giovedì 19 novembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: la bellezza, via per trovare Dio - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) Per Caterina e per noi - 18 novembre 2009 / In Articoli – dal Blog di Antonio Socci - Da oggi 18 novembre inizia la novena per la festa della Medaglia miracolosa (27 novembre) che ricorda le meravigliose apparizioni (avvenute a Rue du bac, Parigi) della Santa Vergine a Caterina Labouré, suora di 24 anni oggi proclamata santa.
3) Cattolici fuori dal guscio - Lorenzo Albacete giovedì 19 novembre 2009 – ilsussidiario.net
4) IDEE/ Spazzar via la famiglia, l'ultima trovata degli economisti “illuminati” - Marco Cobianchi giovedì 19 novembre 2009 – ilsussidiario.net
5) Ru486: ecco il dossier delle incongruenze - di Assuntina Morresi – Avvenire, 19 novembre 2009
6) EllaOne, l’aborto va in farmacia di Giuseppe Romano – Avvenire, 19 novembre 2009
7) Il tradimento delle diagnosi in gravidanza - il caso - Carlo Bellieni – Avvenire, 19 novembre 2009
8) «Provavo dolore, ma voi non mi capivate» - sul confine - di Emanuela Vinai – Avvenire, 19 novembre 2009

Benedetto XVI: la bellezza, via per trovare Dio - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 18 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI incontrando i fedeli e i pellegrini nell'Aula Paolo VI per la tradizionale Udienza generale.

Il Pontefice ha incentrato la sua meditazione sulle Cattedrali europee nel Medioevo cristiano.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Nelle catechesi delle scorse settimane ho presentato alcuni aspetti della teologia medievale. Ma la fede cristiana, profondamente radicata negli uomini e nelle donne di quei secoli, non diede origine soltanto a capolavori della letteratura teologica, del pensiero e della fede. Essa ispirò anche una delle creazioni artistiche più elevate della civiltà universale: le cattedrali, vera gloria del Medioevo cristiano. Infatti, per circa tre secoli, a partire dal principio del secolo XI si assistette in Europa a un fervore artistico straordinario. Un antico cronista descrive così l'entusiasmo e la laboriosità di quel tempo: "Accadde che in tutto il mondo, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, si incominciasse a ricostruire le chiese, sebbene molte, per essere ancora in buone condizioni, non avessero bisogno di tale restaurazione. Era come una gara tra un popolo e l'altro; si sarebbe creduto che il mondo, scuotendosi di dosso i vecchi cenci, volesse rivestirsi dappertutto della bianca veste di nuove chiese. Insomma, quasi tutte le chiese cattedrali, un gran numero di chiese monastiche, e perfino oratori di villaggio, furono allora restaurati dai fedeli" (Rodolfo il Glabro, Historiarum 3,4).

Vari fattori contribuirono a questa rinascita dell'architettura religiosa. Anzitutto, condizioni storiche più favorevoli, come una maggiore sicurezza politica, accompagnata da un costante aumento della popolazione e dal progressivo sviluppo delle città, degli scambi e della ricchezza. Inoltre, gli architetti individuavano soluzioni tecniche sempre più elaborate per aumentare le dimensioni degli edifici, assicurandone allo stesso tempo la saldezza e la maestosità. Fu però principalmente grazie all'ardore e allo zelo spirituale del monachesimo in piena espansione che vennero innalzate chiese abbaziali, dove la liturgia poteva essere celebrata con dignità e solennità, e i fedeli potevano sostare in preghiera, attratti dalla venerazione delle reliquie dei santi, mèta di incessanti pellegrinaggi. Nacquero così le chiese e le cattedrali romaniche, caratterizzate dallo sviluppo longitudinale, in lunghezza, delle navate per accogliere numerosi fedeli; chiese molto solide, con muri spessi, volte in pietra e linee semplici ed essenziali. Una novità è rappresentata dall'introduzione delle sculture. Essendo le chiese romaniche il luogo della preghiera monastica e del culto dei fedeli, gli scultori, più che preoccuparsi della perfezione tecnica, curarono soprattutto la finalità educativa. Poiché bisognava suscitare nelle anime impressioni forti, sentimenti che potessero incitare a fuggire il vizio, il male, e a praticare la virtù, il bene, il tema ricorrente era la rappresentazione di Cristo come giudice universale, circondato dai personaggi dell'Apocalisse. Sono in genere i portali delle chiese romaniche a offrire questa raffigurazione, per sottolineare che Cristo è la Porta che conduce al Cielo. I fedeli, oltrepassando la soglia dell'edificio sacro, entrano in un tempo e in uno spazio differenti da quelli della vita ordinaria. Oltre il portale della chiesa, i credenti in Cristo, sovrano, giusto e misericordioso, nell'intenzione degli artisti potevano gustare un anticipo della beatitudine eterna nella celebrazione della liturgia e negli atti di pietà svolti all'interno dell'edificio sacro.

Nel secoli XII e XIII, a partire dal nord della Francia, si diffuse un altro tipo di architettura nella costruzione degli edifici sacri, quella gotica, con due caratteristiche nuove rispetto al romanico, e cioè lo slancio verticale e la luminosità. Le cattedrali gotiche mostravano una sintesi di fede e di arte armoniosamente espressa attraverso il linguaggio universale e affascinante della bellezza, che ancor oggi suscita stupore. Grazie all'introduzione delle volte a sesto acuto, che poggiavano su robusti pilastri, fu possibile innalzarne notevolmente l'altezza. Lo slancio verso l'alto voleva invitare alla preghiera ed era esso stesso una preghiera. La cattedrale gotica intendeva tradurre così, nelle sue linee architettoniche, l'anelito delle anime verso Dio. Inoltre, con le nuove soluzioni tecniche adottate, i muri perimetrali potevano essere traforati e abbelliti da vetrate policrome. In altre parole, le finestre diventavano grandi immagini luminose, molto adatte ad istruire il popolo nella fede. In esse - scena per scena - venivano narrati la vita di un santo, una parabola, o altri eventi biblici. Dalle vetrate dipinte una cascata di luce si riversava sui fedeli per narrare loro la storia della salvezza e coinvolgerli in questa storia.

