domenica 21 giugno 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 21/06/2009 11:47 – VATICANO - Papa: Contro secolarizzazione e attivismo, vivete preghiera e carità come Padre Pio - Benedetto XVI visita san Giovanni Rotondo e propone le caratteristiche del santo di Pietrelcina ai frati cappuccini, ai gruppi spirituali di Padre Pio e a tutti i fedeli. Il papa si è raccolto in preghiera davanti al corpo del santo.
2) La salvezza dei «fratelli» al centro della spiritualità sacerdotale di padre Pio - Tra il dolore e la bellezza di Cristo - di Francesco Castelli – L’Osservatore Romano, 21 giugno 2009
3) Secondo la Fao nel 2009 le persone sottonutrite supereranno il miliardo - La fame aumenta e non solo nel sud del mondo – L’Osservatore Romano, 21 giugno 2009
4) Il pensiero di Chesterton – La ragione 8 – Il paradosso: Padre Brown si immedesima col criminale - Autore: Platania, Marzia Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it
5) UN FILO ROSSO LEGA IL CURATO D’ARS E IL FRATE DEL GARGANO - DUE FIGURE DI CONTADINI IN POCHE ORE ALLA RIBALTA - MARINA CORRADI – Avvenire, 21 giugno 2009
6) FRAGILI ARGOMENTI A PROPOSITO DELLE DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO - Se l’alimentazione è una cura forse che ci curiamo tutta la vita? - TOMMASO SCANDROGLIO – Avvenire, 21 giugno 2009
7) Bioetica, Obama cancella la Commissione di Bush - La Casa Bianca solleva di colpo dall’incarico i 18 scienziati Il leader: voglio proposte pratiche - DA NEW YORK ELENA MOLINARI – Avvenire, 21 giugno 2009
8) LETTERATURA/ Primo Levi, un’ora per capire che cos’è l’uomo - Laura Cioni - sabato 20 giugno 2009 – ilsussidiario.net


21/06/2009 11:47 – VATICANO - Papa: Contro secolarizzazione e attivismo, vivete preghiera e carità come Padre Pio - Benedetto XVI visita san Giovanni Rotondo e propone le caratteristiche del santo di Pietrelcina ai frati cappuccini, ai gruppi spirituali di Padre Pio e a tutti i fedeli. Il papa si è raccolto in preghiera davanti al corpo del santo.
San Giovanni Rotondo (AsiaNews) – La “semplicità”, l’umiltà, l’essere stato “afferrato da Cristo”, le caratteristiche di Padre Pio, sono l’eredità che egli ha lasciato ai suoi fratelli cappuccini, a tutti i gruppi di preghiera a lui legati, a tutti i cristiani, per combattere attivismo e secolarizzazione: così il papa nella sua visita pastorale al santuario di Santa Maria delle Grazie, a San Giovanni Rotondo, il luogo che accoglie le spoglie di Padre Pio, canonizzato nel 2002. Nell’Anno sacerdotale appena iniziato, Benedetto XVI ha tratteggiato un altro modello per i sacerdoti mostrando a tutti l’esempio del frate di Pietrelcina: “Un uomo semplice, di origini umili, ‘afferrato da Cristo’ (Fil 3,12)… per farne uno strumento eletto del potere perenne della sua Croce: potere di amore per le anime, di perdono e di riconciliazione, di paternità spirituale, di solidarietà fattiva con i sofferenti. Le stigmate, che lo segnarono nel corpo, lo unirono intimamente al Crocifisso-Risorto”.
Dal Vaticano il pontefice si è recato in aereo al santuario. Prima dell’eucaristia - celebrata nella spianata della nuova basilica, insieme a centinaia di migliaia di fedeli da tutto il mondo - il papa si è fermato alcuni minuti nella cripta che raccoglie le il corpo del santo, accendendo due lampade a ricordo della sua visita.
Nella sua omelia Benedetto XVI ha preso spunto dal Vangelo del giorno, che racconta il miracolo della tempesta sedata (Mc 4, 35-41). “Il gesto solenne di calmare il mare in tempesta è chiaramente segno della signoria di Cristo sulle potenze negative e induce a pensare alla sua divinità: ‘Chi è dunque costui – si domandano stupiti e intimoriti i discepoli –, che anche il vento e il mare gli obbediscono?’ (Mc 4,41). La loro non è ancora fede salda, si sta formando; è un misto di paura e di fiducia; l’abbandono confidente di Gesù al Padre è invece totale e puro. Per questo Egli dorme durante la tempesta, completamente sicuro nelle braccia di Dio. Ma verrà il momento in cui anche Gesù proverà paura e angoscia: quando verrà la sua ora, sentirà su di sé tutto il peso dei peccati dell’umanità, come un’onda di piena che sta per rovesciarsi su di Lui. Quella sì, sarà una tempesta terribile, non cosmica, ma spirituale. Sarà l’ultimo, estremo assalto del male contro il Figlio di Dio…. In quell’ora, Gesù da una parte fu un tutt’uno con il Padre, pienamente abbandonato a Lui; dall’altra, in quanto solidale con i peccatori, fu come separato e si sentì come abbandonato da Lui”.
