Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: c'è sintonia tra ragione e fede, scienza e rivelazione - Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus
2) Messa del Papa nella Basilica Vaticana per la Solennità dell’Epifania
3) Ad Amsterdam, che cosa resta del Natale - di Marina Corradi - Avvenire 23-12-2009
4) Come si fa a dire che il Papa ha paragonato gli economisti ai maghi? - del Prof. Francesco Forte, Docente all'Università Mediterranea di Reggio Calabria
5) Psicofarmaci per bambini. Una moda pericolosa - Undici milioni di prescrizioni di antidepressivi e 2,5 milioni di antipsicotici ai giovani ogni anno. Le prescrizioni di psicofarmaci sono in continuo aumento in Occidente e tale aumento sembra non avere sempre una giustificazione clinica. Il cambiamento di paradigma culturale ha molto a che vedere con gli interessi dell'industria farmaceutica…
6) La dittatura del relativismo e l’Irlanda - di Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=16942 -www.culturacattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
7) Biotestamento & company: nel 2010 ripartiamo dal messaggio di Patrizia - Autore: Pandolfi, Massimo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 4 gennaio 2010
8) A TREVISO UNA STORIA DI NATALE TUTTA DA RACCONTARE - Sara e il suo bambino: gran notizia che non fa rumore - GABRIELLA SARTORI – Avvenire, 6 gennaio 2010
9) La coscienza stordita da una pioggia di pillole - Le donne, in particolare le più giovani, sono oggi bombardate da messaggi per indurle ad affidarsi a farmaci che promettono di garantire loro un rapporto nuovo col proprio corpo e il suo potere di dare la vita Un terribile inganno culturale - di Paola Ricci Sindoni – Avvenire, 7 gennaio 2010
Benedetto XVI: c'è sintonia tra ragione e fede, scienza e rivelazione - Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questo mercoledì da Benedetto XVI prima della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro, in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Celebriamo oggi la grande festa dell’Epifania, il mistero della Manifestazione del Signore a tutte le genti, rappresentate dai Magi, venuti dall’Oriente per adorare il Re dei Giudei (cfr Mt 2,1-2). L’evangelista Matteo, che racconta l’avvenimento, sottolinea come essi arrivarono fino a Gerusalemme seguendo una stella, avvistata nel suo sorgere e interpretata quale segno della nascita del Re annunciato dai profeti, cioé del Messia. Giunti, però, a Gerusalemme, i Magi ebbero bisogno delle indicazioni dei sacerdoti e degli scribi per conoscere esattamente il luogo in cui recarsi, cioè Betlemme, la città di Davide (cfr Mt 2,5-6; Mic 5,1). La stella e le Sacre Scritture furono le due luci che guidarono il cammino dei Magi, i quali ci appaiono come modelli degli autentici cercatori della verità.
Essi erano dei sapienti, che scrutavano gli astri e conoscevano la storia dei popoli. Erano uomini di scienza in un senso ampio, che osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l’uomo. Il loro sapere, pertanto, lungi dal ritenersi autosufficiente, era aperto ad ulteriori rivelazioni ed appelli divini. Infatti, non si vergognano di chiedere istruzioni ai capi religiosi dei Giudei. Avrebbero potuto dire: facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno, evitando, secondo la nostra mentalità odierna, ogni "contaminazione" tra la scienza e la Parola di Dio. Invece i Magi ascoltano le profezie e le accolgono; e, appena si rimettono in cammino verso Betlemme, vedono nuovamente la stella, quasi a conferma di una perfetta armonia tra la ricerca umana e la Verità divina, un’armonia che riempì di gioia i loro cuori di autentici sapienti (cfr Mt 2,10). Il culmine del loro itinerario di ricerca fu quando si trovarono davanti "il bambino con Maria sua madre" (Mt 2,11). Dice il Vangelo che "prostratisi lo adorarono". Avrebbero potuto rimanere delusi, anzi, scandalizzati. Invece, da veri sapienti, sono aperti al mistero che si manifesta in maniera sorprendente; e con i loro doni simbolici dimostrano di riconoscere in Gesù il Re e il Figlio di Dio. Proprio in quel gesto si compiono gli oracoli messianici che annunciano l’omaggio delle nazioni al Dio d’Israele.
Un ultimo particolare conferma, nei Magi, l’unità tra intelligenza e fede: è il fatto che "avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2,12). Sarebbe stato naturale ritornare a Gerusalemme, nel palazzo di Erode e nel Tempio, per dare risonanza alla loro scoperta. Invece, i Magi, che hanno scelto come loro sovrano il Bambino, la custodiscono nel nascondimento, secondo lo stile di Maria, o meglio, di Dio stesso e, così come erano apparsi, scompaiono nel silenzio, appagati, ma anche cambiati dall’incontro con la Verità. Avevano scoperto un nuovo volto di Dio, una nuova regalità: quella dell’amore. Ci aiuti la Vergine Maria, modello di vera sapienza, ad essere autentici ricercatori della verità di Dio, capaci di vivere sempre la profonda sintonia che c’è tra ragione e fede, scienza e rivelazione.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Sono lieto di indirizzare il mio augurio più cordiale ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali che celebrano domani il santo Natale. Il mistero di luce sia fonte di gioia e di pace per ogni famiglia e comunità.
Nella solennità dell’Epifania ricorre la Giornata Missionaria dei Bambini, con il motto "I bambini aiutano i bambini". Promossa dal Venerabile Papa Pio XII nel 1950, questa iniziativa educa i bambini a formarsi una mentalità aperta al mondo e ad essere solidali con i loro coetanei più disagiati. Saluto con affetto tutti i piccoli missionari presenti nei cinque continenti e li incoraggio ad essere sempre testimoni di Gesù e annunciatori del suo Vangelo.
Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani del Movimento "Tra Noi" e i partecipanti al consueto corteo storico-folcloristico, ispirato quest’anno alle tradizioni delle città di Alatri, Fiuggi e Vico nel Lazio. Mentre rivolgo un pensiero affettuoso ai bambini di Roma, auguro a tutti una buona festa dell’Epifania.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Messa del Papa nella Basilica Vaticana per la Solennità dell’Epifania
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì nel celebrare la Santa Messa nella Basilica Vaticana, in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore.
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Cari fratelli e sorelle!
Oggi, Solennità dell’Epifania, la grande luce che irradia dalla Grotta di Betlemme, attraverso i Magi provenienti da Oriente, inonda l’intera umanità. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, e il brano del Vangelo di Matteo, che abbiamo poc’anzi ascoltato, pongono l’una accanto all'altro la promessa e il suo adempimento, in quella particolare tensione che si riscontra quando si leggono di seguito brani dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ecco apparire davanti a noi la splendida visione del profeta Isaia il quale, dopo le umiliazioni subite dal popolo di Israele da parte delle potenze di questo mondo, vede il momento in cui la grande luce di Dio, apparentemente senza potere e incapace di proteggere il suo popolo, sorgerà su tutta la terra, così che i re delle nazioni si inchineranno di fronte a lui, verranno da tutti i confini della terra e deporranno ai suoi piedi i loro tesori più preziosi. E il cuore del popolo fremerà di gioia.
Rispetto a tale visione, quella che ci presenta l’evangelista Matteo appare povera e dimessa: ci sembra impossibile riconoscervi l’adempimento delle parole del profeta Isaia. Infatti, arrivano a Betlemme non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione. Gli abitanti di Gerusalemme sono informati dell'accaduto, ma non ritengono necessario scomodarsi, e neppure a Betlemme sembra che ci sia qualcuno che si curi della nascita di questo Bambino, chiamato dai Magi Re dei Giudei, o di questi uomini venuti dall’Oriente che vanno a farGli visita. Poco dopo, infatti, quando il re Erode farà capire chi effettivamente detiene il potere costringendo la Sacra Famiglia a fuggire in Egitto e offrendo una prova della sua crudeltà con la strage degli innocenti (cfr Mt 2,13-18), l'episodio dei Magi sembra essere cancellato e dimenticato. E’, quindi, comprensibile che il cuore e l'anima dei credenti di tutti i secoli siano attratti più dalla visione del profeta che non dal sobrio racconto dell'evangelista, come attestano anche le rappresentazioni di questa visita nei nostri presepi, dove appaiono i cammelli, i dromedari, i re potenti di questo mondo che si inginocchiano davanti al Bambino e depongono ai suoi piedi i loro doni in scrigni preziosi. Ma occorre prestare maggiore attenzione a ciò che i due testi ci comunicano.
In realtà, che cosa ha visto Isaia con il suo sguardo profetico? In un solo momento, egli scorge una realtà destinata a segnare tutta la storia. Ma anche l’evento che Matteo ci narra non è un breve episodio trascurabile, che si chiude con il ritorno frettoloso dei Magi nelle proprie terre. Al contrario, è un inizio. Quei personaggi provenienti dall'Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell’uomo. In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell’amore che si affida a noi. Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui. Tutte vivono, ciascuna a proprio modo, l’esperienza stessa dei Magi.
Essi hanno portato oro, incenso e mirra. Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall’incenso e dalla mirra, e neppure l'oro poteva esserle immediatamente utile. Ma questi doni hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità. La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell'amore che solo può trasformare il mondo.
Non soltanto, quindi, i Magi si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa di nuovo, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è spenta. La visione del profeta si realizza: quella luce non può più essere ignorata nel mondo: gli uomini si muoveranno verso quel Bambino e saranno illuminati dalla gioia che solo Lui sa donare. La luce di Betlemme continua a risplendere in tutto il mondo. A quanti l’hanno accolta Sant’Agostino ricorda: "Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti" (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3,4).
Se dunque leggiamo assieme la promessa del profeta Isaia e il suo compimento nel Vangelo di Matteo nel grande contesto di tutta la storia, appare evidente che ciò che ci viene detto, e che nel presepio cerchiamo di riprodurre, non è un sogno e neppure un vano gioco di sensazioni e di emozioni, prive di vigore e di realtà, ma è la Verità che s'irradia nel mondo, anche se Erode sembra sempre essere più forte e quel Bambino sembra poter essere ricacciato tra coloro che non hanno importanza, o addirittura calpestato. Ma solamente in quel Bambino si manifesta la forza di Dio, che raduna gli uomini di tutti i secoli, perché sotto la sua signoria percorrano la strada dell’amore, che trasfigura il mondo. Tuttavia, anche se i pochi di Betlemme sono diventati molti, i credenti in Gesù Cristo sembrano essere sempre pochi. Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio. Gli studiosi della Scrittura del tempo di Gesù conoscevano perfettamente la parola di Dio. Erano in grado di dire senza alcuna difficoltà che cosa si poteva trovare in essa circa il luogo in cui il Messia sarebbe nato, ma, come dice sant'Agostino: "è successo loro come le pietre miliari (che indicano la strada): mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, essi sono rimasti inerti e immobili" (Sermo 199. In Epiphania Domini, 1,2).
Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell'intimo dall'avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi.
Alla fine, quello che manca è l'umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo. Amen!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Ad Amsterdam, che cosa resta del Natale - di Marina Corradi - Avvenire 23-12-2009
Amsterdam è festosa, in questi giorni natalizi. Sfarzose luminarie illuminano la Damrak e piazza Dam. Piste di pattinaggio affollate di ragazzi ridenti, Babbi Natale, e le note di “Jingle bells” che escono dai grandi magazzini affollati. Ma cosa resta del Natale in un paese fra i più secolarizzati d’Europa, dove il 58 per cento della popolazione, secondo un’indagine, non sa cosa esattamente è accaduto, quel giorno? In un paese con 900 mila immigrati arabi su 16 milioni di abitanti, e venti moschee nella sola Amsterdam?
La Oude Kerk, la più antica chiesa della città, costruita nel 1309, si erge con la sua mole nel cuore del centro. Attorno, il Red Light District, il quartiere a luci rosse. Dalle vetrine in cui stanno esposte, le prostitute sudamericane e dell’Est bussano ai vetri per attirare l’attenzione dei passanti. Qualcuna indossa un berretto da Babbo Natale. Le guardi e cerchi di immaginare quale storia le ha condotte qui. Loro sorridono, ammiccanti. Ma le mille luci della città sono una ubriacatura che copre la falsa allegria di questi vicoli. Vai oltre. La Neuwe Kerk, la chiesa dove venivano incoronati i re d’Olanda, è un museo. L’unica "chiesa" affollata in città è di Scientology, sei piani in pieno centro. "Istituto di tecnologia religiosa", si legge su un manifesto all’interno. Offrono, gratis, test sullo stress. C’è un sacco di gente.
È strano questo susseguirsi di chiese che non sono più chiese: ma condominii, locali, moschee. Osservi i netturbini, i manovali nelle strade, i camerieri nelle pizzerie: sono quasi tutti marocchini o turchi. Quasi un milione di mani. E anche se quasi altrettanti immigrati vengono da paesi cristiani, gli olandesi, di tutti questi islamici, hanno paura. Il partito di Gert Wilders, della destra populista, è il secondo per consensi, e le elezioni sono fra pochi mesi. Due terzi degli olandesi dicono che gli immigrati sono troppi. In periferia ci sono quartieri come Slotervaart, ghetti unicamente islamici, dove incontrare un olandese è quasi impossibile. Se ne sono andati tutti. Rotterdam poi ha una percentuale di islamici ancora più alta, e un sindaco musulmano. Un giornale americano l’ha chiamata "incubo Eurabia". In realtà, le donne velate che incontri nel centro delle città olandesi sono meno numerose che in certi quartieri di Milano. Benché gli omicidi di Van Gogh e Fortuyn abbiano scosso profondamente gli olandesi, ed esistano imam fondamentalisti, in grande maggioranza gli islamici sembrano voler lavorare e vivere in pace.
