Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: MAI PIÙ AUSCHWITZ! - Si commemora oggi il “Giorno della memoria” per ricordare la Shoah
2) LA MORTE DI ELUANA E L'ASSUEFAZIONE ALL’“EVIDENZA NEGATA” - di Antonio Gaspari
3) ABORTO E IDEOLOGIA DI GENERE: DUE RISOLUZIONI AL CONSIGLIO D’EUROPA - “La sessualità umana è una attività, non una identità” - di Jesús Colina
4) Il Giornale 27 gennaio 2010 - Una lettera inedita rivela che Wojtyla era pronto a dimettersi da Pontefice - di Andrea Tornielli
5) Nella memoria liturgica del Dottore Angelico - Il liberatore dell'intelletto - di Inos Biffi - L'Osservatore Romano - 28 gennaio 2010
6) Da questa settimana in libreria il nuovo testo di Padre Livio, con Diego Manetti, "I SEGRETI DI MEDJUGORJE. La Regina della Pace rivela il futuro del mondo" - Lunedì 1 febbraio Padre Livio presenterà l'opera su Radio Maria. - Da giovedì 4 febbraio ogni giorno alle 9,30 su Radio Maria andranno in onda le conversazioni con Padre Livio sui segreti di Medjugprje
7) Diagnosi prenatali, l’eugenetica di massa - di Daniele Zappalà – Avvenire, 28 gennaio 2010
8) Embrioni, la lista degli scarti - Anche malattie 'lievi' nell’elenco delle disfunzioni che autorizzano la selezione preimpianto - Elisabetta Del Soldato – Avvenire, 28 gennaio 2010
9) Scoperte etiche: neuroni nuovi non «ringiovaniti» - Viviana Daloiso – Avvenire, 28 gennaio 2010
BENEDETTO XVI: MAI PIÙ AUSCHWITZ! - Si commemora oggi il “Giorno della memoria” per ricordare la Shoah
ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Mai più Auschwitz, mai più tragedie simili a quella della Shoah, frutto di odio razziale e religioso. E' questo l'accorato appello di Benedetto XVI risuonato questo mercoledì, nell'aula Paolo VI, al termine dell'Udienza generale.
Le parole del Papa hanno richiamato la commemorazione quest'oggi del “Giorno della memoria”, istituito nel 2000 dal Parlamento Italiano al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
In occasione di questa ricorrenza le città italiane organizzano mostre, conferenze, visite guidate a musei e sinagoghe, incontri di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, al fine di conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un così tragico ed oscuro capitolo della storia.
“Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli del campo di concentramento nazista della città polacca di Oświęcim, nota con il nome tedesco di Auschwitz, e vennero liberati i pochi superstiti”, ha ricordato il Papa.
“Tale evento e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo l'orrore di crimini di inaudita efferatezza, commessi nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista”, ha aggiunto.
“Crimini ignobili”, aveva detto poco prima rivolgendosi ai fedeli di lingua tedesca, “prodotti in Germania dalla megalomania sprezzante del genere umano e dall'odio razziale dell'ideologia nazista”.
Il “Giorno della memoria”, ha continuato, serve a celebrare “tutte le vittime di quei crimini, specialmente dell’annientamento pianificato degli Ebrei” e “quanti, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati, opponendosi alla follia omicida”.
“Con animo commosso – ha invitato il Pontefice – pensiamo alle innumerevoli vittime di un cieco odio razziale e religioso, che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte in quei luoghi aberranti e disumani”.
“La memoria di tali fatti, in particolare del dramma della Shoah che ha colpito il popolo ebraico, susciti un sempre più convinto rispetto della dignità di ogni persona, perché tutti gli uomini si percepiscano una sola grande famiglia”.
“Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più tali tragedie!”, ha quindi concluso.
LA MORTE DI ELUANA E L'ASSUEFAZIONE ALL’“EVIDENZA NEGATA” - di Antonio Gaspari
ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ha destato scalpore la lettura della 'Re lazione di consulenza tecnica medico-legale', relativa alla morte di Eluana Englaro, fatta dal gip di Udine in occasione della seduta in cui ha de finitivamente stabilito che il tut to è avvenuto “regolarmente”.
Nella relazione vengono riportate le note dell’équipe del dottor Amato De Monte che sede va accanto a Eluana e registrava di ora in ora gli “elementi indicativi di sofferenza”.
Come ha riportato Lucia Bellaspiga sulla pagine di Avvenire (14 gennaio 2010) si tratta di un rapporto “meticoloso”, in cui è descritta l’agonia di Eluana.
“La sua voce – è scritto – si è sentita sette volte”. I suoni si moltiplicano il 4, il 5 ed il 6 di febbraio. Una infermiera ha annotato 'Sembrano sospiri'. L’8 di febbraio (il giorno prima di morire) il rapporto parla di “nessun suono”, ma ore e ore di “respiro affaticato e affannoso”. Nei palmi delle mani, strette, i segni delle sue stesse unghie.
Un gelo al cuore la descrizione del cadavere: “Trattasi di cadavere femminile, della lunghezza di circa 171 centimetri, del peso di 53.5 chili, cute liscia ed elastica, capelli neri... Entrambi i lobi presentano un foro per orecchini. Indossa una camicia da notte in cotone rosa”.
La relazione è agghiacciante non solo perchè mostra che Eluana mostrava segni di evidente e solida vitalità, ma soprattutto conferma l’atroce sofferenza a cui è andata incontro morendo di sete.
Intervistata da ZENIT la dott.ssa Chiara Mantovani, Vicepresidente nazionale per il Nord Italia dell'Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI), ha osservato che l’articolo pubblicato da “Avvenire” “avrebbe dovuto scatenare polemiche, cortei, manifestazioni pubbliche e scioperi della fame. Invece, niente”.
