venerdì 12 febbraio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) IL PAPA RIVELA IL SEGRETO DELLA GIOIA NELLA SOFFERENZA - Nella XVIII Giornata Mondiale del Malato - di Patricia Navas
2) BENEDETTO XVI: LA CHIESA PROMUOVE UN MONDO CHE ACCOLGA I MALATI - Omelia nella XVIII Giornata Mondiale del Malato
3) Se si manipola l'idea di malattia - Il dolore, il piacere e l'inganno del relativismo - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 12 febbraio 2010
4) Italia, Stati Uniti, Brasile. Dal Vaticano alla conquista del mondo - L'ambizioso condottiere è il cardinale segretario di Stato, con l'ausilio de "L'Osservatore Romano". L'obiettivo è di sottomettere a sé le Chiese nazionali, sul terreno politico. Ma i vescovi resistono e reagiscono. La lezione del caso italiano - di Sandro Magister
5) Bioetica e legge naturale - Il limite cancellato - Dall'11 al 13 febbraio si svolge in Vaticano, nell'Aula Nuova del Sinodo, l'assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita. Pubblichiamo la seconda parte dell'intervento introduttivo dell'arcivescovo presidente. - di Rino Fisichella L'Osservatore Romano - 12 febbraio 2010


IL PAPA RIVELA IL SEGRETO DELLA GIOIA NELLA SOFFERENZA - Nella XVIII Giornata Mondiale del Malato - di Patricia Navas

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 11 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha rivelato il segreto della gioia nella sofferenza questo giovedì nell'omelia che ha pronunciato nella Basilica vaticana durante la Messa nella memoria della Madonna di Lourdes, XVIII Giornata Mondiale del Malato.
Per questo, si è riferito alla "maternità della Chiesa", riflesso "dell'amore premuroso di Dio", nell'accompagnare e consolare chi soffre.
E' "una maternità che parla senza parole, che suscita nei cuori la consolazione, una gioia intima, una gioia che paradossalmente convive con il dolore, con la sofferenza".
"La sofferenza accettata e offerta, la condivisione sincera e gratuita, non sono forse miracoli dell'amore?", ha chiesto.
Il Papa ha quindi sottolineato "il coraggio di affrontare il male disarmati - come Giuditta -, con la sola forza della fede e della speranza nel Signore".
"Per tutto questo noi viviamo una gioia che non dimentica la sofferenza, anzi, la comprende".
"In questo modo i malati e tutti i sofferenti sono nella Chiesa non solo destinatari di attenzione e di cura, ma prima ancora e soprattutto protagonisti del pellegrinaggio della fede e della speranza, testimoni dei prodigi dell'amore, della gioia pasquale che fiorisce dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo", ha spiegato.
"Chi rimane a lungo vicino alle persone sofferenti, conosce l'angoscia e le lacrime, ma anche il miracolo della gioia, frutto dell'amore".
Il realismo della speranza
Riferendosi alla speranza, Benedetto XVI ha segnalato che il brano della Lettera di San Giacomo proclamato nella celebrazione del giorno "invita ad attendere con costanza la venuta ormai prossima del Signore".
Per il Pontefice, ciò "rispecchia l'azione di Gesù, che guarendo i malati mostrava la vicinanza del Regno di Dio".
"La malattia è vista nella prospettiva degli ultimi tempi, con il realismo della speranza tipicamente cristiano", ha spiegato.
Ha poi ricordato la lettura che segnala: "Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato".
Questo brano, ha rilevato, mostra "il prolungamento di Cristo nella sua Chiesa: è ancora Lui che agisce, mediante i presbiteri; è il suo stesso Spirito che opera mediante il segno sacramentale dell'olio; è a Lui che si rivolge la fede, espressa nella preghiera".
"Da questo testo, che contiene il fondamento e la prassi del sacramento dell'Unzione dei malati, si ricava al tempo stesso una visione del ruolo dei malati nella Chiesa. Un ruolo attivo nel 'provocare', per così dire, la preghiera fatta con fede".
Sacerdoti e malati
Il brano è servito al Papa anche per sottolineare, in questo Anno Sacerdotale, "il legame tra i malati e i sacerdoti, una specie di alleanza, di 'complicità' evangelica".
"Entrambi hanno un compito: il malato deve 'chiamare' i presbiteri, e questi devono rispondere, per attirare sull'esperienza della malattia la presenza e l'azione del Risorto e del suo Spirito", ha spiegato.
"E qui possiamo vedere tutta l'importanza della pastorale dei malati, il cui valore è davvero incalcolabile, per il bene immenso che fa in primo luogo al malato e al sacerdote stesso, ma anche ai familiari, ai conoscenti, alla comunità e, attraverso vie ignote e misteriose, a tutta la Chiesa e al mondo".
