Nella rassegna stampa di oggi:
1)Fermato il fronte eutanasico alla Camera dei Lord - Il tentativo di aggirare il divieto di eutanasia non è passato alla Camera dei Lord…- di Gianfranco Amato* - * Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - www.mascellaro.it
2)FEDERAZIONE MONDIALE DEL CALCIO: VIETATO PREGARE (MA SOLO AI CRISTIANI) - di Michele Brambilla Fonte: Il Giornale, 6 luglio 2009
3)Assassinato un altro sacerdote spagnolo a Cuba - Padre Mariano Arroyo Merino
4)Che testi usano i tuoi figli? - Andrea Bartelloni analizza i libri di testo scolatici - di Antonio Gaspari
5)La guida preziosa di John Henry Newman - A lezione dal Dottore del concilio – L'Osservatore Romano, 15 luglio 2009
6)Bonaventura e Tommaso a confronto - L'intelligenza non basta - di Inos Biffi – L'Osservatore Romano, 15 luglio 2009
7)SCUOLA/ Più bocciati, meno merito - Giovanni Cominelli mercoledì 15 luglio 2009 – ilsussidiario.net
8)HARRY POTTER/ Il Principe Mezzosangue: con il fiato sospeso tra atmosfere gotiche e fedeltà - Beppe Musicco mercoledì 15 luglio 2009 – ilsussidiario.net
9)COPPIA DI 80 ENNI INGLESI IN S VIZZERA PER L ’ EUTANASIA - Quell’algida solitudine che spinge a cercare la morte - M ARINA C ORRADI – Avvenire, 15 luglio 2009
Fermato il fronte eutanasico alla Camera dei Lord - Il tentativo di aggirare il divieto di eutanasia non è passato alla Camera dei Lord…- di Gianfranco Amato* - * Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - www.mascellaro.it
Con 194 voti contrari e 141 favorevoli, i Pari hanno rigettato l'emendamento con cui si sarebbe reso legale il comportamento di chi agevola il suicidio assistito effettuato all'estero. Un tentativo di legalizzare il turismo eutanasico in Svizzera o in Olanda.
Il discorso più convincente e toccante che è risuonato nella paludata aula di Westminster è stato quello della baronessa Campbell of Surbiton, le cui parole sono state ascoltate da tutti con l'attenzione dovuta alla storia personale di questa donna.
Non solo perché la baronessa è stata Presidente della Commissione parlamentare per i diritti dei disabili, ed è da sempre impegnata in questo delicato settore, ma soprattutto perché vive sulla propria pelle una gravissima disabilità. Fin dalla nascita è affetta da atrofia muscolare spinale giunta oramai in fase degenerativa, al punto che - come ha confessato nel suo discorso alla Camera dei Lord - tre anni fa i dottori l'avevano convinta che la sua vita fosse ormai giunta al capolinea e che per lei fosse «arrivato il momento di congedarsi».
Lady Campbell ha evidenziato ai colleghi parlamentari la particolare condizione psicologica in cui versano i pazienti affetti da gravi patologie, di fronte a simili pressioni da parte dei medici, e li ha ammoniti circa le conseguenze, da questo punto di vista, derivanti da un'eventuale approvazione dell'emendamento.
Dall'alto della propria esperienza personale, la coraggiosa baronessa non ha usato mezzi termini per denunciare che la legalizzazione della morte prematura, declassata a semplice «opzione di un trattamento sanitario», significa, in realtà, «instillare il dubbio circa l'esistenza di un asserito diritto a vivere una vita dignitosa» e comporta uno «sminuimento del dovere dello Stato di garantire a tutti i cittadini - indipendentemente dalle proprie condizioni fisiche - la possibilità di vivere dignitosamente».
Ha inoltre denunciato il rischio di incentivare indebite pressioni su disabili e malati terminali che pensano di essere giunti alla fine della propria esperienza esistenziale, fino al punto di considerare la morte come l'opzione più conveniente, più rapida e più semplice. Basti pensare agli anziani che soffrono nel gravare i propri familiari e nell'essere causa di pensanti disagi per i loro cari.
A questo discorso hanno fatto eco le parole del Vescovo di Exeter, Michael Langrish, padre di una disabile trentenne affetta da sindrome di Dawn, il quale ha puntato il dito contro l'emendamento considerandolo un ulteriore tappa legislativa nel pericoloso piano inclinato culturale sul quale sta scivolando la società britannica, sempre più attratta da una deriva eutanasica.
Non sono mancate voci di dissenso come quella di Lord Falconer of Thoroton, sostenitore dell'emendamento, il quale ha ribadito che non è gusto considerare «un crimine il fatto di accompagnare qualcuno in un Paese in cui il suicidio assistito è legale, se l'unico scopo dell'accompagnamento è quello di assistere chi ha deciso di ricorrere all'eutanasia in un luogo in cui tale pratica è autorizzata per legge». Sofismi da leguleio che nascondono l'evidente intento di raggiungere a tappe l'obiettivo finale della legalizzazione del suicidio assistito, secondo la logica egemonica gramsciana della progressiva conquista di una casamatta alla volta.
Ha ragione il Vescovo di Exeter. Se l'emendamento fosse passato sarebbe stato un pericoloso legislative milestone nel tentativo di introdurre l'eutanasia nel Regno Unito, tentativo, per ora, fortunatamente sventato. Ma fino a quando?
di Gianfranco Amato*
* Presidente di Scienza e Vita di Grosseto
www.mascellaro.it
FEDERAZIONE MONDIALE DEL CALCIO: VIETATO PREGARE (MA SOLO AI CRISTIANI) - di Michele Brambilla Fonte: Il Giornale, 6 luglio 2009
La Fifa, cioè il governo mondiale del calcio, ha inviato un «ammonimento» ufficiale alla Federazione brasiliana i cui calciatori, al termine della finale vittoriosa nella recente Confederations Cup in Sudafrica, hanno ringraziato Dio con una preghiera collettiva in mezzo al campo.
Una preghiera esplicitamente cristiana, com'è ovvio, vista la fede comune in Brasile. La Fifa censura: la religione deve stare alla larga dal calcio.
Non ci sembra una notizia di poco conto. Tuttavia, su giornali e tv ha trovato scarsissimo rilievo.
Ci sbaglieremo, ma ieri l'abbiamo vista solo sul Corriere della Sera e su Repubblica. L'articolo del Corriere era ineccepibile. Quello di Repubblica, invece, ci ha fatti sobbalzare sulla seggiola. L'autore, infatti, subito dopo aver descritto il rito messo in scena dai calciatori brasiliani, e dopo aver rimarcato che molti indossavano «magliette alla Kakà ("I belong to Jesus", appartengo a Gesù)», commenta: «Fosse stata una preghiera islamica, è il caso di dirlo, apriti cielo. Invece la faccenda è passata quasi sotto silenzio, almeno da noi».
Davvero stupefacente lo stravolgimento dei fatti e della realtà. Qui, è il caso di dirlo, è accaduto esattamente il contrario di quel che fa intendere Repubblica. Il cielo si è aperto proprio contro la preghiera cristiana dei brasiliani; mentre nessuno, tantomeno la Fifa, ha detto bah per una manifestazione altrettanto plateale, e anch'essa trasmessa in mondovisione, di pochi giorni prima.
E cioè la preghiera islamica dei calciatori egiziani i quali, subito dopo la partita vinta contro l'Italia, hanno pregato in mezzo al campo tutti quanti rivolti alla Mecca, secondo tradizione. Repubblica vuol farci credere che - nonostante l'ammonimento della Fifa - la preghiera cristiana dei brasiliani è passata «sotto silenzio», mentre un'ipotetica preghiera islamica avrebbe fatto gridare allo scandalo.
Anche se siamo abituati a faziosità di ogni genere, c'è da restare increduli di fronte a tanta spudoratezza. Ma quel che ci interessa qui non è il rimarcare certe piccole meschinità. Più che l'articoletto di Repubblica, ci pare indicativa di un certo clima la sanzione della Fifa; e il silenzio con cui tale disparità di trattamento - Brasile punito, Egitto no - viene fatta scivolare via.
Michele Brambilla
Fonte: Il Giornale, 6 luglio 2009
Assassinato un altro sacerdote spagnolo a Cuba - Padre Mariano Arroyo Merino
LA HABANA, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).- Questo lunedì è stato trovato senza vita in una delle stanze della parrocchia di Nostra Signora de Regla dell'Avana (Cuba) il sacerdote spagnolo Mariano Arroyo Merino.
I primi resoconti indicano che il presbitero è stato assassinato, secondo quanto ha spiegato a ZENIT l'Arcivescovado della capitale cubana.
Se questa informazione verrà confermata, sarà il secondo sacerdote spagnolo ucciso a Cuba in un anno, dopo il ritrovamento del cadavere del presbitero dell'Arcidiocesi di Madrid Eduardo de la Fuente Serrano, 59 anni, il 14 febbraio scorso.
P. Mariano Arroyo era nato nel 1935 a Cabezón de la Sal, in Cantabria. Era stato ordinato sacerdote nel 1960 e due anni dopo era partito come missionario per Santiago del Cile, dove era rimasto fino al 1968. Dal 1969 al 1979 aveva lavorato nuovamente a Madrid come parroco e formatore del seminario, tornando nel 1980 in Cile.
P. Arroyo, che era laureato in Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università di Comillas e in Lettere e Filosofia presso l'Università Complutense di Madrid, era giunto all'Avana il 19 gennaio 1997.
Nel marzo successivo il Cardinale Jaime Ortega lo aveva nominato parroco di Nostra Signora del Pilar, all'Avana, e nel dicembre 2004 era stato designato rettore e parroco del Santuario Nazionale di Nostra Signora de Regla, situato di fronte alla baia della città.
“Lì è rimasto fino alla sua morte, svolgendo un intenso lavoro pastorale e mostrando un carisma particolare per la religiosità popolare e il sincretismo religioso”, spiega l'Arcivescovado dell'Avana.
Durante il suo soggiorno nella capitale cubana era stato anche assessore del Movimento dei Lavoratori Cristiani e direttore dell'Istituto di Scienze Religiose "Padre Félix Varela".
L'Arcidiocesi dell'Avana ha dichiarato che al momento “è in corso il processo investigativo sul caso”.
Che testi usano i tuoi figli? - Andrea Bartelloni analizza i libri di testo scolatici - di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).- L’umanità è come un virus che divora il pianeta? L’uomo discende dalla scimmia e la Bibbia un libro di favole? L’effetto serra è dannoso? Le attività antropiche sono inquinanti e bisogna fermarle? Siamo troppi sulla terra e quindi le nascite vanno diminuite e selezionate?
Queste le domande che alcuni tra bambini e bambine hanno posto ai loro genitori dopo aver letto e studiato i libri di testo in uso nelle scuole elementari e medie.
Gli errori di impostazione sono così caratterizzati che è evidente che non si tratta solo di un problema di sintesi o di spiegazione scientifica, ma dell’ideologia che domina l’approccio alla realtà degli autori.
Per cercare di capire quanto sia grave il problema e come si possa trovare una soluzione ragionevole, ZENIT ha intervistato Andrea Bartelloni, un medico che si occupa da almeno un decennio di analizzare i contenuti scientifici dei libri di testo, dalle elementari fino alla scuola superiore.
Insieme al professor Giuseppe Sermonti, il dott. Bartelloni ha presentato al Meeting di Rimini nel 2000 uno studio sul contenuto dei libri di testo.
