mercoledì 30 settembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Caterina… in sospeso - 29 settembre 2009 – Antonio Socci.
2) Infermiera cristiana discriminata perché indossava la croce - Farà causa al Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito - di Nieves San Martín
3) Avvenire 27 Settembre 2009 - IL NOBEL RUSSO - Dalla Vandea ai gulag Il filo rosso di Solzenicyn
4) Nell'Europa scristianizzata, Ratzinger punta sulle "minoranze creative" - La trascrizione integrale dell'intervista con Benedetto XVI durante il viaggio aereo da Roma a Praga, la mattina del 26 settembre. Libertà, verità, dialogo. E un'anticipazione sul secondo volume del "Gesù di Nazaret"
5) L'evoluzione e il "naturalismo" filosofico - Oltre gli orizzonti e i metodi della scienza - di Fiorenzo Facchini - L'Osservatore Romano - 30 settembre 2009
6) Tv o verità? - Lorenzo Albacete mercoledì 30 settembre 2009 – ilsussidiario.net
7) LETTERA/ Rose Busingye: l’Africa ha bisogno della “pazzia di Dio” - Rose Busingye mercoledì 30 settembre 2009 – ilsussidiario.net
8) Eutanasia, uno spettro si aggira per l’Europa - Londra ha aperto una breccia, altri pronti a seguire – DA LONDRA ELISABETTA DEL SOLDATO – Avvenire, 30 settembre 2009 – Segue la situazione in: Svizzera, Francia, Belgio, Spagna, Germania, Olanda, Lussemburgo


Caterina… in sospeso - 29 settembre 2009 – Antonio Socci.
Cari amici, ormai Caterina è figlia, sorella e amica di tutti voi. Tantissimi di voi mi scrivono accoratamente per avere notizie di lei. Purtroppo in questi drammi le cose evolvono con enorme lentezza.

Con angosciante e impercettibile lentezza. E talora c’è il rischio che evolvano verso il peggio anziché verso il meglio. O facendo passi avanti e passi indietro. Quindi si cammina sull’abisso…

Non posso qui riportare un bollettino medico quotidiano, fatto di analisi e test che peraltro neanche io conosco, quindi – per quanto sia difficile – provo a riassumere. La sostanza è questa: la situazione neurologica di Caterina (se si sveglierà e in quali condizioni) è tutta aperta. Non ci sono certezze.

E’ possibile tutto, dal peggio al bene, ma la situazione è obiettivamente grave. Ogni giorno siamo sospesi su una voragine, le nostre coronarie “ballano”, ed è chiaro che la Madonna ci chiede di affidarci completamente a lei. Con totale fiducia. Ce lo chiede anche facendoci sentire questo stupefacente abbraccio di un popolo accorato e bellissimo…

Mi sono interrogato su questo imprevisto e commovente sommovimento che – per l’emozione della storia di Caterina – ha coinvolto migliaia di persone, anche lontane dalla fede, inducendole ad implorare una grazia dal Cielo, talvolta anche a fare digiuni e offrire a Dio propri sacrifici, perché questa ragazza di 24 anni torni a vivere.

Mi è tornato in mente quanto diceva santa Bernardette, nella sua semplicità: “la Madonna ama farsi pregare”. Perché la Madonna ama farsi pregare? La ragione è profonda: penso che sia perché pregare, aprendo il cuore a Lei, serve a noi, perché così può cambiarci e stringerci a sé, ottenerci grandi grazie e soprattutto convertirci. Farci ritrovare noi stessi.

Perché infine impariamo ad affidarci totalmente a Lei, con fiducia totale, senza riserve, sospetti o timori. Perché ci accorgiamo di avere una Madre, immensamente buona. Che al Figlio può chiedere tutto, quindi che può tutto. E che è la mediatrice di tutte le grazie.

Mi ha colpito fin dall’inizio che il dramma di Caterina sia cominciato il 12 settembre che era la solennità del Nome di Maria. E’ certamente un caso, ma mi è venuto in mente che una delle ultime cose su cui avevo lavorato, cioè il mio ultimo libro su papa Giovanni Paolo II, uscito a giugno, per uno strano presagio si conclude proprio con le parole “il nome della Vergine era Maria”.

E’ infatti il testo della famosa e bellissima preghiera di Bernardo di Chiaravalle proprio sul “nome di Maria”, che avevo riprodotto sul finale del libro perché ci fa capire cosa significa questo affidarci alla nostra buona Madre.

Avendola scritta così recentemente l’ho subito ricordata. Bernardo parla del “nome di Maria” interpretandolo come “stella del mare”. Ecco le ardenti parole del grande santo:



“O tu che sei immerso nelle vicissitudini della vita e, più che camminare sulla solida terra, hai l’impressione di essere sballottato fra tempeste e uragani: se non vuoi finire travolto dall’infuriare dei flutti, non distogliere Io sguardo dal chiarore di questa stella!

Se insorgono i venti delle tentazioni, se t’imbatti negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria!

Se vieni assalito dalle onde della superbia, dell’ambizione, della calunnia, dell’invidia, della gelosia: guarda la stella, invoca Maria. Se l’ira, l’avarizia o le lusinghe della carne scuotono la navicella della tua anima: guarda la stella, invoca Maria.

Se turbato dall’enormità dei tuoi peccati, confuso per le brutture della tua coscienza, atterrito dal rigore del giudizio stai per venire risucchiato dal baratro della tristezza e dall’abisso della disperazione, guarda la stella, invoca Maria.

Nei pericoli, nelle difficoltà e nei momenti di incertezza, guarda la stella, invoca Maria. Abbi il suo nome sempre sulle labbra, abbila sempre nel cuore e se vuoi ottenere l’aiuto della sua preghiera, non tralasciare di imitarne gli esempi.

Seguendo lei non andrai fuori strada, pregandola non dispererai, pensando a lei non sbaglierai.

Se ella ti sostiene non cadrai, se ella ti protegge non avrai nulla da temere, se ella ti guida non ti affaticherai, se ti sarà favorevole giungerai alla mèta e così potrai sperimentare tu stesso quanto giustamente sia stato detto: ‘e il nome della vergine era Maria’ “.



I santi hanno sempre saputo che tutto passa attraverso Maria. Infatti don Giussani, negli ultimi anni, ripeteva sempre: “Maria, tu sei la certezza della nostra speranza”. E proprio questa frase era stata posta anche da padre Pio sopra la porta della sua cella.

Del resto nelle vostre mail ci sono decine e decine di testimonianze sulla forza della preghiera e sul soccorso che la Regina del Cielo corre a dare ai suoi figli.

Io prego che il Signore guardi quanti cuori – anche di tantissimi giovani – si sono aperti a Lui in questa drammatica circostanza, per una commozione per Caterina che solo Lui può aver suscitato. E che guardando l’attesa e il grido di tanti cuori, Lui li voglia consolare, rafforzando la loro fede: accogliendo la loro implorazione.

