mercoledì 14 novembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Finanziaria: il Forum Famiglie escluso dalle consultazioni
2) Il miracolo del piccolo Matteo: «Mi ha strappato alla morte»; nuovo libro di Antonio Socci "Il segreto di padre Pio" (Rizzoli, pp. 320, euro 18),
3) Sepolura feti. Voglio dare una tomba al mio bambino
4) L’educazione, asse del “Congresso Europeo della Famiglia”
5) Con la Ru 486 aumenta il rischio di morte per le donne; Scienza & Vita e il Movimento per la Vita contro l’uso della pillola abortiva
6) Somalia nel caos. Quei profughi interrogano il mondo intero
7) Memoria di un discorso splendido di Benedetto XVI - Lo conosciamo e ci conosce Questa è la vera festa
8) Gabriele Sandri: il Padre qualcuno vuole strumentalizzare la tragedia di mio figlio
9) Pezzotta «Dalla Chiesa una garanzia di libertà per tutti»
10) Bologna, le offese a Maria archiviate per un cavillo Ravasi: distinzioni che non appartengono alla realtà
11) «Speranze dalle staminali cerebrali» - Vescovi: tra pochi mesi al via la sperimentazione clinica sull’uomo
12) Ferrara: io, ateo devoto, credo nella fede del Papa in Gesù
13) Le parole non bastano i giovani vogliono esempi




Finanziaria: il Forum Famiglie escluso dalle consultazioni

Il Forum Famiglie organizza una raccolta di firme a sostegno di una proposta fiscale che premia i contribuenti che hanno un figlio a carico... E protesta per essere stata esclusa dalle parti sociali consultate (tra le quali è invece inclusa l'Arcigay) su Dpef e Finanziaria. E' la prima volta che dopo sette anni il Forum non viene interpellato: speriamo che il Forum impari la lezione e si apra alle realtà che fanno davvero lobbying etico.
Il Popolo del Family Day torna a mobilitarsi. Lo fa per chiedere un fisco giusto, a misura di famiglia. Lo fa per protestare contro questa finanziaria 2008, talmente chiusa nei confronti della famiglia che è stato difficile anche trovare appigli per fare emendamenti.
Lo fa per protestare contro il Governo Prodi che per la prima volta dopo sette anni ha depennato il Forum Famiglie dalle parti sociali interpellate nella stesura del Dpef e della Finanziaria, ricevendo invece l'Arcigay.

Perchè l'Arcigay sì e il Forum Famiglie no? Perché Padoa Schioppa ha ricevuto il Forum solo una volta, per il Dpef dell'estate 2006, per poi chiudere tutte le porte dopo il Family Day?
[Il perchè è ovvio: nonostante gli ingenui tentativi del Forum di presentare il Family Day come aconfessionale e apartitico, sul piano culturale esso è l'esatto contrario del progressismo, NdR]
Le famiglie non ci stanno più e hanno deciso di gridarlo dai tetti.
Lo faranno nei prossimi tre mesi con una imponente raccolta di firme, che vuole rimettere insieme il milione di persone scese in piazza il 12 maggio. E forse qualcuna in più, visto che la richiesta è totalmente laica e interessa chiunque abbia un figlio a carico, a prescindere dall'essere sposati o meno. [E' un'altra inutile concessione fatta dal Forum al politicamente corretto: con tutto il rispetto per le situazioni familiari difficili, è evidente che il Forum non raccoglierà mai il consenso delle Unioni di Fatto, NdR].
Tant'è che alle associazione del cartello del Family Day si è aggiunto anche l'Ugl - Unione Generale del Lavoro.
"Il Family dai ha lasciato alla famiglia la consapevolezza di essere un soggetto sociale", dice Paola Soave, vicepresidente del Forum. [Il Family Day è riuscito solo perché l'episcopato e il clero bene orientati si sono mobilitati. E' un'iniziativa che vivrà solo per l'impegno di questa parte della Chiesa, non certo grazie all'intelligente Roccella e all'ambiguo Pezzotta, che rappresentano solo se stessi, NdR]
"Non è solo questione di soldi, ma di cultura. Fare figli non è un fatto privato, ma un elemento di bene comune". Non si tratta di regali, ma di introdurre nel fisco l'equità orizzontale, per cui a parità di reddito chi ha figli da mantenere non deve pagare le stesse tasse di chi figli non ne ha.
La petizione chiede di calcolare il reddito non solo in base al reddito percepito, ma anche in base al numero dei componenti il nucleo familiare. In pratica si chiede di dedurre dal reddito medio percepito il costo reale del mantenimento di ogni figlio, quello che la Costituzione sancisce come obbligo, calcolabile intorno ai 6.000 euro: "Una cifra per nulla esagerata, molto vicina al reale, semmai per difetto", commenta la Soave.
Sullo stesso reddito andrebbero calcolate anche tutte le addizioni regionali e locali, con un notevole risparmio complessivo per le famiglie.
La deduzione deve spettare a tutti, indipendentemente dal reddito, "perché il principio non è quello dell'assistenza, ma della sussidiarietà. Siamo stanchi di uno Stato che si sostituisce alla famiglia, offre servizi, la priva di risorse e poi la assiste quando è diventata povera: chiediamo che la famiglia sia lasciata nella condizione di poter adempiere le sue funzioni".
Per questo per gli incapienti è prevista un'integrazione al reddito pari alla deduzione non dovuta: non un assegno, ma una "tassa negativa" che lo Stato deve al cittadino.
Sara De Carli
(da: Vita, 2-11-2007, con integrazioni redazionali)



Il miracolo del piccolo Matteo: «Mi ha strappato alla morte» Da oggi in libreria il nuovo saggio di Antonio Socci "Il segreto di padre Pio" che racconta la storia del santo di Pietrelcina…
di ANTONIO SOCCI