La paura dell’Eurabia sembra in verità solo un fatto conseguente a un fenomeno ancora più radicale: la secolarizzazione quasi totale di un paese che, fino all’ultima guerra, era cattolico o protestante, comunque cristiano. Un crollo: solo il 7 per cento dei cattolici oggi va a messa la domenica. Viene battezzato il 16 per cento dei bambini. Su nozze gay ed eutanasia l’Olanda è stata pioniera. "Dopo il Concilio Vaticano II – dice il professor Wim Peeters, insegnante al seminario della diocesi di Haarlem-Amsterdam – la Chiesa olandese è entrata in una crisi profonda. La generazione degli anni Cinquanta se ne andata, e ha dimenticato di educare i suoi figli". Nel 1964 anche l’insegnamento religioso nelle scuole è stato abolito. Due generazioni di olandesi hanno dimenticato l’alfabeto cristiano. Nel registro del seminario di Haarlem, il numero dei preti ordinati precipita alla fine degli anni Sessanta. Nel 1968, nemmeno uno. "Io credo – dice Peeters – che non avremmo niente da temere dall’islam, se fossimo cristiani. E spesso sembra che gli olandesi oggi abbiano paura di tutto: di avere figli, come degli immigrati. Ma la paura è l’esatto contrario della fede".
Cercando, ancora, il Natale, in Oudezijds Voorburgwal al numero 40, nel Red Light District, c’è un piccolo portone. All’ultimo piano del Museum Amstelkring c’è una chiesa, una chiesa clandestina, risalente al tempo delle persecuzioni calviniste che proibivano il culto cattolico. Nel sottotetto un altare, un organo, dieci panche cui i fedeli accedevano di nascosto. "Ons’Lieve Heer op Solder", si chiama la chiesa: il nostro caro Signore in soffitta. Cristo in soffitta, ti chiedi, è questo il Natale di Amsterdam?
Eppure. Nel seminario di Haarlem-Amsterdam oggi ci sono 45 seminaristi, riflesso anche di una forte presenza neocatecumenale. Monsignor Josef Punt, il vescovo, spiega che oggi qualcosa è cambiato rispetto alla crisi più dura, venti o trenta anni fa. Se nel '68 da questo seminario non uscì un solo sacerdote, dice, "oggi ogni anno in tutta l’Olanda vengono ordinati 15 nuovi preti, che mantengono gli organici a livello stabile. In questa diocesi alcune centinaia di persone chiedono ogni anno il battesimo da adulti. Si percepisce una nuova domanda, generata dal senso di vuoto. Certo, parliamo di piccoli numeri. Siamo una Chiesa missionaria. Tutto è da ricominciare da capo. Stiamo creando nei monasteri fuori città dei centri di evangelizzazione per chi, lontano dalla fede, voglia riscoprirla. Nella nostra scuola cattolica a Haarlem non riusciamo ad accogliere tutte le domande di iscrizione. Io ho la sensazione che questi genitori, pure non più credenti, siano affascinati dalla bellezza del cristianesimo, e la desiderino per i figli".
Occorre fiducia per crederci, in questa cittdove dai campanili di chiese che non sono più chiese le campane suonano dolci melodie natalizie. Mille Babbi Natale, e nessun presepe. Tranne uno, piccolissimo, nelle stanze dell’Esercito della Salvezza, vicino alla Centraal Station, alla mensa dei poveri. Venti clochard intirizziti dal freddo, thermos giganti di caffè caldo, e quel piccolo presepe. E poi ancora, in Egelantinstraat 147, quasi periferia, una casa povera. Suoni, ti apre una suora di Madre Teresa. Sono in quattro. Qui, ogni mattina, c’è la messa, ogni sera i vespri. Una cappella disadorna, due suore in adorazione. Sotto l’altare, la mangiatoia del presepe.
Ma se il senso del Natale è una domanda, un’attesa, allora lo incontri ancora nelle vie di questa città. È lo zoccolo vuoto che i bambini depongono nel camino la notte di Santa Klaus, il 5 dicembre, aspettando un dono. Sono quei clochard, e anche, se le guardi negli occhi, quelle giovani prostitute nelle vetrine del Red Light District. Sono i vecchi soli che camminano esitanti sulla neve, temendo di cadere e di finire invalidi in un ospedale dove forse li guarderanno come pesi inutili. Sono le ragazzine alla tavola di una pizzeria italiana dietro il Dam, che cantano tenendosi per mano: "I wish you a merry Christmas and a happy new year". Già, un anno felice. "Nonostante tutto – ci ha detto il professor Wim Peeters – la domanda della felicità, e quindi di Dio, resta sempre, nel cuore dell’uomo".
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"Due generazioni sono state perdute" - Intervista con il cardinale Adrianus Simonis
L’arcivescovo emerito di Utrecht, cardinale Adrianus Simonis, 78 anni, è il "grande vecchio" della Chiesa olandese. conosciuto e amato nel paese, anche dai musulmani. "Forse perchè – spiega sorridendo – ho detto che i musulmani fedeli a Dio andranno nei cieli più alti del Paradiso".
Ma sulla sua Olanda il cardinale, che oggi vive in un paesino del Brabante, Nieuwkuijk, sembra meno ottimista.
"Sì, forse ci sono dei segni di una nuova tendenza, ma parliamo di numeri piccolissimi", dice. "Rimane quella cifra, quel 58 per cento di olandesi che non sanno più cosa sia esattamente il Natale. C’è chi, guardando l’Olanda, è turbato dal numero delle moschee. Lo posso capire, ma il problema autentico qui è anteriore alla immigrazione: è che noi ci siamo perduti, abbiamo perso la nostra identità cristiana. Se questa identità fosse forte, non avremmo paura degli islamici. Si, esiste in Olanda il problema di un fondamentalismo islamico, ma la maggior parte degli immigrati non lo segue. Più che l’integralismo, nelle giovani generazioni islamiche mi preoccupa l’avanzare della secolarizzazione. Temo che finiranno col convertirsi alla vera religione che domina l’Occidente: il relativismo".
(E in effetti, guardando i giovani marocchini nei McDonald’s di Amsterdam, e le loro sorelle in fuseax attillati, viene da domandarsi se le nuove generazioni musulmane non stiano già omologandosi, in tutti in sensi, a noi).
D. – Eminenza, e il razzismo, la xenofobia, non sono problemi qui?
R. – Io non credo. Gli olandesi sono un popolo tollerante. Non vedo all’orizzonte un’onda razzista.
D. – A Haarlem il vescovo dice che si comincia ad avvertire nei giovani un senso di vuoto, la mancanza di ciò che è stato dimenticato…
R. – È vero, in molti avvertono il vuoto. Ma non sanno andare oltre, non sanno cosa domandare, e a chi. Non sono stati educati a riconoscere e a percepire il desiderio del loro cuore. In questo senso sono convinto, come il vescovo Punt, che la Chiesa olandese è veramente chiamata a essere missionaria. Due generazioni sono state perdute. Si tratta di ricominciare da capo, e dentro a una cultura indifferente al cristianesimo, in mezzo a media non amichevoli.
D. – Lei ha 78 anni. Era un bambino ai tempi della guerra. L’Olanda non era, allora, un paese fortemente cristiano? E poi, cosa è successo?
R. – Probabilmente era un cristianesimo troppo segnato da un rigido moralismo. Ne è seguita una ribellione radicale, come radicale è il carattere degli olandesi. Non sono capaci di credere solo “un po’” in qualcosa. Aut, aut. Sono diventati l’opposto di ciò che erano”.
D. – Tuttavia, nel seminario di Haarlem ci sono oggi 45 studenti, e alcune centinaia di adulti ogni anno chiedono il battesimo. Ad Amsterdam ho trovato le suore di Madre Teresa in adorazione davanti al Crocifisso. Pochi, ma forti, i cattolici qui…
R. – È vero. Certo in una situazione come questa il sale è costretto, come dire, a diventare più salato…
D. – Cosa intende dire, nelle messe di Natale, ai fedeli?
R. – Che forse hanno scordato il fatto cristiano, quello che ne è l’essenza: Dio si è fatto uomo, è venuto al mondo nella povertà, umile e fragile come un bambino neonato, per amore nostro.
D. – Sa, eminenza, che poco fa nel piccolo paese qui vicino, Drunen, ho visto un centinaio di bambini uscire dalla chiesa cattolica dove c’era stata una funzione di Natale?
R. – Dev’essere quel giovane prete appena arrivato, che si dà da fare…"
La storia che ricomincia, ancora. Per ricominciare, basta la faccia di un cristiano.
Come si fa a dire che il Papa ha paragonato gli economisti ai maghi? - del Prof. Francesco Forte, Docente all'Università Mediterranea di Reggio Calabria
Benedetto XVI domenica ha affermato che la vera ragione di speranza dell'umanità è fondata sul fatto che “la storia è abitata dalla Sapienza di Dio”. Ed ha messo in guardia i fedeli dagli “improbabili pronostici” dei maghi, degli astrologhi e dei cartomanti e degli oroscopi, invitandoli anche a non lasciarsi impressionare dalle "previsioni economiche, pur importanti degli economisti".
Non è mio compito, naturalmente, spiegare che cosa intenda il Papa quando afferma che la storia è abitata dalla sapienza di Dio. Credo che ognuno, riflettendo lo possa comprendere e che chi si ricorda della lettura dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni lo possa intendere anche più facilmente. Invece dato che questo è il tempo dei consuntivi e delle previsioni economiche, mi pare pertinente riflettere sul resto della frase riguardante le previsioni degli economisti.
Il Papa non ha voluto mettere le previsioni degli economisti sullo stesso piano degli oroscopi, che ha definito come “improbabili pronostici”. Infatti per le previsioni economiche ha usato i due aggettivi “pur importanti”. Dunque queste previsioni sono importanti. Ma il “pur” davanti a “importanti” è limitativo. Ci sono vari modi di intendere questa limitazione. Il primo è una interpretazione che definirei “strumentale ” e sbagliata: che il Papa intenda disprezzare le previsioni economiche. Non lo ha affatto affermato. Non le avrebbe chiamate “importanti”.
La seconda interpretazione, molto più aderente al testo, riguarda l’intrinseca imperfezione delle previsioni degli economisti. E penso che nella frase di papa Ratzinger questo concetto vi sia. Egli non ignora certamente che una scuola economica denominata “austriaca”, molto nota in Germania e anche in Italia, che fa capo a Fredrich von Hayek sostiene, con convincenti argomenti, che la conoscenza economica è limitata perché la razionalità umana è limitata e le condotte macro economiche dipendono da scelte dei singoli che interagiscono fra i loro. I vari soggetti fanno simultaneamente in situazioni di informazione che, necessariamente, è incompleta. Questa impostazione metodologica suggerisce di non peccare di orgoglio quando si fanno previsioni economiche. E, sulla base di questo, essa comporta che è errato e pericoloso pretendere di attuare una pianificazione tecnocratica che si sostituisca al mercato o lo voglia correggere in modo perfezionistico. Si tratta di una critica, quella al razionalismo perfezionistico, che il Papa ha spesso avanzato, più in generale. Dunque non è infondato ritenere che quel “pur” che egli ha premesso alla parola “importanti” con riferimento alle previsioni economiche abbia questo significato.
Ma la sua affermazione ha anche un senso diverso e ancora più importante. Il futuro dipende da noi, noi possiamo modificare le previsioni con la nostra condotta. Il “noi” si riferisce ai governi, alle imprese, alle famiglie, ai corpi intermedi come le organizzazioni sindacali e quelle degli imprenditori e le varie associazioni di categoria e di interesse. Il “noi” riguarda anche i docenti e gli organi di stampa e le associazioni e fondazioni che elaborano il pensiero economico, politico, sociale e ne traggono tesi e suggerimenti per l’azione pubblica e per la pubblica opinione. Come la Fondazione e il giornale per cui sto scrivendo questo articolo.
Il Papa aggiunge che c’è una mano invisibile, che ci aiuta e che non è solo quella teorizzata da Adam Smith cioé la forza del mercato o quella teorizzata, in modo più ampio, da Fredrich Von Hayek, ossia l’ordine spontaneo, che si realizza tramite le interazioni umane nel corso del tempo, in tempi lunghi . E’ la mano invisibile di un ordine superiore. Tuttavia, non ci esime da fare il nostro dovere, al contrario ci stimola a farlo, senza necessariamente pretendere che, “facendo la cosa giusta”, avremo successo.
Tornando così alle previsioni economiche, importanti ma solo entro certi limiti, noi possiamo dire che, intanto quelle sul Pil riguardanti il 2009, fatte nel 2008 oppure all’inizio dell’anno appena concluso non si sono avverate. Le stime sull’andamento del Pil di quest’anno erano le più disparate. E sino a metà del 2009 sono state continuamente riviste in peggio, poi è cominciato un ritocco in meglio (l’anno chiude con un andamento migliore di quello previsto, ma pur sempre di recessione). La crisi vera però non c’è stata. Infatti se ci fosse stata la caduta dell’indice dei prezzi, che aveva portato a una inflazione negativa di zero in luglio in Italia e di -0,2 nell’Unione europea , -0,5 nell’area euro e -2 negli Usa, sarebbe proseguita. Invece in agosto c’è stata una inversione generale di tendenza. L’indice ha ripreso a salire e in Italia, nell’Unione europea, nell’area euro, negli USA. E l’anno chiude in Italia con una inflazione media dello 0,8 per cento, che indica che i consumi hanno retto.
L’economia, nonostante la caduta del Pil la cui entità è ancora difficile da determinare, ha tenuto a causa della politica economica e sociale del governo. Esso, con un uso parsimonioso della spesa pubblica, è riuscito a far funzionare al meglio gli ammortizzatori sociali attenuando la crescita della disoccupazione che è a livelli notevolmente inferiori alla media europea ed ha inserito nell’economia alcuni stimoli agli investimenti.
