lunedì 26 novembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:


1) L’ultimo saluto al Vescovo Zaccheo
2) Perché Benedetto XVI è così cauto con la lettera dei 138
3) Ontogenesi e pillola del giorno dopo



L’ultimo saluto al Vescovo Zaccheo
Lunedì 26 novembre
La Cattedrale verrà aperta alle 8 e fino alle 12 sarà possibile pregare e salutare il Vescovo davanti alla sua bara posta nella navata centrale ai piedi dell' altare maggiore. Alle ore 12 la Cattedrale sarà chiusa per permettere la preparazione liturgica e l'approntamento logistico del funerale. Alle ore 13.30 verrà riaperta. La porta centrale verrà utilizzata per l'ingresso delle rappresentanze ufficiali, i fedeli utilizzeranno le due porte a lato del portone centrale. La porta laterale su Via Liutprando non sarà accessibile per l'ingresso. I fedeli potranno accedere alla Cattedrale ed indirizzati ad occupare le navate laterali, fino a disponibilità dei posti. La navata centrale sarà disponibile unicamente per i familiari, le Autorità civili e militari, i Sindaci con la fascia tricolore. Nel transetto di sinistra prenderanno posto i gonfaloni, gli stendardi, le bandiere di enti, associazioni e rappresentanze. I fedeli che non troveranno posto in Cattedrale potranno seguire l'intero rito trasmesso in diretta da Telecity, in due postazioni: davanti al maxischermo collocato in piazza Mazzini e a quello collocato nella Chiesa di S. Domenico. In questa chiesa, riscaldata e con posti a sedere, verranno indirizzati i malati e i fedeli anziani a cui potrà essere amministrata la Santa Comunione. Al termine delle esequie, dopo l'ultimo saluto dei Vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi, saranno le Autorità che occupano la navata centrale a salutare le spoglie mortali del Vescovo Germano e lasceranno la Cattedrale uscendo dalla porta posteriore del presbiterio. Dopo di loro renderanno omaggio al Vescovo tutti i fedeli che si trovano all'interno della Cattedrale che usciranno dalla porta laterale di Via Liutprando. Terminato il loro saluto, potranno entrare in Cattedrale dalla porta centrale tutti i fedeli che hanno seguito la Messa e il rito esequiale stando all'esterno o davanti ai maxi schermi. L'uscita per loro sarà sempre dalla porta laterale del Duomo su via Liutprando. La salma non sarà portata nel Sepolcreto dei Vescovi fino a quando tutti i presenti all'interno e all'esterno non abbiano portato il loro saluto e la loro preghiera al Vescovo Germano. Terminato il commiato, la Cattedrale verrà chiusa e il nostro Vescovo sarà tumulato nel Sepolcreto dei Vescovi in forma privata, presenti i familiari e i suoi collaboratori più stretti. Il Sepolcreto dei Vescovi resterà aperto, negli orari osservati dal Duomo, per tutti i giorni successivi, così da permettere un saluto e una preghiera personale a quanti lo desiderano.
DISPOSIZIONI DI ORDINE PUBBLICO
Per il giorno del funerale è stato dichiarato il lutto cittadino da parte del Comune di Casale Monferrato. In concomitanza allo svolgimento del funerale, lunedì 26, viene chiuso al traffico il centro cittadino e impedita la sosta degli autoveicoli nelle Vie Saffi, Piazza Mazzini, Via del Duomo, Via Liutprando, Piazza Ferré, Via della Biblioteca, Piazza Calabiana. Il parcheggio delle autovetture sarà possibile in piazza Castello (ad esclusione della zona blu) e mercato Pavia



Perché Benedetto XVI è così cauto con la lettera dei 138 musulmani
Perché il dialogo che lui vuole è tutto diverso. Il papa chiede all'islam di compiere lo stesso cammino che la Chiesa cattolica ha compiuto sotto la pressione dell'Illuminismo. L'amore di Dio e del prossimo deve realizzarsi nell'accettazione piena della libertà religiosa

di Sandro Magister

ROMA, 26 novembre 2007 – La lettera dei 138 musulmani indirizzata lo scorso mese a Benedetto XVI e ai capi delle altre Chiese cristiane ha avuto una spettacolare risposta collettiva in un messaggio pubblicato sul "New York Times" del 18 novembre, firmato da 300 studiosi.