Quando la Parola di Dio "parla di guarigione, di salvezza, di salute del malato, intende questi concetti in senso integrale, non separando mai anima e corpo", ha aggiunto.
"Un malato guarito dalla preghiera di Cristo, mediante la Chiesa, è una gioia sulla terra e nel cielo, è una primizia di vita eterna".
Per il Vescovo di Roma, le guarigioni realizzate da Gesù, insieme all'annuncio della Parola, sono "segno per eccellenza della vicinanza del Regno di Dio".
La Chiesa e i malati
Questo giovedì, giorno in cui si celebrava il 25° anniversario della fondazione del Pontificio Consiglio della Pastorale della Salute, il Pontefice ha voluto anche sottolinearne il senso e ha rivolto parole di ringraziamento a tutti coloro che vi hanno lavorato.
"Istituendo un Dicastero dedicato alla pastorale sanitaria, la Santa Sede ha voluto offrire il proprio contributo anche per promuovere un mondo più capace di accogliere e curare i malati come persone", ha affermato.
"Ha voluto, infatti, aiutarli a vivere l'esperienza dell'infermità in modo umano, non rinnegandola, ma offrendo ad essa un senso".
"Dio, infatti, vuole guarire tutto l'uomo e nel Vangelo la guarigione del corpo è segno del risanamento più profondo che è la remissione dei peccati".
La Chiesa, ha osservato, ha sempre mostrato particolare sollecitudine per chi soffre. "Ne danno testimonianza le migliaia di persone che si recano nei santuari mariani per invocare la Madre di Cristo e trovano in lei forza e sollievo".
Ha quindi parlato della Madonna, in particolare della visita alla cugina Elisabetta, indicando che "nel sostegno offerto da Maria a questa parente che vive, in età avanzata, una situazione delicata come la gravidanza, vediamo prefigurata tutta l'azione della Chiesa a sostegno della vita bisognosa di cura".
Non ha poi tralasciato di richiamare alla memoria "tanti Santi e Sante della carità", soprattutto "quelli che hanno speso la loro vita tra i malati e i sofferenti, come Camillo de Lellis e Giovanni di Dio, Damiano de Veuster e Benedetto Menni".
Il Pontefice ha quindi concluso la sua omelia con alcune parole tratte dalla Lettera Apostolica Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II: "Cristo allo stesso tempo ha insegnato all'uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza".


BENEDETTO XVI: LA CHIESA PROMUOVE UN MONDO CHE ACCOLGA I MALATI - Omelia nella XVIII Giornata Mondiale del Malato

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 11 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'omelia pronunciata da Papa Benedetto XVI durante la Messa celebrata nella Basilica di San Pietro nella XVIII Giornata Mondiale del Malato e nel XXV anniversario della fondazione del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Agenti Sanitari. Durante la celebrazione erano presenti le reliquie di Santa Bernadette Soubirous, testimone delle apparizioni della Madonna a Lourdes, la cui memoria liturgica si celebra questo giovedì.
* * *

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'episcopato,
cari fratelli e sorelle!
I Vangeli, nelle sintetiche descrizioni della breve ma intensa vita pubblica di Gesù, attestano che egli annuncia la Parola e opera guarigioni di malati, segno per eccellenza della vicinanza del Regno di Dio. Ad esempio, Matteo scrive: "Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo" (Mt 4,23; cfr 9,35). La Chiesa, cui è affidato il compito di prolungare nello spazio e nel tempo la missione di Cristo, non può disattendere queste due opere essenziali: evangelizzazione e cura dei malati nel corpo e nello spirito. Dio, infatti, vuole guarire tutto l'uomo e nel Vangelo la guarigione del corpo è segno del risanamento più profondo che è la remissione dei peccati (cfr Mc 2,1-12). Non meraviglia, dunque, che Maria, madre e modello della Chiesa, sia invocata e venerata come "Salus infirmorum", "Salute dei malati". Quale prima e perfetta discepola del suo Figlio, Ella ha sempre mostrato, nell'accompagnare il cammino della Chiesa, una speciale sollecitudine per i sofferenti. Ne danno testimonianza le migliaia di persone che si recano nei santuari mariani per invocare la Madre di Cristo e trovano in lei forza e sollievo. Il racconto evangelico della Visitazione (cfr Lc 1,39-56) ci mostra come la Vergine, dopo l'annuncio dell'Angelo, non tenne per sé il dono ricevuto, ma partì subito per andare ad aiutare l'anziana cugina Elisabetta, che da sei mesi portava in grembo Giovanni. Nel sostegno offerto da Maria a questa parente che vive, in età avanzata, una situazione delicata come la gravidanza, vediamo prefigurata tutta l'azione della Chiesa a sostegno della vita bisognosa di cura.
