mercoledì 27 gennaio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Lo schiaffo di Bagnasco - Mario Mauro martedì 26 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
2) USA - Staminali embrionali, commissione Senato Michigan approva regole più severe - dal sito ADUC - Notizia 22 gennaio 2010 13:34
3) Dio c’è ad Haiti? - Lorenzo Albacete mercoledì 27 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
4) OGGI LA GIORNATA DELLA MEMORIA - LASCIAMOCI FERIRE PER STARE SVEGLI PER RESTARE UOMINI - MARINA CORRADI – Avvenire, 27 gennaio 2010
5) «Verità e povertà i tesori del mistico Karol Wojtyla» - DA R OMA G IANNI CARDINALE – Avvenire, 27 gennaio 2010


Lo schiaffo di Bagnasco - Mario Mauro martedì 26 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
«È insopportabile concentrarsi unicamente sulla denigrazione reciproca, arrivando talora a denigrare il Paese intero pur di far dispetto alla controparte». La speranza di un possibile dialogo nella vita pubblica del nostro paese non può e non deve cessare con l’approssimarsi di una scadenza elettorale.


Per questo le parole pronunciate ieri dal cardinale Bagnasco risultano tanto condivisibili nella sostanza, quanto intelligenti per le tempistiche. Sono parole che non possono lasciare indifferenti, perché la possibilità di una pacificazione nazionale costituisce l’elemento chiave per arrivare a un vero cambiamento e quindi a riforme in grado di far ripartire il paese.



Per capire in quale modo il dialogo può essere il vero motore del cambiamento italiano dobbiamo avere ben presente cosa debba essere per noi un vero dialogo. Il Cardinal Bagnasco ha detto che «il Paese ha bisogno di uscire dalle proprie pigrizie mentali, dai pregiudizi ammantati di superiorità, per essere meglio consapevole delle risorse e delle qualità di cui dispone, per dare una giusta considerazione ai successi conseguiti».



Insomma dialogare oggi è possibile solo se si è partecipi di un unico e medesimo dramma: il dramma dell’uomo che vuole restare se stesso in un mondo che è diventato nemico di questo desiderio. Un mondo che tende a impedirti di riconoscere l’altro come diverso, ma lo identifica come nemico e come tale lo obbliga a stare nella categoria dei vincitori o dei vinti, mai di coloro che hanno il tuo stesso destino.



Paradossalmente ci sembra di capire maggiormente chi sono gli altri quando li dominiamo; e li dominiamo quando li adattiamo a una forma di conoscenza fissata a priori: l’ideologia. Pensiamo di arrivare a conoscere meglio l’altro quando pronunciamo su di lui una sentenza senza appello: “Con lui mai”. Ma questo tipo di conoscenza non fa che aumentare la nostra chiusura e la sensazione di sentirci minacciati.


A questo punto anche la naturale tendenza che la politica ha a comporre conflitti viene travisata perché cercare il dialogo diventa “inciucio”, cioè commistione abominevole con chi non merita cordialità perché per sua natura “immondo” o più semplicemente “antidemocratico”. Bagnasco ammonisce giustamente anche i media «che devono corrispondere ai compiti di informazione e di controllo che sono loro propri in una società evoluta, non devono cadere nel sistematico disfattismo o nell’autolesionismo di maniera».



In altre parole un mezzo che dovrebbe favorire la comunicazione e la conoscenza delle differenti ragioni diventa strumento di odio. Accade per la televisione come per i giornali. Nell’esperienza dell’ideologia che immagina uomini perfetti i mezzi di comunicazione hanno il solo scopo di far risaltare le contraddizioni degli altri.



Ma l’esperienza del cristianesimo non è mai ideologica. Perché non suppone l’idea di un uomo perfetto. C’è infatti chi continuamente ammonisce i popoli dicendo che un uomo perfetto è “realizzabile” ed è di quella categoria solo chi prende una determinata tessera, solo chi prende una determinata posizione politica.



