Nella rassegna stampa di oggi:
1) Valori non negoziabili per un'Europa più solida - Il Cardinale Bagnasco indica le basi cristiane su cui consolidare la civiltà europea - di Antonio Gaspari
2) 12 ragioni per cui il crocifisso non viola la libertà - E l'illusione di uno Stato neutro nei confronti dei valori
3) Contro l'aborto servono “soluzioni razionali” - Dichiarazione al termine del IV Congresso Internazionale Pro-vita
4) Il tempo della paura - Luca Pesenti martedì 10 novembre 2009 – ilsussidiario.net
5) SGUARDO SULL’ITALIA E SUL MONDO - APPELLO A SENTIRSI PARTE DI UN «NOI» - FRANCESCO BOTTURI – Avvenire, 10 novembre 2009
6) Gli «Atti dei martiri» cattolici nell’Urss - Un frate mantovano ha frugato gli archivi del Kgb per trovare i documenti ufficiali sul clero romano perseguitato e ucciso in 70 anni dal regime comunista - DI A NDREA B ERNARDINI – Avvenire, 10 novembre 2009
Valori non negoziabili per un'Europa più solida - Il Cardinale Bagnasco indica le basi cristiane su cui consolidare la civiltà europea - di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 9 novembre 2009 (ZENIT.org).- Prendendo spunto dalla recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che vorrebbe imporre la rimozione dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane, il Cardinale Angelo Bagnasco ha indicato i “valori non negoziabili” come decisivi per impedire che la civiltà europea cristiana si sfaldi.
Nel corso della prolusione alla 60a assemblea Generale dei Vescovi italiani, svolta ad Assisi lunedì 9 novembre, l’Arcivescovo di Genova ha spiegato che “il sorprendente pronunciamento deve fare riflettere su una certa ideologia che non rinuncia a fare capolino nelle circostanze più delicate della vita continentale, quella di un laicismo per cui la neutralità coinciderebbe con l’assenza di valori, mentre la religione sarebbe necessariamente di parte”.
Ma una simile posizione, ha sottolineato il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), “oltre ad essere un’impostura, non è mai stata espressa dalla storia e neppure dalla volontà politica degli europei”.
Dopo aver ribadito che “il crocifisso nella molteplicità dei suoi significati può suggerire solo valori positivi di inclusione, di comprensione reciproca, in ultima istanza di amore vicendevole” ed aver difeso “il fermo e inalienabile diritto di ciascun popolo alla propria identità culturale” il Cardinale Bagnasco ha denunciato “il tentativo di rivalsa” di “esigue minoranze culturali” le quali, “servendosi del volto apparentemente impersonale della burocrazia comunitaria, perseguono sulle libere determinazioni dei popoli”.
Per impedire che il modello di civiltà dell’Europa si sfaldi, il Presidente della CEI ha proposto di “riconoscere la visione trascendente della persona e la pari dignità di tutti gli esseri umani”.
Facendo riferimento ai tanti interventi in materia di Benedetto XVI, il porporato ha sottolineato che ci sono “valori profondamente radicati nella struttura dell’essere umano” e che “per la loro natura e il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili”.
Si tratta in sostanza di quello che il Pontefice ha indicato come un “giusto e delicato equilibrio fra l’efficienza economica e le esigenze sociali, della salvaguardia dell’ambiente, e soprattutto dell’indispensabile e necessario sostegno alla vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, e alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”.
Riprendendo l’enciclica “Caritas in veritate” (n.15), il Cardinale Bagnasco ha sostenuto che “non può avere basi solide una società che – mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata”.
L’Arcivescovo di Genova ha rivelato che questo è uno dei temi rilevanti su cui l’Assemblea dei Vescovi rifletterà.
In questo contesto, il Cardinale Bagnasco ha espresso pesanti riserve sulla pillola abortiva ru-486 e sulla proposta di inserire l’ora di religione islamica nelle scuole.
In merito al via libera concesso dall’Aifa per l’utilizzo e la commercializzazione della pillola abortiva ru-486, il Presidente della CEI ha fatto presente che “ciascuno naturalmente si fa carico delle proprie responsabilità circa gli effetti concreti sulla salute delle persone che vi ricorreranno ed il rispetto delle condizioni minime che sono state a fatica riconosciute come indispensabili per la sua assunzione”.
“Nello stesso tempo – ha aggiunto – non si potrà non riconoscere, come già fa la legge 194, la possibilità dell’obiezione di coscienza agli operatori sanitari, compresi i farmacisti e i farmacisti ospedalieri, che non intendono collaborare direttamente o indirettamente ad un atto grave”.
Circa la ventilata ipotesi dell’ora di religione islamica, che la CEI avversa, il porporato ha precisato che “non è in discussione, la libertà religiosa di chicchessia, ma la peculiarità della scuola e le sue specifiche finalità che − in uno Stato positivamente laico − sono di ordine culturale ed educativo”.
“Infatti, - ha ribadito - l’insegnamento di religione cattolica, com’è noto, non è un’ora di catechismo, bensì un’occasione di conoscenza che si vuole ‘assicurare’ circa quei ‘principi del cattolicesimo’che ‘fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano’ (Accordo di revisione del Concordato Lateranense, art. 9). Conoscenza che è indispensabile in ordine ad una convivenza più consapevole e matura”.
12 ragioni per cui il crocifisso non viola la libertà - E l'illusione di uno Stato neutro nei confronti dei valori
VIENNA, lunedì, 9 novembre 2009 (ZENIT.org).- La vera libertà religiosa non è la libertà dalla religione, ha affermato uno storico in risposta alla decisione della Corte europea per i Diritti Umani di eliminare i crocifissi dalle aule delle scuole italiane.
Martin Kugler, curatore del network per i diritti umani Christianophobia.eu, con sede a Vienna (Austria), ha offerto 12 tesi che svelano il pensiero errato della Corte, che ha deciso a favore di una madre atea che ha protestato per i crocifissi appesi nella scuola frequentata dai figli.
Kugler ha spiegato che “il diritto alla libertà religiosa può significare solo il suo esercizio – non la libertà dal confronto. Il significato di 'libertà di religione' non ha niente a che vedere con la creazione di una società 'libera dalla religione'”.
“Rimuovere a forza il simbolo della croce è una violazione, come lo sarebbe costringere gli atei a appendere quel simbolo”.
“Il muro bianco è anche una dichiarazione ideologica – in particolare se nei secoli prima non poteva essere vuoto. Uno Stato 'neutro rispetto ai valori' è una finzione, spesso usata a scopo di propaganda”.
Per Kugler le decisioni come quella della Corte europea attaccano realmente la religione, anziché lottare contro l'intolleranza religiosa.
“Non si possono combattere i problemi politici combattendo la religione”, ha aggiunto. “Il fondamentalismo antireligioso diventa complice del fondamentalismo religioso quando provoca con l'intolleranza”.
“La maggior parte della popolazione interessata vorrebbe mantenere la croce – ha dichiarato –. E' anche un problema di politica democratica, dando spudoratamente priorità agli interessi individuali”.
Riprendendo le argomentazioni proposte dal Governo italiano in difesa dei crocifissi nelle aule, Kugler ha detto che “la croce è il logo dell'Europa. E' un simbolo religioso, ma anche molto pià di questo”.
Un'illusione
In un dibattito con Die Presse, Kugler ha sottolineato altri due elementi del dibattito Chiesa-Stato.
Parlare di uno “Stato neutro nei confronti dei valori” è “semplicemente ingenuo, e il risultato di un'illusione. [...] E' più che altro uno scherzo”.