E’ la Chiesa stessa che ci esorta a implorare la Regina che ha le chiavi del cuore di Dio e dei suoi tesori di grazie. Paolo VI diceva: “Dobbiamo pregare e invocare di più la Madonna. Ella, come nel Vangelo, interviene presso il Figlio e ottiene da Lui miracoli”.

Allora io non mi stanco di mendicare ai piedi della nostra Regina. Anche perché Suo Figlio ci ha insegnato a “svegliarlo anche di notte” (come dice una sua parabola) e a essere seccatori e petulanti con Lui….

Antonio Socci


Infermiera cristiana discriminata perché indossava la croce - Farà causa al Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito - di Nieves San Martín
LONDRA, martedì, 29 settembre2009 (ZENIT.org).- Un'infermiera cristiana del Regno Unito colpita da un'azione disciplinare perché portava una catenina con una croce ha accettato l'offerta di reinserimento temporaneo, ma, consigliata dai suoi avvocati, farà causa per discriminazione.

Shirley Chaplin, di 54 anni, ha accettato martedì l'offerta "sotto coazione", secondo l'Associazione per la Stampa del Regno Unito. Il suo avvocato ha detto che intraprenderà un'azione presso il Tribunale del Lavoro per discriminazione, visto che la signora Chaplin pensa di essere stata discriminata a causa della sua fede, come ha riportato il Christian Post.

In precedenza, i responsabili dell'Ospedale Royal Devon and Exeter avevano detto alla signora Chaplin che non poteva portare al collo il ciondolo d'argento a forma di croce delle dimensioni di 2,5 centimetri perché violava la politica sulla divisa ed era un rischio per i pazienti, ha ricordato il quotidiano Telegraph.

Le è stato detto che o accettava il reinserimento in un ruolo non da infermiera o sarebbe stata licenziata. Il Servizio Sanitario Nazionale ha insistito sul fatto che il ciondolo potrebbe mettere in pericolo la donna o un paziente se vi rimanesse attaccato.

La signora Chaplin ha detto che porta la croce da quando ha iniziato a lavorare all'ospedale trent'anni fa e accusa di essere attaccata per il suo credo cristiano.

Ad ogni modo, l'ospedale accetta altri simboli di fede, come nel caso delle infermiere musulmane che indossano lo chador, informa il Daily Express.

Il quotidiano ha detto che la signora Chaplin, che ha due figli e viene da Kem, vicino Exeter, andrà in pensione tra otto mesi.

"Porto una croce da anni e ora, alla fine della mia carriera, mi dicono di toglierla", ha dichiarato.

"Non posso spiegare quanto sia importante la croce per me. E' il modo in cui io esprimo la mia fede. Sentirmi dire che la dovevo togliere mi ha sconvolta. La mia fede cristiana è ciò che mi spinge a prendermi cura degli altri", ha rivelato al Daily Express.

"Sento di essere intimidita e accusata per la mia fede. Sono rimasta colpita quando l'Esecutivo per la Salute e la Sicurezza mi ha detto che non c'è alcun caso riportato di danni provocati da un ciondolo".

La signora Chaplin è stata sostenuta dal Centro Cristiano Legale (CLC), un gruppo di pressione che lotta per la libertà religiosa.

Andrea Minichiello Williams, avvocato e direttore, ha detto: "Oggi un'infermiera che ha servito fedelmente il pubblico di Exeter con le sue abilità professionali è stata costretta ad abbandonare l'infermeria e ad assumere un ruolo amministrativo, il tutto perché non le viene permesso di portare una croce, l'immagine del cristianesimo riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo".

"Alla signora Chaplin non è stata lasciata altra scelta che accettare, ma oggi ci ha dato l'incarico di avviare un'azione presso il Tribunale del Lavoro per discriminazione contro i suoi datori di lavoro", ha aggiunto come riportato dall'Associazione per la Stampa del Regno Unito.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


Avvenire 27 Settembre 2009 - IL NOBEL RUSSO - Dalla Vandea ai gulag Il filo rosso di Solzenicyn
Due terzi di secolo fa, quand’ero bambino, leggevo già con ammirazione nei libri il racconto che rievocava l’insorgenza della Vandea, così coraggiosa e così disperata. Sono passati venti decenni, decenni diversi a seconda dei diversi Paesi, e non solo in Francia, ma anche altrove, l’insorgenza vandeana e la sua sanguinosa repressione sono state sempre di nuovo illuminate. Infatti gli accadimenti storici non sono mai compresi pienamente nell’incandescenza delle passioni che li accompagnano, ma a una discreta distanza, quando vengono raffreddate dal tempo.

Per molto tempo si è rifiutato di ascoltare e di accettare quanto era stato gridato dalla bocca di coloro che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una terra laboriosa, per i quali sembrava fosse stata fatta la Rivoluzione, ma che la stessa Rivoluzione oppresse e umiliò fino all’estremo limite, ebbene, proprio questi contadini si ribellarono contro di essa! I contemporanei avevano ben colto che ogni rivoluzione scatena fra gli uomini gli istinti della barbarie più elementare, le forze opache dell’invidia, della rapacità e dell’odio. Essi pagarono un tributo decisamente pesante alla psicosi generale, quando il fatto di comportarsi da uomini politicamente moderati, o anche soltanto di sembrarli, veniva già considerato un crimine. Il secolo ventesimo ha notevolmente offuscato agli occhi dell’umanità l’aureola romantica che circondava la rivoluzione nel secolo diciottesimo.

Di mezzo secolo in mezzo secolo gli uomini hanno finito per convincersi, partendo dalle loro stesse disgrazie, del fatto che le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società; che danneggiano il corso naturale della vita; che annientano i migliori elementi della popolazione dando campo libero ai peggiori; che nessuna rivoluzione può arricchire un Paese, ma solamente quanti si sanno trarre d’impiccio senza scrupoli; che generalmente nel proprio Paese produce innumerevoli morti, un vasto impoverimento, e, nei casi più gravi, un degrado duraturo della popolazione. Il termine stesso "rivoluzione" – dal latino revolvo – significa "rotolare indietro", "ritornare", "provare di nuovo", "riaccendere", nel migliore dei casi mettere sossopra, una sequenza di definizioni poco desiderabili. Attualmente, se da parte della gente si attribuisce a qualche rivoluzione la qualifica di "grande", lo si fa ormai solo con circospezione, e molto spesso con molta amarezza.

Ormai capiamo sempre meglio che l’effetto sociale che desideriamo tanto ardentemente può essere ottenuto attraverso uno sviluppo evolutivo normale, con un numero infinitamente minore di perdite, senza comportamenti selvaggi generalizzati. Bisogna saper migliorare con pazienza quanto ogni giorno ci offre. E sarebbe assolutamente vano sperare che la rivoluzione possa rigenerare la natura umana. Ebbene, la Rivoluzione francese, e in modo assolutamente particolare la nostra, la Rivoluzione russa, avevano avuto questa speranza. La Rivoluzione francese si è svolta nel nome di uno slogan intrinsecamente contraddittorio, e irrealizzabile: «Libertà, uguaglianza, fraternità». Ma, nella vita sociale, libertà e uguaglianza tendono a escludersi reciprocamente, sono antagoniste: infatti, la libertà distrugge l’uguaglianza sociale, è proprio questa una della funzioni della libertà, mentre l’uguaglianza limita la libertà, perché diversamente non vi si potrebbe giungere.