Il sistema del credito, un po’ acciaccato, ha retto. Il successo dello scudo fiscale che ha portato in Italia al 15 dicembre 95 miliardi di euro, di cui il 95 per cento con rimpatrio effettivo, dà ossigeno al finanziamento della nostra economia. E la sua proroga al 30 aprile consentirà ulteriori rientri. Il successo è dipeso dal fatto che, contemporaneamente, il governo ha effettuato e sta effettuando una ampia azione di contrasto all’evasione fiscale, con particolare riguardo a quella internazionale. Ma è anche dipeso dalla fiducia che ora gli italiani hanno nel governo, dal punto di vista della tutela dei risparmi e quindi del ripudio di aliquote tributarie vessatorie sugli alti redditi nonché del ripudio di imposte patrimoniali o di altre misure di giustizialismo fiscale demagogico.
D’altra parte poiché lo scudo fiscale ha reso più del previsto è ora possibile un decreto di gennaio di rilancio dell’economia basato sul maggior gettito, che è attualmente di circa un miliardo rispetto a quello indicato prudenzialmente nella legge finanziaria. Ora la fiducia dei consumatori è in aumento.
L’indice di fiducia dei consumatori rilevato dall’Isae, che l’istituto pubblico di previsione economica, il 23 dicembre dell’anno scorso mostrava un aumento a 113,7 da 112, 8 del mese precedente. E ciò lo posizionava sul livello più alto dal luglio del 2002. Alla fine di dicembre l’Isae ha comunicato anche l’indice di fiducia delle imprese. Anche esso è in crescita, sebbene sia ancora inferiore a 100. Dal 79,4 di novembre è aumentato a 82,6 in dicembre. Il Mezzogiorno, che pareva l’area con più difficoltà perché l’indice che era in novembre al livello di 77,9, In dicembre si è portato al livello di 84, 2 con un balzo di 6,3 punti. Il recupero complessivo di questo indice a livello nazionale dipende dalla crescita del portafoglio di ordini sopratutto sui mercati esteri e dal miglioramento delle attese di produzione.
Migliora anche il giudizio sull’accesso al credito. Il recupero è guidato dall’indice per i beni di consumo che è arrivato a 89,6 mentre quello per i beni intermedi è a 80 e quello per i beni di investimento a 76: con un ciclo che si trasmette dai beni di consumo a quelli intermedi, a quelli che riguardano le nuove capacità produttive, sui mercati interni e internazionali. Benché le previsioni per il futuro siano incerte e fallibili, possiamo arguire, sulla base di queste indicazioni, che davanti a noi c'è un miglioramento. Ma esso dipende in grande misura da noi. E dalla fiducia che noi riponiamo nel futuro. Certo esso non dipende solo da noi, ma anche da noi. Ciascuno di noi può portare il suo granellino di sabbia o argilla per l’edificio del 2010. Che non sarà il più alto del mondo, come il grattacielo di 828 metri Dubai inaugurato ieri, ma sarà, si spera, una casa accogliente. Dopo tutto, l’anno che ci siano lasciati alle spalle non è stato un anno terribile, come si diceva da parte di molti organi di previsione internazionale. E ciò dipende dal fatto che l’Italia è molto più saggia e robusta di come la si usi dipingere.
(C) L'Occidentale, 5-1-2010
Psicofarmaci per bambini. Una moda pericolosa - Undici milioni di prescrizioni di antidepressivi e 2,5 milioni di antipsicotici ai giovani ogni anno. Le prescrizioni di psicofarmaci sono in continuo aumento in Occidente e tale aumento sembra non avere sempre una giustificazione clinica. Il cambiamento di paradigma culturale ha molto a che vedere con gli interessi dell'industria farmaceutica…
di José María Simón Castellví
Presidente della Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche
Undici milioni di prescrizioni di antidepressivi e 2,5 milioni di antipsicotici ai giovani ogni anno. Negli Stati Uniti la probabilità per un bambino o una bambina orfani di assumere farmaci è sedici volte superiore alla media. E una visita dallo psichiatra su cinque da parte di una persona giovane si conclude con una ricetta di un antipsicotico. Sono i dati raccolti dal nostro gruppo di lavoro; la federazione che ho l'onore di presiedere è preoccupata per l'allarmante aumento delle prescrizioni di psicofarmaci ai bambini, soprattutto negli Stati Uniti.
Tuttavia, l'aumento incessante di tali prescrizioni si osserva in tutti i Paesi del cosiddetto mondo occidentale (300% in più negli ultimi dieci anni). La percentuale dei giovani che prendono uno o più farmaci per il trattamento di problemi di comportamento è del 9% negli Stati Uniti, del 6% in Gran Bretagna e del 3% in Australia. Non si spiegano le differenze che ci possono essere fra un bambino o un giovane australiano e uno nordamericano... Ci si può chiedere se questo tasso di prescrizioni sia giustificato dall'evidenza delle prove cliniche, se tali farmaci siano sicuri ed efficaci, o se sia realmente necessaria la polimedicazione. Sarebbe interessante capire perché c'è una maggiore incidenza di depressioni negli Stati Uniti e in altri paesi ricchi rispetto ai paesi poveri o se i medici che prescrivono di routine gli psicofarmaci seguono i mandati etici e scientifici della medicina basata sull'evidenza.
Le diagnosi di iperattività o di disturbi del comportamento sono frequentemente associate alla prescrizione di antipsicotici, per cui possiamo dedurre che questi farmaci si utilizzano per controllare irritabilità e aggressività e si aggiungono agli stimolanti che paradossalmente si prescrivono contro l'iperattività. Gli studi sull'uso di antipsicotici nei bambini sono pieni di serie limitazioni metodologiche, che includono campioni troppo piccoli, test aperti o scarsa evidenza. In molte occasioni la necessaria "cecità" nelle prove cliniche (né il medico né il piccolo paziente o i suoi genitori sanno se prende un farmaco o un placebo) non si applica o è molto difficile da mettere in pratica. Vediamo alcune spiegazioni dell'aumento delle diagnosi e delle prescrizioni.
L'infanzia e il passaggio alla vita adulta in Occidente sono drasticamente cambiati per molte ragioni ben note alla comunità cattolica: la crisi della famiglia estesa, l'aumento dei divorzi e delle famiglie monoparentali, l'incentrarsi più sull'individuo e meno sulle relazioni interpersonali, sulla famiglia o sulla comunità, i cambiamenti di vita dovuti alla secolarizzazione, al materialismo e al consumismo.
La depressione, l'ansia e le condotte aggressive sono quindi in aumento in Occidente. I comportamenti dei bambini devono essere intesi come un riflesso del loro contesto di vita. L'aumento dei problemi emozionali e di comportamento in bambini e adolescenti ha la sua genesi in una società iperstimolata, dove le immagini dei mezzi di comunicazione saturano il desiderio di sazietà, di felicità e di beni materiali della persona, offrendole aspettative irreali. Quelli che non si adeguano agli standard di comportamento e di controllo definiti dai genitori, dalle scuole e dai governi, si trasformano in "problemi" che si devono risolvere. E la risposta automatica è molto spesso la prescrizione di un farmaco. Il distress del bambino si riduce a una "alterazione biochimica". Man mano che si realizzano sempre più diagnosi e che sempre più pazienti e personale medico si sentono a proprio agio rispondendo con la medicalizzazione, l'alterazione medica diviene strutturale e definisce secondo la propria convenienza la situazione di "normalità" di un comportamento infantile. La medicalizzazione fa aumentare l'influenza degli "esperti" che prescrivono farmaci e, nello stesso tempo, si consolida nella cultura dominante. E le diagnosi possibili sono sempre di più; si è passati da 50 a 400 dal primo Diagnostic and Statistical Manual della American Psychiatric Association.
Purtroppo questa situazione rende molto difficili o impossibili altre terapie o approcci che potrebbero a loro volta recare benessere ai bambini, alle loro famiglie e alla società.
È giusto interrogarsi anche sul ruolo svolto in questo campo dal desiderio di lucro dell'industria. Molti studi clinici sono finanziati dall'industria farmaceutica. Ed esiste una correlazione diretta fra il finanziamento dello studio e i suoi risultati. I centri accademici e le agenzie governative, come pure il discredito pubblico, l'autocontrollo o le sentenze giudiziarie, sono un freno solo parziale alle pratiche abusive di una certa industria. È molto difficile che l'informazione sui farmaci non sia influenzata, in qualche modo, dall'industria che li vende. Per esempio, l'American Psychiatric Association ha ricevuto nel 2006 un terzo del proprio finanziamento (62,5 milioni di dollari) dall'industria farmaceutica ("New York Times", 7/12/2008). Discernere fra buona scienza (che esiste) e buon marketing (che a sua volta esiste) non è sempre facile.
Possiamo di conseguenza affermare che le prescrizioni di psicofarmaci sono in continuo aumento in Occidente, che tale aumento sembra non avere sempre una giustificazione clinica, che il cambiamento di paradigma culturale ha molto a che vedere con ciò e che gli interessi dell'industria farmaceutica spiegano in parte questo aumento. I dati con cui lavoriamo nella Fiamc non sono infallibili; alla loro base c'è, comunque, un lavoro molto completo, fatto in buona fede e tenendo conto della medicina basata sull'evidenza. Non siamo per principio contro l'uso dei psicofarmaci nei bambini; in alcune occasioni sono necessari. Siamo però contrari al loro abuso o uso non corretto. Noi medici dobbiamo pensare sempre ad altre possibilità prima di prescrivere un farmaco a un bambino. Per questo, come si legge nei nostri statuti, collaboriamo allo sviluppo della professione medica e promuoviamo la salute e il lavoro sociale, specialmente nei nostri involontari piccoli pazienti.
L'Osservatore Romano - 24 dicembre 2009
La dittatura del relativismo e l’Irlanda - di Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=16942 -www.culturacattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
L’Irlanda è tutt’oggi una nazione profondamente cattolica, ma sulle pagine dei giornali viene presentata come il paese della arretratezza culturale e sociale, a causa della sua opposizione al Trattato di Lisbona, della sua legislazione pro-life (nel 1983 la Costituzione è stata addirittura emendata per affermare che il feto possiede il diritto alla vita fin dal suo concepimento) e degli abusi su minori che hanno trovato radici – purtroppo! – anche in una minoritaria parte del clero e dei religiosi. In fondo – è questa la tesi sommersa che si vuol far passare - l’Irlanda è così arretrata perché è profondamente cattolica.
Non si dimentichi, però, che per la vulgata della “dittatura del relativismo” tutto ciò che è cattolico è sempre anti progresso e anti umano.
Ed ogni opportunità serve a riaffermarlo…
Narriamo un caso di sana caparbietà irlandese. - Caparbietà irlandese
Gente davvero caparbia gli irlandesi.
Mentre l’Avvocato Generale dello Stato Paul Gallagher, lo scorso 9 dicembre, difendeva strenuamente la legislazione irlandese antiabortista davanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a Dublino la Corte Suprema, con una pronuncia unanime, riconosceva ad un donatore di sperma il diritto di visitare il proprio figlio allevato da una coppia di lesbiche.
Cosa centri questo caso con i giudici di Strasburgo è presto detto.
La vicenda comincia quando un quarantunenne omosessuale decide di donare il proprio sperma ad una coppia di lesbiche, sue care amiche, per consentire loro di coronare il desiderio di maternità. Viene pure stipulato un contratto in cui le donne riconoscono al padre biologico la possibilità di vedere il figlio ed essere considerato dal bimbo un «favorite uncle», uno zio prediletto. Dopo due anni, rotta l’amicizia con l’inconsueto “zio”, le due donne decidono di trasferirsi in Australia e portare con loro il bambino. Segue l’azione legale dell’uomo per impedire che gli venga negato il diritto di visitare il proprio figlio naturale. E qui sorgono i problemi. Nell’aprile 2008, l’Alta Corte irlandese, giudice di primo grado in materia, dà ragione alla coppia lesbica sulla base di un ragionamento giuridico del magistrato John Hedigan, il quale, guarda caso, è stato per quasi dieci anni membro della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in quota irlandese. Ormai condizionato dalla giurisprudenza di quella corte internazionale, il giudice Hedigan ha ritenuto, infatti, di riconoscere alla coppia di donne lo status giudico di una «de facto family», con la conseguente applicazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La sentenza viene impugnata ed il caso giunge davanti la Corte Suprema che lo scorso 10 dicembre (giorno successivo alla discussione della legge antiabortista davanti alla Corte di Strasburgo) riforma la decisione che dava ragione alle lesbiche, sotto due profili: uno relativo al riconoscimento delle famiglie di fatto ed uno riguardante i rapporti tra la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e legislazione irlandese.
Il giudice Susan Denham, membro della Corte Suprema, ha ribadito, infatti, che la regola d’oro costituzionale della famiglia formata da un uomo ed una donna regna suprema («reigns supreme») nell’ordinamento giuridico irlandese e che nessuna parvenza di riconoscimento può essere data a forme di convivenza diverse da quel «constitutional golden standard» che è appunto il matrimonio tra persone di sesso diverso.
Sempre secondo la Denham, «la coppia di lesbiche non può considerarsi una famiglia e pertanto il loro rapporto con il bambino non può essere considerato prevalente rispetto al rapporto tra lo stesso bambino e il proprio padre naturale», né «può essere ignorato l’indubbio beneficio che il figlio può trarre dalla relazione con il proprio padre».
Ma il colpo ferale alla sentenza di primo grado favorevole alle donne l’ha dato il Presidente della Corte Suprema, John Murray, sul punto dei rapporti con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Murray, infatti, ha contestato decisamente che nel caso di specie si potesse invocare l’applicazione dell’art. 8 di quella convenzione. Ma è andato oltre nel suo ragionamento. Ha colto, infatti, l’occasione per precisare che proprio per le particolari modalità con cui la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è stata introdotta nel sistema giuridico irlandese, «i magistrati irlandesi possono – in punto di principio – persino ignorarla». Può valere, tutt’al più, come un mero strumento interpretativo («interpretative tool»), con un valore persuasivo che si pone ad un «livello puramente economico, sociale o morale».