Un altro pregio delle cattedrali gotiche è costituito dal fatto che alla loro costruzione e alla loro decorazione, in modo differente ma corale, partecipava tutta la comunità cristiana e civile; partecipavano gli umili e i potenti, gli analfabeti e i dotti, perché in questa casa comune tutti i credenti erano istruiti nella fede. La scultura gotica ha fatto delle cattedrali una "Bibbia di pietra", rappresentando gli episodi del Vangelo e illustrando i contenuti dell'anno liturgico, dalla Natività alla Glorificazione del Signore. In quei secoli, inoltre, si diffondeva sempre di più la percezione dell'umanità del Signore, e i patimenti della sua Passione venivano rappresentati in modo realistico: il Cristo sofferente (Christus patiens) divenne un'immagine amata da tutti, ed atta a ispirare pietà e pentimento per i peccati. Né mancavano i personaggi dell'Antico Testamento, la cui storia divenne in tal modo familiare ai fedeli che frequentavano le cattedrali come parte dell'unica, comune storia di salvezza. Con i suoi volti pieni di bellezza, di dolcezza, di intelligenza, la scultura gotica del secolo XIII rivela una pietà felice e serena, che si compiace di effondere una devozione sentita e filiale verso la Madre di Dio, vista a volte come una giovane donna, sorridente e materna, e principalmente rappresentata come la sovrana del cielo e della terra, potente e misericordiosa. I fedeli che affollavano le cattedrali gotiche amavano trovarvi anche espressioni artistiche che ricordassero i santi, modelli di vita cristiana e intercessori presso Dio. E non mancarono le manifestazioni "laiche" dell'esistenza; ecco allora apparire, qua e là, rappresentazioni del lavoro dei campi, delle scienze e delle arti. Tutto era orientato e offerto a Dio nel luogo in cui si celebrava la liturgia. Possiamo comprendere meglio il senso che veniva attribuito a una cattedrale gotica, considerando il testo dell'iscrizione incisa sul portale centrale di Saint-Denis, a Parigi: "Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall'oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un'opera famosa, ma voglia il cielo che quest'opera famosa che brilla faccia splendere gli spiriti, affinché con le verità luminose s'incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta".

Cari fratelli e sorelle, mi piace ora sottolineare due elementi dell'arte romanica e gotica utili anche per noi. Il primo: i capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell'anima religiosa che li ha ispirati. Un artista, che ha testimoniato sempre l'incontro tra estetica e fede, Marc Chagall, ha scritto che "i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell'alfabeto colorato che era la Bibbia". Quando la fede, in modo particolare celebrata nella liturgia, incontra l'arte, si crea una sintonia profonda, perché entrambe possono e vogliono parlare di Dio, rendendo visibile l'Invisibile. Vorrei condividere questo nell'incontro con gli artisti del 21 novembre, rinnovando ad essi quella proposta di amicizia tra la spiritualità cristiana e l'arte, auspicata dai miei venerati Predecessori, in particolare dai Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il secondo elemento: la forza dello stile romanico e lo splendore delle cattedrali gotiche ci rammentano che la via pulchritudinis, la via della bellezza, è un percorso privilegiato e affascinante per avvicinarsi al Mistero di Dio. Che cos'è la bellezza, che scrittori, poeti, musicisti, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne? Afferma sant'Agostino: "Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell'aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l'ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell'acqua, che camminano sulla terra, che volano nell'aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l'ha creata, se non la Bellezza Immutabile?" (Sermo CCXLI, 2: PL 38, 1134).

Cari fratelli e sorelle, ci aiuti il Signore a riscoprire la via della bellezza come uno degli itinerari, forse il più attraente ed affascinante, per giungere ad incontrare ed amare Dio.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, sono lieto di rivolgere il mio benvenuto ai Signori Cardinali, ai Vescovi e a tutti i membri dell'Assemblea Plenaria della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, presieduta dal Cardinale Ivan Dias. La vostra presenza mi offre l'opportunità di rinnovare a ciascuno l'espressione della mia viva gratitudine per il generoso impegno con il quale operate a favore della diffusione del messaggio evangelico. Affido alla protezione di Maria Santissima, Regina degli Apostoli, questa vostra Plenaria, invocando la sua materna assistenza su quanti sono coinvolti nell'azione missionaria in ogni angolo della terra. Saluto i sacerdoti dell'Arcidiocesi di Taranto, accompagnati dal loro Pastore Mons. Benigno Papa, e li esorto a cercare con sollecitudine "le cose di lassù" (Col, 3,1) per essere testimoni sempre più credibili del primato di Dio. Saluto i rappresentanti della Federazione Italiana degli Addetti al Culto ed esprimo il mio cordiale compiacimento per l'opera importante che essi svolgono nella preparazione e nella cura degli spazi liturgici, come pure dei Beni culturali custoditi nelle chiese.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Nell'odierna Liturgia celebriamo la Dedicazione della Basilica di San Pietro in Vaticano e di quella di San Paolo sulla via Ostiense. Questa festa ci offre l'occasione di porre in luce il significato ed il valore della Chiesa. Cari giovani, amate la Chiesa e cooperate con entusiasmo alla sua edificazione. Cari malati, vivete l'offerta della vostra sofferenza come un contributo prezioso alla crescita spirituale delle comunità cristiane. E voi, cari sposi novelli, siate nel mondo un segno vivo dell'amore di Cristo.