Quanto alla fraternità, non è della loro famiglia, è un’aggiunta avventizia allo slogan: la vera fraternità non può essere costruita da disposizioni sociali, è di ordine spirituale. Inoltre, a questo slogan ternario veniva aggiunto con tono minaccioso «o la morte», il che ne distruggeva ogni significato. Mai, a nessun Paese, potrei augurare una "grande rivoluzione". Se la Rivoluzione del secolo diciottesimo non ha portato la rovina della Francia è solo perché vi è stato Termidoro. La rivoluzione russa non ha conosciuto un Termidoro che abbia saputo arrestarla, e, senza deviare, ha portato il nostro popolo fino in fondo, fino al gorgo, fino all’abisso della perdizione.

L’esperienza della Rivoluzione francese avrebbe dovuto bastare perché i nostri organizzatori razionalisti della "felicità del popolo" ne traessero lezioni. Ma no! In Russia tutto si è svolto in un modo ancora peggiore, e in una dimensione senza confronti. Numerosi procedimenti crudeli della Rivoluzione francese sono stati docilmente applicati di nuovo sul corpo della Russia dai comunisti leninisti e dagli specialisti internazionalisti, soltanto il loro grado di organizzazione e il loro carattere sistematico hanno ampiamente superato quelli dei giacobini. Non abbiamo avuto un Termidoro, ma – e ne possiamo esser fieri nella nostra anima e nella nostra coscienza – abbiamo avuto la nostra Vandea, e più d’una. Sono le grandi insorgenze contadine, quella di Tambov nel 1920-1921, della Siberia occidentale nel 1921. Un episodio ben noto: folle di contadini con calzature di tiglio, armate di bastoni e di forche, hanno marciato su Tambov al suono delle campane delle chiese del circondario, per essere falciate dalle mitragliatrici.

L’insorgenza di Tambov è durata undici mesi, benché i comunisti, per reprimerla, abbiano usato carri armati, treni blindati, aerei, benché abbiano preso in ostaggio le famiglie dei rivoltosi e benché fossero sul punto di usare gas tossici. Abbiamo avuto anche una resistenza feroce al bolscevismo da parte dei cosacchi dell’Ural, del Don, del Kuban’, di Tersk, soffocata in torrenti di sangue, un autentico genocidio. Vedo con la mente i monumenti che verranno eretti un giorno, in Russia, testimoni della nostra resistenza russa allo scatenamento delle orde comuniste. Abbiamo attraversato il secolo ventesimo, un secolo di terrore dall’inizio alla fine, terribile coronamento del Progresso tanto sognato nel secolo diciottesimo. Oggi, penso, crescerà sempre più il numero dei francesi che capiscono meglio, che valutano meglio, che conservano con fierezza nella loro memoria la resistenza e il sacrificio della Vandea.
Aleksandr Solzenicyn


Nell'Europa scristianizzata, Ratzinger punta sulle "minoranze creative" - La trascrizione integrale dell'intervista con Benedetto XVI durante il viaggio aereo da Roma a Praga, la mattina del 26 settembre. Libertà, verità, dialogo. E un'anticipazione sul secondo volume del "Gesù di Nazaret"
D. – Santità, come lei ha detto all’Angelus di domenica scorsa, la Repubblica Ceca si trova non solo geograficamente, ma anche storicamente nel cuore dell’Europa. Vuole spiegarci meglio questo "storicamente" e dirci come e perché pensa che questa visita possa essere significativa per il continente nel suo insieme, nel suo cammino culturale, spirituale ed eventualmente anche politico, di costruzione dell’Unione Europea?

R. – In tutti i secoli, la Repubblica Ceca, il territorio della Repubblica Ceca è stato luogo di incontro di culture. Cominciamo nel IX secolo: da una parte, in Moravia, abbiamo la grande missione dei fratelli Cirillo e Metodio, che da Bisanzio portano la cultura bizantina, ma creano una cultura slava, con i caratteri cirillici e con una liturgia in lingua slava; dall’altra parte, in Boemia, sono le diocesi confinanti di Regensburg e Passau che portano il Vangelo in lingua latina, e, nella connessione con la cultura romano-latina, si incontrano così le due culture. Ogni incontro è difficile, ma anche fecondo. Si potrebbe facilmente mostrare con questo esempio.

Faccio un grande salto: nel XIII secolo è Carlo IV che crea qui, a Praga, la prima università nel Centro Europa. L’università di per sé è un luogo di incontro di culture; in questo caso, diventa inoltre un luogo di incontro tra cultura slava e germanofona. Come nel secolo e nei tempi della Riforma, proprio in questo territorio gli incontri e gli scontri diventano decisi e forti, lo sappiamo tutti.

Faccio ora un salto al nostro presente: nel secolo scorso, la Repubblica Ceca ha sofferto sotto una dittatura comunista particolarmente rigorosa, ma ha anche avuto una resistenza sia cattolica, sia laica di grandissimo livello. Penso ai testi di Václav Havel, del cardinale Vlk, a personalità come il cardinale Tomášek, che realmente hanno dato all’Europa un messaggio di che cosa sia la libertà e di come dobbiamo vivere e lavorare nella libertà. E penso che da questo incontro di culture nei secoli, e proprio da questa ultima fase di riflessione, non solo, di sofferenza per un concetto nuovo di libertà e di società libera, escano per noi tanti messaggi importanti, che possono e devono essere fecondi per la costruzione dell’Europa. Dobbiamo essere molto attenti proprio al messaggio di questo Paese.

D. – Siamo a vent’anni dalla caduta dei regimi comunisti nell’Est europeo; Giovanni Paolo II, visitando diversi paesi reduci dal comunismo, li incoraggiava ad usare con responsabilità la libertà recuperata. Qual è oggi il suo messaggio per i popoli dell’Europa orientale in questa nuova fase storica?

R. – Come ho detto, questi paesi hanno sofferto particolarmente sotto la dittatura, ma nella sofferenza sono anche maturati concetti di libertà che sono attuali e che adesso devono essere ancora ulteriormente elaborati e realizzati. Penso, per esempio, ad un testo di Václav Havel che dice: "La dittatura è basata sulla menzogna e se la menzogna andasse superata, se nessuno mentisse più e se venisse alla luce la verità, ci sarebbe anche la libertà". E così ha elaborato questo nesso tra verità e libertà, dove libertà non è libertinismo, arbitrarietà, ma è connessa e condizionata dai grandi valori della verità e dell’amore e della solidarietà e del bene in generale.

