mercoledì 16 dicembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Ucciso in Brasile un altro sacerdote, padre Alvino Broering
2) Quei posseduti dal mostro del rancore - di Claudio Risè - Il Giornale martedì 15 dicembre 2009
3) A serious man - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Joel e Ethan Coen - martedì 15 dicembre 2009 - La vita ordinaria di un docente di fisica viene sconvolta da una concatenazione di fatti inspiegabili.
4) USA - Universita' del Michigan accettera' embrioni sovrannumerari per fare ricerca - Notizia da ADUC - 9 dicembre 2009


Ucciso in Brasile un altro sacerdote, padre Alvino Broering
ROMA, martedì, 15 dicembre 2009 (ZENIT.org).- E' morto il sacerdote brasiliano don Alvino Broering, 46 anni, accoltellato all'alba del 14 dicembre nello stato meridionale di Santa Catarina (Brasile) da un uomo che poi ha rubato la sua macchina.

Il sacerdote – riferisce l'agenzia Fides –, colpito con diverse coltellate alla schiena, all’addome e al viso, è stato trasportato all'ospedale Marieta Konder Bornhausen, dove lo hanno sottoposto ad intervento chirurgico, ma purtroppo è morto poco dopo.

Don Alvino era cappellano dell'Università di Vale do Itajai e direttore-amministratore della Radio Comunitaria Conceição FM. La radio nel 2010 compirà 10 anni di vita, e padre Alvino aveva già cominciato a fare i preparativi per l’anniversario da festeggiare.

Il sacerdote è stato anche membro dell'Accademia delle Lettere di Itajai, ed era molto attivo nella città e nella regione. Aveva 20 anni di sacerdozio quando fu nominato parroco della Cattedrale del Santissimo Sacramento, la Chiesa dei Navigatori.

Era un sacerdote molto alla mano, di carattere gioviale, carismatico e amato da tutti.

I funerali sono stati celebrati nella località di Santo Amaro da Imperatriz da mons. Murilo Krieger, Arcivescovo di Florianopolis, e da altri sacerdoti della città. Bambini, giovani, adulti e anziani, sono ancora sotto shock per la perdita improvvisa e violenta del sacerdote.


