Nella rassegna stampa di oggi:
1) ITALIA - Ru486. Lettera del ministro Sacconi all'Aifa – dal sito A.D.U.C. - 27 novembre 2009
2) Minareti e crocifissi pari (non) sono - Roberto Fontolan mercoledì 2 dicembre 2009 – ilsussidiario.net
3) No del Cardinale Caffarra all'equiparazione famiglia-coppie di fatto - “Avrebbe a lungo andare effetti devastanti sul nostro tessuto sociale” - di Antonio Gaspari – ilsussidiario.net
4) Avvenire, 2 Dicembre 2009 - DIFESA DELLA VITA - «Il mio dramma con la Ru486 - Stavo morendo, ho perso tutto»
ITALIA - Ru486. Lettera del ministro Sacconi all'Aifa – dal sito A.D.U.C. - 27 novembre 2009
Tutto deve avvenire "in regime di ricovero ordinario nelle strutture sanitarie". Inoltre, occorre "una specifica sorveglianza da parte del personale sanitario" e "un attento monitoraggio del percorso abortivo in tutte le sue fasi, sia al fine di ridurre al minimo le reazioni avverse (effetti collaterali, emorragie, infezioni ed eventi fatali) sia per disporre di un rilevamento di dati di farmacovigilanza che consenta di verificare il rispetto della legge". E' quanto scrive il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, in una lettera indirizzata al presidente dell'Aifa, Sergio Pecorelli, sulla pillola Ru486.
"Egregio presidente, come Lei sa, la legge 22 maggio 1978, n.194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza), stabilisce che l'interruzione volontaria della gravidanza deve essere praticata da un medico del servizio ostetrico ginecologico in ospedale, specificando inoltre quali siano le strutture autorizzate.
Il Consiglio Superiore di Sanita', con parere del 18 marzo 2004, ha affermato che: 'i rischi connessi all'interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti alla interruzione chirurgica solo se l'interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero', tenuto conto della 'non prevedibilita' del momento in cui avviene l'aborto' e del 'rispetto della legislazione vigente che prevede che l'aborto avvenga in ambito ospedaliero'.
In data 20 dicembre 2005 il Consiglio Superiore di Sanita' ha ribadito l'avviso che: 'l'associazione di mifepristone e misoprostolo deve essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla predetta legge e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto'.
"Il Consiglio di Amministrazione dell'Aifa- continua- il 30 luglio 2009 ha stabilito che: 'l'impiego del farmaco deve trovare applicazione nel rigoroso rispetto dei precetti normativi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n.194 a garanzia e tutela della salute della donna; in particolare deve essere garantito il ricovero in una delle strutture sanitarie individuate dall'articolo 8 della citata legge 194/78 dal momento dell'assunzione del farmaco sino alla verifica dell'espulsione del prodotto del concepimento. Tutto il percorso abortivo deve avvenire sotto la sorveglianza da parte di un medico del servizio ostetrico ginecologico cui e' demandata la corretta informazione sull'utilizzo del medicinale, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative e sui possibili rischi connessi, nonche' l'attento monitoraggio onde ridurre al minimo le reazioni avverse segnalate, quali emorragie, infezioni ed eventi fatali'.
L'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Sanita' del Senato sulla procedura di aborto farmacologico mediante mifepristone e prostaglandine ha cosi' concluso: 'poiche' la procedura di immissione in commercio della specialita' Mifegyne per mutuo riconoscimento fin qui seguita dall'Aifa non ha previsto la verifica della compatibilita' con la normativa vigente, la Commissione Igiene e sanita' propone di sospendere tale procedura per chiedere ed acquisire il parere del Ministro competente in materia, consentendo, ove si ritenga necessario, di riavviare la procedura dall'inizio'.
La stessa Commissione ha altresi' specificato che il suo parere: 'per quanto riguarda sia la compatibilita' con la normativa vigente che i profili di sicurezza e', come peraltro indicato dai due pareri del CSS, che l'intera procedura abortiva, nelle sue diverse fasi, sia effettuata in regime di ricovero ordinario'".
"Tutto cio' premesso ritengo che, sulla base dei sopracitati pareri del Consiglio superiore di Sanita', la specialita' Mifegyne, nota anche come pillola Ru486, possa essere utilizzata per uso abortivo, in compatibilita' con la legge 194, solo se l'intera procedura abortiva, e fino all'accertamento dell'avvenuta espulsione dell'embrione, sia effettuata in regime di ricovero ordinario nelle strutture sanitarie indicate dall'art. 8 della suddetta legge. Ritengo anche necessaria una specifica sorveglianza da parte del personale sanitario cui e' demandata la corretta informazione sul trattamento, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative disponibili e sui possibili rischi del metodo, in particolare relativi alla eventuale richiesta di dimissioni anticipate della paziente. Considero inoltre necessario un attento monitoraggio del percorso abortivo in tutte le sue fasi, sia al fine di ridurre al minimo le reazioni avverse (effetti collaterali, emorragie, infezioni ed eventi fatali) sia per disporre di un rilevamento di dati di farmacovigilanza che consenta di verificare il rispetto della legge.