Dopodomani si terrà presso le Nazioni Unite la Giornata Mondiale di Preghiera e di Azione per i Bambini, in occasione del 20° anniversario dell'adozione della Convenzione sui diritti del fanciullo. Il mio pensiero va a tutti i bambini del mondo, specialmente a quanti vivono in condizioni difficili e soffrono a causa della violenza, degli abusi, della malattia, della guerra o della fame.

Vi invito ad unirvi alla mia preghiera e, al tempo stesso, faccio appello alla Comunità internazionale affinchè si moltiplichino gli sforzi per offrire un'adeguata risposta ai drammatici problemi dell'infanzia. Non manchi il generoso impegno di tutti affinchè siano riconosciuti i diritti dei fanciulli e rispettata sempre più la loro dignità.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


Per Caterina e per noi - 18 novembre 2009 / In Articoli – dal Blog di Antonio Socci - Da oggi 18 novembre inizia la novena per la festa della Medaglia miracolosa (27 novembre) che ricorda le meravigliose apparizioni (avvenute a Rue du bac, Parigi) della Santa Vergine a Caterina Labouré, suora di 24 anni oggi proclamata santa.

Caterina in particolare ha raccontato questo significativo colloquio:

“Ad un tratto, le dita della SS. Vergine si riempirono di anelli ricchi di pietre preziose bellissime che scintillavano come raggi lucenti. La luce che ne usciva avvolgeva la Santa Vergine in modo che non si vedevano più né l’ultimo lembo della veste, né i piedi, Le gemme erano di varia grossezza e i fasci di luce che ne uscivano più o meno splendenti. … E la voce dolcissima aggiunse: <>.

E poiché la veggente si meravigliava del fatto che alcune di queste pietre preziose non rilucevano, le fu risposto: <>.



Noi vogliamo invece approfittare di questo straordinario soccorso della Madre di Dio, nostra tenera Madre. Vi propongo dunque di fare insieme questa novena a partire da oggi.

Io l’ho già iniziata per Caterina e insieme possiamo farla per tutti i vostri malati e per la nostra conversione.





NOVENA ALLA MEDAGLIA MIRACOLOSA

O Vergine Immacolata della Medaglia Miracolosa, che, mossa a pietà dalle nostre miserie, scendesti dal cielo per mostrarci quanta parte prendi alle nostre pene e quanto di adoperi per stornare da noi i castighi di Dio e impetrarci le sue grazie, muoviti a pietà della presente nostra necessità; consola la nostra afflizione e concedici la grazia che ti domandiamo.

Recitare il Salve Regina

Ripetere: O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a te!

O Vergine Immacolata della Medaglia Miracolosa, che, quale rimedio a tanti mali spirituali che ci affliggono, ci hai portato la tua Medaglia, affinché fosse difesa delle anime, medicina dei corpi e conforto di tutti i miseri, ecco che noi la stringiamo riconoscenti sul nostro cuore e ti domandiamo per essa di esaudire la nostra preghiera.

Recitare il Salve Regina

Ripetere: O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a te!

O Vergine Immacolata della Medaglia Miracolosa, tu hai promesso che grandi sarebbero state le grazie per i devoti della tua Medaglia che ti avessero invocata con la giaculatoria da te insegnata; ebbene, o Madre, ecco che noi, pieni di fiducia nella tua parola, ricorriamo a te e ti domandiamo, per la tua Immacolata Concezione, la grazia di cui abbiamo bisogno.

Recitare il Salve Regina

Ripetere: O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a te!



Per sapere di più su Rue du bac vedi il sito del santuario:

http://www.chapellenotredamedelamedaillemiraculeuse.com/ -

La novena significa che questa preghiera va ripetuta per nove giorni. Al termine, il 27 novembre, faremo insieme la Supplica all’ora desiderata dalla Madonna.

Se qualcuno non crede che la preghiera sia un’arma formidabile legga le parole di Gesù stesso:



Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 18,1-8.
Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi:
«C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno.
In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario.
Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno,
poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi».
E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto.
E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare?
Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».



Sono parole di Gesù stesso! Parole che non passano! Parole certissime in eterno! Ma i nostri santi ci hanno ripetuto per secoli tutto questo.

Sentite il Santo Curato d’Ars che il Papa ha indicato come esempio in questo anno sacerdotale:

“c’è un uomo più potente di Dio. E’l’uomo che prega”.

“La preghiera è onnipotente presso Dio. Dio si conquista facilmente con la preghiera. E’ impossibile che Egli possa rifiutarci ciò che li chiediamo nella preghiera”



Dunque forza amici carissimi!!!! Con tutto il cuore, con tutti noi stessi, offrendo noi stessi alla costruzione del Suo Regno, facciamo sì che le nostre preghiere struggano il Cuore di Dio, nostro tenerissimo Padre!!!!


Cattolici fuori dal guscio - Lorenzo Albacete giovedì 19 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Qualche commentatore ha osservato questa settimana che il Partito Repubblicano è stato scosso da una rivolta dei conservatori contro i moderati, ma che anche il Partito Democratico si è dovuto confrontare al suo interno con una battaglia ideologica, avente per oggetto la presenza dell’aborto nella legge sulla riforma sanitaria. Da una parte si sono schierati i “progressisti” e i sostenitori dell’aborto (la base del partito), dall’altra i moderati e conservatori guidati dai vescovi cattolici.


In un recente articolo su The New York Times, Katharine Q. Seelye ha citato Robert J. Blendon, professore di politica sanitaria ad Harvard, secondo il quale i Democratici favorevoli all’aborto devono confrontarsi “con la scelta tra cercare di fermare l’erosione del diritto di aborto e cercare di migliorare l’assistenza sanitaria alle donne”. Per Blendon è uno scontro tra “quelli che sono definiti due diritti umani fondamentali, il diritto alla copertura sanitaria universale e il diritto delle donne ad avere servizi sulla salute riproduttiva”.



