domenica 8 novembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) IL PENSIERO DEL VESCOVO NEGRI - SULLA DECISIONE DELLA CORTE DI STRASBURGO DI VIETARE LA PRESENZA DEI CROCIFISSI NELLA AULE SCOLASTICHE
2) Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi - A cura di: Roberto De Mattei, , Ed. Cantagalli, Siena 2009, ISBN: 8882725006, pp. 192, Euro 15,00 - In occasione del bicentenario della nascita di Darwin e a centocinquant’anni dalla prima pubblicazione dell’Origine delle specie, alcuni autorevoli studiosi di diverse appartenenze culturali e disciplinari si sono confrontati sulla fortuna delle teorie darwiniane, mettendone in luce le diverse criticità.
3) «La croce racconta la nostra umanità» - Lo scrittore Eric-Emmanuel Schmitt: simbolo d’uguaglianza Nulla di buono può uscire da un’operazione di amnesia - DA VERONA - LORENZO FAZZINI – Avvenire, 8 novembre 2009
4) APPELLO PER LA PACE DOPO LA CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO - Tony Blair - Una roadmap per il dialogo fra cristiani e musulmani - di Tony Blair – Avvenire, 8 novembre 2009


IL PENSIERO DEL VESCOVO NEGRI - SULLA DECISIONE DELLA CORTE DI STRASBURGO DI VIETARE LA PRESENZA DEI CROCIFISSI NELLA AULE SCOLASTICHE
La decisione assunta dalla Corte dei Diritti dell’uomo di Strasburgo era largamente prevedibile e, per certi aspetti, attesa. In queste istituzioni si sta sostanzialmente catalizzando tutto il peggior laicismo che ha una connotazione obiettivamente anti cattolica ed è teso ad eliminare, anche con la violenza, la presenza cristiana dalla vita della società e, addirittura, i simboli di questa presenza.



Altri hanno già individuato, soprattutto la Conferenza Episcopale Italiana, la meschinità culturale di questa decisione, la miopia, come ha detto la Santa Sede, ma io credo che sia giusto dire che si tratta di una volontà eversiva verso la presenza cristiana, condotta con una ferocia pari soltanto all’apparente oggettività o neutralità delle istituzioni del diritto. Però è anche giusto - come facevano i nostri vecchi, e noi abbiamo spesso dimenticato questa lezione - , che ci chiediamo se noi, come popolo cristiano e, addirittura, vorrei dire come ecclesiasticità, non abbiamo qualche responsabilità per questa situazione. È sempre giusto leggere in profondità se in qualche modo abbiamo rischiato di essere conniventi.
La vicenda di Strasburgo nella sua brutalità è anche una conseguenza di troppo irenismo che attraversa il mondo cattolico da decenni, per cui la preoccupazione fondamentale non è la nostra identità ma il dialogo ad ogni costo, andare d’accordo anche con le posizioni più distanti. Questo rispetto della diversità delle posizioni culturali e religiose, sostenuto dall’idea di una sostanziale equivalenza fra le varie posizioni e religioni, che fa perdere al cattolicesimo la sua assoluta specificità. Un irenismo, un aperturismo, una volontà di dialogo a tutti i costi che viene ripagata nell’unico modo in cui il potere mondano ripaga sempre questi scomposti atteggiamenti di compromesso: con il disprezzo e la violenza.
È necessario rinnovare la coscienza della propria identità, della propria specificità come evento umano e cristiano nei confronti di qualsiasi altra posizione, ed attrezzarci a vivere il dialogo con tutte le altre posizioni, non sulla base di una smobilitazione della propria identità ma come espressione ultima, critica, intensa della nostra identità.
Alla fine risulterà forse una prova significativa, una prova che può formare, una prova attraverso la quale - come spesso ci viene ricordato dalla tradizione dei grandi Padri della Chiesa -, Dio continua ad educare il suo popolo. Ma occorre che il giudizio sia chiaro e non ci si fermi a reazioni emotive ma si legga in profondità il compito che abbiamo davanti: recuperare la nostra identità ecclesiale e impegnarci nella testimonianza di fronte al mondo.
L’avvenimento ha colpito profondamente il Vescovo e la Chiesa di San Marino-Montefeltro; il giorno 12 novembre p.v. alle 18,30, nel Santuario del Crocifisso di Talamello, il Vescovo guiderà una Liturgia di riparazione nei confronti di quello che, obiettivamente, è un gesto di rifiuto nei confronti del Crocifisso. Nel contempo, nelle diverse realtà parrocchiali di tutta la Diocesi, i Parroci sono stati invitati a preparare questo momento attraverso opportune iniziative.