Alla luce di quanto sopra enunciato- conclude Sacconi nella lettera- il Consiglio di Amministrazione dell'Aifa valuti se sia necessario riconsiderare la delibera adottata al fine di garantire modalita' certe di somministrazione del farmaco in questione onde evitare ogni possibile contrasto con la legge n.194 del 1978".
Minareti e crocifissi pari (non) sono - Roberto Fontolan mercoledì 2 dicembre 2009 – ilsussidiario.net
Il referendum svizzero sui minareti segue di poche settimane la vicenda del crocifisso. Nel merito le due questioni non hanno in comune alcunché. Ma ambedue esprimono il disagio, l’imbarazzo, l’incapacità dell’ “uomo europeo colto” a trovare un nesso accettabile tra la fede e la politica, intesa nel senso della polis, della res publica.
Esponenti leghisti hanno un bel dire che “occorre ascoltare sempre il popolo”, contrapponendolo a una supposta élite di politici e intellettuali (e giornalisti ovviamente) come se da una parte risiedessero purezza dei sentimenti e innocenza delle scelte, e dall’altra malizia e infingardaggine.
Nella modernità del nostro amato e logoro continente (che pure, in un sussulto di autocoscienza il vecchio preambolo alla defunta “costituzione” definiva “spazio privilegiato della speranza umana”) popolo ed élite partecipano della stessa frattura tra fede e ragione, causa di quella citata tra fede e politica.
È possibile che alla luce della protesta popolare contro la deposizione del crocefisso l’Italia faccia almeno in parte eccezione, ma si tratterebbe appunto di una eccezione - la cui disamina non è il caso di affrontare qui. Negli Stati Uniti il problema è tuttora molto meno sentito: alla chiara e sana separazione tra Stato e Chiesa (qualunque Chiesa) fa da contrappeso l’inclusione altrettanto chiara e sana della fede e delle fedi nello spazio pubblico.
“Le vostre discussioni sono per me surreali”, raccontava un influente americano da poco residente in Italia, “nessuno da noi si sognerebbe di teorizzare la privatezza della fede, nessuno vive la fede come un imbarazzo, come un possibile disturbo per gli altri”. Piuttosto, aggiungeva, “i miei figli sono scioccati dal fatto che alla messa domenicale non vedono né giovani, né famiglie intere e mi chiedono perché, non vorrei che cominciassero anche loro a sentire la fede come un problema”.
Un altro aspetto messo in luce dal voto svizzero è la “territorialità” della fede. I sostenitori del referendum affermavano che “il popolo svizzero ha respinto l’occupazione del territorio” e i loro alleati italiani come l’ex ministro Castelli hanno proposto di inserire la croce nella bandiera italiana, in analogia con quella svizzera.
Marchiare la terra, la nazione, con caratteri sovrapolitici, con simboli che esprimono la tradizione autoctona, “la nostra civiltà”. Quella altrui è una “invasione”, una presa di possesso concreta e materiale, sulla quale si ergerebbero, appunto, i minareti, simboli di una “conquista”. Occorre dunque difendere confini, villaggi e vallate. Con le bandiere piantate e i campanili svettanti sulla nostra terra.
È una linea di pensiero che non appartiene solo alla Lega (che all’inizio puntava al dio Po e ai miti celtici, ma certo il crocefisso cristiano è molto più efficace), ma anche a settori della Destra militante, così come a certe aree cattoliche. L’universalismo cristiano, che ha avute sempre ben presenti le dimensioni della terra e delle culture umane senza mai (o quasi mai) idolatrarle, viene sostituito dall’Occidente cristiano.
Infine un terzo aspetto, che è quello della cosiddetta “reciprocità”, secondo la formula ben nota: una moschea in Europa per una chiesa in Arabia. Ma reciprocità è un concetto molto più complesso (forse nel caso si dovrebbe parlare di simmetria) e usato con molta parsimonia persino dagli ecclesiastici impegnati nel dialogo con l’Islam.
La vera battaglia infatti è che il principio della libertà religiosa (di culto e di espressione pubblica) che l’Occidente riconosce e garantisce, si diffonda in tutto il mondo musulmano. Non può essere oggetto di scambio, “io la concedo ai tuoi se tu la concedi ai miei”, poiché si tratta del fondamento stesso del diritto umano. Se perdesse anche questa certezza, dell’Occidente rimarrebbe ben poca cosa.
No del Cardinale Caffarra all'equiparazione famiglia-coppie di fatto - “Avrebbe a lungo andare effetti devastanti sul nostro tessuto sociale” - di Antonio Gaspari – ilsussidiario.net
ROMA, martedì, 1° dicembre 2009 (ZENIT.org).- In un comunicato diffuso con la massima urgenza questo martedì, il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, ha rivolto un appello al Presidente della Regione Emilia–Romagna, ai Membri della Giunta regionale e del Consiglio regionale affinché non si proceda alla equiparazione alla famiglia di forme di convivenza di natura diversa.