Così, penso che questi concetti, queste idee maturate nel tempo della dittatura non debbano andare persi: ora dobbiamo proprio ritornare ad essi! E nella libertà spesso un po’ vuota e senza valori, di nuovo riconoscere che libertà e valori, libertà e bene, libertà e verità vanno insieme: altrimenti si distrugge anche la libertà. Questo mi sembra il messaggio che viene da questi paesi e che dev’essere attualizzato in questo momento.

D. – Santità, la Repubblica Ceca è un paese molto secolarizzato in cui la Chiesa cattolica è una minoranza. In tale situazione, come può contribuire la Chiesa effettivamente al bene comune del paese?

R. – Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace.

Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo è proprio il dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno dell’altro: l’agnostico non può essere contento di non sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il cattolico non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio ancora di più, e nel dialogo con gli altri ri-imparare Dio in modo più profondo. Questo è il primo livello: il grande dialogo intellettuale, etico ed umano.

Poi, nel settore educativo, la Chiesa ha molto da fare e da dare, per quanto riguarda la formazione. In Italia parliamo del problema dell’emergenza educativa. È un problema comune a tutto l’Occidente: qui la Chiesa deve di nuovo attualizzare, concretizzare, aprire per il futuro la sua grande eredità.

Un terzo settore è la "Caritas". La Chiesa ha sempre avuto questo come segno della sua identità: quello di venire in aiuto ai poveri, di essere strumento della carità. La Caritas nella Repubblica Ceca fa moltissimo nelle diverse comunità, nelle situazioni di bisogno, e offre molto anche all’umanità sofferente nei diversi continenti, dando così un esempio di responsabilità per gli altri, di solidarietà internazionale, che è anche condizione della pace.

D. – Santità, la sua ultima enciclica "Caritas in veritate" ha avuto un’ampia eco nel mondo. Come valuta questa eco? Ne è soddisfatto? Pensa che effettivamente la crisi mondiale recente sia un’occasione in cui l’umanità sia divenuta più disponibile a riflettere sull’importanza dei valori morali e spirituali, per fronteggiare i grandi problemi del suo futuro? E la Chiesa, continuerà ad offrire orientamenti in questa direzione?

R. – Sono molto contento per questa grande discussione. Era proprio questo lo scopo: incentivare e motivare una discussione su questi problemi, non lasciare andare le cose come sono, ma trovare nuovi modelli per una economia responsabile, sia nei singoli paesi, sia per la totalità dell’umanità unificata. Mi sembra realmente visibile, oggi, che l’etica non è qualcosa di esteriore all’economia, la quale come una tecnica potrebbe funzionare da sé, ma è un principio interiore dell’economia, la quale non funziona se non tiene conto dei valori umani della solidarietà, delle responsabilità reciproche e se non integra l’etica nella costruzione dell’economia stessa: è la grande sfida di questo momento.

Spero, con l’enciclica, di aver contribuito a questa sfida. Il dibattito in corso mi sembra incoraggiante. Certamente vogliamo continuare a rispondere alle sfide del momento e ad aiutare affinché il senso della responsabilità sia più forte della volontà del profitto, che la responsabilità nei riguardi degli altri sia più forte dell’egoismo; in questo senso, vogliamo contribuire ad un’economia umana anche in futuro.

D. – E per concludere, una domanda un po’ più personale: nel corso dell’estate, vi è stato il piccolo incidente al polso. Lo considera ora pienamente superato? Ha potuto riprendere pienamente la sua attività e ha potuto anche lavorare alla seconda parte del suo libro su Gesù, come desiderava?

R. – Non è ancora pienamente superato, ma vedete che la mano destra è in funzione e l’essenziale posso farlo: posso mangiare e, soprattutto, posso scrivere. Il mio pensiero si sviluppa soprattutto scrivendo; così per me è stata veramente una pena, una scuola di pazienza, non poter scrivere per sei settimane. Tuttavia ho potuto lavorare, leggere, fare altre cose e sono anche andato un po’ avanti con il libro. Ma ho ancora molto da fare. Penso che, con la bibliografia e tutto quello che segue ancora, "Deo adiuvante", potrebbe essere terminato nella prossima primavera. Ma questa è una speranza!

