mercoledì 4 novembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: “quanto è bella e consolante la comunione dei santi!” - Discorso all'Angelus nella Solennità di Tutti i Santi
2) Ovociti e spermatozoi da cellule staminali - di Chiara Mantovani* - ROMA, lunedì, 2 novembre 2009 (ZENIT.org).- Sempre più spesso siamo investiti da notizie clamorose sulle ultime scoperte scientifiche, il più delle volte capaci di suscitare speranze per la cura di malattie. L’ultima, di pochi giorni orsono, sembra offrire una nuova possibilità di ottenere ovociti e spermatozoi partendo da cellule staminali.
3) La teologia che piace al papa teologo - È quella dei monasteri e delle cattedrali dei secoli d'oro del Medioevo. Benedetto XVI ne ha svelato le meraviglie ai pellegrini accorsi all'udienza generale. Ma così ha voluto dare una lezione anche ai teologi d'oggi - di Sandro Magister
4) Guardare il mondo dal capezzale di Caterina - 30 ottobre 2009 - Antonio Socci
5) POESIA/ Alda Merini, l’amore umano non basta - Maddalena Bertolini Fanton martedì 3 novembre 2009 – ilsussidiario.net
6) Alda Merini da “La volpe e il sipario” - Il crocefisso e la battaglia della mamma finlandese – LaStampa, 3 novembre 2009
7) CROCIFISSO/ 1. Weiler (NY University): no allo Stato neutro che nega le identità - Joseph Weiler mercoledì 4 novembre 2009 – ilsussidiario.net
8) Una sentenza contro l’Europa - Mario Mauro mercoledì 4 novembre 2009 – ilsussidiario.net
9) LA SENTENZA/ La traduzione dei passaggi principali del pronunciamento contro i Crocifissi nelle aule - Redazione mercoledì 4 novembre 2009 – ilsussidiario.net


Benedetto XVI: “quanto è bella e consolante la comunione dei santi!” - Discorso all'Angelus nella Solennità di Tutti i Santi
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 2 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica, Solennità di Tutti i Santi, da Benedetto XVI prima della preghiera l’Angelus recitata con i fedeli e i pellegrini convenuti in piazza San Pietro.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

L’odierna domenica coincide con la solennità di Tutti i Santi, che invita la Chiesa pellegrina sulla terra a pregustare la festa senza fine della Comunità celeste, e a ravvivare la speranza nella vita eterna. Ricorrono quest’anno 14 secoli da quando il Pantheon – uno dei più antichi e celebri monumenti romani – fu destinato al culto cristiano e intitolato alla Vergine Maria e a tutti i Martiri: "Sancta Maria ad Martyres". Il tempio di tutte le divinità pagane veniva così convertito alla memoria di coloro che, come dice il Libro dell’Apocalisse, "vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello" (Ap 7,14). Successivamente, la celebrazione di tutti i martiri è stata estesa a tutti i santi, "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua" (Ap 7,9) – come si esprime ancora san Giovanni. In questo Anno Sacerdotale, mi piace ricordare con speciale venerazione i santi sacerdoti, sia quelli che la Chiesa ha canonizzato, proponendoli come esempio di virtù spirituali e pastorali; sia quelli – ben più numerosi – che sono noti al Signore. Ognuno di noi conserva la grata memoria di qualcuno di essi, che ci ha aiutato a crescere nella fede e ci ha fatto sentire la bontà e la vicinanza di Dio.

Domani, poi, ci attende l’annuale Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Vorrei invitare a vivere questa ricorrenza secondo l’autentico spirito cristiano, cioè nella luce che proviene dal Mistero pasquale. Cristo è morto e risorto e ci ha aperto il passaggio alla casa del Padre, il Regno della vita e della pace. Chi segue Gesù in questa vita è accolto dove Lui ci ha preceduto. Mentre dunque facciamo visita ai cimiteri, ricordiamoci che lì, nelle tombe, riposano solo le spoglie mortali dei nostri cari in attesa della risurrezione finale. Le loro anime – come dice la Scrittura – già "sono nelle mani di Dio" (Sap 3,1). Pertanto, il modo più proprio ed efficace di onorarli è pregare per loro, offrendo atti di fede, di speranza e di carità. In unione al Sacrificio eucaristico, possiamo intercedere per la loro salvezza eterna, e sperimentare la più profonda comunione, in attesa di ritrovarci insieme, a godere per sempre dell’Amore che ci ha creati e redenti.

Cari amici, quanto è bella e consolante la comunione dei santi! E’ una realtà che infonde una dimensione diversa a tutta la nostra vita. Non siamo mai soli! Facciamo parte di una "compagnia" spirituale in cui regna una profonda solidarietà: il bene di ciascuno va a vantaggio di tutti e, viceversa, la felicità comune si irradia sui singoli. E’ un mistero che, in qualche misura, possiamo già sperimentare in questo mondo, nella famiglia, nell’amicizia, specialmente nella comunità spirituale della Chiesa. Ci aiuti Maria Santissima a camminare spediti sulla via della santità, e si mostri Madre di misericordia per le anime dei defunti.





[DOPO L’ANGELUS]

Sono trascorsi esattamente dieci anni da quando alti rappresentanti della Federazione Luterana Mondiale e della Chiesa cattolica, il 31 ottobre 1999, ad Augsburg, firmarono la Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione. Ad essa aderì poi, nel 2006, anche il Consiglio Metodista Mondiale. Quel documento attestò un consenso tra luterani e cattolici su verità fondamentali della dottrina della giustificazione, verità che ci conducono al cuore stesso del Vangelo e a questioni essenziali della nostra vita. Da Dio siamo accolti e redenti; la nostra esistenza si iscrive nell’orizzonte della grazia, è guidata da un Dio misericordioso, che perdona il nostro peccato e ci chiama ad una nuova vita nella sequela del suo Figlio; viviamo della grazia di Dio e siamo chiamati a rispondere al suo dono; tutto questo ci libera dalla paura e ci infonde speranza e coraggio in un mondo pieno di incertezza, inquietudine, sofferenza. Nel giorno della firma della Dichiarazione Congiunta, il Servo di Dio Giovanni Paolo II la definì "una pietra miliare sulla non facile strada della ricomposizione della piena unità tra i cristiani" (Angelus, 31 ottobre 1999). Questo anniversario è dunque un’occasione per ricordare la verità sulla giustificazione dell’uomo, testimoniata insieme, per riunirci in celebrazioni ecumeniche e per approfondire ulteriormente tale tematica e le altre che sono oggetto del dialogo ecumenico. Spero di cuore che questa importante ricorrenza contribuisca a far progredire il cammino verso l’unità piena e visibile di tutti i discepoli di Cristo.





[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai partecipanti alla "Corsa dei Santi", iniziativa che unisce lo sport e l’impegno umanitario. Saluto inoltre i ragazzi di Modena che hanno ricevuto la Cresima, con i genitori e i catechisti, come pure la Fondazione Ente Cassa di Faetano, della Repubblica di San Marino. Il mio pensiero va anche ai fedeli radunati a Paderno Dugnano, presso Milano, per la conclusione della peregrinatio della statua della Madonna di Fatima, nel 50° della consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria. A tutti auguro una buona domenica, nella gioia di far parte della grande famiglia dei Santi.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


Ovociti e spermatozoi da cellule staminali - di Chiara Mantovani* - ROMA, lunedì, 2 novembre 2009 (ZENIT.org).- Sempre più spesso siamo investiti da notizie clamorose sulle ultime scoperte scientifiche, il più delle volte capaci di suscitare speranze per la cura di malattie. L’ultima, di pochi giorni orsono, sembra offrire una nuova possibilità di ottenere ovociti e spermatozoi partendo da cellule staminali.