“Uno Stato neutro verso i valori? Contro la frode e la corruzione? Contro la xenofobia e la discrminazione? I peccati contro l'ambiente e le avances sessuali sul posto di lavoro? Uno Stato che bandisce i neonazisti, permette la pornografia, favorisce certe forme di assistenza allo sviluppo, ma non altre... tutto per valori neutrali? Qualcuno sta cercando di prenderci in giro!”, ha osservato.
L'esperto ha quindi sottolineato un secondo punto che merita più attenzione: l'idea per cui una sfera pubblica senza alcuna presenza della vita religiosa o dei simboli religiosi sarebbe più “tollerante” o più appropriata per la libertà di coscienza rispetto a una che permette o perfino incoraggia dichiarazioni di credo religioso.
“Ovviamente il genitore ateo potrebbe sentire che suo/a figlio/a viene molestato/a dalla croce in classe, ma è inevitabile. Posso anche essere seccato quando entro in un ufficio postale e vedo una fotografia del Presidente federale per il quale non ho votato. [...] L'influenza, i segnali ideologici, le presenze visive – anche sessiste – esisteranno sempre e ovunque”.
“L'unica domanda è come e cosa contengono”.
A questo riguardo, Kugler ha affermato che lo Stato “dovrebbe intervenire solo in modo molto moderato. E se lo fa, non dovrebbe essere solo con divieti che imprigionano la religione in un ghetto”.
Contro l'aborto servono “soluzioni razionali” - Dichiarazione al termine del IV Congresso Internazionale Pro-vita
SARAGOZZA, lunedì, 9 novembre 2009 (ZENIT.org).- I rappresentanti delle organizzazioni in difesa della vita, della famiglia e della dignità umana di vari Paesi, riuniti a Saragozza (Spagna) dal 6 all'8 novembre per il IV Congresso Internazionale Pro-vita, hanno approvato la Dichiarazione di Saragozza, in cui chiedono “soluzioni razionali” come alternativa all'aborto e si impegnano a lavorare per prevenirlo.
La Dichiarazione di Saragozza considera che le oltre 800 milioni di morti provocate mediante aborto “legale” nei Paesi del mondo che lo hanno autorizzato rappresentano un delitto di lesa umanità che, per numero ed estensione, si propone venga definito d'ora in poi “mega-genocidio”.
La Dichiarazione chiede ai responsabili di promuovere soluzioni razionali, sempre rispettose della vita, per le necessità umane, come:
- Fornire accesso e assistenza qualificata alla gravidanza, al parto e al neonato.
- Articolare con la società civile istituzioni che assistano le donne incinte in situazioni di conflitto, per aiutarle a superare i loro problemi e giungere così a una maternità piena di gioia.
- Mettere in pratica programmi per rafforzare la famiglia.
- La gravidanza non è una malattia; il controllo della natalità, quindi, non potrà mai essere una politica sanitaria.
- Far rispettare ogni vita umana, dalla fecondazione alla morte naturale, e riconoscere la personalità giuridica di ogni essere umano, dall'istante iniziale della sua esistenza; e operare sempre di conseguenza.
- Punire ed eliminare ogni pratica abortiva, eugenetica, eutanasica, o che manipoli la vita umana, qualunque siano i mezzi utilizzati a tale scopo.
I firmatari della Dichiarazione di Saragozza si impegnano, tra le altre cose, a:
- Promuovere tutte le organizzazioni della società civile la cui finalità sia rendere visibile e assistere la sindrome post-aborto.
- Centri di aiuto per le donne.
- Centri di orientamento familiare.
- Diffusione di un approccio umanista della sessualità.
- Promuovere l'adozione come opzione degna per le madri in condizioni di gravidanza inaspettata e per i concepiti.
- Vigilare in modo permanente sul grado di osservanza del diritto alla vita. Denunciare pubblicamente chi viola questo Diritto fondamentale, in particolare se sono funzionari pubblici o politici in campagna elettorale.
- Articolare attività con l'“Azione Mondiale di Parlamentari e Governanti per la Vita e la Famiglia”, costituita a Santiago del Cile, raccogliendo la Dichiarazione di Lima del II Congresso Internazionale Pro-vita.
- Promuovere la cancellazione della pena di morte per aborto, nell'ambito dell'ONU e degli organismi regionali. Promuovere una Convenzione Internazionale che tuteli la vita di ogni essere umano, dal momento del concepimento fino alla morte naturale.
- Creare e promuovere partiti politici che tutelino la vita umana, dal suo inizo fino alla morte naturale.
- Patrocinare gratuitamente le cause delle donne vittime del “mega-genocidio” dell'aborto, perché ottengano un giusto risarcimento dei danni, contro lo Stato e gli altri responsabili delle loro sofferenze.
I partecipanti che aderiscono alla Dichiarazione provengono da Germania, Argentina, Austria, Canada, Repubblica Ceca, Cile, Colombia, Costa Rica, Croazia, Cuba, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Slovacchia, Spagna, Stati Uniti, Francia, India, Gran Bretagna, Iran, Irlanda, Italia, Messico, Nicaragua, Norvegia, Perù, Polonia, Sudafrica, Svezia e Venezuela.
Durante il Congresso, il presidente del Forum Spagnolo per la Famiglia, Benigno Blanco, ha affermato che “le donne che hanno abortito sono le prime a dichiararsi a favore della vita e contro la cultura della morte” e che “il recupero del movimento in difesa della vita è ben evidente in tutto il mondo”.
Il docente di Diritto presso l'Università di Valparaíso dell'Indiana (Stati Uniti) Richard Stith ha segnalato dal canto suo che la riforma della legge sull'aborto proposta dal Governo spagnolo “ha come risultato la liberazione dell'uomo per sfruttare sessualmente la donna e lo esime dalla responsabilità della nascita”, aggiungendo che “se la donna alla fine decide di tenere il bambino l'uomo si terrà al margine sostenendo che il problema è suo perché aveva la 'libertà' di abortire”.
Il presidente della Federazione Spagnola delle Associazioni Pro-vita, Alicia Latorre, ha invece dichiarato che l'obiettivo del Congresso è “unire forze e apportare argomentazioni per trovare risposte positive circa la vita umana e il problema più grande che affronta la Spagna, un problema che è inevitabile”.
“Non avremo pace finché non finiranno gli aborti”, ha confessato.
3.000 volontari del Congresso hanno acceso sabato migliaia di candele per la vita. La catena di candele si è estesa per 4 chilometri. Nella Piazza del Pilar di Saragozza è stato acceso un grande “Sì alla vita” formato da migliaia di candele, mentre in altre zone i volontari hanno disegnato cuori, bambini e altri simboli di sostegno alla vita.
Il tempo della paura - Luca Pesenti martedì 10 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Siamo sempre più conficcati nel tempo della paura. Sottile, sprezzante, spesso o quasi sempre irrazionale. Siamo al tramonto di ogni sicurezza, alla realizzazione sociale del nichilismo, all’avanzata del dubbio sistematico.
Tutto è cominciato con la paura della vecchiaia, delle rughe, dei chili, del dolore, dei difetti, degli handicap. Date le premesse non proprio incoraggianti, non potevamo che precipitare nella “società delle paure globali”. Non passa quasi giorno senza dover fare i conti con un nuovo, sottile terrore. Basta sfogliare i giornali, megafoni dell’irrazionalità, grancasse della paura.
C’è il pedofilo della porta accanto, travestito (così si dice) da maestra elementare, da educatore, da genitore senza macchia. Basta una fotografia, una carezza, uno sguardo ed è subito fobia. C’è il dottor Mengele del laboratorio accanto, che può finalmente produrre (così si dice) il mondo nuovo creato dalla Tecnica, in cui si potrà nascere belli, perfetti e preferibilmente senza genitori, per poi crescere con due madri (o due padri), vivendo sempre più a lungo, magari vincendo anche la morte. Un incubo a occhi aperti.
