martedì 22 dicembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: il Natale non è un racconto per bambini - I cristiani siano "messaggeri di pace", chiede - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 20 dicembre 2009 (ZENIT.org).- "Oggi, come ai tempi di Gesù, il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell'umanità in cerca della vera pace".
2) Consapevole o ignaro, l'uomo è al cospetto di Dio - Il direttore de “L'Osservatore Romano” commenta il messaggio papale alla Curia
3) "Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire un cortile dei gentili..." - Era il cortile del tempio di Gerusalemme per i non ebrei. Benedetto XVI l'ha preso a simbolo del dialogo con i lontani dalla religione, nei quali tener desta la ricerca di Dio. I passi chiave del suo discorso di Natale alla curia romana - di Sandro Magister
4) Il testo integrale del discorso, nel sito del Vaticano: La solennità del Santo Natale... - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
5) IL CASO/ Lo sapevate? Per "Science" è meglio sacrificare gli uomini anziché gli animali - Emanuele Ortoleva martedì 22 dicembre 2009 – ilsussidiario.net

Benedetto XVI: il Natale non è un racconto per bambini - I cristiani siano "messaggeri di pace", chiede - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 20 dicembre 2009 (ZENIT.org).- "Oggi, come ai tempi di Gesù, il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell'umanità in cerca della vera pace".

Lo ha affermato questa domenica Benedetto XVI introducendo la recita della preghiera mariana dell'Angelus con i pellegrini riuniti in Piazza San Pietro.

Commentando le letture di questa quarta domenica di Avvento, e soprattutto il brano del profeta Michea che tratta della venuta del Messia, il Papa ha spiegato che il Natale è una "profezia di pace per ogni uomo".

Questa profezia impegna i cristiani "a calarsi nelle chiusure, nei drammi, spesso sconosciuti e nascosti, e nei conflitti del contesto in cui si vive, con i sentimenti di Gesù, per diventare ovunque strumenti e messaggeri di pace, per portare amore dove c'è odio, perdono dove c'è offesa, gioia dove c'è tristezza e verità dove c'è errore, secondo le belle espressioni di una nota preghiera francescana".

Dio "sarà la pace", ha aggiunto. "A noi spetta aprire, spalancare le porte per accoglierlo. Impariamo da Maria e Giuseppe: mettiamoci con fede al servizio del disegno di Dio. Anche se non lo comprendiamo pienamente, affidiamoci alla sua sapienza e bontà. Cerchiamo prima di tutto il Regno di Dio, e la Provvidenza ci aiuterà".

In particolare, si è riferito alla situazione della Terra Santa e di Betlemme, la città natale di Gesù, "una città-simbolo della pace, in Terra Santa e nel mondo intero".

"Purtroppo, ai nostri giorni, essa non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa", ha riconosciuto.

Ad ogni modo, ha sottolineato il Pontefice, Dio "non si rassegna mai a questo stato di cose, perciò anche quest'anno, a Betlemme e nel mondo intero, si rinnoverà nella Chiesa il mistero del Natale".


Consapevole o ignaro, l'uomo è al cospetto di Dio - Il direttore de “L'Osservatore Romano” commenta il messaggio papale alla Curia
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 21 dicembre 2009 (ZENIT.org).- La preoccupazione principale di Benedetto XVI è testimoniare che l'uomo, consapevolmente o meno, è al cospetto di Dio.

E' il commento del direttore de “L'Osservatore Romano”, Giovanni Maria Vian, al discorso di Benedetto XVI ai membri della Curia Romana e del Governatorato per la presentazione degli auguri natalizi, pronunciato questo lunedì mattina nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano.

Vian ha ricordato che il Vescovo di Roma ha riletto l'anno che sta per finire “in una luce che può sorprendere ma che è l'unica vera, e cioè 'al cospetto di Dio'”.

“Il Papa ha scelto i tre grandi viaggi internazionali dell'anno - in Africa, in Terra Santa, nel cuore dell'Europa - per svolgere una riflessione sull'essere umano che, consapevole o ignaro, sta appunto davanti a Dio”, ha spiegato riferendosi alle visite in Camerun e Angola, in Terra Santa e nella Repubblica Ceca.