da: www.chiesa


L'evoluzione e il "naturalismo" filosofico - Oltre gli orizzonti e i metodi della scienza - di Fiorenzo Facchini - L'Osservatore Romano - 30 settembre 2009
Che le specie viventi cambino nel tempo e non corrispondano a singoli atti creativi di Dio è oggi comunemente accettato. Che la selezione naturale rappresenti il grande fattore dell'evoluzione è stata la scommessa di Darwin, che ha avuto molti riscontri, anche se richiede delle integrazioni. Che l'evoluzione renda superflua la creazione e tutta la natura si sia autoformata è un passo decisamente troppo lungo per essere vero - non l'aveva compiuto neppure Darwin che al termine della seconda edizione della sua opera, Le origini delle specie, e nelle edizioni successive, parla della creazione - ma che molti fautori del darwinismo, a partire dai primi discepoli di Darwin (Huxley, Haeckel e gli altri), sostengono connotando in questo modo ideologicamente la teoria evolutiva.
Non ci sarebbe alcun bisogno di Dio, di cui mancano le evidenze, né della dimensione spirituale per spiegare l'uomo, il pensiero, la coscienza, la libertà. È questa un'estensione non richiesta dalla scienza. Nessun scienziato serio potrebbe farla in nome della scienza. Si tratta di posizioni ideologiche, riferibili al naturalismo filosofico e sostenute da molti darwinisti che mal sopportano critiche di chi cerca di ragionare sulle acquisizioni della scienza distinguendole dalle interpretazioni che vengono fatte.
Ne è un esempio il lungo intervento su "MicrOmega" di due filosofi, Orlando Franceschelli e Telmo Pievani circa il pensiero da me espresso in due articoli su "L'Osservatore Romano" e su "Avvenire". Franceschelli e Pievani si dimostrano particolarmente risentiti per alcune mie valutazioni di posizioni darwiniste che ritengono riferite a loro, e sviluppano considerazioni e giudizi che non sono certo dialoganti (nonostante uno strano richiamo biblico al dialogo che appare più patetico che reale); un intervento molto polemico e in qualche punto offensivo, in cui un argomento ricorrente è l'accusa a me rivolta di neointegralismo ratzingeriano, spesso l'ultima sponda dei ragionamenti.
I due filosofi interlocutori lamentano anche la mancanza di argomentazioni, nei miei articoli, sulla conciliabilità di evoluzione e creazione, dimostrando di non ricordare altri miei interventi e soprattutto il mio volume Le sfide dell'evoluzione (Milano, Jaca Book, 2008) pubblicato lo scorso anno e a essi inviato, sul quale avevo anche avuto occasione di discutere con loro. Anche questo un motivo di stupore: memoria corta?
Mi sono chiesto se valeva la pena riprendere il discorso su questa sede, poi ho pensato che ribadire le posizioni già espresse può essere utile almeno per chi legge e vuole conoscere le cose, anche se non sarà di grande utilità per chi fatica a capire o non vuole capire.
Il passaggio dal naturalismo metodologico, che utilizza i metodi della scienza per spiegare le modalità con cui si sono evolute le specie, compreso l'uomo, al naturalismo filosofico, che emancipa la natura dal Creatore, continuo a ritenerlo una estensione arbitraria, nel senso che non è richiesta dalla scienza e riflette posizioni soggettive, entro le quali vengono interpretati, con evidenti forzature, alcuni dati scientifici. I due studiosi citati rivendicano una plausibilità del naturalismo filosofico - Franceschelli in un suo saggio parla di plausibilità scientifica! - affermando che esso "è in sintonia con i dati che oggi provengono dalla scienza", ma a ben riflettere la sintonia non è con la scienza, ma con la loro interpretazione di alcuni dati della scienza e con l'allargamento che ne fanno. Dispensano a piene mani accuse di arroganza e intolleranza per chi non la pensa come loro. Un'accusa non nuova perché ricorre più volte nei confronti dei teologi nell'ultima opera Darwin e l'anima. L'evoluzione dell'uomo e i suoi nemici (Roma, Donzelli, 2009) di Franceschelli (in cui si parla di arroganza creazionista, metafisica, emergentista).
Il naturalismo, inteso come visione esauriente della conoscenza della natura, esorbita dalla scienza, rientra nella filosofia e come tale va valutato anche nel confronto con altre visioni, come quella che si allarga alla trascendenza, che pure rientra in un orizzonte filosofico. In ogni caso l'onere di argomentare le proprie posizioni è di tutti, non credenti e credenti, e non solo di questi ultimi come affermano i miei interlocutori.
Al naturalismo filosofico si ricollegano le posizioni espresse da vari scienziati darwinisti sull'uomo, inteso come scimmia evoluta, come pure l'estensione di specifiche attività umane al mondo animale. A mio modo di vedere, come antropologo e naturalista, ritengo che si dovrebbero evitare due estremi: l'appiattimento dell'uomo sull'animale e l'innalzamento dell'animale all'uomo. Il risultato è il medesimo: l'annullamento delle differenze e delle identità.
Sorprende il largo uso promiscuo di termini come mente, libertà, coscienza, morale, cultura, riferiti oltre che all'uomo, ai primati non umani, ad altri mammiferi e anche ad altre classi di vertebrati. Ciò si basa su qualche analogia di comportamento, peraltro segnalate dallo stesso Darwin, ma corrisponde a una generalizzazione che non coglie ciò che è proprio a ogni specie. Non si tratta di negare le somiglianze, ma di cogliere l'identità di ciascuna senza annebbiare le differenze. Dentro al livellamento c'è un modo di pensare, un pregiudizio che non vuole riconoscere la specificità dell'uomo. È una impostazione di tipo riduzionistico.
L'appartenenza dell'uomo, di tutto l'uomo alla condizione umana, e quindi la naturalità dell'essere umano non richiede che tutto debba essere spiegato con la biologia escludendo altri approcci conoscitivi. Questa posizione, espressione del naturalismo filosofico, non appartiene alla scienza, ma è una libera interpretazione di alcuni aspetti della realtà naturale secondo una personale posizione ideologica. Si vuole spiegare tutto il comportamento specifico dell'uomo "intelligenza simbolica, linguaggio articolato, il nostro particolare senso morale, il senso religioso, senza il ricorso a sfere trascendenti e interventi divini di cui non si ha alcuna evidenza o necessità". Si deve accettare che "la scienza naturale non ha limiti di principio nell'indagare ogni specifica caratteristica umana, nessuna esclusa". Così affermano Franceschelli e Pievani. A me sembra che certi comportamenti dell'uomo vadano oltre gli orizzonti e i metodi della scienza, anche se certamente vi sono connessioni tra la dimensione fisica e quella spirituale nell'unità della persona. Sarebbe come se volessi capire il significato e il valore artistico di un quadro di Raffaello con le analisi dei pigmenti utilizzati e delle fibre vegetali della tela.
Per conoscere e spiegare l'uomo occorre allargare l'orizzonte e sviluppare argomentazioni sul piano filosofico, andando oltre i metodi della scienza, senza preclusioni ideologiche. Si tratterà di vedere, nei confronti che si possono fare, quale visione generale della realtà può essere più soddisfacente nell'interpretare i dati della scienza e nelle conseguenze che se ne possono trarre per valutare le scelte dell'uomo, la cui forza persuasiva è molto diversa se si ammette Dio o lo si esclude.
Per il dialogo occorre chiarezza e la chiarezza richiede, oltre al rispetto delle persone, che si distinguano i diversi campi di analisi e il livello a cui sono interessati, evitando inutili polemiche, di cui non di rado mi capita di fare esperienza in pubblici dibattiti. Personalmente posso dire che nel mio impegno di paleoantropologo e di sacerdote ho sempre cercato di tenere distinti l'ambito scientifico e quello teologico e di avere cercato un dialogo evitando la confusione dei piani.
Certamente per chi si apre alla luce della Rivelazione la creazione e la relazione particolare dell'uomo con Dio emergono in tutta la loro ricchezza e dinamicità. L'allargamento della razionalità scientifica, che Benedetto XVI più volte ha sollecitato, non mortifica l'autonomia della scienza, non rappresenta una invasione di campo - come viene spesso ingiustamente rilevato - perché c'è anche una razionalità filosofica aperta al trascendente e c'è una razionalità teologica. Esse rispondono a un'apertura ad altri orizzonti, e rappresentano un arricchimento, uno sguardo sul futuro. Escluderle è sempre possibile, per chi non è interessato a domande di significato, ma non è richiesto dalla scienza e si collega a scelte personali con cui ci si autolimita nelle proprie conoscenze.
(©L'Osservatore Romano - 30 settembre 2009)


Tv o verità? - Lorenzo Albacete mercoledì 30 settembre 2009 – ilsussidiario.net
Prima di tutto, devo correggere le mie previsioni della settimana scorsa sull’Assemblea Generale dell’Onu qui a New York. Al di là di ogni dubbio, la performance di Hugo Chavez è stata oscurata completamente dallo spettacolo che ha messo in piedi a sorpresa Gheddafi. Il leader libico ha rischiato di cancellare perfino l’interesse per il debutto alle Nazioni Unite di Obama. Comunque, ora sono tornati tutti a casa e l’attenzione della nazione si è concentrata su altri spettacoli.


Alessandra Stanley, critico TV del The New York Times, ha scritto un brillante articolo su ciò che lei definisce “una delle perversioni della vita pubblica” negli Stati Uniti di oggi. Si tratta dell’incrocio tra due modalità di riportare le notizie: da un lato, abbiamo “politici in disgrazia che, per tornare sulla scena, puntano su una clownesca parodia di se stessi”; dall’altro vi sono “ artisti che si camuffano da commentatori di fatti morali, e immorali”.



