giovedì 26 novembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI e i due teologi Ugo e Riccardo di San Vittore - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì – ilsussidiario.net
2) Avvenire, 26 Novembre 2009 - BIOETICA - Ru486, Senato blocca immissione in commercio
3) SCOLA/ 3. Chiosso: i cattolici possono battere l'indifferentismo con l'esperienza - INT. Giorgio Chiosso giovedì 26 novembre 2009 – ilsussidiario.net
4) Il mondo ha bisogno di bellezza - Massimo Camisasca giovedì 26 novembre 2009 – ilsussidiario.net
5) FILOSOFIA/ Vailati, il pragmatismo come terza via del pensiero contemporaneo - Redazione giovedì 26 novembre 2009 – ilsussidiario.net
6) La "Dichiarazione di Manhattan": il manifesto che scuote l'America - L'hanno sottoscritta leader cattolici, protestanti, ortodossi, uniti nel difendere la vita e la famiglia. Con la Casa Bianca nel mirino. In Europa l'avrebbero bollata come una "ingerenza" politica della Chiesa - di Sandro Magister
7) Teologia ed evoluzionismo - Quando l'ominide si è accorto di esserci - Pubblichiamo alcuni stralci della prolusione tenuta il 25 novembre per l'apertura dell'anno accademico della Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna. - di Fiorenzo Facchini L'Osservatore Romano - 26 novembre 2009
8) L’Italia può fermare la Ru486. Lo dice l’Europa - di Ilaria Nava – Avvenire, 26 novembre 2006


Benedetto XVI e i due teologi Ugo e Riccardo di San Vittore - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì – ilsussidiario.net
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 25 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI incontrando i fedeli e i pellegrini nell'Aula Paolo VI per la tradizionale Udienza generale.

Continuando la catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, il Papa ha illustrato le figure di due teologi legati al monastero di San Vittore a Parigi: Ugo e Riccardo di San Vittore.






* * *

Cari fratelli e sorelle,

in queste Udienze del mercoledì sto presentando alcune figure esemplari di credenti, che si sono impegnati a mostrare la concordia tra la ragione e la fede e a testimoniare con la loro vita l’annuncio del Vangelo. Oggi intendo parlarvi di Ugo e di Riccardo di San Vittore. Tutti e due sono tra quei filosofi e teologi noti con il nome di Vittorini, perché vissero e insegnarono nell’abbazia di San Vittore, a Parigi, fondata all’inizio del secolo XII da Guglielmo di Champeaux. Guglielmo stesso fu un maestro rinomato, che riuscì a dare alla sua abbazia una solida identità culturale. A San Vittore, infatti, fu inaugurata una scuola per la formazione dei monaci, aperta anche a studenti esterni, dove si realizzò una sintesi felice tra i due modi di fare teologia, di cui ho già parlato in precedenti catechesi: e cioè la teologia monastica, orientata maggiormente alla contemplazione dei misteri della fede nella Scrittura, e la teologia scolastica, che utilizzava la ragione per cercare di scrutare tali misteri con metodi innovativi, di creare un sistema teologico.

Della vita di Ugo di San Vittore abbiamo poche notizie. Sono incerti la data e il luogo della nascita: forse in Sassonia o nelle Fiandre. Si sa che, giunto a Parigi – la capitale europea della cultura del tempo –, trascorse il resto dei suoi anni presso l’abbazia di San Vittore, dove fu prima discepolo e poi insegnante. Già prima della morte, avvenuta nel 1141, raggiunse una grande notorietà e stima, al punto da essere chiamato un "secondo sant’Agostino": come Agostino, infatti, egli meditò molto sul rapporto tra fede e ragione, tra scienze profane e teologia. Secondo Ugo di San Vittore, tutte le scienze, oltre a essere utili per la comprensione delle Scritture, hanno un valore in se stesse e vanno coltivate per allargare il sapere dell’uomo, come pure per corrispondere al suo anelito di conoscere la verità. Questa sana curiosità intellettuale lo indusse a raccomandare agli studenti di non restringere mai il desiderio di imparare e nel suo trattato di metodologia del sapere e di pedagogia, intitolato significativamente Didascalicon (circa l’insegnamento), raccomandava: "Impara volentieri da tutti ciò che non sai. Sarà più sapiente di tutti colui che avrà voluto imparare qualcosa da tutti. Chi riceve qualcosa da tutti, finisce per diventare più ricco di tutti" (Eruditiones Didascalicae, 3,14: PL 176,774).

La scienza di cui si occupano i filosofi e i teologi detti Vittorini è in modo particolare la teologia, che richiede anzitutto lo studio amoroso della Sacra Scrittura. Per conoscere Dio, infatti, non si può che partire da ciò che Dio stesso ha voluto rivelare di sé attraverso le Scritture. In questo senso, Ugo di San Vittore è un tipico rappresentante della teologia monastica, interamente fondata sull’esegesi biblica. Per interpretare la Scrittura, egli propone la tradizionale articolazione patristico-medievale, cioè il senso storico-letterale, anzitutto, poi quello allegorico e anagogico, e infine quello morale. Si tratta di quattro dimensioni del senso della Scrittura, che anche oggi si riscoprono di nuovo, per cui si vede che nel testo e nella narrazione offerta si nasconde un’indicazione più profonda: il filo della fede, che ci conduce verso l’alto e ci guida su questa terra, insegnandoci come vivere. Tuttavia, pur rispettando queste quattro dimensioni del senso della Scrittura, in modo originale rispetto ai suoi contemporanei, egli insiste - e questa è una cosa nuova – sull’importanza del senso storico-letterale. In altre parole, prima di scoprire il valore simbolico, le dimensioni più profonde del testo biblico, occorre conoscere e approfondire il significato della storia narrata nella Scrittura: diversamente – avverte con un efficace paragone – si rischia di essere come degli studiosi di grammatica che ignorano l’alfabeto. A chi conosce il senso della storia descritta nella Bibbia, le vicende umane appaiono segnate dalla Provvidenza divina, secondo un suo disegno ben ordinato. Così, per Ugo di San Vittore, la storia non è l’esito di un destino cieco o di un caso assurdo, come potrebbe apparire. Al contrario, nella storia umana opera lo Spirito Santo, che suscita un meraviglioso dialogo degli uomini con Dio, loro amico. Questa visione teologica della storia mette in evidenza l’intervento sorprendente e salvifico di Dio, che realmente entra e agisce nella storia, quasi si fa parte della nostra storia, ma sempre salvaguardando e rispettando la libertà e la responsabilità dell’uomo.