I giudici di Strasburgo sono avvertiti!
di Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=16942
www.culturacattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
Biotestamento & company: nel 2010 ripartiamo dal messaggio di Patrizia - Autore: Pandolfi, Massimo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 4 gennaio 2010
Pubblichiamo questo intervento del nostro amico giornalista Massimo Pandolfi, sperando che inizi un dialogo tra uomini che amano la vita. Come altri hanno testimoniato: «Un antidoto all’eutanasia: visitare gli ammalati»
Testamenti biologici, eutanasia, fine vita: tempo pochi giorni e si tornerà a discutere su questi argomenti. A Roma, alla Camera, si dovrà licenziare il disegno di legge già passato al Senato; a Bologna e un po’ in tutta Italia i politici locali continueranno a litigare sull’istituzione dei simbolici registri comunali dei testamenti biologici: il 9 febbraio si celebrerà il primo anniversario della morte di Eluana Englaro e, neanche dieci giorni dopo, Povia canterà a Sanremo la straziante storia della ragazza che ha spaccato l’Italia. Ci si dividerà anche al festival, vedrete.
Oggi proviamo fornirvi un approccio diverso a questi temi: un’esperienza più che un ragionamento. Un’esperienza che qualche giorno fa mi ha ‘scritto’ con il battito degli occhi (è l’unico modo che ha per comunicare) un’amica romagnola: si chiama Patrizia Donati, ha 52 anni e 17 anni fa è stata colpita da un ictus. Da allora è immobile, non parla, dipende da tutto e da tutti. E’ ospite della Casa della Carità di Bertinoro. «Tanti anni fa, quando stavo ancora bene, se avessi pensato di trovarmi nella situazione di oggi avrei probabilmente sostenuto che era meglio non vivere e porre fine a un’esistenza che, agli occhi del mondo, sembra non avere senso. Oggi credo che, fino a quando ci sono persone disposte a volermi bene e a ‘curare’ con amore le mie disabilità, io possa vivere, e proprio perché mi trovo in una situazione così precaria, sento di amare la vita più di prima. Il valore della vita si scopre nelle piccole cose che ci vengono date ogni giorno, nelle persone amiche che non ci abbandonano».
Patrizia lancia una sfida che, visti i tempi, è in qualche modo rivoluzionaria. E che magari sottintende anche un nuovo modo di interpretare l’esistenza, il suo significato, il concetto stesso di libertà; per i disabili, certo, ma un po’ anche per noi ’sani’. Forse libertà vera non è solo il diritto di ‘spegnere la luce’ quando non ce la si fa più: forse libertà vera vuol dire aiutare chi soffre a ritrovare una strada per ridare un senso a tutto. E una strada c’è sempre, può esserci sempre.
Ce lo insegna Patrizia: nel suo dolore, nel suo mistero, nel suo grido di speranza. Con la sua — sì, diciamolo senza paura — vita. Vita piena e vera.
Vai al sito di Massimo Pandolfi
A TREVISO UNA STORIA DI NATALE TUTTA DA RACCONTARE - Sara e il suo bambino: gran notizia che non fa rumore - GABRIELLA SARTORI – Avvenire, 6 gennaio 2010
Fino all’Epifania le favole di Natale si possono raccontare. Se poi sembrano favole ma sono storie vere, raccontarle è necessario. La notte del 23 dicembre scorso, Sara, di Montebelluna, Treviso, trentadue anni, incinta alla ventinovesima settimana, si sente male. Diagnosi pesante: « aneurisma dissecante all’aorta ascendente » , patologia molto grave in sé ma ancora più grave in quanto Sara non solo è incinta ma ha anche già subito un importante intervento al cuore, di diversa natura, nel 2005. Sara e il bambino che porta in grembo hanno bisogno urgente di ricovero in una struttura altamente attrezzata: se no, moriranno tutti e due. Comincia il giro convulso di telefonate in vari ospedali del Veneto e del Friuli, ma il posto non si trova: periodo difficile, molti operatori hanno appena cominciato le agognate ferie natalizie. All’ospedale civile ' Ca’ Foncello' di Treviso, il cardiochirurgo professor Carlo Valfrè, con la sua équipe, è impegnato in un intervento d’urgenza. Ma i dirigenti di Ca’ Foncello non si arrendono. Con un giro di telefonate, fanno l’impossibile per reperire altro personale in tempi record, medici, infermieri, ostetriche, anestesisti: e ci riescono. Anche perché trovano in tutte le persone allertate la massima disponibilità a tornare immediatamente in servizio anche se sono appena rientrati a casa per il meritato riposo e si apprestano a festeggiare il Natale in famiglia.
Nessuno dice di no: in poche ore nasce una seconda équipe cardiochirurgica in grado di far fronte alla difficile situazione.
L’elicottero del Suem porta la mamma Sara a Ca’ Foncello alle sedici e trenta. Comincia l’intervento. Sara dice: pensate prima al bambino. Così si fa: alle sedici e 41, il primario di ginecologia Giuseppe Dal Pozzo e la patologa neonatale dottoressa Linda Bordignon portano alla luce Lorenzo, 942 grammi di peso, vitale e sano. È il primo bambino trevigiano che nasce in cardiologia.
Poi comincia l’intervento su Sara: otto ore di duro lavoro e alle due di notte della vigilia è salva anche lei.
Cardiologia dei miracoli quella natalizia di Treviso? Chi se ne intende, dice che l’espressione non è esagerata. Però di questa meravigliosa storia nessuna traccia è arrivata sui mass media nazionali.
I quali, anche a Natale, non hanno mancato di informarci di tutt’altre vicende. Vedi il caso della sfortunata bambina di Agrigento che ha perduto la vita in quanto non soccorsa in tempo dai volontari (?) del 118: che avrebbero litigato per ore su chi avesse il compito di intervenire prima di passare ai fatti.
O l’altra bambina di Cosenza, cui medici... disattenti, hanno ingessato il braccino sano invece di quello rotto. Anche stavolta, il circo mass- mediatico italiano ha obbedito all’antica , cinica legge secondo la quale « una buona notizia non è una notizia » . E che importa se, a dare solo cattive notizie, si altera in negativo il profilo morale e professionale del Paese, si distrugge la speranza delle persone, si scoraggiano i giovani.
Nel suo discorso di Capodanno alla nazione, il presidente Napolitano ha detto con forza che l’Italia reale è migliore di come la si fa apparire. Il presidente dice il vero, e chi sta in mezzo alla gente lo sa. Tanto più noi credenti per i quali Natale o ' è' la Buona Notizia o non è Natale. Per questo, noi sappiamo che, a Treviso, quest’anno il Bambino è nato in un reparto di cardiologia, che sua madre, che l’ha voluto a rischio della vita, si chiama Sara, che gli angeli sono scesi dal cielo con l’elicottero del Suem, e che i pastori che l’hanno soccorso indossavano i camici bianchi della sala operatoria. È una buona notizia: e vogliamo che sia conosciuta.
La coscienza stordita da una pioggia di pillole - Le donne, in particolare le più giovani, sono oggi bombardate da messaggi per indurle ad affidarsi a farmaci che promettono di garantire loro un rapporto nuovo col proprio corpo e il suo potere di dare la vita Un terribile inganno culturale - di Paola Ricci Sindoni – Avvenire, 7 gennaio 2010
Sembrano due mondi paralleli, destinati a non incontrarsi mai, quelli che gravitano nel corridoio del reparto ginecologico di qualsiasi ospedale italiano: da un lato donne, affette da patologie più o meno gravi all’apparato femminile, insieme a madri incinte, in attesa di un controllo; dall’altro gruppi, sempre più numerosi, perlopiù giovani, spesso giovanissime, annoiate per l’attesa, indifferenti a ciò che le circonda, assenti e distratte, spesso sole ad abortire, aspettando il proprio turno, come quando si va dal dentista. Eppure tutte quante sono donne, e, anche se di età diverse, hanno lo stesso corpo, denso simbolo universale che garantisce uno spazio comune a una ragazza cinese, a una adolescente australiana, a una donna indiana o italiana, lo stesso corpo che è quello di una giovane madre o di una anziana donna, di una ragazzina, di una professionista o di una casalinga.
Forse è da questo tratto comune che bisogna partire, per ascoltare il linguaggio del corpo, così da 'sviscerarne' il principio, cogliendone cioè quell’autocomprensione di sé che parte appunto dalle 'viscere'.
Invece che dai concetti o dalle rappresentazioni (perché il corpo non è mai un’allegoria della mente), conviene entrare nell’esperienza del 'corpo vissuto', là dove la natura, con tutto il suo carico di potenzialità inespresse, incrocia la cultura, quella dominante, che – ripetendo antichi slogan femministi – continua a considerare il corpo come proprietà intoccabile, da gestire in prima persona, senza alcuna influenza esterna.
In tale prospettiva è del tutto 'naturale' provvedere, con i mezzi offerti dalla tecnoscienza clinica e farmacologica, sia essa la Ru486 o la cosiddetta 'pillola del giorno dopo', a rimuovere l’ostacolo che pare bloccare l’equilibrio del proprio benessere, quello che il corpo rimanda, quando tutto sembra tornare al proprio posto. Allo stesso modo della carie infetta di un dente o del dolore che percuote un ginocchio.
Perché dovrebbe esserci differenza, se il corpo è mio e lo vivo come voglio?
Perché 'permettere' che qualcosa di 'altro' si insinui tra me e il mio corpo? E dal corpo vogliamo ci restituisca quel benessere che costantemente ricerchiamo, perché vogliamo – sacrosanto diritto – 'sentirci bene'.
L’
obiettivo di perseguire in modo ottimale la 'qualità' della vita è del resto un bene legittimato socialmente, finendo con il moltiplicare vari modelli di salute, che non è più, o non solo, rimozione di una patologia, ma soprattutto autogestione del proprio corpo, governato ormai dal cosiddetto paradigma della 'salute-desiderio', tipico prodotto della società dell’immagine, in cui la dimensione dell’apparire si insinua nelle dinamiche di consumo dei prodotti chirurgico-estetici, cosmetico-salutistici, utilizzati come toccasana per i problemi di performance sociale, come il sovrappeso, la calvizie, le rughe, eccetera.
L’
impatto di queste costruzioni sociali intorno alla cura del corpo – oggi ogni buon hotel ha organizzato al suo interno un salone del benessere – non può che toccare in profondità la percezione di sé che ogni donna, specie se giovane, rivendica soprattutto quando una gravidanza indesiderata prorompe con tutto il suo carico emotivo e il suo impatto sociale. Tutto sembra allora ricadere nella sfera della sensibilità soggettiva e della autonoma libertà di scelta; un vero e proprio attentato al proprio corpo a cui si deve presto porre rimedio.
Nasce da qui il plauso per la farmacologizzazione dell’aborto, ben più adatta (una semplice pillola) a rimuovere il problema, anzi, il trauma psicologico che questo comporta. Ma le cose stanno davvero così? Siamo davvero sicuri che il corpo risponde alle pressioni soggettive, rientrando in toto nella disponibilità di chi lo incarna? Certo, ciascuno di noi deve impegnarsi a promuovere il suo bene-essere, ma deve pur rispettare i ritmi biologici, le dinamiche organiche dell’essere incarnati dentro un corpo particolare, di cui non certo noi abbiamo deciso i tratti: gli occhi, lo sguardo, la forma del volto, i modi di gesticolare, tutto quanto insomma ci fa essere così e non altri, e che nessuna correzione chirurgica può eliminare.
Il corpo inoltre, ciò che noi concretamente siamo di fronte al mondo, non è una macchina da correggere, un insieme di funzioni oscure che ognuno trascina con sé dalla nascita e che ci accompagnerà per tutta l’esistenza: è invece un organismo vigile e accorto, che pretende da ciascuno tutela, cura, attenzione quotidiana. Così come non posso riempire lo stomaco fino a stare male o sottoporre gli occhi a un forte stress visivo fino ad accecare, dovrei anche rispettare quell’organo, che la natura provvede a custodire una nuova vita, quel 'contenitore', insomma, che tante, troppe sollecitazioni, specie in giovane età, sfibrano provocando patologie.
Questo non è certo terrorismo moralistico, ma è il risultato di uno studio pubblicato dal Britrish Journal of Cancer , in cui una équipe di ricercatori sostiene che la precoce vita sessuale è abitudine dannosa per la salute, non solo per il rischio di gravidanze non volute ma per il pericolo raddoppiato di sviluppare il cancro alla cervice per opera del virus Hpv. Addirittura maggiore anche nelle donne che hanno avuto il primo rapporto sessuale a 20 anni rispetto a quelle che avevano vissuto la loro prima volta a 25...
Così come una sana politica ecologica ci impone di rivedere i nostri sistemi di sfruttamento della natura, pronta a reagire violentemente quando equilibri secolari si infrangono, così una prudente ecologia umana vorrebbe che la scoperta e la cura del proprio corpo non conducesse all’idea che ne siamo padroni assoluti, quanto piuttosto custodi di quello straordinario organismo che ci abita.
Ogni essere umano – lo si sa – inizia la sua vita 'abitando' all’interno di un altro essere umano, una donna, così che i due corpi sperimentano insieme – nei nove mesi, tanto dura la convivenza – che la carne che ci costituisce non è soltanto soggetto di esperienza ma principio, inizio di un corpo che viene alla vita, vita ospitata nella casa di un altro corpo.
Bisognerebbe essere capaci di riudire in noi il rumore della nostra nascita, quando in principio portiamo in noi la percezione dell’essere donati alla vita, in quel lampo dell’inizio in cui siamo venuti nel mondo.