“Il Papa coglie l'essenziale, senza però attenuare un realismo attento che troppo spesso manca a governanti e politici”, ha dichiarato Vian, osservando che questo realismo è “la principale caratteristica dell'Enciclica Caritas in Veritate, così come lo è stato dell'assemblea sinodale, che tuttavia non si è arrogata competenze politiche improprie”.

A suo avviso, “l'essenziale sta nel fatto che il cielo non è più chiuso e che Dio è vicino”. Per questo, ha constatato, “i cattolici africani vivono ogni giorno il senso della sacralità, hanno accolto il primato pontificio come evidente 'punto di convergenza per l'unità della Famiglia di Dio' e celebrano liturgie gioiose e composte che hanno richiamato a Benedetto XVI la sobria ebrietas cara al misticismo antico, giudaico e cristiano”.

Il direttore del quotidiano vaticano prosegue ricordando l'importanza che Benedetto XVI attribuisce alla riconciliazione, che “è quella urgente in Africa come in ogni altra società, secondo un processo che può trarre esempio da quello avviato in Europa dopo la tragedia dell'ultima guerra mondiale”.

La riconciliazione, aggiunge, “si realizza, prima di tutto, nel sacramento della penitenza, in gran parte scomparso nelle abitudini dei cristiani perché si è perduta 'la veracità nei confronti di noi stessi e di Dio', mettendo a rischio l'umanità e la capacità di pace”.

Di fronte al male, sottolinea, “bisogna restare vigili”, ed è per questo che secondo lui il Papa è tornato nel suo discorso sulla “sconvolgente” visita compiuta allo Yad Vashem di Gerusalemme, il Memoriale che ricorda “lo sterminio di sei milioni di ebrei e la volontà di cacciare dal mondo il Dio di Abramo e di Gesù”.

L'immagine “che più colpisce e che resterà di questo grande discorso papale”, però, è quella del “cortile dei gentili”, riservato nel Tempio di Gerusalemme ai pagani che volevano pregare l'unico Dio e che Gesù volle sgomberare da chi l'aveva trasformato in “un covo di ladri”.

“A imitazione di Cristo anche oggi - ha detto Benedetto XVI - la Chiesa dovrebbe aprire uno spazio per tutti i popoli e per quanti conoscono Dio da lontano o per i quali è sconosciuto o estraneo”, conclude Vian. “Per aiutarli ad 'agganciarsi a Dio', al cui cospetto sta ogni creatura umana”.


"Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire un cortile dei gentili..." - Era il cortile del tempio di Gerusalemme per i non ebrei. Benedetto XVI l'ha preso a simbolo del dialogo con i lontani dalla religione, nei quali tener desta la ricerca di Dio. I passi chiave del suo discorso di Natale alla curia romana - di Sandro Magister
ROMA, 21 dicembre 2009 – Augurando stamane un felice Natale alla curia romana, Benedetto XVI si è rivolto in realtà all'intera Chiesa e al mondo. Come già negli anni precedenti, anche questa volta nel discorso prenatalizio alla curia – integralmente scritto di suo pugno – egli ha voluto dare evidenza alle linee maestre del suo pontificato.

Nel 2005 il fuoco del discorso fu l'interpretazione e l'attuazione del Concilio Vaticano II, così come il rapporto tra continuità e rinnovamento, nella Chiesa:

> Papa Ratzinger certifica il Concilio. Quello vero

Nel 2006 il papa pose al centro la questione su Dio. Inoltre, prendendo spunto dal suo viaggio a Istanbul, formulò nel modo più chiaro la sua visione del rapporto con l'islam, proponendo al mondo musulmano quel percorso già compiuto dal cristianesimo sotto la sfida dell'Illuminismo:

> Bilancio di quattro viaggi. E di un anno di pontificato

Nel 2007 Benedetto XVI mise a fuoco l'urgenza per la Chiesa di porsi in stato di missione con tutti i popoli della terra:

> Sorpresa: il papa porta la curia in Brasile

Nel 2008 richiamò l'attenzione sulla più "dimenticata" delle persone della divina trinità, lo Spirito Santo "creatore", la cui impronta è nella struttura ordinata del cosmo e dell'uomo, da ammirare e rispettare:

> "Veni Creator Spiritus". Per una ecologia dell'uomo

Quest'anno Benedetto XVI ha di nuovo preso spunto dai suoi ultimi viaggi, in particolare quelli in Africa, in Terra Santa e nella Repubblica Ceca, per ricavarne lezioni originali e, a tratti, sorprendenti.