Sull’altro versante, in lettere e conversazioni personali con esponenti del Partito Democratico, i vescovi cattolici hanno detto chiaramente che, malgrado considerino la salute un diritto fondamentale dell’uomo, si sarebbero opposti a ogni legge che avesse reso possibile l’uso di fondi federali per sovvenzionare aborti.



Secondo quanto sostenuto dall’Associated Press, il Cardinale di Boston Sean O'Malley ha parlato direttamente a Obama durante i funerali del senatore Edward Kennedy, spiegandogli come non ci fosse altra scelta possibile per la Chiesa. In prossimità della votazione alla Camera, il Cardinale Theodore McCarrick, Arcivescovo emerito di Washington, ha chiamato la presidente della Camera Nancy Pelosi, cattolica, per sollecitare provvedimenti che permettessero alla Chiesa di sostenere la legge sulla sanità.



È curioso notare che entrambi i cardinali sono stati criticati dai conservatori cattolici, incluso qualche vescovo, per la loro partecipazione ai funerali di Kennedy. Tuttavia, sembra proprio che siano stati i loro interventi a convincere il presidente e i leader democratici ad accettare l’emendamento del deputato democratico del Michigan Bart Stupak.



Questo emendamento ha soddisfatto le richieste della Conferenza dei vescovi cattolici e convinto un numero sufficiente di deputati democratici conservatori a votare il progetto di legge, approvato con soli cinque voti di scarto, 220 contro 215. È evidente che la legge non sarebbe passata senza l’emendamento Stupak appoggiato dai vescovi.



L’emendamento vieta che gli aborti, tranne nei casi di stupro, incesto o pericolo per la vita della madre, possano essere coperti da piani assicurativi governativi o comunque sovvenzionati dal governo. Il vescovo William Murphy di Rockville Center, NY, presidente del Comitato Episcopale sullo Sviluppo Sociale, ha detto che la loro preoccupazione era di assicurare che i soldi dei contribuenti non venissero utilizzati per gli aborti.



La proposta di legge comprendeva già l’esclusione dell’aborto dai fondi direttamente erogati dal governo federale, in base al cosiddetto Emendamento Hyde (dal fu deputato Henry Hyde dell’Illinois), ma rimaneva il problema per le polizze acquistate con un misto di capitali personali e di sussidi federali. L’Emendamento Stupak estende specificamente l’esclusione dell’aborto anche a questi casi.



La prova che i vescovi hanno avuto ragione nel chiedere questa estensione viene dalla campagna in corso per cancellare l’emendamento al Senato, con accuse di lobbismo ai vescovi e la richiesta di eliminare ogni esenzione fiscale alla Conferenza Episcopale.



La cosa interessante è che i vescovi cattolici degli Stati Uniti abbiano ripreso il ruolo di leader morali quando ancora molti sono scandalizzati dal modo in cui è stata gestita la questione dei preti coinvolti in abusi su minori. Forse questa volta i politici hanno capito che il loro punto di partenza non era né lobbismo politico né argomentazioni etiche, ma la fede in Cristo come l’Unico che rivela, incarna e provoca quei cambiamenti nel cuore umano sui quali può essere costruita una società umana veramente giusta.



I vescovi sono stati capaci di mostrare che non si tratta di un “diritto umano” più importante di tutti gli altri, ma di dar testimonianza che solo la presenza nel mondo di Cristo risorto può assicurare che il riconoscimento dei diritti umani non diventi una questione di chi ha il maggiore potere politico.


IDEE/ Spazzar via la famiglia, l'ultima trovata degli economisti “illuminati” - Marco Cobianchi giovedì 19 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Hanno cominciato Alberto Alesina e Andrea Ichino, ha continuato Francesco Giavazzi, poi Umberto Galimberti e, infine, Silvia Vegetti Finzi. Cinque “venerati maestri” (come direbbe Edmondo Berselli) che sono d’accordo nel criticare i rapporti esistenti all’interno della famiglia.


Per gli economisti uno dei motivi della mancata modernizzazione dell’Italia sta proprio nell’eccessivo familismo. I giovani restano troppo in famiglia perché la famiglia glielo consente e ciò blocca la mobilità sociale e la meritocrazia perché inibisce la naturale propensione al rischio del giovane.



A enunciare questa teoria sono stati Alesina e Ichino (Il Sole24Ore del 29 ottobre): «La coesione famigliare riduce la fiducia verso il mondo esterno alla famiglia, diminuendo anche l’attenzione verso il bene pubblico e quindi il “capitale sociale”. La mancanza di mobilità geografica e sociale ostacola la meritocrazia e la concorrenza fra persone e imprese. La conseguenza è una minore produttività che si traduce in salari e profitti più bassi».



D’accordo su questa tesi anche l’economista Giavazzi e, da un punto di vista sociologico, Umberto Galimberti mentre per la Vegetti Finzi (Corriere della Sera 2 novembre) «è inutile riproporre, come siamo tentati di fare, la famiglia ideale perché non c' è più e, probabilmente, non c' è mai stata».



Tutti interventi che fanno emergere quanto lo scontro ideale che si sta consumando nel dopo-crisi continui a essere non tanto quello tra chi difende l’economia “reale” e chi quella “finanziaria” (se mai questa divisione ha un senso), ma quello tra una certa idea di modernizzazione tecnocratica che per realizzare sé stessa è costretta a teorizzare il superamento di ogni altra forma di organizzazione sociale naturale che tiene legata l’Italia alle sue tradizioni, alla sua storia.