Anche Padre Pio, dice il papa, ha vissuto le “tempeste” insieme a Gesù. “Rimanendo unito a Gesù – spiega Benedetto XVI - egli ha avuto sempre di mira la profondità del dramma umano, e per questo si è offerto e ha offerto le sue tante sofferenze, ed ha saputo spendersi per la cura ed il sollievo dei malati, segno privilegiato della misericordia di Dio, del suo Regno che viene, anzi, che è già nel mondo, della vittoria dell’amore e della vita sul peccato e sulla morte. Guidare le anime e alleviare la sofferenza: così si può riassumere la missione di san Pio da Pietrelcina, come ebbe a dire di lui anche il servo di Dio, il Papa Paolo VI”.
“Padre Pio - ha aggiunto - attirava sulla via della santità con la sua stessa testimonianza, indicando con l’esempio il ‘binario’ che ad essa conduce: la preghiera e la carità”. Benedetto XVI ricorda l’intensità con cui Padre Pio celebrava la messa e mostra come l’ospedale “Casa sollievo della sofferenza”, da lui fondato, è un frutto della carità e del suo stretto legame con il Cuore di Cristo.
E rivolgendosi ai frati, ai gruppi spirituali legati a Padre Pio e a tutti, egli ha affermato: “I rischi dell’attivismo e della secolarizzazione sono sempre presenti; perciò la mia visita ha anche lo scopo di confermarvi nella fedeltà alla missione ereditata dal vostro amatissimo Padre. Molti di voi, religiosi, religiose e laici, siete talmente presi dalle mille incombenze richieste dal servizio ai pellegrini, oppure ai malati nell’ospedale, da correre il rischio di trascurare la cosa veramente necessaria: ascoltare Cristo per compiere la volontà di Dio. Quando vi accorgete che siete vicini a correre questo rischio, guardate a Padre Pio: al suo esempio, alle sue sofferenze; e invocate la sua intercessione, perché vi ottenga dal Signore la luce e la forza di cui avete bisogno per proseguire la sua stessa missione intrisa di amore per Dio e di carità fraterna”.
Al termine della messa Benedetto XVI ha guidato la preghiera dell’Angelus, ricordando la devozione che Padre Pio aveva verso la Madonna. “Tutta la sua vita – ha detto - e il suo apostolato si sono svolti dunque sotto lo sguardo materno della Madonna e con la potenza della sua intercessione. Anche la Casa Sollievo della Sofferenza egli la considerava opera di Maria, ‘Salute dei malati’”.
“All’intercessione della Madonna e di san Pio da Pietrelcina - ha aggiunto - vorrei affidare in modo speciale l’Anno Sacerdotale, che ho inaugurato venerdì scorso, Solennità del Sacro Cuore di Gesù. Sia esso un’occasione privilegiata per porre in luce il valore della missione e della santità dei sacerdoti al servizio della Chiesa e dell’umanità del terzo millennio!”.
Prima di iniziare la preghiera mariana, il pontefice ha anche ricordato brevemente la Giornata Onu per i rifugiati, celebrata ieri: “Molte sono le persone che cercano rifugio in altri Paesi fuggendo da situazioni di guerra, persecuzione e calamità, e la loro accoglienza pone non poche difficoltà, ma è tuttavia doverosa. Voglia Iddio che, con l’impegno di tutti, si riesca il più possibile a rimuovere le cause di un fenomeno tanto triste”.


La salvezza dei «fratelli» al centro della spiritualità sacerdotale di padre Pio - Tra il dolore e la bellezza di Cristo - di Francesco Castelli – L’Osservatore Romano, 21 giugno 2009
Il 2008 è stato un anno di eccezionale importanza per la conoscenza di padre Pio da Pietrelcina. La pubblicazione di due documenti ha svelato aspetti umani e mistici del cappuccino inediti e di profondo significato. Nel febbraio 2008 è avvenuta la scoperta di una nuova lettera, la terza, del vescovo vicario capitolare a Cracovia Karol Wojtyla al cappuccino, nella quale il futuro Pontefice chiedeva a padre Pio di pregare questa volta anche per lui e per la propria difficile situazione pastorale. Poi, è seguita la pubblicazione degli atti della prima visita apostolica del Sant'Uffizio, compiuta nel giugno 1921, per otto giorni, lunghi e intensi, dal vescovo di Volterra Raffaello Carlo Rossi, futuro cardinale. Un confronto netto e serrato, ma anche equilibrato, durante il quale padre Pio fu chiamato a rispondere su tutti gli aspetti della sua vita, da quelli più semplici della quotidianità fino alle pieghe più intime della sua vita interiore e mistica. Le risposte del frate, ben 142, trascritte e inviate sub secreto al Sant'Uffizio, offrono oggi un elemento fondamentale per conoscere la spiritualità sacerdotale di questo grande santo del xx secolo: il racconto preciso e dettagliato della stimmatizzazione e con esso della missione a lui affidata dal Signore. Che cosa accadde dunque quella mattina del 20 settembre 1918, quando padre Pio, dopo aver celebrato la messa, si ritirò in preghiera? Quale missione fu affidata al giovane sacerdote di San Giovanni Rotondo? Padre Pio, com'è noto, era stato sempre restio nel parlare di quel giorno e di quello speciale