“Neppure di fronte al racconto discreto ma agghiacciante della morte di Eluana – ha affermato –, neppure davanti a frammenti di cronaca in differita che muovono lo stomaco, si è mosso chicchessia, nessun profeta della morte pietosa si è indignato per come è morta la Englaro”.
La Vicepresidente dell’AMCI sostiene che purtroppo ci stiamo “abituando all’evidenza negata” e fa l’esempio della pillola abortiva RU 486 mostrata come “innocua, discreta, civile e rispettosa della legge 194/78”.
“Neppure – ha aggiunto – quando si viene a sapere ufficialmente che in Emilia Romagna ci si fa un baffo delle regole per la somministrazione, così che l’aborto è diventato davvero un fatto privatissimo e clandestino – nel senso che non ha diritto di cittadinanza nelle preoccupazioni sociali ed etiche –, neppure allora qualcuno si sente in dovere di chiedere scusa”.
Per la Mantovani, “nessuno chiede scusa o dice mi sono sbagliato perchè domina l’ideologia del ‘quel che voglio, quando lo voglio, perché lo voglio’ non si ha tempo per ragionare e ripensare, magari persino pentirsi. I fatti? Tanto peggio per i fatti”.
In merito alla vicenda della Englaro la dott.ssa Mantovani ha sottolineato i fatti contenuti nella 'Relazione di consulenza tecnica medico-legale' e cioè: “Eluana non presentava un fisico minato, si è lamentata fino a che ne ha avuto la forza, e il modo di nutrirla non poneva problemi medici”.
“Evidentemente – ha argomentato l’esponente dell’AMCI - i problemi erano di altro tipo, stavano (e restano) nello sguardo con cui ci si rivolge a persone come lei: scomparsa per sentenza la compassione che ha generato in due millenni l’assistenza ai bisognosi, negata la dignità senza condizioni per ogni essere umano, subordinato il diritto di vivere al desiderio proprio o di altri, non ci si può meravigliare se ci guardiamo reciprocamente con sospettosi criteri di efficienza”.
Inoltre ci sono anche dati tecnici che “inquietano” ed in particolare la “mezz'ora tra il decesso e la registrazione dell'elettrocar diogramma” giustificata come un “ritardo dovuto alla difficoltà di reperimento del lo strumento”.
A questo punto la Mantovani pone domande scottanti: “Che forse il personale della clinica di Udine non si aspettava di dover utilizzare un elettrocardiografo per stilare il certificato di morte di una donna portata lì per morire? Difficoltà di reperire uno strumento? Credibile in queste ore a Port-au-Prince, non alla Clinica 'La Quiete'”.
La Relazione parla di Eluana che 'ha capelli neri, cute liscia ed elastica, corpo normale, nessun decubito'. E dicevano che ormai era morta. Ma la Mantovani aggiunge: “e se fosse stata piagata, calva, magra? Allora l’opinione pubblica, sarebbe più tranquilla?”.
“Forse sì – risponde -, perché sembra che un sottile e insapore veleno sia stato messo nell’acqua potabile: l’indifferenza e la presunta pietà (così la chiamava Giovanni Paolo II, nella Preghiera per la vita) conducono alla stessa irragionevole persuasione, che se non sei viva secondo i parametri dell’efficienza e della bellezza e della comunicazione, non sei davvero viva”.
“Non c’è rimedio ad un tale avvelenamento della ragione (quella che interroga obiettivamente i fatti e ne trae conseguenze e assume responsabilità anche quando costano) - ha aggiunto la Vicepresidente per il Nord dell’AMCI - se non l’esercizio quotidiano e oggi eroico del rispetto per il reale”.
E allora, ha concluso, “facciamo il possibile per accorgerci del reale prima che ce lo raccontino i certificati di morte”.
ABORTO E IDEOLOGIA DI GENERE: DUE RISOLUZIONI AL CONSIGLIO D’EUROPA - “La sessualità umana è una attività, non una identità” - di Jesús Colina
STRASBURGO, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Due relazioni saranno esaminate e votate dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa questa settimana, spiega l’esperto di diritto europeo Grégor Puppinck in questa intervista rilasciata a ZENIT.
Una di queste contiene una proposta di risoluzione diretta a promuovere i diritti dei cosiddetti “LGBT” (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali), tra i quali sono contemplati anche il matrimonio, l’adozione e l’inseminazione artificiale. L’altra, invece, è a favore di una politica di riduzione demografica, che comprende tra i suoi strumenti anche l’aborto.
Grégor Puppinck è direttore dello European Centre for Law and Justice*, una ONG con sede a Strasburgo specializzata in diritto europeo, ed ha partecipato ai lavori del “Comitato di esperti sulla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” (DH-LGTB) del Consiglio d’Europa.
L’attenzione si è incentrata su due testi che sollevano perplessità, e che saranno esaminati e votati nel corso della prossima sessione dell’Assemblea parlamentare, questa settimana. Diversi deputati e ONG hanno proposto di correggere o arginare questi testi. Di che si tratta?
G. Puppinck: Si tratta di due relazioni parlamentari elaborate in seno al Consiglio d’Europa.
Queste hanno come obiettivo, da una parte, quello di promuovere i diritti dei cosiddetti “LBGT” (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali), trai quali figurano anche il matrimonio, l’adozione e l’inseminazione artificiale.
Dall’altra quello di favorire una politica di riduzione demografica, anche attraverso – e qui è l’elemento problematico – l’aborto.
Le relazioni saranno discusse e votate, rispettivamente, mercoledì 27 e venerdì 29 gennaio, a Strasburgo.
Che problemi concreti presenta la relazione sui diritti dei “LBGT”?
G. Puppinck: La relazione di M. Andreas Gross, il cui titolo è “Discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” è problematica perché non si limita all’obiettivo rispettabile di tutelare le persone “LBGT” da violenze e discriminazioni ingiustificate.