In questa idea di modernità i rapporti famigliari restano l’ultimo muro da abbattere prima del compimento della perfetta liquidità del mercato del lavoro così come il rapporto tra erogatore del credito e richiedente era, nell’ideologia della meccanica allocazione delle risorse finanziarie, il rapporto da rescindere per raggiungere la “perfezione del mercato” del credito che non si può realizzare fino a quando le decisioni di allocazione vengono presi da uomini anziché da modelli (da qui la decisione di delegare a Basilea2 la decisione di concessione del credito).



Bisogna infatti notare che questa posizione ideologica è la stessa che, nel periodo che ha preceduto la crisi economica mondiale, sosteneva il primato delle regole del mercato rispetto a quelle del bene comune, così come si è visto nel momento in cui si doveva decidere se lasciare fallire l’intero sistema bancario americano (per mettere alla prova l’idea schumpeteriana della distruzione creatrice del mercato) oppure salvarlo (per permettere al sistema economico mondiale di non collassare del tutto).



Persa la battaglia pro-mercato in campo finanziario, gli economisti ci riprovano con una battaglia pro-mercato in campo sociale in nome della modernizzazione individuando, giustamente dal loro punto di vista, la famiglia come più potente freno alla loro idea di società perfetta, nella quale la competizione tra le persone e l’allocazione delle risorse intellettuali fa premio sulle tradizioni e i legami naturali. Che, per dirlo con la Vegetti Finzi, forse non sono mai esistiti.



Come certamente a tutti gli studiosi è chiaro, la modernizzazione italiana non è bloccata dai forti legami famigliari, ma dai più potenti (nel senso di meglio organizzati) legami lobbistici. Significa che se in Italia esiste una mobilità sociale tendente allo zero la responsabilità non può essere imputata alla famiglia, ma alle lobbies.



Se il figlio di un avvocato ha straordinarie probabilità di diventare avvocato a sua volta, la colpa non è del padre, ma della lobby degli avvocati (costituita dai padri) che impedisce, ad esempio, la liberalizzazione delle tariffe minime a favore della quale, guardacaso, sono i giovani avvocati. In un Paese governato da potenti lobby (altrimenti dette: caste) la famiglia, soprattutto se non abbiente, è, contemporaneamente ultima possibilità di riscatto sociale e vittima dell’ineguaglianza dei punti di partenza. Altro che colpevole.


Ru486: ecco il dossier delle incongruenze - Troppi conti non tornano nel fascicolo che ha portato al via libera per l’aborto chimico in Italia Un esame attento di tutte carte fa emergere incongruenze, domande irrisolte, superficialità di analisi Dall’Aifa all’azienda produttrice: i tanti dubbi non chiariti - di Assuntina Morresi – Avvenire, 19 novembre 2009
Mi sono occupata della documen­tazione sulla autorizzazione del­l’Agenzia italiana del farmaco (Ai­fa) alla commercializzazione del Mifegyne (Ru486) in Italia in qua­lità di consulente del Ministero del Welfare: la mia conoscenza dell’argo­mento riguarda i dati della letteratura scien­tifica. (...) Dalla documentazione a nostra di­sposizione erano emerse alcune criticità e in­congruenze sulle quali avevamo chiesto chia­rimenti alla Exelgyn, produttrice del farma­co. I quesiti posti alla ditta, e il successivo scambio di informazioni col Comitato tec­nico- scientifico (Cts) dell’Aifa non avevano quindi a che fare con la procedura di im­missione in commercio della Ru486 – già conclusa dal Cts l’anno precedente, con pa­rere positivo nella seduta straordinaria del 26 febbraio 2008 – ma riguardavano solo l’ac­quisizione di informazioni complete e cor­rette da parte del Ministero.
Le criticità rilevate nella documentazione della procedura di mutuo riconoscimen­to riguardavano innanzitutto i decessi se­gnalati a seguito di somministrazione di Ru486 e il confronto della mortalità fra i me­todi chimico e chirurgico: di alcune morti non erano fornite spiegazioni, mentre di al­tre venivano riportate risposte contradditto­rie; in altri casi ancora non era chiara la va­lutazione del Cts. Altri punti critici erano i­nerenti alla stima dell’efficacia del metodo farmacologico e alle modalità della proce­dura. La Exelgyn, interpellata in merito, ha ri­sposto inviando un dossier sugli eventi avversi mortali, aggiornato al febbraio 2009, che ha fornito un quadro nuovo rispetto sia alla si­tuazione nota al Cts al momento della for­mulazione del parere positivo sia a quanto risulta dal dossier messo a disposizione per la procedura europea di mutuo riconosci­mento.

Il Ministero non ha reso pubblico il dossier, che era stato inviato in forma confidenzia­le (l’azienda ha chiesto di non renderlo pubblico, come condizione), ma lo ha tra­smesso al Cts dell’Aifa il 4 maggio 2009, ac­compagnato da una lettera in cui venivano elencate le incongruenze rilevate nella docu­mentazione del Cts e i nuovi dati contenuti del dossier, chiedendo possibilmente un in­contro informale per chiarire i molti punti an­cora oscuri. Il Cts ha risposto con una lette­ra, che però, a mio avviso, non ha chiarito a sufficienza quanto richiesto. (...)
Idecessi segnalati dalla ditta nel dossier 2009 a seguito di assunzione di Ru486 sono in totale 29: 17 per aborto medico e 12 dopo il cosiddetto 'uso compassionevole', cioè non abortivo. Al momento del parere del Cts la ditta aveva comunicato 10 decessi (docu­mentazione Cts, 22 febbraio 2008, Applicant Responses to Day 75 comments from Cms , p. 7), a seguito di aborto con Ru486. Il Cts aveva ri­cevuto da indagini giornalistiche segnalazio­ni per 16 morti, di cui 2 solo dopo il secondo farmaco (prostaglandine). Nella relazione del 26 febbraio 2008 il Cts ne elenca 12 dopo Ru486, di cui una non citata dalla ditta e rite­nuta non sufficientemente documentata.