incontro. "Un misterioso personaggio", così diceva, gli era apparso e gli aveva impresso i segni della passione. Ora, invece, la pubblicazione degli atti dell'inchiesta ha svelato il contenuto e le stesse parole di quell'incontro. È lo stesso padre Pio a riferirne, sotto giuramento, a monsignor Rossi, a tre anni di distanza dai fatti. La mattina di quel 20 settembre "vidi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce, ma non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi (sic) della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da Lui favoriti. Di qui si manifestava che Lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua passione. M'invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a Lui che cosa potevo fare. Udii questa voce: "Ti associo alla mia passione". E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo". In padre Pio, dunque, l'affidamento della missione di "occuparsi della salvezza dei fratelli" era stato indissolubilmente legato con l'annuncio delle sofferenze in unione a Cristo: "Ti associo alla mia passione". Da quel giorno - come in parte già avveniva - quel "Ti associo alla mia passione" era divenuto la ragione della sua vita e del suo amore. Era cresciuto in lui uno speciale amore per i suoi fratelli. Era come un fuoco che gli bruciava nel petto. Proprio parlando di ciò al suo padre spirituale ebbe a dire: "Per i fratelli (...) quante volte, per non dir sempre, mi tocca dire a Dio giudice, con Mosè: o perdona a questo popolo o cancellami dal libro della vita. Che brutta cosa è vivere di cuore! Bisogna morire in tutti i momenti di una morte che non fa morire se non per vivere morendo e morendo vivere". Padre Pio si trovò, così, per tutta la vita, ad ascoltare un numero straripante di confessioni, ad avere una personale esperienza della consistenza del male causato dal peccato, della distruzione che esso provoca nel cuore dell'uomo, della necessità che esso sia smaltito, "smaltito con l'amore". Per questo "Ti associo alla mia passione" divenne un elemento caratterizzante la sua fisionomia spirituale di sacerdote nel quale percepì l'indole esigente delle purificazioni di Dio e la fecondità dell'amore sofferente che egli, come sacerdote, poteva offrire al Signore. Da allora non si allontanò né spiritualmente né fisicamente dal confessionale. Monsignor Rossi apprese che padre Pio vi rimaneva fino a sedici ore al giorno. Domandare il perdono al Signore, aiutare i fratelli nella conversione spirituale divenne - con puntuale fedeltà verso l'invito di quel 20 settembre 1918 - l'imperativo della sua esistenza. La sua domanda di perdono per i fratelli, gli ricordava "Colui che per il perdono ha pagato il prezzo della discesa nella miseria dell'esistenza umana e della morte in croce". Nascevano così in lui la gratitudine per l'amore sofferente del Signore - e questo spiegava la sua preghiera continua, notte e giorno, senza cessare - e poi la gioia di associarsi alla sua passione. Per questo scriveva: "Sì, io amo la croce, la croce sola: l'amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù: (...) Deh, padre mio, compatitemi se tengo questo linguaggio; Gesù solo può comprendere che pena sia per me, allorché mi si prepara davanti la scena dolorosa del Calvario". Sacrifici subiti, incomprensioni, ostilità: tutto accolse pur di essere fedele al quel dono oneroso di domandare perdono per gli altri e di ottenere la gioia dell'amicizia con Dio per i suoi fratelli. Altre sofferenze non andò a cercarle. Anzi, a fronte di una richiesta del visitatore che gli domandava quali mortificazioni al di fuori di quelle prescritte facesse per fugare ogni dubbio, gli rispose. "Non ne fo: prendo quelle che manda il Signore". "Ti associo alla mia passione" divenne così per il sacerdote padre Pio un modo tutto nuovo con il quale capire le parole del Signore: "Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me" (Giovanni, 12, 32). Anch'egli, da quando venne stimmatizzato, iniziò ad attirare molti non a sé, ma al Signore e al suo amore. A molti, a moltissimi ottenne guarigioni fisiche ma a molti di più quelle dell'anima. "Sono pronto a tutto - diceva - purché Gesù sia contento e mi salvi le anime dei fratelli, specie quelle che egli mi ha affidate" (18 dicembre 1920). Da allora tanti divennero suoi figli spirituali, numerose furono le grazie, numerosissime le conversioni. I molti che facevano ricorso a lui, andavano via soddisfatti, spiritualmente aiutati e umanamente soccorsi. Proprio con la sua disponibilità d'amore ad associarsi alle sofferenze del Signore, padre Pio verificò visibilmente nella conversione e crescita spirituale dei suoi figli che con "Gesù entra gioia nella tribolazione". Così egli mostrò che "non c'è amore senza sofferenza" - "l'amore si conosce nel dolore", scriveva - e che con l'amore sofferente egli poteva, in un mondo in cui la menzogna è