Ma soprattutto, ci sono le pandemie: tante, maledette e (così si dice) omicide. Solo nel Terzo millennio se ne può fare un campionario. L’anno 2001 fu quello della “mucca pazza”. Ricordate le parole d’ordine? Niente più ossobuco, niente fiorentina, il pericolo viene dalla carne, il futuro è solo dei vegetariani. Alla fine le vittime vere furono le povere mucche, ammazzate a migliaia a partire da semplici dubbi.
Nel 2002 ecco la SARS, la polmonite devastante che avrebbe dovuto (così si diceva) mietere vittime a tutto spiano. Si fermò nell’estremo Oriente, non se ne parla più. Nel 2003 è stata invece la volta dell’influenza aviaria: anch’essa nata nel sud est asiatico, anch’essa annunciata come la nuova peste, anch’essa ormai dimenticata.
Oggi è la volta della suina. Si contano le (poche) vittime, una ad una, giorno dopo giorno. Inutile ricordare che ogni anno l’influenza uccide tra i cosiddetti “soggetti a rischio”. Non importa che a farne le spese siano quasi sempre malati cronici, poveracci indeboliti da qualche altro male e colpiti a tradimento dalla più banale delle malattie di stagione. Quel che conta è contare le vittime, far pensare al peggio, spaventare.
È una grande congiura. Una mezza parola di troppo dell’esperto di turno, un caso eccezionale che smentisca la regola, un inconfessabile interesse da sostenere: tutto fa brodo per un bel titolo ad effetto, una copertina urlata. È una macchina che ormai funziona da tempo, ben oliata, perfettamente registrata. Anche perché è sempre all’opera una semplicissima legge: per far superare una paura è sufficiente scatenarne una più grande. E così il Potere può utilizzare questo terreno coltivato a paura come un potentissimo meccanismo di controllo sociale.
Tutto questo accade in superficie. Ma è sotto la cresta dell’onda che bisogna guardare, per capire le molte cause della paura globale. Spinoza sosteneva che la capacità di utilizzare correttamente la ragione è il risultato della sicurezza. Se manca questa, trionfa l’irrazionalità.
Allora potremmo spiegare tutto così: passata l’epoca dello “stato del benessere”, delle “garanzie” e della “sicurezza sociale garantita”, nella società del rischio (Beck) e dell’incertezza (Bauman) non siamo più sicuri nemmeno sui fondamentali (vita, famiglia, lavoro) e finiamo, inesorabilmente, per aver paura di tutto. Paura dell’altro, innanzitutto: per questo cerchiamo di “immunizzarci” dal rischio della relazione, e dunque diventiamo facilmente preda delle fobie più irrazionali.
Ma forse ci basta citare un film per andare dritti al cuore delle nostre paure. L’aforisma lo prendiamo da “Le ali della libertà”, di Frank Darabont: “La paura ti rende prigioniero, la speranza può renderti libero”. I barbari, le crisi economiche, le carestie, le incertezze del vivere ci sono sempre state. Ma oggi è peggio, perché dopo molti secoli, manca proprio la speranza.
Nella cultura postmoderna c’è tutto fuorché l’idea che si possa incontrare qualcosa, o qualcuno, che ti permetta di non avere più paura, e che ti faccia capire che in fondo il rischio, l’incertezza, il limite, la malattia, addirittura la morte sono parti necessarie di un destino buono. La Chiesa è lì a ricordarcelo, a ripeterci come fece per 368 volte Papa Woytila nel suo lungo pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”. Eppure, in quest’epoca di passioni tristi e di crocifissi tirati giù dai muri, basta un’influenza per dimenticare duemila anni di speranza.
SGUARDO SULL’ITALIA E SUL MONDO - APPELLO A SENTIRSI PARTE DI UN «NOI» - FRANCESCO BOTTURI – Avvenire, 10 novembre 2009
L a prolusione del cardinale Bagnasco alla 60ª assembla della Cei aperta ieri ad Assisi ci offre un confortante e attraente esercizio del giudizio di fede sulla coscienza ecclesiale, sul suo compito storico, e sulla vita civile del nostro Paese. Una Chiesa sempre più consapevole dei suoi propri scopi è con ciò stesso aiuto, offerto alla Nazione in cui vive, a cogliere ciò di cui ha bisogno per essere se stessa. Così facendo, «la nostra Chiesa non presume di sé, punta solo a essere fedele » e perciò a «risultare – come il Vangelo esige – lievito e luce per la società». La Chiesa non presume, perché non ha come scopo se stessa, ma la comunicazione con parole e fatti dell’evento di salvezza per gli uomini: quanto più è fedele al suo mandato, tanto più aiuta gli uomini a comprendere se stessi, la loro umanità, le condizioni stesse della loro socialità. Un termine ricorrente della prolusione è «gente». A proposito del recente Sinodo sull’Africa, il presidente della Cei afferma che «il dinamismo ad gentes resterà un dato qualificante l’intera nostra pastorale, una visione di Chiesa che si traguarda sempre con gli altri, e mai senza di loro»; così come «dal punto di vista etico-culturale desideriamo che i nostri cristiani si sentano cittadini del mondo, corresponsabili della sorte degli altri » . L’Anno Sacerdotale in corso ricorda, a sua volta, che «i nostri sacerdoti sono mandati a tutti, destinati a tutti [...]», perché «essere prete è la vocazione di chi sta accanto alla propria gente come testimone di misericordia». La Chiesa, dunque, sta presso la gente, proponendole una misura larga e profonda della vita, con cui essa possa «imparare a godere realmente» della vita stessa e a proteggersi da immagini di una «cultura irreale» e alienante. All’occasione della nuova edizione italiana del Rito delle Esequie, la prolusione s’intrattiene sull’impoverimento dell’idea della morte, la sua riduzione privatistica, la sua sparizione sociale, in nome di un’immagine della vita «falsa» e «irreale», che chiude la cultura sociale ai grandi interrogativi e a ogni prospettiva di senso. La comunità cristiana non può avvallare una tale cultura, perché «la luce della fede – dice Bagnasco riferendosi al primo discorso di Benedetto XVI all’episcopato italiano – ci fa comprendere in profondità un modello di uomo non astratto o utopico, ma concreto e storico, che di per sé la stessa ragione umana può conoscere » e che la Chiesa lo ricorda non «per l’interesse cattolico » , ma per amore all’uomo creatura di Dio.
È con questo criterio che la Chiesa interviene nelle grandi questioni etiche oppure si preoccupa di posizioni assunte da certa burocrazia europea – come nella recente sentenza sul crocifisso –, che non badando al valore e allo spessore di tradizioni religiose e culturali, finisce in realtà per allontanare «sempre più dalla gente» l’Europa. Ancora, e con particolare attenzione, il presidente dei vescovi italiani si occupa del diritto della «gente con i suoi problemi [...] di cogliersi al primo posto» rispetto a un dibattito nazionale in cui sembra prevalere invece una pregiudiziale contrapposizione e una conflittualità sistematica, che rispondono ad altre preoccupazioni e ad altri interessi. Con vigore e lucidità viene ricordato l’indispensabile patrimonio di «valori morali autentici e solidi [...] che formano l’anima di un popolo, la sua identità profonda», «quel senso di appartenenza che agisce sull’intelligenza e sul cuore, creando cultura e storia. E consentendo a ciascuno di sentirsi parte di un 'noi'». Una Chiesa, dunque, che proprio svolgendo la sua peculiare missione – e non fingendosi una «religione civile» – è amica della gente, contribuendo alla sostanza che la rende un «popolo», non un povero «incrocio di destini individuali».