In qualità di cittadino, di cristiano e di Arcivescovo, il Cardinale Caffarra fa riferimento al Progetto di legge di iniziativa della Giunta Regionale, in cui nel comma 3 dell’art. 42 ai pone sullo stesso piano singoli individui, famiglie e convivenze nell’accesso dei servizi pubblici locali, e spiega che già più volte ha espresso “con pacate e convincenti argomentazioni giuridiche l’inaccettabilità di questa equiparazione”.
L’Arcivescovo ha ripetuto che “chi non riconosce la soggettività incomparabile del matrimonio e della famiglia ha già insidiato il patto di cittadinanza nelle sue clausole fondamentali”.
Secondo l’Arcivescovo l’approvazione e l’introduzione di questa norma giuridica “avrebbe a lungo andare effetti devastanti sul nostro tessuto sociale” perché il matrimonio e la famiglia fondata su di esso è “l’istituto più importante per promuovere il bene comune della nostra regione. Dove sono erosi, la società è maggiormente esposta alle più gravi patologie sociali”.
Il Cardinale Caffarra è particolarmente preoccupato per le giovani generazioni la cui stima nei confronti dell’istituto del matrimonio e della famiglia si ridurrebbe ulteriormente
“Inoltre - ha rilevato l’Arcivescovo -, coll’eventuale approvazione del comma suddetto obbiettivamente voi dareste un contributo alla credenza falsa e socialmente distruttiva che il matrimonio sia una mera ‘convenzione sociale’ che può essere ridefinita ogni volta che così decida una maggioranza parlamentare”.
Dopo aver precisato che il matrimonio è “una realtà oggettiva sussistente in una unione pubblica tra un uomo e una donna, il cui significato intrinseco è dato dalla sua capacità di generare, promuovere e proteggere la vita”, il porporato ha domandato: “Volete assumervi la responsabilità di porre un atto che per sua logica interna muove la nostra Regione verso una cultura che va estinguendo nel cuore delle giovani generazioni il desiderio di creare vere comunità famigliari?”.
L’Arcivescovo ha spiegato che con l’illusione di estendere diritti si penalizza il bene comune e si prefigura “una società di egoismi opposti”, aggiungendo che “vi possono essere leggi gravemente ingiuste, come sarebbe questo comma se venisse approvato, che non meritano di essere rispettate”.
In merito ad un eventuale accusa di “indebita ingerenza clericale” nell’ambito pubblico, il Cardinale Caffarra ha rilevato che “laicità dello Stato significa che tutti, nessuno escluso, possono intervenire nella discussione pubblica in vista di una decisione – che è di vostra esclusiva competenza – riguardante il bene e l’interesse di tutti. La laicità non è un fatto escludente, ma includente”.
Per questi motivi l’Arcivescovo di Bologna chiede una profonda riflessione prima di prendere una decisione che “potrebbe a lungo termine risultare devastante per la nostra Regione”, e conclude affermando: “Dio vi giudicherà, anche chi non crede alla sua esistenza, se date a Cesare ciò che è di Dio stesso”.
Avvenire, 2 Dicembre 2009 - DIFESA DELLA VITA - «Il mio dramma con la Ru486 - Stavo morendo, ho perso tutto»
Un figlio indesiderato, una gravidanza annunciata e poi confermata da due rapidi test fai-da-te nel bagno dell’università di Barcellona, dove da qualche mese studiava con il suo fidanzato. Infine la decisione di abortire e il benevolo consiglio di un medico spagnolo, gentile quanto ingannevole: «Due pillole e non ci pensi più»... Invece Anna (nome di fantasia), 24 anni, studentessa calabrese, ripenserà per sempre a ciò che è avvenuto dal momento in cui ha assunto la Ru486, un "medicinale" che non cura niente e nessuno, nato allo scopo specifico di sopprimere la vita al suo esordio. Ma che quel giorno rischiò di uccidere la giovane madre, oltre a quel feto che oggi, mentre piange, chiama «figlio».
«Ero partita dall’Università della Calabria per il "Progetto Erasmus" – racconta incontrandoci sul Ponte Pietro Bucci dell’ateneo, i segni di una sofferenza indelebile sul volto e nel tremore della voce –. Studiavo e tuttora studio a Cosenza, allora ero una ragazza felice e piena di propositi per il futuro, anche perché presto ho conosciuto il mio fidanzato, con cui poi sarei partita per Barcellona...». Gli occhi neri si muovono rapidi e insicuri, offuscati da un’ombra di dolore, ciò che resta del suo viaggio in quello che lei chiama «il tunnel oscuro» e dal quale ancora non sa uscire.