Cerco di capire, dai lanci di agenzia e dalle notizie giornalistiche, i fatti e di distinguerli dalle aspettative. Con molta prudenza, perché il linguaggio giornalistico ha caratteristiche diverse dal linguaggio scientifico e non è facile trarre indicazioni utili ad esprimere giudizi attendibili a partire dalle notizie pubblicate.

Dunque la rivista scientifica Nature ha annunciato che una équipe della Stanford University School of Medicine, diretta da Renee Reijo Pera, ha trattato cellule staminali embrionali con proteine note per stimolare la formazione germinale. Ovvero ha “convinto” alcune di quelle cellule a specializzarsi in ovociti (cellule uovo) e/o spermatozoi.

Solo un 5% delle cellule così trattate si sono trasformate in cellule germinali e per loro è stato possibile studiare come e tramite quali geni, e – immagino - altri fattori, questo sia accaduto. La ricerca avrebbe contribuito a chiarire il meccanismo di differenziazione delle cellule riproduttive nell'uomo, finora studiato solo nei topi.

Primo commento: tutti i lanci di agenzia sono concordi nel dichiarare che la sperimentazione è stata fatta con cellule staminali embrionali. E così si apre il primo e più rilevante problema. Se sono state usate cellule embrionali, un embrione è stato “smontato” e le sue cellule usate. Non mi sembra irrilevante ricordare che di un embrione allo stadio di blastocisti, quello in cui si prelevano le staminali, non si vedono altro che cellule. Non posso cioè dire “gli ho prelevato un po’ di cellule”. Tutto quello che lui è si manifesta attraverso cellule, tutta la sua corporeità è fatta da un mucchietto di cellule per noi assolutamente indistinguibili. Ognuna ha un suo preciso destino e progettualità, ma noi non siamo in grado di riconoscerlo. E questo non significa che non ci sia (anzi, siamo assolutamente certi che c’è, poiché se lo lasciamo in pace risulterà evidente anche solo con un’occhiata che è un bambino), ma solo che noi “pesiamo gli atomi con la stadera”, ovvero non abbiamo capacità di indagine sufficientemente accurata.

La prima valutazione è dunque di ordine etico? A dire il vero, no. Accantono temporaneamente il giudizio etico sulle tecniche di fecondazione artificiale, negativo poiché non condivido la loro intrinseca prospettiva meccanicistica e l’antropologia che le giustifica.

Lascio il campo ad alcuni dubbi soprattutto di natura metodologica, scientifica. Perché usare staminali embrionali, quando altri studi, seri e certi, hanno già mostrato la potenzialità di molte cellule somatiche ad essere “riprogrammate” ad uno stadio più indifferenziato? Non si poteva partire da lì a tentare di ottenere spermatozoi e ovociti? I commenti italiani alla ricerca pubblicata enfatizzano che sia un passo decisivo contro la sterilità. Ma che se ne fa un soggetto sterile di un embrione da cui ricavare gameti? Se vuole ovociti e spermatozoi suoi (e dunque figli biologicamente suoi, in seguito) deve utilizzare cellule proprie: l’alternativa più logica resta quella della fecondazione eterologa. Un embrione riprogrammato non può essere “suo”, perché se fosse stato possibile ottenerne almeno uno sarebbe meglio impiantare quello! E se la ricerca aveva come unico scopo quello di studiare i meccanismi che intervengono nella maturazione delle cellule germinali, perché mai distruggere embrioni umani? Forse perché quelli degli animali (le grandi scimmie antropomorfe, ad esempio, in Spagna) hanno visto riconoscersi ultimamente alcuni diritti umani – tra cui quello alla vita – che però non si riconoscono a tutti gli umani?

Continuano i dubbi: che si voglia provare ad avere un qualche primo microscopico “successo” con queste tanto elogiate, ma finora inutili e pericolose, cellule staminali embrionali? Visto che finora non c’è al mondo un protocollo serio e valido di uso delle embrionali; visto che la scorsa settimana Hwang Woo-suk, il biologo sudcoreano che ha preso in giro mezzo mondo (non solo scientifico) con la falsa clonazione umana, è stato definitivamente condannato per truffa; visto che la bufala coreana fu pubblicata anche dalla stessa rivista Nature (cfr. http://www.nature.com/news/2004/040212/full/news040209-12.html), vuoi vedere che si è sparsa un’ansia di novità e una smania di riscatto?

Poi mi assale un altro pensierino, molto poco bioetico. La Standfort University è tra le maggiori università private degli Stati Uniti; si trova vicino a Palo Alto, California, nel cuore della Silicon Valley. La California è stata la maggiore finanziatrice della campagna elettorale del presidente Obama, che come primo atto (o quasi) ha sbloccato i finanziamenti federali, cioè statali, alla ricerca sulle staminali embrionali. Magari, con l’aria di crisi che c’è e anche a causa degli insuccessi fin qui ottenuti, anche i privati hanno rallentato il flusso di dollari ai ricercatori della seconda università al mondo, voluta da Jane e Leland Stanford per ricordare il loro figliolo, morto di tifo a Firenze. Magari, bisogna mostrare che con i nuovi soldi arrivati non si è stati con le mani in mano.

A parte gli entusiasmi di copione, a che cosa è servita questa individuazione di alcuni dei geni implicati nella specializzazione di staminali embrionali in ovociti e spermatozoi? Dice il prof. Flamigni: nel futuro si potrà far produrre gameti alle cellule del corpo della persona infeconda. Oso sussurrare: allora perché abbiamo cominciato dalle staminali embrionali?

Ma lo studio è importante anche per capire come si fa a convincere una cellula non a raddoppiare i propri cromosomi e poi dividersi in due cellule (come fanno normalmente tutte tranne, appunto, le staminali che restano tali e i gameti), bensì a dimezzare i propri geni e diventare così quella metà di materiale genetico che serve per unirsi all’altro gamete e ricominciare la vita! Verissimo. Laicisticamente parlando, quanti embrioni siamo disposti a dichiarare sacrificabili per questa travolgente possibilità di manipolare la procreazione? La domanda non è accademica e ripropone il dilemma dell’utilizzo delle conoscenze e delle possibilità tecniche. Quanti abitanti di Tuskegee, Alabama, sono serviti per imparare tutto del decorso della sifilide non curata? Anche agli afroamericani è occorso parecchio tempo per vedersi riconosciuto lo status di persone umane. Non sarei felice se tra qualche decennio un Presidente dovesse chiedere scusa agli embrioni umani per come sono stati utilizzati in laboratorio. Clinton ha chiesto scusa per Tuskegee nel 1997, ma aveva davanti a sé, durante il suo discorso, pochi sopravvissuti dei protagonisti: gli altri non lo potevano ascoltare, erano morti da anni.

Allora è ritornato impellente l’argomento etico. E di nuovo mi accorgo che la sfida è antropologica.

Chi è l’embrione?

Sono passati molti anni di dibattiti bioetici, ma da qui non ci siamo ancora mossi: tutto dipende da chi pensiamo di essere, da piccoli e da grandi. Comunque ha quasi ragione il prof. Flamigni: “La Chiesa condanna certamente questa tecnica in quanto usa cellule embrionali. Ma condannerà anche l’uso di cellule mature, ma per un’altra ragione, perché si offende la dignità della procreazione, ossia nella mancata coincidenza tra vita sessuale e riproduzione”. Le argomentazioni sono appropriate, il “quasi” sta nel senso che non è la Chiesa a condannare. Basta il senso dell’umano e il senso di una ricerca scientifica che ha coscienza dei limiti della propria competenza.



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*La dott.ssa Chiara Mantovani è vicepresidente dell’AMCI (Associazione Medici cattolici Italiani) e membro del Consiglio Direttivo di Scienza & Vita.