Pennabilli, 4 Novembre 2009
+ Luigi Negri
Vescovo di San Marino-Montefeltro


Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi - A cura di: Roberto De Mattei, , Ed. Cantagalli, Siena 2009, ISBN: 8882725006, pp. 192, Euro 15,00 - In occasione del bicentenario della nascita di Darwin e a centocinquant’anni dalla prima pubblicazione dell’Origine delle specie, alcuni autorevoli studiosi di diverse appartenenze culturali e disciplinari si sono confrontati sulla fortuna delle teorie darwiniane, mettendone in luce le diverse criticità.

Sconto su: http://www.theseuslibri.it/


Dai loro contributi è nato il libro Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi, a cura di Roberto de Mattei (Cantagalli 2009, pagine 260, euro 17,00). Il volume, che sarà presentato a Roma, all’Hotel Columbus (via della Conciliazione, 33), il prossimo 6 novembre alle ore 18, raccoglie gli atti di un convegno svoltosi di recente a Roma per iniziativa della Vice Presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Da queste pagine l’evoluzionismo emerge come una teoria scientifica e filosofica, due aspetti che si sostengono a vicenda, incapace però di rispondere ad alcune questioni basilari riguardanti l’origine della vita e il mistero dell’esistenza umana.

L’evoluzionismo appare inoltre come una “cosmogonia” che pretende di descrivere la storia del mondo partendo da postulati scientifici inverificabili, una dottrina spesso imposta come un “dogma”, che invece dovrebbe essere sottoposta al rigoroso vaglio della critica nazionale e scientifica, attraverso un libero confronto tra gli studiosi.

Gli autori del volume sono: Guy Berthault, paleontologo, membro dell’Associazione Internazionale dei Sedimentologi (Francia); Roberto de Mattei, storico, professore all’Università Europea di Roma e Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche; Jean de Pontcharra, fisico, ricercatore in nano-elettronica all’Università di Grenoble (Francia); Maciej Giertych, genetista, membro dell’Accademia Polacca delle Scienze e, fino al 2009, deputato del Parlamento Europeo (Polonia); Josef Holzschuh, fisico, ricercatore di geofisica alla University of Western Australia; Hugh Miller, chimico, dottorato alla Ohio State University, Columbus, Oh (USA); Hugh Owen, scrittore, presidente del Kolbe Center negli Stati Uniti; Pierre Rabischong, biologo, professore emerito dell’Università di Montpellier, già Direttore dell’unità di ricerca in biomeccanica dell’INSERM e decano della Facoltà di Medicina (Francia); Josef Seifert, filosofo, rettore dell’International Academy for Philosophy del Liechtenstein, membro della Pontificia Accademia della Vita (Germania); Thomas Seiler, fisico, dottorato in fisico-chimica all’Università di Monaco, ingegnere per i sensori elettrochimici nel Dipartimento Innovazione della Robert Bosch GmbH (Germania); Dominique Tassot, Direttore del Centre d’Etudes et de Prospectives sur la Science (Francia); Alma von Stockhausen, filosofo, presidente della Gustav-Siewerth-Akademie (Germania).


(C) Famiglia Domani

--------------------------------------------------------------------------------
Fosse una ipotesi scientifica come le altre, l’evoluzionismo sarebbe finito già da tempo, se non nell’obitorio della scienza, quantomeno nel reparto dei malati gravi, viste le tante discordanze che le conseguenze di questa teoria hanno con l’osservazione empirica. Ma l’evoluzionismo non è più una teoria qualunque, da sottoporre a rischio di falsificazione, come richiesto dall’epistemologo Karl Popper per distinguere ciò che è scienza da ciò che non lo è. Esso è un dogma al quale si può aderire solo mediante atto di fede. Una metafisica, insomma. Proprio come quel “creazionismo” che degli evoluzionisti è il grande nemico. Con la differenza che chi difende l’ipotesi della creazione di solito lo fa con la Bibbia in mano, e non pretende di parlare in nome della scienza.