Dal dossier della Exelgyn aggiornato al 28 febbraio 2009 – in cui ovviamente non compaiono i due decessi dovuti solo al­la prostaglandina – dei 17 decessi attribuiti a uso abortivo di Ru486, 15 risultavano già av­venuti, 14 documentati alla data alla quale il Cts aveva dato l’approvazione, e due risulta­no successivi. Dai documenti in nostro pos­sesso, quindi, il Cts risulta non essere stato a conoscenza di quattro decessi già avvenuti, tre dei quali erano a conoscenza della ditta. Esi­stono quindi incongruenze nel numero di morti segnalate dalla ditta. (...)
Non di tutte le morti è conosciuto il gra­do di avanzamento della gravidanza, né il protocollo seguito (dosi dei due far- maci e modalità di somministrazione). I da­ti conosciuti però sono nell’àmbito di usi pre­visti dall’Organizzazione mondiale della sa­nità nella sua guida Safe abortion (Ginevra, 2003), nella quale sono descritti i possibili di­versi protocolli per percorsi di aborto farma­cologico, sia per aborti nelle prime settima­ne di gravidanza che per aborti tardivi. Le morti quindi non risultano avvenute dopo un uso scorretto dei farmaci abortivi, come in­vece riportato da diverse fonti di stampa. I protocolli abortivi con la Ru486 autorizzati e praticati sono differenti nelle diverse na­zioni: basti pensare – per fare un esempio – che negli Usa l’uso della Ru486 è previsto en­tro sette settimane di gravidanza, e l’uso del­la prostaglandina gemeprost non è consen­tito. In Italia il gemeprost è attualmente in u­so in àmbito ospedaliero. In Gran Bretagna e Svezia da sempre l’aborto farmacologico è praticato fino a nove settimane, anche con ge­meprost. In Francia fino al 2001 l’Agence Na­tionale d’Accréditation et d’Evalutation en Santé indicava l’uso possibile vaginale od o­rale del misosprostol, e fino allo scorso an­no l’aborto chimico era autorizzato fino alla settima settimana. Gli stessi protocolli ingle­si, segnalati dal Royal College of Obstetri­cians and Gynaecologists, sono stati adotta­ti in questi anni in Emilia Romagna (una do­se ridotta di mifepristone, 200 mg anziché 600, e un uso anche vaginale del secondo far­maco, in Profilo di assistenza in Emilia Roma­gna , Saperi.doc,). (...)
Altre criticità dei fascicoli sono: 1. Stima della mortalità: come già segnalato da M. Greene, ( New England Journal of medici­ne- Nejm 2005, 353, 2317-8), il dato di mor­talità per aborto medico si può paragonare con quello per aborto chirurgico mettendo a confronto le corrispondenti settimane di gra­vidanza. La mortalità riportata da aborto me­dico riguarda aborti effettuati a meno di ot­to settimane di gravidanza, ed è con la mor­talità da aborto chirurgico in questo periodo che va confrontata poiché è noto che la mor­talità per aborto aumenta con l’età gestazio­nale. Sempre secondo il già citato Nejm, con­siderando le medesime età gestazionali, la mortalità per aborto medico è dieci volte su­periore a quella per aborto chirurgico.
D’altra parte, se facciamo riferimento ai dati Usa, dal 1988 al 1997, 25 morti materne – a ogni età gestazionale – so­no state attribuite a infezioni dopo aborto chirurgico, a fronte di 13.161.608 aborti chi­rurgici. Dal 2001 al 2005 risultano 5 morti materne per infezione da Clostridium Sor­delli dopo aborto medico, a fronte di 460 mila presunti aborti medici. (M. Fischer et al.
Nejm 2005, 353, 2352-59). 2. Dai dati a disposizione, non risulta esaminata la lettera­tura che effettua nuove stime sulla reale effi­cacia dell’aborto medico. Molti ricercatori che pure sostengono il metodo chimico, riten­gono che i criteri di efficacia vadano ripen­sati (v. ad es. A. Hedely et al. Am. J. Obst. Gy­nec, (2004), 191, 1928-33, e refs. cit.), e le per­centuali di efficacia ricalcolate, perché nei fat­ti più basse di quelle dichiarate. E comun­que, vanno considerati ed esplicitati i criteri di efficacia, specie se si vuole fare un parago­ne con il metodo chirurgico.
Ad esempio: dopo quanto tempo deve avvenire un’espulsione perché l’aborto medico si possa considerare riuscito? Con quali effetti collaterali? È lecito consi­derare riuscito un aborto medico quando il prodotto del concepimento viene parzial­mente rimosso con la strumentazione gi­necologica? Il ricorso al metodo chirurgico da parte della paziente a procedura farma­cologica iniziata va calcolato come un in­successo o no? 3. Nella documentazione del Cts non sono riportati dati e/o speri­mentazioni su donne di età inferiore ai 18 anni, che comunque avrebbero accesso a questa procedura, una volta ammessa. 4.
Nella documentazione del Cts non sono ri­portati dati e/o sperimentazioni sul follow up di donne che hanno abortito con metodo farmacologico e chirurgico. 5. L’uso degli antibiotici come profilassi abituale nei pro­tocolli non c’è.
(dal testo dell’audizione alla Commissione sanità del Senato, 17 novembre)