Anticipiamo alcune pagine del nuovo libro dell'editorialista di Libero Antonio Socci, "Il segreto di padre Pio" (Rizzoli, pp. 320, euro 18), da oggi in libreria.
Un caso eclatante è quello del piccolo Matteo Pio Colella. Il fanciullo, che ha solo sette anni e vive a San Giovanni Rotondo con la famiglia, la mattina del 20 gennaio 2000 va tranquillamente a scuola come ogni giorno. Ma la maestra Concetta Centra si accorge dopo qualche ora che sta male (brividi, testa inclinata verso il banco, incapacità di parlare). Vengono chiamati subito i genitori. Sono le 10.30. Il bimbo ha la febbre a 40° e comincia a vomitare. Alle 20.30 della sera quando Matteo non riconosce più la madre tutto si fa più concitato. Si provvede al ricovero immediato alla Casa Sollievo della sofferenza, l'ospedale di padre Pio dove il padre di Matteo, Antonio, lavora come medico. Le condizioni del bambino appaiono subito disperate. Viene fatta una diagnosi di meningite fulminante. Anzi, per la precisione, nel giro di qualche ora il quadro si fa devastante: meningite acuta con andamento rapidamente progressivo per il determinarsi di uno schock settico e profonda compromissione degli apparati cardiocircolatorio, renale, respiratorio, emocoagulativo, con acidosi metabolica. Il bimbo viene portato in rianimazione.
«È UN CASO DISPERATO»
In pratica fin dal primo giorno vari organi vitali sono risultati compromessi. Nel giro di poche ore, al mattino del 21 gennaio, la situazione precipita drammaticamente con «uno stato collassiale, ipertermia, difficoltà respiratoria per desaturazione di ossigeno». Si manifestano «segni quali cianosi intensa, edema polmonare, gravissima bradicardia per la grave ipossemia e acidosi metabolica». I medici ormai disperati si affannano e si agitano attorno al bambino, aumentando al massimo i dosaggi farmaceutici, ma il grave collasso cardiocircolatorio, la difficoltà a ossigenarsi nonostante la ventilazione meccanica, la sofferenza renale e la grave alterazione del sangue, fanno ormai pensare al peggio. Appare tutto inutile. Uno dei dottori - dopo essersi prodigato in ogni modo - a un certo momento, desolato, si ferma e dice: «Ragazzi, non c'è più nulla da fare, il bambino non si riprende». Si toglie i guanti, va a lavarsi le mani e torna al fianco del fanciullo, con la dottoressa Salvatore, a guardare, ormai impotente, il piccolo Matteo. La dottoressa a questo punto incita a fare un ultimo, disperatissimo tentativo, come farebbe un padre di fronte al figlio. Fu così iniettata una forte dose di adrenalina che sortì qualche piccolo effetto, ma senza poter assolutamente cambiare la situazione ormai tragica del bambino. Il decesso era atteso da un momento all'altro. Si legge nella "Fattispecie cronologica" del caso (negli atti del processo di canonizzazione di padre Pio): «Il dottor Violi passando in rassegna la fisiopatologia di questa devastante sindrome, ha dimostrato come quando gli organi insufficienti sono in numero superiore a cinque, le varie terapie impiegate risultano inutili, o comunque non hanno mai risolto alcun caso. Non risulta che nella letteratura internazionale ci sia alcun sopravvissuto affetto da tale patologia come quella del piccolo Matteo Pio Colella. Insomma non viene descritta alcuna sopravvivenza, infatti in tal caso la mortalità è del 100 per cento». La madre, il padre, i familiari sono da anni devoti di padre Pio. Si mette in moto una grande catena umana di preghiere al padre perché interceda. La mamma del bambino, raggiunta al telefono dalla maestra che chiede di sapere, riesce solo a dire, con la voce strozzata dalle lacrime: «Preghiamo padre Pio, perché stiamo perdendo Matteo». Anche tutti i bambini della scuola iniziano a invocare il padre. Così i frati, i parenti, gli amici, gli stessi medici e gli infermieri della "Casa". Qualche parente addirittura si riavvicina a Dio per implorare il miracolo per il piccolo Matteo. Si susseguono in quelle ore concitate le visite alla tomba del padre, i rosari, le reliquie portate a contatto con il bambino, le lacrime e le invocazioni accorate.
ACCADE L'IMPOSSIBILE
E la mattina del 21 gennaio «improvvisamente accade qualcosa di straordinario e con l'incredulità di tutti», perché «gli organi del bambino riprendono a funzionare». C'è clamore, commozione, stupore. Il fenomeno è doppiamente sorprendente, perché già le speranze di sopravvivenza erano pari a zero, ma nel caso remoto di sopravvivenza - certi erano i gravi danni cerebrali e renali che il bimbo avrebbe comunque riportato. Invece qua il bambino, dopo essere stato dieci giorni sedato e curarizzato, addirittura il 31 gennaio si sveglia, guarda medici e infermieri e dice: «Voglio il gelato». Poi comincia a scherzare con loro. Domenica 6 febbraio il piccolo - ancora in rianimazione - guarda tranquillamente la televisione e gioca alla Playstation (introdotta «per la prima volta nella storia della medicina» in rianimazione perché i medici sono interessati a vedere «la risposta intellettiva» del fanciullo). I medici - ovviamente felici si trovano davanti a qualcosa di inaudito, sconcertante. I genitori e gli amici in una gioia travolgente. Tutti i medici hanno dichiarato l'inspiegabilità scientifica della guarigione (e della mancanza di danni). Uno per tutti, il Dottor Alessandro Villella: «Non sono in grado di spiegare scientificamente la completa guarigione del piccolo Matteo Colella, senza dover pensare che possa esservi stato un intervento soprannaturale». Molto bella è la testimonianza data dalla madre al postulatore della causa di canonizzazione di padre Pio: «Qualunque sarà la decisione degli uomini su questo caso, la mia convinzione profonda di mamma e di credente rimarrà che mio figlio è tornato a noi perché il Signore immeritatamente ce l'ha restituito, è intervenuto a consolarci nella sua immensa misericordia, con l'intercessione del nostro caro Padre Pio». La signora riferisce di segni inequivocabili della vicinanza del padre (per esempio un intenso «dolcissimo e gioioso» profumo di rose e viole da lei avvertito) e aggiunge: «Solo il Signore sa il senso di tutto ciò che è accaduto alla nostra famiglia. La mia certezza è che Egli ci è stato vicino e ci ha benedetti, grazie anche alla intercessione e alla preghiera amorevole di Padre Pio che, della sua missione sulla terra, diceva: "Come sacerdote la mia è una missione di propiziazione: propiziare Iddio nei confronti dell'umana famiglia". E così è stato, caro Padre Pio, ci hai abbracciati nella prova e ci hai raccomandati a Dio». E il piccolo Matteo? Ricorda nulla di quelle ore di incoscienza? Per la medicina egli non doveva sentire, né vedere nulla, tantomeno ricordare qualcosa. Ma interpellato subito dopo il suo risveglio, Matteo riferì invece un ricordo molto preciso e sconvolgente: «Durante il sonno io non ero solo. Ho visto un vecchio. Mi sono visto da lontano, in questo letto, attraverso un buco tondo. Io ero vicino ai macchinari e un vecchio con la barba bianca e vestito lungo e marrone, mi ha dato la mano destra e mi ha detto: "Matteo, non ti preoccupare, tu presto guarirai", e mi sorrideva».
IL CIELO SI È SPALANCATO
Per la verità il racconto del piccolo Matteo, nella sua interezza, è ancora più sconvolgente. Infatti prosegue così: «Dall'altro lato ho visto tre angeli (...) i loro visi perché erano luminosi. Un altro giorno ho raccontato poi allo zio Giovanni che sempre quella notte ho guarito un bimbo rigido con gli occhi celesti-verdi e i capelli neri e stava sul lettino di un ospedale a Roma. Poi ho ripetuto il sogno alla mia mamma, la mamma mi ha chiesto: come sei andato a Roma? E io ho risposto: ho fatto una specie di volo con Padre Pio che mi teneva la mano e mi ha parlato con la mente, e quando siamo arrivati mi ha chiesto: "Vuoi guarirlo tu?". E io ho detto: come si fa? Così, con la forza di volontà. La mamma mi ha chiesto: come hai capito che eri a Roma? Ho riconosciuto il Luna Park dove ero andato con zio Giovanni». Conclusione del bambino: «Mi ha guarito Padre Pio». Insieme al miracolo, che naturalmente è il fatto più clamoroso e importante, va segnalata la descrizione che il bambino fa del suo stato di pre-morte, quel «mi sono visto da lontano, in questo letto». È una sorta di "prova" sperimentale dell'esistenza dell'anima, anche perché lo stesso tipo di racconto è confermato in una grande quantità di casi analoghi. Jean Guitton scrive: «Sono stati studiati i fenomeni che si verificano al momento della morte. Coloro che hanno sfiorato la morte hanno avuto l'esperienza di uno stato di 'scorporazione' che può farci capire le esperienze di certi mistici. Il dottor Moody nel suo libro 'Life after death', riporta numerose testimonianze... Tutti hanno confermato che al momento della morte si ha l'impressione di essere staccati dal corpo e di vederlo come un oggetto che si sorvola» (Jean Guitton, "Ritratto di Marthe Robin"). Naturalmente davanti a tutti questi resoconti certi laicisti saranno pronti a storcere il naso del pregiudizio, ma "contra factum, non valet argumentum". Il fatto di guarigioni inspiegabili è ben più forte delle opinioni e la scienza medica ha lealmente constatato l'inspiegabile. E l'ha fatto non affermando che si tratta di fenomeni non ancora compresi, ma che un giorno saranno spiegati (come se parlassimo di malattie che ancora non sappiamo come curare, ma un domani diventeranno guaribili), bensì riconoscendo che è accaduto qualcosa che va totalmente contro le leggi della natura. Questa è la razionalità, questo è il realismo. "Chi crede ai miracoli" scriveva Gilbert K. Chesterton "lo fa perché ha delle prove a loro favore. Chi li nega lo fa perché ha una teoria contraria ad essi".
www.antoniosocci.it