La sua storia è di quelle che iniziano fin troppo bene, con un bando proposto agli studenti più meritevoli per uno scambio culturale e formativo in una delle città europee, il brillante superamento della selezione assieme al fidanzato (che chiameremo Roberto), e la partenza per la metropoli catalana. «Doveva essere un’esperienza indimenticabile», ricorda senza sorridere. Anna, che nel suo soggiorno spagnolo condivide l’alloggio con due compagne straniere, un giorno si accorge, calendario alla mano, che i conti non tornano: «All’inizio pensavo che il mio ritardo derivasse da alcuni antibiotici che avevo assunto per una brutta influenza – prosegue –, poi cominciai a temere di essere rimasta incinta e in una farmacia del centro comprai il test di gravidanza». La vita di suo figlio, annunciata in quel bagno, le cadde addosso come la peggiore delle notizie. «Lo dissi a Roberto e sperammo entrambi in un errore, ma anche il secondo test diede lo stesso risultato. Da allora litigammo furiosamente...».
La vita di Anna iniziava a frantumarsi, e il primo pezzo che se ne andava era proprio l’amore: da una parte c’era Roberto, deciso a tenere quel figlio e a prendersi le sue responsabilità di padre nonostante i suoi 24 anni e la mancanza di un lavoro, dall’altra le paure della giovane, il timore dei genitori, il terrore della solitudine. E sola rimane davvero, Anna, accompagnata da un’amica spagnola nella struttura sanitaria in cui i medici le spiegano che «la Spagna è molto più avanti dell’Italia e qui c’è la libertà di abortire con semplicità». Sola è anche quando i camici bianchi le raccontano che non avrà alcun problema, che «basterà assumere due pillole, una per bloccare la gravidanza e l’altra per espellere il feto, niente di complicato, al massimo quel piccolo fastidio come nelle giornate del ciclo...». Sola quando imbocca il tunnel senza nemmeno far sapere a Roberto che tra poche ore non sarà più padre.
Un mare di carte da compilare per dichiarare che era stata informata di tutte le conseguenze cui andava incontro, un colloquio frettoloso con un’assistente sociale, una prescrizione medica e giù le pillole. «Eravamo in tante - ricorda tormentandosi per tutte - e ci chiamavano per nome e cognome, senza alcun rispetto della privacy. Quando toccò a me, nessuno in realtà mi disse nulla del pericolo cui andavo incontro, così firmai e presi la prima pillola, che poi scoprii chiamarsi Mifeprex. Due giorni dopo ritornai in ospedale, come mi aveva detto il medico, e presi l’altra pillola, il Misoprostol. È stato tutto molto facile». Facile come bere quel bicchier d’acqua con cui le manda giù.
Ma il dramma deve solo cominciare. «La mattina seguente ero sola in appartamento, le mie due amiche erano uscite, il mio fidanzato neanche sapeva che stavo già mettendo in pratica il mio intento abortivo. Iniziai ad avere dolori lancinanti all’addome, a fare avanti e indietro dal bagno con una diarrea incontrollabile e una nausea terribile. Pensavo di morire. Caddi in uno stato di semi incoscienza e dopo alcune ore mi svegliai in un bagno di sangue. L’emorragia era inarrestabile, continuavo a perdere sangue, sentivo la vita uscire dal mio corpo, non ero mai stata tanto male. Chiamai aiuto e tornai in ospedale, dove mi fecero una nuova ecografia ed ebbi la notizia che l’aborto era avvenuto "con successo". In realtà lì si celebrò il cuore vero del mio dramma. Le mie convinzioni ad una ad una sono tutte crollate, sono caduta in uno stato di depressione terribile, piango sempre e fatico a riprendere forza. Ora mi sento in colpa verso il mio fidanzato, che peraltro ho anche perso, e soprattutto verso quella creatura. Devo cominciare a ricostruire tutta la mia vita, ma so che questo ricordo non mi abbandonerà».
Era una ragazza come tante, Anna, con quella voglia di vivere a volte irrefrenabile, quella convinzione di avere il mondo in tasca e le certezze nel cuore, decisa a fare di testa sua. «Anche in quell’occasione pensavo di aver scelto la via facile, così sui giornali ti presentano la Ru486, credevo fosse una conquista della scienza, invece la mia vita è finita con quella pillola, che ti dà l’illusione di non abortire mentre in realtà rischia di uccidere te oltre a tuo figlio...».
Ce la farà, Anna, la sua rinascita comincia da qui, dal desiderio di raccontare la sua storia, rimasta sconosciuta anche ai genitori: «Non voglio che altre ragazze imbocchino la mia strada, devono sapere a cosa si va incontro. Vorrei dire solo questo: attente alle false libertà e soprattutto non decidete da sole, la vita, sin dal suo sbocciare, anche nel dramma si può trasformare in un dono. Io me ne sono accorta troppo tardi, ma per voi c’è ancora tempo».