Quei posseduti dal mostro del rancore - di Claudio Risè - Il Giornale martedì 15 dicembre 2009
Il mostro è stato svegliato, e non sarà semplice farlo riaddormentare. Quale mostro? Non certo Massimo Tartaglia, che con ogni probabilità è stato solo il braccio, guidato da una mente confusa, labile, e dunque manipolabile come cera molle dal mostro vero. Che altro non è che l’odio addormentato nel cuore e nella mente di molti, e risvegliato e nutrito dalla cultura degli insulti, dei cartelli di minacce appesi al collo dei bambini, dei sogni omicidi pubblicizzati via Facebook e legalizzati da professori, politici, giornalisti, signore diventate sanguinarie (forse per noia). È insomma quella grande forza, che rimane a lungo sepolta nell’inconscio collettivo, e poi, liberatasi, improvvisamente insanguina le guerre civili, le faide fratricide, la rottura dei patti, l’ubriacatura del credersi onnipotenti, non più sottoposti a nessuna regola. La follia che a quel punto irrompe, nella sua versione antisociale, spesso nascosta proprio dietro la socialità, e umanitari principi.
Chi era in piazza Duomo domenica, l’ha sentita e l’ha vista, quella follia, ben prima che Tartaglia lanciasse il suo duomo di ferro in faccia al presidente sorridente, che mandava baci. I gruppi di autonomi assiepati sotto i portici, coi loro insulti scanditi, i loro fischi incessanti, le facce stravolte dall’odio, annunciavano ciò che sarebbe poi accaduto. (Ma come mai sono stati lasciati lì, micidiale, evidente strumento di esaltazione di ogni mente confusa, oltre che pesanti disturbatori di un certamente pacifico incontro pubblico?) E Berlusconi li ha ben smascherati, tracciando velocemente il ritratto della sua lotta con la follia antipopolare, e dicendo tra l’altro (cito a memoria, con qualche imprecisione): «Voi siete cupi e arrabbiati, noi gioiosi e allegri, voi vorreste che tutti la pensassero come voi, noi che ognuno pensi con la sua testa, voi siete ossessionati dal negativo, noi lottiamo per il positivo».
La lotta tra Silvio (meno male che Silvio c’è), e il mostro formato dalle paranoie che giacciono nell’inconscio collettivo degli italiani, è qui ben descritta, in poche parole semplici. Che rassicurano e piacciono al popolo che lavora, come il mio anziano vicino, che beato diceva alla moglie: «Varda me l’è bel» (guarda come è bello). Ma rodono come un tarlo la mente di chi non vuole studiare, non vuole lavorare e, in fondo (supremo peccato e fonte di ogni malattia), non vuole godere.
Certo loro, gli «autonomi» con la testa in fumo, per quanto impressionanti nella loro cupezza e nel loro astio, come produttori di follia collettiva contano poco più che il lanciatore finale, Tartaglia. Sono solo la massa di manovra di chi ha fatto (nel corso degli anni) di Silvio Berlusconi il necessario capro espiatorio, che (nei riti vittimari studiati da René Girard), viene cacciato dalla comunità, di solito perché tutto rimanga come prima, e nulla cambi. Del resto non potevano trovare un bersaglio più adatto a tutte le paranoie e i vissuti di impotenza generati in 50 anni di politica statica, conservatrice, immobilista e codina. Anche qui, la dialettica tra Silvio e il coro di insulti (erroneamente definiti «contestatori»: non contestavano nulla, insultavano, e cercavano di non farlo parlare, come avevano fatto due giorni prima con Moratti e Formigoni, in piazza Fontana), la dice più lunga di un trattato di psicopatologia sociale.
Ogni volta che Silvio diceva una battuta, facendo ridere (come quando ha dato del vecchietto a Formigoni, mentre lui era in giacchetta «e senza canottiera»), dal coro dark si alzava severo: «Buffone-buffone». Insulto rivelatore. Perché nel teatro il buffone è colui che fa ridere (smascherando così trame cupe e velenose). E loro, i posseduti dal mostro dell’odio e della follia, non vogliono ridere. Perché non vogliono sapere chi e perché davvero manovra e limita le loro vite. Non vogliono conoscere. Non vogliono godere. Sono molto pericolosi.

Il Giornale martedì 15 dicembre 2009


A serious man - Curatore: Fortunato, Simone - Regista: Joel e Ethan Coen - martedì 15 dicembre 2009 - La vita ordinaria di un docente di fisica viene sconvolta da una concatenazione di fatti inspiegabili.

