Nella rassegna stampa di oggi:
1) ESCLUSIVA/ Scola: le chances di un cristianesimo vivo oggi - Alberto Savorana INT. Angelo Scola lunedì 23 novembre 2009 – Ilsussidiario.net
2) Il segreto di Cluny - Pigi Colognesi lunedì 23 novembre 2009 – ilsussidiario.net
3) GIUSTIZIA/ Mario Mauro: il caso Battisti sconfessa l’ideologia anti-terrorista - Mario Mauro lunedì 23 novembre 2009 – ilsussidiario.net
4) GRAN BRETAGNA/ Guai a chi diventa cattolico. L’incredibile caso di “Miss Brown” e di “Myriam” - Redazione sabato 21 novembre 2009 – ilsussidiario.net
ESCLUSIVA/ Scola: le chances di un cristianesimo vivo oggi - Alberto Savorana INT. Angelo Scola lunedì 23 novembre 2009 – Ilsussidiario.net
In questa intervista il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, parla della situazione “precaria e traballante” in cui si trova l’uomo postmoderno e delle chances del cristianesimo. La sfida educativa, l’esperienza elementare, le neuroscienze, il crocifisso e il riaccadere dell’avvenimento cristiano dentro tutti gli ambiti dell’esistenza.
A Brescia Benedetto XVI ha parlato di «emergenza educativa… come il 68». La Cei ha impegnato il prossimo decennio proprio su questo tema. Qual è la natura di questa emergenza?
Questa emergenza è dovuta al fatto che, soprattutto in Europa, si è in un certo senso interrotta la cura tra generazioni. È come quando in una catena si spezza un anello. Questo dato ci provoca a un ripensamento globale degli stili di vita propri dell’uomo europeo, perché la cura delle generazioni passa attraverso la “tradizione” di uno stile di vita buona. E la tradizione favorisce, come diceva Giovanni Paolo II, la scoperta che la nascita di ognuno di noi non è mai riducibile al puro inizio (biologia), ma implica sempre anche un’origine (genealogia). Mette in campo la catena delle generazioni che garantisce quell’esperienza compiuta di paternità-figliolanza senza la quale non si dà la persona con la sua capacità di esperienza e di cultura. Questa dimensione integrale della nascita è sottovalutata dall’uomo contemporaneo, soprattutto nella nostra area europea ed atlantica.
Nel Rapporto La sfida educativa, nel quale come Comitato del Progetto culturale dei Vescovi italiani avete sintetizzato le preoccupazioni della Chiesa, leggiamo che «per le società del passato l’educazione era un compito largamente condiviso; per la nostra essa sta diventando soprattutto una sfida». Come si è potuti arrivare a questa amara constatazione? E in che cosa consiste questa sfida?
Evidentemente non è possibile riassumere in poche righe l’insieme di fattori che ha portato a questo esito amaro. Certamente si possono evidenziare in proposito taluni limiti ed interrogativi aperti dalla modernità a cui il cosiddetto “postmoderno” non è ancora riuscito a dare riposta, ma vanno anche messi in linea di conto le trasformazioni del tutto inedite che da trent’anni sono in atto nella sfera dell’affettività, della nascita, della vita e della morte, ad opera soprattutto delle biotecnologie e delle neuroscienze. Mi capita spesso di paragonare l’uomo postmoderno a un pugile suonato che, incassato un forte colpo, continua il suo combattimento sul ring, ma in una situazione precaria, traballante. In che modo questa realtà ci sfida? E di che sfida si tratta? Si tratta di ritrovare le modalità adeguate per educare, per far passare attraverso costumi buoni uno stile di vita che sia in grado di rispondere al desiderio di felicità e libertà che caratterizza l’uomo di oggi. La prima di tali modalità è semplice, anche se indubbiamente ardua: è il porsi della persona dell’educatore. Ancora una volta il riflettore è puntato sull’adulto come colui che dà testimonianza alla verità che propone.
Il cristianesimo ha qualche chance di fronte a una situazione che sembra dominata dall’indifferenza, come se non ci fosse nulla in grado di suscitare un interesse per la realtà e per il futuro, specialmente tra i giovani?
Io penso che il cristianesimo abbia, oggi più che mai, delle grandi chances.
Nel linguaggio comune attuale le due parole dominanti sono felicità e libertà. Così come nel tempo delle ideologie erano verità e giustizia. Ovviamente non si tratta di sottovalutare queste ultime, ma di partire da ciò che per l’uomo postmoderno sembra contare di più, cioè felicità e libertà.
Ora se noi leggiamo attentamente l’esperienza degli amici di Gesù, come il vangelo ce la testimonia, ci imbattiamo in queste parole del Signore: «Se vuoi essere compiuto - cioè felice -, vieni e seguimi»; e aggiunge: «Chi mi segue, sarà libero davvero».
Gesù si propone come la via alla libertà e alla vita in quanto ha il potere di donare la felicità ed è capace di un appassionato e sconfinato amore per la libertà dell’uomo.
Oggi assistiamo a una frantumazione dell’umano senza precedenti; sembra quasi non sia più possibile rintracciare un principio unificatore dell’io. Come stare di fronte a questa umanità che oggi si mostra con questo organismo fragile e disarticolato?
Edificando - attraverso adeguate comunità educanti, a partire dalla famiglia, dalla scuola, dall’intrapresa economica fino alla comunità cristiana - uomini e donne che ripropongono questa esperienza in termini personali e comunitari. La grande risorsa in proposito è l’incontro con Cristo. Come diceva Mons. Luigi Giussani, è l’incontro con un’ipotesi esistenziale esplicativa della realtà che permette che tutto concorra al bene. Un incontro che genera nell’io una capacità critica straordinaria: «Vagliate ogni cosa, trattenete ciò che è buono». In concreto si tratta di costruire ambiti in cui ogni persona possa fare questa esperienza.
Grazie alle enormi possibilità offerte dalla tecnoscienza si fa strada il progetto di ricostruire l’uomo sulla base del principio che egli è solo un agglomerato di materia. Ma questo basta a spiegare la natura dell’uomo e la nascita della coscienza?
L’inquietante progetto citato è perseguito da non pochi cultori della tecnoscienza e si riferisce alle strabilianti scoperte che si vanno facendo nel campo della fisica, della biologia, delle neuroscienze, ma la domanda si ripropone. Come è possibile che parti di materia priva di coscienza producano coscienza? Personalmente, penso che una rigorosa pratica delle scienze sperimentali non possa negare l’esperienza elementare dell’uomo che, per quanto possa essere radicata nel bios o nel cervello, sfocia inesorabilmente in una dimensione che possiamo chiamare spirituale e che, pur essendo in profonda unità con la precedente, tuttavia la supera. A prova, secondo me, che l’unità duale anima-corpo, sostenuta da più di duemila anni di pensiero, è insuperabile.