LIBERO 14 novembre 2007




Sepolura feti. Voglio dare una tomba al mio bambino




L’educazione, asse del “Congresso Europeo della Famiglia”Avrà luogo a Roma dal 15 al 17 novembre
ROMA, martedì, 13 novembre 2007 (ZENIT.org).- Rafforzare la famiglia in Europa. E’ l’obiettivo del Congresso Europeo della Famiglia, organizzato dall’Istituto di Studi Superiori sulla Donna e che avrà luogo a Roma dal 15 al 17 novembre.

L’incontro ha per tema “Formando il futuro dell’Europa: famiglia ed educazione” e si svolgerà presso l’Hotel Parco Tirreno di Roma.

Tra gli interventi spicca “Imparando ad amare”, di Christine Vollmer, presidente dell’Alleanza Latinoamericana per la Famiglia (ALAFA), di Caracas, e “Tecnoscienza e le Relazioni Familiari”, di Eugenia Roccella, giornalista e portavoce del Family Day a Roma.
Liliana Esmenjaud, addetta stampa, ha spiegato a ZENIT che “il congresso cerca in primo luogo di riflettere sul ruolo educativo che la famiglia gioca nella società di oggi, compiendo un’analisi delle questioni attuali che interessano maggiormente la famiglia nel suo compito educativo”.

“Vogliamo condividere iniziative favorevoli alla famiglia e all’educazione che vengano applicate da individui, Governi e organizzazioni educative internazionali”, ha detto a ZENIT Claudia Sánchez, membro dell’Istituto della Donna.

Il tema dell’educazione è stato scelto perché “l’Europa dipende dalla sua popolazione. L’Europa sarà ciò che sono gli Europei. Da questo deriva l’importanza della famiglia. La famiglia è l’istituzione naturale in cui si nasce, si cresce e si vive. Senza la famiglia, la società muore”, ha aggiunto la Esmenjaud.
Il congresso considera che “la famiglia ha una funzione eminentemente educativa, perché è l’istituzione per eccellenza che cerca di aiutare ciascuno dei suoi membri a raggiungere la pienezza personale attraverso il perfezionamento delle sue potenzialità, e questo è proprio ciò che si intende per educazione”.

“L’educazione non può dipendere unicamente, e men che meno in primo luogo, dal sistema scolastico. Il bambino non è un disco nel quale si inseriscono le informazioni che si vogliono. Educandolo, bisogna aiutarlo a imparare a pensare, a riflettere, aiutarlo a formarsi un proprio criterio, aiutarlo a distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è”, aggiungono le organizzatrici.

Prenderanno parte al congresso numerosi partecipanti di vari Paesi, così come politici e accademici.

Una delle tavole rotonde – “Uniti per educare: famiglia e Stato” – sarà dedicata alle relazioni tra lo Stato e la famiglia. Vi parteciperanno, tra gli altri, Jaime Urcelay, presidente dei Professionisti per l’Etica, di Madrid, e Carlos Mayor Oreja, presidente del Consiglio dell’Università Complutense di Madrid.



Con la Ru 486 aumenta il rischio di morte per le donne
Scienza & Vita e il Movimento per la Vita contro l’uso della pillola abortiva
ROMA, martedì, 13 novembre 2007 (ZENIT.org).- Scienza & Vita e il Movimento per la Vita lanciano l’allarme per impedire la commercializzazione della pillola abortiva Ru 486, chiamata dagli attivisti pro-vita “aspirina di Erode”.

Ha destato molto scalpore la notizia secondo cui dal 7 novembre sarebbe all'esame dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) la documentazione necessaria per la richiesta di autorizzazione in Italia della Ru486.

La notizia è stata confermata da Catherine Denicourt, responsabile farmaceutico dell’azienda produttrice del medicinale, la “Exelgyn Laboratoires”. Secondo la portavoce dell’industria francese, la data di conclusione della procedura e il rispettivo via libera alla commercializzazione avverranno il 19 febbraio 2008.
Dopo quella data, la Ru486 dovrebbe essere disponibile in Italia, come alternativa all’aborto chirurgico. La richiesta di commercializzazione sarà valutata dall’Aifa in base alla procedura di mutuo riconoscimento prevista dalle norme europee: essendo la Ru 486 già disponibile in altri Paesi dell’UE, non sarà necessario effettuare nuovi studi sull’efficacia del medicinale.

In una dichiarazione rilasciata a ZENIT, Carlo Casini – presidente del Movimento per la Vita – ha espresso dolore e rammarico nel “constatare che tante energie intellettuali ed economiche sono usate per sopprimere la vita anziché per evitare la morte dei più piccoli e più poveri tra gli esseri umani”.

In un comunicato recapitato a ZENIT, l’associazione Scienza & Vita ha affermato che “gli abortisti vogliono la pillola Ru 486” ma “non parlano dei pericoli per le donne”. Sono infatti almeno 15, nei soli Stati Uniti, le donne morte a causa di eventi provocati dalla Ru 486.

“Con questo farmaco – avverte Scienza & Vita – la scelta dell'aborto viene banalizzata al punto da essere ridotta ad una ‘pillola’ e svuotata delle sue implicazioni etiche e delle ricadute psicologiche”.