In realtà, la proposta di risoluzione in essa contenuta va al di là di questo e tende a forzare l’opinione e le coscienze, imponendo un’idea secondo cui ogni tipo di rapporto (eterosessuale, omosessuale, bisessuale o transessuale) sarebbe equivalente dal punto di vista della natura e della morale.
Come conseguenza, la risoluzione non permetterebbe alcuna distinzione morale, politica o giuridica, per esempio, in relazione al matrimonio, all’adozione o all’inseminazione artificiale.
E andando oltre la legittima tutela delle persone “LBGT” contro le violenze fisiche e le discriminazioni ingiustificate, questa risoluzione viola diversi diritti fondamentali.
In primo luogo verrebbero indebolite le libertà di opinione, di espressione e di religione, poiché non sarebbe considerato più ammissibile avere un’opinione morale o religiosa sull’omosessualità.
È semplicemente il diritto a “non essere d’accordo” che verrebbe meno, in favore di un pensiero unico, in nome dello “sradicamento dell’omofobia e della transfobia”.
La libertà della Chiesa e dei credenti è direttamente e attualmente minacciata in questo contesto.
Inoltre, anche l’interesse dei bambini e delle famiglie viene minacciato. Di fatto, la famiglia e i bambini non sarebbero più riconosciuti come realtà naturali in se stesse, ma come oggetto di desiderio soggettivo.
Posto che l’adulto LGBT può avere questo desiderio, la proposta di risoluzione conclude affermando l’esistenza di un loro “diritto” a sposarsi, ad adottare e a fondare una “famiglia”, come se le realtà naturali non esistessero.
D’altra parte, del superiore interesse del bambino non si dice nulla, sebbene potrebbe sembrare del tutto opportuno educare i bambini sin dalla tenera età contro i pregiudizi.
Qual è la filosofia che sottende questa proposta di risoluzione?
G. Puppinck: L’affermazione di diritti delle persone LBGT si realizza, da un lato, mediante la negazione della differenziazione tra le realtà – effettivamente diverse – di coppie eterossessuali e di rapporti tra LGBT.
E dall’altro, sul fondamento di una neutralizzazione morale della sessualità, specialmente nella sua variante LGBT.
Questa risoluzione si basa sul presupposto che la sessualità sia esterna alla sfera dell’azione morale.
Tuttavia, la sessualità umana, come ogni attività volontaria, possiede una dimensione morale: si tratta di un’attività posta in essere da una volontà individuale, per una finalità; non è una “identità”.
In altre parole, dipende dall’agire e non dall’essere, nonostante quanto le tendenze omosessuali possano essere radicate nella personalità.
Negare la dimensione morale della sessualità equivale a negare la libertà della persona in questo ambito e porta, in ultima analisi, verso una violazione della sua dignità ontologica.
Le conseguenze di questa impostazione emergono in tutto il testo che viene sottoposto all’esame e al voto dell’Assemblea.
In questo senso, per esempio, si equipara il comportamento sessuale a criteri come la razza, l’età o il sesso, nonostante che questi ultimi siano generalmente accettati per la loro oggettività, in quanto ricadono nell’essere e non nell’agire.
In un senso più generale, la conseguenza principale – e senza dubbio l’obiettivo – dell’estromissione della sessualità dalla sfera dell’azione morale, è di impedire la possibilità stessa di una valutazione morale del comportamento.
Come risultato, la giustificazione morale di una differenza di trattamento – di una discriminazione – diventa impossibile: i diversi tipi di comportamento sessuale sono presenti “in abstracto” come neutrali e equivalenti tra loro.
Diventa impossibile e persino vietato, esprimere un’opinione su questa questione.
Per contro, l’approccio classico e propriamente giuridico, al concetto di discriminazione, si basa sulla valutazione “in concreto” delle circostanze che giustificano o meno una differenza di trattamento.
Si viola in questo modo il diritto ad avere un’opinione personale su un determinato comportamento e ad agire di conseguenza, nella propria sfera personale.
Si vieta la possibilità di valutare, dal punto di vista morale, la differenza tra le diverse realtà di una coppia eterosessuale e i rapporti LGBT, costringendo ad adottare un approccio indifferente e a non poter controbattere alle rivendicazioni idealistiche di presunti “diritti”, come il diritto al matrimonio, all’adozione o alla procreazione medicalmente assistita.
E questo perché esiste l’imperativo di preservare le libertà giuridiche di coscienza e di religione, di pensiero e di parola.
Come opera lo European Centre for Law and Justice (ECLJ) su questi temi?
G. Puppinck: Come organizzazione non governativa, specializzata in diritto internazionale ed europeo dei diritti umani, l’ECLJ ha scritto una memoria molto approfondita, che illustra, basandosi su un’analisi puramente giuridica, gli elementi di questa risoluzione che devono essere modificati.
Sul sito Internet dell’ECLJ è disponibile un memorandum in inglese, che abbiamo preparato su richiesta di un gruppo di deputati, coordinato dal dinamico deputato italiano Luca Volonté.
Fino a questo momento l’Assemblea parlamentare ha agito con una certa indifferenza su alcune questioni molto sensibili, sebbene le sue raccomandazioni esercitino un’influenza reale, soprattutto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per questo è importante seguire da vicino i suoi lavori. Negli ultimi anni, altre ONG hanno svolto un’attività di “lobbying” diretta e classica, per esempio invitando a scrivere ai deputati.
Un'azione quest'ultima molto efficace. I dati dei deputati si trovano sul sito internet dell’Assemblea parlamentare.
E sull’altro testo, quello sulla demografia, che sarà votato questa settimana?
G. Puppinck: Si tratta della relazione intitolata: “Quindici anni dopo il Programma d’azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo”, che si riferisce alla Conferenza del Cairo. La proposta di raccomandazione sarà discussa venerdì 29 gennaio.
