei medici: eppure le varie tecniche della diagnosi preimpianto, anche nel nostro Paese, continuano a essere proposte come metodo sicuro per aumentare i successi nelle gravidanze da procreazione assistita... «È dimostrato da diversi studi compiuti negli Usa – continua Schattmann – che lo screening su una sola cellula di un embrione non può essere il fattore in base al quale decidere se quello sarà 'normale' o 'anormale'. Il risultato del test in pratica, non prova nulla circa il futuro di quell’embrione: il che è confermato dagli errori diagnostici della pratica, che sono da considerarsi intorno al 10% sia per quanto riguarda i falsi positivi (anormali secondo il test, sani in realtà) sia per i falsi negativi (sani secondo il test, anormali nei fatti). Tutto questo senza contare i danni che il prelievo stesso di materiale cellulare può causare e spesso causa all’embrione e alla madre: l’impiego della tecnica ha dimostrato più volte di incidere sulle riuscita della gravidanza».
D ati allarmanti, lontani anni luce dalla favola dei figli sani a colpo sicuro e della tutela della salute della donna di cui si parla nel nostro Paese, e che negli Usa (forse non solo lì...) hanno molto a che fare con gli interessi economici dei centri e delle cliniche che praticano la tecnica. È lo stesso Schattmann a sottolinearlo:
«Per la pratica dello screening preimpianto, cliniche e centri statunitensi chiedono dai 5 mila ai 7 mila dollari – spiega con pragmatismo tutto americano–. Se si pensa che a oggi negli Usa il 10% delle procedure di fecondazione assistita è accompagnato da test genetici, e che di questi l’80% consiste in screening, il conflitto di interessi insito nella 'raccomandazione' sempre più frequentemente fatta alle donne è presto spiegato». Una raccomandazione tanto lontana dalla realtà da costringere Schattmann, quando una donna si presenta nel suo studio, a dirle con onestà: «Se il suo obiettivo è quello di avere un bambino sano ricorrendo alla fecondazione assistita, la sua migliore chance di ottenere questo scopo sarà di non ricorrere allo screening preimpianto». E quando la donna gli obietta che lui è un convinto sostenitore della diagnosi preimpianto, Schattmann replica: «Lo sono, è vero. Ciò non toglie che io debba agire rispettando la deontologia del mio mestiere di medico: che, al di là di ogni interesse commerciale, mi impone di dire la verità sull’inutilità e i rischi di questa tecnica». Sorprendente, per i canoni italiani. E infatti: qualcuno ha letto una sola riga di tutto questo sui nostri giornali?
Eutanasia per strada. E la Svizzera ha un sussulto
Avvenire, 15.11.2007
Federica Mauri Ha scosso l’opinione pubblica e il parlamento elvetici l’episodio dei due cittadini tedeschi 'accompagnati' alla morte in un’auto dall’organizzazione di aiuto al suicidio Dignitas. E pensare che a Berna c’è chi vorrebbe cogliere l’occasione per migliorare la legge...
Ridotti ad esalare l’ultimo respiro all’interno di un’automobile parcheggiata. È quello che è successo negli scorsi giorni a due cittadini tedeschi, che avevano deciso di rivolgersi all’organizzazione di aiuto al suicidio zurighese Dignitas per porre fine alla loro esistenza. Un fatto che non ha mancato di scatenare aspre polemiche in Svizzera e che ha pure mandato su tutte le furie la ministra tedesca della giustizia Brigitte Zypries, la quale ha duramente criticato il trattamento riservato ai suoi due connazionali. «Alle persone disperate e bisognose di aiuto va offerto sostegno e non un contratto con la morte» ha saggiamente commentato. Questo è però soltanto l’ultimo episodio di una drammatica vicenda, fatta di persone che per motivi svariati (e spesso non sottoposti al giudizio di psicologi e specialisti) hanno chiesto di essere uccise, o meglio 'suicidate', e sono finite nelle grinfie di individui senza scrupoli e disposti a tutto. Anche ad offrire una dose letale di pentobarbitale sodico per garantire quella che viene definita una 'morte dignitosa'. Per strada. a Confederazione, che finora ha tollerato la presenza sul suo territorio di organizzazioni che offrono assistenza al suicidio come Dignitas o Exit, si trova ora a dover fare i conti con una situazione che sembra esserle sfuggita di mano. Decine di persone arrivano da ogni parte del mondo, per aggirare le leggi dei loro Paesi d’origine, decise a togliersi la vita. E così la Svizzera è diventata la patria della 'dolce morte', o meglio sarebbe dire dei 'mestieranti della morte', destinazione ultima del nuovo 'turismo del suicidio assistito'.