“Una pillola che – continua il comunicato – comporta anche dei rischi gravi per la salute della donna”. A questo proposito si ricorda che “la Ru 486 può causare la morte delle donne: 10 volte più che l’aborto chirurgico. Questa valutazione ha già ha portato alcuni Paesi a ripensare al suo utilizzo”.

“Non va poi sottovalutato – prosegue l’Associazione – che viene tradito lo stesso dettato della Legge 194/78. Con questa scelta non solo si manomette la legge 194, proponendo di fatto un ‘aborto chimico’ non previsto da norme vigenti comunque ingiuste, ma addirittura si vanifica quell’opera di prevenzione che comunque la legge prevede”.

Intervistato da ZENIT, Domenico delle Foglie, portavoce dell’associazione Scienza & Vita, si è chiesto quanto già pubblicato da Eugenia Roccella su “Avvenire”, e cioè “ chi protegge la pillola Ru 486?”.

In un editoriale pubblicato sul quotidiano dei Vescovi italiani l’8 novembre, Eugenia Roccella – già portavoce del Family Day – ha rivelato che la Exelgin è cosciente della pericolosità della pillola, tant’è che “la ditta francese non ha mai voluto commercializzare la Ru 486 in America, nonostante l’allora presidente Bill Clinton l’abbia pregata insistentemente di farlo”, per timore delle eventuali denunce e dei danni da pagare.

La Roccella sostiene che “dall’apertura degli archivi Clinton, e dalle lettere di risposta inviate al Presidente americano dalla Exelgyn, si afferma chiaramente che l’azienda francese sarebbe entrata nel mercato USA solo se l’amministrazione Clinton le avesse garantito una sorta di immunità giudiziaria”.

Non potendo Clinton garantire l’immunità, “la ditta ha preferito regalare il brevetto a un’organizzazione antinatalista americana, sottraendosi così a ogni responsabilità legale” .



SOMALIA NEL CAOS - QUEI PROFUGHI INTERROGANO IL MONDO INTERO
Avvenire, 14.11.2007
GIULIO ALBANESE
Mogadiscio è un inferno e la gente fugge in massa in cerca di salvezza. In altri tempi, è bene rammentarlo, la capitale somala e­ra incantevole; ma oggi è ormai ri­dotta ad un cumulo di macerie. Quei pochi edifici che rimangono in piedi sono il nascondiglio prefe­rito dei cecchini che colpiscono in qualsiasi ora della giornata. Nel frat­tempo le forze etiopiche, che so­stengono il presidente Abdullahi Yu­suf, sono impegnate in un rastrella­mento a tappeto con l’intento di scovare armi e munizioni dei grup­pi antagonisti di matrice fonda­mentalista, legati alle ex Corti, fau­trici della sharìa (la legge islamica). Una cifra, da sola, fotografa la tra­gedia del Paese: secondo i dati resi noti dalle Nazioni Unite, nelle ulti­me due settimane almeno altre 173mila persone hanno abbando­nato la capitale, dove manca di tut­to: dall’acqua al cibo, dalle medici­ne all’elettricità. E come al solito so­no i civili a pagare il prezzo più al­to. I fuggiaschi sono praticamente allo sbando, costretti a trascorrere le notti all’addiaccio lungo i bordi del­le strade che percorrono per salva­re la pelle. Da quando l’ex premier Ali Mohammed Gedi ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico – sfi­duciato da 22 dei suoi ministri e so­prattutto in seguito ai reiterati con­trasti col presidente Yosuf – le ten­sioni sul campo si sono acuite e il governo di transizione è sempre più delegittimato nel proprio ruolo i­stituzionale.
Intanto, la stragrande maggioranza della gente considera la presenza dei militari etiopici sul territorio somalo come una vera e propria in­gerenza negli affari interni del pro­prio Paese. Come già scritto in altre circostanze su questo giornale, il dramma che si sta consumando a Mogadiscio e dintorni è la cartina di tornasole del malessere che atta­naglia l’intero Corno d’Africa. Le rinnovate tensioni tra Etiopia ed E­ritrea, la crisi del Darfur, le rivalità tra quei poteri più o meno occulti che si contendono il controllo del­l’immenso bacino petrolifero con­tinentale – unitamente al controllo delle rotte dell’oro nero e al diffon­dersi di un certo estremismo che u­sa in maniera irresponsabile la reli­gione per perseguire i propri scopi politici – sono tutti elementi che condizionano fortemente lo scena­rio politico interno della Somalia. Sta di fatto che la linea di faglia tra Oriente e Occidente, che attraversa l’intera regione, manifesta i suoi punti di maggiore criticità soprat­tutto nell’emergenza umanitaria.
È stato toccante e drammatico leg­gere ieri l’appello di monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e Amministratore apostolico di Mo­gadiscio, lanciato dall’agenzia mis­sionaria Fides. Il prelato ha ricor­dato che il numero degli sfollati è praticamente raddoppiato nel giro di pochi mesi. «In Somalia erano cir­ca 400mila. Da marzo ad oggi sono aumentati di altre 400mila unità, portando il totale a 800mila», ha detto, precisando che la popolazio­ne è ormai ridotta allo stremo men­tre i combattimenti proseguono ad oltranza.
Nel suo ultimo rapporto sul Paese, il Segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon, ha affermato che al momento non vi sono le con­dizioni per il dispiegamento in quel­la zona di una forza di pace dell’O­nu, ribadendo il sostegno a una fan­tomatica forza panafricana, a dir poco insignificante. A riprova che è stata finora latitante una forte vo­lontà politica di risolvere, in sede internazionale, una crisi che po­trebbe contaminare l’intero conti­nente.




Memoria di un discorso splendido di Benedetto XVI
Lo conosciamo e ci conosce Questa è la vera festa