L’ECLJ ha espresso la sua preoccupazione per la promozione dell’aborto come mezzo di controllo demografico e di pianificazione familiare.
Nel corso dei negoziati sul Programma d’azione del Cairo, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno escluso esplicitamente l’aborto come mezzo di regolazione delle nascite, così come è stata esclusa l’affermazione di un ipotetico “diritto” fondamentale ad abortire.
La relazione nel suo insieme si fonda su un’ideologia neomaltusiana, in cui si insiste sulla necessità concreta di limitare le nascite nei Paesi più poveri.
Anche per questa raccomandazione, l’ECLJ ha elaborato uno studio approfondito, disponibile in francese e in inglese, su Internet.
Questo intervento ha provocato un primo rinvio dell’esame del testo, previsto inizialmente per l’ultima sessione.
In questa analisi, insistiamo molto sul fatto che la promozione dell’aborto costituisca una violazione dei diritti fondamentali sui quali è stato costituito il Consiglio d’Europa.
Questa promozione è contraria alla tutela della vita umana e alla sua dignità, nonché al rispetto della sovranità nazionale.
Il Programma d’azione del Cairo non ha creato un “diritto” all’aborto e ha lasciato agli Stati membri il compito di decidere sul grado di tutela da riservare ai nascituri nei rispettivi Paesi.
Il Programma d’azione precisa che l’attuazione delle raccomandazioni in esso contenute “è un diritto sovrano che ciascun Paese esercita in maniera compatibile con le proprie leggi nazionali e le sue priorità in materia di sviluppo, nel pieno rispetto dei valori religiosi ed etici e delle origini culturali del suo popolo, e in conformità con i diritti umani universalmente riconosciuti”.
* Il Centro europeo per la legge e la giustizia (ECLJ) è un’organizzazione non governativa fondata nel 1998 a Strasburgo e ha come obiettivo la tutela dei diritti umani e la libertà religiosa in Europa. I giuristi dell’ECLJ sono intervenuti in numerosi casi giunti anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’ECLJ gode di uno statuto consultivo speciale presso le Nazioni Unite ed è accreditato presso il Parlamento europeo.
http://www.eclj.org
Il Giornale 27 gennaio 2010 - Una lettera inedita rivela che Wojtyla era pronto a dimettersi da Pontefice - di Andrea Tornielli
Un libro svela i retroscena su Giovanni Paolo II: in una lettera scritta di suo pugno si diceva disposto a lasciare il Vaticano in caso di malattia. Il Papa teneva nell’armadio una cintura per flagellarsi. E a volte dormiva per terra
Un giorno, una delle suore in servizio nell’appartamento pontificio vide Giovanni Paolo II particolarmente affaticato e gli confidò di essere «preoccupata per Sua Santità». «Anch’io sono preoccupato per la mia santità» fu la sorridente e fulminea risposta di Papa Wojtyla. Preoccupazione infondata, ora che la causa di beatificazione si sta concludendo e presto il Pontefice polacco salirà sugli altari. Comincia con questo episodio piccolo eppure illuminante sulla personalità di Karol Wojtyla, il libro che il postulatore della causa Slawomir Oder ha scritto con il giornalista Saverio Gaeta rivelando testimonianze inedite emerse durante il processo. Il libro, Perché è santo (Rizzoli, pp. 200, 18,50 euro), è stato presentato ieri a Roma dal cardinale José Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi.
Tra gli inediti più interessanti del volume da oggi in libreria, c’è un documento relativo alle dimissioni di Giovanni Paolo II, il quale, con l’approssimarsi dei 75 anni, nel 1994, fece studiare la possibilità di lasciare l’incarico anche in considerazione della malattia dalla quale era stato colpito, il morbo di Parkinson. Alla fine, «dopo aver pregato e riflettuto a lungo», consapevole che nella Chiesa «non c’è posto per un Papa emerito», Wojtyla decise di continuare, informando però il collegio cardinalizio di aver «già messo per iscritto» da tempo la sua volontà di rinunciare «nel caso di infermità che si presuma inguaribile» e che gli impedisca di esercitare le sue funzioni. All’infuori di questa ipotesi, però, scriveva, «avverto come grave obbligo di coscienza il dovere di continuare a svolgere il compito a cui Cristo Signore mi ha chiamato, fino a quando egli, nei misteriosi disegni della sua Provvidenza, vorrà».
La lettera autografa di dimissioni è datata 15 febbraio 1989 ed è significativo che sia stata scritta prima dell’insorgere del Parkinson. Il Papa dichiara di voler rinunciare all’incarico «nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, di lunga durata, e che mi impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del mio ministero apostolico, ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo», lasciando al cardinale decano, al Vicario di Roma e ai capi dicastero «la facoltà di accettare e di rendere operanti» le dimissioni.
Nel libro, che riporta il meglio delle 114 testimonianze agli atti della causa, pur omettendo i nomi di chi ha testimoniato, vengono confermati gli aspetti mistici di Giovanni Paolo II e il suo dialogo con Maria: uno dei suoi collaboratori, mentre parlavano delle apparizioni mariane, gli chiese se avesse mai visto la Madonna. La risposta del Papa fu netta: «No, non ho visto la Madonna, ma la sento». E alla luce di queste parole sono destinate a pesare le molteplici testimonianze che attestano come Wojtyla credesse alle apparizioni di Medjugorje. Nel libro si riportano, accreditandole, le parole da lui pronunciate nel 1987, durante un breve colloquio, con la veggente Mirjana Dragicevic, alla quale confidò: «Se non fossi Papa, sarei già a Medjugorje a confessare». Un’intenzione che trova conferma nella testimonianza del cardinale Frantisek Tomasek, arcivescovo emerito di Praga, il quale gli sentì dire che, se non fosse stato Papa, avrebbe voluto andare nel piccolo paese dell’Erzegovina per offrire aiuto nell’assistenza dei pellegrini.