La Stanley porta come esempio Tom Delay, il leader della maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti che fu costretto a dimettersi nel 2006 e ancora in attesa di processo per violazione delle leggi sul finanziamento delle campagne elettorali. La settimana scorsa, nello spettacolo TV “Dancing with the Stars” (Ballando con le stelle), “più di 17 milioni di spettatori hanno visto Mr. Delay scivolare per il palco sulle proprie ginocchia ballando il cha cha”, nel tentativo di cambiare la sua immagine di duro politico conservatore e guadagnarsi la simpatia del pubblico.



Stanley commenta: “Era stranamente rilassato, mentre si pavoneggiava sul palcoscenico con scarpe da ballerino e un bolero ornato di pelle di leopardo. Con i capelli cotonati, la faccia melliflua e uno smagliante sorriso, l’ex deputato sembrava più simile a Wayne Newton (famoso cantante e attore americano) che a Sam Rayburn (speaker della Camera dei Rappresentanti per 17 anni, la più lunga durata nella storia degli USA)” (anche il presidente Obama è andato in televisione per difendere il suo piano di riforma della sanità, facendosi intervistare dagli attori David Letterman e Jay Leno).

Sull’altro versante, abbiamo visto MacKenzie Phillips dichiarare all’Oprah Winfrey’s Show che, “come servizio pubblico”, voleva che tutti sapessero che aveva fatto sesso consenziente con suo padre, John Phillips, uno dei fondatori del gruppo rock the Mamas and the Papas, morto nel 2001 (la Phillips sta promuovendo il suo nuovo libro aperto “High on Arrival.” Senz’altro scritto come servizio pubblico). La Stanley fa notare che perfino Oprah Winfrey ha trovato la relazione incestuosa della Phillips “sbagliata, volgare e vergognosa” e conclude: “Di questi tempi, a Hollywood e Washington, questo è il prezzo del rientro”.



Perché sta succedendo tutto questo? È ciò che abbiamo chiamato la “morte del giornalismo”. Anche nel passato ci sono stati comportamenti sbagliati, volgari e vergognosi di giornalisti, ma almeno avevano la pretesa di comunicare una verità oggettiva. Quando scompare la preoccupazione per la verità, questo è quanto succede: la politica diventa spettacolo e lo spettacolo diventa politica.



Di fatto, la situazione è perfino peggiore. Il problema oggi non è soltanto la mancanza di preoccupazione per la verità, è la perdita di interesse per la verità. Quando questo accade, prima o poi, essa viene sostituita da una violenza crudele, esercitata sia contro le celebrità che la gente comune. È un altro risultato della separazione tra fede e conoscenza e della inevitabile conseguenza: la distruzione della ragione.


LETTERA/ Rose Busingye: l’Africa ha bisogno della “pazzia di Dio” - Rose Busingye mercoledì 30 settembre 2009 – ilsussidiario.net
Il titolo del Sinodo africano è “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. La realizzazione di questo programma dipende tutta dal cuore dell’uomo africano e dalla sua educazione.


Cristo è venuto, la questione è accorgersi che questo cambia tutto, cambia il mio modo di trattare me stessa e di comportarmi con gli altri e con le cose. La questione è l’appartenenza a Lui. Appartenenza vuol dire essere stata preferita, vuol dire che Qualcuno mi ha voluto. Questo supera tutti i contrasti che abbiamo fra tribù, politici e altri interessi costituiti.



Veramente la pace per l’Africa dipende dall’incontro tra il cuore dell’uomo e Cristo. Perché l’appartenenza a Cristo supera l’appartenenza al gruppo tribale e colloca quest’ultima al giusto posto, col giusto valore. Ma questo avviene solo se la fede penetra gli strati profondi dell’umanità, arriva là dove si formano i criteri di percezione delle cose. Allora l’appartenenza diventa la forza dell’io, e la persona diventa libera e protagonista.


Perché questo avvenga è fondamentale l’educazione. L’uomo africano ha un altissimo senso religioso, ha un fortissimo senso dell’appartenenza, ma essi devono essere educati. Ci si deve educare ad accorgersi che il compimento è già con noi, che la risposta è già presente, e non è una magia o un modo di credere sentimentale che la rendono presente.



L’uomo africano possiede un senso religioso veramente alto, non c’è un africano che non sia consapevole di dipendere da Qualche cosa di Altro, che non abbia questo senso di dipendenza da Qualcosa. Lo chiama “Spirito” o con un altro nome, lo cerca nelle magie, ma comunque non può vivere senza avere qualcosa da cui dipendere. Nessun africano mai direbbe, come fanno tanti europei, «sono nato, adesso sto qua e questo è tutto». No: l’africano ha sempre viva la questione dell’origine.

L’incontro che manca

Il problema è che la maggior parte degli africani, e anche dei cristiani, non può testimoniare di un incontro in cui si è sentito dire: «Sono Io che cerchi». Perché troppo spesso Cristo non è stato presentato come qualcosa che è già presente in noi, ma come qualcosa che arriva dal di fuori. Così oggi tanti studiosi africani scrivono che il Dio cristiano è stato importato dai bianchi e che il cristianesimo non è riconciliato con l’identità e la cultura africane.



Per me e per tanti amici non è così, perché il modo in cui ci è stato presentato il cristianesimo, attraverso la persona di don Luigi Giussani e di chi lo seguiva, è stato diverso. È come se ci fosse stato detto: «Tutto quello che hai cercato negli spiriti, nelle magie, c’è già, è presente, è quello che ha fatto te, ti ha fatto nascere, ti fa respirare. E io ti dico il suo nome». Invece è come se a tanti africani chi ha presentato il cristianesimo avesse detto: «Metti via tutti gli idoli, tutte le tue cose, io ti ho portato Dio, io ti ho portato Cristo». Come se Cristo fosse una proprietà. Ma Cristo non lo possiede nessuno, viene come vuole Lui, come disegna Lui, viene in ogni uomo di questo mondo.

La magia, gli spiriti e la vita quotidiana



La conseguenza del non presentare Cristo come qualcosa che è in te, ma come qualcosa che viene da fuori, fa sì che alla fine, per molti, c’è un Dio del bianco e un Dio dell’africano. E quando c’è una difficoltà, una malattia, anche i cristiani a volte guardano dalla parte del Dio africano e dicono: «Forse sono gli spiriti». Così vanno da quelli che voi europei chiamate gli “stregoni”. Che riempiono la loro mente di paura. Gli stregoni li terrorizzano, la loro mente si riempie di reazioni che vengono dalla paura: e loro stessi si convincono che per guarire la loro mente dovrà essere torturata e riempirsi di credenze frutto della paura.



Anche le sètte che mescolano il cristianesimo con gli spiriti, quelle dei cosiddetti “salvati”, seguono lo stesso metodo degli stregoni: producono agitazione e suggestione nella mente, ti convincono che la presenza di Dio o degli spiriti buoni è legata a una magia, e che tutto nella vita può essere ottenuto in modo magico. È un Dio che ti dice: «Posso farti avere tutto per magia». Ma non è un Dio che entra nella tua vita normale, che la vive con te, che la porta con te. È un Dio della suggestione psicologica: alla fine della preghiera ti senti guarito, ma il giorno dopo stai peggio di prima.