potente, dare pubblica testimonianza di fedeltà all'amore e proprio così alla vera gioia. In tale maniera il frate di Pietrelcina divenne un vero sacerdote del Signore. Offerente della Vittima divina e vittima egli stesso, colpiva i suoi discepoli e visitatori proprio per il personale e spirituale coinvolgimento durante la messa, piena realizzazione della sua spiritualità sacerdotale. Sono molte le testimonianze di quanti lo ricordano in modo indelebile sull'altare. Giovanni Paolo II, menzionando la sua personale esperienza nel vederlo celebrare, ebbe a scrivere espressioni vive e forti: "Ho partecipato alla santa messa (di padre Pio), che fu lunga e durante la quale si vide la sua faccia che soffriva profondamente. Vidi le sue mani che celebravano l'Eucaristia; i luoghi delle stigmate erano coperti con una fascia nera. Tale evento è rimasto in me come un'esperienza indimenticabile. Si aveva la consapevolezza che qui sull'altare, a San Giovanni Rotondo, si compiva il sacrificio di Cristo stesso, il sacrificio incruento e, nello stesso tempo, le ferite sanguinose sulle mani ci facevano pensare a tutto quel sacrificio, a Gesù crocifisso. Questo ricordo dura fino a oggi e, in qualche modo, fino a oggi ho davanti agli occhi quello che allora vidi io stesso". La qualità liturgica della celebrazione di padre Pio che colpiva tutti, perfino il futuro Papa, manifestava un vero cammino interiore di graduale assimilazione a Cristo, nel dolore e nella gioia, nella morte e nella risurrezione, nell'ubbidienza e nella libertà vera. In definitiva, in lui il "sì" alla croce e alle sofferenze permesse dal Signore divenne la via ordinaria della sua gioia e di una più profonda amicizia con Cristo come suo sacerdote. I suoi figli spirituali dicevano e dicono di aver continuato negli anni a vedere nel suo viso qualcosa di angelico e straordinariamente sereno, nonostante la sofferenza da lui vissuta nel corpo attraverso le stimmate, e, spiritualmente, per la conversione dei peccatori. Gioia e dolore, sofferenza e beatitudine furono e rimasero così in lui due tratti costitutivi del volto spirituale di sacerdote, proprio come Gesù che per la sua bellezza paradossale è "il più bello dei figli dell'uomo" (Salmo, 44, 3) e allo stesso tempo colui che "non ha bellezza né apparenza; l'abbiamo veduto: un volto sfigurato dal dolore" (Isaia, 53, 2). Proprio parlando della paradossale bellezza di Gesù, il cardinale Joseph Ratzinger scrisse: "Colui che è la Bellezza stessa si è lasciato colpire in volto, sputare addosso, incoronare di spine, la Sacra Sindone di Torino può farci immaginare tutto questo in maniera toccante. Ma proprio in questo Volto così sfigurato appare l'autentica, estrema bellezza: la bellezza dell'amore che arriva "sino alla fine" e che, appunto in questo, si rivela più forte della menzogna e della violenza". Proprio di tale bellezza il sacerdote padre Pio ha dato testimonianza alla Chiesa e al mondo facendo della paradossale bellezza di Gesù la sua spiritualità sacerdotale.
(©L'Osservatore Romano - 21 giugno 2009)


Secondo la Fao nel 2009 le persone sottonutrite supereranno il miliardo - La fame aumenta e non solo nel sud del mondo – L’Osservatore Romano, 21 giugno 2009
Roma, 20. La fame aumenta e non solo nel sud del mondo, anche se l'Africa resta il luogo dove è più diffusa e più devastante. Secondo le nuove stime diffuse ieri da Jacques Diouf, il direttore generale della Fao, l'agenzia dell'Onu per l'alimentazione e l'agricoltura, nel 2009 gli affamati saranno oltre un miliardo, un sesto dell'umanità. Si tratta di cento milioni di persone in più rispetto a quelle conteggiate nell'ultimo rapporto della Fao stessa. È il più grande incremento mai registrato su base annuale delle persone finite oltre la soglia della denutrizione. La micidiale sovrapposizione della recente crisi finanziaria con la crisi alimentare cominciata nel 2006 certifica purtroppo l'inversione di una tendenza che aveva visto il tasso di malnutrizione diminuire dal 1969 al 2004. Tra i dati più significativi, c'è quello che nessuna parte del mondo è immune dall'aumento dell'insicurezza alimentare. L'aumento più significativo, del 15,4 per cento, si è anzi verificato proprio nei Paesi sviluppati, mentre nell'Africa subsahariana è stato dell'11,8 per cento e nell'America latina del 12,8 per cento. Dai dati emerge un quadro quanto mai desolante, tredici anni dopo il vertice mondiale sull'alimentazione tenuto a Roma nel 1996 e nel quale tutti i Governi del mondo assunsero l'impegno di portare entro il 2015 sotto i 500 milioni le persone che soffrono la fame, definendo cioè il primo e il più importante degli obiettivi di sviluppo del millennio poi fissati dall'Onu nel 2000. Secondo Diouf, non bisogna comunque gettare la spugna, ma anzi moltiplicare gli sforzi perché il problema della fame nel mondo divenga una priorità nelle agende internazionali. "La