Nella rassegna stampa di oggi:
1) UE e ONU: una questione di princìpi - di Riccardo Cascioli - L'ideologia di genere "deve" diventare legge negli Stati occidentali. Così vogliono i potenti che stanno a Bruxelles, i trattati e gli accordi internazionali, la grande stampa europea e molti uomini politici. Le modalità attraverso cui si sta realizzando il progetto. - [Da «il Timone», n. 84, giugno 2009]
2) «Lo spazio bianco» di Francesca Comencini presentato al Festival del cinema di Venezia - Quanto è bella Maria che diventa madre - di Luca Pellegrini L'Osservatore Romano - 11 settembre 2009
UE e ONU: una questione di princìpi - di Riccardo Cascioli - L'ideologia di genere "deve" diventare legge negli Stati occidentali. Così vogliono i potenti che stanno a Bruxelles, i trattati e gli accordi internazionali, la grande stampa europea e molti uomini politici. Le modalità attraverso cui si sta realizzando il progetto. - [Da «il Timone», n. 84, giugno 2009]
Un caso emblematico è quello della Serbia, il cui Parlamento ha approvato lo scorso marzo una legge per garantire "libertà di espressione .di orientamento sessuale e diidentità di genere". Per un semplice motivo: sostenuta dalle organizzazioni per i diritti degli omosessuali, l'Unione Europea ha sostanzialmente imposto a Belgrado tale provvedimento quale pre-condizione per una futura integrazione della Serbia con l'Europa.
Così è stata presentata anche al Parlamento di Belgrado, affermando che tale legge aiuterà la Serbia a centrare i "Criteri di Copenhagen", una lista di provvedimenti richiesti per entrare a far parte dell'Unione Europea che include istituzioni democratiche stabili e la garanzia dei diritti umani.
Una strategia internazionale
I diritti umani appunto. È sotto questa voce che in Europa si cerca di far passare questa rivoluzione antropologica che sposta l'attribuzione del sesso dalla natura (maschio,femmina) alla cultura (maschio, femmina, omosessuale, lesbica, transessuale e altro ancora). Non più "sesso" dunque ma "orientamento sessuale". Così l'articolo 13 del"Trattato di Amsterdam" (1997) dà alla Comunità Europea il potere di combattere la «discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale». E allo stesso modo si esprime la "Carta Fondamentale dei Diritti Umani" proclamata dalla UE nel 2000.
Non bastasse, nel 2007 il Parlamento Europeo ha richiesto alla neonata Agenzia per i Diritti Fondamentali (FRA, secondo l'acronimo inglese) di preparare un rapporto comprensivo che facesse il punto sull'omofobia e la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere nei Paesi membri della UE, e suggerisse al contempo i rimedi legislativi e politici. Il rapporto è poi effettivamente uscito, in due parti: la prima nel giugno 2008 ed è un'analisi giuridica, la seconda nel marzo 2009 ed è invece un'analisi sociale.
Torneremo su questo doppio rapporto, ma ora è importante chiarire un aspetto di metodo. Perché infatti fermarsi sulle istituzioni sovranazionali e non esaminare lo stato della situazione nei singoli Paesi? La risposta è che è proprio la strategia di chi promuove l'ideologia dell'identità di genere a puntare su queste istituzioni, perché nell'attuale sistema di relazioni internazionali è il modo più diretto ed efficace per ottenere i risultati voluti. Il caso della Serbia citato all'inizio è emblematico, ma è una questione che riguarda tutti i Paesi. Una convenzione dell'ONU, una direttiva dell'Unione Europea o una sentenza di una Corte di giustizia sovranazionale (sia essa europea o internazionale) costringono necessariamente i singoli Paesi ad adeguarsi, grazie anche al lavoro di controllo o di attivismo che poi svolgono le commissioni create apposta e le organizzazioni non governative nei singoli Paesi.
La mozione francese all'ONU
Per capire il meccanismo basta guardare al recente esempio della Francia. Il governo di Parigi, infatti, ha presentato all'ultima sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU (dicembre 2008) una mozione su "orientamento sessuale e identità di genere", firmata poi da 66 Paesi, che intende fissare questi princìpi a livello internazionale. I contenuti di tale mozione vanno ben oltre la lotta alla discriminazione e anche ben oltre la legislazione vigente in Francia. Perché allora fare una battaglia all'ONU e non nel proprio Paese?