Il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, istituito 25 anni or sono dal Venerabile Giovanni Paolo II, è senza dubbio un'espressione privilegiata di tale sollecitudine. Il pensiero va con riconoscenza al Cardinale Fiorenzo Angelini, primo Presidente del Dicastero e da sempre appassionato animatore di questo ambito di attività ecclesiale; come pure al Cardinale Javier Lozano Barragán, che fino a pochi mesi fa ha dato continuità ed incremento a tale servizio. Con viva cordialità rivolgo, poi, all'attuale Presidente, Mons. Zygmunt Zimowski, che ha assunto tale significativa ed importante eredità, il mio saluto, che estendo a tutti gli officiali ed al personale che in questo quarto di secolo hanno lodevolmente collaborato in tale ufficio della Santa Sede. Desidero, inoltre, salutare le associazioni e gli organismi che curano l'organizzazione della Giornata del Malato, in particolare l'UNITALSI e l'Opera Romana Pellegrinaggi. Il benvenuto più affettuoso va naturalmente a voi, cari malati! Grazie di essere venuti e soprattutto della vostra preghiera, arricchita dall'offerta delle vostre fatiche e sofferenze. E il saluto si dirige poi agli ammalati e ai volontari collegati con noi da Lourdes, Fatima, Częstochowa e dagli altri Santuari mariani, a quanti seguono mediante la radio e la televisione, specialmente dalle case di cura o dalle proprie abitazioni. Il Signore Iddio, che veglia costantemente sui suoi figli, dia a tutti conforto e consolazione.
Due sono i temi principali che presenta oggi la liturgia della Parola: il primo è di carattere mariano e collega il Vangelo e la prima lettura, tratta dal capitolo finale del Libro di Isaia, come pure il Salmo responsoriale, ricavato dal cantico di lode a Giuditta. L'altro tema, che troviamo nel brano della Lettera di Giacomo, è quello della preghiera della Chiesa per i malati e, in particolare, del sacramento a loro riservato. Nella memoria delle apparizioni a Lourdes, luogo prescelto da Maria per manifestare la sua materna sollecitudine per gli infermi, la liturgia riecheggia opportunamente il Magnificat, il cantico della Vergine che esalta le meraviglie di Dio nella storia della salvezza: gli umili e gli indigenti, come tutti coloro che temono Dio, sperimentano la sua misericordia, che ribalta le sorti terrene e dimostra così la santità del Creatore e Redentore. Il Magnificat non è il cantico di coloro ai quali arride la fortuna, che hanno sempre "il vento in poppa"; è piuttosto il ringraziamento di chi conosce i drammi della vita, ma confida nell'opera redentrice di Dio. È un canto che esprime la fede provata di generazioni di uomini e donne che hanno posto in Dio la loro speranza e si sono impegnati in prima persona, come Maria, per essere di aiuto ai fratelli nel bisogno. Nel Magnificat sentiamo la voce di tanti Santi e Sante della carità, penso in particolare a quelli che hanno speso la loro vita tra i malati e i sofferenti, come Camillo de Lellis e Giovanni di Dio, Damiano de Veuster e Benedetto Menni. Chi rimane a lungo vicino alle persone sofferenti, conosce l'angoscia e le lacrime, ma anche il miracolo della gioia, frutto dell'amore.
La maternità della Chiesa è riflesso dell'amore premuroso di Dio, di cui parla il profeta Isaia: "Come una madre consola un figlio, / così io vi consolerò; / a Gerusalemme sarete consolati" (Is 66,13). Una maternità che parla senza parole, che suscita nei cuori la consolazione, una gioia intima, una gioia che paradossalmente convive con il dolore, con la sofferenza. La Chiesa, come Maria, custodisce dentro di sé i drammi dell'uomo e la consolazione di Dio, li tiene insieme, lungo il pellegrinaggio della storia. Attraverso i secoli, la Chiesa mostra i segni dell'amore di Dio, che continua ad operare cose grandi nelle persone umili e semplici. La sofferenza accettata e offerta, la condivisione sincera e gratuita, non sono forse miracoli dell'amore? Il coraggio di affrontare il male disarmati - come Giuditta -, con la sola forza della fede e della speranza nel Signore, non è un miracolo che la grazia di Dio suscita continuamente in tante persone che spendono tempo ed energie per aiutare chi soffre? Per tutto questo noi viviamo una gioia che non dimentica la sofferenza, anzi, la comprende. In questo modo i malati e tutti i sofferenti sono nella Chiesa non solo destinatari di attenzione e di cura, ma prima ancora e soprattutto protagonisti del pellegrinaggio della fede e della speranza, testimoni dei prodigi dell'amore, della gioia pasquale che fiorisce dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo.