La stessa comunità scientifica è tutt’altro che concorde con le ipotesi sviluppate da Charles Darwin nell’"Origine delle specie". La novità è che molti di questi scienziati adesso iniziano a rendere pubbliche le loro critiche. Un libro importante uscirà nei prossimi giorni per le Edizioni Cantagalli. Si intitola (e il titolo già dice tutto) Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi, ed è stato curato da Roberto de Mattei, vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche. Il volume, che Libero ha potuto leggere in anteprima, raccoglie gli interventi tenuti in un convegno a porte chiuse che si è svolto a Roma lo scorso febbraio nella sede del Cnr. Un’occasione che ha visto a confronto biologi, paleontologi, fisici, genetisti, chimici, biologi e filosofi della scienza di livello internazionale.

La tesi illustrata 150 anni da Darwin e portata avanti dai suoi epigoni è riassumibile in tre assiomi. Primo: «Tutti gli esseri organici che hanno vissuto su questa terra sono derivati da una singola forma primordiale, nella quale la vita è stata per la prima volta infusa» (come scritto dallo stesso Darwin nell’"Origine delle specie"). Secondo: la selezione naturale è stata «il più importante, anche se non esclusivo, strumento di modificazione» attraverso il quale le forme di vita più complesse si sono evolute da quelle più semplici. Terzo, non esiste alcun “progetto”: le mutazioni sono casuali e alcune rendono certi individui più adatti alla sopravvivenza; trasmettendole ai loro eredi, rendono possibile l’evoluzione.

Un corpus teorico che, secondo i documenti che il Cnr sta per rendere pubblici, fa acqua da tutte le parti. Il fisico tedesco Thomas Seiler mette il darwinismo alla prova della seconda legge della termodinamica, secondo la quale l’entropia, che può essere definita come il caos in natura, non può mai diminuire. E «l’ipotetico emergere della vita da processi materiali indiretti, come suggerito dalla teoria evoluzionistica, non è conforme» a questa legge. Ma anche «la successione di piccole variazioni genetiche che portano alla costruzione di un organo completamente nuovo tramite selezione naturale», prevista dal darwinismo, «è una processo da escludere di entropia decrescente». Non a caso, nota Seiler, malgrado siano stati descritti più di 1,3 milioni di tipi di animali, «nessun organismo mostra segni di essere in evoluzione verso una complessità maggiore. Come previsto, l’entropia biologica non sta diminuendo». Insomma, la fisica stessa si ribella all’ipotesi darwiniana.

L’evoluzionismo presuppone inoltre lunghissimi tempi geologici, nei quali - come affermano i suoi sostenitori, «l’impossibile diviene possibile, il possibile probabile e il probabile virtualmente certo». La sequenza degli strati dei fossili marini, ad esempio, secondo i darwinisti confermerebbe processi durati milioni di anni. Ma il paleontologo francese Guy Berthault sostiene che, calcolato con nuovi metodi più attendibili, il periodo di sedimentazione dei fossili si rivela assai più breve di quanto creduto sinora e il tempo degli sconvolgimenti geologici si accorcia drasticamente. Tanto da essere «insufficiente per l’evoluzione delle specie, come risulta concepita dai sostenitori dell’ipotesi evoluzionista».

Dominique Tassot, che in Francia dirige il Centre d’Etudes et de prospectives sur la Science, invita a non confondere tra «micro-evoluzione» e «macro-evoluzione». Nel primo caso rientrano le mutazioni adattative accertate, che riguardano caratteri secondari come il colore, lo spessore della pelliccia di un animale, l’altezza, la forma del becco e così via. Ma «è paradossale», sostiene, «estendere il significato della parola “adattamento” per indicare l’evoluzione di nuovi organi del corpo», come «il passaggio dalle squame alle piume o dalle pinne alle zampe», esempi di macro-evoluzione: fenomeno «che manca di qualsiasi verifica empirica o di base teorica».