EllaOne, l’aborto va in farmacia di Giuseppe Romano – Avvenire, 19 novembre 2009
La presentano come la pillola dei miracoli. L’Emea – European Medicine Agency – ente che va­luta i farmaci, l’ha già approva­ta. E così, se proseguirà la sua strada verso i singoli Stati dell’U­nione, potremmo trovare presto El­laOne sui banconi delle nostre farmacie, presentata come il 'con­traccettivo dei cinque giorni dopo'. Una possibilità cui Lucio Ro­mano, ginecologo, docente universitario e co-presidente nazio­nale di Scienza & Vita, è assolutamente contrario.
EllaOne è un anticoncezionale o un abortivo?
«Indubbiamente un abortivo. Dopo cinque giorni l’embrione è già formato e si trova nell’utero per annidarsi. Sotto il profilo tec­nico- scientifico EllaOne è un antiprogestinico: inibisce l’azione dei recettori che dovrebbero accogliere la nuova vita. In parole povere, fa sì che l’embrione venga respinto. Cioè abortito».
Davanti a queste nuove 'frontiere chimiche' dell’aborto, inedite questioni pesano sulla co­scienza delle persone professionalmente coin­volte: medici, farmacisti, informatori scienti­fici...
«L’obiezione di coscienza è riconosciuta dalla Costituzione italiana come un diritto inaliena­bile ».
Tuttavia, se per i medici si tratta di un diritto riconosciuto, un farmacista rischia una denuncia e un informatore scientifico, dipendente da una casa farmaceutica e tenuto a promuover­ne i prodotti, potrebbe rimetterci addirittura il posto di lavo­ro...
«È possibile. Tuttavia ritengo che il diritto all’obiezione di co­scienza preceda qualsiasi contratto di lavoro e qualunque legge. È questo il principio fondamentale da cui bisogna partire. E do­vrà essere chiarito e difeso davanti a queste situazioni nuove».
Dopo l’approvazione dell’Agenzia europea cosa succederà in Italia?
«Entro il mese di marzo EllaOne potrebbe entrare in commercio e in distribuzione nelle farmacie, previa prescrizione medica».
Sarà distribuito come pillola anticoncezionale?
«È un aspetto delicato, che tengo a sottolineare: con questo si­stema l’aborto si trasforma in contraccezione nella vulgata co­mune, perché un meccanismo che è abortivo viene presentato invece come contraccettivo».
Come fare perché questo equivoco sia chiarito?
«A favore dell’introduzione milita il fatto che già sono state ap­provate pillole 'del giorno dopo' come Norlevo e Levonelle. La strada quindi sarebbe aperta all’intenzione di inserire anche que­st’altra molecola nel campo della 'contraccezione d’emergenza', dilatando i tempi dalle 72 ore della pillola del giorno dopo fino a 120 ore: ben cinque giorni. È questo che fa El­laOne. Ed è per questo che ci pone davanti al­l’evidenza di un farmaco chiaramente aborti­vo. Credo che l’Aifa, l’Agenzia italiana del far­maco che ne valuterà l’introduzione, debba por­si in modo pressante l’interrogativo se EllaOne rientri nella prescrivibilità come pillola del gior­no dopo o se piuttosto vada inserito nella nor­mativa della legge 194».
Scienza & Vita lo denuncerà come un ele­mento decisivo?
«Ci faremo carico della questione sotto il profilo mediatico, infor­mativo e divulgativo, così come sotto quello scientifico ed etico: perché, scientificamente, per definizione il contraccettivo impe­disce l’incontro dello spermatozoo con la cellula uovo, vale a di­re la fecondazione. Nel caso specifico la fecondazione avviene e, se è avvenuta, si tratta un metodo abortivo. Non esiste nessuna giustificazione, da nessun punto di vista, alla silenziosa intro­duzione di un aborto banalizzato e ridotto a un piccolo incon­veniente. Tanto più se lo si maschera sotto un espediente termi­nologico ».
Nel 2010 la pillola «dei cinque giorni dopo» potrebbe arrivare anche in Italia. Mascherata come un anticoncezionale, contro ogni evidenza. Parla il ginecologo Lucio Romano


Il tradimento delle diagnosi in gravidanza - il caso - Carlo Bellieni – Avvenire, 19 novembre 2009
«I futuri genitori sono male informati, si aspettano troppo da una ecografia. Ecco perché aumentano le denunce per mancata diagnosi prenatale». Non sono parole di un moralista, ma del professor Claudio Giorlandino, presidente della Sidip (Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale). Il problema, dice l’esperto, è che la diagnosi prenatale ecografica non è infallibile: non vede tutti i difetti e, aggiungiamo noi, talora vede immagini dubbie che difetti non sono. Un caso eclatante esplose in Francia nel 2000: i tutori di André Perruche, un ragazzo nato con anomalie dovute ad un’infezione avuta dalla madre in gravidanza e non riscontrate all’ecografia, chiesero e ottennero da un giudice la condanna del medico ecografista, perché la sua disattenzione aveva privato i genitori delle necessarie informazioni che li avrebbero condotti all’aborto e perché il bambino ne aveva tratto danno...
visto che era nato. A quel punto gli ecografisti in Francia entrarono in sciopero perché non accettavano che un errore involontario li portasse a pesanti condanne e i disabili scesero in piazza perché non accettavano a loro volta che la disabilità venisse indicata come motivo di definire una vita non degna di essere vissuta.

Avverte Giorlandino, in preparazione a un convegno sullo studio morfologico del feto, che «non possiamo dare la certezza che il bambino che verrà al mondo sarà perfetto» e che «la percentuale di diagnosi corrette per malformazioni fetali non supera, per le più importanti, il 60%: insomma quattro malformazioni su dieci non sono visibili con gli strumenti». Viene da domandarci quale sia davvero lo scopo della diagnostica prenatale: la salute o l’individuazione dei disabili? Ed è davvero utile scoprire se un bambino avrà un labbro leporino tre mesi prima che nasca? Certo, questo potrà garantire ai genitori di poterlo abortire, come accade in molti casi non solo per malattie gravi ma anche per malformazioni operabili e minori, ma ci fa domandare se davvero l’aborto è una soluzione e soprattutto se è l’unica soluzione? Non sarà invece necessario parlare di diritto alla privacy del bambino non nato, quando l’indagine ecografica è tesa non al suo benessere, ma solo a facilitare la curiosità dei genitori, magari proclivi all’aborto? Non sono ragionamenti pellegrini: di privacy fetale si parla da anni e se ne è occupata anche l’Organizzazione mondiale della sanità.