Sullo stesso tema un saggio di Bartelloni è stato pubblicato dal mensile di cultura, orientamenti educativi, problemi didattico-istituzionali per la scuola secondaria superiore “Nuova Secondaria” (n.8, 15 aprile 2009) edito da “La Scuola” di Brescia (vd. http://www.rassegnastampa-totustuus.it/)
Lo stesso Bartelloni si è fatto promotore di un Osservatorio sull’Editoria e i Libri di Testo (osservatorio2000@hotmail.it), dopo che un'iniziativa simile curata dall’Associazione Gymnasium ha smesso di operare.
Molti genitori lamentano la poca scientificità dei testi scolastici. In particolare sui temi di scienze naturali, fisica, chimica, evoluzione, ecologia. Qual è la situazione?
Bartelloni: Attualmente i manuali scolastici che trattano di temi scientifici, quelli di biologia in particolare, affrontano i temi principali in due modi diversi: il capitolo dedicato all’evoluzione non presenta differenze sostanziali tra i vari testi, l’evoluzione non si discute, non si trovano critiche. Gli altri temi offrono una certa variabilità che rispecchia le sensibilità di ciascun autore. Questo è evidente quando si parla di droghe o di ecologia e merita di essere approfondito per dare indicazioni ad insegnanti e genitori.
Questo è l’anno di Darwin in cui si ricordano i 200 anni dalla sua nascita ed i 150 anni dalla pubblicazione dell’Origine delle specie. Molti genitori hanno espresso perplessità per tesi e testi in cui è evidente l’influenza ideologica. Lei ha studiato a fondo il problema. Cosa può dirci in proposito?
Bartelloni: Come dicevo prima: nessuno tocchi Darwin! Forse è veramente uno degli ultimi intoccabili; è quasi possibile parlar male di Garibaldi, ma toccare l’evoluzione e l’evoluzionismo è tabù. Eppure non mancano tra gli scienziati discussioni sul tema. Il numero speciale de Le Scienze del febbraio scorso contiene molti spunti di riflessione, ma nei manuali scolastici non c’è traccia di queste discussioni. Dalla scuola primaria all’università un sol coro: l’evoluzionismo spiega tutto. Sarebbe opportuno chiarire i termini della questione (evoluzione, evoluzionismo) e tenere distinti gli ambiti scientifici, filosofici e teologici. Sul n. 8 di Nuova Secondaria è apparso un mio intervento che fa il punto della situazione su questo tema.
Anche sui temi ambientali, nei libri di testo, già dalle classi elementari l’umanità è indicata come la causa di tutti gli inquinamenti e le argomentazioni molte volte sono fuori da ogni logica. Può confermarci questo dato?
Bartelloni: In un testo per la scuola superiore di qualche anno fa la crescita demografica veniva paragonata alla diffusione dei microbi nel corpo umano: o la si bloccava o il mondo sarebbe andato distrutto. Queste sono aberrazioni. Stimolare al rispetto per la natura e per l’ambiente che ci circonda è una buona cosa, è buona educazione, il creato non ci è stato dato per distruggerlo. Da qui ad arrivare a dire che l’uomo è la causa di tutti i mali e che la crescita demografica distruggerà il mondo ce ne corre.
Perchè è nato l’Osservatorio dei libri scolastici e quali sono gli scopi e gli obiettivi di questa associazione?
Bartelloni: L’Osservatorio nacque nel 1999 e produsse interventi in ambito storico e scientifico con lo scopo di evidenziare le incompletezze nei manuali scolastici e, dove si presentassero, correggere le distorsioni sui fatti storici e sulle realtà scientifiche.
Cosa dovrebbero fare i genitori per poter intervenire nella scelta dei libri scolastici?
Bartelloni: La scelta dei libri per i nostri figli è delegata ai professori. Questo mi sembra anche ovvio, solamente loro hanno le competenze per valutare quale testo è adatto anche al loro modo di insegnare. Quindi è su loro che bisognerebbe cercare di intervenire. Come genitori possiamo solamente sottolineare le distorsioni o gli errori che evidenziamo e per questo mi sembrerebbe utile una rete per mettere insieme le informazioni e veicolarle al maggior numero di persone, insegnanti compresi, anche perché non tutti i genitori sono in grado di osservare criticamente i testi dei loro figli. Mettere insieme varie competenze aiuterebbe tutti.
Il Ministero della Pubblica Istruzione è al corrente di queste evidenti manipolazioni ideologiche trasmesse nei libri scolastici?
Bartelloni: Anzitutto sarebbe opportuno chiedersi se esista una sensibilità sul tema, specialmente a fronte degli enormi problemi della scuola. Coloro che si sono succeduti al Ministero dell’Istruzione non hanno mai fatto trasparire questa sensibilità, anche perché il problema è culturale. Basti pensare alla storia e a come viene insegnata.
Un’ultima domanda sui manuali scolastici di storia. Possiamo trasferire le critiche e le considerazioni fatte per i testi scientifici a quest’altra materia di insegnamento?
Bartelloni: L’Osservatorio si è dedicato, specialmente nei primi anni della sua attività, a questa materia che offre notevoli spunti di riflessione. Le distorsioni su molti argomenti risentivano ancora, alla fine degli anni novanta, delle ideologie del XX secolo. A venti anni dalla caduta del Muro di Berlino molte cose sono cambiate e sono state recepite anche dalla manualistica scolastica. Rimangono ancora molti pregiudizi anti cattolici e “leggende nere” nei riguardi della Chiesa che sembrano duri a morire e sui quali sarebbe utile lavorare.
La guida preziosa di John Henry Newman - A lezione dal Dottore del concilio – L'Osservatore Romano, 15 luglio 2009
Da pochi giorni è stato ripubblicato il volume John Henry Newman. A Biography (Oxford, Oxford University Press, 2009, pagine 784, euro 30). All'edizione del 1988 è stata aggiunta una postfazione che confuta le recenti insinuazioni sulla sua sepoltura. L'autore del libro, che è il maggior conoscitore della figura e dell'opera di Newman, ha tracciato per "L'Osservatore Romano" un suo profilo.
di Ian Ker
Il venerabile John Henry Newman sarà il primo inglese, dai tempi della Riforma, elevato agli onori degli altari senza essere stato martirizzato. E tuttavia ha dovuto sopportare molte sofferenze nel corso della sua vita. Fu denigrato come anglicano quando, attraverso il Movimento di Oxford, tentò di recuperare l'eredità cattolica della Chiesa d'Inghilterra. In seguito, da cattolico, il suo lavoro per la Chiesa fu minato dagli estremisti ultramontani che lo sospettavano di liberalismo mentre i cattolici liberali lo attaccavano per la sua obbedienza all'autorità.
Sebbene non sia stato martirizzato come san Tommaso Moro - autore di Utopia e amico di Erasmo - anche Newman fu un grande umanista. L'altare della sua cappella privata nell'oratorio di Birmingham non è sormontato da immagini di san Filippo Neri (il fondatore dell'Oratorio), ma da quelle del grande santo umanista della Controriforma, Francesco di Sales, il cui detto cor ad cor loquitur fu adottato dallo stesso Newman come motto cardinalizio. Aveva già citato queste parole in The Idea of University (1873), un classico della prosa inglese e la più influente opera mai scritta sull'educazione universitaria. In verità Newman scrisse una volta: "Ora, dall'inizio alla fine l'educazione (...) è la mia linea guida". Da giovane, del resto, era stato un pioniere del sistema tutoriale a Oxford e in seguito fondò l'università cattolica in Irlanda e la scuola dell'Oratorio di Birmingham. Come scrittore ha raggiunto il livello dei maggiori prosatori inglesi, mentre il suo poema The Dream of Gerontius (1865) fu messo in musica da Edward Elgar nel suo celebre oratorio.
Nel periodo del Movimento di Oxford Newman pronunciò nella chiesa universitaria di Saint Mary the Virgin, di cui era vicario, non solo i suoi Oxford University Sermons (1843), di taglio accademico, ma anche numerose prediche, poi raccolte nel volume Parochial and Plain Sermons (1868). Questi testi, che si nutrono di Sacre Scritture e di patristica, sono divenuti un classico della spiritualità cristiana. I suoi Oxford University Sermons, la sua opera fondamentale, esplorano la relazione tra fede e ragione, un'analisi che sarà poi completata nella sua Grammar of Assent (1870). L'originalità e la penetrazione della sua filosofia della religione è stata pienamente apprezzata soltanto negli ultimi anni.
Quando Newman divenne cattolico, nel 1845, era il più importante convertito alla Chiesa dalla Riforma. La sua teologia scritturale e patristica era estranea a una Chiesa allora dominata da un pensiero scolastico alieno a successivi recuperi scritturali, patristici e tomistici. Fu il concilio Vaticano ii - di cui Newman è spesso definito "il padre" - a riscattare finalmente la sua teologia. Il compianto cardinale Avery Dull lo definì il teologo cattolico più fecondo del diciannovesimo secolo. Il suo classico Essay on the development of Christian Doctrine (1845) - che fu oggetto di sospetto da parte dei due più importanti teologi romani del tempo - può essere considerato come il punto di partenza della moderna teologia cattolica dello sviluppo. La sua opera On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine (1859) - denunciata a Roma da un membro della gerarchia inglese e gallese - precorse di più di cento anni il decreto conciliare sull'apostolato dei laici e la sezione sul laicato della Lumen gentium. L'ultimo capitolo di questa costituzione dogmatica, dedicato alla Beata Vergine Maria è il risultato della decisione del concilio di non redigere un documento separato su Nostra Signora; la teologia scritturale e patristica di Newman è in sintonia con la sua mariologia in A letter to Pusey (1866). La sua interpretazione della definizione data dal concilio Vaticano i dell'infallibilità del Papa - così come articolata in Letter to the Duke of Norfolk (1875) - fu sgradita agli estremisti ultramontani ma, in quel tempo, fu scagionata dal vescovo Fessler - già segretario generale del concilio - in Die wahre und die falsche Unfehlbarkeit der Päpste, un libro che ricevette l'approvazione ufficiale di Papa Pio IX. Il famoso "brindisi" di Newman alla coscienza nella stessa opera si riferisce alla possibilità di rifiutarsi, appunto secondo coscienza, di obbedire agli ordini papali, ma non alla possibilità del cosiddetto dissenso, in coscienza, agli insegnamenti del Pontefice, come spesso erroneamente si è supposto. Ma se Newman è considerato il "padre del concilio Vaticano ii", in caso di canonizzazione egli sarà certamente dichiarato Dottore della Chiesa. E in questo caso sarà visto - ne sono convinto - come il Dottore della Chiesa postconciliare. Poiché la sua teologia, che al tempo appariva tanto radicale da essere pericolosa, fu sempre profondamente storica, sensibile alla tradizione e rispettosa dell'autorità magisteriale della Chiesa. Una volta, com'è noto, scrisse: "Per essere profondamente nella storia bisogna smettere di essere protestanti". L'idea che il Vaticano ii abbia rappresentato una frattura totale nella storia della Chiesa, una nuova alba analoga alla Riforma secondo il punto di vista dei protestanti, gli sarebbe apparsa non solo come indice di incredibile ignoranza della storia e di indifferenza alla tradizione, ma anche come una forma di disprezzo per il magistero permanente della Chiesa. Come Benedetto XVI anche Newman credeva nell'"ermeneutica della continuità". Al tempo del concilio Vaticano i scriveva: "Non ci muoviamo alla velocità di un treno nelle materie teologiche, nemmeno nel diciannovesimo secolo".
La miniteologia dei concili che Newman tratteggiò nelle lettere private al tempo del concilio Vaticano i offre un'ermeneutica di valore inestimabile sia per il Vaticano ii sia per gli sviluppi ulteriori e le alterazioni degli insegnamenti conciliari. Newman avrebbe considerato il caos e il dissenso successivi come inevitabili conseguenze per qualsiasi concilio e soprattutto per uno dall'agenda a così lungo termine. Il concilio Vaticano i terminò da una parte con il trionfalismo degli estremisti ultramontani e dall'altra con la scomunica di Döllinger e dello scisma dei vecchi cattolici. Anche il Vaticano ii vide l'emergere di due reazioni estreme e opposte, ma fortemente concordi sulla sua natura rivoluzionaria.