Gli «Atti dei martiri» cattolici nell’Urss - Un frate mantovano ha frugato gli archivi del Kgb per trovare i documenti ufficiali sul clero romano perseguitato e ucciso in 70 anni dal regime comunista - DI A NDREA B ERNARDINI – Avvenire, 10 novembre 2009
L a chiesa del Sacro Cuore a San Pietroburgo ha il sapore della fede bagnata dal sudore di gente semplice. Iniziarono a costruirla, in epoca zarista, 15mila operai polacchi, che lavoravano nella vicina fabbrica di porcellane.
Tuttavia non è mai stata completata, perché i tre sacerdoti che – dal 1917 al 1937 – vi si sono succeduti, sono stati più volte arrestati. L’ultimo in ordine di tempo, padre Epifanio Akulov, fu fucilato durante una celebrazione religiosa. Quando, sessant’anni più tardi, il frate minore Fiorenzo Emilio Reati, 68 anni, mantovano di origine, tornò a celebrare messa in quella chiesa, utilizzò il corporale macchiato del sangue del suo predecessore. «Potete immaginare – confida oggi – l’emozione che provai quando distesi quella tela di lino inamidato sopra l’altare. Io successore di un martire: in che avventura mi ero cacciato!». Quattro anni fa si è aperto il processo di beatificazione di padre Akulov. Nel frattempo il religioso italiano si è andato a leggere i documenti degli archivi desecretati del Kgb per ricostruire la storia dei tanti confratelli zittiti dal regime sovietico con la fucilazione o con l’allontanamento dal Paese. Da questa ricerca è nato, sei anni fa, un tascabile Dio dirà l’ultima parola. La persecuzione della Chiesa cattolica in Russia in epoca sovietica
(Arca edizioni). Preludio ad un lavoro enciclopedico che uscirà tra non molto e dove saranno raccolti documenti e testimonianze di arresti, processi-farsa, decreti di condanne, fucilazioni che, in ottant’anni di storia, hanno interessato vescovi e preti cattolici e ortodossi.
Come vivevano i cattolici della Russia imperiale?
«Il cattolicesimo ai tempi degli zar era la confessione dei cittadini oppressi. Le loro insurrezioni per le libertà civili e politiche furono represse con la forza. A farne le spese fu anche la gerarchia ecclesiastica.
Vescovi e preti faticarono non poco, tra l’altro, a mantenere autonomia e libere relazioni con il Vaticano ».
Quanti erano i cattolici in Russia all’epoca degli zar?
«Cinque milioni, assistiti da 27 vescovi e 2194 sacerdoti; si ritrovavano in 1500 chiese».
Poi la Rivoluzione d’ottobre del 1917 portò il partito bolscevico al potere e con esso Lenin.
«Un evento che anche i cattolici, allora, salutarono con speranza. Il potere sovietico – pensavano – incline a promuovere il bene dei lavoratori, non avrebbe oppresso la Chiesa da sempre perseguitata in Russia».
Mai speranza fu così vana...
«Sì, ben presto il potere bolscevico mostrò i suoi umori antireligiosi.
Lenin, con alcuni decreti, privò la Chiesa di terreni, accademie teologiche, convitti e seminari. L’insegnamento della religione divenne un crimine, il matrimonio religioso illegale. Anche le chiese furono re- quisite: le comunità religiose potevano prenderle in affitto dallo Stato, a condizione di riceverne il preventivo permesso dalle autorità.
Permesso che spesso non arrivava.
I sacerdoti cattolici, ma anche i loro collaboratori furono privati dei diritti elettorali. Altre misure dettero inizio a una guerra aperta contro la venerazione delle reliquie: scoperte, furono in parte disperse e in parte rinchiuse nei musei statali».
Come si difesero i cattolici?
«In molte parrocchie nacquero 'Comitati parrocchiali di fedeli laici' a difesa della Chiesa e dei suoi sacerdoti. Purtroppo, però, in diversi casi, in questi comitati si infiltrarono collaborazionisti del regime ».
Finita la prima guerra mondiale, nacquero nuovi Stati indipendenti.
«La Polonia, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia. Molti cattolici vi fuggirono – per fame o per terrore dei bolscevichi. Per loro la vita in Russia era del resto divenuta impossibile. A marzo del 1923 le autorità citarono in giudizio l’arcivescovo Cepliak e 14 sacerdoti di Pietroburgo, tra i quali padre Costantin Budkievicz, prete molto amato per la sua fama di santità. Fu quello il celebre processo collettivo al clero cattolico. Padre Budkievicz morì nelle cantine della polizia segreta, la Ceka, divenendo il primo martire del calendario dei martiri cattolici.
Molti altri processi sommari al clero e a comunità monastiche si sarebbero verificati negli anni successivi. E per 12 sacerdoti è in corso la causa di beatificazione».
Dopo la morte di Lenin salì al potere Josif Dzugasvili, detto Stalin.
Cambiò qualcosa?
«Per i cattolici no. Poiché, nonostante tutte le restrizioni, i sacerdoti continuavano a lavorare segretamente, il nuovo regime pensò di abbattere il cattolicesimo anche culturalmente, attraverso la propaganda atea. Nacque la Lega dei militanti atei, una casa editrice, l’Ateo, un giornale, il Giornale dei
«Nel 1917 i cristiani latini erano 5 milioni.
Nel 1923 il primo processo collettivo a 15 sacerdoti; oggi 12 sono in via di beatificazione»
senza Dio, edito in tutte le lingue dei popoli viventi in Unione sovietica e diffuso in 44 milioni di copie. Nel Paese vennero aperti migliaia di musei dell’ateismo e per diffondere la cultura atea nella nuova Russia venivano organizzate manifestazioni di piazza. Nelle scuole vennero istituiti corsi di ateismo scientifico».
Il Papa come si comportò?
«Pio XI cercò di ricostruire la gerarchia ecclesiastica. Senza successo: i prelati nominati in segreto furono subito sottoposti alla repressione. Il 9 febbraio 1930 scrisse una lettera-denuncia sull’Osservatore romano,
suscitando consensi e sostegno in tutto il mondo civile. I russi protestarono, ma per un certo periodo moderarono i metodi barbarici impiegati nella lotta antireligiosa. Non durò molto: dal 1937 al 1939, in pieno terrore staliniano, furono 150 i preti fucilati; a Levashova (nei pressi di Pietroburgo), a Sandormock (nel centro della Cariglia) e soprattutto nel gulag delle isole Solovki dove persero la vita anche moltissimi ortodossi. Nel 1941 in Russia rimanevano aperte solo due chiese, una a Mosca e l’altra a Leningrado, scampate alla chiusura perché appartenenti all’ambasciata francese, mentre nel Paese vivevano un solo vescovo – peraltro straniero – e 20 preti in libertà».
Una tensione che si stempererà solo negli anni Ottanta del secolo scorso. E che si concluderà con la «perestroika» di Gorbaciov, che nel 1989 decretò la libertà di culto di tutte le professioni religiose. Qual è lo stato di salute della Chiesa cattolica in Russia oggi?
«Molte chiese sono state riaperte. I cattolici sono stimati in un milione e 200mila, per lo più anziani. I preti sono 200, quasi tutti stranieri. Insomma, gli effetti di decenni di ateismo si fanno sentire ancora oggi. Ma dobbiamo sperare per il futuro: i seminari sono tornati a sfornare giovani preti locali».