governance della sicurezza alimentare mondiale - ha detto il direttore della Fao - deve restare un pilastro insostituibile". La questione, infatti, è soprattutto politica. Questo aumento della fame a livello planetario non è la conseguenza di raccolti non soddisfacenti, ma della crisi finanziaria ed economica mondiale che ha ridotto i redditi, ha aumentato la disoccupazione e ha ulteriormente ridotto le possibilità di accesso al cibo per i poveri. Jacques Diouf, ha dichiarato che questo aumento senza precedenti del numero degli affamati è frutto della pericolosa combinazione della recessione economica mondiale e dei persistenti alti prezzi dei generi alimentari in molti Paesi. Indipendentemente dalle percentuali statistiche dell'aumento degli affamati nelle diverse aree del mondo, a pagare la crisi restano soprattutto i Paesi in via di sviluppo, nei quali è concentrata la quasi totalità della popolazione sottonutrita. In questi Paesi, infatti, i trasferimenti monetari degli emigrati sono diminuiti drasticamente, insieme ai fondi dell'assistenza allo sviluppo e degli investimenti esteri, con conseguenze da un lato sulla produzione e dall'altro sulla sicurezza e la protezione sociale. Diouf ha sostenuto che il problema della fame nel mondo oggi non riguarda più la mancanza di mezzi, tecnologie o programmi, ma è esclusivamente politico: "i leader mondiali - ha detto - dovrebbero mettere la lotta alla fame in cima all'agenda internazionale, per avviare programmi che consentano di assicurare il diritto fondamentale, quello all'alimentazione, a una popolazione che nel 2050 supererà i 9 miliardi di persone". In merito, Diouf ha ricordato come questa crisi alimentare costituisca un serio rischio per la pace e la sicurezza. "Abbiamo urgentemente bisogno - ha detto il direttore della Fao - di creare un largo consenso riguardo al totale e rapido sradicamento della fame nel mondo, e di intraprendere le azioni necessarie ad ottenerlo. L'attuale situazione dell'insicurezza alimentare nel mondo non ci può lasciare indifferenti". Le valutazioni della Fao sono condivise dalle principali agenzie mondiali del settore. Secondo Mattew Wyatt, vicepresidente del dipartimento per gli Affari esteri del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), la strada da seguire non può che essere quella di puntare sull'agricoltura. "In periodi di crisi - ha detto Wyatt - c'è sempre la tendenza a ridurre gli investimenti pubblici nel settore agricolo, ma la storia ci insegna che proprio in queste situazioni il sostegno all'agricoltura andrebbe aumentato". Secondo il dirigente dell'Ifad, bisogna sostenere i piccoli agricoltori, da cui dipende l'alimentazione della metà della popolazione mondiale e la quasi totalità di quella dei Paesi in via di sviluppo. Wyatt ha sottolineato che fornendo loro l'accesso ai mezzi di produzione e alle tecnologie, la resa dei raccolti può essere triplicata, con benefici immediati sulla popolazione e impulsi alla crescita economica nel lungo periodo. Su questa linea si è espressa anche Josette Sheeran, direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale (Pam) dell'Onu, che ha lanciato un monito ai leader dei Paesi sviluppati, anche in merito agli allarmi provocati in molti di tali Paesi dall'aumento dei flussi migratori: "Se vogliamo ridurre l'emigrazione - ha detto - dobbiamo combattere la fame".
(©L'Osservatore Romano - 21 giugno 2009)


Il pensiero di Chesterton – La ragione 8 – Il paradosso: Padre Brown si immedesima col criminale - Autore: Platania, Marzia Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it
Immedesimarsi col peccatore è esercizio spirituale perché significa fare memoria del fatto che l'umanità è solidale nel peccato, che il peccatore non è diverso dagli altri se non nell'unico punto su cui Padre Brown non lo segue, la volontà finale di compiere l'atto peccaminoso.
Il primo effetto del paradosso è quello di svegliare la ragione, di percuoterla costringendola ad ampliare i propri confini. Scontrandosi col paradosso essa viene in contatto con una affermazione che contraddice le certezze già acquisite e le verità ritenute, e la questione è tutta in questa parola "ritenute", ritenute per certe, definitivamente acquisite. Per accettarlo o rifiutarlo la ragione è così costretta a rimettere in gioco quello che già pensava. Un esempio ci aiuterà a cogliere in azione questa dinamica; abbiamo già incontrato il paradosso del metodo di Padre Brown, forse senza cogliere la sua paradossalità: il metodo di Padre Brown di immedesimarsi col criminale è tale perché è certo l'ultima cosa che ci aspetteremmo da un prete
“Il segreto è paradossale nel fatto che l'attitudine morale che esso rivela è agli antipodi di quello che ci si attenderebbe comunemente dal prete: si può così osservare come il paradosso sia qui fortemente un urto frontale contro "l'opinione corrente".