Perché se certi princìpi passano a livello internazionale diventa molto più semplice tradurli in legge nel proprio Paese evitando i rischi di un dibattito nazionale, anche dagli effetti laceranti, che inevitabilmente una proposta di legge comporterebbe. In altre parole: un conto è che, ad esempio, una legge sui matrimoni omosessuali venga proposta da un gruppo di deputati nel Parlamento nazionale, un conto è che arrivi come necessità di adeguarsi a delle Convenzioni internazionali.
Anche nel caso dell'identità di genere dunque, la vera battaglia si sta svolgendo nelle sedi delle istituzioni internazionali e, come accennavamo all'inizio, il terreno scelto è quello dei "diritti umani". Sia la proposta che la Francia ha portato all'Assemblea Generale dell'ONU sia il processo che sta andando avanti nella UE poggiano su un documento presentato il 26 marzo 2007 a Ginevra e noto con il nome di "Princìpi di Yogyakarta", dal nome della città indonesiana dove si sono trovati 29 esperti internazionali di diritto per stilare questo documento.
I "Princìpi di Yogyakarta" esaminano 29 diritti già vincolanti nel diritto internazionale -come il diritto alla vita, all'educazione e alla libertà dalla tortura - e li reinterpretano uno ad uno in chiave di "identità di genere". Peraltro nel preambolo si fissano i concetti di fondo, che è necessario qui ricordare. Per "orientamento sessuale" quindi, si deve intendere «la capacità di ogni persona per una profonda attrazione emotiva, affettiva e sessuale - e di relazioni intime e sessuali - verso individui di diverso genere o dello stesso genere o di più di un genere». Mentre con "identità di genere" ci si riferisce alla «profonda esperienza di genere interna e individuale di ciascuna persona, che può o non può coincidere con il sesso assegnato alla nascita, incluso il senso personale del corpo (che può includere, se liberamente scelto, la modificazione dell'apparenza o della funzione del corpo attraverso mezzi medici, chirurgici e altro) e altre espressioni di genere, incluso il vestire, il parlare e modi di comportarsi».
L'obbiettivo principale
In questo modo si cerca di elevare l'orientamento sessuale e l'identità di genere a diritto umano fondamentale, tanto che i "Principi di Yogyakarta" sostengono che dovrebbero essere cambiati anche i programmi scolastici, addirittura facilitando "l'accesso" per coloro che vogliono cambiare sesso, ma soprattutto insegnando la totale normalità di ogni orientamento sessuale e identità di genere, cosa che peraltro in modo "silenzioso" sta già avvenendo nelle scuole di diversi Paesi europei, soprattutto del Nord. Per quanto poi
riguarda il diritto alla protezione dagli abusi medici, i 29 esperti internazionali chiedono, tra l'altro, la proibizione di ogni «trattamento o consulenza psicologica o medica che consideri - implicitamente o esplicitamente l'orientamento sessuale e l'identità di genere come condizioni mediche da trattare, curare o sopprimere».
Ai "Princìpi di Yogyakarta" faceva esplicito riferimento la mozione presentata dalla Francia all'Onu nella sua versione originale, riferimento poi tolto per l'opposizione di alcuni Paesi (tra cui non figura l'Italia). E ai "Principi di Yogyakarta" fa chiaramente riferimento il “Rapporto del FRA” citato in apertura, dove si può chiaramente comprendere le conseguenze concrete dell'applicazione di tali principi secondo l'indirizzo politico dell'Unione Europea. Oltre all'auspicato adeguamento dei programmi scolastici, che pure
comporterebbe conseguenze ad esempio per i programmi delle scuole cattoliche, è interessante notare che un capitolo a parte è dedicato alle istituzioni religiose. Qui si lamenta da una parte l'esistenza di ampie discriminazioni, dall'altra si indicano degli esempi "positivi" nel comportamento di alcune "Chiese" protestanti che hanno aperto la porta alle ordinazioni di gay e aderiscono ai Gay Pride nazionali.
L'insidia più grande viene però dal capitolo che invoca il divieto assoluto del «linguaggio dell'odio», con «particolare attenzione» a «politici, opinionisti, esponenti religiosi e media», che implicherebbe l'impossibilità di criticare il comportamento omosessuale e «lo stile di vita gay». Si tratta di un principio che entra in evidente contrasto con la libertà di opinione come si è visto, ad esempio, in Svezia. Qui un pastore pentecostale era stato condannato per una sua predica sulla peccaminosità del comportamento omosessuale, ma la Corte Suprema ha ribaltato il verdetto sottolineando che il suo comportamento era illegale ai sensi della legge svedese, ma in questo caso scattava la protezione per il diritto di parola previsto dalla Convenzione europea sui diritti umani, che ha la precedenza sulla legge svedese.