Partiamo da una domanda: ma è un film che pone domande e si interroga su cose serie o è un semplice gioco gaio, nichilista e triste alla maniera dell’ultimo Allen ? La domanda non è retorica. I Coen sono registi seri che spesso si prendono delle “vacanze” cinematografiche. Non possono infatti che essere definite “vacanze” o “divertissement” film come il recente Burn after reading, divertente quanto vacua rilettura del cinema di spionaggio ma anche Ladykillers o Prima ti sposo, poi ti rovino, prodotti professionali e nel contempo giochini cinematografici sia per forma che per sostanza. I Coen, però, sono anche i registi di almeno due grandi film, senza contare quell’oggetto folle e memorabile che è Il grande Lebowski: Fargo e L’uomo che non c’era, due noir durissimi, senza speranza eppure carichi di umanità, di pietà, di perdono. La domanda, insomma, non è retorica né banale: i due fratelli, con A Serious Man, ci sono o ci fanno ? Proviamo a prenderli sul serio. A Serious Man è tutto tranne che un film divertente. Certo, il sorriso scappa qua e là anche per la costruzione di alcune sequenze volutamente surreali, come quella dell’entrata in scena dell’avvocato del protagonista, ma sotto una superficie leggera si nasconde la cupa disperazione di fervente ebreo che sta si sta preparando al Bar mitzvah del figlio. Il problema è che il mondo che sta attorno a lui pare impazzito. All’università dove Larry insegna fisica, non c’è studente che lo ascolti e l’unico ragazzo con cui ha a che fare è uno studente coreano che a mala pena parla inglese e che cerca di corromperlo. A casa è un disastro: la moglie lo tradisce con un altro ebreo dai modi melliflui e dai modi affettati e inquietanti al tempo stesso. I figli sono mondi a parte impenetrabili. Amicizie: nessuna. Ci sono due vicini di casa: uno è un macho poco raccomandabile, l’altra è una donna che passa il tempo a prendere nuda il sole. Forse una tentazione ? O forse no. A completare il quadro c’è un fratello un po’ matto che passa il tempo in bagno e un avvocato che fatica a capire il punto della questione. La vita è un caos senza senso. I Coen ce lo dicono e ripetono da sempre. Dietro le vicende di tanti loro personaggi, dagli interpreti proprio di Fargo fino al recente Burn After Reading si muore e si vive, si ha successo o si ha sfiga per colpa del Caso che, con un gusto sadico e maligno, fa e disfa a proprio piacimento. La vita è un’enorme lavagna fitta di numeri ed equazioni matematiche che affermano all’unisono una cosa solo. Che i conti non tornano mai. E non tornano neanche all’Uomo Serio del titolo che di fronte al naufragio lento ma inesorabile della propria vita non può che fare la cosa più ragionevole e umana possibile. Chiedere. E infatti l’Uomo Serio chiede a tre rabbini. E la domanda è tale da far tremare i polsi. Perché Dio ci pone degli interrogativi ma non ci dà risposte. Il primo rabbino è evasivo, il secondo racconta una storiella insulsa, il terzo non lo riceve nemmeno. All’Uomo Serio non resta che tornare mestamente sui propri passi andando incontro, solo e senz’aiuto, letteralmente all’uragano senza senso della vita. Si potrebbe obiettare ai Coen di aver girato un trattatello di non senso, dove tutto è perfettamente senza senso, dove niente ha nome (e la scelta di prendere attori del tutto sconosciuti rientra in questa idea), dove tutto è contro l’umano. E può anche dar fastidio l’apparente freddezza con cui si racconta la morte, la malattia, il male. Ma a ben vedere, in questo film dal forte sapore autobiografico, c’è anche qualcosa di più, ben radicato nel cuore del protagonista. L’esigenza di un senso, nel senso letterale del termine, di una direzione dove andare, una strada da imboccare per assaporare quel che rimane di una felicità che i Coen, molto onestamente, nel loro film tanto divertito e ironico, si guardano bene dall’inserire o dal commentare. Il problema è che la risposta, il senso della cose e dell’esistenza non lo dà l’uomo, per quanto colto e pio possa essere. Lo dà Dio che secondo i Coen semplicemente è assente. E questa assordante assenza lascia se non addolorati, assai storditi. Altro che Giobbe, come una certa incauta critica ha tirato in ballo: Giobbe era di tutt’altra pasta perché Dio non lo ha mai abbandonato, una grazia che il povero Larry non ha potuto sperimentare. Avrebbe voluto magari, ma non gli è stata concessa.


USA - Universita' del Michigan accettera' embrioni sovrannumerari per fare ricerca - Notizia da ADUC - 9 dicembre 2009
La ricerca sulle staminali all'Università del Michigan sta per compiere un importante passo in avanti. Una delle più prestigiose per questo tipo di ricerca, la UofM, ha annunciato che accetterà la donazione di embrioni umani per sviluppare nuove linee cellulari. "Invece di distruggere quegli embrioni (inutilizzati), se uno vorrà potrà donarli all'università per generare linee di cellule staminali contro specifiche malattie", ha spiegato il portavoce dell'ateneo.
Lo scorso anno, gli elettori dello Stato avevano approvato una modifica di legge per allentare le restrizioni sulla ricerca con le staminali embrionali.