Anche il rapporto mistico con Padre Pio trova nuove conferme. Un testimone, che ebbe un’udienza con Giovanni Paolo II dopo aver preso parte alla sua messa nella cappella privata, a un certo punto del colloquio «ebbe l’impressione di veder sfumare il volto del Pontefice e apparire al suo posto l’immagine benevola del volto di Padre Pio. Quando rivelò la sua esperienza al Papa, si sentì rispondere con semplicità: “Anch’io lo vedo”».
Viene fatta anche chiarezza sulle sue mortificazioni corporali alle quali Wojtyla si sottoponeva. «Era lui stesso a infliggere al proprio corpo disagi e mortificazioni... Non di rado passava la notte coricato sul nudo pavimento». Ma non si limitava a questo. Come hanno potuto sentire con le proprie orecchie alcuni membri del suo stretto entourage, «in Polonia come in Vaticano, Karol Wojtyla si flagellava. Nel suo armadio, in mezzo alle tonache, era appesa sull’attaccapanni una particolare cintura per i pantaloni, che lui utilizzava come frusta e che faceva portare sempre anche a Castel Gandolfo».
Un altro inedito reso noto è il testo di una «lettera aperta» ad Ali Agca, con parole di perdono, che il Papa avrebbe voluto leggere durante l’udienza generale del 21 ottobre 1981. Come pure la segnalazione da parte dei servizi segreti italiani al Vaticano, di un progetto di sequestro del Papa da parte delle Brigate rosse, che giunse Oltretevere poco prima dell’attentato di Agca e per questo, appena colpito, il Papa disse al suo segretario: «Come per Bachelet», riferendosi al vicepresidente del Csm assassinato a Roma dai brigatisti nel febbraio 1980. Non manca infine una testimonianza relativa alla politica che coinvolge la Lega Nord. Giovanni Paolo II guardava infatti con particolare preoccupazione alle spinte secessionistiche che minavano l’unità del Paese.
Come ha raccontato un testimone diretto di quei giorni: «Ricordo ancora vivamente lo sconcerto del Papa nell’estate del 1996, quando la Lega Nord andò alle fonti del fiume Po. Sentiva questo gesto come un crimine contro l’unità del Paese e mi chiedeva perché non intervenivano i carabinieri e il presidente della Repubblica non facesse nulla. Aveva ben presente il bene prezioso che l’Italia rappresentava anche per la Santa Sede e per il Papa. A questa convinzione si deve anche la decisione di unire nella persona del vicario di Roma la carica di presidente della Conferenza episcopale italiana».
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Nella memoria liturgica del Dottore Angelico - Il liberatore dell'intelletto - di Inos Biffi - L'Osservatore Romano - 28 gennaio 2010
"Come si diventa teologi?", chiesero un giorno a Tommaso d'Aquino: "Ponendosi, egli rispose, alla scuola di un valido maestro", e fece il nome di Alessandro Halense. Anche l'Angelico, per parte sua, si era posto alla scuola di un maestro, Alberto Magno, il solo che, con singolare perspicacia, intuì l'ingegno eccezionale del silenzioso discepolo "siciliano", preannunziandone la splendida riuscita. Quando venne a conoscenza della sua scomparsa (il 7 marzo 1274) esclamò: "È morto fra Tommaso d'Aquino, figlio mio in Cristo, luce della Chiesa".
Mettersi alla scuola di Tommaso è, senza ombra di dubbio, una via sicura per diventare non solo teologi, ma anche filosofi o, più in generale e semplicemente, per essere capaci di pensare bene, di ragionare.
È vero che non sono mancati, ai nostri giorni, soprattutto dei teologi, che, o non conoscendolo, se non per sentito dire, o fraintendendolo, ne hanno deciso l'inattualità. Ma non bisogna prenderli sul serio. In generale, essi sono convinti che prima di loro ci sia stato il diluvio, e si compiacciono di professarsi "senza padre, senza madre e senza genealogia"; e anche se talora studiano gli autori del passato, non lo fanno tanto per sapere quello hanno detto, ma per insegnare quello che avrebbero dovuto dire. Si sente spesso affermare che, per essere attuali, non ci si deve fermare a san Tommaso. Solo che, per non fermarsi a lui, bisognerebbe esserci arrivati, senza dire che ad aver valore e a importare non è affatto l'attualità, ma la verità, che rappresentò la passione fondamentale del Dottore Angelico.
Egli fu sensibilissimo alla storia, a "quello - diceva - che gli uomini hanno pensato": basti richiamare le sue "lezioni" bibliche e il suo impegno a commentare le opere di Aristotele, impresa, questa, certamente singolare per un "maestro in Sacra Pagina". Né, d'altronde, si accontentava di ripetere le parole degli autori studiati, fosse pure sant'Agostino, ma ne ricercava "l'intenzione profonda", di là dall'espressione (quae sit intentio profundior). Neppure questa, tuttavia, era la tappa conclusiva della sua indagine: quello che alla fine gli premeva era di trovare "quale fosse la verità" (veritas rerum circa hoc). Ed era il momento della liberazione.
Anche nel suo continuo accostamento ad Aristotele, la sua preoccupazione ultima non era tanto quella di ricostruirlo storicamente, quanto, in un certo senso, di renderlo più compiutamente vero e coerente fino in fondo, salvandolo da Averroè.