Complice una zona grigia nel diritto in vigore: tale pratica è infatti tollerata dalle autorità purché non vi siano «motivi egoistici» (come stabilisce il Codice penale svizzero) da parte di chi assiste il candidato suicida. Le organizzazioni specializzate hanno però compiuto diversi passi falsi.
Perfino Soraya Wernli, l’ex braccio destro di Ludwig A. Minelli, fondatore di Dignitas – associazione con sede a Zurigo e che dal 1998 offre aiuto al suicidio –, ha deciso di andarsene dopo aver constatato «attività eticamente discutibili», come il decesso di persone che soffrivano solo di depressione. Alcuni parenti di persone suicidatesi tramite l’aiuto dell’associazione hanno invece riferito di morti tutt’altro che dignitose: agonie terminate dopo decine di minuti, pagate a caro prezzo. E c’è chi, dopo aver versato da anni ingenti somme di denaro, ancora aspetta una ricetta medica per 15 mg di veleno che forse (a questo punto, speriamo) non arriverà mai. Come una coppia di tedeschi intenzionata a suicidarsi assieme e che ha già versato migliaia di euro all’organizzazione, ma che dopo l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Zurigo si è chiusa nel silenzio. Per non parlare di due presunti casi di eutanasia attiva diretta, proibita nella Confederazione e ancora del motivo per cui il suicidio operato sui due tedeschi è avvenuto in un parcheggio: e cioè perché da alcuni mesi l’associazione era stata sfrattata dalla sua sede di Zurigo per le lamentele dei vicini. Il fondatore di Dignitas, Ludwig A. Minelli, si dice all’oscuro di tutto e non solo respinge le critiche ma afferma che «il diritto alla morte è un diritto fondamentale».
In Svizzera, stando alle statistiche ufficiali, muoiono ogni anno per suicidio circa 1400 persone, il che corrisponde al 2,2% di tutti i decessi. In 272 casi (quasi il 20%), il suicidio è stato 'assistito'. Una situazione giudicata allarmante dalla Commissione nazionale di etica per la medicina (Cne), che vede accresciuto il rischio di abusi. Spesso non si rispettano neppure le direttive minime emanate dall’Accademia svizzera delle scienze mediche, che stabiliscono che il desiderio di suicidio, per venire assecondato, debba essere causato da sofferenze gravi dovute a malattia cronica e non possa essere originato da una crisi passeggera o da un’affezione psichica, né tanto meno da pressioni esterne. Perciò la Commissione raccomanda ripetuti colloqui personali, come pure un secondo parere medico, per determinare la reale volontà dell’individuo. Sollecitato a più riprese il ministro della giustizia Christoph Blocher, dopo attenta analisi, ha deciso di non legiferare sull’eutanasia e sull’aiuto al suicidio: troppo rischioso, visto che di fatto legittimerebbe l’operato delle organizzazioni di aiuto al suicidio.
In realtà Blocher ha giustamente sottolineato che in simili casi ogni decisione (circa le terapie ammissibili, indispensabili, o da evitare) debba nascere da uno stretto dialogo fra il medico, il paziente e i suoi familiari. E soprattutto non deve essere lo Stato che, con leggi macchinose, si intromette a questo livello decisionale. Gli eventi degli ultimi giorni hanno scosso l’opinione pubblica, tanto che il Partito socialista del Canton Zurigo, fra i sostenitori dell’eutanasia, ha chiesto al Parlamento di far interrompere subito le attività di Dignitas. Un segnale in apparenza positivo, anche se c’è già chi vorrebbe cogliere al volo l’occasione per spingere il governo svizzero a legiferare e a legittimare di fatto questa pratica.