Per il nostro autore, lo studio della Sacra Scrittura e del suo significato storico-letterale rende possibile la teologia vera e propria, ossia l’illustrazione sistematica delle verità, conoscere la loro struttura, l’illustrazione dei dogmi della fede, che egli presenta in solida sintesi nel trattato De Sacramentis christianae fidei (I sacramenti della fede cristiana), dove si trova, fra l’altro, una definizione di "sacramento" che, ulteriormente perfezionata da altri teologi, contiene spunti ancor oggi molto interessanti. "Il sacramento", egli scrive, "è un elemento corporeo o materiale proposto in maniera esterna e sensibile, che rappresenta con la sua somiglianza una grazia invisibile e spirituale, la significa, perché a tal fine è stato istituito, e la contiene, perché è capace di santificare" (9,2: PL 176,317). Da una parte la visibilità nel simbolo, la "corporeità" del dono di Dio, nel quale tuttavia, dall’altra parte, si nasconde la grazia divina che proviene da una storia: Gesù Cristo stesso ha creato i simboli fondamentali. Tre dunque sono gli elementi che concorrono a definire un sacramento, secondo Ugo di San Vittore: l’istituzione da parte di Cristo, la comunicazione della grazia, e l’analogia tra l’elemento visibile, quello materiale, e l’elemento invisibile, che sono i doni divini. Si tratta di una visione molto vicina alla sensibilità contemporanea, perché i sacramenti vengono presentati con un linguaggio intessuto di simboli e di immagini capaci di parlare immediatamente al cuore degli uomini. È importante anche oggi che gli animatori liturgici, e in particolare i sacerdoti, valorizzino con sapienza pastorale i segni propri dei riti sacramentali – questa visibilità e tangibilità della Grazia – curandone attentamente la catechesi, affinché ogni celebrazione dei sacramenti sia vissuta da tutti i fedeli con devozione, intensità e letizia spirituale.

Un degno discepolo di Ugo di San Vittore è Riccardo, proveniente dalla Scozia. Egli fu priore dell’abbazia di San Vittore dal 1162 al 1173, anno della sua morte. Anche Riccardo, naturalmente, assegna un ruolo fondamentale allo studio della Bibbia, ma, a differenza del suo maestro, privilegia il senso allegorico, il significato simbolico della Scrittura con il quale, ad esempio, interpreta la figura anticotestamentaria di Beniamino, figlio di Giacobbe, quale simbolo della contemplazione e vertice della vita spirituale. Riccardo tratta questo argomento in due testi, Beniamino minore e Beniamino maggiore, nei quali propone ai fedeli un cammino spirituale che invita anzitutto ad esercitare le varie virtù, imparando a disciplinare e a ordinare con la ragione i sentimenti ed i moti interiori affettivi ed emotivi. Solo quando l’uomo ha raggiunto equilibrio e maturazione umana in questo campo, è pronto per accedere alla contemplazione, che Riccardo definisce come "uno sguardo profondo e puro dell’anima riversato sulle meraviglie della sapienza, associato a un senso estatico di stupore e di ammirazione" (Benjamin Maior 1,4: PL 196,67).

La contemplazione quindi è il punto di arrivo, il risultato di un arduo cammino, che comporta il dialogo tra la fede e la ragione, cioè – ancora una volta – un discorso teologico. La teologia parte dalle verità che sono oggetto della fede, ma cerca di approfondirne la conoscenza con l’uso della ragione, appropriandosi del dono della fede. Questa applicazione del ragionamento alla comprensione della fede viene praticata in modo convincente nel capolavoro di Riccardo, uno dei grandi libri della storia, il De Trinitate (La Trinità). Nei sei libri che lo compongono egli riflette con acutezza sul Mistero di Dio uno e trino. Secondo il nostro autore, poiché Dio è amore, l’unica sostanza divina comporta comunicazione, oblazione e dilezione tra due Persone, il Padre e il Figlio, che si trovano fra loro in uno scambio eterno di amore. Ma la perfezione della felicità e della bontà non ammette esclusivismi e chiusure; richiede anzi l’eterna presenza di una terza Persona, lo Spirito Santo. L’amore trinitario è partecipativo, concorde, e comporta sovrabbondanza di delizia, godimento di gioia incessante. Riccardo cioè suppone che Dio è amore, analizza l’essenza dell’amore, che cosa è implicato nella realtà amore, arrivando così alla Trinità delle Persone, che è realmente l’espressione logica del fatto che Dio è amore.

Riccardo tuttavia è consapevole che l’amore, benché ci riveli l’essenza di Dio, ci faccia "comprendere" il Mistero della Trinità, è pur sempre un’analogia per parlare di un Mistero che supera la mente umana, e – da poeta e mistico quale è – ricorre anche ad altre immagini. Paragona ad esempio la divinità a un fiume, a un’onda amorosa che sgorga dal Padre, fluisce e rifluisce nel Figlio, per essere poi felicemente diffusa nello Spirito Santo.

Cari amici, autori come Ugo e Riccardo di San Vittore elevano il nostro animo alla contemplazione delle realtà divine. Nello stesso tempo, l’immensa gioia che ci procurano il pensiero, l’ammirazione e la lode della Santissima Trinità, fonda e sostiene l’impegno concreto di ispirarci a tale modello perfetto di comunione nell’amore per costruire le nostre relazioni umane di ogni giorno. La Trinità è veramente comunione perfetta! Come cambierebbe il mondo se nelle famiglie, nelle parrocchie e in ogni altra comunità i rapporti fossero vissuti seguendo sempre l’esempio delle tre Persone divine, in cui ognuna vive non solo con l’altra, ma per l’altra e nell’altra! Lo ricordavo qualche mese fa all’Angelus: "Solo l'amore ci rende felici, perché viviamo in relazione, e viviamo per amare e per essere amati" (L’Oss. Rom., 8-9 giugno 2009, p. 1). È l’amore a compiere questo incessante miracolo: come nella vita della Santissima Trinità, la pluralità si ricompone in unità, dove tutto è compiacenza e gioia. Con sant’Agostino, tenuto in grande onore dai Vittorini, possiamo esclamare anche noi: "Vides Trinitatem, si caritatem vides - contempli la Trinità, se vedi la carità" (De Trinitate VIII, 8,12).


[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto con affetto i pellegrini italiani. In particolare rivolgo un cordiale benvenuto ai sacerdoti della diocesi di Forlì-Bertinoro, assicurando la mia preghiera affinché possano rinnovare generosamente i loro propositi di fedeltà alla chiamata del Signore. Saluto i rappresentanti del Centro Benedetto XIII, di Gravina, qui convenuti con il Vescovo Mons. Mario Paciello, esortandoli a far conoscere sempre più la luminosa figura di questo Pontefice, che servì il Vangelo e la Chiesa con ardore apostolico. Saluto altresì i fedeli della parrocchia Santa Maria Assunta in Cervia, i partecipanti al pellegrinaggio promosso dall’Ordine dei Minimi e gli alunni del liceo Parini di Barzanò.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Domenica prossima, inizia il tempo di Avvento. Esorto voi, giovani, a vivere questo "tempo forte" con vigile preghiera e generoso impegno evangelico. Incoraggio voi, malati, a sostenere con l'offerta delle vostre sofferenze il cammino di preparazione al Santo Natale del popolo cristiano. Auguro a voi, sposi novelli, di essere testimoni dello Spirito d'amore che anima e sostiene l'intera Famiglia di Dio.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


Avvenire, 26 Novembre 2009 - BIOETICA - Ru486, Senato blocca immissione in commercio
La commissione Sanità di palazzo Madama ha approvato, a maggioranza, con il voto favorevole di Pdl e Lega e quello contrario del Pd, il documento finale dell'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva RU486 presentato dal presidente e relatore Antonio Tomassini, nel quale si chiede di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola abortiva in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità tra la legge 194 e la RU486.