Scrive Chesterton che la rivoluzione aristotelica di Tommaso è consistita non nel "riconciliare Cristo con Aristotele, ma Aristotele con Cristo", e che egli è stato "uno dei grandi liberatori dell'intelletto umano". Tommaso è infatti un incomparabile educatore dell'intelligenza, un "apostolo dell'intelligenza" (Maritain) e lo poteva essere anzitutto per la grande stima che nutriva verso la ragione, che, egli riteneva, non depressa, o confusa dalla fede o dalla grazia, ma, al contrario, intimamente risanata: "La fede non distrugge la ragione, ma la oltrepassa e la porta alla perfezione" (De veritate, 14, 1, 9). Egli si spinge fino a dire: "Il sapiente ama e onora l'intelletto, che, tra le realtà umane, è quella a cui Dio riserva l'amore più intenso" (In x Ethicorum, lectio 13).
In questo cammino educativo Tommaso parte andando "diritto all'esse" (Maritain), ossia riconoscendo innata nella struttura dell'intelletto la capacità di percepire l'essere - "l'essere è la prima conoscenza dell'intelletto" - (2 Sententiae, 19, 5, 1, 2m) e i principi primi indimostrabili che gli sono naturalmente intrinseci, la conoscenza dei quali "ci è innata" (De veritate, 11, 1, c.) ed è condizione di ogni conoscenza.
L'uomo, partendo dall'autocoscienza (notitia sui) (De veritate 15, 1, 6), può allora interpretare quanto è oggetto immediato della sua esperienza, gli "esseri" o gli enti, e avvertirne l'intima insufficienza. Infatti, a motivo della loro mobilità, precarietà o contingenza, e frammentarietà non possono radicalmente autogiustificarsi: hanno il pregio dell'essere, ma insieme sono afflitti dal non-essere.
Conducendo la ragione su questa strada, Tommaso la porta a riconoscere la necessità, si direbbe l'"ovvietà", dell'esistenza di un "Essere" non toccato da alcun limite, Atto o perfezione pura, che sia all'inizio e quale fonte dell'attualità di ogni ente. Ed è come dire di ogni ente l'intima relazione e professione "religiosa", "teologica". Per questa relazione gli esseri possono esistere: lasciati a sé sono per la morte assoluta, ossia per la caduta nel non essere; possono continuare nell'esistenza solo perché "Dio continua a elargire a essi l'essere", in cui consiste la perfezione (Summa Theologiae, i, 4, 1, 3m).
Secondo Tommaso, il vertice di questo avvincente ed entusiasmante cammino è raggiunto col riconoscimento che l'essenza di Dio è quella di "essere": "Dio è essere per essenza" (Summa Theologiae, i, 4, 3, 3m); è l'ipsum esse (Summa Theologiae, i, 3, 4, c). E questa è una "sublime verità". Sembra di sentire una silenziosa ma viva emozione in lui, quando nella Summa contra Gentiles afferma: "In Dio l'essenza si identifica con l'essere. Di questa sublime verità Mosè fu ammaestrato dal Signore". Certamente, nella persuasione che di Dio "non possiamo sapere quello che è, ma piuttosto quello che non è" (Summa Theologiae, i, 3, intr.). D'altronde, affermare che la ragione può e deve arrivare a Dio, non significa svalutare il ruolo dell'affetto, anche perché per Tommaso "volontà e intelletto si includono reciprocamente" (Summa Theologiae, i, 16, 4, 1m) e "si accede a Dio con l'affetto dell'anima" (Summa Theologiae, i, 3, 1, 5m).
È nota, poi, la dottrina di Tommaso relativa alla conoscenza "per connaturalità" o "nella modalità dell'inclinazione" (cfr. Summa Theologiae, i, 6, 3m).
Riconoscere, in ogni caso, il primato dell'intelletto originariamente fatto per conoscere l'essere, significa affacciarsi già al mistero dell'essere stesso, che può solo stupire e portare a una sua mistica, che verrà sublimata all'accorgersi che l'Essere è "personalmente" Dio.
Abbiamo parlato di Tommaso come di liberatore dell'intelletto. E, infatti, se all'inizio sta la conoscenza dell'essere, vuol dire vi sta l'oggettività, la verità, non l'arbitrio, o l'emozione, o il desiderio "a essere appetibile (come bene) è l'essere" (Summa Theologiae, i, 5, 2, 3m). È quello che fa scrivere a Tommaso: "La verità non varia a seconda della diversità delle persone" - sia in bocca a un superiore o a un suddito, a un professore o a un alunno, a un padre o a un figlio, a Dio o all'uomo - "per cui quando uno dice la verità non può essere vinto da nessuno" (Expositio super Iob ad litteram, xiii, 19). È il senso dell'oggettività, del suo valore, del suo essere assoluto, non manipolabile a piacere. Perciò l'Angelico amava ripetere: "La verità, chiunque sia chi l'asserisca, ha lo Spirito Santo come genesi" (In Titum, 1, 13).
(©L'Osservatore Romano - 28 gennaio 2010)
Diagnosi prenatali, l’eugenetica di massa - di Daniele Zappalà – Avvenire, 28 gennaio 2010
«I test pre natali sem bra no aver preso una dimensione iperbolica, se si considerano le basi scientifiche incerte su cui si fondano. Emerge un commercio dei rischi che produce angoscia e ansia». A lanciare l’allarme è il professor Roland Gori, il noto psicopatologo e saggista francese all’origine di un recente appello, sottoscritto da numerosi ed eminenti specialisti di ginecologia ed ostetricia, sulle derive tecnocratiche legate all’accompagnamento della procreazione. L’appello, in Francia, ha rotto il ghiaccio su un autentico tabù. E allargando la propria riflessione, lo studioso non esita a parlare di minacce future di «distruzione dell’umanità nell’uomo a favore di una riproduzione tecnica della specie».
Professore, cosa l’ha spinta a lanciare l’allarme?