Il messaggio è nato nella Divinity School della Yale University, in particolare per impulso del suo decano Harold W. Attridge, professore di esegesi del Nuovo Testamento.

I firmatari appartengono per la maggior parte a confessioni protestanti, di tendenza sia "evangelical" che "liberal", e tra essi c'è una celebrità come il teologo Harvey Cox. Ma nella lista dei 300 c'è anche un vescovo cattolico, Camillo Ballin, vicario apostolico nel Kuwait, comboniano. Sono cattolici l'islamologo John Esposito della Georgetown University e i teologi Donald Senior, passionista, e Thomas P. Rausch, gesuita, della Loyola Marymount University. E sono cattolici – sia pure ai margini dell'ortodossia – Paul Knitter, esponente della teologia del pluralismo religioso, ed Elizabeth Schüssler Fiorenza, docente a Harvard e teologa femminista.

Il messaggio si profonde in lodi della lettera dei 138. Ne fa propri i contenuti, ossia l'indicazione dell'amore di Dio e del prossimo come "parola comune" tra musulmani e cristiani, al centro sia del Corano che della Bibbia. E premette a tutto una richiesta di perdono "all'unico Dio di tutte le misericordie e alla comunità islamica di tutto il mondo".

Richiesta di perdono così motivata:
"Dal momento che Gesù dice: 'Togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello' (Matteo 7, 5), noi vogliamo cominciare col riconoscere che nel passato (vedi le Crociate) e nel presente (vedi gli eccessi della 'guerra al terrore') molti cristiani sono stati colpevoli di peccato contro il nostro prossimo musulmano".

Diffondendo il messaggio, i suoi promotori hanno annunciato che ad esso seguiranno degli incontri con alcuni dei firmatari della lettera dei 138, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nel Medio Oriente, incontri aperti anche ad ebrei.

* * *

A confronto con questo fervore di dialogo, Benedetto XVI e i dirigenti della Santa Sede appaiono più cauti e riservati.

Alla lettera dei 138 musulmani la Santa Sede ha risposto fin da subito con dichiarazioni di cortese accoglienza. Ma ha rimandato a tempi più lontani una risposta più approfondita.

Anche il primo commento alla lettera dei 138 finora emesso da un organismo collegato alla Santa Sede – il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'islamistica – è stato tenuto in ombra, nonostante mettesse in evidenza gli elementi nuovi e positivi dell'iniziativa musulmana.

Non ne ha riferito neppure "L'Osservatore Romano". L'unico cenno alla lettera dei 138 finora apparso sul giornale della Santa Sede è stato all'interno di una nota che annunciava e commentava l'incontro del 6 novembre di re Abdallah d'Arabia Saudita con Benedetto XVI. "L'Osservatore" non ha dato notizia nemmeno dei commenti alla lettera dei 138 di due studiosi dell'islam molto stimati da papa Joseph Ratzinger, i gesuiti Samir Khalil Samir. egiziano, e Christian W. Troll, tedesco.

Ma è proprio dalla lettura di questi commenti – in particolare quello di Troll – che si capisce il perché della cautela della Chiesa di Roma.

Troll fa notare che la lettera dei 138 musulmani, col suo insistere sui comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo come "parola comune" sia del Corano che della Bibbia, sembra voler portare il dialogo sul solo terreno dottrinale e teologico.