1) Benedetto XVI: c'è sintonia tra ragione e fede, scienza e rivelazione - Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus
2) Messa del Papa nella Basilica Vaticana per la Solennità dell’Epifania
3) Ad Amsterdam, che cosa resta del Natale - di Marina Corradi - Avvenire 23-12-2009
4) Come si fa a dire che il Papa ha paragonato gli economisti ai maghi? - del Prof. Francesco Forte, Docente all'Università Mediterranea di Reggio Calabria
5) Psicofarmaci per bambini. Una moda pericolosa - Undici milioni di prescrizioni di antidepressivi e 2,5 milioni di antipsicotici ai giovani ogni anno. Le prescrizioni di psicofarmaci sono in continuo aumento in Occidente e tale aumento sembra non avere sempre una giustificazione clinica. Il cambiamento di paradigma culturale ha molto a che vedere con gli interessi dell'industria farmaceutica…
6) La dittatura del relativismo e l’Irlanda - di Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=16942 -www.culturacattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
7) Biotestamento & company: nel 2010 ripartiamo dal messaggio di Patrizia - Autore: Pandolfi, Massimo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 4 gennaio 2010
8) A TREVISO UNA STORIA DI NATALE TUTTA DA RACCONTARE - Sara e il suo bambino: gran notizia che non fa rumore - GABRIELLA SARTORI – Avvenire, 6 gennaio 2010
9) La coscienza stordita da una pioggia di pillole - Le donne, in particolare le più giovani, sono oggi bombardate da messaggi per indurle ad affidarsi a farmaci che promettono di garantire loro un rapporto nuovo col proprio corpo e il suo potere di dare la vita Un terribile inganno culturale - di Paola Ricci Sindoni – Avvenire, 7 gennaio 2010
Benedetto XVI: c'è sintonia tra ragione e fede, scienza e rivelazione - Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questo mercoledì da Benedetto XVI prima della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro, in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Celebriamo oggi la grande festa dell’Epifania, il mistero della Manifestazione del Signore a tutte le genti, rappresentate dai Magi, venuti dall’Oriente per adorare il Re dei Giudei (cfr Mt 2,1-2). L’evangelista Matteo, che racconta l’avvenimento, sottolinea come essi arrivarono fino a Gerusalemme seguendo una stella, avvistata nel suo sorgere e interpretata quale segno della nascita del Re annunciato dai profeti, cioé del Messia. Giunti, però, a Gerusalemme, i Magi ebbero bisogno delle indicazioni dei sacerdoti e degli scribi per conoscere esattamente il luogo in cui recarsi, cioè Betlemme, la città di Davide (cfr Mt 2,5-6; Mic 5,1). La stella e le Sacre Scritture furono le due luci che guidarono il cammino dei Magi, i quali ci appaiono come modelli degli autentici cercatori della verità.
Essi erano dei sapienti, che scrutavano gli astri e conoscevano la storia dei popoli. Erano uomini di scienza in un senso ampio, che osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l’uomo. Il loro sapere, pertanto, lungi dal ritenersi autosufficiente, era aperto ad ulteriori rivelazioni ed appelli divini. Infatti, non si vergognano di chiedere istruzioni ai capi religiosi dei Giudei. Avrebbero potuto dire: facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno, evitando, secondo la nostra mentalità odierna, ogni "contaminazione" tra la scienza e la Parola di Dio. Invece i Magi ascoltano le profezie e le accolgono; e, appena si rimettono in cammino verso Betlemme, vedono nuovamente la stella, quasi a conferma di una perfetta armonia tra la ricerca umana e la Verità divina, un’armonia che riempì di gioia i loro cuori di autentici sapienti (cfr Mt 2,10). Il culmine del loro itinerario di ricerca fu quando si trovarono davanti "il bambino con Maria sua madre" (Mt 2,11). Dice il Vangelo che "prostratisi lo adorarono". Avrebbero potuto rimanere delusi, anzi, scandalizzati. Invece, da veri sapienti, sono aperti al mistero che si manifesta in maniera sorprendente; e con i loro doni simbolici dimostrano di riconoscere in Gesù il Re e il Figlio di Dio. Proprio in quel gesto si compiono gli oracoli messianici che annunciano l’omaggio delle nazioni al Dio d’Israele.
Un ultimo particolare conferma, nei Magi, l’unità tra intelligenza e fede: è il fatto che "avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2,12). Sarebbe stato naturale ritornare a Gerusalemme, nel palazzo di Erode e nel Tempio, per dare risonanza alla loro scoperta. Invece, i Magi, che hanno scelto come loro sovrano il Bambino, la custodiscono nel nascondimento, secondo lo stile di Maria, o meglio, di Dio stesso e, così come erano apparsi, scompaiono nel silenzio, appagati, ma anche cambiati dall’incontro con la Verità. Avevano scoperto un nuovo volto di Dio, una nuova regalità: quella dell’amore. Ci aiuti la Vergine Maria, modello di vera sapienza, ad essere autentici ricercatori della verità di Dio, capaci di vivere sempre la profonda sintonia che c’è tra ragione e fede, scienza e rivelazione.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Sono lieto di indirizzare il mio augurio più cordiale ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali che celebrano domani il santo Natale. Il mistero di luce sia fonte di gioia e di pace per ogni famiglia e comunità.
Nella solennità dell’Epifania ricorre la Giornata Missionaria dei Bambini, con il motto "I bambini aiutano i bambini". Promossa dal Venerabile Papa Pio XII nel 1950, questa iniziativa educa i bambini a formarsi una mentalità aperta al mondo e ad essere solidali con i loro coetanei più disagiati. Saluto con affetto tutti i piccoli missionari presenti nei cinque continenti e li incoraggio ad essere sempre testimoni di Gesù e annunciatori del suo Vangelo.
Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani del Movimento "Tra Noi" e i partecipanti al consueto corteo storico-folcloristico, ispirato quest’anno alle tradizioni delle città di Alatri, Fiuggi e Vico nel Lazio. Mentre rivolgo un pensiero affettuoso ai bambini di Roma, auguro a tutti una buona festa dell’Epifania.
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Messa del Papa nella Basilica Vaticana per la Solennità dell’Epifania
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì nel celebrare la Santa Messa nella Basilica Vaticana, in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Oggi, Solennità dell’Epifania, la grande luce che irradia dalla Grotta di Betlemme, attraverso i Magi provenienti da Oriente, inonda l’intera umanità. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, e il brano del Vangelo di Matteo, che abbiamo poc’anzi ascoltato, pongono l’una accanto all'altro la promessa e il suo adempimento, in quella particolare tensione che si riscontra quando si leggono di seguito brani dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ecco apparire davanti a noi la splendida visione del profeta Isaia il quale, dopo le umiliazioni subite dal popolo di Israele da parte delle potenze di questo mondo, vede il momento in cui la grande luce di Dio, apparentemente senza potere e incapace di proteggere il suo popolo, sorgerà su tutta la terra, così che i re delle nazioni si inchineranno di fronte a lui, verranno da tutti i confini della terra e deporranno ai suoi piedi i loro tesori più preziosi. E il cuore del popolo fremerà di gioia.
Rispetto a tale visione, quella che ci presenta l’evangelista Matteo appare povera e dimessa: ci sembra impossibile riconoscervi l’adempimento delle parole del profeta Isaia. Infatti, arrivano a Betlemme non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione. Gli abitanti di Gerusalemme sono informati dell'accaduto, ma non ritengono necessario scomodarsi, e neppure a Betlemme sembra che ci sia qualcuno che si curi della nascita di questo Bambino, chiamato dai Magi Re dei Giudei, o di questi uomini venuti dall’Oriente che vanno a farGli visita. Poco dopo, infatti, quando il re Erode farà capire chi effettivamente detiene il potere costringendo la Sacra Famiglia a fuggire in Egitto e offrendo una prova della sua crudeltà con la strage degli innocenti (cfr Mt 2,13-18), l'episodio dei Magi sembra essere cancellato e dimenticato. E’, quindi, comprensibile che il cuore e l'anima dei credenti di tutti i secoli siano attratti più dalla visione del profeta che non dal sobrio racconto dell'evangelista, come attestano anche le rappresentazioni di questa visita nei nostri presepi, dove appaiono i cammelli, i dromedari, i re potenti di questo mondo che si inginocchiano davanti al Bambino e depongono ai suoi piedi i loro doni in scrigni preziosi. Ma occorre prestare maggiore attenzione a ciò che i due testi ci comunicano.
In realtà, che cosa ha visto Isaia con il suo sguardo profetico? In un solo momento, egli scorge una realtà destinata a segnare tutta la storia. Ma anche l’evento che Matteo ci narra non è un breve episodio trascurabile, che si chiude con il ritorno frettoloso dei Magi nelle proprie terre. Al contrario, è un inizio. Quei personaggi provenienti dall'Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell’uomo. In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell’amore che si affida a noi. Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui. Tutte vivono, ciascuna a proprio modo, l’esperienza stessa dei Magi.
Essi hanno portato oro, incenso e mirra. Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall’incenso e dalla mirra, e neppure l'oro poteva esserle immediatamente utile. Ma questi doni hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità. La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell'amore che solo può trasformare il mondo.
Non soltanto, quindi, i Magi si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa di nuovo, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è spenta. La visione del profeta si realizza: quella luce non può più essere ignorata nel mondo: gli uomini si muoveranno verso quel Bambino e saranno illuminati dalla gioia che solo Lui sa donare. La luce di Betlemme continua a risplendere in tutto il mondo. A quanti l’hanno accolta Sant’Agostino ricorda: "Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti" (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3,4).
Se dunque leggiamo assieme la promessa del profeta Isaia e il suo compimento nel Vangelo di Matteo nel grande contesto di tutta la storia, appare evidente che ciò che ci viene detto, e che nel presepio cerchiamo di riprodurre, non è un sogno e neppure un vano gioco di sensazioni e di emozioni, prive di vigore e di realtà, ma è la Verità che s'irradia nel mondo, anche se Erode sembra sempre essere più forte e quel Bambino sembra poter essere ricacciato tra coloro che non hanno importanza, o addirittura calpestato. Ma solamente in quel Bambino si manifesta la forza di Dio, che raduna gli uomini di tutti i secoli, perché sotto la sua signoria percorrano la strada dell’amore, che trasfigura il mondo. Tuttavia, anche se i pochi di Betlemme sono diventati molti, i credenti in Gesù Cristo sembrano essere sempre pochi. Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio. Gli studiosi della Scrittura del tempo di Gesù conoscevano perfettamente la parola di Dio. Erano in grado di dire senza alcuna difficoltà che cosa si poteva trovare in essa circa il luogo in cui il Messia sarebbe nato, ma, come dice sant'Agostino: "è successo loro come le pietre miliari (che indicano la strada): mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, essi sono rimasti inerti e immobili" (Sermo 199. In Epiphania Domini, 1,2).
Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell'intimo dall'avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi.
Alla fine, quello che manca è l'umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo. Amen!
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Ad Amsterdam, che cosa resta del Natale - di Marina Corradi - Avvenire 23-12-2009
Amsterdam è festosa, in questi giorni natalizi. Sfarzose luminarie illuminano la Damrak e piazza Dam. Piste di pattinaggio affollate di ragazzi ridenti, Babbi Natale, e le note di “Jingle bells” che escono dai grandi magazzini affollati. Ma cosa resta del Natale in un paese fra i più secolarizzati d’Europa, dove il 58 per cento della popolazione, secondo un’indagine, non sa cosa esattamente è accaduto, quel giorno? In un paese con 900 mila immigrati arabi su 16 milioni di abitanti, e venti moschee nella sola Amsterdam?
La Oude Kerk, la più antica chiesa della città, costruita nel 1309, si erge con la sua mole nel cuore del centro. Attorno, il Red Light District, il quartiere a luci rosse. Dalle vetrine in cui stanno esposte, le prostitute sudamericane e dell’Est bussano ai vetri per attirare l’attenzione dei passanti. Qualcuna indossa un berretto da Babbo Natale. Le guardi e cerchi di immaginare quale storia le ha condotte qui. Loro sorridono, ammiccanti. Ma le mille luci della città sono una ubriacatura che copre la falsa allegria di questi vicoli. Vai oltre. La Neuwe Kerk, la chiesa dove venivano incoronati i re d’Olanda, è un museo. L’unica "chiesa" affollata in città è di Scientology, sei piani in pieno centro. "Istituto di tecnologia religiosa", si legge su un manifesto all’interno. Offrono, gratis, test sullo stress. C’è un sacco di gente.
È strano questo susseguirsi di chiese che non sono più chiese: ma condominii, locali, moschee. Osservi i netturbini, i manovali nelle strade, i camerieri nelle pizzerie: sono quasi tutti marocchini o turchi. Quasi un milione di mani. E anche se quasi altrettanti immigrati vengono da paesi cristiani, gli olandesi, di tutti questi islamici, hanno paura. Il partito di Gert Wilders, della destra populista, è il secondo per consensi, e le elezioni sono fra pochi mesi. Due terzi degli olandesi dicono che gli immigrati sono troppi. In periferia ci sono quartieri come Slotervaart, ghetti unicamente islamici, dove incontrare un olandese è quasi impossibile. Se ne sono andati tutti. Rotterdam poi ha una percentuale di islamici ancora più alta, e un sindaco musulmano. Un giornale americano l’ha chiamata "incubo Eurabia". In realtà, le donne velate che incontri nel centro delle città olandesi sono meno numerose che in certi quartieri di Milano. Benché gli omicidi di Van Gogh e Fortuyn abbiano scosso profondamente gli olandesi, ed esistano imam fondamentalisti, in grande maggioranza gli islamici sembrano voler lavorare e vivere in pace.