Nel brano della Lettera di Giacomo, appena proclamato, l'Apostolo invita ad attendere con costanza la venuta ormai prossima del Signore e, in tale contesto, rivolge una particolare esortazione riguardante i malati. Questa collocazione è molto interessante, perché rispecchia l'azione di Gesù, che guarendo i malati mostrava la vicinanza del Regno di Dio. La malattia è vista nella prospettiva degli ultimi tempi, con il realismo della speranza tipicamente cristiano. "Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode" (Gc 5,13). Sembra di sentire parole simili di san Paolo, quando invita a vivere ogni cosa in relazione alla radicale novità di Cristo, alla sua morte e risurrezione (cfr 1 Cor 7,29-31). "Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato" (Gc 5,14-15). Qui è evidente il prolungamento di Cristo nella sua Chiesa: è ancora Lui che agisce, mediante i presbiteri; è il suo stesso Spirito che opera mediante il segno sacramentale dell'olio; è a Lui che si rivolge la fede, espressa nella preghiera; e, come accadeva alle persone guarite da Gesù, ad ogni malato si può dire: la tua fede, sorretta dalla fede dei fratelli e delle sorelle, ti ha salvato.
Da questo testo, che contiene il fondamento e la prassi del sacramento dell'Unzione dei malati, si ricava al tempo stesso una visione del ruolo dei malati nella Chiesa. Un ruolo attivo nel "provocare", per così dire, la preghiera fatta con fede. "Chi è malato, chiami i presbiteri". In questo Anno Sacerdotale, mi piace sottolineare il legame tra i malati e i sacerdoti, una specie di alleanza, di "complicità" evangelica. Entrambi hanno un compito: il malato deve "chiamare" i presbiteri, e questi devono rispondere, per attirare sull'esperienza della malattia la presenza e l'azione del Risorto e del suo Spirito. E qui possiamo vedere tutta l'importanza della pastorale dei malati, il cui valore è davvero incalcolabile, per il bene immenso che fa in primo luogo al malato e al sacerdote stesso, ma anche ai familiari, ai conoscenti, alla comunità e, attraverso vie ignote e misteriose, a tutta la Chiesa e al mondo. In effetti, quando la Parola di Dio parla di guarigione, di salvezza, di salute del malato, intende questi concetti in senso integrale, non separando mai anima e corpo: un malato guarito dalla preghiera di Cristo, mediante la Chiesa, è una gioia sulla terra e nel cielo, è una primizia di vita eterna.
Cari amici, come ho scritto nell'Enciclica Spe salvi, "la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società" (n. 30). Istituendo un Dicastero dedicato alla pastorale sanitaria, la Santa Sede ha voluto offrire il proprio contributo anche per promuovere un mondo più capace di accogliere e curare i malati come persone. Ha voluto, infatti, aiutarli a vivere l'esperienza dell'infermità in modo umano, non rinnegandola, ma offrendo ad essa un senso. Vorrei concludere queste riflessioni con un pensiero del Venerabile Papa Giovanni Paolo II, che egli ha testimoniato con la propria vita. Nella Lettera apostolica Salvifici doloris egli ha scritto: "Cristo allo stesso tempo ha insegnato all'uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza" (n. 30). Ci aiuti la Vergine Maria a vivere pienamente questa missione. Amen!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


Se si manipola l'idea di malattia - Il dolore, il piacere e l'inganno del relativismo - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 12 febbraio 2010
Nella giornata del malato una riflessione s'impone sul significato di malattia oggi. Infatti questa parola ha subito negli ultimi decenni un attacco formidabile; l'idea stessa di malattia è stata manipolata e stravolta tra opposti eccessi. È stato ampiamente denunciato dalla letteratura scientifica il disease mongering ("mercificazione della malattia"), in base al quale certi produttori di farmaci non esitano ad accreditare con accurate operazioni di marketing comuni fenomeni fisiologici (menopausa, timidezza e così via) come malattie, allo scopo di vendere farmaci, e "mentre prima la tradizione medica divideva gli stati di salute in normale e anormale, da questa operazione la definizione di malattia esce inevitabilmente arbitraria: è nell'interesse delle compagnie farmaceutiche allargare il range di ciò che è anormale per allargare il mercato" ("Plos Medicine", aprile 2008).