Ma – obietta Troll – tra il Dio unico dei musulmani e il Dio trinitario dei cristiani, con il Figlio che si fa uomo, la differenza è abissale. Non può essere minimizzata, tanto meno negoziata. La vera "parola comune" va cercata altrove: "nell'applicare quei comandamenti alla concreta realtà delle società pluraliste, qui ed ora". Va cercata nella tutela dei diritti umani, della libertà religiosa, della parità tra uomo e donna, della distinzione tra i poteri religioso e politico. Su tutto questo la lettera dei 138 è elusiva o muta.

E lo è volutamente. Uno dei principali autori della lettera, il teologo libico Aref Ali Nayed, professore all'università di Cambridge, si è spiegato così in un'intervista a "Catholic News Service", l'agenzia della conferenza episcopale degli Stati Uniti:

"Il dialogo etico-sociale è utile e se ne ha un grande bisogno. Ma un dialogo di questo tipo avviene già ogni giorno, attraverso istituzioni del tutto secolari come le Nazioni Unite e i suoi organismi. Se delle comunità fondate sulla rivelazione religiosa vogliono veramente dare un contributo all'umanità, il loro dialogo deve essere teologicamente e spiritualmente fondato. Molti teologi musulmani non sono affatto interessati a un dialogo puramente etico tra culture e civiltà".

* * *

Qual è invece il dialogo con l'islam voluto da Benedetto XVI?

Il papa l'ha spiegato nel modo più limpido in un passaggio del discorso prenatalizio alla curia romana del 22 dicembre 2006:

"In un dialogo da intensificare con l'Islam dovremo tener presente il fatto che il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell'illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica.

"Si tratta dell'atteggiamento che la comunità dei fedeli deve assumere di fronte alle convinzioni e alle esigenze affermatesi nell'illuminismo.

"Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura.

"D'altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione.

"Come nella comunità cristiana c'è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte.

"Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s'impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà".

* * *

Di questa proposta lanciata al mondo musulmano da Benedetto XVI nel dicembre di un anno fa, nella lettera dei 138 non c'è traccia. Segno che la distanza tra le visioni dell'uno e degli altri è davvero forte.

La visione di Benedetto XVI è la stessa che altre autorità della Santa Sede manifestano ogni volta che si toccano questi temi. Ne è prova il messaggio rivolto ai musulmani lo scorso ottobre, in occasione della fine del Ramadan, dal pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, presieduto dal cardinale Jean-Louis Tauran: messaggio che ha anch'esso al suo centro "la libertà della fede e il suo esercizio", come compito di tutte le religioni, conforme al "piano del Creatore".

Ed è una visione che Ratzinger va argomentando da anni con grande coerenza, prima da cardinale e poi da papa.

La lezione di Ratisbona sulla doverosa "sinergia tra fede e ragione" ne è la fondazione più compiuta.

Ma, prima ancora, le premesse di come Benedetto XVI concepisce il dialogo con l'islam e le altre religioni vanno rintracciate nella discussione che egli ebbe nel gennaio del 2004, a Monaco di Baviera, con il filosofo laico Jürgen Habermas.

In quell'occasione, Ratzinger disse che un "diritto naturale" universalmente valido non è affatto riconosciuto oggi da tutte le culture e civiltà, divise tra loro e divise su questo anche al loro interno. Ma indicò la strada perché "le norme e i valori essenziali conosciuti o intuiti da tutti gli esseri umani" possano ricevere luce e "tenere unito il mondo". La strada è quella di un legame positivo tra ragione e fede, "chiamate alla reciproca purificazione" dalle patologie che espongono l'una e l'altra al dominio della violenza.

C'è un grande studioso che ha analizzato con particolare lucidità la visione di Benedetto XVI in rapporto all'islam: il giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde, in un saggio apparso quest'anno in Germania e tradotto in Italia dalla rivista "Il Regno".

Böckenförde concorda in pieno col papa nel ritenere che l'islam ha oggi di fronte una sfida simile a quella posta ai cristiani dall'Illuminismo, in materia di libertà di religione.