La teologia che piace al papa teologo - È quella dei monasteri e delle cattedrali dei secoli d'oro del Medioevo. Benedetto XVI ne ha svelato le meraviglie ai pellegrini accorsi all'udienza generale. Ma così ha voluto dare una lezione anche ai teologi d'oggi - di Sandro Magister
ROMA, 2 novembre 2009 – Nell'udienza generale dello scorso mercoledì, Benedetto XVI ha fatto uno strappo. Non ha tratteggiato la figura di un Padre della Chiesa o di un grande autore cristiano medievale, come fa da molto tempo in modo sistematico. L'altro mercoledì, ad esempio, aveva parlato di san Bernardo di Chiaravalle, e il mercoledì precedente di Pietro il Venerabile, grande abate di Cluny.

No. Questa volta papa Joseph Ratzinger ha trasformato la sua catechesi in una lezione di storia della teologia. L'ha tutta dedicata a descrivere la teologia latina del secolo XII, quella che fioriva nelle abbazie e nelle cattedrali, quella che avrà il suo frutto maturo nel secolo successivo con i capolavori di san Tommaso d'Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio.

Come è prassi, la traccia scritta delle catechesi papali del mercoledì è preparata da esperti di fiducia, competenti nel ramo. Benedetto XVI vede in anticipo il testo, lo chiosa, lo taglia, lo integra. Insomma, lo fa suo. E quando infine lo legge ai fedeli, spesso ancora se ne discosta, improvvisando. Due inverni fa www.chiesa ha riprodotto le cinque catechesi dedicate dal papa a sant'Agostino sottolineandone i numerosi passaggi nei quali egli s'era staccato dal testo scritto.

Per questo periodo l'esperto principale è Inos Biffi, studioso della teologia medievale di rara profondità e di nitida scrittura, come si può constatare dall'imponente sua bibliografia che l'editrice Jaca Book sta pubblicando integralmente in splendidi volumi. Con lui, capita più di raro che Benedetto XVI si discosti dal testo scritto, quando predica ai fedeli. L'impressione è che vi sia una forte consonanza tra il papa e il suo attuale "ghostwriter", sia nel pensiero che nel modo di esporre.

Nella catechesi di mercoledì scorso sulla fioritura teologica del XII secolo, c'è stata una citazione particolarmente rivelatrice.

È la citazione di un saggio dello studioso benedettino del secolo scorso Jean Leclercq, dedicato alla teologia medievale monastica e così intitolato: "L’amour des lettres et le désir de Dieu [L'amore delle parole e il desiderio di Dio]".

Questo libro è carissimo a Ratzinger teologo. Da papa l'aveva già citato in una precedente occasione, in uno dei discorsi più importanti del suo pontificato, quello pronunciato il 12 settembre 2008 a Parigi al Collège des Bernardins, rivolgendosi al mondo della cultura.

La grandezza della teologia monastica medievale, nell'interpretazione che ne danno Leclercq, Biffi e Ratzinger, è nel suo legare la ricerca di Dio alle scienze della parola, della lingua, delle lettere. Ricerca di Dio e cultura della parola fanno tutt'uno, non solo nella teologia ma anche nell'elevazione spirituale. E fondano la civiltà europea.

Ma accanto alla teologia monastica, nel XII secolo è fiorita anche la teologia scolastica, quella delle scuole delle cattedrali. Con un'impronta potentemente razionale, di dialogo fruttuoso tra "fides et ratio", tra fede e ragione.

Con questa lezione sulla grande teologia medievale, è come se Benedetto XVI abbia voluto tracciare una linea maestra per la teologia d'oggi. Da papa teologo qual è.


Guardare il mondo dal capezzale di Caterina - 30 ottobre 2009 - Antonio Socci
Due considerazioni. La prima è sul Vangelo di ieri. Un bravo sacerdote nota (lo riprendo da una mail):

“L’immagine che Gesù dà di sé, paragonandosi a una chioccia, è la più umile e la più bella di tutte. Richiama le parole di Dio del Salmo 91,4: ‘Ti coprirà con le sue penne, sotto le Sue ali troverai rifugio’. Esprime la forza della sua tenerezza: l’aquila potente che salva (Dt 32,11) qui si fa chioccia. L’amore materno di Dio è tanto forte da renderlo debole, tanto sapiente da renderlo stolto, fino a dare la vita per noi”.

Ma noi sappiamo che la “debolezza” di Dio sono i suoi figli, come lo sono per una madre e un padre. E le loro lacrime e le loro implorazioni Gli sciolgono letteralmente il Cuore…

Questo spiega – ed è la seconda considerazione – quanto sono vere le parole del Servo di Dio padre Dolindo Ruotolo:

“La preghiera è l’unica forza dell’uomo ed è l’unica debolezza di Dio. L’Onnipotente è vinto dalla preghiera, dona a chi prega, conforta chi prega”.

E dice ancora:

“l’insistenza della preghiera orienta l’anima a Dio, accresce il senso dell’umiltà, accende l’amore. Se non ti vedi esaudito non cedere alla tentazione di lasciare la preghiera: insisti con profonda umiltà, con vera fede, con forte amore”, “Tu non sei smarrito nella vita perché preghi”.

Vi assicuro che Caterina sta letteralmente vivendo per le vostre preghiere…

E’ strano – dovendo continuare a scrivere, a lavorare - guardare gli eventi del mondo con il pensiero di Caterina…. L’altroieri “Libero” mi ha chiesto una riflessione – a margine del dramma del presidente della Regione Lazio – sul suo desiderio di ritirarsi per un periodo in convento. Ecco qua il mio articolo…



Il solo rifugio, fra le Sue braccia



Con qualche perfidia ieri La Repubblica ha titolato “la giornata da incubo di Piero Marrazzo” con queste parole: “vorrei scappare”. La moglie: “Serve un taglio netto”. Poi, anche su questo giornale, c’è la notizia del giorno: “La corsa all’eremo”.

Tutti i quotidiani hanno strologato su questa “fuga” dell’ex governatore del Lazio all’abbazia benedettina di Montecassino (e sulla ricerca, nel Pd, di un candidato alternativo per la Regione che, guarda caso, vanno a cercare fra le file cattoliche). Nessuno si sorprende che nello smarrimento e nell’angoscia si cerchi rifugio in un monastero.

Nessuno però sembra riflettere su quello che significa la Chiesa per tutti noi, anche per chi si professa laico e magari tuona contro i preti. I giornali sembrano aver paura di guardare in faccia la bellezza e la misericordia della Chiesa.

Temono forse di restarne incantati, affascinati. Questo spiega il loro immotivato anticlericalismo. Sparano a zero sulla Chiesa perché non riescono ad esserne indifferenti, mentre magari tentano di tirarla dalla propria parte. La odiano spesso perché sanno che – se si lasciassero andare – rischierebbero di amarla.

La Repubblica, sempre ieri, infatti, lanciava in prima pagina un logorroico sfogo antipapale di Hans Kung, il quale confonde papa Leone XIII con Leone XII (c’è mezzo secolo di distanza fra i due) e se la prende con papa Benedetto XVI perché perdona e accoglie nella Chiesa come il padre misericordioso del “figliol prodigo”.

Attaccano la Chiesa, ma poi tutti sanno che è il solo luogo del mondo dove loro stessi sempre saranno attesi a braccia aperte, anche nell’ultimo istante della vita, da qualunque parte vengano, chiunque siano, qualunque cosa abbiano fatto (pur continuando sempre – la Chiesa – a chiamare Bene il Bene e Male il Male, pur non rinunciando mai alla verità).