Profondamente nella storia, Newman comprese molto chiaramente che i concili procedono "con dichiarazioni contrarie (...) che si perfezionano, si completano e si integrano reciprocamente". Così la definizione del Vaticano i sull'infallibilità del Papa andava completata e modificata da un insegnamento più ampio sulla Chiesa e Newman predisse con esattezza che un altro concilio avrebbe fatto esattamente questo. Ma allo stesso modo il Vaticano ii ha bisogno di completamento e modifiche. Newman apprezzava profondamente il fatto che i concili avessero conseguenze inattese in virtù sia di quanto detto sia di quanto taciuto. Il dire tende all'esagerazione, come è accaduto nella scia del concilio Vaticano ii, quando sembrava che la Chiesa non avesse altro di cui occuparsi se non di giustizia e pace, di ecumenismo, dialogo interreligioso e così via. Tuttavia, anche ciò di cui i concili non si occupano, e quindi trascurano, ha un grande significato: quindi il concilio Vaticano ii fu silenzioso in modo assordante su quella che sarebbe poi divenuta la preoccupazione principale del pontificato di Giovanni Paolo II: l'evangelizzazione.
Nei decenni che precedettero l'ultima assise ecumenica Newman fu fonte d'incoraggiamento e d'ispirazione per quanti auspicavano il rinnovamento della Chiesa. Il ritorno alle fonti patristiche che caratterizzò il Movimento di Oxford - di cui Newman fu capo e teologo guida - anticipò il grande ressourcement francese del ventesimo secolo di Jean Daniélou, Henri de Lubac e Yves Congar, senza il quale il rinnovamento del concilio Vaticano ii sarebbe stato quasi impossibile. Nel periodo postconciliare in cui viviamo credo che John Henry Newman sia una guida inestimabile per una comprensione autentica del concilio, libera da travisamenti ed esagerazioni, una comprensione informata da un senso della storia, dallo sviluppo della dottrina e da un apprezzamento dei limiti dei concili e del loro rapporto reciproco.
(©L'Osservatore Romano - 15 luglio 2009)
Bonaventura e Tommaso a confronto - L'intelligenza non basta - di Inos Biffi – L'Osservatore Romano, 15 luglio 2009
Secondo san Bonaventura, la teologia inizia con la fede, ossia con "il Cristo inabitante nel cuore" (Christus inhabitans). È infatti questa inabitazione - scrive nel prologo del Breviloquium - la fonte da cui provengono "la stabilità e l'intelligenza di tutta la Sacra Scrittura" (firmitas et intelligentia totius sacrae scripturae). "È impossibile che uno sia iniziato a essa, se prima non ha infusa in sé la fede di Cristo, che di tutta la Scrittura è la lampada, la porta e il fondamento (lucerna et ianua et fundamentum)" e quindi se non è sotto "l'influsso della Trinità beata" (influentia Trinitatis beatae).
Quando manchi o si spenga la fede, che è un'"esperienza" di Cristo e un'azione trinitaria, l'avvio della teologia è semplicemente impossibile. La sua finalità, tuttavia, secondo il Dottore Serafico - Commento alle Sentenze, Proemii quaestio iii, 1m - non si conclude in modo compiuto nell'intelletto: "Non è questo il suo punto d'arrivo, dal momento che la Rivelazione mira ultimamente a suscitare l'affetto" (ibi non est status, quia illa revelatio ordinat ad affectum).
Possiamo discernere nell'itinerario teologico un primo momento, che consiste nella "scienza teologica speculativa" (scientia speculativa) o nella contemplazione. A esso deve seguire un secondo momento, quello in cui l'intelletto si estende e si esprime nell'azione (prout extenditur ad opus), e allora la teologia diviene una scienza pratica (scientia practica sive moralis).
Ma non basta: occorre che la scienza e l'azione si congiungano nella forma "affettiva", cioè bisogna che l'intelletto susciti l'amore (prout extenditur ad affectum), così che si ottenga la sapienza, la quale comprende insieme "la conoscenza e l'amore" (simul dicit cognitionem et affectum).
Non sono, quindi, sufficienti né il puro sapere scientifico né l'azione come tale.
In altre parole, la teologia mira certamente alla "grazia della contemplazione" (gratia contemplationis) e, senza dubbio questa contemplazione è un fine della teologia; non però il suo fine principale, che è quello che "diventiamo buoni" (ut boni fiamus).
"La fede - scrive il Dottore Serafico - risiede nell'intelletto, ma in modo tale da suscitare l'amore" (Sic est in intellectu, ut nata sit movere affectum).
Ed eccone la ragione: "La conoscenza che Cristo è morto per noi, e altre verità simili a questa, a meno di essere dei peccatori e di avere un cuore duro, suscita l'amore", a differenza di quando si abbia una conoscenza di tipo geometrico, del tipo "la diagonale è incommensurabile col lato".
"Il fine a cui tende questa dottrina - scrive sempre nel Breviloquium - è che diventiamo buoni e siamo salvati, e questo non avviene mediante una pura considerazione astratta, ma piuttosto con un atteggiamento o impegno della volontà" (haec doctrina est, ut boni fiamus et salvemur, et hoc non fit per nudam considerationem, sed potius per inclinationem voluntatis).
Per altro, un simile esito affettivo non può mancare, visto che l'"indagine" (prescrutatio) teologica, mostrando come "Dio perdoni i peccati, e quale medicina usi per le nostre piaghe, e quali premi ci elargirà in futuro", porta alla luce la dimensione nascosta (absconditum) del mistero divino, cioè "la dolcezza della divina misericordia".
Siamo, con questo, esattamente nel linguaggio e nel tono dei maestri francescani precedenti Bonaventura, come Alessandro di Hales: "Questa scienza (la teologia) pertiene maggiormente alla virtù che non al puro sapere speculativo; è più sapienza che non scienza, e consiste maggiormente nella virtù e nell'azione che non nella contemplazione e nella conoscenza" (haec scientia magis est virtutis quam artis, et sapientia magis quam scientia; magis consistit in virtute et efficacia quam in contemplatione et notitia).
Anche san Tommaso insegna che la "sacra dottrina" è una scienza pratica, tuttavia egli ritiene che essa sia "più speculativa che pratica", dal momento che "si occupa più delle cose divine che degli atti umani, dei quali tratta solo in quanto attraverso di essi l'uomo è ordinato alla perfetta conoscenza di Dio, nella quale consiste la beatitudine eterna" (Summa Theologiae, i, 1, 4). Si direbbe che san Tommaso sia più coraggioso e teologico.
Si tratta quindi di capire bene il significato che egli annette a questo carattere "speculativo": egli intende con ciò affermare che il fine ultimo della teologia non siamo noi, e non è neppure il nostro comportamento morale o la nostra salvezza, ma è Dio, verso il quale si volge tutto l'interesse. In questo senso la teologia non è "utile", ma è gratuita. Essa è interamente relativa a Dio, che attrae a sé tutta la contemplazione.
Tommaso non nega l'esito di bontà che deve avere il fare teologia, ma la propensione del suo pensiero è che non tanto si deve fare teologia "per diventare buoni" (ut boni fiamus), quanto si deve essere buoni per fare teologia e quindi per raggiungere la contemplazione di Dio, che della teologia è il fine ultimo. La "bontà" produce una consonanza con la teologia. È tuttavia significativo, come indice della fondamentale consonanza di Bonaventura e di Tommaso sulla natura "affettiva" della teologia quanto l'Angelico stesso nel Commento alla Lettera agli Ebrei scrive sulla natura affettiva della sacra dottrina. Questa - egli scrive - "è come il cibo dell'anima (...) è cibo e bevanda, poiché disseta e sazia l'anima. Le altre scienze si limitano a illuminare l'intelletto. Questa illumina l'anima e anche la nutre e la corrobora" (sacra ergo doctrina est cibus et potus, quia animam potat et satiat).
Nella medesima linea è un'altra grande affermazione di Tommaso nello stesso Commento: "Vi è una duplice perfezione: la prima relativa all'intelletto, e si ha quando uno possiede un intelletto capace di giudicare e di discernere rettamente su quanto gli viene proposto. La seconda perfezione è quella dell'affetto, e questo proviene dalla carità, che uno possiede quando si trova totalmente unito a Dio.
"Ora la Scrittura Sacra ha questo di caratteristico, che in essa non si trovano solo realtà su cui speculare, come nella geometria, ma anche realtà che si sperimentano con l'affetto. Nelle altre scienze basta che l'uomo sia perfetto quanto all'intelletto, in queste invece si richiede che lo sia quanto all'intelletto e quanto all'affetto".
Le figure della teologia in Bonaventura e Tommaso sono profondamente diverse, come d'altronde erano differenti i loro temperamenti mentali: l'esigenza di "riflessione" è maggiore in Tommaso, mentre viva e accesa in Bonaventura è l'inclinazione all'estetica teologica, alla profusione dell'immagine, alla "confessione" e al bisogno della sua esperienza, o forse meglio all'elogio di questo bisogno. Abbiamo parlato di estetica, e infatti egli, quale figlio di san Francesco, non esita a vedere suggestivamente nella Scrittura - e quindi nella struttura della teologia - la forma della croce, o, come la chiama, una "forma di croce intelligibile" (forma crucis intelligibilis), che con i suoi bracci comprende e riassume tutta la realtà e tutta la storia.
Chi voglia conoscere la teologia medievale deve studiare sia Bonaventura sia Tommaso. In ogni caso il teologo francescano e il teologo domenicano si ritrovavano nella persuasione che il teologo deve associare alla perfezione dell'intelletto la perfezione dell'amore.
(©L'Osservatore Romano - 15 luglio 2009)
SCUOLA/ Più bocciati, meno merito - Giovanni Cominelli mercoledì 15 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Il fatto del giorno: i respinti alla maturità sono passati dal 2,8% del 2008 al 3,1% del 2009. Percentuale decisamente non sconvolgente. Nel 1969 i respinti erano il 30%, nel 1924 il 74%. A questi vanno tuttavia aggiunti i non ammessi alla maturità e i bocciati degli anni intermedi, cui questo giornale ha già dedicato qualche pagina. Dopo anni di “facilismo”, arriva il “severismo”. Ottimo! Ripetutamente avevamo segnalato il divario tra le valutazioni internazionali e nazionali esterne del sistema educativo italiano e i voti finali interni forniti dallo stesso. È bastato tarare in modo più preciso il termometro per scoprire che il numero dei promossi e dei voti alti, specialmente al Sud, è drogato e che è trainato dall’anacronistica persistenza del valore legale del titolo di studio. Ciononostante, le cronache quotidiane di sedute finali di commissioni d’esame continuano a segnalare promozioni facili e facilissime. Verrebbe quasi da dire: i bocciati? Troppo pochi! Ma il “severismo” funziona, innanzitutto, da segnale ideologico: in tempi di crisi profonda dei modelli di produzione e di consumo, i Paesi e ciascuno sono investiti da uno tsunami di nuove responsabilità. Il tempo delle vacche grasse è finito per un bel po’! Perciò è venuto il tempo, anche nelle scuole, di separare chi studia da chi non studia, chi rispetta le regole elementari della convivenza scolastica da chi le viola. La sfida del merito è decisiva in una società in cui oggi non conta ciò che sei, ma di chi sei figlio o quale potente frequenti; non conta l’indice di sviluppo umano individuale, ma il capitale relazionale di cui sei immeritevole portatore. Una società in cui ciascuno tende a battere il mea culpa sul petto altrui: è la società dell’irresponsabilità, è la società del debito pubblico. E tuttavia il “severismo”, una volta che abbia funzionato da innesco ideologico contro il “facilismo”, diviene una sfida rivolta a se stesso. Le domande cui deve rispondere, perché non resti solo il flatus vocis estivo di una campagna elettorale perenne, volta a vincere l’oggi e non il domani, sono più d’una. Eccole: l’aumento dei bocciati è dovuto al fatto che la scuola ha cambiato parametri di giudizio o al fatto che ha migliorato improvvisamente da quest’anno la qualità della propria offerta, sorprendendo i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti? Quest’anno gli insegnanti sono più preparati? Gli insegnanti sono stati dotati di standard nazionali omogenei e di indicatori di giudizio più precisi? I bocciati che destino avranno? Compito fondamentale della scuola è selezionare o formare in vista della “selezione naturale” della vita? E che dire dell’alta percentuale di bocciati negli Istituti professionali e tecnici? Lì ci stanno i più stupidi o la loro vocazione non trova corrispondenza nel tipo di offerta?