La Chiesa cattolica rispose a quella sfida, nel Concilio Vaticano II, con la dichiarazione "Dignitatis Humanae" sulla libertà religiosa fondata sui diritti della persona.

Ma il mondo islamico – chiede Böckenförde – è pronto a fare un analogo cammino? È pronto a riconoscere la neutralità religiosa dello stato e quindi la pari libertà, nello stato, di tutte le religioni?

I musulmani che vivono "in diaspora", cioè come minoranze nei paesi dell'Europa e dell'Occidente, sembrano disposti a questo riconoscimento. Ne è prova una dichiarazione adottata nel 2001 dal comitato dei musulmani di Germania, che dice: "Il diritto islamico vincola i musulmani che vivono in diaspora ad attenersi all'ordinamento giuridico del luogo".

Ma dove i musulmani sono maggioranza e controllano lo stato? Böckenförde è scettico. Ritiene che l'islam, in situazione di forza, rimane molto lontano dall'accettare la neutralità dello stato e quindi la piena libertà di tutte le religioni.

Böckenförde ne è così convinto che conclude il suo saggio esaminando una ipotesi di scuola: l'ipotesi che in un paese europeo gli immigrati musulmani siano vicini a diventare la maggioranza della popolazione.

In questo caso – sostiene il giurista tedesco – quel paese ha il dovere di chiudere le frontiere. Per ragioni di autodifesa. Perché uno stato secolare non può rinunciare a quel "diritto naturale" che è il suo fondamento: "un diritto indotto dall’appartenenza a un mondo culturale radicato su elementi della classicità, dell’ebraismo e del cristianesimo, ma ripensati entro un orizzonte illuminista".

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In ogni caso non mancano, nel pensiero islamico d'oggi, posizioni "aperte a una razionalità tollerante", come le definì Ratzinger nel suo colloquio con Habermas del 2004.

A una di queste posizioni dà rilievo padre Maurice Borrmans, già preside del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica, sull'ultimo numero di "Oasis", la rivista multilingue, anche in arabo e urdu, promossa dal patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola.

Borrmans cita uno studioso tunisino residente a Parigi, Abdelwahab Meddeb, che ha positivamente commentato le tesi di Benedetto XVI in un saggio dal titolo "Le Dieu purifié", all'interno di un libro a più voci pubblicato in Francia: "La conference de Ratisbonne: Enjeux et controverses".

Scrive tra l'altro Meddeb:

"A Ratisbona il papa ha voluto incitare i musulmani a condurre un lavoro d'anamnesi perché depongano la violenza e ritornino all'articolazione del logos che i loro antenati avevano conosciuto, al fine di poterlo ampliare e approfondire".

E dopo aver ricordato tra gli "antenati" di un islam purificato dalla ragione il grande filosofo Averroè (1126-1198), così prosegue:

"È verso questi territori che il musulmano deve far ritorno, per partecipare al grande logos, al suo ampliamento e al suo approfondimento nella via della purificazione che neutralizza la violenza e che instaura una serenità etica".

Abdelwahab Meddeb non è tra i firmatari della lettera dei 138, e neppure della lettera dei 38 di un anno prima.


Ontogenesi e pillola del giorno dopo
ROMA, lunedì, 26 novembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica il testo corretto dell'intervento del dottor Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno. Il testo pubblicato questa domenica contiene degli errori. Ce ne scusiamo con il dottor Puccetti e con i lettori.

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Contra factum non valet argumentum (davanti al fatto non c’è discorso che tenga). Con questo inciso un relatore del congresso STOQ ’07 “Ontogenesi e Vita Umana”, tenutosi a Roma nei giorni scorsi presso l’Università Europea di Roma, Ateneo Regina Apostolorum, argomentava davanti alla platea intervenuta.