Ma è chiaro cosa accadrà se i "Princìpi di Yogyakarta" entrassero a tutti gli effetti nella Convenzione europea sui diritti umani.
© Studi Cattolici
www.iltimone.org
«Lo spazio bianco» di Francesca Comencini presentato al Festival del cinema di Venezia - Quanto è bella Maria che diventa madre - di Luca Pellegrini L'Osservatore Romano - 11 settembre 2009
All'inizio lei è sola. Balla inseguendo ritmi assordanti, il trucco pesante sul volto, gran confusione intorno che le scivola via. Sembra non vedere la gente, non sentire la musica. Poi si ferma, sospende la danza scomposta. La sua anima è già sospesa da un pezzo. Lei fugge da quell'opprimente diversivo per cadere in una solitudine ancor più pesante, che sembra non avere fine. Di Maria, bella donna quarantenne, cominciamo a scoprire molte cose. In una mistura comprensibile d'indifferenza umana e invidia femminile, sbircia dentro la vita comune delle case che le passano davanti come una lanterna magica, mentre la funicolare di Monte Santo a Napoli la porta nel ventre della città.
Tutto è appannato, tutto è ripetitivo. Bianco. Anche gli incontri fugaci sono nulla e quando si innamora sul serio e una bambina inizia a crescere dentro di lei, il papà non sa reggere questa nuova presenza, questo impegno. E l'abbandona. In quel momento, con l'ecografia in mano, Maria entra in un nuovo spazio ancora più bianco. Non sarà l'ultimo.
In Lo spazio bianco Francesca Comencini, sceneggiando con Federica Pontremoli l'omonimo romanzo di Valeria Parrella e affidando a Luca Bigazzi la cura della fotografia, segue questa nuova mamma con grande affetto, misura, rispetto. Descrive con precisione, e qualche tocco di poesia necessaria, lo scarno spazio vissuto da Maria, che alla sera insegna agli adulti, di giorno gira per la città ripetendo quei pochi tragitti necessari, limita sempre tutto al minimo: il dovere, il tempo, i bisogni, i piaceri. Poi, anche la sua bambina, a soli sei mesi, entra nel suo spazio bianco: è l'incubatrice che le deve assicurare l'aria per vivere. Cinquanta giorni per sapere se ce la farà. Novanta ancora sarebbero stati quelli per un parto normale. Maria affronta questa novità inizialmente senza domande difficili, senza pensieri pesanti. Accetta l'ospedale, accetta l'attesa, accetta l'incubatrice, anche se tutto la opprime; si ribella soltanto alla burocrazia e all'indifferenza vera o presunta, della scienza e del prossimo.
"Il fatto è che mia figlia Irene stava morendo, o stava nascendo, non ho capito bene". Non capisce bene se le fa più paura la vita o la morte. Alla bambina dà il nome di Irene, pace, quella che lei non ha, quella che la maternità avrebbe dovuto portarle. Forse. In questo languore dell'esistenza, in cui la mamma è vulnerabile come la figlia, il destino di Maria comincia a prendere forma, contorni più precisi, come se ora fosse Irene a farsi carico della nascita della madre. Che incontra, senza più aggredire, altre mamme in attesa non solo di una parola di conforto, ma della certezza di un futuro; incontra un dottore che l'aiuta, dando forma a un primo abbozzo di rapporto maturo; sul suo stesso pianerottolo si trasferisce un magistrato (personaggio femminile non presente nel romanzo) che vive ugualmente un tempo sospeso, imposto però dai pericoli cui è sottoposta la sua professione.
Ritorna a insegnare, Maria, a vivere con più coscienza, ad avere paura, a sperare e lottare, a piangere. Quanto è bella Maria che diventa madre. Quanto è brava Margherita Buy che riesce a dare spessore grande e credibile a questa figura di donna: la sua prova di attrice è autentica, sfumata e incisiva secondo le circostanze.
Nello spazio bianco ci siamo tutti, è lo spazio per la crescita, quello della rinascita. Alla fine due teste si toccano, due cuori si incontrano. È la vita. Ed è, finalmente, un bel film italiano a Venezia.