Lucia Bellaspiga e Enzo Gabrieli
1) ITALIA - Ru486. Lettera del ministro Sacconi all'Aifa – dal sito A.D.U.C. - 27 novembre 2009
2) Minareti e crocifissi pari (non) sono - Roberto Fontolan mercoledì 2 dicembre 2009 – ilsussidiario.net
3) No del Cardinale Caffarra all'equiparazione famiglia-coppie di fatto - “Avrebbe a lungo andare effetti devastanti sul nostro tessuto sociale” - di Antonio Gaspari – ilsussidiario.net
4) Avvenire, 2 Dicembre 2009 - DIFESA DELLA VITA - «Il mio dramma con la Ru486 - Stavo morendo, ho perso tutto»
ITALIA - Ru486. Lettera del ministro Sacconi all'Aifa – dal sito A.D.U.C. - 27 novembre 2009
Tutto deve avvenire "in regime di ricovero ordinario nelle strutture sanitarie". Inoltre, occorre "una specifica sorveglianza da parte del personale sanitario" e "un attento monitoraggio del percorso abortivo in tutte le sue fasi, sia al fine di ridurre al minimo le reazioni avverse (effetti collaterali, emorragie, infezioni ed eventi fatali) sia per disporre di un rilevamento di dati di farmacovigilanza che consenta di verificare il rispetto della legge". E' quanto scrive il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, in una lettera indirizzata al presidente dell'Aifa, Sergio Pecorelli, sulla pillola Ru486.
"Egregio presidente, come Lei sa, la legge 22 maggio 1978, n.194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza), stabilisce che l'interruzione volontaria della gravidanza deve essere praticata da un medico del servizio ostetrico ginecologico in ospedale, specificando inoltre quali siano le strutture autorizzate.
Il Consiglio Superiore di Sanita', con parere del 18 marzo 2004, ha affermato che: 'i rischi connessi all'interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti alla interruzione chirurgica solo se l'interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero', tenuto conto della 'non prevedibilita' del momento in cui avviene l'aborto' e del 'rispetto della legislazione vigente che prevede che l'aborto avvenga in ambito ospedaliero'.
In data 20 dicembre 2005 il Consiglio Superiore di Sanita' ha ribadito l'avviso che: 'l'associazione di mifepristone e misoprostolo deve essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla predetta legge e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto'.
"Il Consiglio di Amministrazione dell'Aifa- continua- il 30 luglio 2009 ha stabilito che: 'l'impiego del farmaco deve trovare applicazione nel rigoroso rispetto dei precetti normativi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n.194 a garanzia e tutela della salute della donna; in particolare deve essere garantito il ricovero in una delle strutture sanitarie individuate dall'articolo 8 della citata legge 194/78 dal momento dell'assunzione del farmaco sino alla verifica dell'espulsione del prodotto del concepimento. Tutto il percorso abortivo deve avvenire sotto la sorveglianza da parte di un medico del servizio ostetrico ginecologico cui e' demandata la corretta informazione sull'utilizzo del medicinale, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative e sui possibili rischi connessi, nonche' l'attento monitoraggio onde ridurre al minimo le reazioni avverse segnalate, quali emorragie, infezioni ed eventi fatali'.
L'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Sanita' del Senato sulla procedura di aborto farmacologico mediante mifepristone e prostaglandine ha cosi' concluso: 'poiche' la procedura di immissione in commercio della specialita' Mifegyne per mutuo riconoscimento fin qui seguita dall'Aifa non ha previsto la verifica della compatibilita' con la normativa vigente, la Commissione Igiene e sanita' propone di sospendere tale procedura per chiedere ed acquisire il parere del Ministro competente in materia, consentendo, ove si ritenga necessario, di riavviare la procedura dall'inizio'.
La stessa Commissione ha altresi' specificato che il suo parere: 'per quanto riguarda sia la compatibilita' con la normativa vigente che i profili di sicurezza e', come peraltro indicato dai due pareri del CSS, che l'intera procedura abortiva, nelle sue diverse fasi, sia effettuata in regime di ricovero ordinario'".
"Tutto cio' premesso ritengo che, sulla base dei sopracitati pareri del Consiglio superiore di Sanita', la specialita' Mifegyne, nota anche come pillola Ru486, possa essere utilizzata per uso abortivo, in compatibilita' con la legge 194, solo se l'intera procedura abortiva, e fino all'accertamento dell'avvenuta espulsione dell'embrione, sia effettuata in regime di ricovero ordinario nelle strutture sanitarie indicate dall'art. 8 della suddetta legge. Ritengo anche necessaria una specifica sorveglianza da parte del personale sanitario cui e' demandata la corretta informazione sul trattamento, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative disponibili e sui possibili rischi del metodo, in particolare relativi alla eventuale richiesta di dimissioni anticipate della paziente. Considero inoltre necessario un attento monitoraggio del percorso abortivo in tutte le sue fasi, sia al fine di ridurre al minimo le reazioni avverse (effetti collaterali, emorragie, infezioni ed eventi fatali) sia per disporre di un rilevamento di dati di farmacovigilanza che consenta di verificare il rispetto della legge.