Chi ha potuto partecipare avrà portato di sicuro a casa il ricordo di una magnifica esperienza in cui medici, biologi, storici, filosofi, giuristi, teologi si sono confrontati, anche da posizioni distanti, su quella continua e sempre nuova creazione che corrisponde all’inizio di ogni vita umana. Dicevamo che chi fosse stato in cerca di fatti nei giorni del congresso avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta.

Per questo cercherò di rendere partecipe i lettori di qualche elemento emerso durante i lavori. Ovviamente, per ragioni di spazio, oltre che per insufficienza personale, potrò cercare solo di fornire un’immagine il meno sbiadita possibile della ricchezza di pensiero che è circolata nella sala congressi del Regina Apostolorum in quei giorni, concentrandomi soltanto su un tema, magari riservandomi di esporne altri nei prossimi appuntamenti.

Chi avesse letto i giornali avrà potuto rendersi conto del vespaio di polemiche e delle puntute reazioni suscitato dalle brevi parole rivolte dal Santo Padre ai farmacisti in materia di diritto-dovere all’esercizio dell’obiezione di coscienza.

L’ultima relazione del congresso, tenuta dal professor Patricio Ventura Junca, medico e bioeticista universitario di Santiago del Cile, ha avuto per argomento proprio la cosiddetta pillola del giorno dopo. Attraverso la ricostruzione minuziosa dei dati di letteratura disponibili il professor Junca ha dimostrato che una donna che dopo un rapporto “non protetto” richiedesse la pillola del giorno dopo molto probabilmente rischierebbe di non ricevere informazioni complete per un’autentica decisione informata. Al momento della registrazione come farmaco per la cosiddetta “contraccezione d’emergenza” il principio che va sotto il nome di levonorgestrel non poteva produrre alcuno studio prospettico, randomizzato, placebo controllato, in doppio cieco.

Si tratta della metodologia per validare tutte le nuove molecole, o le nuove indicazioni per le molecole già esistenti. Si tratta del livello di rigore metodologico richiesto per tutti i farmaci, ma questo non è dato per la pillola del giorno dopo. La motivazione addotta? Non sarebbe etico negare il farmaco a chi lo chiede. Davvero strano concetto di eticità: si somministra un farmaco che siamo certi darà un bel numero di effetti collaterali in una percentuale assolutamente significativa di donne, ma non sappiamo se e quanto sia efficace. Nel foglietto illustrativo la donna (o la ragazza) non troverà alcuna cifra che si riferisca all’efficacia. A distanza di anni dalla sua registrazione uno studio con le caratteristiche su esposte non è stato mai condotto.

L’efficacia è stata indicata basandosi sul numero di gravidanze osservate in alcuni gruppi di donne che assumevano la pillola del giorno dopo e confrontandola col numero di gravidanze in alcune popolazioni femminili assunte come riferimento che non prendevano la pillola del giorno dopo.
Chi erano però queste altre donne? Erano donne che non avevano alcun problema di infertilità (condizione che le avrebbe escluse dal campione) e che cercavano una gravidanza. Insomma, direbbero gli inglesi, sono state confrontate le pere con le mele.

Ora il professor Junca ha mostrato alcuni dati che indicano chiaramente che tra il dire il fare c’è davvero di mezzo il mare. Non si contano gli studi che prevedevano il dimezzamento di gravidanze indesiderate e di aborti grazie alla pillola del giorno dopo, ma, per qualche avverso arcano, né le gravidanze non volute, né gli aborti calano. Lo dicono i dati Svedesi, Inglesi e, aggiungo io, in maniera impressionante i dati francesi, paese in cui in pochi anni il numero di confezioni vendute ha superato la stratosferica cifra di 1 milione di pezzi in un anno (2005), ma in cui il numero di aborti ha superato nell’ultimo anno la tragica cifra di quota 210.000.