Ma Dio è questa tenerezza che è venuta nel mondo, che ha avuto pietà di noi e ci tocca tutti quanti. È ciò che Benedetto XVI ha espresso nelle sue tre encicliche, soprattutto nella Deus caritas est, dove descrive Dio con questo amore infinito: «la pazzia divina», come ha scritto. La pace e la riconciliazione nascono da questa esperienza di Dio: Dio ha preso me, che ero niente e che sono niente, mi ha preso così come sono, e nella quotidianità.



Quel che viene naturale dire è: «Io voglio partecipare a questa pazzia di Dio, a questo essere di Dio». Questa cosa, nel tempo, fa sì che non mi adiro più per i peccati altrui, per le ingiustizie che l’altro ha compiuto nei confronti miei e di altre persone. Nell’esperienza dell’amore divino, non ha più senso che io misuri i peccati miei e degli altri. Nel tempo questo produce serenità e il desiderio che il mio incontro con ogni essere umano sia tenerezza, non uno sforzo o un ripetere parole o un cercare di essere più bravi degli altri.


Qui da me a Kampala arrivano ragazze di tribù ostili alla mia, giovani che hanno combattuto o sono stati bambini soldato. Dovrei averne paura o provare disprezzo per loro. E invece queste cose non mi toccano più: per me sono persone amate e volute da Dio, che hanno continuamente bisogno di essere amate e volute. Se hanno bisogno di mangiare do loro da mangiare, se hanno bisogno delle medicine do loro le medicine. Quando arrivano le accolgo come tutti gli altri bambini, non in base al discrimine se hanno rubato e ucciso oppure no. Appartengono a Cristo, e quindi appartengono anche a me.


Eutanasia, uno spettro si aggira per l’Europa - Londra ha aperto una breccia, altri pronti a seguire – DA LONDRA ELISABETTA DEL SOLDATO – Avvenire, 30 settembre 2009 – Segue la situazione in: Svizzera, Francia, Belgio, Spagna, Germania, Olanda, Lussemburgo
U na piccola breccia a Londra potreb­be provocare una valanga in Euro­pa. E lo spettro dell’eutanasia legale comincia ad aleggiare sul Vecchio Conti­nente, dopo gli strappi – pur diversi nella for­ma legislativa – di Belgio, Olanda, Lussem­burgo e Svizzera. Il suicidio assistito in Gran Bretagna è reso illegale dal Suicide Act, una legge del 1961 nella quale si stabilisce che chiunque aiuti o inco­raggi un’altra persona a togliersi la vita è punibi­le con la reclusione fino a 14 anni. Nonostante vari tentativi di modifi­care la norma, la pratica del suicidio assistito con­tinua a essere illegale, con il sostegno della maggioranza della po­polazione e del governo di Gordon Brown. Il premier ha infatti più volte rimarcato quan­to sia importante, per il rispetto della vita u­mana, aiutare chi è in una condizione di vul­nerabilità e non metterlo sotto pressione.
Nelle ultime settimane tanta stampa ha ti­tolato che la Gran Bretagna ha legalizzato il suicidio assistito, ma ciò non corrisponde al vero, sebbene con l’introduzione di nuove 'linee guida' da parte del direttore della Pro­cura generale, Keir Starmer, il dibattito si è acceso e molti temono che esse potrebbero rappresentare il primo passo verso un at­teggiamento più tollerante nei confronti di chi aiuta un’altra persona a morire.
Le linee guida sono state pubblicate dopo le molte richieste di una malata di sclerosi mul­tipla, Debbie Purpdy, la quale voleva che fos­se chiarito dal giudice se il marito rischia l’in­criminazione quando egli l’accompagnerà alla clinica svizzera Dignitas dove sarà assi­stita dai medici a morire. La richiesta della Purdy, bocciata due vol­te dai giudici, è poi stata accolta dalla Camera dei Lord.
Poco dopo la Procura Generale è intervenuta sostenendo la necessità di specificare chi è puni­bile tra coloro che aiuta­no una persona a suici­darsi. Sono seguite le li­nee guida: è punibile chi spera in un ritorno economico dalla morte della persona suici­da; è punibile chi mette sotto pressione la persona suicida; non è necessariamente pu­nibile una persona che ne accompagna un’altra in un Paese dove il suicidio assistito è legale. Finora sono più di cento i britanni­ci che si sono recati in Svizzera per porre fi­ne volontariamente alla propria esistenza: tutti erano accompagnati da almeno un fa­miliare, nessuno di essi è stato incriminato.
La legge inglese non cambia, ma le linee guida per chi accompagna persone al suicidio assistito sono un cedimento


SVIZZERA - LA TRISTE PATRIA DELLA «DOLCE MORTE»
La Svizzera è diventata, negli ultimi anni, la “patria” della dolce morte. Ogni anno sono più di un centinaio le persone, provenienti da ogni parte del mondo, che vi si recano e che si rivolgono ad organizzazioni di assistenza al suicidio. Un fenomeno inizialmente tollerato dalle autorità elvetiche, che ha però assunto dimensioni preoccupanti anche per la Commissione nazionale di etica per la medicina. Stando alle statistiche ufficiali, su 1.400 suicidi registrati nel Paese, 272 (quasi il 20%) sono stati “assistiti”. Ad aver innescato questo «turismo del suicidio» è la presenza di una zona grigia nel diritto, che garantisce l’impunibilità di tale pratica purché non vi siano «motivi egoistici» da parte di chi assiste il candidato suicida, come sancisce l’articolo 115 del Codice penale. Il canton Zurigo e la stessa Confederazione hanno tollerato la presenza di organizzazioni come Dignitas o Exit, ma ora si trovano a dover fare i conti con una situazione fuori controllo. Vengono prodotti con regolarità atti parlamentari sul tema, ma la soluzione appare lontana: è possibile legiferare senza, di fatto, legittimare l’operato di tali organizzazioni?
Federica Mauri Luzzi

FRANCIA - UN NO CHIARO, MA ANCHE EPISODI ESTREMI
Il suicidio assistito non è ammesso in nessun caso dalla legge francese e negli ultimi anni le istituzioni di garanzia del mondo sanitario hanno ricordato al corpo medico i propri obblighi deontologici. Il codice penale prevede una serie di reati specifici, fra cui quello di « somministrazione di sostanze tossiche » . Un profondo dibattito è stato sollevato da due destini estremamente angoscianti di malati: il “caso Humbert” e il “caso Sébire”. Dopo il primo episodio, quello di una madre che ha staccato la spina al proprio figlio tetraplegico, il Parlamento ha fatto chiarezza votando una « legge sulla fine della vita » . Il testo prevede una netta distinzione fra il divieto assoluto del « far morire » ( suicidio assistito e ogni forma attiva di eutanasia) e una regolamentazione molto stringente di casi in cui, per evitare l’accanimento terapeutico, diventa legittimo il « lasciar morire » . Votata da quasi tutto l’arco parlamentare, la legge ha indebolito gli argomenti dell’agguerrito fronte che chiede il suicidio assistito. Ma quest’ultimo non s’arrende e pubblicizza storie di francesi recatisi in Svizzera in ragione della legislazione elvetica « liberale » .
Daniele Zappalà