In Camerun e in Angola il papa ha detto d'aver assistito a una vera "festa della fede". E ha proposto come esempio per tutta la Chiesa la gioia popolare e insieme la forte sacralità orientata a Dio che là ha visto magnificamente espresse nelle celebrazioni liturgiche.

Ancora a proposito dell'Africa – alla quale è stato dedicato un sinodo lo scorso ottobre – il papa ha insistito sulla peculiarità dell'azione della Chiesa a servizio della politica. Questa peculiarità l'ha indicata nella "riconciliazione" che nasce da Dio e si attua tra gli uomini anche attraverso il sacramento che porta questo nome, un sacramento caduto in disuso, ma che egli vorrebbe riviva proprio come "sacramento dell’umanità in quanto tale".

Circa il viaggio in Terra Santa, Benedetto XVI ha insistito sulla sua visita a Yad Vashem, simbolo del più profondo abisso dell'uomo e della massima lontananza da Dio, dove però Cristo è disceso a portare luce e vita, non nel mito ma nella realtà.

E infine, prendendo spunto dal viaggio nella Repubblica Ceca, un paese con una maggioranza di agnostici e di atei, Joseph Ratzinger ha lanciato una nuova evangelizzazione rivolta proprio ai lontani da Dio. Come nell'antico tempio di Gerusalemme, il papa ha proposto alla Chiesa di aprire per loro "una sorta di cortile dei gentili", ove tener desta la ricerca e la sete di lui.

Ecco qui di seguito quattro passaggi salienti del discorso prenatalizio rivolto da Benedetto XVI alla curia romana la mattina di lunedì 21 dicembre 2009:



1. IN CAMERUN E ANGOLA. LA FESTA DELLA FEDE


Era commovente per me sperimentare la grande cordialità con cui il successore di Pietro, il "Vicarius Christi", veniva accolto. La gioia festosa e l’affetto cordiale, che mi venivano incontro su tutte le strade, non riguardavano, appunto, semplicemente un qualsiasi ospite casuale. Nell’incontro col papa si rendeva sperimentabile la Chiesa universale, la comunità che abbraccia il mondo e che viene radunata da Dio mediante Cristo. [...] Proprio Lui è in mezzo a noi: questo abbiamo percepito attraverso il ministero del successore di Pietro. Così eravamo elevati al di sopra della semplice quotidianità. Il cielo era aperto, e questo è ciò che fa di un giorno una festa. Ed è al contempo qualcosa di duraturo. Continua ad essere vero, anche nella vita quotidiana, che il cielo non è più chiuso; che Dio è vicino; che in Cristo tutti ci apparteniamo a vicenda.

In modo particolarmente profondo si è impresso nella mia memoria il ricordo delle celebrazioni liturgiche. Le celebrazioni della santa eucaristia erano vere feste della fede. Vorrei menzionare due elementi che mi sembrano particolarmente importanti. C’era innanzitutto una grande gioia condivisa, che si esprimeva anche mediante il corpo, ma in maniera disciplinata ed orientata dalla presenza del Dio vivente. Con ciò è già indicato il secondo elemento: il senso della sacralità, del mistero presente del Dio vivente plasmava, per così dire, ogni singolo gesto. Il Signore è presente, il Creatore, Colui al quale tutto appartiene, dal quale noi proveniamo e verso il quale siamo in cammino. In modo spontaneo mi venivano in mente le parole di san Cipriano, che nel suo commento al Padre Nostro scrive: "Ricordiamoci di essere sotto lo sguardo di Dio rivolto su di noi. Dobbiamo piacere agli occhi di Dio, sia con l’atteggiamento del nostro corpo che con l’uso della nostra voce" ("De dominica oratione" 4 CSEL III 1 p. 269). Sì, questa consapevolezza c’era: noi stiamo al cospetto di Dio. Da questo non deriva paura o inibizione, neppure un’obbedienza esteriore alle rubriche e ancor meno un mettersi in mostra gli uni davanti agli altri o un gridare in modo indisciplinato. C’era piuttosto ciò che i Padri chiamavano "sobria ebrietas": l’essere ricolmi di una gioia che comunque rimane sobria ed ordinata, che unisce le persone a partire dall’interno, conducendole nella lode comunitaria di Dio, una lode che al tempo stesso suscita l’amore del prossimo, la responsabilità vicendevole.