Alla luce di quanto sopra enunciato- conclude Sacconi nella lettera- il Consiglio di Amministrazione dell'Aifa valuti se sia necessario riconsiderare la delibera adottata al fine di garantire modalita' certe di somministrazione del farmaco in questione onde evitare ogni possibile contrasto con la legge n.194 del 1978".
Minareti e crocifissi pari (non) sono - Roberto Fontolan mercoledì 2 dicembre 2009 – ilsussidiario.net
Il referendum svizzero sui minareti segue di poche settimane la vicenda del crocifisso. Nel merito le due questioni non hanno in comune alcunché. Ma ambedue esprimono il disagio, l’imbarazzo, l’incapacità dell’ “uomo europeo colto” a trovare un nesso accettabile tra la fede e la politica, intesa nel senso della polis, della res publica.
Esponenti leghisti hanno un bel dire che “occorre ascoltare sempre il popolo”, contrapponendolo a una supposta élite di politici e intellettuali (e giornalisti ovviamente) come se da una parte risiedessero purezza dei sentimenti e innocenza delle scelte, e dall’altra malizia e infingardaggine.
Nella modernità del nostro amato e logoro continente (che pure, in un sussulto di autocoscienza il vecchio preambolo alla defunta “costituzione” definiva “spazio privilegiato della speranza umana”) popolo ed élite partecipano della stessa frattura tra fede e ragione, causa di quella citata tra fede e politica.
È possibile che alla luce della protesta popolare contro la deposizione del crocefisso l’Italia faccia almeno in parte eccezione, ma si tratterebbe appunto di una eccezione - la cui disamina non è il caso di affrontare qui. Negli Stati Uniti il problema è tuttora molto meno sentito: alla chiara e sana separazione tra Stato e Chiesa (qualunque Chiesa) fa da contrappeso l’inclusione altrettanto chiara e sana della fede e delle fedi nello spazio pubblico.
“Le vostre discussioni sono per me surreali”, raccontava un influente americano da poco residente in Italia, “nessuno da noi si sognerebbe di teorizzare la privatezza della fede, nessuno vive la fede come un imbarazzo, come un possibile disturbo per gli altri”. Piuttosto, aggiungeva, “i miei figli sono scioccati dal fatto che alla messa domenicale non vedono né giovani, né famiglie intere e mi chiedono perché, non vorrei che cominciassero anche loro a sentire la fede come un problema”.
Un altro aspetto messo in luce dal voto svizzero è la “territorialità” della fede. I sostenitori del referendum affermavano che “il popolo svizzero ha respinto l’occupazione del territorio” e i loro alleati italiani come l’ex ministro Castelli hanno proposto di inserire la croce nella bandiera italiana, in analogia con quella svizzera.
Marchiare la terra, la nazione, con caratteri sovrapolitici, con simboli che esprimono la tradizione autoctona, “la nostra civiltà”. Quella altrui è una “invasione”, una presa di possesso concreta e materiale, sulla quale si ergerebbero, appunto, i minareti, simboli di una “conquista”. Occorre dunque difendere confini, villaggi e vallate. Con le bandiere piantate e i campanili svettanti sulla nostra terra.
È una linea di pensiero che non appartiene solo alla Lega (che all’inizio puntava al dio Po e ai miti celtici, ma certo il crocefisso cristiano è molto più efficace), ma anche a settori della Destra militante, così come a certe aree cattoliche. L’universalismo cristiano, che ha avute sempre ben presenti le dimensioni della terra e delle culture umane senza mai (o quasi mai) idolatrarle, viene sostituito dall’Occidente cristiano.
Infine un terzo aspetto, che è quello della cosiddetta “reciprocità”, secondo la formula ben nota: una moschea in Europa per una chiesa in Arabia. Ma reciprocità è un concetto molto più complesso (forse nel caso si dovrebbe parlare di simmetria) e usato con molta parsimonia persino dagli ecclesiastici impegnati nel dialogo con l’Islam.
La vera battaglia infatti è che il principio della libertà religiosa (di culto e di espressione pubblica) che l’Occidente riconosce e garantisce, si diffonda in tutto il mondo musulmano. Non può essere oggetto di scambio, “io la concedo ai tuoi se tu la concedi ai miei”, poiché si tratta del fondamento stesso del diritto umano. Se perdesse anche questa certezza, dell’Occidente rimarrebbe ben poca cosa.
No del Cardinale Caffarra all'equiparazione famiglia-coppie di fatto - “Avrebbe a lungo andare effetti devastanti sul nostro tessuto sociale” - di Antonio Gaspari – ilsussidiario.net
ROMA, martedì, 1° dicembre 2009 (ZENIT.org).- In un comunicato diffuso con la massima urgenza questo martedì, il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, ha rivolto un appello al Presidente della Regione Emilia–Romagna, ai Membri della Giunta regionale e del Consiglio regionale affinché non si proceda alla equiparazione alla famiglia di forme di convivenza di natura diversa.