Insomma: passare dall’ideologia del merito ad “una scuola del merito” richiede ancora moltissima strada. Fatto il primo passo, il piede per il secondo passo appare ancora sospeso per aria. Perché si posi su un terreno solido e inconcusso, occorre in primo luogo fissare standard nazionali, sotto forma di obbiettivi di competenze-chiave da raggiungere e di indicatori di misurazione. In mancanza di questi, i giudizi sono affidati all’anarchia di istituto, di indirizzo, di territorio. Ed è ciò che è accaduto anche in questi esami sedicenti severi. Perduti per strada i vecchi programmi gentiliani, forse antiquati, ma almeno severi e omogenei su scala nazionale, ciascun insegnante, ciascuna scuola, ciascuna Commissione d’esame si regola come crede. Così è possibile arrivare alla fine del quinto anno di Liceo classico a studiare fino a Hegel o a Pascoli, conoscere poco di latino e greco e diplomarsi. Gli esami di maturità, così come ora sono configurati, sono davvero in grado di certificare rigorosamente l’acquisizione delle competenze-chiave? Dicono la verità ai ragazzi, alle famiglie, al Paese circa il loro patrimonio di competenze? In questo contesto, paradossalmente, preoccupa di più il “merito” dei promossi che il “demerito” dei bocciati. Quanto agli insegnanti, restano il drammatico problema irrisolto del sistema: chi e come verifica la loro capacità di insegnare? Non vorremmo che un indicatore di capacità diventasse quello del numero di bocciature e che a questo si riducesse una fasulla restituzione di ruolo. Alla fine, avviato il necessario rientro dal “facilismo”, la questione di fondo, radicale, drammatica resta la seguente: perché con il passare degli anni la noia dei ragazzi aumenta, il desiderio di sapere diminuisce? Perché man mano i ragazzi salgono lungo i gradini dell’ordinamento scolastico, crescono in età, ma non in sapere? Perché perdiamo un immenso capitale umano di 200.000 ragazzi l’anno? Dopo essere passati all’incasso presso l’opinione pubblica dei facili dividendi ideologici-propagandistici, il “severismo” dovrà diventare esigente con se stesso. Rifatto il tetto, quando si incomincia con le fondamenta e con i muri?
HARRY POTTER/ Il Principe Mezzosangue: con il fiato sospeso tra atmosfere gotiche e fedeltà - Beppe Musicco mercoledì 15 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Deve veramente tirare una brutta aria a Hogwarts se (strano ma vero) Harry Potter sembra preferire di gran lunga vivere e confondersi tra i “babbani”, gli umani normali. Gente magari poco interessante, ma da cui non deve forzatamente guardarsi, che sembra apprezzarlo per quello che è e non per le sue doti magiche; come la giovane e carina cameriera di un bar che gli rivela a che ora finisce il lavoro.
Ma Albus veglia su Harry (e addio al romantico rendez-vous), e gli fa conoscere il nuovo insegnante di pozioni, il professor Lumacorno, che possiede informazioni che potrebbero essere di vitale importanza nella lotta contro Lord Voldemort; ma Lumacorno è reticente e Albus Silente affida nuovi e difficili compiti a Harry.
Non è facile parlare col distacco dovuto di questo film (il sesto) della serie di Harry Potter. La maggior parte dei critici cinematografici non ha letto i libri, la maggior parte dei lettori fa fatica ad accettare che il film sia “solo” un film e come tale debba rispettare alcune esigenze (non ultima, quella del fondoschiena dello spettatore, che deve starsene seduto per due ore e mezza abbondanti).
Così questi due mondi fanno spesso fatica a incontrarsi e capirsi.
Visto che però il sottoscritto si è letto (senza averne l’obbligo e con gusto) tutta la serie, e nonostante debba assistere a centinaia di film all’anno, non si è perso nessuna delle sei pellicole dal 2001 a oggi, confida di essere abbastanza obbiettivo. E quindi, cominciamo con una delle critiche più ripetute dai recensori di Harry Potter e il Principe Mezzosangue: il film è cupo, gotico, sinistro.
È vero, ma chi ha letto il libro sa che la drammaticità della situazione a Hogwarts e per tutti gli umani (maghi o babbani che siano) peggiora di giorno in giorno, nonostante le ripetute vittorie di Harry Potter, che proprio in questo capitolo della storia prenderà consapevolezza di essere “il prescelto” per combattere il Signore del Male. Fedele a questa impostazione, il film sceglie una tavolozza dai colori smunti, lividi, evanescenti. I complicati corridoi scolastici non risuonano più delle risate e degli schiamazzi, ma di frasi smozzicate dette a bassa voce. Per la prima volta, Harry Potter non si dimostra più disobbediente o insofferente alle regole, capiusce che la fedeltà a Silente è la cosa più importante, ora. Unica trasgressione, un libro di pozioni fitto di chiose e appunti utilissimi, che lo fanno diventare il preferito di Lumacorno, che alla fine gli rivelerà quel ricordo che ha taciuto per anni.
L’atmosfera sinistra facilità inoltre l’uso degli effetti speciali, che sono tanti e ben dispiegati: dalle perturbazioni atmosferiche che rivelano l’inquietante silhouette del Nemico, ai repellenti abitanti delle tenebre, all’uso di luci e ombre. Per non parlare del ritorno del Quidditch, che mancava ormai da alcuni film e che qui si dispiega in tutta la sua forza e velocità.
D’altra parte, Harry Potter e il Principe Mezzosangue è anche il film che, più di tutti gli altri, riesce a tenere un tono leggero in tutta questa desolazione.
I protagonisti sono ormai giovanotti, Harry è innamorato di Ginny Weasley, Hermione del fratello Ron Weasley. I quattro ovviamente si comportano come tutti i loro coetanei: fanno cose stupide, hanno un’aria perennemente rimbambita e sognante, non sanno valutare tempi e modi, rischiando a ogni minuto di mandare a gambe all’aria un futuro che a tutti sembra palese. In molti punti la risata del pubblico scatta sincera.
In definitiva: questo Harry Potter è evidentemente un film “di passaggio”, che lascia col fiato sospeso e la sensazione di non aver ancora assistito a niente di rilevante (d’altra parte, i terribili avvenimenti dell’ultimo libro sono tanti e tali che verranno spalmati su due film).
A uno sguardo più attento vedremo però che questa sesta prova poggia su solide basi, e che se qualche appunto si può sollevare è forse su alcune sottotrame che potevano essere trascurate in favore della storia principale. Di certo (e gli appassionati spero non me ne vogliano), in un cast di ottimi e maturi attori come Rickman, Gambon, Broadbent, per fare alcuni nomi, che si mescolano perfettamente coi più giovani, la figura più debole è proprio Radcliffe. Se non fosse che ormai Harry Potter è lui, dubito che qualsiasi regista lo sceglierebbe solo per le sue capacità recitative e per la sua presenza scenica.
COPPIA DI 80 ENNI INGLESI IN S VIZZERA PER L ’ EUTANASIA - Quell’algida solitudine che spinge a cercare la morte - M ARINA C ORRADI – Avvenire, 15 luglio 2009
« N ostro padre era quasi cieco e praticamente sordo. Ha avuto una carriera straordinaria come direttore d’orchestra.
Nostra madre era ballerina e coreografa.
Entrambi hanno vissuto la vita sino in fondo e si sono sempre considerati molto fortunati. Dopo 54 anni passati insieme hanno deciso di mettere fine alle loro vite piuttosto che lottare contro seri problemi di salute. Sono morti in pace e in circostanze che hanno scelto, con l’aiuto dell’organizzazione Dignitas, a Zurigo. Non erano credenti e non ci sarà funerale». Del suicidio assistito in una clinica svizzera di sir Edward Downes, anziano e affermato direttore d’orchestra inglese, e di sua moglie Joan, ciò che colpisce di più è l’annuncio firmato dai figli. Anodina comunicazione: mamma e papà hanno preferito morire.
Hanno scelto il quando e il come e, dunque, è andata nel migliore dei modi possibili. Non un necrologio, ma una serena partecipazione di lutto, dove si stenta a trovare fra le righe traccia di dolore. Hanno scelto, quei due, lucidamente; e dunque che c’è da dolersi? Come quando a teatro cala il sipario. Lo spettacolo, semplicemente, è finito. Ma il nuovo mondo annunciato dai figli di sir Downes non è solo un caso di estremo di cronaca. In Gran Bretagna il Parlamento ha pochi giorni fa bocciato una norma che avrebbe autorizzato i parenti di malati privi di coscienza a portare all’estero i loro cari perché siano aiutati a morire.
Sbarrata la porta ai viaggi della morte, immediata la reazione del fronte pro-eutanasia. Questo annuncio laconico, secco, che vorrebbe essere esemplare: è così che si muore. È così che si deve essere civilmente liberi di morire. Certo, il direttore d’orchestra e sua moglie erano coscienti e padroni di sé, e quindi liberi di partire e andare dove volevano. È questo l’argomento che si farà largo e aprirà una breccia nella coscienza di chi ascolta la notizia. Erano liberi, e dunque? Liberi, certo. Lui, 85 anni, a detta dei figli ormai quasi cieco e sempre più sordo; lei, settantaquattrenne, da anni tutto giorno ad assisterlo. Immaginiamoci una coppia così, colta, benestante, materialmente assistita. Quanta solitudine occorre, in case perbene, tra gente beneducata, perché un vecchio che a ottant’anni ci vede poco e è sordo – come capita a quell’età – decida che è meglio finirla? Quanta solitudine occorre perché sua moglie, sentendo forse le forze mancare, acconsenta e voglia a quella morte partecipare? In Italia abbiamo ancora la memoria di altri vecchi: che leggono il giornale, che vanno a fare la spesa, che coltivano un orto. Un po’ sordi magari, e ne sorridono i nipoti. Ma lieti ancora di essere vivi, ogni nuova mattina. La discriminante fra sir Downes e la vecchiaia dei nostri nonni e genitori non è nella malattia, ma in una algida, bestiale solitudine. Sottoposti alla quale, pure se ben nutriti e curati, si può mettersi in coda con gli altri ottocento inglesi già prenotati alla Dignitas. Scegliendo di morire. Togliendo il disturbo. Non tanto liberamente, però. Ma sospinti e costretti, come in un gorgo, dal vuoto attorno, e dall’assenza di qualunque voce che chiami indietro. «Sono morti in pace e in circostanze che hanno scelto», annunciano compostamente i figli. È la bugiarda libertà del nuovo mondo, in cui anche il veleno è permesso. Ma non è contemplata una faccia amica che dica: non farlo, ci sei necessario, noi non vogliamo che tu te ne vada.