Quest’ultima vedrebbe piuttosto il prete indietreggiare d'orrore davanti al peccato e difendersi d'istinto dal cadere per quel poco che sia negli stati d'animo che vi portano, mentre Padre Brown sembra tuffarvisi con una totale assenza di reticenza, sebbene non con il sadismo della anima nera crogiolantesi nella sua propria malvagità”. (Y. Denys, Paradoxe et catholicisme. Etude sur la pensée de G.K. Chesterton, Università di Toulose, 1974, pag. 103)

La paradossalità è messa in luce da Chesterton stesso nel sottolineare la reazione d'orrore che la rivelazione del suo metodo induce nel suo intervistatore. Il paradosso tra l'atteggiamento di Padre Brown e quello che comunemente ci si aspetterebbe da un prete, è ribadito dal suo descrivere questa immedesimazione col colpevole, col peccatore, con l'omicida nei termini di un "esercizio spirituale"; esercizio spirituale è infatti nell'opinione comune, una meditazione che ha per oggetto Dio e la virtù, non certo uno sforzo di immedesimazione con ciò che conduce al peccato, con le passioni più oscure del cuore umano. Lo scioglimento del paradosso è un diverso concetto di santità; l'opinione comune dà alla santità un significato di estraneità al peccato; ma la santità di Padre Brown non è non sapere cosa sia il peccato, ma sapere fin troppo bene cosa sia ed evitarlo. Immedesimarsi col peccatore è esercizio spirituale perché significa fare memoria del fatto che l'umanità è solidale nel peccato, che il peccatore non è diverso dagli altri se non nell'unico punto su cui Padre Brown non lo segue, la volontà finale di compiere l'atto peccaminoso. E' fare memoria del fatto di essere peccatore, quindi fare memoria di ciò che salva dal peccato, non la propria attiva capacità di perfezione, ma l'azione della grazia di Dio; è fare memoria del fatto che tutti gli uomini sono peccatori, quindi bisognosi di quella Grazia che il prete ha il dovere di comunicare. Nello sciogliere il paradosso viene distrutta l'immagine superficiale della santità come situazione statica, già acquisita una volta per tutte, in favore di un concetto di santità come conquista quotidiana, eroica e faticosa, sostenuta e resa possibile solo dalla Grazia; viene parimenti distrutta l'immagine superficiale del peccatore come essere a sé che noi non potremmo mai essere; ribadita la vera essenza dell'essere prete, vale a dire mediatore della Grazia, proprio perché uomo in mezzo agli uomini, rispetto all'opinione comune che vuole farne un uomo fuori dal mondo. Il paradosso del metodo di Padre Brown in contrasto con il suo essere prete ci ha condotti perciò ad approfondire i concetti che erano in gioco: lo scioglimento del paradosso, come Denis mostra attraverso anche altri esempi, va nel senso del riconoscimento di una polifonia di significati dei termini che sembrano in contraddizione, dove l'opinione comune li ha sclerotizzati in una univocità di significato. Il movimento del paradosso si attua in tre fasi: l'urto della contraddizione che interessa la ragione ponendola in una condizione di attività; l'approfondimento dei termini che il paradosso mette in questione, nel riconoscimento di una profondità di significati che l'abitudine aveva come appannati, appiattiti in una univocità superficiale; infine l'individuazione del concetto che rende ragione della unificazione dei termini nel paradosso, unificazione che era sembrata di primo acchito arbitraria; concetto che in termine tecnico viene chiamato l'analogo. Nel paradosso del metodo di Padre Brown, l'analogo che unifica la condizione di prete con l'immedesimazione col peccatore è il concetto di santità cristiana.


UN FILO ROSSO LEGA IL CURATO D’ARS E IL FRATE DEL GARGANO - DUE FIGURE DI CONTADINI IN POCHE ORE ALLA RIBALTA - MARINA CORRADI – Avvenire, 21 giugno 2009
Poche ore dopo l’apertura dell’anno sacerdotale nel nome del curato d’Ars, Bene­detto XVI parte stamattina per San Giovanni Rotondo. Una coincidenza, forse non priva di una suggestione simbolica. Ap­parentemente, oltre cent’anni e due paesi e mondi diversi, e abiti differenti separano i due santi: uno parroco, l’altro cap­puccino, uno comunicato clan­destinamente negli anni della Rivoluzione, l’altro figlio del nostro Sud, agli albori dell’Ita­lia unita. E tuttavia c’è un filo che unisce, nell’incrociarne le biografie, Jean- Marie Vianney e Francesco Forgione.
Un filo che comincia da comu­ni origini povere e contadine: in sette i fratelli Vianney, in set­te i Forgione. Pastori, entram­bi, a sei anni. Analfabeta anco­ra a diciassette anni, il curato d’Ars; svezzato alla grammati­ca da un contadino, Padre Pio. Ma, fin qui, potrebbe essere u­na storia comune a tanti, nelle campagne occidentali dell’era preindustriale. La segreta sim­metria si rivela invece nell’età adulta, e negli anni del mini­stero. Entrambi robusti uomini di preghiera, manovali del ro­sario, già in ginocchio alle quat­tro del mattino; entrambi profondamente legati al culto eucaristico ( « Lui è qui! » , an­nunciava estatico sull’altare, l’ostia fra le mani, il curato d’Ars; e a San Giovanni Roton­do Padre Pio con lunghe pause adoranti, sull’altare, durante la messa). Entrambi infine, ed è l’aspetto più noto, avevano il carisma di leggere nel cuore, e così attiravano i fedeli anche impensabili, che si sentivano benevolmente scrutati fin nel­le viscere. Perfino i luoghi sono in qual­che modo simili: Ars, solo 230 abitanti in una terra paludosa, era, prima del curato, « l’ultimo paese dell’Ain » , e San Giovan­ni Rotondo un borgo rurale sconosciuto: quasi che Dio a­mi, per gettare i suoi semi più vivi, la terra umile dei posti di­menticati.