BELGIO - INTRODUZIONE NEL 2002, SI VUOLE ACCELERARE
In Belgio l’eutanasia è diventata legale nel 2002. Da quel momento si sono succeduti continui tentativi per allargarne i criteri di applicabilità. Già nel 2005 in farmacia si poteva acquistare il kit per l’eutanasia. A metà del 2008 è iniziato il dibattito sulla possibilità di estendere le pratiche eutanasiche, con la proposta che per coloro che a causa di danni cerebrali avessero perso la capacità di esprimersi, fossero ritenute valide le dichiarazioni anticipate di volontà. Anche i minori finirono al centro del dibattito: partendo da uno studio pubblicato sulla rivista «Lancet» nel 2000, secondo il quale nelle Fiandre più della metà delle morti neonatali è da ricondurre ad interventi diretti dei medici, i sostenitori dell’eutanasia si dissero convinti che si doveva rendere legale ciò che di fatto era già praticato.
Successivamente fu preso un provvedimento per facilitare la richiesta di eutanasia, grazie al quale è possibile recarsi nel proprio Comune per depositare le dichiarazioni anticipate di volontà. Tutto così facile in Belgio che Amelie, 93 anni, nell’aprile scorso ha chiesto ed ottenuto il suicidio assistito nonostante godesse di buona salute.
Lorenzo Schoepflin

SPAGNA - L’ANDALUSIA AUTONOMA FA DA APRIPISTA
Il dibattito in Spagna è caldo da anni ( ne è prova il noto caso di Ramon Sampedro, che ispirò il film « Mar Adentro » del regista Alejandro Amenabar). Ma il primo passo concreto – sul piano legale – l’ha fatto l’Andalusia. Lo scorso giugno il governo della comunità autonoma meridionale ha approvato e inviato al Parlamento regionale il progetto della « Legge sui diritti e garanzie della dignità delle persone nel processo di morte » . Secondo l’esecutivo andaluso, il testo esclude l’eutanasia diretta e il suicidio assistito, figure che in Spagna sono tipizzate nel Codice penale.
Quello che la norma andalusa consentirà – se approvata – sarà il rifiuto di un trattamento medico ( dai farmaci al respiratore artificiale) e dell’accanimento terapeutico. Nel testo si tratta anche di cure palliative, sedazione e dichiarazione anticipata di volontà. La questione è aperta, ma se il Parlamento approvasse la legge è probabile che altre regioni ( o lo Stato) seguirebbero l’esempio. I timori di parte degli esperti sono chiari: leggi ambigue aprirebbero le porte alla regolarizzazione dell’eutanasia.
Michela Coricelli

OLANDA - LA «PIONIERA» CHE NON RISPARMIA I BAMBINI
L’Olanda è stata l’apripista per l’eutanasia in Europa, con l’approvazione della legge avvenuta nell’aprile 2002. La legge prevede che la scelta del paziente, «volontaria» e «ben meditata», sia redatta in forma scritta. Negli anni il dibattito non si è sopito e l’eutanasia ha progressivamente allargato le sue maglie. È del 2005 la pubblicazione sul «New England Journal of Medecine» del «Protocollo di Groeningen» elaborato dal dottor Eduard Verhagen per codificare le procedure di eutanasia su minori e in particolare su neonati in grave stato di sofferenza. Nel Protocollo veniva introdotto il concetto di «qualità della vita», in base al quale si catalogavano i bambini, decidendone le sorti. Alla tendenza a estendere i criteri di applicabilità dell’eutanasia corrisponde un numero sempre crescente di richieste: è del giugno scorso un rapporto delle Commissioni regionali che certifica l’aumento delle richieste nel 2008 pari al 10% rispetto al 2007. E non mancano gli abusi: risale a giugno l’arresto del presidente di una associazione pro-eutanasia: ha collaborato al suicidio assistito di una malata di Parkinson alla quale ero stato rifiutato poiché non si erano riscontrate sofferenze insopportabili.
(P.M.Al.-L.Sch.)

GERMANIA - TESTAMENTO BIOLOGICO VINCOLANTE PER I MEDICI
Durante il nazismo più di 70.000 persone in Germania furono vittime del programma Aktion T4, che impose un’eutanasia di massa a persone con disabilità fisiche e mentali. Dopo la caduta del regime nazista qualunque forma di eutanasia venne considerata illegale; negli ultimi anni, tuttavia, si è aperto un dibattito sulla questione soprattutto da quando è diventata legale nella vicina Olanda. Lo scorso anno provocò proteste l’iniziativa dell’ex ministro della Giustizia di Amburgo, Roger Kusch, che presentò la sua 'macchina per il suicidio legale'. Il 18 giugno il Bundestag ha approvato un disegno di legge in base al quale la Patientenverfügung (testamento biologico) sarà vincolante per i medici. Il volere del paziente avrà così la priorità e i medici dovranno rispettarlo indipendentemente dal tipo e dalla gravità della malattia. Ciò significa che il biotestamento dovrà essere rispettato anche se la malattia non sarà di tipo mortale. Soltanto nel caso in cui il paziente non avrà sottoscritto il testamento biologico o questo non corrisponderà più al quadro clinico, la decisione sull’eventuale interruzione delle cure e dell’alimentazione spetterà al medico o alla persona designata come responsabile per il malato. In caso di conflitto, la parola passerà al tribunale. Il codice civile prevede che ogni persona in grado di decidere autonomamente abbia il diritto di rifiutare medicinali o qualunque terapia che lo aiuti a tenerlo in vita.
Vincenzo Savignano

LUSSEMBURGO - « ESAUTORATO » IL GRANDUCA PER AVERE IL SÌ
È il febbraio del 2008 quando in Lussemburgo viene adottato in prima lettura alla Camera il “Progetto di legge sul diritto a morire con dignità”. Nel testo vengono fornite le definizioni di eutanasia e suicidio assistito e si precisano le condizioni per le quali un medico non commette reato nell’eseguire le volontà del paziente. La richiesta di morire deve essere effettuata da un maggiorenne o « minorenne emancipato » , pienamente consapevole e libero da pressioni esterne. Nella legge si affronta anche l’argomento del « testamento di vita » , col quale una persona può chiedere che un medico di fiducia possa praticare l’eutanasia una volta accertata una sopravvenuta situazione di salute « grave e incurabile » . La legge, prima di essere approvata il 18 dicembre 2008, trovò un inatteso ostacolo nell’opposizione del Granduca Henri di Nassau­Weilburg, che si rifiutò di firmarla per la ferma volontà di tutelare la vita umana. Il Granduca fu privato dei suoi poteri grazie ad una legge voluta dal governo del cristiano sociale Juncker e votata a larga maggioranza. Per la sua fiera opposizione il Granduca ha ricevuto in Vaticano il premio Van Thuan.
( L. Sch.)