1)Fermato il fronte eutanasico alla Camera dei Lord - Il tentativo di aggirare il divieto di eutanasia non è passato alla Camera dei Lord…- di Gianfranco Amato* - * Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - www.mascellaro.it
2)FEDERAZIONE MONDIALE DEL CALCIO: VIETATO PREGARE (MA SOLO AI CRISTIANI) - di Michele Brambilla Fonte: Il Giornale, 6 luglio 2009
3)Assassinato un altro sacerdote spagnolo a Cuba - Padre Mariano Arroyo Merino
4)Che testi usano i tuoi figli? - Andrea Bartelloni analizza i libri di testo scolatici - di Antonio Gaspari
5)La guida preziosa di John Henry Newman - A lezione dal Dottore del concilio – L'Osservatore Romano, 15 luglio 2009
6)Bonaventura e Tommaso a confronto - L'intelligenza non basta - di Inos Biffi – L'Osservatore Romano, 15 luglio 2009
7)SCUOLA/ Più bocciati, meno merito - Giovanni Cominelli mercoledì 15 luglio 2009 – ilsussidiario.net
8)HARRY POTTER/ Il Principe Mezzosangue: con il fiato sospeso tra atmosfere gotiche e fedeltà - Beppe Musicco mercoledì 15 luglio 2009 – ilsussidiario.net
9)COPPIA DI 80 ENNI INGLESI IN S VIZZERA PER L ’ EUTANASIA - Quell’algida solitudine che spinge a cercare la morte - M ARINA C ORRADI – Avvenire, 15 luglio 2009
Fermato il fronte eutanasico alla Camera dei Lord - Il tentativo di aggirare il divieto di eutanasia non è passato alla Camera dei Lord…- di Gianfranco Amato* - * Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - www.mascellaro.it
Con 194 voti contrari e 141 favorevoli, i Pari hanno rigettato l'emendamento con cui si sarebbe reso legale il comportamento di chi agevola il suicidio assistito effettuato all'estero. Un tentativo di legalizzare il turismo eutanasico in Svizzera o in Olanda.
Il discorso più convincente e toccante che è risuonato nella paludata aula di Westminster è stato quello della baronessa Campbell of Surbiton, le cui parole sono state ascoltate da tutti con l'attenzione dovuta alla storia personale di questa donna.
Non solo perché la baronessa è stata Presidente della Commissione parlamentare per i diritti dei disabili, ed è da sempre impegnata in questo delicato settore, ma soprattutto perché vive sulla propria pelle una gravissima disabilità. Fin dalla nascita è affetta da atrofia muscolare spinale giunta oramai in fase degenerativa, al punto che - come ha confessato nel suo discorso alla Camera dei Lord - tre anni fa i dottori l'avevano convinta che la sua vita fosse ormai giunta al capolinea e che per lei fosse «arrivato il momento di congedarsi».
Lady Campbell ha evidenziato ai colleghi parlamentari la particolare condizione psicologica in cui versano i pazienti affetti da gravi patologie, di fronte a simili pressioni da parte dei medici, e li ha ammoniti circa le conseguenze, da questo punto di vista, derivanti da un'eventuale approvazione dell'emendamento.
Dall'alto della propria esperienza personale, la coraggiosa baronessa non ha usato mezzi termini per denunciare che la legalizzazione della morte prematura, declassata a semplice «opzione di un trattamento sanitario», significa, in realtà, «instillare il dubbio circa l'esistenza di un asserito diritto a vivere una vita dignitosa» e comporta uno «sminuimento del dovere dello Stato di garantire a tutti i cittadini - indipendentemente dalle proprie condizioni fisiche - la possibilità di vivere dignitosamente».
Ha inoltre denunciato il rischio di incentivare indebite pressioni su disabili e malati terminali che pensano di essere giunti alla fine della propria esperienza esistenziale, fino al punto di considerare la morte come l'opzione più conveniente, più rapida e più semplice. Basti pensare agli anziani che soffrono nel gravare i propri familiari e nell'essere causa di pensanti disagi per i loro cari.
A questo discorso hanno fatto eco le parole del Vescovo di Exeter, Michael Langrish, padre di una disabile trentenne affetta da sindrome di Dawn, il quale ha puntato il dito contro l'emendamento considerandolo un ulteriore tappa legislativa nel pericoloso piano inclinato culturale sul quale sta scivolando la società britannica, sempre più attratta da una deriva eutanasica.
Non sono mancate voci di dissenso come quella di Lord Falconer of Thoroton, sostenitore dell'emendamento, il quale ha ribadito che non è gusto considerare «un crimine il fatto di accompagnare qualcuno in un Paese in cui il suicidio assistito è legale, se l'unico scopo dell'accompagnamento è quello di assistere chi ha deciso di ricorrere all'eutanasia in un luogo in cui tale pratica è autorizzata per legge». Sofismi da leguleio che nascondono l'evidente intento di raggiungere a tappe l'obiettivo finale della legalizzazione del suicidio assistito, secondo la logica egemonica gramsciana della progressiva conquista di una casamatta alla volta.
Ha ragione il Vescovo di Exeter. Se l'emendamento fosse passato sarebbe stato un pericoloso legislative milestone nel tentativo di introdurre l'eutanasia nel Regno Unito, tentativo, per ora, fortunatamente sventato. Ma fino a quando?
di Gianfranco Amato*
* Presidente di Scienza e Vita di Grosseto
www.mascellaro.it
FEDERAZIONE MONDIALE DEL CALCIO: VIETATO PREGARE (MA SOLO AI CRISTIANI) - di Michele Brambilla Fonte: Il Giornale, 6 luglio 2009
La Fifa, cioè il governo mondiale del calcio, ha inviato un «ammonimento» ufficiale alla Federazione brasiliana i cui calciatori, al termine della finale vittoriosa nella recente Confederations Cup in Sudafrica, hanno ringraziato Dio con una preghiera collettiva in mezzo al campo.
Una preghiera esplicitamente cristiana, com'è ovvio, vista la fede comune in Brasile. La Fifa censura: la religione deve stare alla larga dal calcio.
Non ci sembra una notizia di poco conto. Tuttavia, su giornali e tv ha trovato scarsissimo rilievo.
Ci sbaglieremo, ma ieri l'abbiamo vista solo sul Corriere della Sera e su Repubblica. L'articolo del Corriere era ineccepibile. Quello di Repubblica, invece, ci ha fatti sobbalzare sulla seggiola. L'autore, infatti, subito dopo aver descritto il rito messo in scena dai calciatori brasiliani, e dopo aver rimarcato che molti indossavano «magliette alla Kakà ("I belong to Jesus", appartengo a Gesù)», commenta: «Fosse stata una preghiera islamica, è il caso di dirlo, apriti cielo. Invece la faccenda è passata quasi sotto silenzio, almeno da noi».
Davvero stupefacente lo stravolgimento dei fatti e della realtà. Qui, è il caso di dirlo, è accaduto esattamente il contrario di quel che fa intendere Repubblica. Il cielo si è aperto proprio contro la preghiera cristiana dei brasiliani; mentre nessuno, tantomeno la Fifa, ha detto bah per una manifestazione altrettanto plateale, e anch'essa trasmessa in mondovisione, di pochi giorni prima.
E cioè la preghiera islamica dei calciatori egiziani i quali, subito dopo la partita vinta contro l'Italia, hanno pregato in mezzo al campo tutti quanti rivolti alla Mecca, secondo tradizione. Repubblica vuol farci credere che - nonostante l'ammonimento della Fifa - la preghiera cristiana dei brasiliani è passata «sotto silenzio», mentre un'ipotetica preghiera islamica avrebbe fatto gridare allo scandalo.
Anche se siamo abituati a faziosità di ogni genere, c'è da restare increduli di fronte a tanta spudoratezza. Ma quel che ci interessa qui non è il rimarcare certe piccole meschinità. Più che l'articoletto di Repubblica, ci pare indicativa di un certo clima la sanzione della Fifa; e il silenzio con cui tale disparità di trattamento - Brasile punito, Egitto no - viene fatta scivolare via.
Michele Brambilla
Fonte: Il Giornale, 6 luglio 2009
Assassinato un altro sacerdote spagnolo a Cuba - Padre Mariano Arroyo Merino
LA HABANA, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).- Questo lunedì è stato trovato senza vita in una delle stanze della parrocchia di Nostra Signora de Regla dell'Avana (Cuba) il sacerdote spagnolo Mariano Arroyo Merino.
I primi resoconti indicano che il presbitero è stato assassinato, secondo quanto ha spiegato a ZENIT l'Arcivescovado della capitale cubana.
Se questa informazione verrà confermata, sarà il secondo sacerdote spagnolo ucciso a Cuba in un anno, dopo il ritrovamento del cadavere del presbitero dell'Arcidiocesi di Madrid Eduardo de la Fuente Serrano, 59 anni, il 14 febbraio scorso.
P. Mariano Arroyo era nato nel 1935 a Cabezón de la Sal, in Cantabria. Era stato ordinato sacerdote nel 1960 e due anni dopo era partito come missionario per Santiago del Cile, dove era rimasto fino al 1968. Dal 1969 al 1979 aveva lavorato nuovamente a Madrid come parroco e formatore del seminario, tornando nel 1980 in Cile.
P. Arroyo, che era laureato in Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università di Comillas e in Lettere e Filosofia presso l'Università Complutense di Madrid, era giunto all'Avana il 19 gennaio 1997.
Nel marzo successivo il Cardinale Jaime Ortega lo aveva nominato parroco di Nostra Signora del Pilar, all'Avana, e nel dicembre 2004 era stato designato rettore e parroco del Santuario Nazionale di Nostra Signora de Regla, situato di fronte alla baia della città.
“Lì è rimasto fino alla sua morte, svolgendo un intenso lavoro pastorale e mostrando un carisma particolare per la religiosità popolare e il sincretismo religioso”, spiega l'Arcivescovado dell'Avana.
Durante il suo soggiorno nella capitale cubana era stato anche assessore del Movimento dei Lavoratori Cristiani e direttore dell'Istituto di Scienze Religiose "Padre Félix Varela".
L'Arcidiocesi dell'Avana ha dichiarato che al momento “è in corso il processo investigativo sul caso”.
Che testi usano i tuoi figli? - Andrea Bartelloni analizza i libri di testo scolatici - di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).- L’umanità è come un virus che divora il pianeta? L’uomo discende dalla scimmia e la Bibbia un libro di favole? L’effetto serra è dannoso? Le attività antropiche sono inquinanti e bisogna fermarle? Siamo troppi sulla terra e quindi le nascite vanno diminuite e selezionate?
Queste le domande che alcuni tra bambini e bambine hanno posto ai loro genitori dopo aver letto e studiato i libri di testo in uso nelle scuole elementari e medie.
Gli errori di impostazione sono così caratterizzati che è evidente che non si tratta solo di un problema di sintesi o di spiegazione scientifica, ma dell’ideologia che domina l’approccio alla realtà degli autori.
Per cercare di capire quanto sia grave il problema e come si possa trovare una soluzione ragionevole, ZENIT ha intervistato Andrea Bartelloni, un medico che si occupa da almeno un decennio di analizzare i contenuti scientifici dei libri di testo, dalle elementari fino alla scuola superiore.
Insieme al professor Giuseppe Sermonti, il dott. Bartelloni ha presentato al Meeting di Rimini nel 2000 uno studio sul contenuto dei libri di testo.
Sullo stesso tema un saggio di Bartelloni è stato pubblicato dal mensile di cultura, orientamenti educativi, problemi didattico-istituzionali per la scuola secondaria superiore “Nuova Secondaria” (n.8, 15 aprile 2009) edito da “La Scuola” di Brescia (vd. http://www.rassegnastampa-totustuus.it/)
Lo stesso Bartelloni si è fatto promotore di un Osservatorio sull’Editoria e i Libri di Testo (osservatorio2000@hotmail.it), dopo che un'iniziativa simile curata dall’Associazione Gymnasium ha smesso di operare.