La mozione del relatore Antonio Tomassini è stata approvata a maggioranza. Quattordici i voti a favore, compreso quello del presidente della commissione, e 8 quelli contrari, tutti dell'opposizione. Secondo i regolamenti dell'indagine conoscitiva, le altre 2 mozioni, della senatrice radicale eletta nelle fila del Pd, Donatella Poretti, e quella del partito Democratico, non sono state votate, perchè precluse dal voto favorevole della mozione di maggioranza.

Alla fine è arrivato anche il voto di Antonio Tomassini, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato, per bloccare la procedura di immissione in commercio in Italia della pillola abortiva Ru486. "Alla fine ho voluto votare anch'io - spiega Tomassini - era doveroso in quanto ero il relatore della mozione. Ho votato anche da uomo che esprime un'opinione politica e da medico che opera in questo settore".Sulle ricadute politiche del voto, Tomassini non si sbilancia. "Ora tutto comparirà sui resoconti parlamentari - dice - e sarà inviato agli organi di Governo. L'indagine conoscitiva sulla pillola è servita per far maturare in tutti gli esatti termini di questa vicenda. Tutto è stato fatto in modo approfondito e imparziale, quindi l'indagine assume ancora più rilevanza".Dal presidente-relatore c'è soddisfazione per il fatto che tutti, maggioranza e opposizione, "hanno ritenuto che l'indagine è stata utile e necessaria. I punti di divisione - termina - sono stati solo sulla procedura utilizzata da Aifa ed Emea".


SCOLA/ 3. Chiosso: i cattolici possono battere l'indifferentismo con l'esperienza - INT. Giorgio Chiosso giovedì 26 novembre 2009 – ilsussidiario.net
«La gente non arriva nemmeno al concetto del relativismo, ma vive le sue conseguenze, confinata nell’empiria, nella quotidianità, nell’immediatezza. E basta. Gli adulti dovrebbero recuperare la consapevolezza dell’importanza dell’educazione come trasmissione da una generazione all’altra». Continua il dibattito aperto dal cardinale Angelo Scola sulla presenza dei cattolici nella società di oggi. Dopo Sandro Magister e Aldo Cazzullo, interviene Giorgio Chiosso, esperto di sistemi educativi e docente nell’Università di Torino.



Il cardinale Scola afferma che l’emergenza educativa c’è oggi come non mai e che “si tratta di ritrovare le modalità adeguate per educare”. Quali sono i pilastri o i concetti forti di una educazione della personalità oggi?



Prima di tutto occorre richiamare a una responsabilità del mondo adulto anziché lambiccarsi con strategie e aspetti operativi. Gli adulti dovrebbero recuperare la consapevolezza dell’importanza dell’educazione come trasmissione da una generazione all’altra. Questo è basilare. Ciò deve essere attuato dentro una visione complessiva che ridia senso alle cose che quotidianamente si fanno. Al di là delle parole “nichilismo” o “relativismo” ho infatti l’impressione che predomini un forte “indifferentismo”.



Cosa intende dire?



La gente non arriva nemmeno al concetto del relativismo, ma vive le sue conseguenze, confinata nell’empiria, nella quotidianità, nell’immediatezza. E basta. Penso che riusciremo a contenere l’emergenza facendo ritornare all’evidenza il bisogno di un senso educativo ed esistenziale. Poi ritengo che un bisogno importante risieda nei modelli educativi. Non occorre “mettersi a fare educazione”, ma “stare” con coloro che devono essere educati, essere in primo luogo testimoni dell’educazione. Se non recuperiamo questa dimensione possiamo parlare quanto vogliamo, non risponderemo mai all’emergenza educativa.



Una nuova più consapevole presenza cristiana deve, secondo Scola, “far passare attraverso costumi buoni uno stile di vita che sia in grado di rispondere al desiderio di felicità e libertà”. Cosa pensa di questo approccio?



Oggi abbiamo tutta una società, un clima culturale, diversi stili di vita veicolati dai media e dai grandi personaggi che ci circondano che o assegnano il primato alla soddisfazione personale, al soddisfacimento del desiderio individuale o, su un altro versante, trovano il soddisfacimento nell’affermazione di sé attraverso il lavoro. E queste due strategie raramente riescono a mettere di fronte le persone a quella “totalità del reale” di cui parlava don Giussani e di cui è impregnata l’idea di educazione. Perché si fermano al livello dell’esperienza quotidiana, del soddisfacimento dei bisogni più immediati, anche bisogni rispettabili come quello del lavoro. Quando però quest’ultimo oltrepassa la ragionevolezza del tempo dedicatogli e diventa fine a se stesso, diventa un elemento che inibisce la realizzazione dell’umano che c’è in noi. Credo che il grande sforzo sia sempre quello di proporre dei modelli educativi nei quali noi non diciamo tanto come stanno le cose, ma perché stanno le cose.



Secondo lei come il Progetto culturale della Cei è funzionale a questa risposta educativa?

Il libro “La sfida educativa” è un’opera importante in questo senso. È un libro utile anche ai non addetti ai lavori oltre che agli insegnanti, ai genitori, agli educatori, ai catechisti e a tutte le persone che hanno a che fare con il mondo dell’educazione. È un libro che si sforza di essere “concreto”, esamina i diversi aspetti della vita educativa, dalla scuola al tempo libero, al lavoro e quindi credo che sia un utile sussidio. Certo è che se ci si basa soltanto sull’esperienza del libro evidentemente si avrà un risultato limitato. Io mi auguro che questo testo solleciti molti dibattiti innanzitutto nel mondo cattolico, ma credo diventerà quanto mai prezioso se dal testo passeremo all’esperienza. Dovrebbe essere l’occasione per rivitalizzare tanti aspetti del mondo cattolico, di coloro che si riconoscono intorno all’esigenza di introdurre i giovani alla vita cristiana.



Contro il relativismo e lo smarrimento di noi uomini postmoderni Scola invoca il criterio dell’esperienza morale elementare. Quali sono le potenzialità educative di questa concezione? È un criterio in grado di resistere alla prova delle ideologie riduzioniste?



Certamente la dimensione morale è uno dei principali canali di ingresso dell’evento e del processo educativo, nonché dell’esito educativo. Perché sicuramente ci mette in contatto per un verso con l’idea del bene e per un altro verso con l’idea della responsabilità personale. Credo che uno degli elementi più assenti nel mondo educativo odierno è l’idea che ciascuno sia responsabile non solo verso se stesso, ma anche verso gli altri. Non abbiamo bisogno di andare molto lontano per trovare esempi di relatività morale dove il bene coincide con un bene personale. Naturalmente vincendo, come oggi accade, l’idea di un bene non condiviso, i “beni” diventano quante sono le persone: questo comporta la diffrazione dell’idea di moralità scadendo nel relativismo etico e rendendo comunemente accettata qualunque istanza che torni al soddisfacimento personale del singolo.