La Chiesa spalanca le sue braccia perfino ai suoi persecutori (si pensi a Napoleone). E’ davvero, letteralmente, una cosa dell’altro mondo in questo mondo. Perché agisce come Gesù ed è la presenza nella storia di Gesù stesso.

Infatti ogni uomo che sia provato dal dolore o dal bisogno, anche se cresciuto lontano dalla tradizione cristiana – penso a quegli immigrati di altre religioni che arrivano in Italia in condizioni penose – sa che qui c’è sempre un luogo dove tutti possono ricevere una minestra calda e un abbraccio fraterno, senza nulla chiedere, senza nessuna condizione: è la Chiesa.

Tutti sanno che questo è il luogo della misericordia. Perché tutte le desolazioni del mondo, tutte le afflizioni e le solitudini, tutte le miserie del mondo e tutti i miseri (specialmente i peccatori che sono i più poveri), trovano riparo sotto i rami di questa grande quercia, dentro l’abbraccio di questa tenera madre.

Compresa – come vediamo oggi – la disperazione di un uomo politico che per suoi “errori personali” (come dice lui), errori e debolezze che appartengono a tanti, che purtroppo si respirano nell’aria, si trova in una condizione di “troppa sofferenza” e desidera sparire e così trova rifugio nel silenzio di un chiostro benedettino.

Sì. C’è un luogo del mondo dove sarai sempre accolto. Come scrive il grande Péguy, parlando di Notre Dame di Chartres, quindi parlando della Madonna, figura perfetta della Chiesa:

“il solo asilo nel cavo della vostra mano/

E il giardino dove l’anima si schiude”.

Quando – dentro la tormenta della vita – si prende la via della Chiesa e si entra nella sua pace e si accetta il suo perdono, ci si sente lavati, purificati e perfino rifatti: si rinasce nuove creature. E’ il solo luogo del mondo dove si è amati così come si è. E dove si è perdonati di tutto. E difesi sempre.

Noi cristiani siamo tutti dei perdonati. Come Jean Valjean, il galeotto protagonista dei “Miserabili”, viene difeso dal vescovo di Digne, monsignor Myrel, per il furto commesso ai suoi stessi danni.

La Chiesa, come la Madonna, difende sempre i peccatori (non il peccato, ma i peccatori) e così li purifica e dona loro il tesoro più grande: il perdono di Dio, la carezza del Nazareno.

Péguy scrive ancora:

“Noi ci siamo lavati da una così grande amarezza,/

Stella del mare e degli scogli,/

Noi ci siamo lavati da una così bassa schiuma,/

Stella della barca e delle reti./

Abbiamo lavato le nostre teste infelici/

da un tal mucchio di sporcizia e di ragionamenti…/

Ce ne han dette tante, o regina degli apostoli,/

Abbiamo perso il gusto per i discorsi./

Non abbiamo più altari se non i vostri,/

Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice”.

Quando un uomo arriva ad aver nausea dei discorsi del mondo e a non sapere “nient’altro che una preghiera semplice”, in ginocchio davanti alla “fanciulla di Nazaret”, significa che è già in salvo.

Antonio Socci - Da “Libero”, 29 ottobre 2009


POESIA/ Alda Merini, l’amore umano non basta - Maddalena Bertolini Fanton martedì 3 novembre 2009 – ilsussidiario.net


È morta il primo autunno novembrino, si potrebbe dire, parafrasando il suo noto endecasillabo: «sono nata il ventuno a primavera» Alda Merini la poetessa con cui ogni italiano di questo tempo dovrebbe fare i conti. Grande donna, grande madre, quattro figli partoriti attraverso i suoi numerosi ricoveri in diversi ospedali psichiatrici; vedova, risposata, sempre innamorata, sempre amante e non altrettanto materna. Feconda e prolissa, le sue poesie le dettava a chi le stava vicino, come fiabe o ninne-nanne per i figli a cui aveva fatto conoscere il sapore dell’abbandono e della lontananza, lo stesso sapore che lei aveva conosciuto così bene e sempre ricordato nei suoi testi, che le dava la spinta per un’infinita ricerca religiosa e umana.

Di lei si annoverano moltissime pubblicazioni, la sua prima raccolta “La presenza di Orfeo” (ed. Shwartz) uscì che aveva appena sedici anni e di lì con Scheiwiller subito altre due prima di sposarsi e manifestare i primi segni della malattia mentale.

Ebbe in sorte anni durissimi, conobbe le condizioni più abbiette in cui versavano i manicomi italiani (una delle sue poesie ricorda lo stupro che subì allora) e paradossalmente la meravigliosa dedizione degli angeli umani che vi si dedicavano tanto che intitolò quella raccolta “La Terra Santa” (Sheiwiller 1984). Se si dovessero elencare tutte le sue opere in poesia e in prosa, aforismi, canzoni, non ci basterebbero due pagine oltre al quelle musicate per lei da Giovanni Nuti e cantate da Milva, le opere teatrali e ultimamente alcuni testi cantati da Roberto Vecchioni.

Quello che vale ricordare e di cui meno si parla, di sicuro non in TV quando fu intervistata da Fazio o invitata da Chiambretti, è la sua produzione cosiddetta “mistica”: la trilogia introdotta da Mons. G. Ravasi (Corpo d’amore, Poema della croce, Francesco, Canto di una creatura) preceduto dal “Magnificat, incontro con Maria” . Altri testi a seguire, sugli angeli e sul Vangelo tutti curati da Arnoldo Mondatori tra il 2000 e il 2008.

Il “suo” Dio è assolutamente carnale, è onnipotente e invadente, ha fattezze umane e altrettante golosità; è geloso degli uomini, li ama alla follia, li fa folli per essere amato. È una specie di gigante Polifemo, quasi pagano nella sua intemperanza, nell’esercizio dell’assoluto.
La Merini invoca un Dio materno e plurimo , afferma «ogni cosa bella diventa peritura nelle mani degli uomini, ma ogni cosa bella baciata da Dio diventa una rosa rossa piena di sangue» (da Corpo d’amore). Questo padre, distante e imperante, è tuttavia amoroso in quanto ha mandato un Uomo, Cristo, ad amarci con le mani e lo spiro. Perché Gesù è soprattutto uomo, il suo divino si scrive con la minuscola, lui ama sua mamma con un amore d’amante, lui dona il suo sangue e la sua carne dolorosamente, il sacrificio è prevalente, il dolore è grande, la comunione cioè il suo corpo-pane si spezza sanguinando; e la sua magnifica madre, la donna amata, è cieca e muta davanti a Dio che per questo la possiede, la usa, la feconda.

Certo, non è facile assaporare questa poesia, almeno per quel cristiano che di Cristo conosce il lato felice, anzi, per colui che nella Comunione è assimilato all’Amore e alla Vita Eterna; per chi guarda alla Madre di Dio come immacolata e Prescelta, come colei il cui assenso ha dato senso al mondo; ecco, questo credo sia il limite della poetica mistica della Merini, lei si è fermata sulla soglia del Mistero e sbirciando dentro, ha visto il sangue e il dolore; cose che conosceva bene, che ha prontamente riscattato. Ha visto un Dio che si fa carne ma è rimasta alla carezza, alla mano, non è andata oltre, al Tabor: come se uno si interessasse a uno spettacolo teatrale, ne pagasse il biglietto ma non restasse fino alla fine, fino al compimento, al lieto evento. Perché c’è una misura umana della gioia e quella se la fa bastare. Ma la gioia può essere immensa, quanto la misericordia, più di quella che può stare nel cuore e nel corpo di un uomo, di una donna.

Questa mistica umana si riflette anche nelle sue numerosissime e famose poesie d’amore; erotica, la definiscono, ma no, romantica forse, perché l’eros è ben altro di carezze e carne, l’eros è il piacere che pervade tutto, soprattutto il pensiero e il destino. L’eros non ha limiti, è totale e felice, non colmo di nostalgia e rimpianto, come spesso il suo: è dono totale, disfarsi nella fiducia dell’Altro e è fecondo. La Merini ama la madre, più della maternità, l’amante più dell’amore.