Molti genitori lamentano la poca scientificità dei testi scolastici. In particolare sui temi di scienze naturali, fisica, chimica, evoluzione, ecologia. Qual è la situazione?
Bartelloni: Attualmente i manuali scolastici che trattano di temi scientifici, quelli di biologia in particolare, affrontano i temi principali in due modi diversi: il capitolo dedicato all’evoluzione non presenta differenze sostanziali tra i vari testi, l’evoluzione non si discute, non si trovano critiche. Gli altri temi offrono una certa variabilità che rispecchia le sensibilità di ciascun autore. Questo è evidente quando si parla di droghe o di ecologia e merita di essere approfondito per dare indicazioni ad insegnanti e genitori.
Questo è l’anno di Darwin in cui si ricordano i 200 anni dalla sua nascita ed i 150 anni dalla pubblicazione dell’Origine delle specie. Molti genitori hanno espresso perplessità per tesi e testi in cui è evidente l’influenza ideologica. Lei ha studiato a fondo il problema. Cosa può dirci in proposito?
Bartelloni: Come dicevo prima: nessuno tocchi Darwin! Forse è veramente uno degli ultimi intoccabili; è quasi possibile parlar male di Garibaldi, ma toccare l’evoluzione e l’evoluzionismo è tabù. Eppure non mancano tra gli scienziati discussioni sul tema. Il numero speciale de Le Scienze del febbraio scorso contiene molti spunti di riflessione, ma nei manuali scolastici non c’è traccia di queste discussioni. Dalla scuola primaria all’università un sol coro: l’evoluzionismo spiega tutto. Sarebbe opportuno chiarire i termini della questione (evoluzione, evoluzionismo) e tenere distinti gli ambiti scientifici, filosofici e teologici. Sul n. 8 di Nuova Secondaria è apparso un mio intervento che fa il punto della situazione su questo tema.
Anche sui temi ambientali, nei libri di testo, già dalle classi elementari l’umanità è indicata come la causa di tutti gli inquinamenti e le argomentazioni molte volte sono fuori da ogni logica. Può confermarci questo dato?
Bartelloni: In un testo per la scuola superiore di qualche anno fa la crescita demografica veniva paragonata alla diffusione dei microbi nel corpo umano: o la si bloccava o il mondo sarebbe andato distrutto. Queste sono aberrazioni. Stimolare al rispetto per la natura e per l’ambiente che ci circonda è una buona cosa, è buona educazione, il creato non ci è stato dato per distruggerlo. Da qui ad arrivare a dire che l’uomo è la causa di tutti i mali e che la crescita demografica distruggerà il mondo ce ne corre.
Perchè è nato l’Osservatorio dei libri scolastici e quali sono gli scopi e gli obiettivi di questa associazione?
Bartelloni: L’Osservatorio nacque nel 1999 e produsse interventi in ambito storico e scientifico con lo scopo di evidenziare le incompletezze nei manuali scolastici e, dove si presentassero, correggere le distorsioni sui fatti storici e sulle realtà scientifiche.
Cosa dovrebbero fare i genitori per poter intervenire nella scelta dei libri scolastici?
Bartelloni: La scelta dei libri per i nostri figli è delegata ai professori. Questo mi sembra anche ovvio, solamente loro hanno le competenze per valutare quale testo è adatto anche al loro modo di insegnare. Quindi è su loro che bisognerebbe cercare di intervenire. Come genitori possiamo solamente sottolineare le distorsioni o gli errori che evidenziamo e per questo mi sembrerebbe utile una rete per mettere insieme le informazioni e veicolarle al maggior numero di persone, insegnanti compresi, anche perché non tutti i genitori sono in grado di osservare criticamente i testi dei loro figli. Mettere insieme varie competenze aiuterebbe tutti.
Il Ministero della Pubblica Istruzione è al corrente di queste evidenti manipolazioni ideologiche trasmesse nei libri scolastici?
Bartelloni: Anzitutto sarebbe opportuno chiedersi se esista una sensibilità sul tema, specialmente a fronte degli enormi problemi della scuola. Coloro che si sono succeduti al Ministero dell’Istruzione non hanno mai fatto trasparire questa sensibilità, anche perché il problema è culturale. Basti pensare alla storia e a come viene insegnata.
Un’ultima domanda sui manuali scolastici di storia. Possiamo trasferire le critiche e le considerazioni fatte per i testi scientifici a quest’altra materia di insegnamento?
Bartelloni: L’Osservatorio si è dedicato, specialmente nei primi anni della sua attività, a questa materia che offre notevoli spunti di riflessione. Le distorsioni su molti argomenti risentivano ancora, alla fine degli anni novanta, delle ideologie del XX secolo. A venti anni dalla caduta del Muro di Berlino molte cose sono cambiate e sono state recepite anche dalla manualistica scolastica. Rimangono ancora molti pregiudizi anti cattolici e “leggende nere” nei riguardi della Chiesa che sembrano duri a morire e sui quali sarebbe utile lavorare.
La guida preziosa di John Henry Newman - A lezione dal Dottore del concilio – L'Osservatore Romano, 15 luglio 2009
Da pochi giorni è stato ripubblicato il volume John Henry Newman. A Biography (Oxford, Oxford University Press, 2009, pagine 784, euro 30). All'edizione del 1988 è stata aggiunta una postfazione che confuta le recenti insinuazioni sulla sua sepoltura. L'autore del libro, che è il maggior conoscitore della figura e dell'opera di Newman, ha tracciato per "L'Osservatore Romano" un suo profilo.
di Ian Ker
Il venerabile John Henry Newman sarà il primo inglese, dai tempi della Riforma, elevato agli onori degli altari senza essere stato martirizzato. E tuttavia ha dovuto sopportare molte sofferenze nel corso della sua vita. Fu denigrato come anglicano quando, attraverso il Movimento di Oxford, tentò di recuperare l'eredità cattolica della Chiesa d'Inghilterra. In seguito, da cattolico, il suo lavoro per la Chiesa fu minato dagli estremisti ultramontani che lo sospettavano di liberalismo mentre i cattolici liberali lo attaccavano per la sua obbedienza all'autorità.
Sebbene non sia stato martirizzato come san Tommaso Moro - autore di Utopia e amico di Erasmo - anche Newman fu un grande umanista. L'altare della sua cappella privata nell'oratorio di Birmingham non è sormontato da immagini di san Filippo Neri (il fondatore dell'Oratorio), ma da quelle del grande santo umanista della Controriforma, Francesco di Sales, il cui detto cor ad cor loquitur fu adottato dallo stesso Newman come motto cardinalizio. Aveva già citato queste parole in The Idea of University (1873), un classico della prosa inglese e la più influente opera mai scritta sull'educazione universitaria. In verità Newman scrisse una volta: "Ora, dall'inizio alla fine l'educazione (...) è la mia linea guida". Da giovane, del resto, era stato un pioniere del sistema tutoriale a Oxford e in seguito fondò l'università cattolica in Irlanda e la scuola dell'Oratorio di Birmingham. Come scrittore ha raggiunto il livello dei maggiori prosatori inglesi, mentre il suo poema The Dream of Gerontius (1865) fu messo in musica da Edward Elgar nel suo celebre oratorio.
Nel periodo del Movimento di Oxford Newman pronunciò nella chiesa universitaria di Saint Mary the Virgin, di cui era vicario, non solo i suoi Oxford University Sermons (1843), di taglio accademico, ma anche numerose prediche, poi raccolte nel volume Parochial and Plain Sermons (1868). Questi testi, che si nutrono di Sacre Scritture e di patristica, sono divenuti un classico della spiritualità cristiana. I suoi Oxford University Sermons, la sua opera fondamentale, esplorano la relazione tra fede e ragione, un'analisi che sarà poi completata nella sua Grammar of Assent (1870). L'originalità e la penetrazione della sua filosofia della religione è stata pienamente apprezzata soltanto negli ultimi anni.
Quando Newman divenne cattolico, nel 1845, era il più importante convertito alla Chiesa dalla Riforma. La sua teologia scritturale e patristica era estranea a una Chiesa allora dominata da un pensiero scolastico alieno a successivi recuperi scritturali, patristici e tomistici. Fu il concilio Vaticano ii - di cui Newman è spesso definito "il padre" - a riscattare finalmente la sua teologia. Il compianto cardinale Avery Dull lo definì il teologo cattolico più fecondo del diciannovesimo secolo. Il suo classico Essay on the development of Christian Doctrine (1845) - che fu oggetto di sospetto da parte dei due più importanti teologi romani del tempo - può essere considerato come il punto di partenza della moderna teologia cattolica dello sviluppo. La sua opera On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine (1859) - denunciata a Roma da un membro della gerarchia inglese e gallese - precorse di più di cento anni il decreto conciliare sull'apostolato dei laici e la sezione sul laicato della Lumen gentium. L'ultimo capitolo di questa costituzione dogmatica, dedicato alla Beata Vergine Maria è il risultato della decisione del concilio di non redigere un documento separato su Nostra Signora; la teologia scritturale e patristica di Newman è in sintonia con la sua mariologia in A letter to Pusey (1866). La sua interpretazione della definizione data dal concilio Vaticano i dell'infallibilità del Papa - così come articolata in Letter to the Duke of Norfolk (1875) - fu sgradita agli estremisti ultramontani ma, in quel tempo, fu scagionata dal vescovo Fessler - già segretario generale del concilio - in Die wahre und die falsche Unfehlbarkeit der Päpste, un libro che ricevette l'approvazione ufficiale di Papa Pio IX. Il famoso "brindisi" di Newman alla coscienza nella stessa opera si riferisce alla possibilità di rifiutarsi, appunto secondo coscienza, di obbedire agli ordini papali, ma non alla possibilità del cosiddetto dissenso, in coscienza, agli insegnamenti del Pontefice, come spesso erroneamente si è supposto. Ma se Newman è considerato il "padre del concilio Vaticano ii", in caso di canonizzazione egli sarà certamente dichiarato Dottore della Chiesa. E in questo caso sarà visto - ne sono convinto - come il Dottore della Chiesa postconciliare. Poiché la sua teologia, che al tempo appariva tanto radicale da essere pericolosa, fu sempre profondamente storica, sensibile alla tradizione e rispettosa dell'autorità magisteriale della Chiesa. Una volta, com'è noto, scrisse: "Per essere profondamente nella storia bisogna smettere di essere protestanti". L'idea che il Vaticano ii abbia rappresentato una frattura totale nella storia della Chiesa, una nuova alba analoga alla Riforma secondo il punto di vista dei protestanti, gli sarebbe apparsa non solo come indice di incredibile ignoranza della storia e di indifferenza alla tradizione, ma anche come una forma di disprezzo per il magistero permanente della Chiesa. Come Benedetto XVI anche Newman credeva nell'"ermeneutica della continuità". Al tempo del concilio Vaticano i scriveva: "Non ci muoviamo alla velocità di un treno nelle materie teologiche, nemmeno nel diciannovesimo secolo".
La miniteologia dei concili che Newman tratteggiò nelle lettere private al tempo del concilio Vaticano i offre un'ermeneutica di valore inestimabile sia per il Vaticano ii sia per gli sviluppi ulteriori e le alterazioni degli insegnamenti conciliari. Newman avrebbe considerato il caos e il dissenso successivi come inevitabili conseguenze per qualsiasi concilio e soprattutto per uno dall'agenda a così lungo termine. Il concilio Vaticano i terminò da una parte con il trionfalismo degli estremisti ultramontani e dall'altra con la scomunica di Döllinger e dello scisma dei vecchi cattolici. Anche il Vaticano ii vide l'emergere di due reazioni estreme e opposte, ma fortemente concordi sulla sua natura rivoluzionaria.