Avvenire, 14.11.2007
GIACOMO SAMEK LODOVICI
Secondo un’incomprensione ricorrente, il cristianesimo sarebbe solo un insieme di divieti, che impediscono all’uomo di cogliere le più intense soddisfazioni della vita. Per contro, fin dalla Messa (il 24.04.05) di inizio del pontificato, Benedetto XVI ha insistito: «Chi fa entrare Cristo [nella propria vita] non perde nulla, nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande». Il Papa lo aveva poi ribadito ai giovani della Gmg di Colonia: «La felicità che cercate, la felicità che avete il diritto di gustare, ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth […]. Solo lui dà pienezza di vita!».
Benedetto XVI ha insistito varie volte su questo concetto. Per esempio in un discorso (che, pur essendo un gioiello, è passato quasi inosservato) tenuto ai vescovi svizzeri il 9 novembre di un anno fa, in cui spiega che le norme morali vanno osservate e non le si può ignorare, ma il cristianesimo non è un moralismo bensì «è opera di grandezza». In questo discorso il Papa unifica i due temi complementari sviluppati nell’enciclica, che verte su Dio come Amore, e nella lectio di Ratisbona, che verte su Dio come Logos, cioè Ragione. Sulla scorta di Agostino, Benedetto XVI dice: «Dio è Logos e Dio è Amore – fino al punto di farsi totalmente piccolo, di assumere un corpo umano e alla fine di darsi come pane nelle nostre mani». Anche alla Gmg il Papa aveva parlato dell’«inconcepibile grandezza di un Dio che si è abbassato fino al punto di mostrarsi nella mangiatoia e darsi come cibo sull’altare». Ora – prosegue il Papa nel discorso ai vescovi che stiamo citando – «questi due aspetti del concetto cristiano di Dio dovremmo sempre tenere presenti e far presenti.
Dio è Spiritus creator, è Logos, è Ragione. E per questo la nostra fede è una cosa che ha a che fare con la ragione, può essere trasmessa mediante la ragione e non deve nascondersi davanti alla ragione ». Se si trascura questo aspetto di Dio, si cade negli errori del fideismo, che ignora il fecondo sostegno che la ragione può fornire alla fede, o nella guerra santa, che pretende di imporre la fede con la violenza. Ma – aggiunge il Papa – questa Ragione eterna ed incommensurabile, non è soltanto una matematica dell’universo e ancora meno qualche prima causa che, dopo aver provocato il Big Bang, si è ritirata. Questa Ragione, invece, ha un cuore, tanto da poter rinunciare alla propria immensità e farsi carne» e «in ciò sta […] l’ultima e vera grandezza della nostra concezione di Dio». Infatti, «noi Lo conosciamo ed Egli conosce noi. E possiamo conoscerLo sempre meglio, se rimaniamo in colloquio con Lui».
Certo, la vita cristiana può essere difficile ed ardua, ma «questo intimo essere con Dio […] è ciò che sempre di nuovo ci fa sperimentare la grandezza del cristianesimo e ci aiuta poi anche ad attraversare tutte le piccolezze, tra le quali, certamente, esso deve poi essere vissuto e realizzato, giorno per giorno, soffrendo ed amando, nella gioia e nella tristezza». Ratzinger- Benedetto XVI lo ha ribadito anche nel suo Gesù di Nazareth
(p. 67), dove spiega che Gesù non ha portato la pace nel mondo, né il benessere per tutti. Dunque, che cosa ha portato? «La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio». […] «Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco». Il Papa aggiungeva ancora ai vescovi: «Nietzsche addirittura ha detto: Solo se Dio non esiste possiamo far festa. Ma ciò è un’assurdità: solo se Dio c’è ed Egli ci tocca, può esserci una vera festa».




Il padre: qualcuno vuole strumentalizzare la tragedia di mio figlio
DA ROMA PINO CIOCIOLA
Avvenire, 14.11.2007
Gabbo è coperto da un legge­rissimo velo bianco che mamma Daniela, di tanto in tanto, vuole sistemare un po’ me­glio. Il volto quieto. Nel centro di u­na camera ardente che ha qualcosa d’irreale. È strano guardare un ra­gazzo tanto giovane dentro una ba­ra con un vestito scuro e un rosario nella mano, strano questo silenzio colorato di sciarpe biancocelesti e giallorosse e gente e fiori, strano ve­dere arrivare giocatori di pallone qui e giovani e giovanissimi fare la fila per salutarlo.
Papà Giorgio siede alla destra di Ga­briele, la madre a sinistra. Gli acca­rezzano spesso la testa, con delica­tezza. Cristiano, il fratello, porge un saluto agli amici che entrano. Intanto chi è qui anche perché dovrà rac­contarlo attraverso il suo giornale si chiede come renderà il dolore di questi genitori con parole su un fo­glio di carta. L’angoscia di un padre, silenzioso, al quale sembra abbiano smontato il cuore soltanto a fissarlo negli occhi. Il malore di Daniela, stremata di dolore e stanchezza, ieri sera, adagiata su una barella, curata in un’ambulanza e poi rientrata.
C’è qualcosa d’irreale in questa ca­mera ardente. Una disperazione cu­pa e sommessa che ha mille facce e alcune lacrime, ma pochissimi ru­mori. Le parole stesse di Sebastiano Siviglia, difensore della Lazio: «Il calcio non c’entra nulla, possiamo anche fermare il campionato, ma non cambia niente perché ci sono altri problemi che vanno affrontati. Tutta l’Italia dovrebbe fermarsi, almeno un’ora, per capire dove sta an­dando questo popolo». Eppure, ap­pena fuori, pochissimi tifosi, anche di quaranta e cinquant’anni, ce l’hanno con le forze dell’ordine e con i giornalisti. A pochi passi da loro qualcuno piange.
Il cielo è blu, fuori. Sono in tantissimi a venire. Fra i primi per esempio il vicesindaco di Roma, Maria Pia Garavaglia, e Giovanna Melandri, ministro delle Politiche giovanili e attività sportive. Il portavoce della Co­munità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. Vincenzo Vita, assessore provinciale alla Cultura, che spiega come sia «un lutto immenso che de­ve farci riflettere tutti, farci pensare che qualcosa non funziona». Il presidente di An, Gianfranco Fini. Car­lo Mosca, Prefetto di Roma. Daniela e Giorgio non si allontanano dal lo­ro figlio: non l’hanno mai fatto da as­sai prima che alle 10 e 30 la camera ardente aprisse.
«Vedete come me lo hanno ridotto e anche ora lo stanno massacrando», aveva detto qualche ora prima Gior­gio: «È un dolore terribile, non pen­savo che si potesse soffrire in questo modo. Quando ti muore un figlio, perdi anche te stesso. Poi se te lo ammazzano così». Lascia il segno. Dentro. Gli chiedono del terribile bi­glietto sulla vetrina del suo negozio: «È una strumentalizzazione che non condivido, ma evidentemente qual­cuno vuole usare questa tragedia per fomentare gli animi e trasformare l’I­talia in un campo di battaglia. Io non avrei mai fatto affiggere il biglietto: quel che c’è scritto è lontano da quel­lo che penso, chi ha sparato e ucci­so mio figlio deve pagare. Solo lui, gli altri poliziotti non hanno colpa per quanto è accaduto».
Anche Cristiano avverte: «Usare il nome di Gabriele per creare disor­dini sarebbe un oltraggio alla sua memoria. Spero che i tifosi non tra­sformino un momento di dolore in un’occasione per attaccare e insul­tare le forze dell’ordine».
La notte scivola su Roma. Non si fermano i saluti dei suoi amici e tan­ta gente a Gabbo. Arriva il sindaco, Walter Veltroni. Il presidente dell’In­ter, Massimo Moratti. Il presidente della Figc, Giancarlo Abete, regala ai genitori una maglia della nazionale con le firme dei giocatori, loro la pog­giano sulla bara. Verrà chiusa sta­mane alle 10. E alle 12 il saluto, l’ul­timo, nella sua chiesa, San Pio X. Mamma e papà continuano ad ac­carezzargli, delicatamente, la testa.