Secondo lei è ancora possibile una “strategia” della presenza cattolica in Italia? Il cardinal Scola sembra escluderlo, rimandando tutto alla presenza: “l’identità non si comunica con strategie e progetti”…



In parte ho già risposto parlando del libro della Cei. Sono convinto che dentro il mondo cattolico ci siano molte più risorse educative di quanto comunemente si creda. Queste presenze spesso sono silenti, non hanno una grande visibilità pubblica, ma si realizzano nel microcosmo del territorio, nell’esperienza delle parrocchie, dei gruppi giovanili, delle attività che spesso vengono organizzate in ambiti comunitari. Il vero problema, come dice il cardinale, non credo che sia quello di elaborare a tavolino una strategia, ma quello di ri-animare, fare una trasfusione di sensibilità, di convinzione educativa nel mondo cattolico.



E per quanto riguarda la presenza cattolica all’interno delle istituzioni scolastiche?



Vedo piuttosto debole l’attenzione del mondo cattolico verso la scuola. Se penso a qualche anno fa questa vigilanza era molto più diffusa, forse perché si trattava degli anni della contestazione, gli anni di una iper-ideologizzazione della scuola. Noi però oggi non dobbiamo pensare che la presenza cristiana nella scuola sia affidata al lavoro degli insegnanti di religione. Questa è una mentalità perdente.



Cosa fare allora?



Io penso che invece ci debba essere un’attenzione delle comunità cristiane verso la scuola come un bene comune al quale concorrere, non tanto in una posizione difensiva, ma proprio per sostenere l’educazione. Non possiamo concepire la scuola esclusivamente come una fucina di idee laiciste dalla quale preservare le giovani menti, ma dobbiamo andare positivamente a giocare il nostro ruolo all’interno degli strumenti educativi di cui disponiamo.


Il mondo ha bisogno di bellezza - Massimo Camisasca giovedì 26 novembre 2009 – ilsussidiario.net
L’arte e gli artisti hanno da sempre interessato la Chiesa. È per una ragione che ha attinenza profonda con il cuore stesso del Cristianesimo. Esso non è nient’altro che questo: Dio prende la carne di un uomo per raggiungere gli uomini di ogni tempo e di ogni spazio.


Da allora, dall’Incarnazione, la sorte di Dio e quella degli uomini sono definitivamente congiunte. A dire il vero, tutto ciò era già manifesto nell’atto creativo di Dio. Egli, che rimane trascendente e irraggiungibile, Colui che non può essere guardato in volto dall’uomo, che non può essere compreso dai concetti umani, assume un volto d’uomo e si esprime con le parole degli uomini.



L’Islam, per sottolineare l’assoluta trascendenza di Dio, nega ogni possibilità all’arte figurativa di rappresentarlo. Nelle moschee non ci sono immagini. Solo le parole del Corano, che descrivono meravigliosi arabeschi che, in verità, potrebbero da lontano far pensare a oggetti, a case, financo a persone. Ma tutto infine si risolve nella distanza assoluta di fronte all’Eterno.



La Chiesa ha dovuto sostenere la lotta iconoclasta. Di fronte a una possibile idolatria nei confronti delle icone, nell’VIII secolo, il Papa dovette precisare: “No all’adorazione delle immagini, sì alla rappresentazione del divino attraverso forme umane”. Negare questo avrebbe voluto dire colpire al cuore il mistero stesso dell’incarnazione.



Per tutte queste ragioni, la storia dell’arte occidentale, fin dal secondo e terzo secolo, è segnata dal racconto degli eventi della storia della salvezza. Dal Buon Pastore delle catacombe nascerà una serie infinita di artisti. Solo rammentare alcuni di questi nomi ci dà la percezione dell’imponenza di ciò che è nato, nel campo dell’arte e non solo della pittura, ma anche della musica e dell’architettura, dal Verbo fatto carne.



Le diverse sensibilità possono essere più attratte da Giotto o dall’Angelico, da Simone Martini o da Duccio di Boninsegna, da Piero della Francesca o da Masaccio, da Raffaello o da Michelangelo, da Tiziano o… A un certo punto, però, la catena si interrompe. Non manca una continuità di temi, ma essa si fa sempre più esteriore, formale, manieristica, ai temi cristiani si sovrappongono quelli pagani. Bisogna allora tornare all’arte e agli artisti, ma per un’altra strada: non più attraverso i temi della storia sacra, ma attraverso i temi della vita, attraverso i drammi dell’esistenza, di cui parole, suoni e dipinti portano ricca testimonianza.



Se il Settecento e l’Ottocento hanno in un certo senso segnato una cesura profonda con il passato dal punto di vista tematico, è rimasta la grande capacità degli artisti di catturare le domande dell’uomo. Se non hanno più ritratto Dio, hanno continuato a parlare dell’esistenza e delle sue questioni fondamentali. Si è aperto così un altro filone fecondo di incontro tra la Chiesa e gli artisti, che le iniziative di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno cercato di catturare.



Paolo VI ha operato il miracolo di un riavvicinamento. Si è curvato con umiltà sugli artisti per dire loro: «Abbiamo bisogno di voi». Da sempre sensibile all’arte contemporanea, ha creato in Vaticano una vera e propria collezione di opere create dai più grandi artisti del nostro tempo. Arrivò a dire che bisogna far coincidere il sacerdozio con l’arte.


Giovanni Paolo II ha scritto una lettera agli artisti in occasione dell’anno giubilare del Duemila. Forse non era ancora il tempo per un nuovo incontro fisico. Questo l’ha voluto Benedetto XVI. Nella cappella Sistina, dunque, non solo si sono ritrovati Pietro e tanti interpreti dell’arte del nostro tempo. Essi si sono incontrati nel luogo in cui si eleggono i Papi, con il Perugino, il Botticelli, il Ghirlandaio. Con Michelangelo, con la storia del mondo come alleanza tra Dio e l’uomo.



A tutti questi fatti si è ricollegato Benedetto XVI. Fatti che riguardano la sua stessa vicenda personale, la sua sensibilità, la sua teologia, che mette la carità e la bellezza come strade inscindibili del cammino verso la verità. Non è un caso che i due grandi maestri di Ratzinger siano stati sant’Agostino e san Bonaventura.



Profeticamente Paolo VI aveva detto, alla fine del Concilio: «Il mondo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione». Sempre di più il pontificato di Benedetto XVI, con una sua peculiarità evidente, mi sembra riprendere i temi fondamentali del pontificato montiniano.


FILOSOFIA/ Vailati, il pragmatismo come terza via del pensiero contemporaneo - Redazione giovedì 26 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Negli ultimi due mesi si sono tenuti a Milano e a Bologna due importanti convegni sulla figura di Giovanni Vailati, matematico e filosofo cremasco del quale ricorre quest’anno l’anniversario della morte. I due convegni partivano da presupposti diversi (“ripensare il pragmatismo” era quello del convegno milanese; il rapporto con la filosofia contemporanea, soprattutto di stampo analitico, il tema del workshop bolognese), ma erano accomunati dall’idea di vedere se le idee del più “profetico” dei pensatori italiani di inizio novecento avessero ancora una validità e una vitalità.