Certo, altre note comuni rie­cheggiano: la sofferenza delle stimmate di Padre Pio, in Vian­ney è un male oscuro un dolo­re che segretamente tormenta. Ed entrambi conoscono un co­mune nemico, che batte alle porte di notte, che strepita nel­la camera silenziosa: entrambi sono drammaticamente consci della concretezza del male.
Ma ciò che davvero impressio­na, la coincidenza che colpisce in questo tornare alla ribalta della Chiesa, in poche ore, di questi due sacerdoti contadini, ex pastori, non dotti, è l’analo­gia fra le interminabili code di penitenti di Ars con quelle di San Giovanni Rotondo. Le fila di poveri, ricchi, banditi, assas­sini, signori: tutti con la mano tesa, mendicanti.
Di cosa? Di misericordia; della misericordia di Dio, incarnata nella faccia di un prete – di un uomo. Che proprio con quella povera faccia – talvolta, povera e inadeguata davvero – porta­no nella storia un Dio presente e vivo, qui e ora. È la miseri­cordia del curato d’Ars, che a­prì nella sua chiesa una porta laterale, e accanto, subito den­tro, mise un confessionale; per quelli che non volevano farsi vedere in chiesa, per quelli che venivano di nascosto, dopo u­na vita intera lontano.
E forse è solo un caso – e tutta­via a volte i casi parlano – se il Papa, all’inizio di quest’anno dedicato ai sacerdoti, in meno di 48 ore va dalla memoria di Ars a quella di Pietrelcina. Co­me a indicare ai sacerdoti nel­l’ostia consacrata, e nel sacra­mento del perdono, i due cen­tri del loro ministero. Il pane, e il perdono; Cristo, e la sua mi­sericordia. Tutto ciò di cui gli uomini, anche se a volte non lo sanno, hanno bisogno.


FRAGILI ARGOMENTI A PROPOSITO DELLE DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO - Se l’alimentazione è una cura forse che ci curiamo tutta la vita? - TOMMASO SCANDROGLIO – Avvenire, 21 giugno 2009
P are che dopo l’approvazione, avvenuta con significative defezioni, del documento sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) della Federazione nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri la questione dell’alimentazione artificiale sia diventata – è proprio il caso di dirlo – di vitale importanza. La Fnomceo sostiene che l’alimentazione artificiale sia trattamento sanitario e come tale può essere rifiutata dal paziente anche per mezzo delle Dat.
A sostegno di questa tesi la Federazione nazionale porta i seguenti argomenti. In primo luogo è un trattamento fornito da un medico.
Ma l’intervento del medico non trasforma la nutrizione seppur artificiale in una cura.
Prendiamo ad esempio un fisioterapista che aiuta un paziente, dopo un incidente stradale, a recuperare la mobilità delle gambe. Grazie ad esercizi e manovre sul paziente questi riesce di nuovo a camminare. L’intervento dello specialista, realizzato grazie anche a veri e propri trattamenti terapeutici, ha come obiettivo quello del recupero di una funzionalità naturale: il camminare. Ma il camminare non si è trasformato da abilità, propria di ogni persona sana, a cura per il solo fatto che è stato oggetto di interventi terapeutici prestati da un medico. Il medico attraverso Peg o sondino semplicemente aiuta il paziente a nutrirsi, è di sostengo ad una sua funzione fisiologica, non lo cura.
Secondo: l’alimentazione artificiale modifica 'la storia naturale della malattia'. Per rispondere facciamo il caso di un paziente che ha una grave polmonite. Se gli togliete l’alimentazione è evidente che il suo organismo dovrà combattere, oltre che contro la polmonite, anche contro la mancanza di cibo. La nutrizione artificiale non cura alcuna malattia, ma se togli l’alimentazione puoi provocare sì una patologia o aggravarne una precedente modificandone la sua 'storia naturale'. Terzo: l’artificiosità dei preparati.
Risposta: nemmeno l’artificiosità della preparazione del cibo fa di questo una cura. Ci si perdoni la battuta, ma se così fosse anche la
nouvelle cuisine francese, assai elaborata e di complessa preparazione, dovrebbe essere intesa come terapia. Quinto: la somministrazione degli alimenti 'attraverso procedure artificiali'. Anche questo argomento è debole infatti nutrizione e idratazione non si trasformano in cure in base alla maggiore o minore artificiosità della somministrazione, persino nel caso della Peg.
L’inserimento dell’ago-cannula, che comporta una previa incisione nell’addome, configura sicuramente un trattamento sanitario, perché è un vero e proprio intervento chirurgico. Però è necessario distinguere lo strumento attraverso cui si viene nutriti (Peg) dal nutrimento stesso.