«All’inizio i credenti videro con speranza la rivoluzione d’Ottobre: pensavano che Lenin li avrebbe trattati meglio che sotto gli zar»
1) Valori non negoziabili per un'Europa più solida - Il Cardinale Bagnasco indica le basi cristiane su cui consolidare la civiltà europea - di Antonio Gaspari
2) 12 ragioni per cui il crocifisso non viola la libertà - E l'illusione di uno Stato neutro nei confronti dei valori
3) Contro l'aborto servono “soluzioni razionali” - Dichiarazione al termine del IV Congresso Internazionale Pro-vita
4) Il tempo della paura - Luca Pesenti martedì 10 novembre 2009 – ilsussidiario.net
5) SGUARDO SULL’ITALIA E SUL MONDO - APPELLO A SENTIRSI PARTE DI UN «NOI» - FRANCESCO BOTTURI – Avvenire, 10 novembre 2009
6) Gli «Atti dei martiri» cattolici nell’Urss - Un frate mantovano ha frugato gli archivi del Kgb per trovare i documenti ufficiali sul clero romano perseguitato e ucciso in 70 anni dal regime comunista - DI A NDREA B ERNARDINI – Avvenire, 10 novembre 2009
Valori non negoziabili per un'Europa più solida - Il Cardinale Bagnasco indica le basi cristiane su cui consolidare la civiltà europea - di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 9 novembre 2009 (ZENIT.org).- Prendendo spunto dalla recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che vorrebbe imporre la rimozione dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane, il Cardinale Angelo Bagnasco ha indicato i “valori non negoziabili” come decisivi per impedire che la civiltà europea cristiana si sfaldi.
Nel corso della prolusione alla 60a assemblea Generale dei Vescovi italiani, svolta ad Assisi lunedì 9 novembre, l’Arcivescovo di Genova ha spiegato che “il sorprendente pronunciamento deve fare riflettere su una certa ideologia che non rinuncia a fare capolino nelle circostanze più delicate della vita continentale, quella di un laicismo per cui la neutralità coinciderebbe con l’assenza di valori, mentre la religione sarebbe necessariamente di parte”.
Ma una simile posizione, ha sottolineato il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), “oltre ad essere un’impostura, non è mai stata espressa dalla storia e neppure dalla volontà politica degli europei”.
Dopo aver ribadito che “il crocifisso nella molteplicità dei suoi significati può suggerire solo valori positivi di inclusione, di comprensione reciproca, in ultima istanza di amore vicendevole” ed aver difeso “il fermo e inalienabile diritto di ciascun popolo alla propria identità culturale” il Cardinale Bagnasco ha denunciato “il tentativo di rivalsa” di “esigue minoranze culturali” le quali, “servendosi del volto apparentemente impersonale della burocrazia comunitaria, perseguono sulle libere determinazioni dei popoli”.
Per impedire che il modello di civiltà dell’Europa si sfaldi, il Presidente della CEI ha proposto di “riconoscere la visione trascendente della persona e la pari dignità di tutti gli esseri umani”.
Facendo riferimento ai tanti interventi in materia di Benedetto XVI, il porporato ha sottolineato che ci sono “valori profondamente radicati nella struttura dell’essere umano” e che “per la loro natura e il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili”.
Si tratta in sostanza di quello che il Pontefice ha indicato come un “giusto e delicato equilibrio fra l’efficienza economica e le esigenze sociali, della salvaguardia dell’ambiente, e soprattutto dell’indispensabile e necessario sostegno alla vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, e alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”.
Riprendendo l’enciclica “Caritas in veritate” (n.15), il Cardinale Bagnasco ha sostenuto che “non può avere basi solide una società che – mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata”.
L’Arcivescovo di Genova ha rivelato che questo è uno dei temi rilevanti su cui l’Assemblea dei Vescovi rifletterà.
In questo contesto, il Cardinale Bagnasco ha espresso pesanti riserve sulla pillola abortiva ru-486 e sulla proposta di inserire l’ora di religione islamica nelle scuole.
In merito al via libera concesso dall’Aifa per l’utilizzo e la commercializzazione della pillola abortiva ru-486, il Presidente della CEI ha fatto presente che “ciascuno naturalmente si fa carico delle proprie responsabilità circa gli effetti concreti sulla salute delle persone che vi ricorreranno ed il rispetto delle condizioni minime che sono state a fatica riconosciute come indispensabili per la sua assunzione”.
“Nello stesso tempo – ha aggiunto – non si potrà non riconoscere, come già fa la legge 194, la possibilità dell’obiezione di coscienza agli operatori sanitari, compresi i farmacisti e i farmacisti ospedalieri, che non intendono collaborare direttamente o indirettamente ad un atto grave”.
Circa la ventilata ipotesi dell’ora di religione islamica, che la CEI avversa, il porporato ha precisato che “non è in discussione, la libertà religiosa di chicchessia, ma la peculiarità della scuola e le sue specifiche finalità che − in uno Stato positivamente laico − sono di ordine culturale ed educativo”.
“Infatti, - ha ribadito - l’insegnamento di religione cattolica, com’è noto, non è un’ora di catechismo, bensì un’occasione di conoscenza che si vuole ‘assicurare’ circa quei ‘principi del cattolicesimo’che ‘fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano’ (Accordo di revisione del Concordato Lateranense, art. 9). Conoscenza che è indispensabile in ordine ad una convivenza più consapevole e matura”.
12 ragioni per cui il crocifisso non viola la libertà - E l'illusione di uno Stato neutro nei confronti dei valori
VIENNA, lunedì, 9 novembre 2009 (ZENIT.org).- La vera libertà religiosa non è la libertà dalla religione, ha affermato uno storico in risposta alla decisione della Corte europea per i Diritti Umani di eliminare i crocifissi dalle aule delle scuole italiane.
Martin Kugler, curatore del network per i diritti umani Christianophobia.eu, con sede a Vienna (Austria), ha offerto 12 tesi che svelano il pensiero errato della Corte, che ha deciso a favore di una madre atea che ha protestato per i crocifissi appesi nella scuola frequentata dai figli.
Kugler ha spiegato che “il diritto alla libertà religiosa può significare solo il suo esercizio – non la libertà dal confronto. Il significato di 'libertà di religione' non ha niente a che vedere con la creazione di una società 'libera dalla religione'”.
“Rimuovere a forza il simbolo della croce è una violazione, come lo sarebbe costringere gli atei a appendere quel simbolo”.
“Il muro bianco è anche una dichiarazione ideologica – in particolare se nei secoli prima non poteva essere vuoto. Uno Stato 'neutro rispetto ai valori' è una finzione, spesso usata a scopo di propaganda”.
Per Kugler le decisioni come quella della Corte europea attaccano realmente la religione, anziché lottare contro l'intolleranza religiosa.
“Non si possono combattere i problemi politici combattendo la religione”, ha aggiunto. “Il fondamentalismo antireligioso diventa complice del fondamentalismo religioso quando provoca con l'intolleranza”.
“La maggior parte della popolazione interessata vorrebbe mantenere la croce – ha dichiarato –. E' anche un problema di politica democratica, dando spudoratamente priorità agli interessi individuali”.
Riprendendo le argomentazioni proposte dal Governo italiano in difesa dei crocifissi nelle aule, Kugler ha detto che “la croce è il logo dell'Europa. E' un simbolo religioso, ma anche molto pià di questo”.
Un'illusione
In un dibattito con Die Presse, Kugler ha sottolineato altri due elementi del dibattito Chiesa-Stato.
Parlare di uno “Stato neutro nei confronti dei valori” è “semplicemente ingenuo, e il risultato di un'illusione. [...] E' più che altro uno scherzo”.