Pezzotta «Dalla Chiesa una garanzia di libertà per tutti» DA ROMA PIER LUIGI FORNARI
Avvenire, 14.11.2007
« O ggi più che in passato l’insegnamento della Chiesa è garanzia di li­bertà ». Lo afferma Savino Pezzotta ri­vendicando con forza la sua vocazio­ne laicale («Sono cittadino italiano, cre­do nella Repubblica e nella Costitu­zione »), ma al tempo stesso avverten­do che dopo i totalitarismi del nove­cento si profilano analoghe sfide, che pongono in discussione «ciò che è u­mano »: manipolazioni genetiche, me­diatiche, il «politicamente corretto» che va a braccetto con «l’economica­mente conveniente». «Quello che ve­diamo accadere in questi giorni nel no­stro Paese è un campanello di 'allar­me' che dobbiamo saper ascoltare e interpretare», ammonisce. Insomma per mantenere salda «una posizione di libertà» ancora oggi ci sono idoli a cui non si deve bruciare incenso. Per questo c’è bisogno del riferimento di una parola autorevole.
Ma quale tema può promuovere una difesa di ciò che umano se non la fa­miglia? Ed infatti è questo valore, in­sieme al Magistero della Chiesa, a co­stituire il binomio che sottotitola il li­bro di Carla Rossi Espagnet, presenta­to ieri alla Pontificia Università della Santa Croce. Oltre al presidente della Fondazione per il Sud, anche la stori­ca Lucetta Scaraffia discute di questa recente pubblicazione per i tipi di Ares: 'Famiglia&Libertà'. Un nesso che se­condo Pezzotta, ricordando la prepa­razione del Family Day, sono state le associazioni delle donne dei Paesi mu­sulmani a sottolineare: difendere la de­finizione costituzionale di famiglia contro la poligamia coincide con la sal­vaguardia della dignità femminile.
Presentando un libro con tale temati­ca è inevitabile il riferimento all’in­contro del 12 maggio in Piazza San Gio­vanni. «Qualcuno continua a far finta che non sia avvenuto – lamenta l’ex portavoce dello 'storico' raduno –. Mi preoccupa poi che qualcuno sostenga che sarebbe a causa del Family Day che negli ultimi mesi non sono state fatte politiche a favore della famiglia. Io di manifestazioni ne ho fatte tante, e so per esperienza che il loro compito è chiedere, non fare. È qualcun altro che deve fare. E se in questi mesi non ha fatto, gli spetta recitare il 'mea culpa'». In tema di famiglia Pezzotta mette a fuoco il valore «morale, etico ma anche sociale della fecondità». La scarsità del­le nuove generazioni «priva la comu­nità nazionale di quello 'slancio vita­le' che solo i giovani sono in grado di mettere in campo». I Paesi che cresco­no di più sono quelli giovanissimi in termini di età media. L’ex sindacalista avverte che l’immigrazione anche se positiva non può costituire una rispo­sta alla denatalità, «perché se non si mantiene l’equilibrio tra indigeni ed immigrati il rischio della reattività di­venterà sempre più forte», compro­mettendo l’integrazione e la possibi­lità di costruire l’interculturalità.
Prima del novecento, secondo la Sca­raffia, la concezione della Chiesa in materia di famiglia era accettata an­che dai non credenti, è nel secolo pre­cedente al nostro che si è compiuta u­na frattura. «Il pregio del libro della Rossi Espagnet – spiega la storica – è quello di aver individuato le conse­guenze di tale rottura in termini di fi­losofia morale». A questo proposito la Scaraffia mette in evidenza la crisi del concetto di autorità e della accettazio­ne universale della legge naturale. «Ma il libro – conclude – evidenziando il le­game tra spiritualità e morale familia­re, fornisce una motivazione fonda­mentale per la accettazione di queste norme. Esse acquistano così un senso molto più alto e attraente, ed al tempo stesso si comprende la loro 'non ne­goziabilità' ».
È la riflessione del presidente della Fondazione per il Sud presentando il libro di Carla Rossi Espagnet «Famiglia & Libertà». Scaraffia: importante il legame tra spiritualità e morale



Bologna, le offese a Maria archiviate per un cavillo Ravasi: distinzioni che non appartengono alla realtà Avvenire, 14.11.2007
BOLOGNA. Fa nuovamente discutere la mostra blasfema, promossa lo scorso giugno dall’associazione gay 'Carni scelte' a Bologna, e poi bloccata dopo le numerose polemiche che si erano sollevate. Il gip Bruno Perla ha disposto infatti l’archiviazione per la vicenda penale nata dall’offensivo titolo della mostra, accogliendo la richiesta della procura di Bologna e dichiarando inammissibile l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dal deputato di Forza Italia Fabio Garagnani. Queste le motivazioni del gip: gli articoli previsti dal codice penale «si applicano se l’offesa è indirizzata nei confronti di cose che formano oggetto di culto o sono consacrate al culto, mentre non si applicano se l’offesa è diretta a una entità, come è in questo caso la Madonna: può sembrare paradossale perché per il credente è più importante l’entità rispetto all’oggetto o alla reliquia che la rappresenta, ma questa è stata la scelta del legislatore».
Critico sulla sentenza del gip è monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura: la figura di Maria «appartiene all’orizzonte del sacro». Secondo Ravasi, non è possibile fare distinzioni, come sostenuto dal giudice, tra l’eventuale offesa alle cose consacrate e l’offesa all’entità religiosa. «Sono distinzioni sempre piuttosto sofisticate – ha detto Ravasi – e per certi versi appartenenti più a un dibattito di tipo giuridico che non alla realtà in sé». Ritiene che «in verità la dimensione della figura in questione, che è la figura di Maria, appartiene sicuramente all’orizzonte della cultura cristiana, ma anche all’orizzonte del sacro in senso stretto».
Secondo Ravasi, «distinguere sulla base della divinità o meno è una sottigliezza che non ha molto senso all’interno di una visione che è anche la visione popolare, la visione spontanea». Il titolo della mostra fu al centro di numerose polemiche. L’iniziativa suscitò lo sdegno della Curia e le critiche del sindaco Sergio Cofferati. Fu annullata. Garagnani presentò un esposto in procura per vilipendio. Ma la questione era destinata ad aprire nuove polemiche, perché la procura chiese l’archiviazione di quella querela e inviò gli atti al prefetto. Per i magistrati la querela di Garagnani ipotizzava il vilipendio, previsto dall’articolo 403 del codice penale, ma stabilirono che non c’era stata offesa né a persone (sacerdoti, ministri di culto o credenti durante un rito) né a cose (statue, immagini o reliquie).