Tra gli intervenuti alcuni dei grandi nomi delle discipline in questione: a Milano C. Hookway (l’autore del Peirce della Routledge), J. Margolis (l’avversario pragmatista del post-modernismo), F. Zalamea (il filosofo della matematica dei fasci e delle categorie); a Bologna P. Suppes (uno dei grandi teorici della probabilità che ha appena tradotto in inglese dei Selected Papers di Vailati: Logic and Pragmatism, SCLA 2009). Oltre alla solita schiera di studiosi italiani del pragmatismo (oltre al sottoscritto, Calcaterra, Fabbrichesi, Ferrari, Quaranta, De Zan, Tuzet, Cantù) e, a Milano, un gruppetto di giovani studiosi che hanno dato vita a una sessione vivace e promettente.

A parte i dubbi sulla formula convegnistica, ancora necessaria per scambiare idee fra studiosi ma del tutto ignorata dagli studenti e dai non-specialisti, veniamo al contenuto. Vailati è stato un grande pensatore morto troppo giovane (46 anni) per esprimere un sistema compiuto, tuttavia è stato collaboratore di Peano nell’estensione del Formulario, ha individuato prima degli altri la forza della nuova logica simbolica, e – soprattutto – in un’epoca dominata da positivismo e idealismo ha mostrato che l’esperienza e la ragione sono ambiti ben più vasti dell’empirismo del primo e dell’intellettualismo del secondo.


Ciò che rimane oggi è che proprio per questa concezione ampia di esperienza e di ragione il pragmatismo, la cui regola fondamentale è che il significato di un concetto coincide con la somma degli effetti concepibili che esso produce, è ancora vivo perché propone una “terza via” tra l’arbitrarietà di un’ermeneutica che tende a privarsi di metodi condivisibili e la ristrettezza di una metodologia analitica spesso priva di orizzonti di significato.

Già cento anni fa Vailati, nel suo anti-kantismo viscerale, mostrava che non si possono dividere i regni della pratica e quello della teoria, che l’estetica e la storia sono decisivi all’interno delle scienze, che la distinzione tra ragionamenti sintetici e analitici andrebbe indebolita e letta genealogicamente perché i primi danno vita ai secondi e non viceversa. Insomma Vailati aveva capito che l’esperienza è “spessa” – per dirla con James – e la nostra conoscenza si muove all’interno di questa complessità collegando argomenti che nascono da parti diverse di essa. Più la ragione è agile nel muoversi fra le discipline e i diversi argomenti, senza rifiutare nulla (Vailati come tutti i pragmatisti non rigettava a priori né scienza né religione, né metafisica né logica, né psicologia né sociologia) più è facile che essa sia feconda di idee e ricca di risultati (“dai frutti li riconoscerete” era la traduzione evangelica che Peirce dava del pragmatismo).

Tale unitarietà dell’esperienza e dei metodi di ricerca si ripropone oggi come una necessità quando il paradigma analitico ha esaurito il pensiero sulla matematica di inizio novecento e ne occorre uno nuovo capace di pensare la matematica della seconda metà del secolo scorso con la sua tendenza alla geometrizzazione (Zalamea), i problemi dell’identità dopo la scoperta della narratività e dell’appartenenza come caratteri essenziali dell’io (Calcaterra), la tendenza all’azione propria del pensiero occidentale (Fabbrichesi).


Massimo Ferrari, forse lo storico della filosofia più preparato sulla filosofia europea tra ’800 e ’900, ha fatto vedere che la figura di Vailati è emblematica per dimostrare che prima dell’emigrazione dal circolo di Vienna ad Harvard Square che ha generato l’espansione della filosofia analitica si debba riconoscere un altro viaggio, quello delle idee pragmatiste da Harvard Square all’Europa. Ricomprendere la ricchezza di quel primo viaggio, tradotta e tradita nel secondo, può forse prepararci a una nuova comprensione, sintetica, sia della filosofia europea sia di quella americana.

(Giovanni Maddalena)


La "Dichiarazione di Manhattan": il manifesto che scuote l'America - L'hanno sottoscritta leader cattolici, protestanti, ortodossi, uniti nel difendere la vita e la famiglia. Con la Casa Bianca nel mirino. In Europa l'avrebbero bollata come una "ingerenza" politica della Chiesa - di Sandro Magister
ROMA, 25 novembre 2009 – Al di qua dell'Atlantico la notizia è passata quasi inosservata: quella di un forte appello pubblico a difesa della vita, del matrimonio, della libertà religiosa e dell'obiezione di coscienza, lanciato congiuntamente – cosa rara – da esponenti di primissimo piano della Chiesa cattolica, delle Chiese ortodosse, della Comunione anglicana e delle comunità evangeliche degli Stati Uniti.

Tra i leader religiosi che hanno presentato al pubblico l'appello, venerdì 20 novembre al National Press Club di Washington (vedi foto), c'erano l'arcivescovo di Philadelphia, cardinale Justin Rigali, l'arcivescovo di Washington, Donald W. Wuerl, e il vescovo di Denver, Charles J. Chaput.

E tra i 152 primi sottoscrittori dell'appello ci sono altri 11 arcivescovi e vescovi cattolici degli Stati Uniti: il cardinale Adam Maida, di Detroit, Timothy Dolan, di New York, John J. Myers, di Newark, John Nienstedt, di Saint Paul and Minneapolis, Joseph F. Naumann, di Kansas City, Joseph E. Kurtz, di Louisville, Thomas J. Olmsted, di Phoenix, Michael J. Sheridan, di Colorado Springs, Salvatore J. Cordileone, di Oakland, Richard J. Malone, di Portland, David A. Zubik, di Pittsburgh.

L'appello, di 4.700 parole, ha per titolo: "Manhattan Declaration: A Call of Christian Conscience [Dichiarazione di Manhattan. Un appello della coscienza cristiana]" e ha preso nome dalla penisola di New York in cui ne fu discussa e decisa la pubblicazione, lo scorso settembre.

La redazione finale del testo fu affidata al cattolico Robert P. George, professore di diritto alla Princeton University, e agli evangelici Chuck Colson e Timothy George, quest'ultimo professore della Beeson Divinity School, nella Samford University di Birmingham in Alabama.

Tra gli altri firmatari figurano il metropolita Jonah Paffhausen, primate della Chiesa ortodossa in America, l'arciprete Chad Hatfield, del seminario teologico ortodosso di San Vladimiro, il reverendo William Owens, presidente della Coalition of African-American Pastors, e due personaggi di spicco della Comunione anglicana: Robert Wm. Duncan, primate della Anglican Church in North America, e Peter J. Akinola, primate della Anglican Church in Nigeria.

Tra i cattolici, vescovi a parte, hanno sottoscritto l'appello il gesuita Joseph D. Fessio, discepolo di Joseph Ratzinger e fondatore dell'editrice Ignatius Press, William Donohue, presidente della Catholic League, Jody Bottum, direttore della rivista "First Things", George Weigel, membro dell'Ethics and Public Policy Center.

La "Dichiarazione di Manhattan" non cade nel vuoto, ma in un momento critico per la società e la politica americane: proprio mentre l'amministrazione di Barack Obama è impegnatissima a far passare un piano di riforma dell'assistenza sanitaria negli Stati Uniti.

Difendendo la vita umana fin dal concepimento e il diritto all'obiezione di coscienza, l'appello contesta due punti messi in pericolo dal progetto di riforma attualmente in discussione al Senato.