“Uno Stato neutro verso i valori? Contro la frode e la corruzione? Contro la xenofobia e la discrminazione? I peccati contro l'ambiente e le avances sessuali sul posto di lavoro? Uno Stato che bandisce i neonazisti, permette la pornografia, favorisce certe forme di assistenza allo sviluppo, ma non altre... tutto per valori neutrali? Qualcuno sta cercando di prenderci in giro!”, ha osservato.
L'esperto ha quindi sottolineato un secondo punto che merita più attenzione: l'idea per cui una sfera pubblica senza alcuna presenza della vita religiosa o dei simboli religiosi sarebbe più “tollerante” o più appropriata per la libertà di coscienza rispetto a una che permette o perfino incoraggia dichiarazioni di credo religioso.
“Ovviamente il genitore ateo potrebbe sentire che suo/a figlio/a viene molestato/a dalla croce in classe, ma è inevitabile. Posso anche essere seccato quando entro in un ufficio postale e vedo una fotografia del Presidente federale per il quale non ho votato. [...] L'influenza, i segnali ideologici, le presenze visive – anche sessiste – esisteranno sempre e ovunque”.
“L'unica domanda è come e cosa contengono”.
A questo riguardo, Kugler ha affermato che lo Stato “dovrebbe intervenire solo in modo molto moderato. E se lo fa, non dovrebbe essere solo con divieti che imprigionano la religione in un ghetto”.
Contro l'aborto servono “soluzioni razionali” - Dichiarazione al termine del IV Congresso Internazionale Pro-vita
SARAGOZZA, lunedì, 9 novembre 2009 (ZENIT.org).- I rappresentanti delle organizzazioni in difesa della vita, della famiglia e della dignità umana di vari Paesi, riuniti a Saragozza (Spagna) dal 6 all'8 novembre per il IV Congresso Internazionale Pro-vita, hanno approvato la Dichiarazione di Saragozza, in cui chiedono “soluzioni razionali” come alternativa all'aborto e si impegnano a lavorare per prevenirlo.
La Dichiarazione di Saragozza considera che le oltre 800 milioni di morti provocate mediante aborto “legale” nei Paesi del mondo che lo hanno autorizzato rappresentano un delitto di lesa umanità che, per numero ed estensione, si propone venga definito d'ora in poi “mega-genocidio”.
La Dichiarazione chiede ai responsabili di promuovere soluzioni razionali, sempre rispettose della vita, per le necessità umane, come:
- Fornire accesso e assistenza qualificata alla gravidanza, al parto e al neonato.
- Articolare con la società civile istituzioni che assistano le donne incinte in situazioni di conflitto, per aiutarle a superare i loro problemi e giungere così a una maternità piena di gioia.
- Mettere in pratica programmi per rafforzare la famiglia.
- La gravidanza non è una malattia; il controllo della natalità, quindi, non potrà mai essere una politica sanitaria.
- Far rispettare ogni vita umana, dalla fecondazione alla morte naturale, e riconoscere la personalità giuridica di ogni essere umano, dall'istante iniziale della sua esistenza; e operare sempre di conseguenza.
- Punire ed eliminare ogni pratica abortiva, eugenetica, eutanasica, o che manipoli la vita umana, qualunque siano i mezzi utilizzati a tale scopo.
I firmatari della Dichiarazione di Saragozza si impegnano, tra le altre cose, a:
- Promuovere tutte le organizzazioni della società civile la cui finalità sia rendere visibile e assistere la sindrome post-aborto.
- Centri di aiuto per le donne.
- Centri di orientamento familiare.
- Diffusione di un approccio umanista della sessualità.
- Promuovere l'adozione come opzione degna per le madri in condizioni di gravidanza inaspettata e per i concepiti.
- Vigilare in modo permanente sul grado di osservanza del diritto alla vita. Denunciare pubblicamente chi viola questo Diritto fondamentale, in particolare se sono funzionari pubblici o politici in campagna elettorale.
- Articolare attività con l'“Azione Mondiale di Parlamentari e Governanti per la Vita e la Famiglia”, costituita a Santiago del Cile, raccogliendo la Dichiarazione di Lima del II Congresso Internazionale Pro-vita.
- Promuovere la cancellazione della pena di morte per aborto, nell'ambito dell'ONU e degli organismi regionali. Promuovere una Convenzione Internazionale che tuteli la vita di ogni essere umano, dal momento del concepimento fino alla morte naturale.
- Creare e promuovere partiti politici che tutelino la vita umana, dal suo inizo fino alla morte naturale.
- Patrocinare gratuitamente le cause delle donne vittime del “mega-genocidio” dell'aborto, perché ottengano un giusto risarcimento dei danni, contro lo Stato e gli altri responsabili delle loro sofferenze.
I partecipanti che aderiscono alla Dichiarazione provengono da Germania, Argentina, Austria, Canada, Repubblica Ceca, Cile, Colombia, Costa Rica, Croazia, Cuba, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Slovacchia, Spagna, Stati Uniti, Francia, India, Gran Bretagna, Iran, Irlanda, Italia, Messico, Nicaragua, Norvegia, Perù, Polonia, Sudafrica, Svezia e Venezuela.
Durante il Congresso, il presidente del Forum Spagnolo per la Famiglia, Benigno Blanco, ha affermato che “le donne che hanno abortito sono le prime a dichiararsi a favore della vita e contro la cultura della morte” e che “il recupero del movimento in difesa della vita è ben evidente in tutto il mondo”.
Il docente di Diritto presso l'Università di Valparaíso dell'Indiana (Stati Uniti) Richard Stith ha segnalato dal canto suo che la riforma della legge sull'aborto proposta dal Governo spagnolo “ha come risultato la liberazione dell'uomo per sfruttare sessualmente la donna e lo esime dalla responsabilità della nascita”, aggiungendo che “se la donna alla fine decide di tenere il bambino l'uomo si terrà al margine sostenendo che il problema è suo perché aveva la 'libertà' di abortire”.
Il presidente della Federazione Spagnola delle Associazioni Pro-vita, Alicia Latorre, ha invece dichiarato che l'obiettivo del Congresso è “unire forze e apportare argomentazioni per trovare risposte positive circa la vita umana e il problema più grande che affronta la Spagna, un problema che è inevitabile”.
“Non avremo pace finché non finiranno gli aborti”, ha confessato.
3.000 volontari del Congresso hanno acceso sabato migliaia di candele per la vita. La catena di candele si è estesa per 4 chilometri. Nella Piazza del Pilar di Saragozza è stato acceso un grande “Sì alla vita” formato da migliaia di candele, mentre in altre zone i volontari hanno disegnato cuori, bambini e altri simboli di sostegno alla vita.
Il tempo della paura - Luca Pesenti martedì 10 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Siamo sempre più conficcati nel tempo della paura. Sottile, sprezzante, spesso o quasi sempre irrazionale. Siamo al tramonto di ogni sicurezza, alla realizzazione sociale del nichilismo, all’avanzata del dubbio sistematico.
Tutto è cominciato con la paura della vecchiaia, delle rughe, dei chili, del dolore, dei difetti, degli handicap. Date le premesse non proprio incoraggianti, non potevamo che precipitare nella “società delle paure globali”. Non passa quasi giorno senza dover fare i conti con un nuovo, sottile terrore. Basta sfogliare i giornali, megafoni dell’irrazionalità, grancasse della paura.
C’è il pedofilo della porta accanto, travestito (così si dice) da maestra elementare, da educatore, da genitore senza macchia. Basta una fotografia, una carezza, uno sguardo ed è subito fobia. C’è il dottor Mengele del laboratorio accanto, che può finalmente produrre (così si dice) il mondo nuovo creato dalla Tecnica, in cui si potrà nascere belli, perfetti e preferibilmente senza genitori, per poi crescere con due madri (o due padri), vivendo sempre più a lungo, magari vincendo anche la morte. Un incubo a occhi aperti.