Ru486: domande che attendono chiarezza pillola abortiva
Avvenire, 15.11.2007
L’ampio dossier di è vita sulla Ru486 di giovedì scorso aveva già informato i lettori di è vita sugli aspetti controversi della richiesta della registrazione del farmaco in Italia. Ma chi sostiene l’introduzione della «kill pill» insiste sulle sue presunte 'virtù'. Con asserzioni discutibili, che siamo in grado di confutare.
«La registrazione del farmaco è automatica».
1.
La procedura in corso è quella del 'mutuo riconoscimento'. La Exelgyn, avendo già ottenuto la registrazione in Francia, può, attraverso l’Emea, l’agenzia europea del farmaco, chiederne la registrazione anche negli altri Paesi dell’Unione. La richiesta è così giunta all’organo italiano competente, l’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, che ha ricevuto la documentazione. Dopo un esame che coinvolgerà sia il profilo amministrativo che quello tecnico scientifico, l’Aifa potrà accettare la richiesta, rifiutarla o presentare obiezioni su profili relativi alla sicurezza del nuovo prodotto. In questi ultimi due casi si aprirebbe una fase contenziosa in sede europea, in cui l’Agenzia italiana potrà far valere le proprie perplessità.
2.
«L’introduzione della pillola abortiva rispetta la legge sull’aborto».
La legge 194/78 prevede che l’aborto sia effettuato interamente sotto controllo medico in una struttura pubblica. La Ru486 non realizza queste condizioni. A scapito della salute della donna
3.
«L’aborto chimico è meno traumatico per la donna».
Secondo il ginecologo Silvio Viale, che ha avviato la sperimentazione della pillola abortiva al S. Anna di Torino, sarebbe addirittura «più naturale […], meno medicalizzato perché è la donna che agisce e si prende cura di sé». Ma è proprio quest’ultimo punto che rende l’uso della pillola abortiva particolarmente difficoltoso: la donna la assume in ospedale e poi torna a casa, non sapendo se e quando è avvenuto l’aborto, dovendo controllare se tra le perdite di sangue provocate dalla pillola ci sia anche l’embrione. Un’incombenza tutt’altro che non traumatica.
Ma tra gli effetti collaterali normalmente associati all’uso della Ru486, oltre alle perdite di sangue, ci sono anche crampi, vomito, diarrea, febbre. Il tutto gestito in solitudine per un periodo di almeno 15 giorni. Secondo Viale, i vantaggi di questo metodo consisterebbero anche nel fatto che si «responsabilizza chi abortisce».
4.
«La Ru486 farebbe risparmiare risorse al Servizio sanitario nazionale».
Sul sito dell’Aduc i dati sul risparmio che la pillola abortiva porterebbe sono girati alla Corte dei Conti, visto che, si dice, «non possiamo certo stabilire in anticipo i costi della Ru486, ma, trattandosi di intervento ambulatoriale, dobbiamo detrarre quelli della degenza di almeno 1 giorno e della sala operatoria». Il tutto si associa al fatto che, come rileva ancora Viale, la pillola abortiva «consente di liberare risorse». Il medico, infatti, invece che assistere la donna durate l’aborto, si limiterebbe a fornirgli la pillola, sperando che la signora si presenti per il controllo finale, cosa che in moltissimi casi non avviene. Costi che non graverebbero più sul Servizio sanitario nazionale, ma direttamente sulla donna, che spesso, sempre in solitudine, è costretta a ricorrere ad antidolorifici e altri farmaci.
5.
«In molti Paesi è già stata introdotta e ha dimostrato di essere sicura».
Proprio l’esperienza degli Stati in cui è già stata introdotta dovrebbe indurre l’Italia alla massima prudenza nei confronti di questo farmaco abortivo. Sono ormai 15 le donne il cui decesso è legato all’assunzione della Ru486.
«Sabato e domenica Holly si è lamentata di dolori gravi e crampi. Il 7 settembre 2003 alle 17 ha ceduto allo choc settico ed è morta». A raccontare la vicenda di questa ragazza di 17 anni sono i genitori, Monty ed Helen Patterson, che hanno scoperto solo dopo che la causa del decesso era dovuta all’assunzione della Ru486. «Non esistono rimedi veloci e pillole magiche per in interrompere la gravidanza» continua la loro lettera pubblicata sui media per denunciare la pericolosità dell’aborto chimico.
Di Ilaria Nava