La paura dell’Eurabia sembra in verità solo un fatto conseguente a un fenomeno ancora più radicale: la secolarizzazione quasi totale di un paese che, fino all’ultima guerra, era cattolico o protestante, comunque cristiano. Un crollo: solo il 7 per cento dei cattolici oggi va a messa la domenica. Viene battezzato il 16 per cento dei bambini. Su nozze gay ed eutanasia l’Olanda è stata pioniera. "Dopo il Concilio Vaticano II – dice il professor Wim Peeters, insegnante al seminario della diocesi di Haarlem-Amsterdam – la Chiesa olandese è entrata in una crisi profonda. La generazione degli anni Cinquanta se ne andata, e ha dimenticato di educare i suoi figli". Nel 1964 anche l’insegnamento religioso nelle scuole è stato abolito. Due generazioni di olandesi hanno dimenticato l’alfabeto cristiano. Nel registro del seminario di Haarlem, il numero dei preti ordinati precipita alla fine degli anni Sessanta. Nel 1968, nemmeno uno. "Io credo – dice Peeters – che non avremmo niente da temere dall’islam, se fossimo cristiani. E spesso sembra che gli olandesi oggi abbiano paura di tutto: di avere figli, come degli immigrati. Ma la paura è l’esatto contrario della fede".
Cercando, ancora, il Natale, in Oudezijds Voorburgwal al numero 40, nel Red Light District, c’è un piccolo portone. All’ultimo piano del Museum Amstelkring c’è una chiesa, una chiesa clandestina, risalente al tempo delle persecuzioni calviniste che proibivano il culto cattolico. Nel sottotetto un altare, un organo, dieci panche cui i fedeli accedevano di nascosto. "Ons’Lieve Heer op Solder", si chiama la chiesa: il nostro caro Signore in soffitta. Cristo in soffitta, ti chiedi, è questo il Natale di Amsterdam?
Eppure. Nel seminario di Haarlem-Amsterdam oggi ci sono 45 seminaristi, riflesso anche di una forte presenza neocatecumenale. Monsignor Josef Punt, il vescovo, spiega che oggi qualcosa è cambiato rispetto alla crisi più dura, venti o trenta anni fa. Se nel '68 da questo seminario non uscì un solo sacerdote, dice, "oggi ogni anno in tutta l’Olanda vengono ordinati 15 nuovi preti, che mantengono gli organici a livello stabile. In questa diocesi alcune centinaia di persone chiedono ogni anno il battesimo da adulti. Si percepisce una nuova domanda, generata dal senso di vuoto. Certo, parliamo di piccoli numeri. Siamo una Chiesa missionaria. Tutto è da ricominciare da capo. Stiamo creando nei monasteri fuori città dei centri di evangelizzazione per chi, lontano dalla fede, voglia riscoprirla. Nella nostra scuola cattolica a Haarlem non riusciamo ad accogliere tutte le domande di iscrizione. Io ho la sensazione che questi genitori, pure non più credenti, siano affascinati dalla bellezza del cristianesimo, e la desiderino per i figli".
Occorre fiducia per crederci, in questa cittdove dai campanili di chiese che non sono più chiese le campane suonano dolci melodie natalizie. Mille Babbi Natale, e nessun presepe. Tranne uno, piccolissimo, nelle stanze dell’Esercito della Salvezza, vicino alla Centraal Station, alla mensa dei poveri. Venti clochard intirizziti dal freddo, thermos giganti di caffè caldo, e quel piccolo presepe. E poi ancora, in Egelantinstraat 147, quasi periferia, una casa povera. Suoni, ti apre una suora di Madre Teresa. Sono in quattro. Qui, ogni mattina, c’è la messa, ogni sera i vespri. Una cappella disadorna, due suore in adorazione. Sotto l’altare, la mangiatoia del presepe.
Ma se il senso del Natale è una domanda, un’attesa, allora lo incontri ancora nelle vie di questa città. È lo zoccolo vuoto che i bambini depongono nel camino la notte di Santa Klaus, il 5 dicembre, aspettando un dono. Sono quei clochard, e anche, se le guardi negli occhi, quelle giovani prostitute nelle vetrine del Red Light District. Sono i vecchi soli che camminano esitanti sulla neve, temendo di cadere e di finire invalidi in un ospedale dove forse li guarderanno come pesi inutili. Sono le ragazzine alla tavola di una pizzeria italiana dietro il Dam, che cantano tenendosi per mano: "I wish you a merry Christmas and a happy new year". Già, un anno felice. "Nonostante tutto – ci ha detto il professor Wim Peeters – la domanda della felicità, e quindi di Dio, resta sempre, nel cuore dell’uomo".
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"Due generazioni sono state perdute" - Intervista con il cardinale Adrianus Simonis
L’arcivescovo emerito di Utrecht, cardinale Adrianus Simonis, 78 anni, è il "grande vecchio" della Chiesa olandese. conosciuto e amato nel paese, anche dai musulmani. "Forse perchè – spiega sorridendo – ho detto che i musulmani fedeli a Dio andranno nei cieli più alti del Paradiso".
Ma sulla sua Olanda il cardinale, che oggi vive in un paesino del Brabante, Nieuwkuijk, sembra meno ottimista.
"Sì, forse ci sono dei segni di una nuova tendenza, ma parliamo di numeri piccolissimi", dice. "Rimane quella cifra, quel 58 per cento di olandesi che non sanno più cosa sia esattamente il Natale. C’è chi, guardando l’Olanda, è turbato dal numero delle moschee. Lo posso capire, ma il problema autentico qui è anteriore alla immigrazione: è che noi ci siamo perduti, abbiamo perso la nostra identità cristiana. Se questa identità fosse forte, non avremmo paura degli islamici. Si, esiste in Olanda il problema di un fondamentalismo islamico, ma la maggior parte degli immigrati non lo segue. Più che l’integralismo, nelle giovani generazioni islamiche mi preoccupa l’avanzare della secolarizzazione. Temo che finiranno col convertirsi alla vera religione che domina l’Occidente: il relativismo".
(E in effetti, guardando i giovani marocchini nei McDonald’s di Amsterdam, e le loro sorelle in fuseax attillati, viene da domandarsi se le nuove generazioni musulmane non stiano già omologandosi, in tutti in sensi, a noi).
D. – Eminenza, e il razzismo, la xenofobia, non sono problemi qui?
R. – Io non credo. Gli olandesi sono un popolo tollerante. Non vedo all’orizzonte un’onda razzista.
D. – A Haarlem il vescovo dice che si comincia ad avvertire nei giovani un senso di vuoto, la mancanza di ciò che è stato dimenticato…
R. – È vero, in molti avvertono il vuoto. Ma non sanno andare oltre, non sanno cosa domandare, e a chi. Non sono stati educati a riconoscere e a percepire il desiderio del loro cuore. In questo senso sono convinto, come il vescovo Punt, che la Chiesa olandese è veramente chiamata a essere missionaria. Due generazioni sono state perdute. Si tratta di ricominciare da capo, e dentro a una cultura indifferente al cristianesimo, in mezzo a media non amichevoli.
D. – Lei ha 78 anni. Era un bambino ai tempi della guerra. L’Olanda non era, allora, un paese fortemente cristiano? E poi, cosa è successo?
R. – Probabilmente era un cristianesimo troppo segnato da un rigido moralismo. Ne è seguita una ribellione radicale, come radicale è il carattere degli olandesi. Non sono capaci di credere solo “un po’” in qualcosa. Aut, aut. Sono diventati l’opposto di ciò che erano”.
D. – Tuttavia, nel seminario di Haarlem ci sono oggi 45 studenti, e alcune centinaia di adulti ogni anno chiedono il battesimo. Ad Amsterdam ho trovato le suore di Madre Teresa in adorazione davanti al Crocifisso. Pochi, ma forti, i cattolici qui…
R. – È vero. Certo in una situazione come questa il sale è costretto, come dire, a diventare più salato…
D. – Cosa intende dire, nelle messe di Natale, ai fedeli?
R. – Che forse hanno scordato il fatto cristiano, quello che ne è l’essenza: Dio si è fatto uomo, è venuto al mondo nella povertà, umile e fragile come un bambino neonato, per amore nostro.
D. – Sa, eminenza, che poco fa nel piccolo paese qui vicino, Drunen, ho visto un centinaio di bambini uscire dalla chiesa cattolica dove c’era stata una funzione di Natale?
R. – Dev’essere quel giovane prete appena arrivato, che si dà da fare…"
La storia che ricomincia, ancora. Per ricominciare, basta la faccia di un cristiano.
Come si fa a dire che il Papa ha paragonato gli economisti ai maghi? - del Prof. Francesco Forte, Docente all'Università Mediterranea di Reggio Calabria
Benedetto XVI domenica ha affermato che la vera ragione di speranza dell'umanità è fondata sul fatto che “la storia è abitata dalla Sapienza di Dio”. Ed ha messo in guardia i fedeli dagli “improbabili pronostici” dei maghi, degli astrologhi e dei cartomanti e degli oroscopi, invitandoli anche a non lasciarsi impressionare dalle "previsioni economiche, pur importanti degli economisti".
Non è mio compito, naturalmente, spiegare che cosa intenda il Papa quando afferma che la storia è abitata dalla sapienza di Dio. Credo che ognuno, riflettendo lo possa comprendere e che chi si ricorda della lettura dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni lo possa intendere anche più facilmente. Invece dato che questo è il tempo dei consuntivi e delle previsioni economiche, mi pare pertinente riflettere sul resto della frase riguardante le previsioni degli economisti.
Il Papa non ha voluto mettere le previsioni degli economisti sullo stesso piano degli oroscopi, che ha definito come “improbabili pronostici”. Infatti per le previsioni economiche ha usato i due aggettivi “pur importanti”. Dunque queste previsioni sono importanti. Ma il “pur” davanti a “importanti” è limitativo. Ci sono vari modi di intendere questa limitazione. Il primo è una interpretazione che definirei “strumentale ” e sbagliata: che il Papa intenda disprezzare le previsioni economiche. Non lo ha affatto affermato. Non le avrebbe chiamate “importanti”.
La seconda interpretazione, molto più aderente al testo, riguarda l’intrinseca imperfezione delle previsioni degli economisti. E penso che nella frase di papa Ratzinger questo concetto vi sia. Egli non ignora certamente che una scuola economica denominata “austriaca”, molto nota in Germania e anche in Italia, che fa capo a Fredrich von Hayek sostiene, con convincenti argomenti, che la conoscenza economica è limitata perché la razionalità umana è limitata e le condotte macro economiche dipendono da scelte dei singoli che interagiscono fra i loro. I vari soggetti fanno simultaneamente in situazioni di informazione che, necessariamente, è incompleta. Questa impostazione metodologica suggerisce di non peccare di orgoglio quando si fanno previsioni economiche. E, sulla base di questo, essa comporta che è errato e pericoloso pretendere di attuare una pianificazione tecnocratica che si sostituisca al mercato o lo voglia correggere in modo perfezionistico. Si tratta di una critica, quella al razionalismo perfezionistico, che il Papa ha spesso avanzato, più in generale. Dunque non è infondato ritenere che quel “pur” che egli ha premesso alla parola “importanti” con riferimento alle previsioni economiche abbia questo significato.
Ma la sua affermazione ha anche un senso diverso e ancora più importante. Il futuro dipende da noi, noi possiamo modificare le previsioni con la nostra condotta. Il “noi” si riferisce ai governi, alle imprese, alle famiglie, ai corpi intermedi come le organizzazioni sindacali e quelle degli imprenditori e le varie associazioni di categoria e di interesse. Il “noi” riguarda anche i docenti e gli organi di stampa e le associazioni e fondazioni che elaborano il pensiero economico, politico, sociale e ne traggono tesi e suggerimenti per l’azione pubblica e per la pubblica opinione. Come la Fondazione e il giornale per cui sto scrivendo questo articolo.
Il Papa aggiunge che c’è una mano invisibile, che ci aiuta e che non è solo quella teorizzata da Adam Smith cioé la forza del mercato o quella teorizzata, in modo più ampio, da Fredrich Von Hayek, ossia l’ordine spontaneo, che si realizza tramite le interazioni umane nel corso del tempo, in tempi lunghi . E’ la mano invisibile di un ordine superiore. Tuttavia, non ci esime da fare il nostro dovere, al contrario ci stimola a farlo, senza necessariamente pretendere che, “facendo la cosa giusta”, avremo successo.
Tornando così alle previsioni economiche, importanti ma solo entro certi limiti, noi possiamo dire che, intanto quelle sul Pil riguardanti il 2009, fatte nel 2008 oppure all’inizio dell’anno appena concluso non si sono avverate. Le stime sull’andamento del Pil di quest’anno erano le più disparate. E sino a metà del 2009 sono state continuamente riviste in peggio, poi è cominciato un ritocco in meglio (l’anno chiude con un andamento migliore di quello previsto, ma pur sempre di recessione). La crisi vera però non c’è stata. Infatti se ci fosse stata la caduta dell’indice dei prezzi, che aveva portato a una inflazione negativa di zero in luglio in Italia e di -0,2 nell’Unione europea , -0,5 nell’area euro e -2 negli Usa, sarebbe proseguita. Invece in agosto c’è stata una inversione generale di tendenza. L’indice ha ripreso a salire e in Italia, nell’Unione europea, nell’area euro, negli USA. E l’anno chiude in Italia con una inflazione media dello 0,8 per cento, che indica che i consumi hanno retto.
L’economia, nonostante la caduta del Pil la cui entità è ancora difficile da determinare, ha tenuto a causa della politica economica e sociale del governo. Esso, con un uso parsimonioso della spesa pubblica, è riuscito a far funzionare al meglio gli ammortizzatori sociali attenuando la crescita della disoccupazione che è a livelli notevolmente inferiori alla media europea ed ha inserito nell’economia alcuni stimoli agli investimenti.