«Speranze dalle staminali cerebrali» - Vescovi: tra pochi mesi al via la sperimentazione clinica sull’uomo
Avvenire, 14.11.2007

DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
C’ è una ricerca che promette ri­sultati senza sollevare dilemmi etici. È quella sulle cellule sta­minali del cervello per la quale a breve po­trebbe iniziare la fase della sperimenta­zione clinica sull’uomo. Lo ha annuncia­to ieri a Roma, presso la sede dell’Istituto superiore di sanità, lo scienziato Angelo Vescovi, direttore della Banca delle cellu­le staminali cerebrali di Terni. Si deve pri­ma, però, arrivare alla certificazione eu­ropea Gmp (Good manifacturing practice) prevista per queste linee cellulari da tes­suti, molto rigorosa e che potrebbe giun­gere, ha detto lo stesso ricercatore, nel gi­ro di mesi. Poi si passerà ad «attaccare per prima la sclerosi laterale amiotrofica» sti­lando le linee guida per un futuro proto­collo di sperimentazione clinica. Ulterio­ri obiettivi sono l’aumento del numero di linee, per cercare di superare i problemi di immunocompatibilità. Poi la fornitura di linee a cen­tri italiani ed esteri ( Vesco­vi ha rivelato che c’è già un intenso scambio di infor­mazioni con un centro del Wisconsin impegnato nel­la stessa ricerca, segno che quando c’è di mezzo il be­ne comune passano in se­condo piano anche la com­petizione e le gelosia tra ri­cercatori).
Infine, l’allargamento dalla Sla a un ampio spettro di patologie neurode­generative.
Ovviamente tutto ciò non significa, ha pre­cisato Vescovi, che si riuscirà certamente a sconfiggere queste malattie. Un discor­so con tutti i crismi della scientificità, vi­sto che in questo campo parlare di spe­ranze concrete è un conto. Ma non biso­gna dimenticare che si ha a che fare con i drammi di persone che non vanno illuse. Come purtroppo fa chi specula organiz­zando all’estero, «viaggi della speranza che non sono razionali», ha ricordato il pro­fessore di Milano-Bicocca. Alcuni pazien­ti affetti da malattie come Sla e sclerosi multipla, ma anche genitori di bimbi con simili patologie, erano in sala. E non a ca­so le domande più sentite e documentate sono venute da loro. È stato anche letto un messaggio inviato da Mario Melazzini, medico affetto da Sla e presidente dell’Ai­sla, l’associazione che si dedica a questa patologia ed è partner del progetto terna­no. Quello di tali malattie è un fenomeno di grandi dimensioni. «Si calcola che al­meno il 7% della popolazione mondiale potrebbe avere una malattia neurodege­nerativa rara nei prossimi anni e che il tre per cento della popolazione mondiale sof­fra già di malattie rare», ha spiegato Mau­rizio Scarpa, fondatore di Brains for brain,
un gruppo di 42 specialisti – tra i quali l’in­glese David Begley, anche lui presente ie­ri – che hanno dato vita ad una struttura per lo sviluppo di nuove proteine e nuove cellule staminali. Adulte.
Vescovi si è detto «sollevato» dal non do­ver per una volta parlare di problemi eti­ci. Le staminali cerebrali, infatti, sono ot­tenute non da embrioni, ma dal sistema nervoso centrale di feti abortiti sponta­neamente e il loro prelievo equivale alla donazione per trapianto. L’iniziativa si scontra, piuttosto, con le carenze dei fon­di per la ricerca: «Mi chiedono sempre quanto tempo occorrerà per i risultati. Se una fabbrica di automobili lancia un nuo­vo modello, impiega 100 ingegneri e ci mette tre an­ni. Se gli ingegneri sono dieci ce ne mette trenta». A finanziare per l’80% l’im­presa, costata finora circa un milione di euro, è stata la Conferenza episcopale i­taliana. Ma si è trattato an­che di un successo della piccola cittadina umbra, rappresentata ieri dal ve­scovo Vincenzo Paglia – che si è speso in prima persona per la raccolta dei fondi – e dal sindaco Paolo Raffaelli. Il vescovo ha sottolineato che «quando si trova un ter­reno comune non è responsabile fermare il cammino, anche se ulteriori dibattiti ma­gari ci dividono» su temi eticamente sen­sibili che inevitabilmente si innestano in sensibilità diverse. Insomma, il dialogo an­che aspro non deve frenare il progresso scientifico condotto a misura d’uomo. La ricetta vincente in terra umbra è stata, hanno detto pastore e primo cittadino, mettere insieme soggetti sociali – Chiesa e amministrazione locale – economici (la fondazione Carit), scientifici (la onlus Neurothon, del cui comitato scientifico è presidente proprio Vescovi) e di cura, co­me l’ospedale Santa Maria, sede della Ban­ca. Del progetto è partner anche l’Iss, il cui presidente Enrico Garaci ha sottolineato l’importanza del trasferire le acquisizioni scientifiche a livello clinico: «Una strada da percorrere», perché «le attese dei pazien­ti non possono più essere deluse».



Ferrara: io, ateo devoto, credo nella fede del Papa in Gesù Avvenire, 14.11.2007
DI GIULIANO FERRARA

Se il Papa ha scritto un libro su Ge­sù ci deve essere un motivo. La Chiesa è già un libro vivente su Gesù, dipende da Gesù come il corpo dalla testa. La Chiesa segue Gesù, testimonia per lui e in lui attraverso la fede, le opere, la carità, i sacramenti e soprattutto la liturgia.
Tutto nella Chiesa si fonda sulla parola di Gesù annunciata nel Vangeli, che per la Chiesa sono i primi e definitivi libri in cui Gesù si trova e, in parte, enigmaticamente si nasconde. La Chiesa è la tipografia universale di Gesù, cura da sempre l’ortografia del racconto che lo riguarda, Gesù è la sua A e la sua Zeta. La Chiesa legge da due millenni anche i libri più antichi della fede ebraica, l’Antico Testamento, alla luce di quelli più recenti. Nella parola di Cristo Gesù e dei suoi apostoli, nelle Lettere e negli Atti, la Chiesa ritrova e riconosce come suo anche il patrimonio comune degli ebrei, il gran libro di Mosé, la sua legge, e i salmisti e i profeti e tutto il resto della Bibbia, tutto il resto di quei libri che diventano patrimonio comune di ebrei e cristiani. In apparenza, dunque, i libri su Gesù sono già stati scritti. Secondo la Chiesa, che sposa storia, teologia, filosofia e profezia, perfino le Sacre Scritture degli agiografi, che scrivevano secoli prima della nascita di Gesù di Nazaret, riguardano il suo avvento. E allora? Perché il Papa ha scritto un libro su Gesù?
La risposta la dà lui stesso in modo apparentemente molto semplice. Il Papa, che è un teologo e un filosofo e uno sto­rico, ha voluto dare un contributo personale alla ricostruzione del volto del Signore. E il suo contributo è di una semplicità inaudita: il Papa Benedetto XVI, che con una doppia firma in quanto autore si qualifica anche come Joseph Rat­zinger, non si limita a credere nel Gesù dei Vangeli, aggiunge qualcosa alla sua fede, aggiunge che la figura di Gesù Cristo è logica, è storicamente sensata e convincente, solo se esaminata e per così dire razionalmente argomentata alla luce dei Vangeli. Senza argomentazione razionale, senza ricorrere criticamente al metodo storico, Gesù diventa un’astrazione interiore, perde il contatto con il tempo, con la storia, con il creato, con l’umanità e con il suo ethos, con la vita e con il suo significato, diventa una figura evanescente separata dalla realtà dell’essere e dall’essere della realtà. Non si capirà mai che cosa volesse dire quando disse: «Io sono». Ma con il puro metodo storico si possono formulare solo ipotesi su Gesù, ipotesi che si contraddicono, che stanno irrimediabilmente nel passato. (...) A questo punto potreste obiettarmi: e tu che c’entri con il libro del Papa, se il libro del Papa è quello che tu dici? Come fai a entrare in un discorso sul Figlio del Dio vivente se non credi? E la mia risposta è questa. La mia ragione mi dice il suo limite. Se non lo riconoscessi sarei padrone della mia vita e della mia morte, sarei un nichilista. La mia ragione mi dice che sono un credente, sebbene non disponga di una fede personale e confessionale praticamente vissuta. Credo nel con­cetto matematico e fisi­co di infinito, che segna il mio limite e lo descrive. Credo che mio padre e mia madre non siano l’origine biologica del mio Dna ma un semplice e irrisolto mistero d’amore. Credo che l’altro, la persona umana o anche solo il suo progetto o anche solo il suo ricordo, sia titolare di diritti che sono al tempo stesso i miei doveri, e che questo ciclo della delicatezza e del rispetto tra le generazioni sia stato messo a punto, nella sua massima perfezione, dentro la civilizzazione cristiana del mondo. Credo che non tutto sia negoziabile e relativo. Ed è già un bel credere, ve lo assicuro.
In più credo nella fede degli altri, la rispetto e la amo, in un certo senso la desidero. L’inesistenza della mia fede non mi porta a considerare la fede, anche e soprattutto la fede dei semplici, dei piccoli, come una variante della superstizione o del fanatismo. Se poi la fede degli altri mi si presenta con il vigore e la passione razionale di un magnifico libro di teologia, se il sapere della fede e la fede nel sapere di un Papa mi insegnano qualcosa di prezioso che attraversa la storia ma non la esaurisce e in essa non si esaurisce, crescono a dismisura la mia inquietudine, la mia cu­riosità e la mia fiducia.
«La mia ragione mi dice così il suo limite. Se non lo riconoscessi sarei padrone della mia vita e della morte»