Il genetista polacco Maciej Giertych sottolinea che «siamo a conoscenza di molte mutazioni che sono deleterie» e anche «di mutazioni biologicamente neutrali», ma le cosiddette «mutazioni positive», che consentirebbero l’evoluzione delle specie, «sono più un postulato che una osservazione». L’esempio che più di frequente viene fatto, l’adattamento di certe erbacce al diserbante atrazina, «in nessun modo aiuta a sostenere la teoria dell’evoluzione», perché si tratta di un adattamento «positivo soltanto nel senso che protegge funzioni esistenti», ma «non fornisce nuova informazione, per nuove funzioni o organi». A conti fatti, secondo Giertych, «l’evoluzione dovrebbe essere presentata nelle scuole come un’ipotesi scientifica in attesa di conferma, come una teoria che ha sia sostenitori che oppositori. Per di più, sia gli argomenti a favore della teoria che quelli contrari dovrebbero essere presentati in modo imparziale».

La verità, banale e meravigliosa allo stesso tempo, è che, come scrive de Mattei, «dal punto di vista della scienza sperimentale, entrambe le ipotesi sulle origini, sia l’evoluzionista che la creazionista, sono inverificabili. Su questi temi ultimi non è la scienza, ma la filosofia, a doversi pronunciare».

Fausto Carioti, 4-11-2009. Da: libero-news.it


«La croce racconta la nostra umanità» - Lo scrittore Eric-Emmanuel Schmitt: simbolo d’uguaglianza Nulla di buono può uscire da un’operazione di amnesia - DA VERONA - LORENZO FAZZINI – Avvenire, 8 novembre 2009
D al palco del premio letterario “Scri­vere per amore”, conferitogli du­rante il fine settimana al teatro Nuovo di Verona, non ha avuto timore di definirsi «un convertito» a Cristo. E ha poi dato questa acuta interpretazione della religione cristiana: « Il cristianesimo non ha inventato l’amore, bensì la follia del­l’amore: amare senza reciprocità. Gli an­tichi conoscevano due tipi di amore, e­ros, la passione, e agape, il sentimento dell’amicizia. Il cristianesimo ha inven­tato l’amore- agape vissuto con la forza dell’eros » . Il tutto riassunto in quel croci­fisso che ora la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha identificato, se esposto a scuola, addirittura come una « violazio­ne dei diritti della persona » . Per lui que­sto è semplicemente un esempio di quel che definisce, con singolare forza evoca­tiva, « l’integrismo ateo » . Scrittore, drammaturgo, regista cinema­tografico con profonde radici filosofiche (ha studiato con il grande filosofo Jacques Derrida e si è laureato su Diderot alla Sor­bona), Eric- Emmanuel Schmitt è uno dei romanzieri più acclamati d’Europa. In Francia, Germania e Polonia i suoi libri vendono centinaia di migliaia di copie.
È di questi giorni la notizia di questa de­cisione del tribunale della corte dei diritti umani di Strasburgo che vieta la pre­senza del crocifissi nelle scuole italiane, uno dei Paesi più cattolici del Vecchio Continente. Qual è la sua opinione al ri­guardo?
Personalmente sono attento ai simboli re­ligiosi perché appartengono alla cultura in senso largo e all’identità storica di un popolo. Voler sopprimere le radici è un atteggiamento pericoloso: nulla di buono esce da un’operazione di amnesia. E un crocifisso appeso a un muro non ha mai obbligato nessuno a credere. E neppure ha mai fatto violenza a qualcuno per la sua presenza. Ritengo che oggi l’immagi­ne del crocifisso non abbia più lo stesso significato del passato. Un tempo il cor­po, il corpo delle persone, soffriva molto: malattie, virus, si moriva più presto, non esistevano gli antidolorifici. La forza del crocifisso, e del cristianesimo del resto, è stata quella di dare un senso al dolore. Un tempo il crocifisso aveva il significato po­sitivo di dare un senso alla sofferenza. Og­gi non si soffre più come una volta, ci sba­razziamo più velocemente dei fastidi fisi­ci e così il crocifisso, ai nostri occhi, non ha più lo stesso significato.
Cosa rappresenta per lei il crocifisso?
È veramente l’immagine di un uomo a­gonizzante. Mette sotto scacco l’uomo contemporaneo. Secondo me, la croce racconta il nostro umanesimo, l’avvento dell’uguaglianza tra gli uomini, una realtà che è emersa in maniera progressiva. Il crocifisso descrive la debolezza del no­stro essere persone e della nostra condi­zione umana. Trovo che vedere un croci­fisso sia una magnifica spina nel fianco per tutti noi.
Ma la Corte ha affer­mato che la sola pre­senza di una croce in un’aula di scuola è « u­na violenza » …
Ma non violenta nes­suno! Se c’è un alunno ateo in classe, per lui il crocifisso rappresenta un modo per conosce­re cosa sia religione fuori dalla porta di ca­sa.
Non è che vedere un crocifisso rap­presenti una violenza contro chi non cre­de! Considero eccessiva la reazione di chi risponde in questo modo. Anzi, mi lasci dire che la definirei anche una posizione non intelligente.
Allargando lo sguardo e cercando di in­terpretare tale decisione giuridica, alcu­ni hanno indicato la scelta di Strasburgo come l’emblema di una nuova mentalità europea, spiccatamente anti- religiosa. È d’accordo con questa interpretazione?
Ho paura che la nostra epoca stia met­tendo in campo un vero integrismo ateo. Chi è l’integrista? Colui che dice: « Io so! » . A mio giudizio l’integrista, sia che sia a­teo o che sia religioso, è sempre un im­postore. Nessuno può dire: «Io so!» su cer­te questioni delicate. Si può dire, al mas­simo: « Io credo che sì » oppure « Io credo che no » . Se uno mi chiede se credo che Dio esiste, io rispondo: «Non lo so, ma credo di sì » . L’ateo, quello vero, risponde: « Credo che no » . Atei e credenti sono fratelli nel non sapere. L’inte­grista ateo, invece, re­plica: « So che Dio non esiste. So che bisogna far sparire tutti i simboli religiosi dagli spazi del vivere pub­blico perché rappresentano segni di su­perstizione » . L’integrismo ateo è simile a quello cattolico o musulmano, che so­stengono: « So che la mia religione è quel­la vera » . La religione autentica resta nel campo del « credere » , non del « sapere » . Il vero umanesimo è quello interrogativo.
Oggi in Europa pare in crescita un laici­smo aggressivo che va di pari passo con l’ateismo scientifico. Entrambi vogliono sbarazzarsi di qualsiasi presenza pub­blica del fatto religioso. Come risponde­re a questa sfida senza cadere nell’inte­grismo?
La fede moderna deve formarsi intel­ligentemente, non deve arroccarsi co­me fa la scienza quando afferma: « Io ho la verità » . Il credente contempora­neo deve essere umile, scegliere e ade­rire ad un sistema di valori. Credo che solo parlando onestamente la lingua della ragione la religione possa dare ri­sposta a questo integrismo ateo che si pensa la verità. Umiltà e dialogo, e poi il “fuoco” per affermare questi valori: questo è ciò che deve vivere il creden­te di oggi.
«Per un ateo non è una violenza, ma un modo per conoscere cosa sia la religione fuori dalla propria casa»


APPELLO PER LA PACE DOPO LA CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO - Tony Blair - Una roadmap per il dialogo fra cristiani e musulmani - di Tony Blair – Avvenire, 8 novembre 2009
Noi, cristiani e musulmani, rappresentiamo all’incirca la metà della popolazione del pianeta. In questa nostra epoca segnata dalla globalizzazione, dove le nazioni sono interdipendenti, il cambiamento avviene ad un livello mai raggiunto nella storia umana e persone di etnie, colori e religioni diverse vengono messe insieme come mai è avvenuto prima; le questioni di ognuno interessano tutti. In verità, se riusciremo a raggiungere questo obiettivo, il mondo del XXI secolo avrà raggiunto il suo scopo.
È vero, siamo diversi. Ma lo erano anche i nostri fondatori. Gesù Cristo era un ebreo che diede inizio al cristianesimo. Il Profeta era immerso nello studio dei libri della Bibbia e venne scelto perché recitasse il Corano. Entrambi si erano levati contro l’insegnamento convenzionale del proprio tempo. Ognuno credeva nella chiamata universale di Dio all’umanità. Ognuno era agente del cambiamento.
Se riflettiamo in profondità sulla situazione delle nostre rispettive fedi nel mondo attuale, vediamo che abbiamo di fronte sfide comuni. Siamo persone di fede. Vediamo come la fede formi le nostre vite e quelle degli altri. Osserviamo, con tristezza, come essa venga abusata per compiere il male. Vogliamo appassionatamente che essa sia utilizzata per fare il bene. Crediamo nel potere della fede per cambiare la vita in meglio.
Siamo di fronte alla sfida di essere in qualche modo rilevanti - ovvero, mostrare che la fede può essere una forza a favore del futuro e del progresso, e che non sarà affievolita dal fatto che la scienza, la tecnologia e la prospettiva materiale alterano il nostro modo di vivere. Stiamo subendo un attacco aggressivo laicista dal di fuori. E la minaccia dell’estremismo dall’interno. Queste sfide non sono solamente per i musulmani o per cristiani ed ebrei, per indù o buddisti. Sono sfide per tutti gli uomini di fede.
Coloro che disprezzano Dio e quelli che compiono violenza nel Suo nome rappresentano solo una certa prospettiva della religione. Ma nessuno di loro offre una qualche speranza per la fede nel XXI secolo. La miglior speranza per la fede in questo nuovo millennio è che noi ci confrontiamo insieme con tutto questo.
E non perché intendiamo arrivare ad avere la stessa fede. No. Le nostre credenze religiose resteranno diverse. Ma il nostro convenire insieme ci permetterà di parlarci in amicizia gli uni gli altri riguardo le nostre proprie fedi; e anche di parlare al mondo riguardo la fede.
Così ci domandiamo come possiamo rendere le nostre relazioni, in passato così dense, veramente fruttuose per il futuro.
Anzitutto, noi abbiamo bisogno di comprenderci reciprocamente, conoscere le nostre radici, sapere come e perché noi siamo come siamo, apprendere l’essenziale della spiritualità, della serenità e della bontà della fede degli altri. Questo significa che dobbiamo educarci reciprocamente su chi ciascuno di noi è.
Secondariamente, dobbiamo rispettarci in maniera reciproca. Dobbiamo fare ciò non pro forma, per essere gentili o cortesi, ma in maniera profonda, oltre la tolleranza e l’accettazione. Noi diciamo che l’Amore ci motiva. Dobbiamo dimostrarlo nei modi con cui ci rapportiamo gli uni gli altri, come entrambi, il Signore e il Profeta, ci hanno esortato a fare. Una ragione del perché la pace tra Israele e Palestina interessa così tanto è questa: si tratta di un test, non solo della risoluzione di un conflitto, ma anche della prepotenza e del rispetto. Noi condividiamo la nostra comune eredità in Abramo e Mosè. La pace tra ebrei e musulmani in Terra santa sarebbe per tutti noi una specie di potente simbolo della pacifica coesistenza di fedi, nazioni e popoli.
In terzo luogo, dobbiamo agire. La nostra relazione con l’altro e di entrambi, cristiani e musulmani, con l’ebraismo sarà meglio giudicata dall’azione, dal lavoro che possiamo fare insieme nell’alleviare la povertà, nel combattere l’ingiustizia, nel prevenire le malattie e nel portare speranza a coloro che disperano.
Ama il tuo Dio; ama il tuo prossimo come te stesso. Queste semplici ammonizioni sono la luce della nostra fede che ci guida. Esse ci danno la possibilità di dire 'una parola comune'. Quando perdiamo la nostra strada, noi, cristiani e musulmani, riscopriamo il cammino che è giusto percorrere attraverso questa luce.
Comprenderci in maniera reciproca, rispettarci, agire gli uni con gli altri; e in questo modo, mostrare perché l’umanità non viene impoverita dalla fede ma da essa è arricchita in maniera incommensurabile.
(traduzione di Lorenzo Fazzini)