Profondamente nella storia, Newman comprese molto chiaramente che i concili procedono "con dichiarazioni contrarie (...) che si perfezionano, si completano e si integrano reciprocamente". Così la definizione del Vaticano i sull'infallibilità del Papa andava completata e modificata da un insegnamento più ampio sulla Chiesa e Newman predisse con esattezza che un altro concilio avrebbe fatto esattamente questo. Ma allo stesso modo il Vaticano ii ha bisogno di completamento e modifiche. Newman apprezzava profondamente il fatto che i concili avessero conseguenze inattese in virtù sia di quanto detto sia di quanto taciuto. Il dire tende all'esagerazione, come è accaduto nella scia del concilio Vaticano ii, quando sembrava che la Chiesa non avesse altro di cui occuparsi se non di giustizia e pace, di ecumenismo, dialogo interreligioso e così via. Tuttavia, anche ciò di cui i concili non si occupano, e quindi trascurano, ha un grande significato: quindi il concilio Vaticano ii fu silenzioso in modo assordante su quella che sarebbe poi divenuta la preoccupazione principale del pontificato di Giovanni Paolo II: l'evangelizzazione.
Nei decenni che precedettero l'ultima assise ecumenica Newman fu fonte d'incoraggiamento e d'ispirazione per quanti auspicavano il rinnovamento della Chiesa. Il ritorno alle fonti patristiche che caratterizzò il Movimento di Oxford - di cui Newman fu capo e teologo guida - anticipò il grande ressourcement francese del ventesimo secolo di Jean Daniélou, Henri de Lubac e Yves Congar, senza il quale il rinnovamento del concilio Vaticano ii sarebbe stato quasi impossibile. Nel periodo postconciliare in cui viviamo credo che John Henry Newman sia una guida inestimabile per una comprensione autentica del concilio, libera da travisamenti ed esagerazioni, una comprensione informata da un senso della storia, dallo sviluppo della dottrina e da un apprezzamento dei limiti dei concili e del loro rapporto reciproco.
(©L'Osservatore Romano - 15 luglio 2009)
Bonaventura e Tommaso a confronto - L'intelligenza non basta - di Inos Biffi – L'Osservatore Romano, 15 luglio 2009
Secondo san Bonaventura, la teologia inizia con la fede, ossia con "il Cristo inabitante nel cuore" (Christus inhabitans). È infatti questa inabitazione - scrive nel prologo del Breviloquium - la fonte da cui provengono "la stabilità e l'intelligenza di tutta la Sacra Scrittura" (firmitas et intelligentia totius sacrae scripturae). "È impossibile che uno sia iniziato a essa, se prima non ha infusa in sé la fede di Cristo, che di tutta la Scrittura è la lampada, la porta e il fondamento (lucerna et ianua et fundamentum)" e quindi se non è sotto "l'influsso della Trinità beata" (influentia Trinitatis beatae).
Quando manchi o si spenga la fede, che è un'"esperienza" di Cristo e un'azione trinitaria, l'avvio della teologia è semplicemente impossibile. La sua finalità, tuttavia, secondo il Dottore Serafico - Commento alle Sentenze, Proemii quaestio iii, 1m - non si conclude in modo compiuto nell'intelletto: "Non è questo il suo punto d'arrivo, dal momento che la Rivelazione mira ultimamente a suscitare l'affetto" (ibi non est status, quia illa revelatio ordinat ad affectum).
Possiamo discernere nell'itinerario teologico un primo momento, che consiste nella "scienza teologica speculativa" (scientia speculativa) o nella contemplazione. A esso deve seguire un secondo momento, quello in cui l'intelletto si estende e si esprime nell'azione (prout extenditur ad opus), e allora la teologia diviene una scienza pratica (scientia practica sive moralis).
Ma non basta: occorre che la scienza e l'azione si congiungano nella forma "affettiva", cioè bisogna che l'intelletto susciti l'amore (prout extenditur ad affectum), così che si ottenga la sapienza, la quale comprende insieme "la conoscenza e l'amore" (simul dicit cognitionem et affectum).
Non sono, quindi, sufficienti né il puro sapere scientifico né l'azione come tale.
In altre parole, la teologia mira certamente alla "grazia della contemplazione" (gratia contemplationis) e, senza dubbio questa contemplazione è un fine della teologia; non però il suo fine principale, che è quello che "diventiamo buoni" (ut boni fiamus).
"La fede - scrive il Dottore Serafico - risiede nell'intelletto, ma in modo tale da suscitare l'amore" (Sic est in intellectu, ut nata sit movere affectum).
Ed eccone la ragione: "La conoscenza che Cristo è morto per noi, e altre verità simili a questa, a meno di essere dei peccatori e di avere un cuore duro, suscita l'amore", a differenza di quando si abbia una conoscenza di tipo geometrico, del tipo "la diagonale è incommensurabile col lato".
"Il fine a cui tende questa dottrina - scrive sempre nel Breviloquium - è che diventiamo buoni e siamo salvati, e questo non avviene mediante una pura considerazione astratta, ma piuttosto con un atteggiamento o impegno della volontà" (haec doctrina est, ut boni fiamus et salvemur, et hoc non fit per nudam considerationem, sed potius per inclinationem voluntatis).
Per altro, un simile esito affettivo non può mancare, visto che l'"indagine" (prescrutatio) teologica, mostrando come "Dio perdoni i peccati, e quale medicina usi per le nostre piaghe, e quali premi ci elargirà in futuro", porta alla luce la dimensione nascosta (absconditum) del mistero divino, cioè "la dolcezza della divina misericordia".
Siamo, con questo, esattamente nel linguaggio e nel tono dei maestri francescani precedenti Bonaventura, come Alessandro di Hales: "Questa scienza (la teologia) pertiene maggiormente alla virtù che non al puro sapere speculativo; è più sapienza che non scienza, e consiste maggiormente nella virtù e nell'azione che non nella contemplazione e nella conoscenza" (haec scientia magis est virtutis quam artis, et sapientia magis quam scientia; magis consistit in virtute et efficacia quam in contemplatione et notitia).
Anche san Tommaso insegna che la "sacra dottrina" è una scienza pratica, tuttavia egli ritiene che essa sia "più speculativa che pratica", dal momento che "si occupa più delle cose divine che degli atti umani, dei quali tratta solo in quanto attraverso di essi l'uomo è ordinato alla perfetta conoscenza di Dio, nella quale consiste la beatitudine eterna" (Summa Theologiae, i, 1, 4). Si direbbe che san Tommaso sia più coraggioso e teologico.
Si tratta quindi di capire bene il significato che egli annette a questo carattere "speculativo": egli intende con ciò affermare che il fine ultimo della teologia non siamo noi, e non è neppure il nostro comportamento morale o la nostra salvezza, ma è Dio, verso il quale si volge tutto l'interesse. In questo senso la teologia non è "utile", ma è gratuita. Essa è interamente relativa a Dio, che attrae a sé tutta la contemplazione.
Tommaso non nega l'esito di bontà che deve avere il fare teologia, ma la propensione del suo pensiero è che non tanto si deve fare teologia "per diventare buoni" (ut boni fiamus), quanto si deve essere buoni per fare teologia e quindi per raggiungere la contemplazione di Dio, che della teologia è il fine ultimo. La "bontà" produce una consonanza con la teologia. È tuttavia significativo, come indice della fondamentale consonanza di Bonaventura e di Tommaso sulla natura "affettiva" della teologia quanto l'Angelico stesso nel Commento alla Lettera agli Ebrei scrive sulla natura affettiva della sacra dottrina. Questa - egli scrive - "è come il cibo dell'anima (...) è cibo e bevanda, poiché disseta e sazia l'anima. Le altre scienze si limitano a illuminare l'intelletto. Questa illumina l'anima e anche la nutre e la corrobora" (sacra ergo doctrina est cibus et potus, quia animam potat et satiat).
Nella medesima linea è un'altra grande affermazione di Tommaso nello stesso Commento: "Vi è una duplice perfezione: la prima relativa all'intelletto, e si ha quando uno possiede un intelletto capace di giudicare e di discernere rettamente su quanto gli viene proposto. La seconda perfezione è quella dell'affetto, e questo proviene dalla carità, che uno possiede quando si trova totalmente unito a Dio.
"Ora la Scrittura Sacra ha questo di caratteristico, che in essa non si trovano solo realtà su cui speculare, come nella geometria, ma anche realtà che si sperimentano con l'affetto. Nelle altre scienze basta che l'uomo sia perfetto quanto all'intelletto, in queste invece si richiede che lo sia quanto all'intelletto e quanto all'affetto".
Le figure della teologia in Bonaventura e Tommaso sono profondamente diverse, come d'altronde erano differenti i loro temperamenti mentali: l'esigenza di "riflessione" è maggiore in Tommaso, mentre viva e accesa in Bonaventura è l'inclinazione all'estetica teologica, alla profusione dell'immagine, alla "confessione" e al bisogno della sua esperienza, o forse meglio all'elogio di questo bisogno. Abbiamo parlato di estetica, e infatti egli, quale figlio di san Francesco, non esita a vedere suggestivamente nella Scrittura - e quindi nella struttura della teologia - la forma della croce, o, come la chiama, una "forma di croce intelligibile" (forma crucis intelligibilis), che con i suoi bracci comprende e riassume tutta la realtà e tutta la storia.
Chi voglia conoscere la teologia medievale deve studiare sia Bonaventura sia Tommaso. In ogni caso il teologo francescano e il teologo domenicano si ritrovavano nella persuasione che il teologo deve associare alla perfezione dell'intelletto la perfezione dell'amore.
(©L'Osservatore Romano - 15 luglio 2009)
SCUOLA/ Più bocciati, meno merito - Giovanni Cominelli mercoledì 15 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Il fatto del giorno: i respinti alla maturità sono passati dal 2,8% del 2008 al 3,1% del 2009. Percentuale decisamente non sconvolgente. Nel 1969 i respinti erano il 30%, nel 1924 il 74%. A questi vanno tuttavia aggiunti i non ammessi alla maturità e i bocciati degli anni intermedi, cui questo giornale ha già dedicato qualche pagina. Dopo anni di “facilismo”, arriva il “severismo”. Ottimo! Ripetutamente avevamo segnalato il divario tra le valutazioni internazionali e nazionali esterne del sistema educativo italiano e i voti finali interni forniti dallo stesso. È bastato tarare in modo più preciso il termometro per scoprire che il numero dei promossi e dei voti alti, specialmente al Sud, è drogato e che è trainato dall’anacronistica persistenza del valore legale del titolo di studio. Ciononostante, le cronache quotidiane di sedute finali di commissioni d’esame continuano a segnalare promozioni facili e facilissime. Verrebbe quasi da dire: i bocciati? Troppo pochi! Ma il “severismo” funziona, innanzitutto, da segnale ideologico: in tempi di crisi profonda dei modelli di produzione e di consumo, i Paesi e ciascuno sono investiti da uno tsunami di nuove responsabilità. Il tempo delle vacche grasse è finito per un bel po’! Perciò è venuto il tempo, anche nelle scuole, di separare chi studia da chi non studia, chi rispetta le regole elementari della convivenza scolastica da chi le viola. La sfida del merito è decisiva in una società in cui oggi non conta ciò che sei, ma di chi sei figlio o quale potente frequenti; non conta l’indice di sviluppo umano individuale, ma il capitale relazionale di cui sei immeritevole portatore. Una società in cui ciascuno tende a battere il mea culpa sul petto altrui: è la società dell’irresponsabilità, è la società del debito pubblico. E tuttavia il “severismo”, una volta che abbia funzionato da innesco ideologico contro il “facilismo”, diviene una sfida rivolta a se stesso. Le domande cui deve rispondere, perché non resti solo il flatus vocis estivo di una campagna elettorale perenne, volta a vincere l’oggi e non il domani, sono più d’una. Eccole: l’aumento dei bocciati è dovuto al fatto che la scuola ha cambiato parametri di giudizio o al fatto che ha migliorato improvvisamente da quest’anno la qualità della propria offerta, sorprendendo i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti? Quest’anno gli insegnanti sono più preparati? Gli insegnanti sono stati dotati di standard nazionali omogenei e di indicatori di giudizio più precisi? I bocciati che destino avranno? Compito fondamentale della scuola è selezionare o formare in vista della “selezione naturale” della vita? E che dire dell’alta percentuale di bocciati negli Istituti professionali e tecnici? Lì ci stanno i più stupidi o la loro vocazione non trova corrispondenza nel tipo di offerta?