Lo strumento per nutrire può essere sì un trattamento sanitario ma non modifica la natura dell’alimentazione che rimane un mezzo di sostentamento vitale. Ultimo argomento: la capacità dell’alimentazione artificiale 'di sostenere funzioni vitali'. Siamo alla scoperta dell’acqua calda: è lapalissiano che mangiamo per vivere. Il mantenimento in vita grazie all’alimentazione non fa di questa una terapia. Il fine naturale, e per nulla artificiale, dell’alimentazione e idratazione è proprio il mantenimento in vita. Se l’alimentazione fosse una terapia, noi, che almeno un paio di volte al dì mangiamo qualcosa, per tutta la vita continueremmo a curarci ma per debellare quale malattia? Forse la morte? Ma la morte non è una malattia, semmai l’esito di una patologia letale.
Insomma, pare proprio che il documento della Fnomceo soffra di inedia per grave malnutrizione di argomenti validi.


Bioetica, Obama cancella la Commissione di Bush - La Casa Bianca solleva di colpo dall’incarico i 18 scienziati Il leader: voglio proposte pratiche - DA NEW YORK ELENA MOLINARI – Avvenire, 21 giugno 2009
Barack Obama ha sciolto con 24 o­re di preavviso la commissione presidenziale per la bioetica della Casa Bianca nominata nel 2001 da Geor­ge W. Bush. L’atto, sebbene tutt’altro che insolito, ha colpito i membri del comita­to sia per il suo tempismo – alla vigilia di un importante incontro programmato da mesi – che per le motivazioni addotte dal­l’attuale Amministrazione nella lettera con cui li informava che il loro lavoro non era più necessario « a partire da domani » . La Casa Bianca ha motivato la sua scelta non con motivi politici, rivendicando, ad esempio, il diritto di scegliere una com­missione più allineata con le sue posi­zioni in tema di ricerca sugli embrioni ( sempre permessa) piuttosto che di a­borto ( pure). Il presidente ha invece addotto motivi « scientifici » , sostenendo di voler inse­diare una commissione meno ideologi­ca, più oggettiva e composta di esperti. La Casa Bianca, tramite un portavoce, ha successivamente anche criticato il grup­po per le sue inclinazioni « troppo filoso­fiche » , che privilegiava « discutere piut­tosto che trovare un consenso » . Un com­mento che ha suscitato lo stupore di al­cuni dei suoi membri, convinti di essere stati incaricati proprio per affrontare con discussioni ai massimi livelli scientifici e filosofici i temi più controversi che divi­dono la società americana, dalla clona­zione all’eutanasia. La commissione era composta da 18 membri, in maggioranza con formazio­ne scientifica, per lo più biologi e medi­ci. Il consiglio era stato diretto per i pri­mi quattro ani da Leon Kass, dell’uni­versità di Chicago, e, dal 2005, da Edmund Pelle­grino della Georgetown University.
Di recente inoltre dieci dei 18 membri della commis­sione nominata da Bush avevano criticato pubbli­camente la decisione di O­bama di cancellare il di­vieto imposto dal suo pre­decessore di finanziare con fondi pub­blici la ricerca sulle cellule staminali di o­rigine embrionale, incoraggiando al con­trario la creazione di nuove “linee” di sta- minali embrionali. Un portavoce della Casa Bianca, Reid Cherlin, ha fatto sape­re che il presidente sceglierà al più pre­sto altri membri, con lo scopo di formare una commissione che « offra opzioni pratiche sulle scelte politiche da com­piere » .
È dal 1974 che i presiden­ti americani nominano commissione o comitati che li affianchino o forni­scano consigli nell’ambito della ricerca scientifica applicata alla vi­ta. Il loro scopo è spesso però più quello di sollevare dibattiti pubblici sui temi scientifici più delicati della loro epoca.


LETTERATURA/ Primo Levi, un’ora per capire che cos’è l’uomo - Laura Cioni - sabato 20 giugno 2009 – ilsussidiario.net
Qualche giorno fa il sussidiario.net, ricordando l’anniversario del Diario di Anna Frank, ha citato Primo Levi. Dal suo Se questo è un uomo, il libro giustamente diventato un classico del Novecento e documento sui lager nazisti di rara intensità e misura, traggo la citazione che segue. La pagina è molto nota, ma vale la pena di ripresentarla, perché è un esempio di come, tentando di insegnare, si imparano cose nuove.
L’autore narra di essere stato scelto per un compito molto ambito, quello di trasportare il rancio per i suoi compagni insieme a Jean, uno studente alsaziano. Hanno un’ora buona per camminare all’aperto. Jean parla francese e tedesco, vorrebbe imparare l’italiano. Al suo compagno viene in mente il canto di Ulisse.
Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando
Pur come quella cui vento affatica.
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira e mi suggerisce il termine appropriato per rendere “antica”.
E dopo? Il nulla, un buco nella memoria.
Ma misi me per l’alto mare aperto.
Sono in grado di spiegare perché “misi me” non è “je me mis”, è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Jean ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
“Mare aperto”. So che rima con “diserto”, ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso:
Acciò che l’uom più oltre non si metta.
“Si metta”: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, “e misi me”. Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.
Ecco, attento Jean, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Jean mi prega di ripetere. Come è buono, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.
È tardi , è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre volte il fè girar con tutte l’acque,
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, come altrui piacque…
Trattengo Jean, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo “come altrui piacque”, prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui.