Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il Papa presenta la figura di Sant’Anselmo d’Aosta - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) DIBATTITO/ Ostellino: ha ragione Bagnasco, il nichilismo è la causa della nostra crisi - INT. Piero Ostellino giovedì 24 settembre 2009 – ilsussidiario.net
3) WELFARE/ Vittadini: la cattolica Italia vada a lezione da Francia e Germania - Giorgio Vittadini giovedì 24 settembre 2009 – ilsussidiario.net
Il Papa presenta la figura di Sant’Anselmo d’Aosta - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 23 settembre 2009 (ZENIT.org).- L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre - proveniente in elicottero dalla residenza estiva di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato su Sant’Anselmo d’Aosta.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
a Roma, sul colle dell’Aventino, si trova l'Abbazia benedettina di Sant’Anselmo. Come sede di un Istituto di studi superiori e dell'Abate Primate dei Benedettini Confederati, essa è un luogo che unisce in sé la preghiera, lo studio e il governo, proprio le tre attività che caratterizzarono la vita del Santo al quale è dedicata: Anselmo d’Aosta di cui ricorre quest’anno il IX centenario della morte. Le molteplici iniziative, promosse specialmente dalla diocesi di Aosta per questa fausta ricorrenza hanno evidenziato l’interesse che continua a suscitare questo pensatore medievale. Egli è noto anche come Anselmo di Bec e Anselmo di Canterbury a motivo delle città con le quali è stato in rapporto. Chi è questo personaggio al quale tre località, lontane tra loro e collocate in tre Nazioni diverse – Italia, Francia, Inghilterra –, si sentono particolarmente legate? Monaco di intensa vita spirituale, eccellente educatore di giovani, teologo con una straordinaria capacità speculativa, saggio uomo di governo ed intransigente difensore della libertas Ecclesiae, della libertà della Chiesa. Anselmo é una delle personalità eminenti del Medioevo, che seppe armonizzare tutte queste qualità grazie a una profonda esperienza mistica, che sempre ebbe a guidarne il pensiero e l’azione.
Sant’Anselmo nacque nel 1033 (o all’inizio del 1034) ad Aosta, primogenito di una famiglia nobile. Il padre era uomo rude, dedito ai piaceri della vita e dissipatore dei suoi beni; la madre, invece, era donna di elevati costumi e di profonda religiosità (cfr Eadmero, Vita s. Anselmi, PL 159, col 49). Fu lei, la mamma, a prendersi cura della prima formazione umana e religiosa del figlio, che affidò, poi, ai Benedettini di un priorato di Aosta. Anselmo, che da bambino – come narra il suo biografo - immaginava l’abitazione del buon Dio tra le alte e innevate vette delle Alpi, sognò una notte di essere invitato in questa reggia splendida da Dio stesso, che si intrattenne a lungo ed affabilmente con lui e alla fine gli offrì da mangiare "un pane candidissimo" (ibid., col 51). Questo sogno gli lasciò la convinzione di essere chiamato a compiere un’alta missione. All’età di quindici anni, chiese di essere ammesso nell’Ordine benedettino, ma il padre si oppose con tutta la sua autorità e non cedette neppure quando il figlio gravemente malato, sentendosi vicino alla morte, implorò l'abito religioso come supremo conforto. Dopo la guarigione e la scomparsa prematura della madre, Anselmo attraversò un periodo di dissipazione morale: trascurò gli studi e, sopraffatto dalle passioni terrene, diventò sordo al richiamo di Dio. Se ne andò da casa e cominciò a girare per la Francia in cerca di nuove esperienze. Dopo tre anni, giunto in Normandia, si recò nell’Abbazia benedettina di Bec, attirato dalla fama di Lanfranco da Pavia, priore del monastero. Fu per lui un incontro provvidenziale e decisivo per il resto della sua vita. Sotto la guida di Lanfranco, Anselmo riprese infatti con vigore gli studi e, in breve tempo, diventò non solo l’allievo prediletto, ma anche il confidente del maestro. La sua vocazione monastica si riaccese e, dopo attenta valutazione, all’età di 27 anni, entrò nell’Ordine monastico e venne ordinato sacerdote. L’ascesi e lo studio gli aprirono nuovi orizzonti, facendogli ritrovare, in grado ben più alto, quella familiarità con Dio che aveva avuto da bambino.
Quando, nel 1063, Lanfranco diventò abate di Caen, Anselmo, dopo appena tre anni di vita monastica, fu nominato priore del monastero di Bec e maestro della scuola claustrale, rivelando doti di raffinato educatore. Non amava i metodi autoritari; paragonava i giovani a piccole piante che si sviluppano meglio se non sono chiuse in serra e concedeva loro una "sana" libertà. Era molto esigente con se stesso e con gli altri nell’osservanza monastica, ma anziché imporre la disciplina si impegnava a farla seguire con la persuasione. Alla morte dell’abate Erluino, fondatore dell’abbazia di Bec, Anselmo venne eletto unanimemente a succedergli: era il febbraio 1079. Intanto numerosi monaci erano stati chiamati a Canterbury per portare ai fratelli d’oltre Manica il rinnovamento in atto nel Continente. La loro opera fu ben accetta, al punto che Lanfranco da Pavia, abate di Caen, divenne il nuovo Arcivescovo di Canterbury e chiese ad Anselmo di trascorrere un certo tempo con lui per istruire i monaci e aiutarlo nella difficile situazione in cui si trovava la sua comunità ecclesiale dopo l’invasione dei Normanni. La permanenza di Anselmo si rivelò molto fruttuosa; egli guadagnò simpatia e stima, tanto che, alla morte di Lanfranco, fu scelto a succedergli nella sede arcivescovile di Canterbury. Ricevette la solenne consacrazione episcopale nel dicembre del 1093.
Anselmo si impegnò immediatamente in un’energica lotta per la libertà della Chiesa, sostenendo con coraggio l’indipendenza del potere spirituale da quello temporale. Difese la Chiesa dalle indebite ingerenze delle autorità politiche, soprattutto dei re Guglielmo il Rosso ed Enrico I, trovando incoraggiamento e appoggio nel Romano Pontefice, al quale Anselmo dimostrò sempre una coraggiosa e cordiale adesione. Questa fedeltà gli costò, nel 1103, anche l’amarezza dell’esilio dalla sua sede di Canterbury. E soltanto quando, nel 1106, il re Enrico I rinunciò alla pretesa di conferire le investiture ecclesiastiche, come pure alla riscossione delle tasse e alla confisca dei beni della Chiesa, Anselmo poté far ritorno in Inghilterra, accolto festosamente dal clero e dal popolo. Si era così felicemente conclusa la lunga lotta da lui combattuta con le armi della perseveranza, della fierezza e della bontà. Questo santo Arcivescovo che tanta ammirazione suscitava intorno a sé, dovunque si recasse, dedicò gli ultimi anni della sua vita soprattutto alla formazione morale del clero e alla ricerca intellettuale su argomenti teologici. Morì il 21 aprile 1109, accompagnato dalle parole del Vangelo proclamato nella Santa Messa di quel giorno: "Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno…" (Lc 22,28-30). Il sogno di quel misterioso banchetto, che da piccolo aveva avuto proprio all’inizio del suo cammino spirituale, trovava così la sua realizzazione. Gesù, che lo aveva invitato a sedersi alla sua mensa, accolse sant’Anselmo, alla sua morte, nel regno eterno del Padre.
"Dio, ti prego, voglio conoscerti, voglio amarti e poterti godere. E se in questa vita non sono capace di ciò in misura piena, possa almeno ogni giorno progredire fino a quando giunga alla pienezza" (Proslogion, cap.14). Questa preghiera lascia comprendere l’anima mistica di questo grande Santo dell’epoca medievale, fondatore della teologia scolastica, al quale la tradizione cristiana ha dato il titolo di "Dottore Magnifico" perché coltivò un intenso desiderio di approfondire i Misteri divini, nella piena consapevolezza, però, che il cammino di ricerca di Dio non è mai concluso, almeno su questa terra. La chiarezza e il rigore logico del suo pensiero hanno avuto sempre come fine di "innalzare la mente alla contemplazione di Dio" (Ivi, Proemium). Egli afferma chiaramente che chi intende fare teologia non può contare solo sulla sua intelligenza, ma deve coltivare al tempo stesso una profonda esperienza di fede. L’attività del teologo, secondo sant’Anselmo, si sviluppa così in tre stadi: la fede, dono gratuito di Dio da accogliere con umiltà; l’esperienza, che consiste nell’incarnare la parola di Dio nella propria esistenza quotidiana; e quindi la vera conoscenza, che non è mai frutto di asettici ragionamenti, bensì di un’intuizione contemplativa. Restano, in proposito, quanto mai utili anche oggi, per una sana ricerca teologica e per chiunque voglia approfondire le verità della fede, le sue celebri parole: "Non tento, Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano mettere a confronto con essa il mio intelletto; ma desidero intendere, almeno fino ad un certo punto, la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire" (Ivi, 1).
Cari fratelli e sorelle, l’amore per la verità e la costante sete di Dio, che hanno segnato l’intera esistenza di sant’Anselmo, siano uno stimolo per ogni cristiano a ricercare senza mai stancarsi una unione sempre più intima con Cristo, Via, Verità e Vita. Inoltre, lo zelo pieno di coraggio che ha contraddistinto la sua azione pastorale, e che gli ha procurato talora incomprensioni, amarezze e perfino l’esilio, sia un incoraggiamento per i Pastori, per le persone consacrate e per tutti i fedeli ad amare la Chiesa di Cristo, a pregare, a lavorare e soffrire per essa, senza mai abbandonarla o tradirla. Ci ottenga questa grazia la Vergine Madre di Dio, verso la quale sant’Anselmo nutrì tenera e filiale devozione. "Maria, te il mio cuore vuole amare – scrive san’Anselmo – te la lingua mia desidera ardentemente lodare".
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore di Issoudun che, in occasione della loro Conferenza generale di studio e formazione, sono venute ad esprimere al Successore di Pietro sentimenti di affetto e di comunione ecclesiale. Sono lieto di accogliere i Legionari di Cristo, giunti a Roma da varie Nazioni per intraprendere gli studi filosofici e teologici e formulo i migliori auguri per il loro impegno universitario, assicurando per tutti un ricordo nella preghiera. Saluto i fedeli della Parrocchia Santa Maria Maggiore, in Santa Severina, come pure gli Allievi Agenti del Corpo Forestale dello Stato e li incoraggio a testimoniare costantemente i valori umani e cristiani, per costruire una società realmente libera e solidale.
Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La testimonianza di fede e di carità che animò san Pio da Pietrelcina, di cui oggi facciamo memoria, incoraggi voi, cari giovani, a progettare il vostro futuro come un generoso servizio a Dio e al prossimo. Aiuti voi, cari malati, a sperimentare nella sofferenza il sostegno e il conforto di Cristo crocifisso. E solleciti voi, cari sposi novelli, a conservare nella vostra famiglia una costante attenzione ai poveri. L’esempio di questo Santo, tanto popolare, sia infine per i sacerdoti – in questo Anno sacerdotale – e per tutti i cristiani un invito a confidare sempre nella bontà di Dio, accostandosi e celebrando con fiducia il Sacramento della Riconciliazione, di cui il Santo del Gargano, instancabile dispensatore della misericordia divina, fu assiduo e fedele ministro.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
DIBATTITO/ Ostellino: ha ragione Bagnasco, il nichilismo è la causa della nostra crisi - INT. Piero Ostellino giovedì 24 settembre 2009 – ilsussidiario.net
«Anche quando annuncia una verità scomoda, la Chiesa resta con chiunque amica». Il discorso del presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco, in apertura del consiglio permanente della Conferenza episcopale, era atteso e come c’era da aspettarsi ha fatto discutere. Tutti a cercarvi i postumi del caso Boffo, gli ulteriori sviluppi della famosa “rottura” tra la Segreteria di stato e la Cei, l’inizio di una “fase due” con il partito al governo e il suo leader. La «gravità dell’attacco subìto» rimane, certo. Ma il cardinale, più che promozioni e bocciature del premier e della maggioranza - ai quali non ha mancato certo di dire la sua - ha messo a tema la sfida che attende la Chiesa nella società italiana. La «presenza leale e costruttiva» - ha detto Bagnasco - di chi conosce bene «i principi e le regole che reggono una democrazia pluralista». Non ce ne vogliano, sembra dire il presule, coloro che parlano continuamente di interferenza della Chiesa, come pure quelli che vorrebbero svecchiare il Concordato, magari mandandolo in soffitta; ma la verità, come abbiamo fatto tante volte, la dobbiamo dire. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Piero Ostellino, editorialista del Corriere e opinionista.
Ostellino, la prolusione del cardinale Bagnasco è stata subito letta in chiave politica, cercandovi una condanna o un’assoluzione di Berlusconi e del governo. È una chiave di lettura che condivide?
No, perché la mia impressione è quella di un discorso innanzitutto di profilo pastorale e teologico. Se Bagnasco avesse parlato solo da politico, non avrebbe citato, con Benedetto XVI, «il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto». Si può «lavorare per se stessi», senza perseguire il bene comune, anche dentro la Chiesa. Chi dice questo non fa politica ma è preoccupato degli uomini. E conosce benissimo le contraddizioni e le divisioni legate alle preferenze, anche politiche, tipiche del mondo degli uomini.
Si riferisce alle ultime polemiche che avrebbero diviso la Cei dalla Segreteria di stato, il cardinal Bagnasco dal cardinal Bertone?
Anche. La prolusione passa sopra il tema della frattura perché non può essere quello l'argomento di un discorso del presidente dei vescovi italiani. Cosa che sarebbe invece avvenuta se l’orizzonte fosse meramente “politico” nel senso mondano del termine. Ma l’istituzione è fatta di uomini. Che dentro un’istituzione come la Chiesa vi sia una diversità di opinioni, e che qualcuno sia più radicale nelle critiche al governo e qualcun altro più prudente, questo mi pare del tutto normale.
Bagnasco esprime dolore per l’esito del caso Boffo e parla di un «allarmante degrado di quel buon vivere civile che tanto desideriamo e a cui tutti dobbiamo tendere». Alla luce delle ultime vicende del paese, le pare una valutazione fondata?
La sottoscrivo e da liberale e non credente la penso esattamente come Bagnasco. Si sta perdendo il senso della misura e della convivenza civile. Se dovessimo spiegare ai marziani cos’è accaduto nell’ultimo periodo, dovremmo dire che a chi ha avanzato forti riserve al capo del governo sulla sua condotta morale individuale, è stato detto: taci tu, che vai con gli uomini. Un proverbio inglese dice che i gentiluomini parlano di princìpi - come fa Bagnasco -, mentre la servitù parla delle persone. Questa personalizzazione volgare della politica è una manifestazione evidente del degrado civile nel quale sta piombando il paese.
Bagnasco parla ancora di un’Italia «attraversata da un malessere tanto tenace quanto misterioso, che non la fa essere una nazione del tutto pacificata al proprio interno, perché attraversata da contrapposizioni radicali e risentimenti». È un giudizio grave.
Sì, è un giudizio civile molto grave che riflette in pieno la polarizzazione estrema del sistema italiano. Prima della rivoluzione giudiziaria il bipolarismo non era realmente praticabile per la presenza di un partito che nessuno si poteva permettere di mandare al governo. La Dc, con i suoi alleati, assorbiva le tensioni che c’erano all’interno della società e le ricomponeva in una sintesi politica. Quell’equilibrio è saltato e un assetto stabile non è ancora stato trovato. Col risultato che nella polarizzazione è “precipitato” tutto, non solo gli interessi reali ma anche i valori e i princìpi. Questo provoca esattamente quello che Bagnasco denuncia.
«Niente - dice il presidente della Cei - ci è più estraneo della volontà di far da padroni. Conosciamo bene i principi e le regole che reggono una democrazia pluralista». Eppure Sartori, in un editoriale del Corriere di una settimana fa, accusa il Vaticano di aver “dettato” la legge sul testamento biologico al governo.
Ma no, il Vaticano non impone alcuna “dittatura” teologica. Fa predicazione morale, che uno può accettare o non accettare. Mi sembra una posizione più laicista che laica. Mentre da parte della Chiesa cattolica può esserci in alcuni casi, ed è fisiologico, una tentazione clericale, di là si vede spesso un “clericalismo” di parte laica, un’intransigenza “bigotta” ma di segno opposto. Bagnasco invita addirittura i vescovi a «riflettere sulla base secolare del nostro essere italiani». Mi sembra segno di grande maturità. Che la Chiesa abbia assolto una funzione di educazione civile del paese è nella storia e negarlo sarebbe completamente privo di senso.
Lei, da liberale, è d’accordo anche sulle questioni etiche?
Non concordo sul metodo. Certi valori - dice benissimo la Chiesa - non sono negoziabili, e penso per esempio al diritto alla vita del nascituro, ma proprio per questo dovrebbero diventare campo esclusivo della scelta del singolo. Questo non lo dico alla Chiesa, che con coerenza li difende, ma ai politici: non si possono trasformare quei valori in leggi, codificarli in un senso o in un altro, perché sono contenuti non gerarchizzabili e come tali devono essere lasciati alla coscienza individuale. La Chiesa ha sempre difeso la libertà di coscienza. Lo faccia anche chi ha il compito di fare le leggi.
Se la crisi della politica riflette una crisi di valori, come possiamo uscirne?
Condivido la preoccupazione e l’allarme lanciati da Bagnasco sul nichilismo, sia pure con alcune osservazioni. Quel relativismo che la Chiesa condanna, da vecchio liberale lo ritengo almeno in parte positivo e lo chiamo pluralismo dei valori. È uno spazio di libertà contro l’assolutismo. Ma quando il relativismo giunge a rendere tutto uguale e quindi nullo nel suo intrinseco valore, lì cadiamo nel nichilismo. Su questo mi trovo in sintonia con la Chiesa, come quando Bagnasco parla di centralità della persona umana. Il cristianesimo la fa consistere nell’essere fatto l’uomo a immagine somiglianza di Dio, io da non credente mi limito all’intangibilità della persona. E lì mi fermo.
Il pluralismo dei valori è assoluto?
Ai tempi della colonizzazione inglese nel Punjab i notabili locali indiani pretendevano che il governatore rispettasse la tradizione locale di bruciare le vedove sulla pira del marito morto. Al che il governatore disse che anche gli inglesi avevano una tradizione: quella di impiccare quelli che bruciano le vedove. Secondo me questa è una tradizione migliore della prima.
WELFARE/ Vittadini: la cattolica Italia vada a lezione da Francia e Germania - Giorgio Vittadini giovedì 24 settembre 2009 – ilsussidiario.net
In Francia, una politica economica fortemente orientata al sostegno delle famiglie impegnate nell'aiuto ad anziani e disabili, e nella crescita ed educazione dei minori, ha fatto sì che, anche nell’ultimo periodo di crisi, i consumi interni d’oltralpe non siano mai diminuiti. Per contro, non si può negare lo scarso peso che la famiglia ha nelle politiche economiche italiane di tutti gli schieramenti, al di là delle affermazioni di principio.
In un suo recente lavoro, il professor Luigi Campiglio ha mostrato come la famiglia è un soggetto sociale, e anche economico, dove sono tenuti presenti equità ed efficienza. La famiglia è fattore di equità perché è un naturale ammortizzatore sociale capace di difendere e ridare forza alle cosiddette fasce deboli: i giovani in cerca di prima occupazione, gli anziani, i disabili, gli inabili, i disoccupati.
Che nel nostro Paese la crisi non abbia raggiunto livelli apocalittici dipende anche dal fatto che esiste questo legame naturale dato dalla famiglia, che non è, come spesso si ritiene, un soggetto autoreferenziale, ma un insieme di persone che, esprimendo lo loro specifica personalità concorrono al bene di tutti, fulcro di ulteriori legami associativi, sociali, economici, religiosi. La famiglia è però anche fattore di efficienza perché forma, educa e finanzia continuamente il nuovo “capitale umano” fondamentale per lo sviluppo.
C'è un altro aspetto, sottolineato da Campiglio, trascurato dal dibattito pubblico: una politica per la famiglia è fattore fondamentale anche per lo sviluppo di breve periodo. Nel nostro Paese, anche nel periodo pre-crisi 2000-2007, a fronte di un forte incremento delle esportazioni, il consumo interno ha sempre ristagnato costituendo la vera palla al piede dell’economia italiana. Non è strano se si tiene conto che, anche quando l’economia “tirava” mantenendosi competitiva a livello internazionale, le imprese italiane facevano fatica a tradurre in incrementi di salari e stipendi i risultati ottenuti
Vi sono certo molteplici ragioni da approfondire alla base di queste carenze, tra cui non può certamente mancare l’enorme pressione fiscale che, sotto le più diverse forme va a colpire in modo indiscriminato tutte le imprese, anche quelle che investono, occupano, esportano. In ogni caso, la conseguenza è che le famiglie più povere spendono il loro reddito quasi esclusivamente in consumi alimentari e abitativi.
Mentre si devono trovare risposte di politica economica a riguardo di questo problema, non si può non ricordare che vi sarebbero strade alternative come quella francese. Chi non si riconoscesse nel sistema francese potrebbe fare riferimento al sistema tedesco dove questa essenzialità delle famiglie allo sviluppo è, pur con modalità differenti, sancita costituzionalmente e finanziariamente supportata con esiti positivi sulla stabilità e sullo sviluppo economico.
È strano che in un Paese tradizionalmente cattolico e per decenni governato da un partito di ispirazione cattolica, la famiglia venga dimenticata nel suo valore economico. È uno degli esiti deleteri di una minorità culturale: chissà che nella Seconda Repubblica, finora avara di novità normative nel welfare, si riesca, per il bene di tutti, ad intraprendere la strada di un'evoluzione culturale, economica, sociale e politica in favore della famiglia.
1) Il Papa presenta la figura di Sant’Anselmo d’Aosta - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) DIBATTITO/ Ostellino: ha ragione Bagnasco, il nichilismo è la causa della nostra crisi - INT. Piero Ostellino giovedì 24 settembre 2009 – ilsussidiario.net
3) WELFARE/ Vittadini: la cattolica Italia vada a lezione da Francia e Germania - Giorgio Vittadini giovedì 24 settembre 2009 – ilsussidiario.net
Il Papa presenta la figura di Sant’Anselmo d’Aosta - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 23 settembre 2009 (ZENIT.org).- L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre - proveniente in elicottero dalla residenza estiva di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato su Sant’Anselmo d’Aosta.
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Cari fratelli e sorelle,
a Roma, sul colle dell’Aventino, si trova l'Abbazia benedettina di Sant’Anselmo. Come sede di un Istituto di studi superiori e dell'Abate Primate dei Benedettini Confederati, essa è un luogo che unisce in sé la preghiera, lo studio e il governo, proprio le tre attività che caratterizzarono la vita del Santo al quale è dedicata: Anselmo d’Aosta di cui ricorre quest’anno il IX centenario della morte. Le molteplici iniziative, promosse specialmente dalla diocesi di Aosta per questa fausta ricorrenza hanno evidenziato l’interesse che continua a suscitare questo pensatore medievale. Egli è noto anche come Anselmo di Bec e Anselmo di Canterbury a motivo delle città con le quali è stato in rapporto. Chi è questo personaggio al quale tre località, lontane tra loro e collocate in tre Nazioni diverse – Italia, Francia, Inghilterra –, si sentono particolarmente legate? Monaco di intensa vita spirituale, eccellente educatore di giovani, teologo con una straordinaria capacità speculativa, saggio uomo di governo ed intransigente difensore della libertas Ecclesiae, della libertà della Chiesa. Anselmo é una delle personalità eminenti del Medioevo, che seppe armonizzare tutte queste qualità grazie a una profonda esperienza mistica, che sempre ebbe a guidarne il pensiero e l’azione.
Sant’Anselmo nacque nel 1033 (o all’inizio del 1034) ad Aosta, primogenito di una famiglia nobile. Il padre era uomo rude, dedito ai piaceri della vita e dissipatore dei suoi beni; la madre, invece, era donna di elevati costumi e di profonda religiosità (cfr Eadmero, Vita s. Anselmi, PL 159, col 49). Fu lei, la mamma, a prendersi cura della prima formazione umana e religiosa del figlio, che affidò, poi, ai Benedettini di un priorato di Aosta. Anselmo, che da bambino – come narra il suo biografo - immaginava l’abitazione del buon Dio tra le alte e innevate vette delle Alpi, sognò una notte di essere invitato in questa reggia splendida da Dio stesso, che si intrattenne a lungo ed affabilmente con lui e alla fine gli offrì da mangiare "un pane candidissimo" (ibid., col 51). Questo sogno gli lasciò la convinzione di essere chiamato a compiere un’alta missione. All’età di quindici anni, chiese di essere ammesso nell’Ordine benedettino, ma il padre si oppose con tutta la sua autorità e non cedette neppure quando il figlio gravemente malato, sentendosi vicino alla morte, implorò l'abito religioso come supremo conforto. Dopo la guarigione e la scomparsa prematura della madre, Anselmo attraversò un periodo di dissipazione morale: trascurò gli studi e, sopraffatto dalle passioni terrene, diventò sordo al richiamo di Dio. Se ne andò da casa e cominciò a girare per la Francia in cerca di nuove esperienze. Dopo tre anni, giunto in Normandia, si recò nell’Abbazia benedettina di Bec, attirato dalla fama di Lanfranco da Pavia, priore del monastero. Fu per lui un incontro provvidenziale e decisivo per il resto della sua vita. Sotto la guida di Lanfranco, Anselmo riprese infatti con vigore gli studi e, in breve tempo, diventò non solo l’allievo prediletto, ma anche il confidente del maestro. La sua vocazione monastica si riaccese e, dopo attenta valutazione, all’età di 27 anni, entrò nell’Ordine monastico e venne ordinato sacerdote. L’ascesi e lo studio gli aprirono nuovi orizzonti, facendogli ritrovare, in grado ben più alto, quella familiarità con Dio che aveva avuto da bambino.
Quando, nel 1063, Lanfranco diventò abate di Caen, Anselmo, dopo appena tre anni di vita monastica, fu nominato priore del monastero di Bec e maestro della scuola claustrale, rivelando doti di raffinato educatore. Non amava i metodi autoritari; paragonava i giovani a piccole piante che si sviluppano meglio se non sono chiuse in serra e concedeva loro una "sana" libertà. Era molto esigente con se stesso e con gli altri nell’osservanza monastica, ma anziché imporre la disciplina si impegnava a farla seguire con la persuasione. Alla morte dell’abate Erluino, fondatore dell’abbazia di Bec, Anselmo venne eletto unanimemente a succedergli: era il febbraio 1079. Intanto numerosi monaci erano stati chiamati a Canterbury per portare ai fratelli d’oltre Manica il rinnovamento in atto nel Continente. La loro opera fu ben accetta, al punto che Lanfranco da Pavia, abate di Caen, divenne il nuovo Arcivescovo di Canterbury e chiese ad Anselmo di trascorrere un certo tempo con lui per istruire i monaci e aiutarlo nella difficile situazione in cui si trovava la sua comunità ecclesiale dopo l’invasione dei Normanni. La permanenza di Anselmo si rivelò molto fruttuosa; egli guadagnò simpatia e stima, tanto che, alla morte di Lanfranco, fu scelto a succedergli nella sede arcivescovile di Canterbury. Ricevette la solenne consacrazione episcopale nel dicembre del 1093.
Anselmo si impegnò immediatamente in un’energica lotta per la libertà della Chiesa, sostenendo con coraggio l’indipendenza del potere spirituale da quello temporale. Difese la Chiesa dalle indebite ingerenze delle autorità politiche, soprattutto dei re Guglielmo il Rosso ed Enrico I, trovando incoraggiamento e appoggio nel Romano Pontefice, al quale Anselmo dimostrò sempre una coraggiosa e cordiale adesione. Questa fedeltà gli costò, nel 1103, anche l’amarezza dell’esilio dalla sua sede di Canterbury. E soltanto quando, nel 1106, il re Enrico I rinunciò alla pretesa di conferire le investiture ecclesiastiche, come pure alla riscossione delle tasse e alla confisca dei beni della Chiesa, Anselmo poté far ritorno in Inghilterra, accolto festosamente dal clero e dal popolo. Si era così felicemente conclusa la lunga lotta da lui combattuta con le armi della perseveranza, della fierezza e della bontà. Questo santo Arcivescovo che tanta ammirazione suscitava intorno a sé, dovunque si recasse, dedicò gli ultimi anni della sua vita soprattutto alla formazione morale del clero e alla ricerca intellettuale su argomenti teologici. Morì il 21 aprile 1109, accompagnato dalle parole del Vangelo proclamato nella Santa Messa di quel giorno: "Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno…" (Lc 22,28-30). Il sogno di quel misterioso banchetto, che da piccolo aveva avuto proprio all’inizio del suo cammino spirituale, trovava così la sua realizzazione. Gesù, che lo aveva invitato a sedersi alla sua mensa, accolse sant’Anselmo, alla sua morte, nel regno eterno del Padre.
"Dio, ti prego, voglio conoscerti, voglio amarti e poterti godere. E se in questa vita non sono capace di ciò in misura piena, possa almeno ogni giorno progredire fino a quando giunga alla pienezza" (Proslogion, cap.14). Questa preghiera lascia comprendere l’anima mistica di questo grande Santo dell’epoca medievale, fondatore della teologia scolastica, al quale la tradizione cristiana ha dato il titolo di "Dottore Magnifico" perché coltivò un intenso desiderio di approfondire i Misteri divini, nella piena consapevolezza, però, che il cammino di ricerca di Dio non è mai concluso, almeno su questa terra. La chiarezza e il rigore logico del suo pensiero hanno avuto sempre come fine di "innalzare la mente alla contemplazione di Dio" (Ivi, Proemium). Egli afferma chiaramente che chi intende fare teologia non può contare solo sulla sua intelligenza, ma deve coltivare al tempo stesso una profonda esperienza di fede. L’attività del teologo, secondo sant’Anselmo, si sviluppa così in tre stadi: la fede, dono gratuito di Dio da accogliere con umiltà; l’esperienza, che consiste nell’incarnare la parola di Dio nella propria esistenza quotidiana; e quindi la vera conoscenza, che non è mai frutto di asettici ragionamenti, bensì di un’intuizione contemplativa. Restano, in proposito, quanto mai utili anche oggi, per una sana ricerca teologica e per chiunque voglia approfondire le verità della fede, le sue celebri parole: "Non tento, Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano mettere a confronto con essa il mio intelletto; ma desidero intendere, almeno fino ad un certo punto, la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire" (Ivi, 1).
Cari fratelli e sorelle, l’amore per la verità e la costante sete di Dio, che hanno segnato l’intera esistenza di sant’Anselmo, siano uno stimolo per ogni cristiano a ricercare senza mai stancarsi una unione sempre più intima con Cristo, Via, Verità e Vita. Inoltre, lo zelo pieno di coraggio che ha contraddistinto la sua azione pastorale, e che gli ha procurato talora incomprensioni, amarezze e perfino l’esilio, sia un incoraggiamento per i Pastori, per le persone consacrate e per tutti i fedeli ad amare la Chiesa di Cristo, a pregare, a lavorare e soffrire per essa, senza mai abbandonarla o tradirla. Ci ottenga questa grazia la Vergine Madre di Dio, verso la quale sant’Anselmo nutrì tenera e filiale devozione. "Maria, te il mio cuore vuole amare – scrive san’Anselmo – te la lingua mia desidera ardentemente lodare".
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore di Issoudun che, in occasione della loro Conferenza generale di studio e formazione, sono venute ad esprimere al Successore di Pietro sentimenti di affetto e di comunione ecclesiale. Sono lieto di accogliere i Legionari di Cristo, giunti a Roma da varie Nazioni per intraprendere gli studi filosofici e teologici e formulo i migliori auguri per il loro impegno universitario, assicurando per tutti un ricordo nella preghiera. Saluto i fedeli della Parrocchia Santa Maria Maggiore, in Santa Severina, come pure gli Allievi Agenti del Corpo Forestale dello Stato e li incoraggio a testimoniare costantemente i valori umani e cristiani, per costruire una società realmente libera e solidale.
Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La testimonianza di fede e di carità che animò san Pio da Pietrelcina, di cui oggi facciamo memoria, incoraggi voi, cari giovani, a progettare il vostro futuro come un generoso servizio a Dio e al prossimo. Aiuti voi, cari malati, a sperimentare nella sofferenza il sostegno e il conforto di Cristo crocifisso. E solleciti voi, cari sposi novelli, a conservare nella vostra famiglia una costante attenzione ai poveri. L’esempio di questo Santo, tanto popolare, sia infine per i sacerdoti – in questo Anno sacerdotale – e per tutti i cristiani un invito a confidare sempre nella bontà di Dio, accostandosi e celebrando con fiducia il Sacramento della Riconciliazione, di cui il Santo del Gargano, instancabile dispensatore della misericordia divina, fu assiduo e fedele ministro.
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DIBATTITO/ Ostellino: ha ragione Bagnasco, il nichilismo è la causa della nostra crisi - INT. Piero Ostellino giovedì 24 settembre 2009 – ilsussidiario.net
«Anche quando annuncia una verità scomoda, la Chiesa resta con chiunque amica». Il discorso del presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco, in apertura del consiglio permanente della Conferenza episcopale, era atteso e come c’era da aspettarsi ha fatto discutere. Tutti a cercarvi i postumi del caso Boffo, gli ulteriori sviluppi della famosa “rottura” tra la Segreteria di stato e la Cei, l’inizio di una “fase due” con il partito al governo e il suo leader. La «gravità dell’attacco subìto» rimane, certo. Ma il cardinale, più che promozioni e bocciature del premier e della maggioranza - ai quali non ha mancato certo di dire la sua - ha messo a tema la sfida che attende la Chiesa nella società italiana. La «presenza leale e costruttiva» - ha detto Bagnasco - di chi conosce bene «i principi e le regole che reggono una democrazia pluralista». Non ce ne vogliano, sembra dire il presule, coloro che parlano continuamente di interferenza della Chiesa, come pure quelli che vorrebbero svecchiare il Concordato, magari mandandolo in soffitta; ma la verità, come abbiamo fatto tante volte, la dobbiamo dire. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Piero Ostellino, editorialista del Corriere e opinionista.
Ostellino, la prolusione del cardinale Bagnasco è stata subito letta in chiave politica, cercandovi una condanna o un’assoluzione di Berlusconi e del governo. È una chiave di lettura che condivide?
No, perché la mia impressione è quella di un discorso innanzitutto di profilo pastorale e teologico. Se Bagnasco avesse parlato solo da politico, non avrebbe citato, con Benedetto XVI, «il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto». Si può «lavorare per se stessi», senza perseguire il bene comune, anche dentro la Chiesa. Chi dice questo non fa politica ma è preoccupato degli uomini. E conosce benissimo le contraddizioni e le divisioni legate alle preferenze, anche politiche, tipiche del mondo degli uomini.
Si riferisce alle ultime polemiche che avrebbero diviso la Cei dalla Segreteria di stato, il cardinal Bagnasco dal cardinal Bertone?
Anche. La prolusione passa sopra il tema della frattura perché non può essere quello l'argomento di un discorso del presidente dei vescovi italiani. Cosa che sarebbe invece avvenuta se l’orizzonte fosse meramente “politico” nel senso mondano del termine. Ma l’istituzione è fatta di uomini. Che dentro un’istituzione come la Chiesa vi sia una diversità di opinioni, e che qualcuno sia più radicale nelle critiche al governo e qualcun altro più prudente, questo mi pare del tutto normale.
Bagnasco esprime dolore per l’esito del caso Boffo e parla di un «allarmante degrado di quel buon vivere civile che tanto desideriamo e a cui tutti dobbiamo tendere». Alla luce delle ultime vicende del paese, le pare una valutazione fondata?
La sottoscrivo e da liberale e non credente la penso esattamente come Bagnasco. Si sta perdendo il senso della misura e della convivenza civile. Se dovessimo spiegare ai marziani cos’è accaduto nell’ultimo periodo, dovremmo dire che a chi ha avanzato forti riserve al capo del governo sulla sua condotta morale individuale, è stato detto: taci tu, che vai con gli uomini. Un proverbio inglese dice che i gentiluomini parlano di princìpi - come fa Bagnasco -, mentre la servitù parla delle persone. Questa personalizzazione volgare della politica è una manifestazione evidente del degrado civile nel quale sta piombando il paese.
Bagnasco parla ancora di un’Italia «attraversata da un malessere tanto tenace quanto misterioso, che non la fa essere una nazione del tutto pacificata al proprio interno, perché attraversata da contrapposizioni radicali e risentimenti». È un giudizio grave.
Sì, è un giudizio civile molto grave che riflette in pieno la polarizzazione estrema del sistema italiano. Prima della rivoluzione giudiziaria il bipolarismo non era realmente praticabile per la presenza di un partito che nessuno si poteva permettere di mandare al governo. La Dc, con i suoi alleati, assorbiva le tensioni che c’erano all’interno della società e le ricomponeva in una sintesi politica. Quell’equilibrio è saltato e un assetto stabile non è ancora stato trovato. Col risultato che nella polarizzazione è “precipitato” tutto, non solo gli interessi reali ma anche i valori e i princìpi. Questo provoca esattamente quello che Bagnasco denuncia.
«Niente - dice il presidente della Cei - ci è più estraneo della volontà di far da padroni. Conosciamo bene i principi e le regole che reggono una democrazia pluralista». Eppure Sartori, in un editoriale del Corriere di una settimana fa, accusa il Vaticano di aver “dettato” la legge sul testamento biologico al governo.
Ma no, il Vaticano non impone alcuna “dittatura” teologica. Fa predicazione morale, che uno può accettare o non accettare. Mi sembra una posizione più laicista che laica. Mentre da parte della Chiesa cattolica può esserci in alcuni casi, ed è fisiologico, una tentazione clericale, di là si vede spesso un “clericalismo” di parte laica, un’intransigenza “bigotta” ma di segno opposto. Bagnasco invita addirittura i vescovi a «riflettere sulla base secolare del nostro essere italiani». Mi sembra segno di grande maturità. Che la Chiesa abbia assolto una funzione di educazione civile del paese è nella storia e negarlo sarebbe completamente privo di senso.