Più semplicemente dialogare vuol dire assumersi la responsabilità di fare un passo avanti insieme verso la verità. La verità è un fatto fuori di noi: la possiamo incontrare e riconoscere e siamo chiamati a servirla. Metterla in evidenza nel nostro dialogo è l’unico modo di lanciare una sfida al mondo al di là del proprio male. E al di là del proprio male c’è la possibilità di costruire il bene per tutti.


USA - Staminali embrionali, commissione Senato Michigan approva regole più severe - dal sito ADUC - Notizia 22 gennaio 2010 13:34
Una commissione del Senato del Michigan ha approvato un pacchetto di proposte di legge che imporrebbe maggiori sanzioni per coloro che violano le linee guida sulla ricerca con le staminali embrionali. Il compromesso raggiunto alla fine di un dibattito molto accesso, prevede anche maggiori obblighi per i ricercatori, che dovranno dare conto alle autorità statali delle proprie ricerche ogni anno.
In un appello al legislatore, i ricercatori avevano chiesto che la proposta originale fosse modificata perché rischiava di creare nuovi ostacoli alla ricerca, oltre a violare la volontà degli elettori. I proponenti della legge invece hanno accolto le sollecitazioni di organizzazioni anti-abortiste a seguito del referendum costituzionale del 2008 con cui gli elettori del Michigan avevano dato il via libera alla ricerca. Secondo il repubblicano Tom George, primo firmatario, l'emendamento costituzionale lasciava delle 'aree grigie' che la legge ordinaria deve chiarire. "Gli elettori hanno parlato; e hanno accolto la riforma costituzionale. Di questo siamo consapevoli. Ma ci sono alcune zone grigie che necessitano maggiore chiarezza".
Fra le nuove limitazioni previste dal legislatore c'è il divieto di scelta delle cellule staminali in base al sesso. Diventerebbe poi un reato violare la privacy dei donatori o trarre profitto dalla vendita di staminali embrionali.
Il testo, approvato con 5 voti favorevoli e 2 contrari, verrà a breve votato in aula, prima di passare alla Camera.


Dio c’è ad Haiti? - Lorenzo Albacete mercoledì 27 gennaio 2010 – ilsussidiario.net
Oggi il presidente Obama terrà il suo discorso sullo Stato dell’Unione davanti alle due Camere del Congresso. Spero, nel mio prossimo editoriale, di poter commentare il discorso e le reazioni che susciterà, soprattutto vista la sorprendente sconfitta nel Massachusetts, dove un Repubblicano conservatore è stato eletto al seggio che fu di Edward Kennedy.



L’altro argomento attualmente dominante è la devastazione di Haiti dopo il terremoto che pare abbia ucciso centinaia di migliaia di persone. Cristiani evangelici negli Stati Uniti e ad Haiti hanno detto che il terremoto è una punizione divina perché molti haitiani seguono il voodoo e altre pratiche “sataniche”. Molti cristiani si sono mostrati confusi circa la risposta da dare alla spiegazione della morte di cosi tante persone nel terremoto.



Obama ha definito il terremoto di Haiti una “tragedia incomprensibile”. Ha ragione, ma c’è qualche tragedia comprensibile? In che misura possiamo comprendere qualcosa di simile a quanto accaduto? Cosa potrebbe rendere un simile evento così comprensibile da eliminare dai nostri cuori e dalle nostre menti il grido che continua a riaffacciarsi ancora e ancora, il grido: perché?



Io sono un prete cattolico. Nel giorno del terremoto stavo cercando di rispondere alla mail di una giovane che, dopo il suicidio di un amico a lei molto vicino, aveva cominciato a chiedersi in che modo il Dio che la amava era compatibile con la dottrina della Chiesa sull’inferno. Avevo anche ricevuto un messaggio da un altro amico che si interrogava sulla compatibilità tra il Dio cristiano e la sofferenza di un innocente. E mi citava anche qualcosa che avevo scritto io stesso: “Non posso adorare un Dio che mi chiede di strappare dal mio cuore e dalla mia mente la domanda perché accada il dolore degli innocenti”.