E così si fa amare, parzialmente, numerosamente, ma mai completamente, non si fa mai colmare. Quello che la colma è la poesia, in un invasamento lirico e delirante, a volte; a volte invece lucido e allora umano, terribilmente: il tentativo di uno che basta a sé con il sentore dell’inevitabile perdita.

Piace la Merini in questa poesia, in questo tempo, da questa cultura che va sui mass-media: è adatta e adattabile, è musicabile, è sempre smentibile, povera pazza amante.

Ma a me piace il suo tormento, la sua madre mancante, che sente la dismisura dell’amore.
La mia poesia è alacre come il fuoco

trascorre tra le mie dita come un rosario.

Non prego perché sono un poeta della sventura

Che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,

sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,

sono il poeta che canta e non trova parole,

sono la paglia arida su cui batte il suono,

sono la ninnananna che fa piangere i figli

sono la vanagloria che si lascia cadere,

il manto di metallo di una lunga preghiera

del passato cordoglio che non vede la luce.



Alda Merini da “La volpe e il sipario” - Il crocefisso e la battaglia della mamma finlandese – LaStampa, 3 novembre 2009

A sollevare la vicenda Soila Lautsi,
«offesa» dal simbolo religioso nella
scuola di Padova frequentata dai figli
ROMA
La vicenda che ha portato alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sui crocifissi nelle aule ha per protagonista Soila Lautsi, una casalinga di origine finlandese. Nel 2001 la donna si sentì offesa dalla presenza del simbolo del cristianesimo nelle aule dell’istituto comprensivo Vittorio da Feltre di Abano Terme frequentato dai suoi figli di 11 e 13 anni.

Secondo la donna la presenza del crocifisso era contraria ai principi di laicità nei quali voleva educare i figli e per questo chiese alla scuola di toglierlo facendo riferimento a una sentenza del 2000 con cui la Cassazione ordinava di rimuovere il simbolo religioso dai seggi elettorali. Nel maggio del 2002 la scuola decise di lasciare il crocifisso nelle aule e il ministero dell’Istruzione trasformò la disposizione in una sua direttiva inoltrandola a tutti gli istituti. Due mesi più tardi la signora Lautsi fece appello di fronte al Tar che inoltrò la questione alla Corte Costituzionale che a sua volta si dichiarò non competente e restituì tutto al tribunale amministrativo del Veneto.

Nel marzo del 2005 il Tar stabilì che il crocifisso è un simbolo della storia, della cultura e dell’identità italiana e respinse il ricorso della casalinga finlandese. Un anno dopo anche il Consiglio di stato le diede torto, sancendo che la croce è diventata uno dei valori secolari della Costituzione italiana e rappresenta i valori della vita civile. Da qui la decisione di fare ricorso alla Corte di Strasburgo.


3 Novembre 2009
IL CASO
La Corte Europea dice no
ai crocifissi in aula
La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce «una violazione dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni». È quanto ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo nella sentenza su un ricorso presentato da una cittadina italiana.

Il ricorso. Il ricorso a Strasburgo era stato presentato il 27 luglio del 2006 da Solie Lautsi, moglie finlandese di un cittadino italiano e madre di Dataico e Sami Albertin, rispettivamente 11 e 13 anni, che nel 2001-2002 frequentavano l'Istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre, ad Abno Terme. Secondo la donna, l'esposizione del crocifisso sul muro è contraria ai principi del secolarismo cui voleva fossero educati i suoi figli. Dopo aver informato la scuola della sua posizione, la Lautsi, nel luglio del 2002, si è rivolta al Tar del Veneto, che nel gennaio del 2004 ha consentito che il ricorso presentato dalla donna venisse inviato alla Corte Costituzionale, i cui giudici hanno stabilito di non avere la giurisdizione sul caso. Il fascicolo è quindi tornato alTribunale amministrativo regionale, che il 17 marzo del 2005 non ha accolto il ricorso della Lautsi, sostenendo che il crocifisso è il simbolo della storia e della cultura italiana, e di conseguenza dell'identità del Paese, ed è il simbolo dei principi di eguaglianza, libertà e tolleranza e del secolarismo dello Stato. Nel febbraio del 2006, il Consiglio di Stato ha confermato questa posizione. Di qui la decisione della donna di ricorrere alla Corte europea di Strasburgo.

I danni morali. La sentenza prevede che il governo italiano dovrà pagare alla donna un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. La sentenza, rende noto l'ufficio stampa della Corte, è la prima in assoluto in materia di esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche.

La posizione della Corte di Strasburgo. "La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastische - si legge nella sentenza dei giudici di Strasburgo - potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, che avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione". Tutto questo, proseguono, "potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose, o che sono atei".

Ancora, la Corte "non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione (europea dei diritti umani, ndr), un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana". "L'esposizione obbligatoria di un simbolo di una dataconfessione in luoghi che sono utilizzati dalle autorità pubbliche, e specialmente in classe, limita il diritto dei genitori di educare i loro figli in conformità con le proprie convinzioni - concludono i giudici della Corte europea dei diritti umani - e il diritto dei bambini di credere o non credere. La Corte, all'unanimità, ha stabilito che c'è stata una violazione dell'articolo 2 del Protocollo 1 insieme all'articolo 9 della Convenzione".

I giudici (tra cui l'italiano Zagrebelsky). I sette giudici autori della sentenza sono: Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).


CROCIFISSO/ 1. Weiler (NY University): no allo Stato neutro che nega le identità - Joseph Weiler mercoledì 4 novembre 2009 – ilsussidiario.net
In linea di principio sono contrario a occuparmi in modo improvvisato, da fast food, di questioni così importanti e di decisioni giudiziarie dal forte impatto, le quali sono, invece, il risultato di un esame e di una riflessione giuridica prolungata. Quindi, ci vorrebbe il tempo necessario per uno studio attento delle decisioni prima di dare un’opinione ponderata.



Non mi è piaciuta, tuttavia, stando a una prima impressione, la linea di difesa tenuta dal Governo italiano, il quale ha tentato di presentare il crocefisso come un simbolo che trascende le sue origini religiose e che ha un significato laico. Un tale ragionamento si può fare di sicuro in altre ipotesi, come per la Croce Rossa, però non è un argomento appropriato su cui fondare una difesa in questo caso.



Bisogna essere onesti: il crocefisso è appeso nelle aule scolastiche perché è un simbolo religioso, che esprime la sensibilità religiosa di molte delle famiglie che mandano a scuola i loro figli, alle quali sembrerebbe assurdo che i propri figli siano cresciuti ed educati in un contesto in cui la religione sia trattata come tabù.



Queste famiglie di credenti devono, però, capire che il crocefisso potrebbe dare l’impressione che la scuola sostenga una religione, e che questa cosa rappresenta un serio problema per chi è ateo e per le famiglie non cristiane, e che potrebbe essere mal interpretato dai loro figli.



Non si può, però, cadere un’altra volta nel trabocchetto della laicità come posizione neutrale. Le famiglie laiche e quelle non cristiane devono cominciare a capire che togliere il crocefisso e dichiarare i corridoi della scuola un’area libera dalla religione è un’offesa verso i loro amici e vicini credenti, esattamente allo stesso modo in cui la croce lo è per loro.