Lei, da liberale, è d’accordo anche sulle questioni etiche?
Non concordo sul metodo. Certi valori - dice benissimo la Chiesa - non sono negoziabili, e penso per esempio al diritto alla vita del nascituro, ma proprio per questo dovrebbero diventare campo esclusivo della scelta del singolo. Questo non lo dico alla Chiesa, che con coerenza li difende, ma ai politici: non si possono trasformare quei valori in leggi, codificarli in un senso o in un altro, perché sono contenuti non gerarchizzabili e come tali devono essere lasciati alla coscienza individuale. La Chiesa ha sempre difeso la libertà di coscienza. Lo faccia anche chi ha il compito di fare le leggi.
Se la crisi della politica riflette una crisi di valori, come possiamo uscirne?
Condivido la preoccupazione e l’allarme lanciati da Bagnasco sul nichilismo, sia pure con alcune osservazioni. Quel relativismo che la Chiesa condanna, da vecchio liberale lo ritengo almeno in parte positivo e lo chiamo pluralismo dei valori. È uno spazio di libertà contro l’assolutismo. Ma quando il relativismo giunge a rendere tutto uguale e quindi nullo nel suo intrinseco valore, lì cadiamo nel nichilismo. Su questo mi trovo in sintonia con la Chiesa, come quando Bagnasco parla di centralità della persona umana. Il cristianesimo la fa consistere nell’essere fatto l’uomo a immagine somiglianza di Dio, io da non credente mi limito all’intangibilità della persona. E lì mi fermo.
Il pluralismo dei valori è assoluto?
Ai tempi della colonizzazione inglese nel Punjab i notabili locali indiani pretendevano che il governatore rispettasse la tradizione locale di bruciare le vedove sulla pira del marito morto. Al che il governatore disse che anche gli inglesi avevano una tradizione: quella di impiccare quelli che bruciano le vedove. Secondo me questa è una tradizione migliore della prima.
WELFARE/ Vittadini: la cattolica Italia vada a lezione da Francia e Germania - Giorgio Vittadini giovedì 24 settembre 2009 – ilsussidiario.net
In Francia, una politica economica fortemente orientata al sostegno delle famiglie impegnate nell'aiuto ad anziani e disabili, e nella crescita ed educazione dei minori, ha fatto sì che, anche nell’ultimo periodo di crisi, i consumi interni d’oltralpe non siano mai diminuiti. Per contro, non si può negare lo scarso peso che la famiglia ha nelle politiche economiche italiane di tutti gli schieramenti, al di là delle affermazioni di principio.
In un suo recente lavoro, il professor Luigi Campiglio ha mostrato come la famiglia è un soggetto sociale, e anche economico, dove sono tenuti presenti equità ed efficienza. La famiglia è fattore di equità perché è un naturale ammortizzatore sociale capace di difendere e ridare forza alle cosiddette fasce deboli: i giovani in cerca di prima occupazione, gli anziani, i disabili, gli inabili, i disoccupati.
Che nel nostro Paese la crisi non abbia raggiunto livelli apocalittici dipende anche dal fatto che esiste questo legame naturale dato dalla famiglia, che non è, come spesso si ritiene, un soggetto autoreferenziale, ma un insieme di persone che, esprimendo lo loro specifica personalità concorrono al bene di tutti, fulcro di ulteriori legami associativi, sociali, economici, religiosi. La famiglia è però anche fattore di efficienza perché forma, educa e finanzia continuamente il nuovo “capitale umano” fondamentale per lo sviluppo.
C'è un altro aspetto, sottolineato da Campiglio, trascurato dal dibattito pubblico: una politica per la famiglia è fattore fondamentale anche per lo sviluppo di breve periodo. Nel nostro Paese, anche nel periodo pre-crisi 2000-2007, a fronte di un forte incremento delle esportazioni, il consumo interno ha sempre ristagnato costituendo la vera palla al piede dell’economia italiana. Non è strano se si tiene conto che, anche quando l’economia “tirava” mantenendosi competitiva a livello internazionale, le imprese italiane facevano fatica a tradurre in incrementi di salari e stipendi i risultati ottenuti
Vi sono certo molteplici ragioni da approfondire alla base di queste carenze, tra cui non può certamente mancare l’enorme pressione fiscale che, sotto le più diverse forme va a colpire in modo indiscriminato tutte le imprese, anche quelle che investono, occupano, esportano. In ogni caso, la conseguenza è che le famiglie più povere spendono il loro reddito quasi esclusivamente in consumi alimentari e abitativi.
Mentre si devono trovare risposte di politica economica a riguardo di questo problema, non si può non ricordare che vi sarebbero strade alternative come quella francese. Chi non si riconoscesse nel sistema francese potrebbe fare riferimento al sistema tedesco dove questa essenzialità delle famiglie allo sviluppo è, pur con modalità differenti, sancita costituzionalmente e finanziariamente supportata con esiti positivi sulla stabilità e sullo sviluppo economico.
È strano che in un Paese tradizionalmente cattolico e per decenni governato da un partito di ispirazione cattolica, la famiglia venga dimenticata nel suo valore economico. È uno degli esiti deleteri di una minorità culturale: chissà che nella Seconda Repubblica, finora avara di novità normative nel welfare, si riesca, per il bene di tutti, ad intraprendere la strada di un'evoluzione culturale, economica, sociale e politica in favore della famiglia.