Al Congresso il pericolo è stato sventato anche grazie a una pressante azione di lobbying condotta alla piena luce del sole dall'episcopato cattolico. Dopo che il voto finale aveva garantito sia il diritto all'obiezione di coscienza sia il blocco di qualsiasi finanziamento pubblico all'aborto, la conferenza episcopale aveva rivendicato questo risultato come un "successo". Ma ora al Senato la battaglia è ricominciata da capo, su un testo di partenza che di nuovo la Chiesa giudica inaccettabile. La conferenza episcopale ha già indirizzato ai senatori una lettera con indicate le modifiche che vorrebbe fossero apportate a tutti i punti controversi.

Ma ora in più c'è l'ecumenica "Dichiarazione di Manhattan", il cui ultimo capitolo, intitolato "Leggi ingiuste", termina con questo annuncio solenne:

"Non ci faremo ridurre al silenzio o all'acquiescenza o alla violazione delle nostre coscienze da qualsiasi potere sulla terra, sia esso culturale o politico, indipendentemente dalle conseguenze su noi stessi".

E subito dopo:

"Noi daremo a Cesare ciò che è di Cesare, in tutto e con generosità. Ma in nessuna circostanza noi daremo a Cesare ciò che è di Dio".

In un passaggio iniziale, l'appello dice anche questo:

"Mentre l'opinione pubblica si muove in direzione pro-life, forze potenti e determinate lavorano per promuovere l'aborto, la ricerca distruttiva degli embrioni, il suicidio assistito e l'eutanasia".

Ed è vero. Stando alle più recenti indagini, l'opinione pubblica negli Stati Uniti sta virando sensibilmente verso una maggiore difesa della vita del concepito.

Dal 1995 al 2008 tutte le ricerche avevano registrato una prevalenza dei pro-choice rispetto ai pro-life, con distacco anche netto: i primi al 49 per cento, i secondi al 42.
Oggi, invece, le posizioni si sono rovesciate. I pro-choice sono calati al 46 per cento e i pro-life sono saliti al 47 per cento, sopravanzandoli.

I leader religiosi che incalzano Obama sui terreni minati dell'aborto, del matrimonio tra omosessuali, dell'eutanasia, sanno quindi di avere con sé un'ampia e crescente parte della società americana.

Il lancio della "Dichiarazione di Manhattan" ha avuto una forte eco nei media degli Stati Uniti, senza che qualcuno protestasse contro questa "ingerenza" politica delle Chiese.

Ma gli Stati Uniti sono fatti così. Lì c'è da sempre una rigorosa separazione tra le religioni e lo Stato. I concordati non ci sono e nemmeno sono concepibili. Ma proprio per questo si riconosce alle Chiese la piena libertà di parlare e di agire in campo pubblico.

In Europa il paesaggio è molto diverso. Qui la "laicità" è pensata e applicata in conflitto, latente od esplicito, con le Chiese.

È anche questo, forse, un motivo del silenzio che in Europa, in Italia, a Roma, ha coperto la "Dichiarazione di Manhattan". È ritenuta un fenomeno tipicamente americano, estraneo ai canoni di giudizio europei.

Un'analoga diversità di approccio riguarda la comunione eucaristica data o negata ai politici cattolici pro aborto. Negli Stati Uniti la controversia è vivacissima, mentre al di qua dell'Atlantico no. Questa diversa sensibilità divide anche la gerarchia della Chiesa cattolica: in Europa e a Roma la questione è praticamente ignorata, lasciata alla coscienza dei singoli.

Va notato però che su questo punto qualcosa sta cambiando, anche nel Vecchio Continente. E non solo perché c'è un papa come Benedetto XVI che dichiaratamente preferisce il modello americano di rapporto tra le Chiese e lo Stato.

Un segnale è venuto pochi giorni fa dalla Spagna, dove la Chiesa cattolica è alle prese con un governo ideologicamente ostile, quello di José Luis Rodríguez Zapatero, e dove si prepara una legge che liberalizza l'aborto più di quanto già sia.

Secondo quanto ha riferito anche "L'Osservatore Romano", il segretario generale della conferenza episcopale spagnola, il vescovo Juan Antonio Martínez Camino, non ha esitato ad avvisare i politici cattolici che, se voteranno sì alla legge, non potranno essere ammessi alla comunione eucaristica, perchè si collocheranno in una situazione oggettiva di “peccato pubblico”.

Non solo. Monsignor Martínez Camino ha aggiunto che chi sostiene che è moralmente legittimo uccidere un nascituro si mette in contraddizione con la fede cattolica e pertanto rischia di cadere nell’eresia e nella scomunica “latae sententiae”, cioè automatica.

È la prima volta che in Europa, da parte di un dirigente di una conferenza episcopale, si odono parole così "americane".

Ma torniamo alla "Dichiarazione di Manhattan". Il suo testo integrale, con la lista dei 152 primi sottoscrittori, è in questa pagina web:

> Manhattan Declaration: A Call of Christian Conscience

Mentre qui di seguito, tradotto, c'è il testo abbreviato, diffuso assieme al testo integrale della "Dichiarazione":


Manhattan Declaration Executive Summary

20 novembre 2009


I cristiani, quando hanno dato vita ai più alti ideali della loro fede, hanno difeso il debole e il vulnerabile e hanno lavorato instancabilmente per proteggere e rafforzare le istituzioni vitali della società civile, a cominciare dalla famiglia.

Noi siamo cristiani ortodossi, cattolici ed evangelici che si sono uniti nell'ora presente per riaffermare le verità fondamentali della giustizia e del bene comune, e per lanciare un appello ai nostri concittadini, credenti e non credenti, affinché si uniscano a noi nel difenderli. Queste verità sono (1) la sacralità della vita umana, (2) la dignità del matrimonio come unione coniugale tra marito e moglie, e (3) i diritti di coscienza e di libertà religiosa. In quanto queste verità sono fondative della dignità umana e del benessere della società, esse sono inviolabili e innegoziabili. Poiché esse sono sempre più sotto attacco da parte di forze potenti nella nostra cultura, noi ci sentiamo in dovere oggi di parlare a voce alta in loro difesa e di impegnare noi stessi a onorarle pienamente, non importa quali pressioni siano esercitate su di noi e sulle nostre istituzioni affinché le abbandoniano o le pieghiamo a compromessi. Noi prendiamo questo impegno non come partigiani di un gruppo politico ma come seguaci di Gesù Cristo, il Signore crocifisso e risorto, che è la Via, la Verità e la Vita.

Vita umana

Le vite dei nascituri, dei disabili e dei vecchi sono sempre più minacciate. Mentre l'opinione pubblica si muove in direzione pro-life, forze potenti e determinate lavorano per promuovere l'aborto, la ricerca distruttiva degli embrioni, il suicidio assistito e l'eutanasia. Nonostante la protezione del debole e del vulnerabile sia il dovere primo di un governo, il potere di governo è oggi spesso guadagnato alla causa della promozione di quella che Giovanni Paolo II ha chiamato "la cultura della morte". Noi ci impegniamo a lavorare incessantemente per l'eguale protezione di ogni essere umano innocente ad ogni stadio del suo sviluppo e in qualsiasi condizione. Noi rifiuteremo di consentire a noi stessi e alle nostre istituzioni di essere implicati nel cancellare una vita umana e sosterremo in tutti i modi possibili coloro che, in coscienza, faranno la stessa cosa.