Nella prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Istituto Giovanni Paolo II, Lei si è domandato: «Esiste un terreno comune da cui partire, nel rigoroso rispetto di ciò che è fede e quindi teologia e di ciò che è oggetto del sapere delle neuroscienze, per verificare quanta strada si può fare insieme?». Qual è stata la sua risposta?
La mia risposta è affermativa: è il terreno dell’esperienza morale elementare. Gli stessi cultori delle neuroscienze parlano di “morale prima della morale”, per dire - come sostiene uno dei più famosi, Gazzaniga - che “il nostro cervello vuole credere”. Non so se domani si riuscirà a dimostrare che la mente è riconducibile al cervello, ma so che, in ogni caso, l’esperienza morale elementare, per quanto possa avere la sua origine nei meccanismi neuronali del cervello, ultimamente li trascende. Li trascende proprio perché mette in campo il senso religioso.
Tanti cristiani soffrono un dualismo tra fede e vita, come la fede non fosse più in grado di mostrare la sua portata di verità e di bene nella realtà quotidiana (studio, lavoro, affetti). Cosa può vincere questo dualismo?
Da dove ripartire per ricostituire un soggetto cristiano unito? Qui ritorniamo a quanto rilevato in precedenza: dato che nessuno si educa da sé - il discorso sull’auto-educazione è un discorso banale -, è necessario che qualcuno che già vive questa esperienza di unità si prenda cura dell’educando che gli è affidato. E questo generalmente può avvenire solo dentro comunità vitali. Per noi cristiani l’unità non è un traguardo da conquistare, ma il dono di un’Origine (torniamo alla prima risposta) da riconoscere.
Perché secondo lei la strada del ritorno alla “esperienza elementare” (quella propria di ogni persona quando affronta le domande fondamentali della vita) dovrebbe essere una risorsa per affrontare la situazione dell’uomo di oggi?
Perché l’esperienza elementare supera ogni complessità. Questo è molto importante.
Come hanno mostrato bene Mons. Giussani ne Il rischio educativo, o Woytjla in Persona e Atto, o von Balthasar in Gloria, l’esperienza elementare è assolutamente inaffondabile. Io la paragono a quello che a volte si può vedere in primavera in città, passando vicino a un’area dismessa in cui qualche vecchia costruzione è stata demolita e non si è ancora riedificato, quando spuntano qua e là, tra i detriti, dei fili d’erba. Ecco, l’esperienza elementare è come quei fili d’erba: per quanto possa essere soffocata è insopprimibile, rispunta sempre, non la si può sradicare.
La recente sentenza sui crocifissi nelle scuole ha suscitato la reazione scandalizzata della maggioranza del popolo italiano, addirittura l’84% secondo un sondaggio del Corriere della Sera. Questo dato significa qualcosa per lei?
Significa molto per me. Non sono affatto d’accordo con quanti lo sottostimano, perché non riconoscono con oggettività una chiara volontà del popolo che deve essere rispettata. Ma è fin troppo ovvio che questo dato da solo è destinato a decrescere.
Non ci si può limitare a questo, che pur è una confortante occasione per la riscoperta del potente significato del Crocifisso per la cultura mondiale, ma ci si deve anche (e molto di più) interrogare sul bisogno di testimoni vitali del Crocifisso risorto e vivo come Salvatore, come Redentore, come compagnia guidata al destino dell’uomo. Il bisogno della testimonianza cristiana.
Molti di coloro che si sono pronunciati a favore del crocifisso hanno parlato di difesa della nostra tradizione culturale e sociale, di simbolo universale di fratellanza. Pochi hanno colto un altro livello della questione, che sta sotto l’alternativa “crocifisso sì, crocifisso no”: che cos’è il cristianesimo oggi?
Il cristianesimo oggi è quello di sempre: l’inaudito avvenimento di Dio che viene incontro all’uomo, facendosi uno come noi, con un’umiltà così potente da permettere alla nostra presuntuosa libertà finita di crocifiggerlo. Uno che ci accompagna nel cammino, perché ci ha detto: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Uno che rende possibile verificare, nella propria fragile umanità, la potente affermazione di San Paolo: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. È una qualità di vita diversa su questa terra, perché radicata nella paternità amante del Dio Uno e Trino che ci ha donato Suo Figlio e che, per la potenza dello Spirito Santo, genera la Chiesa e le comunità cristiane, dove si può fare concretamente esperienza di tutto questo, vivendo intensamente fin da ora gli affetti, il lavoro e il riposo.
A quali condizioni può accadere oggi la nascita di quella “creatura nuova” che è il cristiano - cioè un protagonista nuovo sulla scena del mondo - di cui parlò don Giussani nella lunga intervista che Le concesse nel 1987?
Mi limito ad aggiungere un aspetto a quanto rilevato nelle risposte precedenti: il bisogno primario è che si possa rivivere l’esperienza di Andrea e Giovanni. Un giorno, mentre stavano con il Battista, furono da lui invitati ad andare a conoscere Gesù che passava dall’altra parte del Giordano. I due si misero a seguirlo e fecero la potente scoperta che descrive il dinamismo dell’esperienza cristiana: incontrare, andare, vedere, dimorare, comunicare.
Questi verbi possono tradurre in pratica la fisionomia della creatura nuova.
Quali possibilità ha l’annuncio cristiano in un mondo che, per dirla con T.S. Eliot, avendo voltato le spalle alla Chiesa, «avanza all’indietro, progressivamente»? Detta in altri termini: come un cristiano di oggi può comunicare agli altri la propria identità?
Lo può se sta nel reale fino in fondo e a 360 gradi, dentro tutti gli ambienti dell’umana esistenza, come colui che avendo avuto la grazia straordinaria di un incontro che gli permette di dare del tu a Cristo, lo comunica in tutta semplicità. Il resto è conseguenza. Non servono strategie e non servono progetti.
Il segreto di Cluny - Pigi Colognesi lunedì 23 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Terminavo l’editoriale di quindici giorni fa con alcune frasi in cui Charles Péguy spiegava che cosa sia una vera rivoluzione, cioè un movimento di uomini che costruiscono per il benessere di tutti e che quindi segnano una svolta nel cammino della storia.
Lo scrittore francese diceva che una rivoluzione autentica è «l’effetto ben ordinato di una lunga e invincibile pazienza» ed è fatta da «grandi uomini di grande vita interiore». Un esempio luminosissimo è l’abbazia di Cluny, della quale sono iniziati lo scorso mese di settembre le celebrazioni per i mille e cento anni di fondazione.