La diagnosi prenatale genetica invasiva (amniocentesi) e non invasiva (ecografie e triplo test) non è eticamente neutra: richiede più conoscenza da parte di chi ne fruisce e una scelta di campo. Non si tratta di vietarla (anche se in certi Stati indiani hanno dovuto farlo dato che veniva usata per individuare e abortire le femmine), ma di renderla una scelta cosciente. In Olanda le indagini come il triplo test sono crollate quando è stata data una corretta informazione alle donne sulla loro fallibilità.
Forse questo oggi manca: far uscire la diagnosi genetica prenatale dalla routine, e valorizzarla laddove è utile a curare.
Carlo Bellieni


«Provavo dolore, ma voi non mi capivate» - Le parole di Silvia, sette mesi dopo l’incidente, al convegno sugli stati vegetativi a Roma, promosso dall’associazione Risveglio. Un richiamo a chi pensa che il coma, anche quello apparentemente più grave, sia in fondo uno stato di «non vita» e gli sia preferibile la morte - di Emanuela Vinai – Avvenire, 19 novembre 2009
«Io provavo dolore, ma voi non mi capivate». È difficile reprimere la commozione guardando scorrere sullo schermo le immagini di Silvia: sette mesi dopo l’incidente, riesce faticosamente ad articolare queste otto, semplici, parole. Come non pensare ad un’altra bella e sfortunata ragazza, costretta in un corpo che non le rispondeva più.
Ha provato dolore Eluana?
È questa una delle immagini più forti del convegno «La persona innanzitutto», giornata di lavoro sulla realtà dello stato vegetativo, promossa dall’associazione Risveglio Onlus, sotto la guida del fondatore, l’avvocato Francesco Napolitano, svoltosi in una luminosa mattina romana di novembre, proprio a pochi metri dal vertice Fao. Eppure, a ben guardare, anche qui, in un certo senso, si parlava di lotta alla fame, perché negare alimentazione e idratazione a un disabile grave, vuol dire farlo morire di fame e di sete.
Detta così, può sembrare una forzatura, ma in questa stagione confusa in cui si è passati con disinvoltura dalla manipolazione della scienza alla manipolazione delle parole, è sufficiente far entrare nel linguaggio corrente una nuova terminologia per scardinare l’antropologia di riferimento.
A questo pericolo ha fatto esplicito riferimento monsignor Rino Fisichella durante il suo intervento incentrato sull’etica a sostegno della dignità della persona. Parlando del grande cambiamento culturale in atto nella nostra società, ha sottolineato come questo stia facendo venire meno concetti con cui l’uomo si è sempre confrontato, già prima del cristianesimo: «Le parole sono importanti, perché è con la terminologia che si dà forma ai concetti ed è con i concetti che si costruiscono le categorie attraverso cui le persone formano le opinioni e i pregiudizi». È accaduto con l’aborto, sta accadendo con il fine vita. Per questo, ha proseguito il presule, «continueremo a batterci perché alimentazione e idratazione siano considerate sostegni vitali e non terapie». Senza dimenticare che questa non è una posizione soltanto cattolica, anzi: «Questa è una battaglia che unisce credenti e non credenti, perché coinvolge la dignità imprescindibile di ogni essere umano».
Sulla scia di questo intervento, Ferdinando Aiuti, presidente della commissione consiliare speciale delle politiche sanitarie del comune di Roma, ha ricordato l’attualità del giuramento di Ippocrate. Dopo duemila e cinquecento anni tuttora deve essere «fonte di forza e ispirazione per tutti coloro che esercitano la professione medica». E il ruolo del medico, delle organizzazioni, in questo settore è tutt’altro che secondario. Questo il senso dell’intervento di Flori Degrassi, dirigente generale della Asl Roma B, che molto si è spesa, personalmente e professionalmente, seguendo da vicino la nascita di Casa Iride, la struttura di neuroriabilitazione per questi pazienti così speciali. «C’è una linea sottile, che bisogna fare attenzione ad attraversare – ha detto la Degrassi – ed è quella che oltrepassiamo quando, come medici, cominciamo a considerare chi ci sta di fronte da persona a paziente».

Medici, infermieri, fisioterapisti, devono lavorare insieme fin dal primo momento, dal reparto di rianimazione, dopo il trauma o l’evento acuto che ha portato all’incoscienza e che, se non adeguatamente trattato sin dal primo momento, può portare alla disabilità cronica. Lo ha ricordato Rodolfo Proietti, ordinario di Anestesia e rianimazione al policlinico Gemelli di Roma, insistendo sulla necessità di un’azione tempestiva e coordinata per «ridurre al massimo le gravi conseguenze del coma derivanti da danni neurologici». Senza dimenticare il fondamentale ruolo degli affetti, perché nessuna infermiera, per quanto amorevole e competente «potrà mai sostituirsi alla carezza di un familiare». Rita Formisano, della Fondazione Santa Lucia Irccs, ha reso ancor più efficace questo concetto, proiettando le splendide immagini dei suoi pazienti che, pur formalmente dichiarati «in stato vegetativo» non si possono di sicuro definire «vegetali». Un piccolo ripasso, anche di traduzione, utile per capire di chi stiamo parlando: persone.