2. SINODO SULL'AFRICA. IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE


Il sinodo si era proposto il tema: la Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. È questo un tema teologico e soprattutto pastorale di un’attualità scottante, ma poteva essere anche frainteso come un tema politico. [...] Sono riusciti i padri sinodali a trovare la strada piuttosto stretta tra una semplice teoria teologica ed un’immediata azione politica, la strada del "pastore"? [...] Riconciliazioni sono necessarie per una buona politica, ma non possono essere realizzate unicamente da essa. Sono processi pre-politici e devono scaturire da altre fonti.

Il Sinodo ha cercato di esaminare profondamente il concetto di riconciliazione come compito per la Chiesa di oggi, richiamando l’attenzione sulle sue diverse dimensioni. La chiamata che san Paolo ha rivolto ai Corinzi possiede proprio oggi una nuova attualità. "In nome di Cristo siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio!" (2 Corinzi 5, 20). Se l’uomo non è riconciliato con Dio, è in discordia anche con la creazione. Non è riconciliato con se stesso, vorrebbe essere un altro da quel che è ed è pertanto non riconciliato neppure con il prossimo. Fa inoltre parte della riconciliazione la capacità di riconoscere la colpa e di chiedere perdono, a Dio e all’altro. E infine appartiene al processo della riconciliazione la disponibilità alla penitenza, la disponibilità a soffrire fino in fondo per una colpa e a lasciarsi trasformare. E ne fa parte la gratuità, di cui l’enciclica "Caritas in veritate" parla ripetutamente: la disponibilità ad andare oltre il necessario, a non fare conti, ma ad andare al di là di ciò che richiedono le semplici condizioni giuridiche. Ne fa parte quella generosità di cui Dio stesso ci ha dato l’esempio.

Pensiamo alla parola di Gesù: "Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Matteo 5, 23s.). Dio che sapeva che non siamo riconciliati, che vedeva che abbiamo qualcosa contro di lui, si è alzato e ci è venuto incontro, benché Egli solo fosse dalla parte della ragione. Ci è venuto incontro fino alla croce, per riconciliarci. Questa è gratuità: la disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione. Non cedere nella volontà di riconciliazione: di questo Dio ci ha dato l’esempio, ed è questo il modo per diventare simili a lui, un atteggiamento di cui sempre di nuovo abbiamo bisogno nel mondo.

Dobbiamo oggi apprendere nuovamente la capacità di riconoscere la colpa, dobbiamo scuoterci di dosso l’illusione di essere innocenti. Dobbiamo apprendere la capacità di far penitenza, di lasciarci trasformare; di andare incontro all’altro e di farci donare da Dio il coraggio e la forza per un tale rinnovamento. In questo nostro mondo di oggi dobbiamo riscoprire il sacramento della penitenza e della riconciliazione. Il fatto che esso in gran parte sia scomparso dalle abitudini esistenziali dei cristiani è un sintomo di una perdita di veracità nei confronti di noi stessi e di Dio; una perdita, che mette in pericolo la nostra umanità e diminuisce la nostra capacità di pace. San Bonaventura era dell’opinione che il sacramento della penitenza fosse un sacramento dell’umanità in quanto tale, un sacramento che Dio aveva istituito nella sua essenza già immediatamente dopo il peccato originale con la penitenza imposta ad Adamo, anche se ha potuto ottenere la sua forma completa solo in Cristo, che è personalmente la forza riconciliatrice di Dio e ha preso su di sé la nostra penitenza.


3. TERRA SANTA. LA DISCESA DI DIO NELL'ABISSO


La visita a Yad Vashem ha significato un incontro sconvolgente con la crudeltà della colpa umana, con l’odio di un’ideologia accecata che, senza alcuna giustificazione, ha consegnato milioni di persone umane alla morte e che con ciò, in ultima analisi, ha voluto cacciare dal mondo anche Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e il Dio di Gesù Cristo. Così questo è in primo luogo un monumento commemorativo contro l’odio, un richiamo accorato alla purificazione e al perdono, all’amore.