In qualità di cittadino, di cristiano e di Arcivescovo, il Cardinale Caffarra fa riferimento al Progetto di legge di iniziativa della Giunta Regionale, in cui nel comma 3 dell’art. 42 ai pone sullo stesso piano singoli individui, famiglie e convivenze nell’accesso dei servizi pubblici locali, e spiega che già più volte ha espresso “con pacate e convincenti argomentazioni giuridiche l’inaccettabilità di questa equiparazione”.
L’Arcivescovo ha ripetuto che “chi non riconosce la soggettività incomparabile del matrimonio e della famiglia ha già insidiato il patto di cittadinanza nelle sue clausole fondamentali”.
Secondo l’Arcivescovo l’approvazione e l’introduzione di questa norma giuridica “avrebbe a lungo andare effetti devastanti sul nostro tessuto sociale” perché il matrimonio e la famiglia fondata su di esso è “l’istituto più importante per promuovere il bene comune della nostra regione. Dove sono erosi, la società è maggiormente esposta alle più gravi patologie sociali”.
Il Cardinale Caffarra è particolarmente preoccupato per le giovani generazioni la cui stima nei confronti dell’istituto del matrimonio e della famiglia si ridurrebbe ulteriormente
“Inoltre - ha rilevato l’Arcivescovo -, coll’eventuale approvazione del comma suddetto obbiettivamente voi dareste un contributo alla credenza falsa e socialmente distruttiva che il matrimonio sia una mera ‘convenzione sociale’ che può essere ridefinita ogni volta che così decida una maggioranza parlamentare”.
Dopo aver precisato che il matrimonio è “una realtà oggettiva sussistente in una unione pubblica tra un uomo e una donna, il cui significato intrinseco è dato dalla sua capacità di generare, promuovere e proteggere la vita”, il porporato ha domandato: “Volete assumervi la responsabilità di porre un atto che per sua logica interna muove la nostra Regione verso una cultura che va estinguendo nel cuore delle giovani generazioni il desiderio di creare vere comunità famigliari?”.
L’Arcivescovo ha spiegato che con l’illusione di estendere diritti si penalizza il bene comune e si prefigura “una società di egoismi opposti”, aggiungendo che “vi possono essere leggi gravemente ingiuste, come sarebbe questo comma se venisse approvato, che non meritano di essere rispettate”.
In merito ad un eventuale accusa di “indebita ingerenza clericale” nell’ambito pubblico, il Cardinale Caffarra ha rilevato che “laicità dello Stato significa che tutti, nessuno escluso, possono intervenire nella discussione pubblica in vista di una decisione – che è di vostra esclusiva competenza – riguardante il bene e l’interesse di tutti. La laicità non è un fatto escludente, ma includente”.
Per questi motivi l’Arcivescovo di Bologna chiede una profonda riflessione prima di prendere una decisione che “potrebbe a lungo termine risultare devastante per la nostra Regione”, e conclude affermando: “Dio vi giudicherà, anche chi non crede alla sua esistenza, se date a Cesare ciò che è di Dio stesso”.
Avvenire, 2 Dicembre 2009 - DIFESA DELLA VITA - «Il mio dramma con la Ru486 - Stavo morendo, ho perso tutto»
Un figlio indesiderato, una gravidanza annunciata e poi confermata da due rapidi test fai-da-te nel bagno dell’università di Barcellona, dove da qualche mese studiava con il suo fidanzato. Infine la decisione di abortire e il benevolo consiglio di un medico spagnolo, gentile quanto ingannevole: «Due pillole e non ci pensi più»... Invece Anna (nome di fantasia), 24 anni, studentessa calabrese, ripenserà per sempre a ciò che è avvenuto dal momento in cui ha assunto la Ru486, un "medicinale" che non cura niente e nessuno, nato allo scopo specifico di sopprimere la vita al suo esordio. Ma che quel giorno rischiò di uccidere la giovane madre, oltre a quel feto che oggi, mentre piange, chiama «figlio».
«Ero partita dall’Università della Calabria per il "Progetto Erasmus" – racconta incontrandoci sul Ponte Pietro Bucci dell’ateneo, i segni di una sofferenza indelebile sul volto e nel tremore della voce –. Studiavo e tuttora studio a Cosenza, allora ero una ragazza felice e piena di propositi per il futuro, anche perché presto ho conosciuto il mio fidanzato, con cui poi sarei partita per Barcellona...». Gli occhi neri si muovono rapidi e insicuri, offuscati da un’ombra di dolore, ciò che resta del suo viaggio in quello che lei chiama «il tunnel oscuro» e dal quale ancora non sa uscire.