Da anni lavoro sulle derive ideologiche e psicopatologiche legate alla medicalizzazione dell’esistenza. Viviamo in una
Parla Roland Gori, lo psicopatologo e scrittore laico francese che ha lanciato l’appello di intellettuali e medici pubblicato da «Le Monde» contro la deriva tecnocratica della procreazione. «Donne incinte braccate negli ospedali per esami abusivi e inutili. L’individuo finisce sotto osservazione fino alle pieghe più intime della sua esistenza. È un approccio fideistico verso la scienza»
società che attraversa una crisi etica e in cui i politici tendono a rivolgersi alle scienze della vita, come la medicina, per costruire un sistema di disposizioni sulle condotte individuali. Diventa evidente più che mai il pericolo di una gestione pseudoscientifica e tecnica del vivente, capace di ripetere persino certi orrori del recente passato. Sul piano psicopatologico, ciò conduce a una dispersione negli individui di un’etica della critica e della responsabilità. Nello specifico, l’incontro di diversi specialisti nel campo dell’ostetricia mi ha fatto prendere coscienza della generalizzazione delle diagnosi prenatali. In certi reparti, mi è stato spiegato con inquietudine, le donne incinte vengono ormai quasi braccate. A giustificare quest’atteggiamento è la pretesa di anticipare i rischi per i nascituri.
Ma diversi test paiono abusivi e configurano anzi una specie di 'commercio del rischio'. Le donne incinte vengono invitate a sottoporsi a numerosi test anche su patologie eventuali su cui non esistono cure. Si spalanca dunque una questione etica enorme. Tanto più se si considerano le conseguenze psicologiche disastrose sulle donne. Qualcosa di naturale come la gravidanza nei casi peggiori può ridursi a una prova costante inflitta alla loro psicologia. Eppure, scientificamente, la definizione di molti di tali rischi resta controversa.
Si può parlare di una colonizza zione dei progetti d’avvenire del le famiglie?
È così. È qualcosa di simile alle recenti pretese di predire la delinquenza a partire da certi disturbi del comportamento nei bambini di neppure 3 anni. In quel caso, si partiva da studi sui topi mutanti e da articoli molto controversi. Si arriva in entrambi i casi ad aberrazioni che confondono predizione e prevenzione.
Queste forme di determinismo applicate all’uomo paiono rima re con scientismo...
In proposito, emerge un pericolo che in certi casi si potrebbe definire totalitario. Oggi, in nome di una certa concezione della scienza, del principio di precauzione, della prevenzione dei rischi, l’individuo può finire sotto osservazione fino alle pieghe più intime della sua esistenza. C’è il rischio, insomma, di calibrare gli individui così come si fa già oggi in Europa con i pomodori, cioè a partire da considerazioni tecnocratiche. È un approccio politico fideistico verso la scienza che tende a escludere il senso individuale della responsabilità e della solidarietà.
A livello clinico, che conseguen ze può avere questa pressione sulle persone che comincia an cor prima della culla?
Da tempo m’interesso alla possibilità di veder emergere ciò che chiamo 'patologie del nichilismo'. I sintomi che vediamo oggi moltiplicarsi, dalle più diverse dipendenze alla strumentalizzazione dell’altro, mi sembrano sempre più il rovescio della medaglia di questa nuova civiltà contabile, normativa, pseudoscientifica.
La gravidanza è il momento per eccellenza di contatto col miste ro della vita. L’offensiva tecno cratica che lei denuncia produce una perdita di senso?
Credo di sì. Diversi filosofi avevano visto in passato la scienza non certo come un mezzo per chiudere i conti col mistero. Ma al contrario, come una via che apre, attraverso la conoscenza, spazi per nuovi misteri ed enigmi. Oggi, spesso, la concezione della scienza applicata al vivente tende invece pericolosamente ad avvicinarsi al produttivismo e a una visione fino a ieri riservata all’industria.
Ciò è legato direttamente agli in teressi economici in gioco dietro il 'commercio dei rischi'?
Nel caso dei test prenatali, così come in altri ambiti dello stesso genere, esiste una porosità ormai estrema fra gli interessi commerciali e industriali, da una parte, e le politiche sanitarie. Una minima variazione nei valori giudicati dai poteri pubblici come una norma sanitaria possono tradursi per l’industria in notevoli oscillazioni del proprio giro d’affari.
In Europa si allarga il dibattito sui rischi di derive eugeniste. In Francia, a gettare il sasso è stato il professor Didier Sicard, ex pre sidente del Consiglio consultivo d’etica. Che ne pensa?
Sono d’accordo col professor Sicard, anche se abbiamo approcci al problema diversi.
Personalmente, parlerei di un rischio di eugenismo neoliberale.
Sulle questioni legate al vivente, gli esperti tendono oggi a prendere il posto di figure guida capaci di richiamare la coscienza morale. Il regno degli esperti tende a dirci in modo sempre più chiaro che la verità è la norma. Si tratta di una follia.
E ciò giunge proprio quando, in campi come la ricerca in biolo gia, emergono più che mai certi limiti conoscitivi della scienza.
Un paradosso?
Proprio così. L’onore della scienza sta nel riconoscere che non ha risposte a tutto, in particolare nel caso dell’umano. Oggi in Europa stiamo vivendo una vera ondata di morale utilitarista senza ancora possedere gli antidoti. Ma resto convinto che potremo trovarli in tre modi: tornando all’etica dei nostri mestieri scientifici, grazie a una riflessione epistemologica sulla scienza e infine attraverso un impegno pubblico di sensibilizzazione.