Era infatti il 910 quando Guglielmo il Pio, duca d’Aquitania, firmava la carta di donazione di un terreno perché vi sorgesse un monastero che vivesse in pienezza e libertà la regola di san Benedetto. In pienezza, cioè senza nessuna edulcorazione degli impegni ascetici, altrove poco rispettati. In libertà, cioè senza intromissioni dei poteri esterni, né quelli civili, né quelli ecclesiastici a volte succubi dei primi.
A questo scopo Guglielmo pose il nascente monastero dei santi Pietro e Paolo di Cluny direttamente alle dipendenze del Papa. A dirigere la nuova impresa il duca chiamò un monaco deciso e di provata esperienza: Bernone.
Nessuno poteva allora immaginare che la piccola fondazione monastica situata nel cuore della Borgogna sarebbe stata l’inizio di una rivoluzione. Ma è quel che avvenne. Lo stile di vita dei monaci raccolti intorno a Bernone suscitò in molti il desiderio di imitarli.
Sorsero nuovi priorati e antiche abbazia si affiliarono a Cluny assumendone lo stile di vita, fondato sulla priorità assoluta data alla preghiera comune, intesa come anticipo della gloriosa liturgia del cielo. Nel giro di pochi decenni Cluny si trovò a capo di una rete impressionante: circa duemila monasteri diffusi in tutta la cristianità e, secondo le stime meno azzardate, ventimila monaci.
Gli storici si sono chiesti quale fosse il motivo di un simile straordinario sviluppo. Le risposte sono state tante, ma quella che mi pare più convincente è quella offerta da Raymond Oursel nel suo splendido Il segreto di Cluny. Certo è stato decisivo che l’abbazia fosse slegata dal potere locale; è stata importante la saggia amministrazione di chi l’ha guidata e la forma della rete di monasteri legati ad un unico abate.
Ma il vero segreto di Cluny è stata la santità dei suoi abati. Sì, proprio la santità personale di uomini che hanno vissuto, coi differenti temperamenti e coi diversi doni loro dati dalla natura, l’ideale monastico ha reso possibile costruire un luogo dove regnava, per usare le parole di Oursel, «reciproca concordia, vicendevole aiuto, gioia quotidiana», che «sfociavano nell’indulgenza e nella compassione verso gli altri».
Il luogo di una civiltà autenticamente umana, di una rivoluzione compiuta. Vale proprio la pena di elencare i nomi di questi primi grandi abati di Cluny, che furono in gran parte canonizzati: Bernone, Odone, Aimardo, Maiolo, Odilone, Ugo, Pietro.
La chiesa di Cluny all’apice del suo splendore era la più grande di tutta la cristianità; sarebbe stata superata solo dalla rinascimentale basilica vaticana. Il turista che ci andasse oggi troverebbe però solo dei resti: un campanile e mozziconi di colonne. I fanatici di un’altra “rivoluzione”, quella “francese” del 1789, stabilirono che quell’imponente edificio doveva essere considerato come una cava di pietra e tutti potevano estrarne materiale per le proprie costruzioni.
Cluny moriva così. Ma era già morta da quando invece della santità era subentrato il calcolo politico, invece della preghiera l’amministrazione, al posto della concordia l’equilibrismo sociale. Anche la più autentica delle rivoluzioni può spegnersi. Ma non si spegne il messaggio e la ricchezza esemplare del suo originale sgorgare.
GIUSTIZIA/ Mario Mauro: il caso Battisti sconfessa l’ideologia anti-terrorista - Mario Mauro lunedì 23 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Antonio Santoro era un maresciallo della Polizia penitenziaria; Lino Sabbadin faceva il macellaio; Pierluigi Torregiani era un gioielliere; Andrea Campagna, era agente della Polizia di Stato. Persone comuni, che nulla avevano mai avuto a che fare con la lotta politica che negli anni ‘70 uccideva in nome di un’ideologia cieca e inumana.
Questi sono i nomi di quattro cittadini che, insieme a molti altri, hanno perso la vita tra il 6 giugno 1978 ed il 19 aprile 1979, uccisi dalla follia omicida di organizzazioni terroristiche che hanno tentato di sovvertire l’ordine democratico in Italia. Il nome di uno degli assassini è Cesare Battisti.
Nel gennaio di quest’anno, il Presidente brasiliano Lula aveva inspiegabilmente concesso lo status di rifugiato politico al terrorista italiano. Mercoledì in serata il Supremo Tribunal Federal ha sconfessato Lula smentendo l'ipotesi di persecuzione politica. Il presidente della Corte suprema ha anche ripercorso passo a passo tutti gli omicidi attribuiti a Battisti, per illustrarne il carattere di delitto "comune" e non politico. Il verdetto è stato quindi automatico: estradizione.
È doveroso aggiungere che Cesare Battisti è stato riconosciuto colpevole non solo dalla magistratura italiana, ma anche dalla magistratura francese e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La corte brasiliana ha riconosciuto nell’atteggiamento del Presidente Lula un atto inspiegabile e gravissimo, contrario al Diritto internazionale e in chiara violazione dell’accordo di estradizione in vigore tra Italia e Brasile.
Inoltre, la decisione presa dal Governo brasiliano contrastava in maniera deprecabile l'immagine dell'Unione europea, perché sembrava presumere che all'interno di uno Stato membro dell'Unione europea si pratichi la persecuzione politica o la tortura. Eravamo di fronte a un fatto inaccettabile che oltretutto non ha alcun fondamento nella realtà.
Il Brasile è un grande paese democratico da sempre in ottimi rapporti con l'Europa e con l'Italia, ed è proprio per questo che questa porta sbattuta in faccia ci aveva colti di sorpresa. Proprio per l'amicizia e il rispetto che lega i nostri paesi, per l'amicizia e gli accordi di cooperazione e di partenariato che legano il Brasile e l'Unione europea sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista economico, la reazione è stata decisa ed efficace da parte di tutti.
Come membro del Parlamento europeo mi sono sentito in dovere di combattere per raggiungere questo risultato innanzitutto perché l'Unione europea ha da molti anni ormai definito una strategia contro il terrorismo per garantire la sicurezza dei cittadini e per salvaguardare le istituzioni democratiche.
Restare a guardare avrebbe quindi vanificato gli sforzi prodotti in questi anni per combattere insieme una minaccia sempre presente. Ma è soprattutto un dovere che le istituzioni democratiche hanno nei confronti dei parenti delle vittime di Cesare Battisti, affinché venga fatta finalmente giustizia.
Il Governo italiano si è sempre mosso con ogni mezzo in suo possesso, attraverso ogni forma legittima di pressione politica e diplomatica per accelerare i tempi della cattura.