Viviamo in una società multiculturale, di cristiani, ebrei e musulmani secolarizzati e credenti. Dobbiamo sforzarci di trovare modalità attraverso le quali un bambino laico possa imparare a rispettare le convinzioni religiose del suo compagno di classe, convinzioni espresse, ad esempio, dal crocefisso (e, dov’è il caso, a seconda della scuola, dalla mezzaluna o dalla stella di Davide) e che in maniera creativa si potrebbe trovare per il bambino credente un modo, altrettanto visibile e simbolico, di rispettare la scelta laicista del suo compagno di classe.

Non vogliamo che nella scuola queste scelte vengano nascoste. Noi vogliamo insegnare la tolleranza - che significa accettare l’alterità dell’altro, non nascondere l’alterità degli altri. Questa è la sfida educativa più grande che oggi abbiamo innanzi



Quindi, sempre a una prima impressione, ciò che è veramente deludente della decisione è 1. che sembra non cogliere in pieno la nuova realtà multiculturale della nostra società e la sfida educativa che pone - ossia di insegnare ai nostri ragazzi a rispettare e a accettare l’alterità dell’altro, e di interpretare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo alla luce di questa sfida; e 2. che ci riporta indietro al XVIII secolo e alla convinzione che la laicità e i corridoi scolastici senza religione siano dei modi in cui lo Stato esprime la propria neutralità.



Il bambino ateo entra in questo recinto scolastico senza alcuna sfida alla propria identità. I corridoi della scuola, ormai religiosamente denudati, confermano la sua visione del mondo, mentre sfidano la visione del mondo del bambino credente. Ci devono essere modi più sofisticati e tolleranti di trattare questioni così profonde come quella dell’identità e dell’educazione.



La prima impressione è che il tipo di pensiero che si riflette nella decisione sia il modo sbagliato di insegnare la tolleranza nella nostra società complessa. Però, per confermare questa prima impressione, ci vuole uno studio più approfondito della sentenza.


Una sentenza contro l’Europa - Mario Mauro mercoledì 4 novembre 2009 – ilsussidiario.net
La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha depositato ieri una sentenza con la quale condanna l’Italia per le norme che prevedono l’esposizione obbligatoria nelle aule scolastiche del Crocifisso.


Mi preme sottolineare che la Corte dei diritti dell'Uomo non è un organismo dell'Unione Europea, infatti nel collegio dei sette giudici che ha emesso la sentenza sono presenti anche un giudice turco e un giudice serbo. Sui giornali e telegiornali appariranno titoli ingannevoli che incolperanno o esalteranno l' Europa che "rifiuta il Crocifisso nelle aule di scuola".

Questa sentenza è il frutto del lavoro di una Corte che, sotto l'egida del Consiglio d'Europa, rischia di travisare il senso stesso del progetto europeo.



La decisione della Corte di Strasburgo costituisce un classico esempio di impostazione laicista volta a rinchiudere la religione, in particolare quella cristiana, in un vero ghetto. In questa prospettiva si inquadrano le motivazioni della sentenza, sotto riportate, secondo la quale l’esposizione di ogni simbolo religioso lede il diritto di scelta dei genitori su come educare i figli, quello dei minori di credere o meno, e lede anche il “pluralismo educativo”.



«La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e una violazione alla libertà di religione degli alunni».



E ancora: «La Corte non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana».



Il giudizio della Corte risulta illogico e quanto meno appare incerto nel suo più profondo contenuto. Se non si è in grado di capire in che modo l'esposizione del Crocifisso possa servire al "pluralismo educativo", non si comprende come la Corte possa decidere tramite sentenza che lo Stato Italiano abbia violato lo stesso "pluralismo educativo".

Il Crocifisso rappresenta un simbolo religioso, culturale e identitario e proprio per questo non ha mai assunto una valenza coercitiva, come invece sembra ammettere la Corte nella sua sentenza. Come hanno testimoniato le precedenti decisioni prese dai giudici in Italia, il Crocifisso rappresenta un elemento di coesione in una società che non può prescindere dalla sua tradizione cristiana.



Se togliessimo il crocifisso dalle scuole, in quanto luoghi pubblici, dovremmo togliere tutte le croci e le magnifiche opere sacre che sono presenti nelle nostre strade e nelle nostre piazze, il che sarebbe senza dubbio assurdo.



La sentenza disconosce il ruolo della religione, in particolare quella cristiana, nella costruzione dello spazio pubblico e promuove un indifferentismo religioso che è in profonda contraddizione con la storia, la cultura e il diritto del popolo italiano.



A questo proposito, mi limito a richiamare il fatto che la Costituzione italiana rifiuta l’impostazione laicista, di matrice illuministica, per la quale il fatto religioso ha una natura meramente individuale ed è destinato a restare nell’ambito della sfera esclusivamente privata. La Costituzione valorizza, invece, il ruolo della religione e delle singole Confessioni religiose, come dimostrano gli articoli 7, 8, 19 e 20.



La disciplina costituzionale, dunque, pur assicurando a tutti la libertà religiosa, riconosce le singole confessioni come si trovano nella realtà sociale. Dunque, la Costituzione, come si evince chiaramente dal testo, riconosce alle confessioni religiose eguale libertà, ma non eguaglianza di trattamento.



È singolare che la Corte, anziché richiamare questo assetto costituzionale, faccia invece riferimento ad alcune posizioni laiciste della giurisprudenza della Corte costituzionale.

È forse un caso che nel collegio della Corte di Strasburgo sieda un giudice italiano e che tale giudice sia il fratello di un ex presidente della Corte costituzionale che tanta parte ha avuto - vedi le sentenze sul giuramento - e ha - vedi gli articoli sulla Chiesa cattolica - nell’affermare una concezione illuminista e laicista del ruolo della religione nella vita pubblica?



Un'autentica integrazione civile non può prescindere da una proposta educativa che abbia il coraggio e l'ambizione di proporre a tutti gli studenti i punti di riferimento che fondano la nostra società. Siamo di fronte a una sentenza che è il manifesto politico di chi vuole il declino definitivo di un progetto che ci ha regalato più di 50 anni di pace e benessere, in nome di un’ideologia che ha come obiettivo quello di privare un popolo della propria identità e di consegnare tutti i cittadini europei alla dittatura del nulla.



Auspico che tutte le forze politiche italiane ed europee sostengano senza esitazioni il ricorso che verrà presentato dal Governo italiano contro una sentenza degna del peggior regime totalitario.


CROCIFISSO/ 4. Tutto sulla decisione della Corte europea: sentenza, commenti, reazioni - Redazione mercoledì 4 novembre 2009 – ilsussidiario.net
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha messo "fuori legge" il Crocifisso nelle aule delle scuole italiane. Non è posto per un simbolo religioso in grado di turbare la sensibilità dei non cattolici. E' questo quanto emerso da un pronunciamento della corte in merito a un ricorso presentato da una cittadini italiana di origini finlandesi Soile Lautsi Albertin.



La storia del ricorso

La Lautsi ha deciso di portare a Strasburgo nel 2006 una vicenda giudiziaria che in Italia aveva cominciato a portare in tribunale nel 2002. I figli della Lautsi - all'epoca ragazzini di 11 e 13 anni - frequentavano l'Istituto statale «Vittorino da Feltre» di Abano Terme (Padova). Durante una riunione del Consiglio d'istituto, il padre dei due ragazzi, ateo convinto, chiese di togliere i crocefissi dall'aula, ma qualche mese dopo la direzione della scuola gli comunicò che sarebbero restati al loro posto.



A quel punto la signora Lautsi iniziò una battaglia legale contro la decisione della scuola, prima davanti al Tar del Veneto, poi presso la Corte Costituzionale e, in ultimo, davanti al Consiglio di Stato. In tutti i casi la giustizia italiana arrivò alla medesima conclusione: i crocefissi dovevano restare nelle aule scolastiche così come stabilito tra l'altro dal regio decreto 965, articolo 118, del 30 aprile 1924. Da qui la decisione di ricorrere al Tribunale dei diritti dell'Uomo di Strasburgo che si è pronunciato ieri.