Alfio Pennisi (Catania)
Le parole non bastano i giovani vogliono esempi
Avvenire, 14.11.2007
DA CATANIA LUCIA BELLASPIGA
« Voglio esprimere innanzitutto il dolore per la morte di un uomo... Ma a ciò si aggiunge l’umiliazione, la rabbia e la vergogna del siciliano e del catanese, che vede il nome della propria terra, ancora una volta, asso­ciato al sangue e all’offesa della dignità umana...». Lettera aperta di un preside, Alfio Pennisi, alla sua comunità scolastica. Era il 3 febbraio del 2007, da poche ore era morto l’agente Filippo Raciti, vittima di una violenza irrazionale fuori dallo stadio di Ca­tania durante il derby con il Palermo. Lettera che oggi, tragicamente, torna d’attualità e ripropone la stessa sfida: «A voi, carissimi studenti, è chiesto il
coraggio di saper scegliere esempi positivi. Noi a­dulti abbiamo una responsabilità ancora più gran­de... », quella di fornirli, «di dare ai giovani tali pro­poste umanamente convincenti e attraenti».
Difficile oggigiorno fare il preside, ovunque si sia. Ma diventa drammatico quando si opera in un con­testo particolarmente difficile e ci si rivolge a ra­gazzi che i disordini non li hanno visti in tivù ma da vicino, nel mezzo della guerriglia: «Tra i giovani di tutta Italia purtroppo si sta diffondendo la falsa cultura che risponde al grido di 'polizia assassina', ma la nostra è una situazione particolare - raccon­ta Pennisi, 52 anni, preside di un Istituto tecnico in­dustriale statale - . La mia scuola sorge in un paese pedemontano alle pendici dell’Etna, e raccoglie pa­recchi studenti con situazioni terribili. Attualmen­te ne ho un certo numero che vivono in comunità, sottratti alle famiglie perché violente e legate alla criminalità, altri finiti a loro volta nel carcere mi­norile... ». L’ultimo ha lasciato i banchi per la cella tre settimane fa, «ma ogni anno ne ho almeno uno e due che fanno la stessa fine, di solito per rapina». Un materiale umano che per preside e docenti co­stituisce la sfida più appassionante, e infatti di pas­sione pura, quasi disperata, è fatta l’abnegazione con cui Pennisi cerca la chiave per salvare i giovani dal vuoto che incombe: «Mi rendo conto che il primo impegno è avere un atteggiamento di stima per questi ragazzi - dice - non nel senso dei risultati scolastici, ma nel riconoscimento della di­gnità della loro persona. Le fac­cio un esempio...». L’esempio si chiama Pino e ha 14 anni. «Ieri l’ho visto in corridoio, era stato sbattuto fuori da un insegnan­te. Gli ho chiesto cosa avesse combinato, poi però sono pas­sato ad altre domande: come sta andando l’anno? si trova be­ne in questa scuola? quali ma­terie preferisce? che desideri ha?... Si è illuminato, non era più il ragazzo sbattuto fuori e basta ma una persona con la sua di­gnità ». Il che non comporta né buonismo né lassismo didatti­co, «ma un modo diverso di spiegare, interrogare e anche punire. Vede, ogni se­ra nel centro storico di Catania è emergenza, i ra­gazzi, anche molti dei miei, ci vanno con un unico scopo: facemu schifiu, facciamo casino. Ma se ac­quisti in autostima arrivi anche al successo scola­stico e a un rapporto più positivo con la realtà, e al­lora il poliziotto non è più il nemico».
Eccola la chiave, quella che il preside cerca giorno per giorno: l’educazione. «Il nocciolo della questione è squisitamente educativo - spiega deciso -, i ragazzi hanno la responsabilità di scegliere gli esempi positivi dalla società, noi quella di darglieli ».
Lo aveva scritto anche dopo la morte di Raciti, nel­la sua accorata lettera agli studenti: «Saranno cer­to utili le misure repressive...», ma non sono quel­le che ai ragazzi possono dare l’amore per la vita e la voglia di cambiare, e allora il lavoro dei profes­sori si fa ancora più difficile e fondamentale: «Ci vuole un’educazione che convinca alla libertà dei ragazzi cresciuti in famiglie e contesti di matrice mafiosa, per i quali l’autonomia di pensiero è quan­to di più inimmaginabile esista. A volte mi si dice di insegnare la cultura della legalità, ma se qui la le­galità non è riconosciuta come valore che ne par­lo a fare?». Prima la 'convinzione', prima 'cattu­rarli' nelle maglie della libertà, un passo che quag­giù (ma non solo!) richiede coraggio. «O li persua­di, oppure avranno sempre il sentore che le norme, quindi anche la polizia, siano solo l’imposizione del più forte e come tale vadano sovvertite. La re­gola - conclude - si rispetta per un valore che ec­cede la regola stessa, altrimenti è un nulla sterile... Ma tutto questo non si ottiene dall’oggi al domani, e soprattutto non con le parole».