Purtroppo la decisione del Tribunal Federal non è definitiva, nel senso che serve il consenso ultimo del Presidente Lula, il quale, comunque, di fronte a tali presupposti non sembra avere alcuna alternativa nel concedere al Governo italiano l’estradizione di Cesare Battisti, in nome della salvaguardia dello Stato di Diritto e per non cedere alla follia di chi si appella alla tutela dei diritti umani per un criminale che nella sua vita non ha fatto altro che sperimentare la cultura dell’odio e del furore ideologico.
GRAN BRETAGNA/ Guai a chi diventa cattolico. L’incredibile caso di “Miss Brown” e di “Myriam” - Redazione sabato 21 novembre 2009 – ilsussidiario.net
La deriva della politically corectness britannica arriva persino a generare forme odiose di discriminazione nei confronti dei cristiani.
È accaduto ad una donna, – che chiamerò Ms. Brown –, da tempo impegnata nell’attività di affidamento di minori. Per dieci anni si è presa cura di un’ottantina di ragazzi.
La donna ha dichiarato di non aver mai considerato quell’attività come un semplice lavoro ma come una vera e propria «vocation», e di amare profondamente quell’atto di attenzione nei confronti di adolescenti difficili. Aveva addirittura affittato, per quella sua vocazione, una fattoria con un pony che utilizzava per l’ippoterapia in favore di ragazzi disabili.
Tutto perfetto, tranne il fatto che Ms. Brown fosse anche una cristiana praticante.
I guai, infatti, cominciano quando le viene affidata una ragazza sedicenne – a cui diamo il nome di Miryam – sottratta alla famiglia d’origine musulmana. L’adolescente, dotata di un particolare grado di sensibilità ed intelligenza, aveva deciso di non vestire secondo le tradizioni islamiche e di non mangiare halal, ovvero seguendo i precetti coranici.
Quello che Ms. Brown non può prevedere è che l’irrequieta ragazza decida di convertirsi al cristianesimo proprio durante il periodo di affidamento.
Quando Miryam chiede, infatti, di farsi battezzare, le autorità comunali competenti sulla vigilanza dell’affidamento contestano alla donna di aver violato i propri doveri di affidataria, tra cui quello di «preservare la fede religiosa della ragazza» e di «usare la propria influenza per impedire il battesimo».
Gravissime le conseguenze.
Ad aprile dello scorso anno le autorità dispongono che alla ragazza venga interdetta la possibilità di frequentare la chiesa per sei mesi, affinché possa riconsiderare «in maniera più saggia» la denegata ipotesi di diventare cristiana. A Ms. Brown viene ingiunto di scoraggiare, in qualunque modo, la ragazza dal partecipare a qualunque tipo di attività religiosa, persino semplici eventi sociali.
Sette mesi dopo aver assunto queste misure provvisorie, nel novembre 2008, arriva la decisione finale: non solo viene revocato l’affidamento di Miryam ma si arriva addirittura a disporre la cancellazione di Ms. Brown dal registro ufficiale dei genitori affidatari. Non potrà più svolgere in futuro la sua vocazione.
Miryam, devastata e sconvolta dall’accaduto, viene riconsegnata alla sua famiglia d’origine (ignara della conversione), ed un’altra ragazza affidata a Ms. Brown viene portata via.
A nulla è servito il fatto che la stessa sedicenne avesse spiegato di essere interessata al cristianesimo molto prima dell’affidamento, e che, sempre secondo la ragazza, Ms. Brown avesse precisato, fin dal giorno del suo arrivo, che lei avrebbe potuto continuare a professare liberamente la propria fede islamica. Peraltro, il rispetto nei confronti delle convinzioni religiose della ragazza da parte di Ms. Brown era già stato esaminato prima dell’affidamento da parte delle autorità e non erano assolutamente sorti problemi a riguardo. Per evitare ogni questione, comunque, Ms. Brown era arrivata addirittura a scoraggiare la conversione della ragazza, offrendosi di accompagnarla in moschea o da amici di famiglia musulmani.
Miryam, però, si è dimostrata irremovibile nella sua decisione di diventare cristiana.
Gli assistenti sociali che seguivano la ragazza erano, oltretutto, a conoscenza del fatto che frequentasse, fin dal gennaio del 2008, una chiesa cristiana e non hanno mai sollevato obiezioni al riguardo. Avevano persino parlato con lei di tale circostanza e non sembrava avessero disapprovato.
Ma tutto ciò non è servito ad impedire la drastica decisione delle autorità comunali.
Ms. Brown ha tenuto a precisare che la cosa per lei più sconvolgente in questa vicenda surreale è il concetto riduttivo di cristianesimo manifestato dalle autorità ed il fatto che tale credo religioso fosse considerato «in such a negative light». La donna si è giustamente chiesta se lo stesso clamore sarebbe scoppiato anche nell’ipotesi che un “suo” ragazzo si fosse convertito ad una fede diversa da quella cristiana.
E forse sta proprio qui il problema.
Le autorità comunali non amano avere guai con la comunità musulmana. Sanno benissimo che l’islam non consente la conversione ad altre religioni e che la condanna coranica dell’apostasia si traduce persino con la pena di morte.
Piuttosto che creare un incidente diplomatico con i suscettibili islamici si preferisce, oramai, infliggere un torto ai più docili cristiani.
Ma la dura tempra di Ms. Brown, tipo tosto, non è di quelle che si arrendono facilmente.
Così, la donna affidataria ha deciso di impugnare davanti all’Alta Corte la decisione assunta dalle autorità comunali nei suoi confronti. L’udienza è fissata per il prossimo 3 marzo 2010. Sull’esito della causa è difficile pronunciarsi, anche se Nigel Priestley, il legale di Ms. Brown, si dichiara fiducioso e sostiene che non esistono prove in base a cui la conversione possa costituire un elemento pregiudizievole per lo sviluppo della personalità della ragazza.
Come ha fatto notare il mio amico Mike Judge, avvocato attivista nel campo del diritto alla libertà religiosa, ogni individuo dovrebbe essere libero di modificare le proprie convinzioni in materia di fede, ancora di più in una società che asserisce essere libera e democratica.
E’ davvero difficile immaginare che gli stessi gravissimi provvedimenti adottati in questo caso sarebbero stati assunti nell’ipotesi che un ragazzo affidato ad un genitore ateo avesse deciso di non credere più in Dio, mutando così le proprie convinzioni religiose.
Questo esempio rende evidente il «double standard», l’insopportabile doppiopesismo cui sono quotidianamente sottoposti oggi i cristiani in Gran Bretagna.
(Gianfranco Amato, presidente di Scienza e Vita di Grosseto)
1) ESCLUSIVA/ Scola: le chances di un cristianesimo vivo oggi - Alberto Savorana INT. Angelo Scola lunedì 23 novembre 2009 – Ilsussidiario.net
2) Il segreto di Cluny - Pigi Colognesi lunedì 23 novembre 2009 – ilsussidiario.net
3) GIUSTIZIA/ Mario Mauro: il caso Battisti sconfessa l’ideologia anti-terrorista - Mario Mauro lunedì 23 novembre 2009 – ilsussidiario.net
4) GRAN BRETAGNA/ Guai a chi diventa cattolico. L’incredibile caso di “Miss Brown” e di “Myriam” - Redazione sabato 21 novembre 2009 – ilsussidiario.net
ESCLUSIVA/ Scola: le chances di un cristianesimo vivo oggi - Alberto Savorana INT. Angelo Scola lunedì 23 novembre 2009 – Ilsussidiario.net
In questa intervista il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, parla della situazione “precaria e traballante” in cui si trova l’uomo postmoderno e delle chances del cristianesimo. La sfida educativa, l’esperienza elementare, le neuroscienze, il crocifisso e il riaccadere dell’avvenimento cristiano dentro tutti gli ambiti dell’esistenza.
A Brescia Benedetto XVI ha parlato di «emergenza educativa… come il 68». La Cei ha impegnato il prossimo decennio proprio su questo tema. Qual è la natura di questa emergenza?
Questa emergenza è dovuta al fatto che, soprattutto in Europa, si è in un certo senso interrotta la cura tra generazioni. È come quando in una catena si spezza un anello. Questo dato ci provoca a un ripensamento globale degli stili di vita propri dell’uomo europeo, perché la cura delle generazioni passa attraverso la “tradizione” di uno stile di vita buona. E la tradizione favorisce, come diceva Giovanni Paolo II, la scoperta che la nascita di ognuno di noi non è mai riducibile al puro inizio (biologia), ma implica sempre anche un’origine (genealogia). Mette in campo la catena delle generazioni che garantisce quell’esperienza compiuta di paternità-figliolanza senza la quale non si dà la persona con la sua capacità di esperienza e di cultura. Questa dimensione integrale della nascita è sottovalutata dall’uomo contemporaneo, soprattutto nella nostra area europea ed atlantica.
Nel Rapporto La sfida educativa, nel quale come Comitato del Progetto culturale dei Vescovi italiani avete sintetizzato le preoccupazioni della Chiesa, leggiamo che «per le società del passato l’educazione era un compito largamente condiviso; per la nostra essa sta diventando soprattutto una sfida». Come si è potuti arrivare a questa amara constatazione? E in che cosa consiste questa sfida?
Evidentemente non è possibile riassumere in poche righe l’insieme di fattori che ha portato a questo esito amaro. Certamente si possono evidenziare in proposito taluni limiti ed interrogativi aperti dalla modernità a cui il cosiddetto “postmoderno” non è ancora riuscito a dare riposta, ma vanno anche messi in linea di conto le trasformazioni del tutto inedite che da trent’anni sono in atto nella sfera dell’affettività, della nascita, della vita e della morte, ad opera soprattutto delle biotecnologie e delle neuroscienze. Mi capita spesso di paragonare l’uomo postmoderno a un pugile suonato che, incassato un forte colpo, continua il suo combattimento sul ring, ma in una situazione precaria, traballante. In che modo questa realtà ci sfida? E di che sfida si tratta? Si tratta di ritrovare le modalità adeguate per educare, per far passare attraverso costumi buoni uno stile di vita che sia in grado di rispondere al desiderio di felicità e libertà che caratterizza l’uomo di oggi. La prima di tali modalità è semplice, anche se indubbiamente ardua: è il porsi della persona dell’educatore. Ancora una volta il riflettore è puntato sull’adulto come colui che dà testimonianza alla verità che propone.
Il cristianesimo ha qualche chance di fronte a una situazione che sembra dominata dall’indifferenza, come se non ci fosse nulla in grado di suscitare un interesse per la realtà e per il futuro, specialmente tra i giovani?
Io penso che il cristianesimo abbia, oggi più che mai, delle grandi chances.
Nel linguaggio comune attuale le due parole dominanti sono felicità e libertà. Così come nel tempo delle ideologie erano verità e giustizia. Ovviamente non si tratta di sottovalutare queste ultime, ma di partire da ciò che per l’uomo postmoderno sembra contare di più, cioè felicità e libertà.
Ora se noi leggiamo attentamente l’esperienza degli amici di Gesù, come il vangelo ce la testimonia, ci imbattiamo in queste parole del Signore: «Se vuoi essere compiuto - cioè felice -, vieni e seguimi»; e aggiunge: «Chi mi segue, sarà libero davvero».
Gesù si propone come la via alla libertà e alla vita in quanto ha il potere di donare la felicità ed è capace di un appassionato e sconfinato amore per la libertà dell’uomo.
Oggi assistiamo a una frantumazione dell’umano senza precedenti; sembra quasi non sia più possibile rintracciare un principio unificatore dell’io. Come stare di fronte a questa umanità che oggi si mostra con questo organismo fragile e disarticolato?
Edificando - attraverso adeguate comunità educanti, a partire dalla famiglia, dalla scuola, dall’intrapresa economica fino alla comunità cristiana - uomini e donne che ripropongono questa esperienza in termini personali e comunitari. La grande risorsa in proposito è l’incontro con Cristo. Come diceva Mons. Luigi Giussani, è l’incontro con un’ipotesi esistenziale esplicativa della realtà che permette che tutto concorra al bene. Un incontro che genera nell’io una capacità critica straordinaria: «Vagliate ogni cosa, trattenete ciò che è buono». In concreto si tratta di costruire ambiti in cui ogni persona possa fare questa esperienza.
Grazie alle enormi possibilità offerte dalla tecnoscienza si fa strada il progetto di ricostruire l’uomo sulla base del principio che egli è solo un agglomerato di materia. Ma questo basta a spiegare la natura dell’uomo e la nascita della coscienza?
L’inquietante progetto citato è perseguito da non pochi cultori della tecnoscienza e si riferisce alle strabilianti scoperte che si vanno facendo nel campo della fisica, della biologia, delle neuroscienze, ma la domanda si ripropone. Come è possibile che parti di materia priva di coscienza producano coscienza? Personalmente, penso che una rigorosa pratica delle scienze sperimentali non possa negare l’esperienza elementare dell’uomo che, per quanto possa essere radicata nel bios o nel cervello, sfocia inesorabilmente in una dimensione che possiamo chiamare spirituale e che, pur essendo in profonda unità con la precedente, tuttavia la supera. A prova, secondo me, che l’unità duale anima-corpo, sostenuta da più di duemila anni di pensiero, è insuperabile.
Nella prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Istituto Giovanni Paolo II, Lei si è domandato: «Esiste un terreno comune da cui partire, nel rigoroso rispetto di ciò che è fede e quindi teologia e di ciò che è oggetto del sapere delle neuroscienze, per verificare quanta strada si può fare insieme?». Qual è stata la sua risposta?
La mia risposta è affermativa: è il terreno dell’esperienza morale elementare. Gli stessi cultori delle neuroscienze parlano di “morale prima della morale”, per dire - come sostiene uno dei più famosi, Gazzaniga - che “il nostro cervello vuole credere”. Non so se domani si riuscirà a dimostrare che la mente è riconducibile al cervello, ma so che, in ogni caso, l’esperienza morale elementare, per quanto possa avere la sua origine nei meccanismi neuronali del cervello, ultimamente li trascende. Li trascende proprio perché mette in campo il senso religioso.
Tanti cristiani soffrono un dualismo tra fede e vita, come la fede non fosse più in grado di mostrare la sua portata di verità e di bene nella realtà quotidiana (studio, lavoro, affetti). Cosa può vincere questo dualismo?
Da dove ripartire per ricostituire un soggetto cristiano unito? Qui ritorniamo a quanto rilevato in precedenza: dato che nessuno si educa da sé - il discorso sull’auto-educazione è un discorso banale -, è necessario che qualcuno che già vive questa esperienza di unità si prenda cura dell’educando che gli è affidato. E questo generalmente può avvenire solo dentro comunità vitali. Per noi cristiani l’unità non è un traguardo da conquistare, ma il dono di un’Origine (torniamo alla prima risposta) da riconoscere.
Perché secondo lei la strada del ritorno alla “esperienza elementare” (quella propria di ogni persona quando affronta le domande fondamentali della vita) dovrebbe essere una risorsa per affrontare la situazione dell’uomo di oggi?
Perché l’esperienza elementare supera ogni complessità. Questo è molto importante.
Come hanno mostrato bene Mons. Giussani ne Il rischio educativo, o Woytjla in Persona e Atto, o von Balthasar in Gloria, l’esperienza elementare è assolutamente inaffondabile. Io la paragono a quello che a volte si può vedere in primavera in città, passando vicino a un’area dismessa in cui qualche vecchia costruzione è stata demolita e non si è ancora riedificato, quando spuntano qua e là, tra i detriti, dei fili d’erba. Ecco, l’esperienza elementare è come quei fili d’erba: per quanto possa essere soffocata è insopprimibile, rispunta sempre, non la si può sradicare.
La recente sentenza sui crocifissi nelle scuole ha suscitato la reazione scandalizzata della maggioranza del popolo italiano, addirittura l’84% secondo un sondaggio del Corriere della Sera. Questo dato significa qualcosa per lei?
Significa molto per me. Non sono affatto d’accordo con quanti lo sottostimano, perché non riconoscono con oggettività una chiara volontà del popolo che deve essere rispettata. Ma è fin troppo ovvio che questo dato da solo è destinato a decrescere.
Non ci si può limitare a questo, che pur è una confortante occasione per la riscoperta del potente significato del Crocifisso per la cultura mondiale, ma ci si deve anche (e molto di più) interrogare sul bisogno di testimoni vitali del Crocifisso risorto e vivo come Salvatore, come Redentore, come compagnia guidata al destino dell’uomo. Il bisogno della testimonianza cristiana.
Molti di coloro che si sono pronunciati a favore del crocifisso hanno parlato di difesa della nostra tradizione culturale e sociale, di simbolo universale di fratellanza. Pochi hanno colto un altro livello della questione, che sta sotto l’alternativa “crocifisso sì, crocifisso no”: che cos’è il cristianesimo oggi?
Il cristianesimo oggi è quello di sempre: l’inaudito avvenimento di Dio che viene incontro all’uomo, facendosi uno come noi, con un’umiltà così potente da permettere alla nostra presuntuosa libertà finita di crocifiggerlo. Uno che ci accompagna nel cammino, perché ci ha detto: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Uno che rende possibile verificare, nella propria fragile umanità, la potente affermazione di San Paolo: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. È una qualità di vita diversa su questa terra, perché radicata nella paternità amante del Dio Uno e Trino che ci ha donato Suo Figlio e che, per la potenza dello Spirito Santo, genera la Chiesa e le comunità cristiane, dove si può fare concretamente esperienza di tutto questo, vivendo intensamente fin da ora gli affetti, il lavoro e il riposo.
A quali condizioni può accadere oggi la nascita di quella “creatura nuova” che è il cristiano - cioè un protagonista nuovo sulla scena del mondo - di cui parlò don Giussani nella lunga intervista che Le concesse nel 1987?
Mi limito ad aggiungere un aspetto a quanto rilevato nelle risposte precedenti: il bisogno primario è che si possa rivivere l’esperienza di Andrea e Giovanni. Un giorno, mentre stavano con il Battista, furono da lui invitati ad andare a conoscere Gesù che passava dall’altra parte del Giordano. I due si misero a seguirlo e fecero la potente scoperta che descrive il dinamismo dell’esperienza cristiana: incontrare, andare, vedere, dimorare, comunicare.
Questi verbi possono tradurre in pratica la fisionomia della creatura nuova.
Quali possibilità ha l’annuncio cristiano in un mondo che, per dirla con T.S. Eliot, avendo voltato le spalle alla Chiesa, «avanza all’indietro, progressivamente»? Detta in altri termini: come un cristiano di oggi può comunicare agli altri la propria identità?
Lo può se sta nel reale fino in fondo e a 360 gradi, dentro tutti gli ambienti dell’umana esistenza, come colui che avendo avuto la grazia straordinaria di un incontro che gli permette di dare del tu a Cristo, lo comunica in tutta semplicità. Il resto è conseguenza. Non servono strategie e non servono progetti.
Il segreto di Cluny - Pigi Colognesi lunedì 23 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Terminavo l’editoriale di quindici giorni fa con alcune frasi in cui Charles Péguy spiegava che cosa sia una vera rivoluzione, cioè un movimento di uomini che costruiscono per il benessere di tutti e che quindi segnano una svolta nel cammino della storia.
Lo scrittore francese diceva che una rivoluzione autentica è «l’effetto ben ordinato di una lunga e invincibile pazienza» ed è fatta da «grandi uomini di grande vita interiore». Un esempio luminosissimo è l’abbazia di Cluny, della quale sono iniziati lo scorso mese di settembre le celebrazioni per i mille e cento anni di fondazione.
Era infatti il 910 quando Guglielmo il Pio, duca d’Aquitania, firmava la carta di donazione di un terreno perché vi sorgesse un monastero che vivesse in pienezza e libertà la regola di san Benedetto. In pienezza, cioè senza nessuna edulcorazione degli impegni ascetici, altrove poco rispettati. In libertà, cioè senza intromissioni dei poteri esterni, né quelli civili, né quelli ecclesiastici a volte succubi dei primi.
A questo scopo Guglielmo pose il nascente monastero dei santi Pietro e Paolo di Cluny direttamente alle dipendenze del Papa. A dirigere la nuova impresa il duca chiamò un monaco deciso e di provata esperienza: Bernone.
Nessuno poteva allora immaginare che la piccola fondazione monastica situata nel cuore della Borgogna sarebbe stata l’inizio di una rivoluzione. Ma è quel che avvenne. Lo stile di vita dei monaci raccolti intorno a Bernone suscitò in molti il desiderio di imitarli.
Sorsero nuovi priorati e antiche abbazia si affiliarono a Cluny assumendone lo stile di vita, fondato sulla priorità assoluta data alla preghiera comune, intesa come anticipo della gloriosa liturgia del cielo. Nel giro di pochi decenni Cluny si trovò a capo di una rete impressionante: circa duemila monasteri diffusi in tutta la cristianità e, secondo le stime meno azzardate, ventimila monaci.
Gli storici si sono chiesti quale fosse il motivo di un simile straordinario sviluppo. Le risposte sono state tante, ma quella che mi pare più convincente è quella offerta da Raymond Oursel nel suo splendido Il segreto di Cluny. Certo è stato decisivo che l’abbazia fosse slegata dal potere locale; è stata importante la saggia amministrazione di chi l’ha guidata e la forma della rete di monasteri legati ad un unico abate.
Ma il vero segreto di Cluny è stata la santità dei suoi abati. Sì, proprio la santità personale di uomini che hanno vissuto, coi differenti temperamenti e coi diversi doni loro dati dalla natura, l’ideale monastico ha reso possibile costruire un luogo dove regnava, per usare le parole di Oursel, «reciproca concordia, vicendevole aiuto, gioia quotidiana», che «sfociavano nell’indulgenza e nella compassione verso gli altri».
Il luogo di una civiltà autenticamente umana, di una rivoluzione compiuta. Vale proprio la pena di elencare i nomi di questi primi grandi abati di Cluny, che furono in gran parte canonizzati: Bernone, Odone, Aimardo, Maiolo, Odilone, Ugo, Pietro.
La chiesa di Cluny all’apice del suo splendore era la più grande di tutta la cristianità; sarebbe stata superata solo dalla rinascimentale basilica vaticana. Il turista che ci andasse oggi troverebbe però solo dei resti: un campanile e mozziconi di colonne. I fanatici di un’altra “rivoluzione”, quella “francese” del 1789, stabilirono che quell’imponente edificio doveva essere considerato come una cava di pietra e tutti potevano estrarne materiale per le proprie costruzioni.
Cluny moriva così. Ma era già morta da quando invece della santità era subentrato il calcolo politico, invece della preghiera l’amministrazione, al posto della concordia l’equilibrismo sociale. Anche la più autentica delle rivoluzioni può spegnersi. Ma non si spegne il messaggio e la ricchezza esemplare del suo originale sgorgare.
GIUSTIZIA/ Mario Mauro: il caso Battisti sconfessa l’ideologia anti-terrorista - Mario Mauro lunedì 23 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Antonio Santoro era un maresciallo della Polizia penitenziaria; Lino Sabbadin faceva il macellaio; Pierluigi Torregiani era un gioielliere; Andrea Campagna, era agente della Polizia di Stato. Persone comuni, che nulla avevano mai avuto a che fare con la lotta politica che negli anni ‘70 uccideva in nome di un’ideologia cieca e inumana.
Questi sono i nomi di quattro cittadini che, insieme a molti altri, hanno perso la vita tra il 6 giugno 1978 ed il 19 aprile 1979, uccisi dalla follia omicida di organizzazioni terroristiche che hanno tentato di sovvertire l’ordine democratico in Italia. Il nome di uno degli assassini è Cesare Battisti.
Nel gennaio di quest’anno, il Presidente brasiliano Lula aveva inspiegabilmente concesso lo status di rifugiato politico al terrorista italiano. Mercoledì in serata il Supremo Tribunal Federal ha sconfessato Lula smentendo l'ipotesi di persecuzione politica. Il presidente della Corte suprema ha anche ripercorso passo a passo tutti gli omicidi attribuiti a Battisti, per illustrarne il carattere di delitto "comune" e non politico. Il verdetto è stato quindi automatico: estradizione.
È doveroso aggiungere che Cesare Battisti è stato riconosciuto colpevole non solo dalla magistratura italiana, ma anche dalla magistratura francese e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La corte brasiliana ha riconosciuto nell’atteggiamento del Presidente Lula un atto inspiegabile e gravissimo, contrario al Diritto internazionale e in chiara violazione dell’accordo di estradizione in vigore tra Italia e Brasile.
Inoltre, la decisione presa dal Governo brasiliano contrastava in maniera deprecabile l'immagine dell'Unione europea, perché sembrava presumere che all'interno di uno Stato membro dell'Unione europea si pratichi la persecuzione politica o la tortura. Eravamo di fronte a un fatto inaccettabile che oltretutto non ha alcun fondamento nella realtà.
Il Brasile è un grande paese democratico da sempre in ottimi rapporti con l'Europa e con l'Italia, ed è proprio per questo che questa porta sbattuta in faccia ci aveva colti di sorpresa. Proprio per l'amicizia e il rispetto che lega i nostri paesi, per l'amicizia e gli accordi di cooperazione e di partenariato che legano il Brasile e l'Unione europea sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista economico, la reazione è stata decisa ed efficace da parte di tutti.
Come membro del Parlamento europeo mi sono sentito in dovere di combattere per raggiungere questo risultato innanzitutto perché l'Unione europea ha da molti anni ormai definito una strategia contro il terrorismo per garantire la sicurezza dei cittadini e per salvaguardare le istituzioni democratiche.
Restare a guardare avrebbe quindi vanificato gli sforzi prodotti in questi anni per combattere insieme una minaccia sempre presente. Ma è soprattutto un dovere che le istituzioni democratiche hanno nei confronti dei parenti delle vittime di Cesare Battisti, affinché venga fatta finalmente giustizia.
Il Governo italiano si è sempre mosso con ogni mezzo in suo possesso, attraverso ogni forma legittima di pressione politica e diplomatica per accelerare i tempi della cattura.