Insomma: passare dall’ideologia del merito ad “una scuola del merito” richiede ancora moltissima strada. Fatto il primo passo, il piede per il secondo passo appare ancora sospeso per aria. Perché si posi su un terreno solido e inconcusso, occorre in primo luogo fissare standard nazionali, sotto forma di obbiettivi di competenze-chiave da raggiungere e di indicatori di misurazione. In mancanza di questi, i giudizi sono affidati all’anarchia di istituto, di indirizzo, di territorio. Ed è ciò che è accaduto anche in questi esami sedicenti severi. Perduti per strada i vecchi programmi gentiliani, forse antiquati, ma almeno severi e omogenei su scala nazionale, ciascun insegnante, ciascuna scuola, ciascuna Commissione d’esame si regola come crede. Così è possibile arrivare alla fine del quinto anno di Liceo classico a studiare fino a Hegel o a Pascoli, conoscere poco di latino e greco e diplomarsi. Gli esami di maturità, così come ora sono configurati, sono davvero in grado di certificare rigorosamente l’acquisizione delle competenze-chiave? Dicono la verità ai ragazzi, alle famiglie, al Paese circa il loro patrimonio di competenze? In questo contesto, paradossalmente, preoccupa di più il “merito” dei promossi che il “demerito” dei bocciati. Quanto agli insegnanti, restano il drammatico problema irrisolto del sistema: chi e come verifica la loro capacità di insegnare? Non vorremmo che un indicatore di capacità diventasse quello del numero di bocciature e che a questo si riducesse una fasulla restituzione di ruolo. Alla fine, avviato il necessario rientro dal “facilismo”, la questione di fondo, radicale, drammatica resta la seguente: perché con il passare degli anni la noia dei ragazzi aumenta, il desiderio di sapere diminuisce? Perché man mano i ragazzi salgono lungo i gradini dell’ordinamento scolastico, crescono in età, ma non in sapere? Perché perdiamo un immenso capitale umano di 200.000 ragazzi l’anno? Dopo essere passati all’incasso presso l’opinione pubblica dei facili dividendi ideologici-propagandistici, il “severismo” dovrà diventare esigente con se stesso. Rifatto il tetto, quando si incomincia con le fondamenta e con i muri?
HARRY POTTER/ Il Principe Mezzosangue: con il fiato sospeso tra atmosfere gotiche e fedeltà - Beppe Musicco mercoledì 15 luglio 2009 – ilsussidiario.net
Deve veramente tirare una brutta aria a Hogwarts se (strano ma vero) Harry Potter sembra preferire di gran lunga vivere e confondersi tra i “babbani”, gli umani normali. Gente magari poco interessante, ma da cui non deve forzatamente guardarsi, che sembra apprezzarlo per quello che è e non per le sue doti magiche; come la giovane e carina cameriera di un bar che gli rivela a che ora finisce il lavoro.
Ma Albus veglia su Harry (e addio al romantico rendez-vous), e gli fa conoscere il nuovo insegnante di pozioni, il professor Lumacorno, che possiede informazioni che potrebbero essere di vitale importanza nella lotta contro Lord Voldemort; ma Lumacorno è reticente e Albus Silente affida nuovi e difficili compiti a Harry.
Non è facile parlare col distacco dovuto di questo film (il sesto) della serie di Harry Potter. La maggior parte dei critici cinematografici non ha letto i libri, la maggior parte dei lettori fa fatica ad accettare che il film sia “solo” un film e come tale debba rispettare alcune esigenze (non ultima, quella del fondoschiena dello spettatore, che deve starsene seduto per due ore e mezza abbondanti).
Così questi due mondi fanno spesso fatica a incontrarsi e capirsi.
Visto che però il sottoscritto si è letto (senza averne l’obbligo e con gusto) tutta la serie, e nonostante debba assistere a centinaia di film all’anno, non si è perso nessuna delle sei pellicole dal 2001 a oggi, confida di essere abbastanza obbiettivo. E quindi, cominciamo con una delle critiche più ripetute dai recensori di Harry Potter e il Principe Mezzosangue: il film è cupo, gotico, sinistro.
È vero, ma chi ha letto il libro sa che la drammaticità della situazione a Hogwarts e per tutti gli umani (maghi o babbani che siano) peggiora di giorno in giorno, nonostante le ripetute vittorie di Harry Potter, che proprio in questo capitolo della storia prenderà consapevolezza di essere “il prescelto” per combattere il Signore del Male. Fedele a questa impostazione, il film sceglie una tavolozza dai colori smunti, lividi, evanescenti. I complicati corridoi scolastici non risuonano più delle risate e degli schiamazzi, ma di frasi smozzicate dette a bassa voce. Per la prima volta, Harry Potter non si dimostra più disobbediente o insofferente alle regole, capiusce che la fedeltà a Silente è la cosa più importante, ora. Unica trasgressione, un libro di pozioni fitto di chiose e appunti utilissimi, che lo fanno diventare il preferito di Lumacorno, che alla fine gli rivelerà quel ricordo che ha taciuto per anni.
L’atmosfera sinistra facilità inoltre l’uso degli effetti speciali, che sono tanti e ben dispiegati: dalle perturbazioni atmosferiche che rivelano l’inquietante silhouette del Nemico, ai repellenti abitanti delle tenebre, all’uso di luci e ombre. Per non parlare del ritorno del Quidditch, che mancava ormai da alcuni film e che qui si dispiega in tutta la sua forza e velocità.
D’altra parte, Harry Potter e il Principe Mezzosangue è anche il film che, più di tutti gli altri, riesce a tenere un tono leggero in tutta questa desolazione.
I protagonisti sono ormai giovanotti, Harry è innamorato di Ginny Weasley, Hermione del fratello Ron Weasley. I quattro ovviamente si comportano come tutti i loro coetanei: fanno cose stupide, hanno un’aria perennemente rimbambita e sognante, non sanno valutare tempi e modi, rischiando a ogni minuto di mandare a gambe all’aria un futuro che a tutti sembra palese. In molti punti la risata del pubblico scatta sincera.
In definitiva: questo Harry Potter è evidentemente un film “di passaggio”, che lascia col fiato sospeso e la sensazione di non aver ancora assistito a niente di rilevante (d’altra parte, i terribili avvenimenti dell’ultimo libro sono tanti e tali che verranno spalmati su due film).
A uno sguardo più attento vedremo però che questa sesta prova poggia su solide basi, e che se qualche appunto si può sollevare è forse su alcune sottotrame che potevano essere trascurate in favore della storia principale. Di certo (e gli appassionati spero non me ne vogliano), in un cast di ottimi e maturi attori come Rickman, Gambon, Broadbent, per fare alcuni nomi, che si mescolano perfettamente coi più giovani, la figura più debole è proprio Radcliffe. Se non fosse che ormai Harry Potter è lui, dubito che qualsiasi regista lo sceglierebbe solo per le sue capacità recitative e per la sua presenza scenica.
COPPIA DI 80 ENNI INGLESI IN S VIZZERA PER L ’ EUTANASIA - Quell’algida solitudine che spinge a cercare la morte - M ARINA C ORRADI – Avvenire, 15 luglio 2009
« N ostro padre era quasi cieco e praticamente sordo. Ha avuto una carriera straordinaria come direttore d’orchestra.
Nostra madre era ballerina e coreografa.
Entrambi hanno vissuto la vita sino in fondo e si sono sempre considerati molto fortunati. Dopo 54 anni passati insieme hanno deciso di mettere fine alle loro vite piuttosto che lottare contro seri problemi di salute. Sono morti in pace e in circostanze che hanno scelto, con l’aiuto dell’organizzazione Dignitas, a Zurigo. Non erano credenti e non ci sarà funerale». Del suicidio assistito in una clinica svizzera di sir Edward Downes, anziano e affermato direttore d’orchestra inglese, e di sua moglie Joan, ciò che colpisce di più è l’annuncio firmato dai figli. Anodina comunicazione: mamma e papà hanno preferito morire.
Hanno scelto il quando e il come e, dunque, è andata nel migliore dei modi possibili. Non un necrologio, ma una serena partecipazione di lutto, dove si stenta a trovare fra le righe traccia di dolore. Hanno scelto, quei due, lucidamente; e dunque che c’è da dolersi? Come quando a teatro cala il sipario. Lo spettacolo, semplicemente, è finito. Ma il nuovo mondo annunciato dai figli di sir Downes non è solo un caso di estremo di cronaca. In Gran Bretagna il Parlamento ha pochi giorni fa bocciato una norma che avrebbe autorizzato i parenti di malati privi di coscienza a portare all’estero i loro cari perché siano aiutati a morire.
Sbarrata la porta ai viaggi della morte, immediata la reazione del fronte pro-eutanasia. Questo annuncio laconico, secco, che vorrebbe essere esemplare: è così che si muore. È così che si deve essere civilmente liberi di morire. Certo, il direttore d’orchestra e sua moglie erano coscienti e padroni di sé, e quindi liberi di partire e andare dove volevano. È questo l’argomento che si farà largo e aprirà una breccia nella coscienza di chi ascolta la notizia. Erano liberi, e dunque? Liberi, certo. Lui, 85 anni, a detta dei figli ormai quasi cieco e sempre più sordo; lei, settantaquattrenne, da anni tutto giorno ad assisterlo. Immaginiamoci una coppia così, colta, benestante, materialmente assistita. Quanta solitudine occorre, in case perbene, tra gente beneducata, perché un vecchio che a ottant’anni ci vede poco e è sordo – come capita a quell’età – decida che è meglio finirla? Quanta solitudine occorre perché sua moglie, sentendo forse le forze mancare, acconsenta e voglia a quella morte partecipare? In Italia abbiamo ancora la memoria di altri vecchi: che leggono il giornale, che vanno a fare la spesa, che coltivano un orto. Un po’ sordi magari, e ne sorridono i nipoti. Ma lieti ancora di essere vivi, ogni nuova mattina. La discriminante fra sir Downes e la vecchiaia dei nostri nonni e genitori non è nella malattia, ma in una algida, bestiale solitudine. Sottoposti alla quale, pure se ben nutriti e curati, si può mettersi in coda con gli altri ottocento inglesi già prenotati alla Dignitas. Scegliendo di morire. Togliendo il disturbo. Non tanto liberamente, però. Ma sospinti e costretti, come in un gorgo, dal vuoto attorno, e dall’assenza di qualunque voce che chiami indietro. «Sono morti in pace e in circostanze che hanno scelto», annunciano compostamente i figli. È la bugiarda libertà del nuovo mondo, in cui anche il veleno è permesso. Ma non è contemplata una faccia amica che dica: non farlo, ci sei necessario, noi non vogliamo che tu te ne vada.