La sua storia è di quelle che iniziano fin troppo bene, con un bando proposto agli studenti più meritevoli per uno scambio culturale e formativo in una delle città europee, il brillante superamento della selezione assieme al fidanzato (che chiameremo Roberto), e la partenza per la metropoli catalana. «Doveva essere un’esperienza indimenticabile», ricorda senza sorridere. Anna, che nel suo soggiorno spagnolo condivide l’alloggio con due compagne straniere, un giorno si accorge, calendario alla mano, che i conti non tornano: «All’inizio pensavo che il mio ritardo derivasse da alcuni antibiotici che avevo assunto per una brutta influenza – prosegue –, poi cominciai a temere di essere rimasta incinta e in una farmacia del centro comprai il test di gravidanza». La vita di suo figlio, annunciata in quel bagno, le cadde addosso come la peggiore delle notizie. «Lo dissi a Roberto e sperammo entrambi in un errore, ma anche il secondo test diede lo stesso risultato. Da allora litigammo furiosamente...».
La vita di Anna iniziava a frantumarsi, e il primo pezzo che se ne andava era proprio l’amore: da una parte c’era Roberto, deciso a tenere quel figlio e a prendersi le sue responsabilità di padre nonostante i suoi 24 anni e la mancanza di un lavoro, dall’altra le paure della giovane, il timore dei genitori, il terrore della solitudine. E sola rimane davvero, Anna, accompagnata da un’amica spagnola nella struttura sanitaria in cui i medici le spiegano che «la Spagna è molto più avanti dell’Italia e qui c’è la libertà di abortire con semplicità». Sola è anche quando i camici bianchi le raccontano che non avrà alcun problema, che «basterà assumere due pillole, una per bloccare la gravidanza e l’altra per espellere il feto, niente di complicato, al massimo quel piccolo fastidio come nelle giornate del ciclo...». Sola quando imbocca il tunnel senza nemmeno far sapere a Roberto che tra poche ore non sarà più padre.
Un mare di carte da compilare per dichiarare che era stata informata di tutte le conseguenze cui andava incontro, un colloquio frettoloso con un’assistente sociale, una prescrizione medica e giù le pillole. «Eravamo in tante - ricorda tormentandosi per tutte - e ci chiamavano per nome e cognome, senza alcun rispetto della privacy. Quando toccò a me, nessuno in realtà mi disse nulla del pericolo cui andavo incontro, così firmai e presi la prima pillola, che poi scoprii chiamarsi Mifeprex. Due giorni dopo ritornai in ospedale, come mi aveva detto il medico, e presi l’altra pillola, il Misoprostol. È stato tutto molto facile». Facile come bere quel bicchier d’acqua con cui le manda giù.
Ma il dramma deve solo cominciare. «La mattina seguente ero sola in appartamento, le mie due amiche erano uscite, il mio fidanzato neanche sapeva che stavo già mettendo in pratica il mio intento abortivo. Iniziai ad avere dolori lancinanti all’addome, a fare avanti e indietro dal bagno con una diarrea incontrollabile e una nausea terribile. Pensavo di morire. Caddi in uno stato di semi incoscienza e dopo alcune ore mi svegliai in un bagno di sangue. L’emorragia era inarrestabile, continuavo a perdere sangue, sentivo la vita uscire dal mio corpo, non ero mai stata tanto male. Chiamai aiuto e tornai in ospedale, dove mi fecero una nuova ecografia ed ebbi la notizia che l’aborto era avvenuto "con successo". In realtà lì si celebrò il cuore vero del mio dramma. Le mie convinzioni ad una ad una sono tutte crollate, sono caduta in uno stato di depressione terribile, piango sempre e fatico a riprendere forza. Ora mi sento in colpa verso il mio fidanzato, che peraltro ho anche perso, e soprattutto verso quella creatura. Devo cominciare a ricostruire tutta la mia vita, ma so che questo ricordo non mi abbandonerà».
Era una ragazza come tante, Anna, con quella voglia di vivere a volte irrefrenabile, quella convinzione di avere il mondo in tasca e le certezze nel cuore, decisa a fare di testa sua. «Anche in quell’occasione pensavo di aver scelto la via facile, così sui giornali ti presentano la Ru486, credevo fosse una conquista della scienza, invece la mia vita è finita con quella pillola, che ti dà l’illusione di non abortire mentre in realtà rischia di uccidere te oltre a tuo figlio...».
Ce la farà, Anna, la sua rinascita comincia da qui, dal desiderio di raccontare la sua storia, rimasta sconosciuta anche ai genitori: «Non voglio che altre ragazze imbocchino la mia strada, devono sapere a cosa si va incontro. Vorrei dire solo questo: attente alle false libertà e soprattutto non decidete da sole, la vita, sin dal suo sbocciare, anche nel dramma si può trasformare in un dono. Io me ne sono accorta troppo tardi, ma per voi c’è ancora tempo».
Lucia Bellaspiga e Enzo Gabrieli