(©L'Osservatore Romano - 11 settembre 2009)
1) UE e ONU: una questione di princìpi - di Riccardo Cascioli - L'ideologia di genere "deve" diventare legge negli Stati occidentali. Così vogliono i potenti che stanno a Bruxelles, i trattati e gli accordi internazionali, la grande stampa europea e molti uomini politici. Le modalità attraverso cui si sta realizzando il progetto. - [Da «il Timone», n. 84, giugno 2009]
2) «Lo spazio bianco» di Francesca Comencini presentato al Festival del cinema di Venezia - Quanto è bella Maria che diventa madre - di Luca Pellegrini L'Osservatore Romano - 11 settembre 2009
UE e ONU: una questione di princìpi - di Riccardo Cascioli - L'ideologia di genere "deve" diventare legge negli Stati occidentali. Così vogliono i potenti che stanno a Bruxelles, i trattati e gli accordi internazionali, la grande stampa europea e molti uomini politici. Le modalità attraverso cui si sta realizzando il progetto. - [Da «il Timone», n. 84, giugno 2009]
Un caso emblematico è quello della Serbia, il cui Parlamento ha approvato lo scorso marzo una legge per garantire "libertà di espressione .di orientamento sessuale e diidentità di genere". Per un semplice motivo: sostenuta dalle organizzazioni per i diritti degli omosessuali, l'Unione Europea ha sostanzialmente imposto a Belgrado tale provvedimento quale pre-condizione per una futura integrazione della Serbia con l'Europa.
Così è stata presentata anche al Parlamento di Belgrado, affermando che tale legge aiuterà la Serbia a centrare i "Criteri di Copenhagen", una lista di provvedimenti richiesti per entrare a far parte dell'Unione Europea che include istituzioni democratiche stabili e la garanzia dei diritti umani.
Una strategia internazionale
I diritti umani appunto. È sotto questa voce che in Europa si cerca di far passare questa rivoluzione antropologica che sposta l'attribuzione del sesso dalla natura (maschio,femmina) alla cultura (maschio, femmina, omosessuale, lesbica, transessuale e altro ancora). Non più "sesso" dunque ma "orientamento sessuale". Così l'articolo 13 del"Trattato di Amsterdam" (1997) dà alla Comunità Europea il potere di combattere la «discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale». E allo stesso modo si esprime la "Carta Fondamentale dei Diritti Umani" proclamata dalla UE nel 2000.
Non bastasse, nel 2007 il Parlamento Europeo ha richiesto alla neonata Agenzia per i Diritti Fondamentali (FRA, secondo l'acronimo inglese) di preparare un rapporto comprensivo che facesse il punto sull'omofobia e la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere nei Paesi membri della UE, e suggerisse al contempo i rimedi legislativi e politici. Il rapporto è poi effettivamente uscito, in due parti: la prima nel giugno 2008 ed è un'analisi giuridica, la seconda nel marzo 2009 ed è invece un'analisi sociale.
Torneremo su questo doppio rapporto, ma ora è importante chiarire un aspetto di metodo. Perché infatti fermarsi sulle istituzioni sovranazionali e non esaminare lo stato della situazione nei singoli Paesi? La risposta è che è proprio la strategia di chi promuove l'ideologia dell'identità di genere a puntare su queste istituzioni, perché nell'attuale sistema di relazioni internazionali è il modo più diretto ed efficace per ottenere i risultati voluti. Il caso della Serbia citato all'inizio è emblematico, ma è una questione che riguarda tutti i Paesi. Una convenzione dell'ONU, una direttiva dell'Unione Europea o una sentenza di una Corte di giustizia sovranazionale (sia essa europea o internazionale) costringono necessariamente i singoli Paesi ad adeguarsi, grazie anche al lavoro di controllo o di attivismo che poi svolgono le commissioni create apposta e le organizzazioni non governative nei singoli Paesi.
La mozione francese all'ONU
Per capire il meccanismo basta guardare al recente esempio della Francia. Il governo di Parigi, infatti, ha presentato all'ultima sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU (dicembre 2008) una mozione su "orientamento sessuale e identità di genere", firmata poi da 66 Paesi, che intende fissare questi princìpi a livello internazionale. I contenuti di tale mozione vanno ben oltre la lotta alla discriminazione e anche ben oltre la legislazione vigente in Francia. Perché allora fare una battaglia all'ONU e non nel proprio Paese?