Ma soprattutto, ci sono le pandemie: tante, maledette e (così si dice) omicide. Solo nel Terzo millennio se ne può fare un campionario. L’anno 2001 fu quello della “mucca pazza”. Ricordate le parole d’ordine? Niente più ossobuco, niente fiorentina, il pericolo viene dalla carne, il futuro è solo dei vegetariani. Alla fine le vittime vere furono le povere mucche, ammazzate a migliaia a partire da semplici dubbi.
Nel 2002 ecco la SARS, la polmonite devastante che avrebbe dovuto (così si diceva) mietere vittime a tutto spiano. Si fermò nell’estremo Oriente, non se ne parla più. Nel 2003 è stata invece la volta dell’influenza aviaria: anch’essa nata nel sud est asiatico, anch’essa annunciata come la nuova peste, anch’essa ormai dimenticata.
Oggi è la volta della suina. Si contano le (poche) vittime, una ad una, giorno dopo giorno. Inutile ricordare che ogni anno l’influenza uccide tra i cosiddetti “soggetti a rischio”. Non importa che a farne le spese siano quasi sempre malati cronici, poveracci indeboliti da qualche altro male e colpiti a tradimento dalla più banale delle malattie di stagione. Quel che conta è contare le vittime, far pensare al peggio, spaventare.
È una grande congiura. Una mezza parola di troppo dell’esperto di turno, un caso eccezionale che smentisca la regola, un inconfessabile interesse da sostenere: tutto fa brodo per un bel titolo ad effetto, una copertina urlata. È una macchina che ormai funziona da tempo, ben oliata, perfettamente registrata. Anche perché è sempre all’opera una semplicissima legge: per far superare una paura è sufficiente scatenarne una più grande. E così il Potere può utilizzare questo terreno coltivato a paura come un potentissimo meccanismo di controllo sociale.
Tutto questo accade in superficie. Ma è sotto la cresta dell’onda che bisogna guardare, per capire le molte cause della paura globale. Spinoza sosteneva che la capacità di utilizzare correttamente la ragione è il risultato della sicurezza. Se manca questa, trionfa l’irrazionalità.
Allora potremmo spiegare tutto così: passata l’epoca dello “stato del benessere”, delle “garanzie” e della “sicurezza sociale garantita”, nella società del rischio (Beck) e dell’incertezza (Bauman) non siamo più sicuri nemmeno sui fondamentali (vita, famiglia, lavoro) e finiamo, inesorabilmente, per aver paura di tutto. Paura dell’altro, innanzitutto: per questo cerchiamo di “immunizzarci” dal rischio della relazione, e dunque diventiamo facilmente preda delle fobie più irrazionali.
Ma forse ci basta citare un film per andare dritti al cuore delle nostre paure. L’aforisma lo prendiamo da “Le ali della libertà”, di Frank Darabont: “La paura ti rende prigioniero, la speranza può renderti libero”. I barbari, le crisi economiche, le carestie, le incertezze del vivere ci sono sempre state. Ma oggi è peggio, perché dopo molti secoli, manca proprio la speranza.
Nella cultura postmoderna c’è tutto fuorché l’idea che si possa incontrare qualcosa, o qualcuno, che ti permetta di non avere più paura, e che ti faccia capire che in fondo il rischio, l’incertezza, il limite, la malattia, addirittura la morte sono parti necessarie di un destino buono. La Chiesa è lì a ricordarcelo, a ripeterci come fece per 368 volte Papa Woytila nel suo lungo pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”. Eppure, in quest’epoca di passioni tristi e di crocifissi tirati giù dai muri, basta un’influenza per dimenticare duemila anni di speranza.
SGUARDO SULL’ITALIA E SUL MONDO - APPELLO A SENTIRSI PARTE DI UN «NOI» - FRANCESCO BOTTURI – Avvenire, 10 novembre 2009
L a prolusione del cardinale Bagnasco alla 60ª assembla della Cei aperta ieri ad Assisi ci offre un confortante e attraente esercizio del giudizio di fede sulla coscienza ecclesiale, sul suo compito storico, e sulla vita civile del nostro Paese. Una Chiesa sempre più consapevole dei suoi propri scopi è con ciò stesso aiuto, offerto alla Nazione in cui vive, a cogliere ciò di cui ha bisogno per essere se stessa. Così facendo, «la nostra Chiesa non presume di sé, punta solo a essere fedele » e perciò a «risultare – come il Vangelo esige – lievito e luce per la società». La Chiesa non presume, perché non ha come scopo se stessa, ma la comunicazione con parole e fatti dell’evento di salvezza per gli uomini: quanto più è fedele al suo mandato, tanto più aiuta gli uomini a comprendere se stessi, la loro umanità, le condizioni stesse della loro socialità. Un termine ricorrente della prolusione è «gente». A proposito del recente Sinodo sull’Africa, il presidente della Cei afferma che «il dinamismo ad gentes resterà un dato qualificante l’intera nostra pastorale, una visione di Chiesa che si traguarda sempre con gli altri, e mai senza di loro»; così come «dal punto di vista etico-culturale desideriamo che i nostri cristiani si sentano cittadini del mondo, corresponsabili della sorte degli altri » . L’Anno Sacerdotale in corso ricorda, a sua volta, che «i nostri sacerdoti sono mandati a tutti, destinati a tutti [...]», perché «essere prete è la vocazione di chi sta accanto alla propria gente come testimone di misericordia». La Chiesa, dunque, sta presso la gente, proponendole una misura larga e profonda della vita, con cui essa possa «imparare a godere realmente» della vita stessa e a proteggersi da immagini di una «cultura irreale» e alienante. All’occasione della nuova edizione italiana del Rito delle Esequie, la prolusione s’intrattiene sull’impoverimento dell’idea della morte, la sua riduzione privatistica, la sua sparizione sociale, in nome di un’immagine della vita «falsa» e «irreale», che chiude la cultura sociale ai grandi interrogativi e a ogni prospettiva di senso. La comunità cristiana non può avvallare una tale cultura, perché «la luce della fede – dice Bagnasco riferendosi al primo discorso di Benedetto XVI all’episcopato italiano – ci fa comprendere in profondità un modello di uomo non astratto o utopico, ma concreto e storico, che di per sé la stessa ragione umana può conoscere » e che la Chiesa lo ricorda non «per l’interesse cattolico » , ma per amore all’uomo creatura di Dio.
È con questo criterio che la Chiesa interviene nelle grandi questioni etiche oppure si preoccupa di posizioni assunte da certa burocrazia europea – come nella recente sentenza sul crocifisso –, che non badando al valore e allo spessore di tradizioni religiose e culturali, finisce in realtà per allontanare «sempre più dalla gente» l’Europa. Ancora, e con particolare attenzione, il presidente dei vescovi italiani si occupa del diritto della «gente con i suoi problemi [...] di cogliersi al primo posto» rispetto a un dibattito nazionale in cui sembra prevalere invece una pregiudiziale contrapposizione e una conflittualità sistematica, che rispondono ad altre preoccupazioni e ad altri interessi. Con vigore e lucidità viene ricordato l’indispensabile patrimonio di «valori morali autentici e solidi [...] che formano l’anima di un popolo, la sua identità profonda», «quel senso di appartenenza che agisce sull’intelligenza e sul cuore, creando cultura e storia. E consentendo a ciascuno di sentirsi parte di un 'noi'». Una Chiesa, dunque, che proprio svolgendo la sua peculiare missione – e non fingendosi una «religione civile» – è amica della gente, contribuendo alla sostanza che la rende un «popolo», non un povero «incrocio di destini individuali».