Nel corso del 2007 sono poi usciti due lavori che pongono una pietra tombale sull’efficacia della pillola del giorno dopo nel prevenire, a livello di popolazione, gravidanze indesiderate e aborti. Si tratta di una revisione pubblicata su una delle riviste del settore più prestigiose, American Journal of Obstetrics and Gynecology e l’altra curata dall’istituto di revisione dei dati più accreditato: l’istituto Cochrane. Su 23 studi individuati somministrare scorte di pillola del giorno dopo alle donne, la modalità di somministrazione migliore per facilitarne l’assunzione, raggiunge l’obiettivo prefissato di aumentarne l’efficacia teorica (le donne assumono la pillola del giorno dopo con maggiore frequenza e più precocemente), ma le gravidanze e gli aborti non si schiodano di una virgola.

E pensare che c’è qualcuno che ha immaginato di risolvere tutti i problemi compilando qualche ricetta davanti ad una scuola, forse impressionato dal fatto che le infermiere della scuola somministrano la pillola del giorno dopo alle studentesse minorenni francesi e inglesi, senza neppure avvertire i genitori; ma forse si era dimenticato di andare a verificare i fatti (o forse non lo aveva ritenuto rilevante). Già, i fatti, quegli impudenti, indomiti avversari di ogni ideologia, alla fine bisogna sempre farci i conti.

Magari li si possono incatenare, ma come ogni buon prigioniero, alla prima occasione se la svignano via e raccontano la verità. “Facts will prevail” (i fatti prevarranno) ha detto con grande passione e voce ferma il professor Stanley L.Jaki. E il professor Junca ha rivelato fatti, come quello di avere ricevuto impacciati e significativi rifiuti dagli autori di cinque trials quando ha richiesto i dati crudi per verificare il giorno del rapporto sessuale e il giorno di inizio mestruazione del mese in cui la pillola è stata assunta (ma lo scambio d’informazioni e la disponibilità a sottoporsi alla verifica dei colleghi non dovrebbe essere il codice di ogni scienziato che si rispetti?).

Non solo, ha anche mostrato quegli impertinenti e solitamente fedeli ambasciatori dei fatti che sono i numeri, numeri pubblicati, che mostrano un effetto riduttivo delle gravidanze quando la pillola del giorno dopo è assunta ad ovulazione già avvenuta. Si tratta di un segno assai significativo di un probabile effetto post-concezionale, cioè, nella prospettiva dell’embrione, un effetto abortivo, ma che nel linguaggio politicamente corretto della scienza è detto intercettivo. Ed è indicativo questo mutuare della ginecologia dal lessico militare, dove gli intercettori sono i caccia che si fanno alzare in volo per evitare che l’aereo nemico giunga sull’obiettivo. L’azione ostile dell’uomo all’alba della sua esistenza è una sola, la sua stessa esistenza, una minaccia talmente grave da meritare di sbarazzarsene deglutendo un paio di intercettori.


1. http://www.upra.org/articulo.phtml?id=2406&se=5
2. http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=164489
3. http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=70195
4. http://www.angelini.it/public/schede/norlevo_gen06.pdf
5. Van Look P e Von Hertzen H Emergency Contraception Brit Med Bull 1993;49:158-170
6. No authors listed. Postcoital pills could cut unplanned pregnancies by half. Contracept Technol Update. 1993 Mar;14(3):33-6
7. Raymond EG, Trussell J, Polis CB. Population effect of increased access to emergency contraceptive pills: a systematic review. Obstet Gynecol. 2007 Jan;109(1):181-8. Review.
8. Polis CB, Schaffer K, Blanchard K, Glasier A, Harper CC, Grimes DA. Advance provision of emergency contraception for pregnancy prevention (full review). Cochrane Database Syst Rev. 2007 Apr 18;(2):CD005497. Review.
9. Novikova N, Weisberg E, Stanczyk FZ, Croxatto HB, Fraser IS. Effectiveness of levonorgestrel emergency contraception given before or after ovulation--a pilot study. Contraception. 2007 Feb;75(2):112-8.