Purtroppo la decisione del Tribunal Federal non è definitiva, nel senso che serve il consenso ultimo del Presidente Lula, il quale, comunque, di fronte a tali presupposti non sembra avere alcuna alternativa nel concedere al Governo italiano l’estradizione di Cesare Battisti, in nome della salvaguardia dello Stato di Diritto e per non cedere alla follia di chi si appella alla tutela dei diritti umani per un criminale che nella sua vita non ha fatto altro che sperimentare la cultura dell’odio e del furore ideologico.
GRAN BRETAGNA/ Guai a chi diventa cattolico. L’incredibile caso di “Miss Brown” e di “Myriam” - Redazione sabato 21 novembre 2009 – ilsussidiario.net
La deriva della politically corectness britannica arriva persino a generare forme odiose di discriminazione nei confronti dei cristiani.
È accaduto ad una donna, – che chiamerò Ms. Brown –, da tempo impegnata nell’attività di affidamento di minori. Per dieci anni si è presa cura di un’ottantina di ragazzi.
La donna ha dichiarato di non aver mai considerato quell’attività come un semplice lavoro ma come una vera e propria «vocation», e di amare profondamente quell’atto di attenzione nei confronti di adolescenti difficili. Aveva addirittura affittato, per quella sua vocazione, una fattoria con un pony che utilizzava per l’ippoterapia in favore di ragazzi disabili.
Tutto perfetto, tranne il fatto che Ms. Brown fosse anche una cristiana praticante.
I guai, infatti, cominciano quando le viene affidata una ragazza sedicenne – a cui diamo il nome di Miryam – sottratta alla famiglia d’origine musulmana. L’adolescente, dotata di un particolare grado di sensibilità ed intelligenza, aveva deciso di non vestire secondo le tradizioni islamiche e di non mangiare halal, ovvero seguendo i precetti coranici.
Quello che Ms. Brown non può prevedere è che l’irrequieta ragazza decida di convertirsi al cristianesimo proprio durante il periodo di affidamento.
Quando Miryam chiede, infatti, di farsi battezzare, le autorità comunali competenti sulla vigilanza dell’affidamento contestano alla donna di aver violato i propri doveri di affidataria, tra cui quello di «preservare la fede religiosa della ragazza» e di «usare la propria influenza per impedire il battesimo».
Gravissime le conseguenze.
Ad aprile dello scorso anno le autorità dispongono che alla ragazza venga interdetta la possibilità di frequentare la chiesa per sei mesi, affinché possa riconsiderare «in maniera più saggia» la denegata ipotesi di diventare cristiana. A Ms. Brown viene ingiunto di scoraggiare, in qualunque modo, la ragazza dal partecipare a qualunque tipo di attività religiosa, persino semplici eventi sociali.
Sette mesi dopo aver assunto queste misure provvisorie, nel novembre 2008, arriva la decisione finale: non solo viene revocato l’affidamento di Miryam ma si arriva addirittura a disporre la cancellazione di Ms. Brown dal registro ufficiale dei genitori affidatari. Non potrà più svolgere in futuro la sua vocazione.
Miryam, devastata e sconvolta dall’accaduto, viene riconsegnata alla sua famiglia d’origine (ignara della conversione), ed un’altra ragazza affidata a Ms. Brown viene portata via.
A nulla è servito il fatto che la stessa sedicenne avesse spiegato di essere interessata al cristianesimo molto prima dell’affidamento, e che, sempre secondo la ragazza, Ms. Brown avesse precisato, fin dal giorno del suo arrivo, che lei avrebbe potuto continuare a professare liberamente la propria fede islamica. Peraltro, il rispetto nei confronti delle convinzioni religiose della ragazza da parte di Ms. Brown era già stato esaminato prima dell’affidamento da parte delle autorità e non erano assolutamente sorti problemi a riguardo. Per evitare ogni questione, comunque, Ms. Brown era arrivata addirittura a scoraggiare la conversione della ragazza, offrendosi di accompagnarla in moschea o da amici di famiglia musulmani.
Miryam, però, si è dimostrata irremovibile nella sua decisione di diventare cristiana.
Gli assistenti sociali che seguivano la ragazza erano, oltretutto, a conoscenza del fatto che frequentasse, fin dal gennaio del 2008, una chiesa cristiana e non hanno mai sollevato obiezioni al riguardo. Avevano persino parlato con lei di tale circostanza e non sembrava avessero disapprovato.
Ma tutto ciò non è servito ad impedire la drastica decisione delle autorità comunali.
Ms. Brown ha tenuto a precisare che la cosa per lei più sconvolgente in questa vicenda surreale è il concetto riduttivo di cristianesimo manifestato dalle autorità ed il fatto che tale credo religioso fosse considerato «in such a negative light». La donna si è giustamente chiesta se lo stesso clamore sarebbe scoppiato anche nell’ipotesi che un “suo” ragazzo si fosse convertito ad una fede diversa da quella cristiana.
E forse sta proprio qui il problema.
Le autorità comunali non amano avere guai con la comunità musulmana. Sanno benissimo che l’islam non consente la conversione ad altre religioni e che la condanna coranica dell’apostasia si traduce persino con la pena di morte.
Piuttosto che creare un incidente diplomatico con i suscettibili islamici si preferisce, oramai, infliggere un torto ai più docili cristiani.
Ma la dura tempra di Ms. Brown, tipo tosto, non è di quelle che si arrendono facilmente.
Così, la donna affidataria ha deciso di impugnare davanti all’Alta Corte la decisione assunta dalle autorità comunali nei suoi confronti. L’udienza è fissata per il prossimo 3 marzo 2010. Sull’esito della causa è difficile pronunciarsi, anche se Nigel Priestley, il legale di Ms. Brown, si dichiara fiducioso e sostiene che non esistono prove in base a cui la conversione possa costituire un elemento pregiudizievole per lo sviluppo della personalità della ragazza.
Come ha fatto notare il mio amico Mike Judge, avvocato attivista nel campo del diritto alla libertà religiosa, ogni individuo dovrebbe essere libero di modificare le proprie convinzioni in materia di fede, ancora di più in una società che asserisce essere libera e democratica.
E’ davvero difficile immaginare che gli stessi gravissimi provvedimenti adottati in questo caso sarebbero stati assunti nell’ipotesi che un ragazzo affidato ad un genitore ateo avesse deciso di non credere più in Dio, mutando così le proprie convinzioni religiose.
Questo esempio rende evidente il «double standard», l’insopportabile doppiopesismo cui sono quotidianamente sottoposti oggi i cristiani in Gran Bretagna.
(Gianfranco Amato, presidente di Scienza e Vita di Grosseto)