Gli «Atti dei martiri» cattolici nell’Urss - Un frate mantovano ha frugato gli archivi del Kgb per trovare i documenti ufficiali sul clero romano perseguitato e ucciso in 70 anni dal regime comunista - DI A NDREA B ERNARDINI – Avvenire, 10 novembre 2009
L a chiesa del Sacro Cuore a San Pietroburgo ha il sapore della fede bagnata dal sudore di gente semplice. Iniziarono a costruirla, in epoca zarista, 15mila operai polacchi, che lavoravano nella vicina fabbrica di porcellane.
Tuttavia non è mai stata completata, perché i tre sacerdoti che – dal 1917 al 1937 – vi si sono succeduti, sono stati più volte arrestati. L’ultimo in ordine di tempo, padre Epifanio Akulov, fu fucilato durante una celebrazione religiosa. Quando, sessant’anni più tardi, il frate minore Fiorenzo Emilio Reati, 68 anni, mantovano di origine, tornò a celebrare messa in quella chiesa, utilizzò il corporale macchiato del sangue del suo predecessore. «Potete immaginare – confida oggi – l’emozione che provai quando distesi quella tela di lino inamidato sopra l’altare. Io successore di un martire: in che avventura mi ero cacciato!». Quattro anni fa si è aperto il processo di beatificazione di padre Akulov. Nel frattempo il religioso italiano si è andato a leggere i documenti degli archivi desecretati del Kgb per ricostruire la storia dei tanti confratelli zittiti dal regime sovietico con la fucilazione o con l’allontanamento dal Paese. Da questa ricerca è nato, sei anni fa, un tascabile Dio dirà l’ultima parola. La persecuzione della Chiesa cattolica in Russia in epoca sovietica
(Arca edizioni). Preludio ad un lavoro enciclopedico che uscirà tra non molto e dove saranno raccolti documenti e testimonianze di arresti, processi-farsa, decreti di condanne, fucilazioni che, in ottant’anni di storia, hanno interessato vescovi e preti cattolici e ortodossi.
Come vivevano i cattolici della Russia imperiale?
«Il cattolicesimo ai tempi degli zar era la confessione dei cittadini oppressi. Le loro insurrezioni per le libertà civili e politiche furono represse con la forza. A farne le spese fu anche la gerarchia ecclesiastica.
Vescovi e preti faticarono non poco, tra l’altro, a mantenere autonomia e libere relazioni con il Vaticano ».
Quanti erano i cattolici in Russia all’epoca degli zar?
«Cinque milioni, assistiti da 27 vescovi e 2194 sacerdoti; si ritrovavano in 1500 chiese».
Poi la Rivoluzione d’ottobre del 1917 portò il partito bolscevico al potere e con esso Lenin.
«Un evento che anche i cattolici, allora, salutarono con speranza. Il potere sovietico – pensavano – incline a promuovere il bene dei lavoratori, non avrebbe oppresso la Chiesa da sempre perseguitata in Russia».
Mai speranza fu così vana...
«Sì, ben presto il potere bolscevico mostrò i suoi umori antireligiosi.
Lenin, con alcuni decreti, privò la Chiesa di terreni, accademie teologiche, convitti e seminari. L’insegnamento della religione divenne un crimine, il matrimonio religioso illegale. Anche le chiese furono re- quisite: le comunità religiose potevano prenderle in affitto dallo Stato, a condizione di riceverne il preventivo permesso dalle autorità.
Permesso che spesso non arrivava.
I sacerdoti cattolici, ma anche i loro collaboratori furono privati dei diritti elettorali. Altre misure dettero inizio a una guerra aperta contro la venerazione delle reliquie: scoperte, furono in parte disperse e in parte rinchiuse nei musei statali».
Come si difesero i cattolici?
«In molte parrocchie nacquero 'Comitati parrocchiali di fedeli laici' a difesa della Chiesa e dei suoi sacerdoti. Purtroppo, però, in diversi casi, in questi comitati si infiltrarono collaborazionisti del regime ».
Finita la prima guerra mondiale, nacquero nuovi Stati indipendenti.
«La Polonia, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia. Molti cattolici vi fuggirono – per fame o per terrore dei bolscevichi. Per loro la vita in Russia era del resto divenuta impossibile. A marzo del 1923 le autorità citarono in giudizio l’arcivescovo Cepliak e 14 sacerdoti di Pietroburgo, tra i quali padre Costantin Budkievicz, prete molto amato per la sua fama di santità. Fu quello il celebre processo collettivo al clero cattolico. Padre Budkievicz morì nelle cantine della polizia segreta, la Ceka, divenendo il primo martire del calendario dei martiri cattolici.
Molti altri processi sommari al clero e a comunità monastiche si sarebbero verificati negli anni successivi. E per 12 sacerdoti è in corso la causa di beatificazione».
Dopo la morte di Lenin salì al potere Josif Dzugasvili, detto Stalin.
Cambiò qualcosa?
«Per i cattolici no. Poiché, nonostante tutte le restrizioni, i sacerdoti continuavano a lavorare segretamente, il nuovo regime pensò di abbattere il cattolicesimo anche culturalmente, attraverso la propaganda atea. Nacque la Lega dei militanti atei, una casa editrice, l’Ateo, un giornale, il Giornale dei
«Nel 1917 i cristiani latini erano 5 milioni.
Nel 1923 il primo processo collettivo a 15 sacerdoti; oggi 12 sono in via di beatificazione»
senza Dio, edito in tutte le lingue dei popoli viventi in Unione sovietica e diffuso in 44 milioni di copie. Nel Paese vennero aperti migliaia di musei dell’ateismo e per diffondere la cultura atea nella nuova Russia venivano organizzate manifestazioni di piazza. Nelle scuole vennero istituiti corsi di ateismo scientifico».
Il Papa come si comportò?
«Pio XI cercò di ricostruire la gerarchia ecclesiastica. Senza successo: i prelati nominati in segreto furono subito sottoposti alla repressione. Il 9 febbraio 1930 scrisse una lettera-denuncia sull’Osservatore romano,
suscitando consensi e sostegno in tutto il mondo civile. I russi protestarono, ma per un certo periodo moderarono i metodi barbarici impiegati nella lotta antireligiosa. Non durò molto: dal 1937 al 1939, in pieno terrore staliniano, furono 150 i preti fucilati; a Levashova (nei pressi di Pietroburgo), a Sandormock (nel centro della Cariglia) e soprattutto nel gulag delle isole Solovki dove persero la vita anche moltissimi ortodossi. Nel 1941 in Russia rimanevano aperte solo due chiese, una a Mosca e l’altra a Leningrado, scampate alla chiusura perché appartenenti all’ambasciata francese, mentre nel Paese vivevano un solo vescovo – peraltro straniero – e 20 preti in libertà».
Una tensione che si stempererà solo negli anni Ottanta del secolo scorso. E che si concluderà con la «perestroika» di Gorbaciov, che nel 1989 decretò la libertà di culto di tutte le professioni religiose. Qual è lo stato di salute della Chiesa cattolica in Russia oggi?
«Molte chiese sono state riaperte. I cattolici sono stimati in un milione e 200mila, per lo più anziani. I preti sono 200, quasi tutti stranieri. Insomma, gli effetti di decenni di ateismo si fanno sentire ancora oggi. Ma dobbiamo sperare per il futuro: i seminari sono tornati a sfornare giovani preti locali».
«All’inizio i credenti videro con speranza la rivoluzione d’Ottobre: pensavano che Lenin li avrebbe trattati meglio che sotto gli zar»