Perché se certi princìpi passano a livello internazionale diventa molto più semplice tradurli in legge nel proprio Paese evitando i rischi di un dibattito nazionale, anche dagli effetti laceranti, che inevitabilmente una proposta di legge comporterebbe. In altre parole: un conto è che, ad esempio, una legge sui matrimoni omosessuali venga proposta da un gruppo di deputati nel Parlamento nazionale, un conto è che arrivi come necessità di adeguarsi a delle Convenzioni internazionali.
Anche nel caso dell'identità di genere dunque, la vera battaglia si sta svolgendo nelle sedi delle istituzioni internazionali e, come accennavamo all'inizio, il terreno scelto è quello dei "diritti umani". Sia la proposta che la Francia ha portato all'Assemblea Generale dell'ONU sia il processo che sta andando avanti nella UE poggiano su un documento presentato il 26 marzo 2007 a Ginevra e noto con il nome di "Princìpi di Yogyakarta", dal nome della città indonesiana dove si sono trovati 29 esperti internazionali di diritto per stilare questo documento.
I "Princìpi di Yogyakarta" esaminano 29 diritti già vincolanti nel diritto internazionale -come il diritto alla vita, all'educazione e alla libertà dalla tortura - e li reinterpretano uno ad uno in chiave di "identità di genere". Peraltro nel preambolo si fissano i concetti di fondo, che è necessario qui ricordare. Per "orientamento sessuale" quindi, si deve intendere «la capacità di ogni persona per una profonda attrazione emotiva, affettiva e sessuale - e di relazioni intime e sessuali - verso individui di diverso genere o dello stesso genere o di più di un genere». Mentre con "identità di genere" ci si riferisce alla «profonda esperienza di genere interna e individuale di ciascuna persona, che può o non può coincidere con il sesso assegnato alla nascita, incluso il senso personale del corpo (che può includere, se liberamente scelto, la modificazione dell'apparenza o della funzione del corpo attraverso mezzi medici, chirurgici e altro) e altre espressioni di genere, incluso il vestire, il parlare e modi di comportarsi».
L'obbiettivo principale
In questo modo si cerca di elevare l'orientamento sessuale e l'identità di genere a diritto umano fondamentale, tanto che i "Principi di Yogyakarta" sostengono che dovrebbero essere cambiati anche i programmi scolastici, addirittura facilitando "l'accesso" per coloro che vogliono cambiare sesso, ma soprattutto insegnando la totale normalità di ogni orientamento sessuale e identità di genere, cosa che peraltro in modo "silenzioso" sta già avvenendo nelle scuole di diversi Paesi europei, soprattutto del Nord. Per quanto poi
riguarda il diritto alla protezione dagli abusi medici, i 29 esperti internazionali chiedono, tra l'altro, la proibizione di ogni «trattamento o consulenza psicologica o medica che consideri - implicitamente o esplicitamente l'orientamento sessuale e l'identità di genere come condizioni mediche da trattare, curare o sopprimere».
Ai "Princìpi di Yogyakarta" faceva esplicito riferimento la mozione presentata dalla Francia all'Onu nella sua versione originale, riferimento poi tolto per l'opposizione di alcuni Paesi (tra cui non figura l'Italia). E ai "Principi di Yogyakarta" fa chiaramente riferimento il “Rapporto del FRA” citato in apertura, dove si può chiaramente comprendere le conseguenze concrete dell'applicazione di tali principi secondo l'indirizzo politico dell'Unione Europea. Oltre all'auspicato adeguamento dei programmi scolastici, che pure
comporterebbe conseguenze ad esempio per i programmi delle scuole cattoliche, è interessante notare che un capitolo a parte è dedicato alle istituzioni religiose. Qui si lamenta da una parte l'esistenza di ampie discriminazioni, dall'altra si indicano degli esempi "positivi" nel comportamento di alcune "Chiese" protestanti che hanno aperto la porta alle ordinazioni di gay e aderiscono ai Gay Pride nazionali.
L'insidia più grande viene però dal capitolo che invoca il divieto assoluto del «linguaggio dell'odio», con «particolare attenzione» a «politici, opinionisti, esponenti religiosi e media», che implicherebbe l'impossibilità di criticare il comportamento omosessuale e «lo stile di vita gay». Si tratta di un principio che entra in evidente contrasto con la libertà di opinione come si è visto, ad esempio, in Svezia. Qui un pastore pentecostale era stato condannato per una sua predica sulla peccaminosità del comportamento omosessuale, ma la Corte Suprema ha ribaltato il verdetto sottolineando che il suo comportamento era illegale ai sensi della legge svedese, ma in questo caso scattava la protezione per il diritto di parola previsto dalla Convenzione europea sui diritti umani, che ha la precedenza sulla legge svedese.