Le conclusioni di Strasburgo
Il crocifisso appeso nelle aule scolastiche è una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. E' questo in sintesi il cuore della sentenza emessa all'unanimità da sette giudici della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo:? Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), Isil Karakas (Turchia), e la belga Francoise Tulkens, che presiedeva il tribunale.



Così l'affaire Lautsi, come si legge nell'incartamento, è deflagrato in Italia in modo ben più grave della richiesta di risarcimento di danni morali (quantificata in 5000 - cinquemila - euro) che il Governo italiano dovrà versare alla famiglia dei due ragazzi.



Secondo i giudici, la violazione dei diritti della signora e dei suoi figli deriva dal fatto che «lo Stato è tenuto a conformarsi alla neutralità confessionale nell'ambito dell'educazione pubblica perchè studenti di tutte le religioni o atei sono obbligati a seguire le lezioni e lo scopo della scuola è di accrescere la capacità degli alunni a pensare criticamente».



La Corte non è stata in grado di comprendere, si sottolinea nella sentenza, come l'esposizione nelle classi delle scuole statali di un simbolo che può ragionevolmente essere associato al cattolicesimo possa servire il pluralismo educativo che è essenziale nel preservare una società democratica, così come concepita nell'ambito della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Per questo i giudici hanno concluso che c'è stata una violazione dell' articolo 2 protocollo 1 (diritto all'istruzione) e dell'articolo 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione) della Convenzione.


Le conseguenze pratiche della sentenza

La sentenza emessa oggi non mette tuttavia la parola fine alla questione. Il governo italiano ha tre mesi di tempo per presentare il ricorso, dopodichè spetterà alla Corte se accettarlo o meno. Se Strasburgo risponderà affermativamente, si allungherebbero i tempi per arrivare ad una sentenza definitiva, che potrebbe anche stravolgere quella odierna. Ma chi conosce i pronunciamenti della Corte in materia di laicità dello Stato lo ritiene improbabile.



Nel caso il ricorso del governo non fosse accettato, invece, entro tre mesi la sentenza emessa il 3 novembre diverrà definitiva ed il governo italiano dovrà innanzitutto pagare i 5 mila euro di risarcimento per danni morali alla signora Lautsi e poi trovare una soluzione per ovviare ad altre cause simili che potrebbero essere sollevate, con conseguenti ripetuti richiami da parte di Strasburgo.



Le reazioni del Governo italiano

Non si è fatta attendere la replica del governo italiano, che ha annunciato ricorso. Il caso quindi, se il rinvio sarà accolto, nei prossimi mesi proseguirà il suo iter davanti alla Grande Corte, quella formata da diciassette giudici.



Il crocefisso, si spiega nella sentenza che in Italia ha suscitato un coro di critiche, ha molti significati, ma quello religioso è quello predominante. Quindi, la sua presenza nelle aule scolastiche può essere facilmente interpretato dagli alunni di tutte le età come un segno religioso e questo condurrà i ragazzi a ritenere di essere educati in un ambiente scolastico marcato da una determinata religione.


commenti

Bersani (Pd): buon senso vittima del diritto. Vaticano: sentenza miope



Il ministro degli Esteri Franco Frattini ritiene che l’atto abbia «dato un colpo mortale all’Europea dei valori e dei diritti» e per questo «il governo farà ricorso», attraverso il rappresentante italiano presso la Corte europea Nicola Lettieri.



Il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani ritiene che «su questioni delicate qualche volta il buon senso finisce per essere vittima del diritto. Io penso che un'antica tradizione come il crocefisso non può essere offensiva per nessuno».



Parole apprezzate dallo scrittore Giampaolo Pansa, che a ilsussidiario.net ha dichiarato: «Sono molto d’accordo con quanto ha dichiarato Pierluigi Bersani: il crocefisso nelle scuole non offende nessuno. Nella mia vita ho visto tante volte il crocefisso nelle aule di scuola e poi negli uffici di lavoro, spesso affiancato dall’immagine del Presidente della Repubblica. Devo dire che non mi ha mai turbato. Penso che sia una decisione sbagliata e priva di senso, frutto di istituzioni che probabilmente hanno qualche pregiudizio nei confronti della religione cattolica. Dico questo pur non essendo un cattolico».
Per padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, «la religione dà un contributo prezioso per la formazione e la crescita morale delle persone, ed è una componente essenziale della nostra civiltà. È sbagliato e miope volerla escludere dalla realtà educativa».



Il presidente della Camera Gianfranco Fini si augura che la sentenza «non venga salutata come giusta affermazione della laicità delle istituzioni, che è valore ben diverso dalla negazione, propria del laicismo più deteriore, del ruolo del Cristianesimo nella società e nella identità italiana».Il Presidente del Senato Renato Schifani ha invece accolto la notizia con «amarezza».



Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha spiegato che «la presenza del crocifisso in classe non significa adesione al Cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione. Nel nostro Paese nessuno vuole imporre la religione cattolica, e tantomeno la si vuole imporre attraverso la presenza del crocifisso».



Ezzedin el-Zir, portavoce dell’Unione delle comunità islamiche in Italia ricorda che «noi come musulmani non abbiamo mai chiesto l’eliminazione dei crocefissi dalle aule scolastiche».


LA SENTENZA/ La traduzione dei passaggi principali del pronunciamento contro i Crocifissi nelle aule - Redazione mercoledì 4 novembre 2009 – ilsussidiario.net

Di seguito proponiamo la traduzione delle parti essenziali della sentenza della Corte Europea di Strasburgo sulla presenza dei Crocifissi nelle aule delle scuole italiane. Il documento integrale è consultabile in francese (lingua ufficiale della Corte) cliccando QUI



Principi generali



47. Per quanto riguarda l'interpretazione dell'articolo 2 del Protocollo n.1, nell'esercizio delle funzioni che lo Stato assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, la Corte ha raggiunto nella sua giurisprudenza i principi enunciati qui di seguito che sono rilevanti nel caso di specie (v., in particolare Kjeldsen, Busk Madsen e Pedersen c. Danimarca, Causa Dicembre 7, 1976, AO 23, pp. 24-28, § § 50-54, Campbell v. Cosans Regno Unito, Causa Febbraio 25, 1982, AO48, pp. 16-18, § § 36-37, Valsamis c. Grecia, Causa dicembre 18, 1996, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 1996-VI, pp. 2323-2324, § § 25-28, e Folgerø e altri contro Norvegia [GC] 15472/02, CEDU 2007-VIII, § 84).



(a) è necessario leggere due frasi dell'articolo 2 del Protocollo n.1 alla luce non solo gli uni degli altri, ma anche, in particolare, degli articoli 8, 9 e 10 della Convenzione.



(b) è sul diritto fondamentale all'istruzione, che si innesta il diritto dei genitori di rispettare le loro credenze religiose e filosofiche e la prima frase non distingue più della seconda, tra l'istruzione pubblica e istruzione privata. La seconda frase dell'articolo 2 del Protocollo n.1 mira a salvaguardare la possibilità di pluralismo in materia di istruzione, essenziale per la conservazione della "società democratica", com’è intesa dalla Convenzione. A causa del potere dello Stato moderno, è soprattutto l'educazione pubblica che ha bisogno di raggiungere questo obiettivo.



(c) Il rispetto per le convinzioni dei genitori deve essere possibile attraverso una formazione in grado di fornire un ambiente di scuola aperta e inclusiva, piuttosto che di esclusione, a prescindere dal background degli studenti, dalle convinzioni religiose o dall’etnia. La scuola non dovrebbe essere la scena di proselitismo o di predicazione, dovrebbe essere un luogo di incontro di diverse religioni e convinzioni filosofiche, dove gli studenti possono acquisire conoscenze sui loro pensieri e sulle loro tradizioni.