Il sistema del credito, un po’ acciaccato, ha retto. Il successo dello scudo fiscale che ha portato in Italia al 15 dicembre 95 miliardi di euro, di cui il 95 per cento con rimpatrio effettivo, dà ossigeno al finanziamento della nostra economia. E la sua proroga al 30 aprile consentirà ulteriori rientri. Il successo è dipeso dal fatto che, contemporaneamente, il governo ha effettuato e sta effettuando una ampia azione di contrasto all’evasione fiscale, con particolare riguardo a quella internazionale. Ma è anche dipeso dalla fiducia che ora gli italiani hanno nel governo, dal punto di vista della tutela dei risparmi e quindi del ripudio di aliquote tributarie vessatorie sugli alti redditi nonché del ripudio di imposte patrimoniali o di altre misure di giustizialismo fiscale demagogico.
D’altra parte poiché lo scudo fiscale ha reso più del previsto è ora possibile un decreto di gennaio di rilancio dell’economia basato sul maggior gettito, che è attualmente di circa un miliardo rispetto a quello indicato prudenzialmente nella legge finanziaria. Ora la fiducia dei consumatori è in aumento.
L’indice di fiducia dei consumatori rilevato dall’Isae, che l’istituto pubblico di previsione economica, il 23 dicembre dell’anno scorso mostrava un aumento a 113,7 da 112, 8 del mese precedente. E ciò lo posizionava sul livello più alto dal luglio del 2002. Alla fine di dicembre l’Isae ha comunicato anche l’indice di fiducia delle imprese. Anche esso è in crescita, sebbene sia ancora inferiore a 100. Dal 79,4 di novembre è aumentato a 82,6 in dicembre. Il Mezzogiorno, che pareva l’area con più difficoltà perché l’indice che era in novembre al livello di 77,9, In dicembre si è portato al livello di 84, 2 con un balzo di 6,3 punti. Il recupero complessivo di questo indice a livello nazionale dipende dalla crescita del portafoglio di ordini sopratutto sui mercati esteri e dal miglioramento delle attese di produzione.
Migliora anche il giudizio sull’accesso al credito. Il recupero è guidato dall’indice per i beni di consumo che è arrivato a 89,6 mentre quello per i beni intermedi è a 80 e quello per i beni di investimento a 76: con un ciclo che si trasmette dai beni di consumo a quelli intermedi, a quelli che riguardano le nuove capacità produttive, sui mercati interni e internazionali. Benché le previsioni per il futuro siano incerte e fallibili, possiamo arguire, sulla base di queste indicazioni, che davanti a noi c'è un miglioramento. Ma esso dipende in grande misura da noi. E dalla fiducia che noi riponiamo nel futuro. Certo esso non dipende solo da noi, ma anche da noi. Ciascuno di noi può portare il suo granellino di sabbia o argilla per l’edificio del 2010. Che non sarà il più alto del mondo, come il grattacielo di 828 metri Dubai inaugurato ieri, ma sarà, si spera, una casa accogliente. Dopo tutto, l’anno che ci siano lasciati alle spalle non è stato un anno terribile, come si diceva da parte di molti organi di previsione internazionale. E ciò dipende dal fatto che l’Italia è molto più saggia e robusta di come la si usi dipingere.
(C) L'Occidentale, 5-1-2010
Psicofarmaci per bambini. Una moda pericolosa - Undici milioni di prescrizioni di antidepressivi e 2,5 milioni di antipsicotici ai giovani ogni anno. Le prescrizioni di psicofarmaci sono in continuo aumento in Occidente e tale aumento sembra non avere sempre una giustificazione clinica. Il cambiamento di paradigma culturale ha molto a che vedere con gli interessi dell'industria farmaceutica…
di José María Simón Castellví
Presidente della Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche
Undici milioni di prescrizioni di antidepressivi e 2,5 milioni di antipsicotici ai giovani ogni anno. Negli Stati Uniti la probabilità per un bambino o una bambina orfani di assumere farmaci è sedici volte superiore alla media. E una visita dallo psichiatra su cinque da parte di una persona giovane si conclude con una ricetta di un antipsicotico. Sono i dati raccolti dal nostro gruppo di lavoro; la federazione che ho l'onore di presiedere è preoccupata per l'allarmante aumento delle prescrizioni di psicofarmaci ai bambini, soprattutto negli Stati Uniti.
Tuttavia, l'aumento incessante di tali prescrizioni si osserva in tutti i Paesi del cosiddetto mondo occidentale (300% in più negli ultimi dieci anni). La percentuale dei giovani che prendono uno o più farmaci per il trattamento di problemi di comportamento è del 9% negli Stati Uniti, del 6% in Gran Bretagna e del 3% in Australia. Non si spiegano le differenze che ci possono essere fra un bambino o un giovane australiano e uno nordamericano... Ci si può chiedere se questo tasso di prescrizioni sia giustificato dall'evidenza delle prove cliniche, se tali farmaci siano sicuri ed efficaci, o se sia realmente necessaria la polimedicazione. Sarebbe interessante capire perché c'è una maggiore incidenza di depressioni negli Stati Uniti e in altri paesi ricchi rispetto ai paesi poveri o se i medici che prescrivono di routine gli psicofarmaci seguono i mandati etici e scientifici della medicina basata sull'evidenza.
Le diagnosi di iperattività o di disturbi del comportamento sono frequentemente associate alla prescrizione di antipsicotici, per cui possiamo dedurre che questi farmaci si utilizzano per controllare irritabilità e aggressività e si aggiungono agli stimolanti che paradossalmente si prescrivono contro l'iperattività. Gli studi sull'uso di antipsicotici nei bambini sono pieni di serie limitazioni metodologiche, che includono campioni troppo piccoli, test aperti o scarsa evidenza. In molte occasioni la necessaria "cecità" nelle prove cliniche (né il medico né il piccolo paziente o i suoi genitori sanno se prende un farmaco o un placebo) non si applica o è molto difficile da mettere in pratica. Vediamo alcune spiegazioni dell'aumento delle diagnosi e delle prescrizioni.
L'infanzia e il passaggio alla vita adulta in Occidente sono drasticamente cambiati per molte ragioni ben note alla comunità cattolica: la crisi della famiglia estesa, l'aumento dei divorzi e delle famiglie monoparentali, l'incentrarsi più sull'individuo e meno sulle relazioni interpersonali, sulla famiglia o sulla comunità, i cambiamenti di vita dovuti alla secolarizzazione, al materialismo e al consumismo.
La depressione, l'ansia e le condotte aggressive sono quindi in aumento in Occidente. I comportamenti dei bambini devono essere intesi come un riflesso del loro contesto di vita. L'aumento dei problemi emozionali e di comportamento in bambini e adolescenti ha la sua genesi in una società iperstimolata, dove le immagini dei mezzi di comunicazione saturano il desiderio di sazietà, di felicità e di beni materiali della persona, offrendole aspettative irreali. Quelli che non si adeguano agli standard di comportamento e di controllo definiti dai genitori, dalle scuole e dai governi, si trasformano in "problemi" che si devono risolvere. E la risposta automatica è molto spesso la prescrizione di un farmaco. Il distress del bambino si riduce a una "alterazione biochimica". Man mano che si realizzano sempre più diagnosi e che sempre più pazienti e personale medico si sentono a proprio agio rispondendo con la medicalizzazione, l'alterazione medica diviene strutturale e definisce secondo la propria convenienza la situazione di "normalità" di un comportamento infantile. La medicalizzazione fa aumentare l'influenza degli "esperti" che prescrivono farmaci e, nello stesso tempo, si consolida nella cultura dominante. E le diagnosi possibili sono sempre di più; si è passati da 50 a 400 dal primo Diagnostic and Statistical Manual della American Psychiatric Association.
Purtroppo questa situazione rende molto difficili o impossibili altre terapie o approcci che potrebbero a loro volta recare benessere ai bambini, alle loro famiglie e alla società.
È giusto interrogarsi anche sul ruolo svolto in questo campo dal desiderio di lucro dell'industria. Molti studi clinici sono finanziati dall'industria farmaceutica. Ed esiste una correlazione diretta fra il finanziamento dello studio e i suoi risultati. I centri accademici e le agenzie governative, come pure il discredito pubblico, l'autocontrollo o le sentenze giudiziarie, sono un freno solo parziale alle pratiche abusive di una certa industria. È molto difficile che l'informazione sui farmaci non sia influenzata, in qualche modo, dall'industria che li vende. Per esempio, l'American Psychiatric Association ha ricevuto nel 2006 un terzo del proprio finanziamento (62,5 milioni di dollari) dall'industria farmaceutica ("New York Times", 7/12/2008). Discernere fra buona scienza (che esiste) e buon marketing (che a sua volta esiste) non è sempre facile.
Possiamo di conseguenza affermare che le prescrizioni di psicofarmaci sono in continuo aumento in Occidente, che tale aumento sembra non avere sempre una giustificazione clinica, che il cambiamento di paradigma culturale ha molto a che vedere con ciò e che gli interessi dell'industria farmaceutica spiegano in parte questo aumento. I dati con cui lavoriamo nella Fiamc non sono infallibili; alla loro base c'è, comunque, un lavoro molto completo, fatto in buona fede e tenendo conto della medicina basata sull'evidenza. Non siamo per principio contro l'uso dei psicofarmaci nei bambini; in alcune occasioni sono necessari. Siamo però contrari al loro abuso o uso non corretto. Noi medici dobbiamo pensare sempre ad altre possibilità prima di prescrivere un farmaco a un bambino. Per questo, come si legge nei nostri statuti, collaboriamo allo sviluppo della professione medica e promuoviamo la salute e il lavoro sociale, specialmente nei nostri involontari piccoli pazienti.
L'Osservatore Romano - 24 dicembre 2009
La dittatura del relativismo e l’Irlanda - di Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=16942 -www.culturacattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
L’Irlanda è tutt’oggi una nazione profondamente cattolica, ma sulle pagine dei giornali viene presentata come il paese della arretratezza culturale e sociale, a causa della sua opposizione al Trattato di Lisbona, della sua legislazione pro-life (nel 1983 la Costituzione è stata addirittura emendata per affermare che il feto possiede il diritto alla vita fin dal suo concepimento) e degli abusi su minori che hanno trovato radici – purtroppo! – anche in una minoritaria parte del clero e dei religiosi. In fondo – è questa la tesi sommersa che si vuol far passare - l’Irlanda è così arretrata perché è profondamente cattolica.
Non si dimentichi, però, che per la vulgata della “dittatura del relativismo” tutto ciò che è cattolico è sempre anti progresso e anti umano.
Ed ogni opportunità serve a riaffermarlo…
Narriamo un caso di sana caparbietà irlandese. - Caparbietà irlandese
Gente davvero caparbia gli irlandesi.
Mentre l’Avvocato Generale dello Stato Paul Gallagher, lo scorso 9 dicembre, difendeva strenuamente la legislazione irlandese antiabortista davanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a Dublino la Corte Suprema, con una pronuncia unanime, riconosceva ad un donatore di sperma il diritto di visitare il proprio figlio allevato da una coppia di lesbiche.
Cosa centri questo caso con i giudici di Strasburgo è presto detto.
La vicenda comincia quando un quarantunenne omosessuale decide di donare il proprio sperma ad una coppia di lesbiche, sue care amiche, per consentire loro di coronare il desiderio di maternità. Viene pure stipulato un contratto in cui le donne riconoscono al padre biologico la possibilità di vedere il figlio ed essere considerato dal bimbo un «favorite uncle», uno zio prediletto. Dopo due anni, rotta l’amicizia con l’inconsueto “zio”, le due donne decidono di trasferirsi in Australia e portare con loro il bambino. Segue l’azione legale dell’uomo per impedire che gli venga negato il diritto di visitare il proprio figlio naturale. E qui sorgono i problemi. Nell’aprile 2008, l’Alta Corte irlandese, giudice di primo grado in materia, dà ragione alla coppia lesbica sulla base di un ragionamento giuridico del magistrato John Hedigan, il quale, guarda caso, è stato per quasi dieci anni membro della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in quota irlandese. Ormai condizionato dalla giurisprudenza di quella corte internazionale, il giudice Hedigan ha ritenuto, infatti, di riconoscere alla coppia di donne lo status giudico di una «de facto family», con la conseguente applicazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La sentenza viene impugnata ed il caso giunge davanti la Corte Suprema che lo scorso 10 dicembre (giorno successivo alla discussione della legge antiabortista davanti alla Corte di Strasburgo) riforma la decisione che dava ragione alle lesbiche, sotto due profili: uno relativo al riconoscimento delle famiglie di fatto ed uno riguardante i rapporti tra la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e legislazione irlandese.
Il giudice Susan Denham, membro della Corte Suprema, ha ribadito, infatti, che la regola d’oro costituzionale della famiglia formata da un uomo ed una donna regna suprema («reigns supreme») nell’ordinamento giuridico irlandese e che nessuna parvenza di riconoscimento può essere data a forme di convivenza diverse da quel «constitutional golden standard» che è appunto il matrimonio tra persone di sesso diverso.
Sempre secondo la Denham, «la coppia di lesbiche non può considerarsi una famiglia e pertanto il loro rapporto con il bambino non può essere considerato prevalente rispetto al rapporto tra lo stesso bambino e il proprio padre naturale», né «può essere ignorato l’indubbio beneficio che il figlio può trarre dalla relazione con il proprio padre».
Ma il colpo ferale alla sentenza di primo grado favorevole alle donne l’ha dato il Presidente della Corte Suprema, John Murray, sul punto dei rapporti con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Murray, infatti, ha contestato decisamente che nel caso di specie si potesse invocare l’applicazione dell’art. 8 di quella convenzione. Ma è andato oltre nel suo ragionamento. Ha colto, infatti, l’occasione per precisare che proprio per le particolari modalità con cui la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è stata introdotta nel sistema giuridico irlandese, «i magistrati irlandesi possono – in punto di principio – persino ignorarla». Può valere, tutt’al più, come un mero strumento interpretativo («interpretative tool»), con un valore persuasivo che si pone ad un «livello puramente economico, sociale o morale».
I giudici di Strasburgo sono avvertiti!
di Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=16942
www.culturacattolica.it - lunedì 21 dicembre 2009
Biotestamento & company: nel 2010 ripartiamo dal messaggio di Patrizia - Autore: Pandolfi, Massimo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 4 gennaio 2010
Pubblichiamo questo intervento del nostro amico giornalista Massimo Pandolfi, sperando che inizi un dialogo tra uomini che amano la vita. Come altri hanno testimoniato: «Un antidoto all’eutanasia: visitare gli ammalati»
Testamenti biologici, eutanasia, fine vita: tempo pochi giorni e si tornerà a discutere su questi argomenti. A Roma, alla Camera, si dovrà licenziare il disegno di legge già passato al Senato; a Bologna e un po’ in tutta Italia i politici locali continueranno a litigare sull’istituzione dei simbolici registri comunali dei testamenti biologici: il 9 febbraio si celebrerà il primo anniversario della morte di Eluana Englaro e, neanche dieci giorni dopo, Povia canterà a Sanremo la straziante storia della ragazza che ha spaccato l’Italia. Ci si dividerà anche al festival, vedrete.
Oggi proviamo fornirvi un approccio diverso a questi temi: un’esperienza più che un ragionamento. Un’esperienza che qualche giorno fa mi ha ‘scritto’ con il battito degli occhi (è l’unico modo che ha per comunicare) un’amica romagnola: si chiama Patrizia Donati, ha 52 anni e 17 anni fa è stata colpita da un ictus. Da allora è immobile, non parla, dipende da tutto e da tutti. E’ ospite della Casa della Carità di Bertinoro. «Tanti anni fa, quando stavo ancora bene, se avessi pensato di trovarmi nella situazione di oggi avrei probabilmente sostenuto che era meglio non vivere e porre fine a un’esistenza che, agli occhi del mondo, sembra non avere senso. Oggi credo che, fino a quando ci sono persone disposte a volermi bene e a ‘curare’ con amore le mie disabilità, io possa vivere, e proprio perché mi trovo in una situazione così precaria, sento di amare la vita più di prima. Il valore della vita si scopre nelle piccole cose che ci vengono date ogni giorno, nelle persone amiche che non ci abbandonano».
Patrizia lancia una sfida che, visti i tempi, è in qualche modo rivoluzionaria. E che magari sottintende anche un nuovo modo di interpretare l’esistenza, il suo significato, il concetto stesso di libertà; per i disabili, certo, ma un po’ anche per noi ’sani’. Forse libertà vera non è solo il diritto di ‘spegnere la luce’ quando non ce la si fa più: forse libertà vera vuol dire aiutare chi soffre a ritrovare una strada per ridare un senso a tutto. E una strada c’è sempre, può esserci sempre.
Ce lo insegna Patrizia: nel suo dolore, nel suo mistero, nel suo grido di speranza. Con la sua — sì, diciamolo senza paura — vita. Vita piena e vera.
Vai al sito di Massimo Pandolfi
A TREVISO UNA STORIA DI NATALE TUTTA DA RACCONTARE - Sara e il suo bambino: gran notizia che non fa rumore - GABRIELLA SARTORI – Avvenire, 6 gennaio 2010
Fino all’Epifania le favole di Natale si possono raccontare. Se poi sembrano favole ma sono storie vere, raccontarle è necessario. La notte del 23 dicembre scorso, Sara, di Montebelluna, Treviso, trentadue anni, incinta alla ventinovesima settimana, si sente male. Diagnosi pesante: « aneurisma dissecante all’aorta ascendente » , patologia molto grave in sé ma ancora più grave in quanto Sara non solo è incinta ma ha anche già subito un importante intervento al cuore, di diversa natura, nel 2005. Sara e il bambino che porta in grembo hanno bisogno urgente di ricovero in una struttura altamente attrezzata: se no, moriranno tutti e due. Comincia il giro convulso di telefonate in vari ospedali del Veneto e del Friuli, ma il posto non si trova: periodo difficile, molti operatori hanno appena cominciato le agognate ferie natalizie. All’ospedale civile ' Ca’ Foncello' di Treviso, il cardiochirurgo professor Carlo Valfrè, con la sua équipe, è impegnato in un intervento d’urgenza. Ma i dirigenti di Ca’ Foncello non si arrendono. Con un giro di telefonate, fanno l’impossibile per reperire altro personale in tempi record, medici, infermieri, ostetriche, anestesisti: e ci riescono. Anche perché trovano in tutte le persone allertate la massima disponibilità a tornare immediatamente in servizio anche se sono appena rientrati a casa per il meritato riposo e si apprestano a festeggiare il Natale in famiglia.
Nessuno dice di no: in poche ore nasce una seconda équipe cardiochirurgica in grado di far fronte alla difficile situazione.
L’elicottero del Suem porta la mamma Sara a Ca’ Foncello alle sedici e trenta. Comincia l’intervento. Sara dice: pensate prima al bambino. Così si fa: alle sedici e 41, il primario di ginecologia Giuseppe Dal Pozzo e la patologa neonatale dottoressa Linda Bordignon portano alla luce Lorenzo, 942 grammi di peso, vitale e sano. È il primo bambino trevigiano che nasce in cardiologia.
Poi comincia l’intervento su Sara: otto ore di duro lavoro e alle due di notte della vigilia è salva anche lei.
Cardiologia dei miracoli quella natalizia di Treviso? Chi se ne intende, dice che l’espressione non è esagerata. Però di questa meravigliosa storia nessuna traccia è arrivata sui mass media nazionali.
I quali, anche a Natale, non hanno mancato di informarci di tutt’altre vicende. Vedi il caso della sfortunata bambina di Agrigento che ha perduto la vita in quanto non soccorsa in tempo dai volontari (?) del 118: che avrebbero litigato per ore su chi avesse il compito di intervenire prima di passare ai fatti.
O l’altra bambina di Cosenza, cui medici... disattenti, hanno ingessato il braccino sano invece di quello rotto. Anche stavolta, il circo mass- mediatico italiano ha obbedito all’antica , cinica legge secondo la quale « una buona notizia non è una notizia » . E che importa se, a dare solo cattive notizie, si altera in negativo il profilo morale e professionale del Paese, si distrugge la speranza delle persone, si scoraggiano i giovani.
Nel suo discorso di Capodanno alla nazione, il presidente Napolitano ha detto con forza che l’Italia reale è migliore di come la si fa apparire. Il presidente dice il vero, e chi sta in mezzo alla gente lo sa. Tanto più noi credenti per i quali Natale o ' è' la Buona Notizia o non è Natale. Per questo, noi sappiamo che, a Treviso, quest’anno il Bambino è nato in un reparto di cardiologia, che sua madre, che l’ha voluto a rischio della vita, si chiama Sara, che gli angeli sono scesi dal cielo con l’elicottero del Suem, e che i pastori che l’hanno soccorso indossavano i camici bianchi della sala operatoria. È una buona notizia: e vogliamo che sia conosciuta.
La coscienza stordita da una pioggia di pillole - Le donne, in particolare le più giovani, sono oggi bombardate da messaggi per indurle ad affidarsi a farmaci che promettono di garantire loro un rapporto nuovo col proprio corpo e il suo potere di dare la vita Un terribile inganno culturale - di Paola Ricci Sindoni – Avvenire, 7 gennaio 2010
Sembrano due mondi paralleli, destinati a non incontrarsi mai, quelli che gravitano nel corridoio del reparto ginecologico di qualsiasi ospedale italiano: da un lato donne, affette da patologie più o meno gravi all’apparato femminile, insieme a madri incinte, in attesa di un controllo; dall’altro gruppi, sempre più numerosi, perlopiù giovani, spesso giovanissime, annoiate per l’attesa, indifferenti a ciò che le circonda, assenti e distratte, spesso sole ad abortire, aspettando il proprio turno, come quando si va dal dentista. Eppure tutte quante sono donne, e, anche se di età diverse, hanno lo stesso corpo, denso simbolo universale che garantisce uno spazio comune a una ragazza cinese, a una adolescente australiana, a una donna indiana o italiana, lo stesso corpo che è quello di una giovane madre o di una anziana donna, di una ragazzina, di una professionista o di una casalinga.
Forse è da questo tratto comune che bisogna partire, per ascoltare il linguaggio del corpo, così da 'sviscerarne' il principio, cogliendone cioè quell’autocomprensione di sé che parte appunto dalle 'viscere'.
Invece che dai concetti o dalle rappresentazioni (perché il corpo non è mai un’allegoria della mente), conviene entrare nell’esperienza del 'corpo vissuto', là dove la natura, con tutto il suo carico di potenzialità inespresse, incrocia la cultura, quella dominante, che – ripetendo antichi slogan femministi – continua a considerare il corpo come proprietà intoccabile, da gestire in prima persona, senza alcuna influenza esterna.
In tale prospettiva è del tutto 'naturale' provvedere, con i mezzi offerti dalla tecnoscienza clinica e farmacologica, sia essa la Ru486 o la cosiddetta 'pillola del giorno dopo', a rimuovere l’ostacolo che pare bloccare l’equilibrio del proprio benessere, quello che il corpo rimanda, quando tutto sembra tornare al proprio posto. Allo stesso modo della carie infetta di un dente o del dolore che percuote un ginocchio.
Perché dovrebbe esserci differenza, se il corpo è mio e lo vivo come voglio?
Perché 'permettere' che qualcosa di 'altro' si insinui tra me e il mio corpo? E dal corpo vogliamo ci restituisca quel benessere che costantemente ricerchiamo, perché vogliamo – sacrosanto diritto – 'sentirci bene'.
L’
obiettivo di perseguire in modo ottimale la 'qualità' della vita è del resto un bene legittimato socialmente, finendo con il moltiplicare vari modelli di salute, che non è più, o non solo, rimozione di una patologia, ma soprattutto autogestione del proprio corpo, governato ormai dal cosiddetto paradigma della 'salute-desiderio', tipico prodotto della società dell’immagine, in cui la dimensione dell’apparire si insinua nelle dinamiche di consumo dei prodotti chirurgico-estetici, cosmetico-salutistici, utilizzati come toccasana per i problemi di performance sociale, come il sovrappeso, la calvizie, le rughe, eccetera.
L’
impatto di queste costruzioni sociali intorno alla cura del corpo – oggi ogni buon hotel ha organizzato al suo interno un salone del benessere – non può che toccare in profondità la percezione di sé che ogni donna, specie se giovane, rivendica soprattutto quando una gravidanza indesiderata prorompe con tutto il suo carico emotivo e il suo impatto sociale. Tutto sembra allora ricadere nella sfera della sensibilità soggettiva e della autonoma libertà di scelta; un vero e proprio attentato al proprio corpo a cui si deve presto porre rimedio.
Nasce da qui il plauso per la farmacologizzazione dell’aborto, ben più adatta (una semplice pillola) a rimuovere il problema, anzi, il trauma psicologico che questo comporta. Ma le cose stanno davvero così? Siamo davvero sicuri che il corpo risponde alle pressioni soggettive, rientrando in toto nella disponibilità di chi lo incarna? Certo, ciascuno di noi deve impegnarsi a promuovere il suo bene-essere, ma deve pur rispettare i ritmi biologici, le dinamiche organiche dell’essere incarnati dentro un corpo particolare, di cui non certo noi abbiamo deciso i tratti: gli occhi, lo sguardo, la forma del volto, i modi di gesticolare, tutto quanto insomma ci fa essere così e non altri, e che nessuna correzione chirurgica può eliminare.
Il corpo inoltre, ciò che noi concretamente siamo di fronte al mondo, non è una macchina da correggere, un insieme di funzioni oscure che ognuno trascina con sé dalla nascita e che ci accompagnerà per tutta l’esistenza: è invece un organismo vigile e accorto, che pretende da ciascuno tutela, cura, attenzione quotidiana. Così come non posso riempire lo stomaco fino a stare male o sottoporre gli occhi a un forte stress visivo fino ad accecare, dovrei anche rispettare quell’organo, che la natura provvede a custodire una nuova vita, quel 'contenitore', insomma, che tante, troppe sollecitazioni, specie in giovane età, sfibrano provocando patologie.
Questo non è certo terrorismo moralistico, ma è il risultato di uno studio pubblicato dal Britrish Journal of Cancer , in cui una équipe di ricercatori sostiene che la precoce vita sessuale è abitudine dannosa per la salute, non solo per il rischio di gravidanze non volute ma per il pericolo raddoppiato di sviluppare il cancro alla cervice per opera del virus Hpv. Addirittura maggiore anche nelle donne che hanno avuto il primo rapporto sessuale a 20 anni rispetto a quelle che avevano vissuto la loro prima volta a 25...
Così come una sana politica ecologica ci impone di rivedere i nostri sistemi di sfruttamento della natura, pronta a reagire violentemente quando equilibri secolari si infrangono, così una prudente ecologia umana vorrebbe che la scoperta e la cura del proprio corpo non conducesse all’idea che ne siamo padroni assoluti, quanto piuttosto custodi di quello straordinario organismo che ci abita.
Ogni essere umano – lo si sa – inizia la sua vita 'abitando' all’interno di un altro essere umano, una donna, così che i due corpi sperimentano insieme – nei nove mesi, tanto dura la convivenza – che la carne che ci costituisce non è soltanto soggetto di esperienza ma principio, inizio di un corpo che viene alla vita, vita ospitata nella casa di un altro corpo.
Bisognerebbe essere capaci di riudire in noi il rumore della nostra nascita, quando in principio portiamo in noi la percezione dell’essere donati alla vita, in quel lampo dell’inizio in cui siamo venuti nel mondo.