Mi ricordo un dibattito con l’ateo Christopher Hitchens e la sua frustrazione quando dichiarai che ero d’accordo con lui che avvengono cose che rendono ragionevole disprezzare un Dio che esige un’accettazione cieca della bontà della Sua volontà. Poi ecco l’orrore di Haiti… Cosa possiamo dire sulla domanda sempre presente, la domanda del perché queste cose accadono?



Non cancellerò la domanda, voglio affrontare l’orrore così come è, senza consolazioni tranquillizzanti. Si continua ad assicurare le vittime che “cuori e preghiere” sono con loro. Preghiere? A Chi? A un Dio che semplicemente avrebbe potuto impedire che tutto questo accadesse? Alla Chiesa non è stato risparmiato niente. La cattedrale è crollata uccidendo l’arcivescovo, seminari e conventi distrutti, uccidendo futuri preti e suore. Il rappresentante del Papa si è salvato perché si trovava fuori della sua residenza, che è crollata, e ha passato le notti in giardino con i sopravissuti del suo ufficio. Quale Dio si può pregare in queste situazioni?



Solo quel Dio che, come scrive San Paolo,”non ha risparmiato il proprio Figlio”, solo a questo Dio può andare il dolore del grido “perché?”. Se ha dato suo Figlio perché morisse per noi, dice Paolo, è impossibile che ci rifiuti quanto ci aiuta e ci benedice, dato che non vi è nulla che Egli valuti più del Figlio (Romani 8, 32). Non voglio una spiegazione del perché questo Dio permetta che accadano tragedie simili. Una spiegazione ridurrebbe il dolore e la sofferenza a una incapacità di comprendere, a un fallimento dell’intelligenza, per così dire. Io posso solo accettare un Dio che “con-soffre” con me. Così è il Dio della fede cristiana.


Fede o no, cristiani o no, la nostra umanità chiede che la domanda del perché non sia eliminata, ma che le sia permesso di guidare la nostra risposta a tutto ciò che accade. È la sola strada per una possibile redenzione della nostra umanità.