Ma è chiaro cosa accadrà se i "Princìpi di Yogyakarta" entrassero a tutti gli effetti nella Convenzione europea sui diritti umani.
© Studi Cattolici
www.iltimone.org
«Lo spazio bianco» di Francesca Comencini presentato al Festival del cinema di Venezia - Quanto è bella Maria che diventa madre - di Luca Pellegrini L'Osservatore Romano - 11 settembre 2009
All'inizio lei è sola. Balla inseguendo ritmi assordanti, il trucco pesante sul volto, gran confusione intorno che le scivola via. Sembra non vedere la gente, non sentire la musica. Poi si ferma, sospende la danza scomposta. La sua anima è già sospesa da un pezzo. Lei fugge da quell'opprimente diversivo per cadere in una solitudine ancor più pesante, che sembra non avere fine. Di Maria, bella donna quarantenne, cominciamo a scoprire molte cose. In una mistura comprensibile d'indifferenza umana e invidia femminile, sbircia dentro la vita comune delle case che le passano davanti come una lanterna magica, mentre la funicolare di Monte Santo a Napoli la porta nel ventre della città.
Tutto è appannato, tutto è ripetitivo. Bianco. Anche gli incontri fugaci sono nulla e quando si innamora sul serio e una bambina inizia a crescere dentro di lei, il papà non sa reggere questa nuova presenza, questo impegno. E l'abbandona. In quel momento, con l'ecografia in mano, Maria entra in un nuovo spazio ancora più bianco. Non sarà l'ultimo.
In Lo spazio bianco Francesca Comencini, sceneggiando con Federica Pontremoli l'omonimo romanzo di Valeria Parrella e affidando a Luca Bigazzi la cura della fotografia, segue questa nuova mamma con grande affetto, misura, rispetto. Descrive con precisione, e qualche tocco di poesia necessaria, lo scarno spazio vissuto da Maria, che alla sera insegna agli adulti, di giorno gira per la città ripetendo quei pochi tragitti necessari, limita sempre tutto al minimo: il dovere, il tempo, i bisogni, i piaceri. Poi, anche la sua bambina, a soli sei mesi, entra nel suo spazio bianco: è l'incubatrice che le deve assicurare l'aria per vivere. Cinquanta giorni per sapere se ce la farà. Novanta ancora sarebbero stati quelli per un parto normale. Maria affronta questa novità inizialmente senza domande difficili, senza pensieri pesanti. Accetta l'ospedale, accetta l'attesa, accetta l'incubatrice, anche se tutto la opprime; si ribella soltanto alla burocrazia e all'indifferenza vera o presunta, della scienza e del prossimo.
"Il fatto è che mia figlia Irene stava morendo, o stava nascendo, non ho capito bene". Non capisce bene se le fa più paura la vita o la morte. Alla bambina dà il nome di Irene, pace, quella che lei non ha, quella che la maternità avrebbe dovuto portarle. Forse. In questo languore dell'esistenza, in cui la mamma è vulnerabile come la figlia, il destino di Maria comincia a prendere forma, contorni più precisi, come se ora fosse Irene a farsi carico della nascita della madre. Che incontra, senza più aggredire, altre mamme in attesa non solo di una parola di conforto, ma della certezza di un futuro; incontra un dottore che l'aiuta, dando forma a un primo abbozzo di rapporto maturo; sul suo stesso pianerottolo si trasferisce un magistrato (personaggio femminile non presente nel romanzo) che vive ugualmente un tempo sospeso, imposto però dai pericoli cui è sottoposta la sua professione.
Ritorna a insegnare, Maria, a vivere con più coscienza, ad avere paura, a sperare e lottare, a piangere. Quanto è bella Maria che diventa madre. Quanto è brava Margherita Buy che riesce a dare spessore grande e credibile a questa figura di donna: la sua prova di attrice è autentica, sfumata e incisiva secondo le circostanze.
Nello spazio bianco ci siamo tutti, è lo spazio per la crescita, quello della rinascita. Alla fine due teste si toccano, due cuori si incontrano. È la vita. Ed è, finalmente, un bel film italiano a Venezia.
(©L'Osservatore Romano - 11 settembre 2009)