Proprio questo monumento alla colpa umana ha reso poi tanto più importante la visita ai luoghi della memoria della fede e ha fatto percepire la loro inalterata attualità. In Giordania abbiamo visto il punto più basso della terra, presso il fiume Giordano. Come si potrebbe non sentirsi richiamati alla parola della lettera agli Efesini, secondo cui Cristo è "disceso nelle regioni più basse della terra" (Efesini 4, 9). In Cristo Dio è disceso fin nell’ultima profondità dell’essere umano, fin nella notte dell’odio e dell’accecamento, fin nel buio della lontananza dell’uomo da Dio, per accendere lì la luce del suo amore. Egli è presente perfino nella notte più profonda: "anche negli inferi, eccoti"; questa parola del salmo 139 [138], 8 è diventata realtà nella discesa di Gesù.

Così l’incontro con i luoghi della salvezza nella chiesa dell’annunciazione a Nazaret, nella grotta della natività a Betlemme, nel luogo della crocifissione sul Calvario, davanti al sepolcro vuoto, testimonianza della risurrezione, è stato come un toccare la storia di Dio con noi. La fede non è un mito. È storia reale, le cui tracce possiamo toccare con mano. Questo realismo della fede ci fa particolarmente bene nei travagli del presente. Dio si è veramente mostrato. In Gesù Cristo Egli si è veramente fatto carne. Come risorto Egli rimane vero uomo, apre continuamente la nostra umanità a Dio ed è sempre il garante del fatto che Dio è un Dio vicino.


4. PRAGA. UN "CORTILE" PER CHI CERCA IL DIO IGNOTO


Anche le persone che si ritengono agnostiche o atee devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi. A Parigi ho parlato della ricerca di Dio come del motivo fondamentale dal quale è nato il monachesimo occidentale e, con esso, la cultura occidentale. Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde.

Mi viene qui in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr. Isaia 56, 7; Marco 11, 17). Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti i popoli: si pensava con ciò a persone che conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; che sono scontente con i loro dèi, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il "Dio ignoto" (cfr. Atti 17, 23). Essi dovevano poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad oscurità di vario genere.

Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di "cortile dei gentili" dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto.

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Il testo integrale del discorso, nel sito del Vaticano: La solennità del Santo Natale... - Autore: Mangiarotti, Don Gabriele Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
Vivere il Natale: l’esperienza più straordinaria donata ad ogni uomo, solo che se ne colga il profondo valore e significato. Questi giorni sono stati carichi di incontri e di letture, di testimonianze e di provocazioni. A partire dalla notizia della firma per la beatificazione di Giovanni Paolo II, Pio XII e Popielusko (con altri grandi personaggi): col Natale è stata resa possibile la grandezza per l’uomo, l’eroicità nel quotidiano. Certo ci ha colpito anche l’ottusa incomprensione di certi media che hanno voluto far passare la beatificazione di Pio XII come trascinata (e nascosta) dalla grandezza di Giovanni Paolo II. Peccato che questi «estimatori» di Giovanni Paolo II siano tra coloro che in vita lo hanno deriso e sbeffeggiato! Ora si fanno passare tra i sostenitori accaniti, incapaci di riconoscere la grandezza del Papa precedente, che non sarebbe stato all’altezza dei compiti e carente quindi di quel coraggio che loro – i giornalisti in poltrona –avrebbero avuto da vendere. Antonio Socci parla, anche a questo proposito, dei mezzi di «distrazione» di massa: ma noi non vogliamo farci distrarre da costoro, né rapinare del diritto che abbiamo di riconoscere i santi che il Signore crea tra noi, e ci dona. Nessuno può dettarci le regole della santità, né i tempi che Dio stesso sceglie. Per fortuna, meglio, per grazia il Signore ha più fantasia di noi e sa creare capolavori attraverso la nostra povera umanità. E questi capolavori ci convincono del valore infinito della vita, e della fede nel Signore Gesù.
Nasce l’Uomo, con la U maiuscola, che dice che ogni uomo può diventare come Dio (vincendo la terribile tentazione di Adamo ed Eva). Un uomo che ha a cuore l’umanità che incontra, che riconosce il creato come casa da custodire, e che sente una reale responsabilità per i fratelli che incontra, a partire dai più deboli e piccoli.
Vogliamo offrire a quell’Uomo la nostra vita, il nostro lavoro, la gioia di comunicare, anche attraverso questo sito, la bellezza che è esperienza possibile. «Gesù aspettava la tua forma per entrare nell’inquietudine di ogni uomo»: che questa forma sia il nostro volto e la nostra libertà, e che sia accompagnata dal nugolo di testimoni che solo la Chiesa del Signore sa generare. Di loro, tutti loro, siamo fieri, e vogliamo portare la loro presenza in tutti i luoghi in cui ci troveremo.
Il Natale dell’uomo, del Dio fatto uomo, ci dia coraggio e fierezza, non dobbiamo chiedere il permesso a nessuno di essere noi stessi. La beatificazione di Popielusko ci ricorda che col Natale nasce anche la possibilità – drammatica – del martirio. Col Signore Gesù siamo pronti, nelle forme che lui sceglierà per i suoi fedeli.