Matrimonio

L'istituto del matrimonio, già ferito da promiscuità, infedeltà e divorzio, corre il rischio di essere ridefinito e quindi sovvertito. Il matrimonio è l'istituto originario e più importante per sostenere la salute, l'educazione e il benessere di tutti. Dove il matrimonio è eroso, le patologie sociali aumentano. La spinta a ridefinire il matrimonio è un sintomo, piuttosto che la causa, di un'erosione della cultura del matrimonio. Essa riflette una perdita di comprensione del significato del matrimonio così come è incorporato sia nella nostra legge civile, sia nelle nostre tradizioni religiose. È decisivo che tale spinta trovi resistenza, poiché cedere ad essa vorrebbe dire abbandonare la possibilità di ridar vita a una giusta concezione del matrimonio e, con essa, alla speranza di ricostruire una corretta cultura del matrimonio. Questo bloccherebbe la strada alla credenza falsa e distruttiva che il matrimonio coincida con un'avventura sentimentale e altre soddisfazioni per persone adulte, e non, per sua natura intrinseca, con quell'unico carattere e valore di atti e relazione il cui significato è dato dalla sua capacità di generare, promuovere e proteggere la vita. Il matrimonio non è una "costruzione sociale" ma è piuttosto una realtà oggettiva – l'unione pattizia tra un marito e una moglie – che è dovere della legge riconoscere, onorare e proteggere.

Libertà religiosa

Libertà di religione e diritti della coscienza sono gravemente in pericolo. La minaccia a questi principi fondamentali di giustizia è evidente negli sforzi di indebolire o eliminare l'obiezione di coscienza per gli operatori e gli istituti sanitari, e nelle disposizioni antidiscriminazione che sono usate come armi per forzare le istituzioni religiose, gli enti di assistenza, le imprese economiche e i fornitori di servizi sia ad accettare (e anche a facilitare) attività e rapporti da essi giudicati immorali, oppure di essere messi fuori. Gli attacchi alla libertà religiosa sono pesanti minacce non solo a persone singole, ma anche a istituzioni della società civile che comprendono famiglie, enti di assistenza e comunità religiose. La salvaguardia di queste istituzioni provvede un indispensabile riparo da prepotenti poteri di governo ed è essenziale affinché fiorisca ogni altra istituzione su cui la società si appoggia, incluso lo stesso governo.

Leggi ingiuste

Come cristiani, crediamo nella legge e rispettiamo l'autorità dei governanti terreni. Riteniamo che sia uno speciale privilegio vivere in una società democratica dove le esigenze morali della legge su di noi sono anche più forti in virtù dei diritti di tutti i cittadini di partecipare al processo politico. Ma anche in un regime democratico le leggi possono essere ingiuste. E fin dalle origini la nostra fede ha insegnato che la disobbedienza civile è richiesta di fronte a leggi gravemente ingiuste o a leggi che pretendano che noi facciamo ciò che è ingiusto oppure immorale. Simili leggi mancano del potere di obbligare in coscienza poiché esse non possono rivendicare nessuna autorità oltre a quella della mera volontà umana.

Pertanto, si sappia che non acconsentiremo a nessun editto che obblighi noi o le istituzioni che guidiamo a compiere o a consentire aborti, ricerche distruttive dell'embrione, suicidi assistiti, eutanasie o qualsiasi altro atto che violi i principi della profonda, intrinseca ed eguale dignità di ogni membro della famiglia umana.

Inoltre, si sappia che non ci faremo ridurre al silenzio o all'acquiescenza o alla violazione delle nostre coscienze da qualsiasi potere sulla terra, sia esso culturale o politico, indipendentemente dalle conseguenze su noi stessi.

Noi daremo a Cesare ciò che è di Cesare, in tutto e con generosità. Ma in nessuna circostanza noi daremo a Cesare ciò che è di Dio.


Teologia ed evoluzionismo - Quando l'ominide si è accorto di esserci - Pubblichiamo alcuni stralci della prolusione tenuta il 25 novembre per l'apertura dell'anno accademico della Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna. - di Fiorenzo Facchini L'Osservatore Romano - 26 novembre 2009
La problematica sull'uomo riguarda non tanto l'epoca della comparsa delle prime forme umane, quanto la differenza tra animale e uomo. Si deve ammettere che il momento più alto della ominizzazione si è avuto quando l'ominide è stato arricchito dallo spirito che ne ha fatto un essere capace di pensare, di guardare a un altro ominide, pure elevato dallo spirito, come a un tu, quando l'ominide ha avuto coscienza di sé, si è accorto di esserci, quando ha incominciato ad agire liberamente, quando, potremmo anche aggiungere, ha percepito la presenza di Dio.
Un concetto che potrebbe essere tenuto presente è quello di emergenza. Ma l'emergenza dell'essere umano in forza dello spirito, trascende il piano biologico, non può paragonarsi ad altri eventi emergenti nell'ordine dei fattori naturali.
Del resto anche nel processo dell'animazione di ogni essere umano non riusciamo a rappresentarci come avvenga l'incontro della realtà fisica con quella spirituale nell'unico essere, che è la persona. L'anima infatti viene creata in modo immediato da Dio, senza passaggi intermedi, come più volte viene affermato nel magistero. L'anima in quanto tale non è un prodotto dell'ominide non umano e neppure dei cromosomi dei genitori. Secondo Karl Rahner si può parlare di autosuperamento o auto trascendimento attivo sia per la ominizzazione che per la generazione, nel senso che la causalità creata supera, in virtù della causalità divina, i limiti fissati alla sua essenza. La trascendentalità dell'azione divina fonda la capacità di realizzare l'autosuperamento. Si può pensare a un concorso della causalità divina e delle cause naturali, nel senso che l'azione divina, oltre a sostenere le cause seconde, le eleva a produrre un essere arricchito dello spirito (De Finance). Giustamente Giovanni Paolo II parla di un salto ontologico, perché con il pensiero e la coscienza ci si porta a un livello diverso della realtà puramente di ordine fisico, e proprio per questo non è rappresentabile o immaginabile con i nostri sensi.
Il problema dell'anima assume nuove connotazioni e problematiche alla luce delle neuroscienze. Un adeguato sviluppo del cervello è certamente necessario per le capacità intellettive dell'uomo. Ma per la mente non è questione solo di massa cerebrale, di connessioni, di reti neuronali alla cui attività si legano le diverse emozioni, il lavoro intellettuale, la memoria, gli stati di coscienza. Moderne tecniche consentono di studiare queste reazioni. Edelman parla di darwinismo neuronale, quasi che lo sviluppo dei circuiti neuronali del cervello sia il risultato della selezione. Viene esplorato il mistero della coscienza dell'uomo. Così facendo si riduce lo spazio del mistero o dell'ignoto, anche se personalmente penso non sarà mai tolto.
Su un certo fronte il naturalismo vorrebbe spiegare con la selezione naturale ogni comportamento umano, compreso quello morale e religioso; parallelamente su un altro fronte si vorrebbero giustificare con le neuroscienze i comportamenti intellettivi e le scelte della persona. In entrambi i casi si affaccia una visione riduzionistica dell'uomo, considerato in una identità puramente animale, o di ordine biologico per quanto elevata e cosciente possa essere, con tutte le conseguenze che si possono immaginare anche sul piano morale e sociale.
In stretta relazione con l'uomo sono alcune derivazioni del darwinismo che appaiono come derive e riguardano la società: il darwinismo sociale e l'eugenetica. Il darwinismo sociale, come teorizzazione della lotta fra le classi sociali per il progresso della società, sostenuto da Huxley e Spencer, è stato smentito da Darwin stesso ed è storicamente superato. L'eugenetica non rappresenta una diretta derivazione del darwinismo, anche se trova qualche premessa in alcune affermazioni di Darwin nell'opera Le origini dell'uomo. Essa, come noto, è stata sostenuta da alcuni discepoli di Darwin (Galton e Huxley), e ha ispirato comportamenti criminali nell'epoca del nazismo. Ora va riemergendo in forme più o meno velate nelle posizioni di coloro che sostengono la eliminazione di patologie ereditarie nel periodo prenatale.
Ci si potrebbe infine chiedere che cosa ha rappresentato la teoria dell'evoluzione per la teologia e per la visione cristiana. Francisco Ayala afferma che Darwin ha completato la rivoluzione copernicana, "trasferendo in campo biologico il concetto di natura come sistema ordinato di materia in movimento che la ragione umana può spiegare senza ricorrere ad agenti soprannaturali". In questa concezione si toglie anche all'uomo la sua centralità. Lo stesso Ratzinger nel 1969 riconosceva che Darwin ha scatenato una rivoluzione dell'immagine del mondo non inferiore a quella prodotta dalle teorie di Copernico. La dimensione del tempo tocca l'uomo più di quella dello spazio.
Ayala parla di Darwin come di un dono alla scienza e alla religione. Un'affermazione che sa di provocazione, ma che vuole richiamare lo stimolo che la teoria evolutiva ha rappresentato anche sotto il profilo religioso. Più che il meccanismo evolutivo suggerito da Darwin e al di là delle posizioni materialiste che vari scienziati hanno assunto, è il fatto stesso della evoluzione che può assumere importanza in una visione aperta al trascendente.
(©L'Osservatore Romano - 26 novembre 2009)