OGGI LA GIORNATA DELLA MEMORIA - LASCIAMOCI FERIRE PER STARE SVEGLI PER RESTARE UOMINI - MARINA CORRADI – Avvenire, 27 gennaio 2010
S ono le facce di 364 ebrei italiani finiti nei lager, u­na parte delle migliaia deportate in Germania. Dei 1.023 di Roma solo in diciassette ritornarono. Le ha messe on line il Centro di documentazione ebraica contemporanea, per la Giornata della memoria. E chi va su www.cdec.it/voltidellamemoria/ può restarci pa­recchio. È un attonito viaggio tra storia collettiva e privati ricordi, quello in cui cadi in questo allinearsi di volti dai nomi, dai sorrisi italiani. Uomini e donne, così uguali alle foto d’epoca di ogni altro nostro non­no. Qualcuno che di nome fa Vittorio Emanuele, o I­talo: nell’ingenuo patriottismo che almeno fino ai pri­mi anni del Ventennio aveva contagiato anche gli e­brei – certi, com’era ovvio, di essere italiani come gli altri.
Ci sono donne e vecchi, in quell’elenco, di set­tant’anni, e più vecchi; ma accanto, inesorabile, la scritta: deportato a Auschwitz. Ci sono giovani foto­grafati su una barca a vela, o ai bordi di un campo da tennis, in ancora spensierate estati. Proprio questa normalità serena da album di famiglia ha un impat­to da schiaffo su chi osserva. Non sono, questi, i vol­ti dei lager tramandati dai primi scatti dell’esercito a­mericano nel ’45, non sono i corpi scheletriti sotto la divisa da prigionieri, con le facce sca­vate di fantasmi. Questi sono borghesi, artigiani, famiglie lie­te e impettite davanti al foto­grafo, in un giorno di festa: mentre ti pare di immaginare, appena un attimo dopo lo scat­to, i bambini che corrono alla tavola imbandita. Proprio la normalità delle immagini ren­de ancora più lacerante la me­moria di ciò che è accaduto.
E poi, ci sono i bambini. Molti bambini. A nidiate, tre fratelli o quattro divisi da pochi anni. Come Fiorella, Anna, At­tilio, nati tra il ’37 e il ’41 a Roma, portati via dal Ghet­to. (Fiorella sembra una bambola, i nastri bianchi tra i capelli ricci). E la famiglia Sadun coi due ragazzini, ritratti al mare, in costume, in una giornata che si in­dovina di piena, felice estate. E Olimpia, infagottata e ridente nel freddo della sua Bolzano. E Carlo e Mas­simo, fratelli milanesi, il maggiore che abbraccia il più piccolo, neonato, con tenero orgoglio.
Questi non sono i ragazzini atterriti delle foto con la stella gialla sul petto e le mani in alto davanti ai sol­dati nazisti. Sono gli stessi, ma 'prima'. Bambini e ba­sta. Solo da Roma, ne deportarono 288 (ne tornò u­no solo). E non puoi non pensare come fu che li strap­parono ai parenti, li incolonnarono, e con quali rau­che grida straniere li fecero salire sui camion. Non puoi non pensare cosa fu, nel brutale tramestio del rastrellamento, staccarsi dal padre, e avvinghiarsi al­la mano di una sorella di poco più grande, che sus­surrava materna: non aver paura. Partire stringendo in mano un orsacchiotto, disperatamente, come un ultimo brandello di casa. Poi, su quei treni, non sap­piamo. Il film si ferma, l’immaginazione si oscura – forse perché non tolleriamo di sapere.
Che le vedano i nostri figli, le facce di quei vecchi i­nermi, e di quei bambini. Che facciano questo dolo­roso sbalordito tuffo in una memoria che, se a noi pa­re lontana, è in realtà così breve: quei ragazzi anda­vano a scuola con i nostri genitori. 66 anni, nei mil­lenni della storia, sono un soffio. L’Olocausto – il cuo­re del male, il genocidio sistematico, scientifico, pia­nificato, taylorizzato in una maggiore efficienza – è sta­to appena ieri. Che sappiano, i figli. Che non siano troppo, ottusa­mente tranquilli. Girano voci su Internet e non solo che dicono che l’Olocausto è bugia e propaganda. Che non è vero. Che non è accaduto. In un vertice di menzogna, che vorrebbe annientare anche la me­moria. Che li guardino, i nostri ragazzi, quei bambi­ni. Che sussultino, riconoscendoli familiari. Che sia­no, dal loro destino, almeno per un momento feriti. Ci sono ferite necessarie, che occorre lasciare aperte. Occorre lasciarsi ferire e ricordare per stare svegli, per restare uomini.


«Verità e povertà i tesori del mistico Karol Wojtyla» - DA R OMA G IANNI C ARDINALE – Avvenire, 27 gennaio 2010
È la povertà la cifra spirituale che caratterizza la figura di Giovan­ni Paolo II. A testimoniarlo è monsignor Slawomir Oder, postula­tore della causa di beatificazione di papa Wojtyla. «Avvenire» lo ha inter­vistato in occasione dell’uscita del suo libro, scritto con la collaborazione del giornalista Saverio Gaeta Perché è san­to
(ed. Rizzoli, pp. 195, euro 18,50) da oggi in libreria.
Giovanni Paolo II è stato un Papa ac­curatamente scrutato da giornali e tv. Nel suo lavoro da postulatore ha scoperto degli aspetti che erano in qualche modo sfuggiti dall’occhio mediatico?
Giovanni Paolo II era un uomo tra­sparente. Un uomo della verità. Non esisteva un Karol Wojtyla mediatico e un Karol Wojtyla privato. Quello che ha vissuto in pubblico lo ha vissuto anche in priva­to. Quello che colpisce è la profondità, soprattutto a livello spirituale, di tutto quello che lui ha vissuto.
Era un vero mistico.
In che senso?
Non tanto nel senso della percezione di sensazioni straordinarie, quanto nel­la consapevolezza della presenza di Dio nel mon­do.
Ma qual è l’aspetto che comunque l’ha più sorpresa nel valutare le te­stimonianze raccolte?
Oltre che la profondità spirituale con cui ha vissuto la sua vita, ciò che mi ha colpito è la povertà che ha testi­moniato. Le suore che hanno accudi­to all’appartamento pontificio mi hanno regalato due sue camice che ora custodisco come reliquie. Ebbene, sono camice consumate, rammen­date. E questo non è che un piccolo esempio. Tutta la sua vita è segnata da una povertà cercata e vissuta. Ce­lebre l’episodio di quando, sacerdote, non poteva uscire dalla chiesa di San Floriano a Cracovia dopo aver cele­brato Messa perché non aveva più le scarpe che aveva donato ad uno stu­dente che era andato a trovarlo...
Un fenomeno singolare è quello dei molteplici messaggi che vi sono giun­ti dai semplici fedeli...
Fin da quando si è iniziata la causa di beatificazione e abbiamo aperto i ca­nali di comunicazione, tra cui quello via internet, siamo stati sommersi da decina di mi­gliaia di lettere e messaggi da fedeli di tutto il mondo. Per posta, per e-mail, o at­traverso dei foglietti la­sciati davanti alla sua tom­ba. Ricordo che tra i primi ad arrivare ce ne fu uno da Vladivostok e un altro dal­la Nuova Zelanda. All’ini­zio testimoniavano la gioia e il sostegno per la causa e per la decisione di Benedetto XVI di dispensare dai cinque anni di attesa. Poi ci sono arrivate tantissime segna­lazioni di piccoli o grandi grazie rice­vute. Che pur non essendo, per così dire, utilizzabili per il processo cano­nico, hanno testimoniato la fama di santità. Interessante il fatto che sono arrivate lettere anche da non cattoli­ci – ortodossi soprattutto, ma anche protestanti – e da non cristiani: ebrei, musulmani e indù.
Invece per quanto riguarda i testi a­scoltati per la positio, ce ne sono an­che di non cattolici?
Ce ne sono. Come ho scritto nell’epi­logo del libro sono state ascoltate complessivamente 114 persone: 35 cardinali, venti arcivescovi e vescovi, undici sacerdoti, cinque religiosi, tre suore, 36 laici cattolici, tre non catto­lici e un ebreo.
Come valuta il fatto che, da parte an­che di eminenti personalità, si sia manifestata una certa perplessità sul fatto che la causa di beatificazione sia potuta cominciare così in fretta?
Di fronte ad una personalità così ric­ca, come quella di Giovanni Paolo II, non è possibile forse avere una una­nimità di giudizi positivi. Un plebi­scito sì, ma l’unanimità no. Comun­que la gran parte delle obiezioni che ho sentito non riguardano la questio­ne della santità in sé ma quella dei tempi.
A questo proposito. È possibile pen­sare che Giovanni Paolo II possa es­sere proclamato beato quest’anno, magari in prossimità dell’anniversa­rio della sua elezione a Pontefice che cade il 16 ottobre?
Manca ancora l’esame del presunto miracolo attribuito alla sua interces­sione da parte della Congregazione delle cause dei santi, che ha i suoi tempi tecnici. Il prefetto del dicaste­ro, l’arcivescovo Angelo Amato, ha detto proprio ad Avvenire che allo sta­to dei fatti è «tecnicamente non uto­pistico » prevedere la beatificazione in quest’anno. Speriamo che, con l’aiu­to di Dio, questa possibilità tecnica diventi realtà.
«Uomo di grande profondità spirituale, quello che ha vissuto in pubblico lo ha vissuto anche in privato»: parla Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione. «Nei messaggi ricevuti finora, una fama di santità senza confini»