(d) La seconda frase dell'articolo 2 del Protocollo n. 1 implica che lo Stato, nello svolgere le funzioni da essa assunte in materia di istruzione e formazione, controlla che le informazioni o le conoscenze incluse nei programmi vengano trasmesse in modo obiettivo, critico e pluralistico. Gli è precluso di perseguire un obiettivo di indottrinamento che possa essere considerato non conforme alle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori. Qui è il limite da non superare.



(e) Il rispetto per le convinzioni religiose dei genitori e le credenze dei bambini comporta il diritto di credere in una religione o di non credere in nessuna religione. La libertà di credere e la libertà di non credere (libertà negativa) sono entrambi tutelati dall'articolo 9 della Convenzione (v., in termini di cui all'articolo 11, Young, James e Webster c. Regno Unito, August 13, 1981, § § 52-57, serie AO 44).
Il dovere di neutralità e imparzialità dello Stato è incompatibile con qualsiasi potere discrezionale da parte sua quanto alla legittimità delle credenze religiose o dei loro modi di esprimersi. Nel contesto dell'educazione, la neutralità dovrebbe garantire il pluralismo (Folgerø, Supra, § 84).
Applicazione di questi principi



48. Per la Corte, queste considerazioni comportano l'obbligo dello Stato di astenersi da imporre anche indirettamente, credenze, nei luoghi in cui le persone sono a suo carico o nei luoghi in cui queste persone sono particolarmente vulnerabili. La scolarizzazione dei bambini è particolarmente delicata perché in questo caso, il potere vincolante dello Stato è imposto a sensibilità che sono ancora mancanti (a seconda del livello di maturità del bambino), della capacità di assumere una distanza critica in relazione al messaggio di una scelta preferenziale espressa da parte dello Stato in materia religiosa.



49. In applicazione dei principi di cui sopra al caso di specie, la Corte deve esaminare la questione se lo Stato convenuto, esigendo l'esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche, ha garantito nell'esercizio delle sue funzioni l'istruzione e l'insegnamento che la conoscenza sia diffusa in modo obiettivo, critico e pluralistico e il rispetto delle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori, a norma dell'articolo 2 del Protocollo n. 1.



50. Nel valutare tale questione, la Corte tiene conto della particolare natura del simbolo religioso e il suo impatto sugli studenti sin dalla giovane età, soprattutto sui bambini del richiedente. Infatti, nei paesi in cui la stragrande maggioranza della popolazione appartiene a una religione particolare, la manifestazione dei riti e dei simboli di questa religione, senza restrizione di luogo e modalità, può costituire una pressione sugli studenti che non praticano tale religione o di coloro che aderiscono a un'altra religione (Karaduman V. Turchia, Decisione della Commissione del maggio 3, 1993).



51. Il governo [italiano] (paragrafi 34-44 supra), giustifica l'obbligo (o il fatto) di esporre il crocifisso al positivo messaggio positivo morale della fede cristiana, che trascende i valori laici costituzionale, il ruolo della religione nella storia italiana e le radici di questa tradizione nel paese. Egli attribuisce al crocifisso un significato neutrale e laico in riferimento alla storia e alla tradizione dell’Italia, strettamente legata al cristianesimo. Il governo ha sostenuto che il crocifisso è un simbolo religioso, ma può rappresentare anche gli altri valori (cfr. Tribunale amministrativo del Veneto, n° 1110 Marzo 17, 2005, § 16, punto 13).
Nel parere della Corte, il simbolo del crocifisso ha una pluralità di significati tra cui il senso religioso è predominante.



52. La Corte ritiene che la presenza dei crocifissi nelle aule va oltre l'uso di simboli in specifici contesti storici. Ha anche ritenuto che il carattere tradizionale del significato sociale e storico di un testo usato dai parlamentari a prestare giuramento non priva il giuramento della sua natura religiosa (Buscarini e altri contro San Marino [GC], n.O24645/94, CEDU 1999-I).



53. Il denunciante sostiene che il simbolo è un affronto alle sue convinzioni e viola il diritto dei suoi figli che non professano la religione cattolica. Le convinzioni di questi ragazzi hanno raggiunto un livello di serietà e di coerenza sufficientemente coerente tanto che la presenza obbligatoria del crocifisso potrebbe essere ragionevolmente intesa come un conflitto con loro. L'interessato vede nell’esibizione del crocifisso il segno che lo Stato è dalla parte della religione cattolica. Questo significato è ufficialmente accettato nella Chiesa cattolica, che attribuisce al crocifisso un messaggio fondamentale. Pertanto, la preoccupazione del richiedente non è arbitraria.



54. Le convinzioni della signora riguardano anche l'impatto dell'esposizione del crocifisso ai suoi figli (supra, punto 32), all’epoca di undici e tredici anni. La Corte riconosce che, come abbiamo visto, è impossibile non notare il crocifisso nelle aule scolastiche. Nel contesto della pubblica istruzione, è necessariamente percepita come parte integrante della scuola e può quindi essere considerato come un "potente simbolo esterno" (Dahlab V. Svizzera (dicembre), n° 42393/98, CEDU 2001-V).



55. La presenza del crocifisso può essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, e si sentono educati in un ambiente scolastico caratterizzato da una particolare religione. Ciò che può essere incoraggiante per alcuni studenti di una religione può essere emotivamente inquietante per gli studenti di altre religioni o di coloro che non professano alcuna religione. Questo rischio è particolarmente presente tra gli studenti appartenenti a minoranze religiose. La libertà negativa non è limitata alla mancanza di servizi religiosi o di istruzione religiosa. Esso copre le pratiche dei simboli che esprimono, in particolare, o, in generale, una credenza, una religione o ateismo. Questo diritto negativo merita una protezione speciale, se lo Stato esprime una convinzione e, se la persona si trova in una situazione che non può essere superata se non con uno sforzo individuale o un sacrificio sproporzionato.



56. L'esposizione di uno o più simboli religiosi non può essere giustificata né con la richiesta di altri genitori che vogliono l'educazione religiosa coerente con le proprie convinzioni, né, come sostiene il governo, con la necessità di un compromesso necessario con i partiti politici di ispirazione cristiana. Rispetto le convinzioni dei genitori in materia di istruzione deve tener conto del rispetto delle credenze di altri genitori. Lo stato ha l'obbligo di neutralità religiosa nel contesto del l'istruzione pubblica obbligatoria in cui la partecipazione è richiesta a prescindere dalla religione e deve cercare di instillare negli studenti il pensiero critico.
La Corte non vede come l'esposizione nelle aule delle scuole pubbliche, un simbolo che è ragionevole associare con il cattolicesimo (la religione di maggioranza in Italia) potrebbe servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una "società democratica", come concepito dalla Convenzione, pluralismo è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale (cfr. paragrafo 24) nel diritto interno.



57. La Corte ritiene che l'esposizione obbligatoria di un simbolo di una confessione nell’esercizio della funzione pubblica per quanto riguarda situazioni specifiche, sotto il controllo del governo, in particolare nelle aule, limita il diritto dei genitori educare i loro figli secondo le loro convinzioni e il diritto di scolari di credere o di non credere. La Corte ritiene che ciò costituisca una violazione di questi diritti, perché le restrizioni sono incompatibili con il dovere dello Stato di rispettare la neutralità nell'esercizio del servizio pubblico, in particolare nel campo dell'istruzione.



58. Di conseguenza, vi è stata una violazione dell'articolo 2 del Protocollo n. 1 in combinato disposto con l'articolo 9 della Convenzione.