Embrioni, la lista degli scarti - Anche malattie 'lievi' nell’elenco delle disfunzioni che autorizzano la selezione preimpianto - Elisabetta Del Soldato – Avvenire, 28 gennaio 2010
Alle cliniche del Regno Unito non servirà più un permesso speciale per distruggere gli embrioni che riportano difetti genetici anche minori. La Human Fertilisation and Embryology Authority, l’ente che regola il settore della fecondazione artificiale ed embriologia, ha pubblicato qualche giorno fa una lista di 116 malattie genetiche ereditarie che se diagnosticate durante la fecondazione artificiale possono dare il via alla distruzione dell’embrione. La notizia ha sollevato critiche e preoccupazione perché tra queste condizioni ereditarie ce ne sono molte che garantiscono a un essere umano una qualità di vita decorosa e in alcuni casi, come dimostrato in passato, anche eccezionale. Domenica scorsa il Sunday Times sottolineava come alcuni grandi personaggi della nostra storia, per esempio Abramo Lincoln o Charles De Gaulle, siano riusciti a condurre una vita esemplare nonostante avessero una malattia oggi inclusa nella lista della HFEA, la sindrome Marfan, o come altri, per esempio Pete Sampras, sia riuscito ad eccellere nel tennis anche se malato di talassemia, sempre nell’elenco. «La notizia è terrificante – ci spiega Josephine Quintavalle di Core, Comment on Reproductive Ethics – e ancora di più se si considera che molti embrioni vengono scartati anche prima di essere diagnosticati difettosi. Se per esempio nella famiglia di una coppia che cerca di concepire attraverso la fecondazione artificiale c’è un nonno che ha avuto una malattia grave, gli embrioni che riportano i geni del nonno vengono eliminati automaticamente ancora prima di essere sicuri che questi contengano la stessa malattia. In poche parole è molto probabile che saranno distrutti embrioni assolutamente sani».
Per David King, direttore del gruppo Human Genetic Alert, l’iniziativa della HFEA «è un’ulteriore conferma dell’ossessione esistente in questo Paese di cercare la perfezione a tutti i costi quando sappiamo bene che la perfezione non esiste e che è sbagliato sbarazzarci di una vita perché questa non è perfetta. E contribuisce alla creazione di un clima sociale in cui anche le più piccole deviazioni da quella che è considerata la normalità vengono considerate inaccettabili».
La procedura per identificare anormalità genetiche ereditarie conosciuta con il nome di Pdg (Pre implantation genetic diagnosis) consiste nel rimuovere alcune cellule da un embrione tre giorni dopo la fecondazione. Gli embrioni che presentano cellule con geni a rischio vengono scartati mentre quelli considerati sani vengono impiantati nell’utero della madre.
«Purtroppo siamo solo all’inizio di questa folle corsa verso ciò che non si può altro che chiamare eugenetica», conclude la Quintavalle. L’autorità sta infatti valutando in questi giorni la possibilità di aggiungere alla lista altre 24 malattie ereditarie. Tra queste c’è anche la porfiria, una malattia genetica del sangue che provoca squilibri mentali e che negli ultimi anni del suo regno fu responsabile della 'pazzia' di Giorgio III. Il sovrano morì nel 1820, a 82 anni d’età.
Scoperte etiche: neuroni nuovi non «ringiovaniti» - Viviana Daloiso – Avvenire, 28 gennaio 2010
Se ci fosse ancora qualche dubbio sulla portata della scoperta effettuata nel 2007 dallo scienziato Shinya Yamanka sulle cellule riprogrammate, le notizie arrivate dall’America nelle ultime ore lo fugheranno definitivamente.
Gli studi effettuati alla Stanford University School di Palo Alto hanno infatti inaugurato un nuovo, incoraggiante ramo della ricerca «etica» sulle staminali (vale a dire non disposta a sacrificare embrioni per la riuscita dei suoi intenti) proprio a partire dal protocollo del ricercatore giapponese. E – come spiegato sull’ultimo numero di Nature – sono riusciti per la prima volta a ottenere cellule adulte capaci di trasformarsi in neuroni funzionanti senza essere prima ringiovanite, cioè riconvertite allo stato embrionale come secondo l’originale protocollo di Yamanaka.
Per comprendere l’importanza della scoperta occorre fare un passo indietro, e tornare proprio a quel novembre del 2007, quando lo scienziato giapponese diede l’annuncio della scoperta rivoluzionaria: nel suo laboratorio di Kyoto egli era stato in grado di riprogrammare fibroblasti umani e di topo e riportarli alla fase di pluripotenza (in pratica 'ringiovanirli') grazie a un cocktail di quattro fattori di trascrizione.
Risultato: delle cellule nuove, adulte e ridotte a uno stato simil-embrionale, chiamate iPs (staminali pluripotenti indotte) e capaci di trasformarsi in ogni tessuto umano proprio come in linea teorica si era sempre supposto potessero fare quelle ricavate dagli embrioni. Un passo concreto, finalmente, visto che con le stesse embrionali non si era mai riusciti a ottenere alcun tessuto umano per l’ingestibilità delle stesse cellule e il loro altissimo tasso di reazioni cancerogene.
Unico limite della scoperta, proprio il rischio di tumori che anche queste cellule dimostravano nei primi esperimenti. Di qui la corsa al perfezionamento della tecnica che negli ultimi due anni ha visto protagonisti quasi tutti i laboratori del pianeta.
Ora il team guidato da Marius Wering avrebbe trovato una soluzione al problema, testando l’efficacia di una serie di geni, fra i quali ne sono stati individuati tre in grado di convertire rapidamente i fibroblasti embrionali e post-natali di topo. Con una differenza fondamentale: queste cellule mature non vengono prima trasformate in embrionali (dunque riportate allo stato di pluripotenza), saltando proprio il passaggio che apriva la strada al rischio di tumori nelle riprogrammate. Di più: le cellule della Stanford University mostrano già dai primi test di poter esprimere numerose proteine neuroni-specifiche e formare sinapsi funzionali. In parole povere, da esse è possibile ottenere neuroni. Un risultato straordinario che se confermato nei prossimi mesi potrà aprire concretamente una nuova era per la medicina rigenerativa. Senza distruggere o manipolare vite umane.