IL CASO/ Lo sapevate? Per "Science" è meglio sacrificare gli uomini anziché gli animali - Emanuele Ortoleva martedì 22 dicembre 2009 – ilsussidiario.net
A volte eventi assolutamente indipendenti si trovano casualmente accostati di modo da indurre un osservatore a considerazioni che trascendono il senso dei singoli eventi.

La rivista Science è il pendant statunitense della britannica Nature, mostro sacro dell’informazione scientifica, che anche il cosiddetto uomo della strada - chissà perché quello della strada e non quello di casa - è obbligato a venerare: è scritto su Nature.

Sfogliando quindi l’ultimo numero di Science (11 dicembre 2009 Vol. 326) mi sono imbattuto in una di queste coincidenze.

Nella parte redazionale della rivista venivano riportate due notizie: a pagina 1464 si riportava, con abbondanza di particolari, come gli organi di governo dell’Oklahoma State University avessero bloccato un progetto di ricerca sul meccanismo di infezione dell’antrace e sui possibili metodi di cure e vaccinazione che prevedevano esperimenti su primati. Il progetto aveva già ottenuto un importante finanziamento governativo a livello federale e il parere favorevole del comitato dell’università stessa, incaricato di decidere sull’ammissibilità degli esperimenti sugli animali. Nonostante ciò il prorettore alla ricerca dell’università ha dichiarato di dover bloccare il progetto per proteggerla dagli attacchi degli animalisti e quindi il rettore ha deciso che «non si debba applicare l’eutanasia ai primati nel campus».

Due pagine dopo, con un non celato senso di sollievo, si dà la notizia che finalmente, dopo gli otto anni della presidenza Bush, l’Istituto Nazionale della Salute ha individuato 13 linee di cellule staminali embrionali umane ammissibili al finanziamento federale e che altre 27 linee sono prossime ad essere approvate.

Il commento è immediato: quello che, fatto sugli animali, è considerato pericoloso per le possibili reazioni del pubblico, viene entusiasticamente approvato, tra il consenso generale, se fatto sugli esseri umani.

Grande è la confusione sotto il cielo. Ma non da oggi. Chi ha ormai un’età non più verde potrebbe ricordare un analogo piccolo “incidente” giornalistico in Italia. Nei giorni immediatamente successivi al referendum per l’abrogazione della legge 194 sull’aborto, il Corriere della Sera, che si era particolarmente distinto nella propaganda contro l’abrogazione pubblicando articoli e appelli di numerosi (soliti) bei nomi delle arti, delle lettere etc., pubblicava un altro appello contro l’abbattimento di un canile per randagi in cui l’elenco dei firmatari si sovrapponeva in gran parte con l’elenco dei nomi citati. C’era solo un particolare curioso: il linguaggio usato per difendere i cani era esattamente lo stesso usato dagli esecrati, retrogradi sostenitori del referendum.

Ma tornando al numero di Science, le coincidenze non sono finite; a dispetto del fatto che - per restare a un esempio in campo scientifico - gli urti contemporanei di tre corpi sono considerati un evento raro.

Meno di due mesi fa, esattamente il 30 ottobre, è morto Claude Lévi-Strauss, il fondatore dell’antropologia strutturale, che nei suoi cent’anni di vita ha avuto una grande influenza non solo sull’antropologia ma un po’ su tutto il modo di concepire l’uomo e le sue attività anche superiori. Chiedendo perdono per il fatto di uscire dal mio campicello, mi permetto di far notare come da tale filone di pensiero nasca l’affermazione che, citando a memoria, afferma che la distinzione tra che cos’è uomo e che cosa non lo è si limita ad un fenomeno culturale e che quindi può variare nel tempo e tra società diverse: tout se tient per dirlo nella lingua di Lévi-Strauss.