L’Italia può fermare la Ru486. Lo dice l’Europa - di Ilaria Nava – Avvenire, 26 novembre 2006
«Il problema della compatibilità tra la Ru486 e la legge 194 a mio parere può essere legittimamente sollevato dall’Italia presso la Commissione europea». Ad affermarlo è l’avvocato Vincenzo Salvatore, direttore del Dipartimento giuridico dell’Emea, l’Agenzia europea del farmaco. Ascoltato dalla Commissione Sanità del Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla Ru486, durante la sua audizione, il 12 novembre, ha chiarito i meccanismi che regolano le procedure di immissione in commercio dei farmaci a livello comunitario e come le decisioni europee si intersecano con quelle nazionali. Introducendo importanti elementi nuovi nei lavori dell’organismo parlamentare. Che non a caso, nelle conclusioni di cui nei giorni scorsi è trapelata la bozza, hanno tenuto nella massima considerazione le informazioni fornite dall’avvocato Salvatore.
In che senso è possibile sollevare l’eventuale incompatibilità tra la Ru486 e la legge 194?
«Innanzitutto chiarisco che posso parlare solo a titolo personale e non in quanto rappresentate dell’Emea, dal momento che quest’organo esercita un controllo sull’efficacia e la sicurezza del farmaco e non sulla sua compatibilità con le singole normative nazionali. Ogni Stato della Ue, in base alla procedura di mutuo riconoscimento, è obbligato ad autorizzare l’immissione in commercio di un farmaco già rilasciata in un altro Stato Ue. Tuttavia la direttiva 2001/83, che disciplina questa procedura, prevede anche un’eccezione, una clausola di salvaguardia, perché stabilisce che tale meccanismo 'non osta all’applicazione delle legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita, alla fornitura o l’uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi'».
Che cosa significa questa eccezione. in pratica?
«Che l’Italia potrebbe non essere obbligata ad autorizzare la Ru486 qualora si accertasse un’incompatibilità con la legge 194 sull’aborto. È importante tener presente che non stiamo parlando dei profili di efficacia e sicurezza del farmaco, ma di un possibile conflitto tra due ordinamenti, quello comunitario e quello nazionale. Ed è lo stesso ordinamento europeo a risolvere questo conflitto, affermando esplicitamente la prevalenza del diritto dei singoli Stati relativamente a farmaci abortivi o contraccettivi».
A chi spetta questa valutazione sull’incompatibilità?
«Innanzitutto all’Italia: gli organi preposti sono il Parlamento o il Governo che, qualora ravvisino un’incompatibilità tra l’immissione in commercio della Ru486 e le proprie leggi nazionali, devono sollevare la questione davanti alla Commissione europea, che è l’organo che vigila sulla corretta applicazione del diritto comunitario. La Commissione europea, in particolare la sezione che si occupa di industria e impresa, fa una valutazione sulla compatibilità con la legge nazionale e se giudica fondata la domanda dello Stato membro, permette allo Stato di non riconoscere l’autorizzazione al commercio. La ditta produttrice del farmaco, avendo un interesse specifico, potrà eventualmente far pervenire controdeduzioni, ma il dialogo si svolge esclusivamente tra lo Stato membro e la Commissione europea».
«A Malta, ad esempio, l’aborto è illegale, pertanto lo Stato ha fatto valere davanti alla Commissione, che l’ha riconosciuta, questa evidente incompatibilità. Lo stato di Malta, quindi, non è tenuto al mutuo riconoscimento e non si espone ad alcuna procedura di
Vi sono stati casi in cui è accaduto per la Ru486?
infrazione. Il caso di Malta è evidente, mentre è più elaborato l’accertamento di un’incompatibilità rispetto a uno Stato dove l’aborto è ammesso ma è sottoposto a determinate procedure».
Che ruolo ha l’Agenzia italiana del farmaco?
«L’Aifa ha compiuto interamente la procedura prevista, valutando la sicurezza, l’efficacia e la correttezza della procedura comunitaria. È necessario distinguere, infatti, tra l’iter autorizzatorio che lo Stato deve compiere e l’eventuale incompatibilità tra i due ordinamenti, quello nazionale e quello comunitario, su cui non decide l’Aifa ma, come ho detto, Governo e Parlamento, che possono decidere se farla valere in sede europea».
Nel frattempo però l’Aifa potrebbe pubblicare in Gazzetta Ufficiale la delibera di immissione in commercio della Ru486...
«La delibera pubblicata dall’Aifa può produrre i suoi effetti dal momento in cui avviene la pubblicazione, ma la sua efficacia potrebbe essere sospesa se viene sollevata la questione della sua incompatibilità con la normativa nazionale o se si afferma, ad esempio, che la procedura ivi prevista aggira, di fatto, la normativa nazionale».