Così, malattia può diventare ogni stato di insoddisfazione che porta il soggetto a cercare esasperatamente terapie. Per tutti valga l'esempio della chirurgia estetica estrema, che viene giustificata proprio col fatto che il proprio aspetto sano ma non gradito sarebbe una vera e propria malattia. Addirittura una vita triste può essere considerata malattia, la cui terapia s'identifica con la fine della vita.
La malattia può essere anche negata, sotto la forza di pressioni sociali. Per esempio, negli anni Ottanta il movimento antipsichiatrico inglese sosteneva che il disagio mentale fosse dovuto a fattori sociali e non a difetti organici e lasciò senza cure valide migliaia di pazienti. C'è poi il caso di certi gruppi di disabili che preferiscono ritenersi semplicemente parte di una minoranza e non malati, come la donna sorda che per avere a ogni costo una figlia non udente si fece fecondare artificialmente dal seme di un soggetto sordo ("Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics", 2010).
Ma perché il concetto di malattia è sotto questo attacco? La risposta si trova in Die fröhliche Wissenschaft ("La gaia scienza", 1882) di Friedrich Nietzsche, testo dirompente perché rivoluzionava l'idea stessa di scienza, proprio nell'epoca in cui essa era assurta a divinità. Il pensatore distrugge questo sacrario, in nome non di un'idea religiosa - la vera religione non ha mai avuto contrasti con la vera scienza, e Nietzsche infatti le aborrisce entrambe - ma di un profondo credo nell'assenza di significato delle cose: la scienza è nemica dell'uomo perché si basa sulla certezza che la realtà ha un significato: "Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza "scevra di presupposti". Questa incondizionata volontà di verità, che cos'è dunque? (...) Ebbene, si sarà compreso dove voglio arrivare, vale a dire che è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza. Ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente più si rivela divino salvo l'errore, la cecità, la menzogna?". Insomma, non assistiamo più a una dittatura della scienza, come nell'epoca del positivismo; anzi, oggi governa la cultura una dittatura del relativismo scettico e antiscientifico che presuppone l'impossibilità di conoscere realmente e con certezza la natura, avendone smarrito il senso.
Ma se la realtà non è più una certezza e si piega all'umore del soggetto che la interpreta, anche la vita stessa si svuota di significato, e dunque di attrattiva, diventa pesante sin dalla culla, al punto che inevitabilmente ogni vita viene vista come una malattia. "L'uomo cancro del mondo" è uno degli slogan in voga nell'ambientalismo oltranzista; e negli studi scientifici sui trattamenti di fine vita echeggia talora il pessimismo filosofico, tanto che si trova a esergo di uno studio scientifico sulla sospensione delle cure ai bambini ("Archives de Pédiatrie", 2002) la drammatica frase di Giacomo Leopardi: "Se è un infortunio vivere, perché bisogna che il vivere si accanisca su di noi?".
Se il costume imperante è il relativismo che toglie senso al vivere, la malattia vera che genera una sofferenza indubitabile e inesorabile - e la nostra voglia di sconfiggerla - diventa paradossalmente l'unico fatto indubitabile e certo, e dunque in grado di svelarne l'inganno. Per questo i propugnatori del relativismo integralista cercano di renderne i confini nebulosi: forti dolori e grandi gioie (e la voglia di sconfiggere il dolore che ancora sappiamo riconoscere come tale) sono per loro un ostacolo in quanto fatti certi, che come tali non lasciano spazio a incertezze e dubbi relativisti.
Nelle Lettere di Berlicche Clive S. Lewis, simulando istruzioni di un vecchio diavolo a un demonio più giovane per fargli ottenere l'anima di un ragazzo, fa dire al primo: "La caratteristica dei Dolori e dei Piaceri è che non si può sbagliare sulla loro realtà e perciò, in quanto esistono, offrono all'uomo che li prova una pietra di paragone della realtà. Cinque minuti di genuino mal di denti rivelerebbero i dolori romantici per quell'assurdo che sono e metterebbe a nudo il tuo stratagemma".
La cultura contemporanea invece offusca i veri piaceri, lasciando libero accesso solo a quelli a pagamento, e illude di star bene quando si è malati (e viceversa), per offrire come legge all'uomo non più quella naturale, ma la legge del consumo. Per questo si cerca di rendere l'idea di malattia - così come quelle di piacere o di legge naturale - più impalpabile e vaga: per farci dimenticare la nostra natura di esseri finiti, ma desiderosi di Infinito in un mondo che abbassa le nostre aspettative e che per questo, come scriveva Thomas S. Eliot, lasciamo in preda a "usura, lussuria e potere". Cioè alle leggi di chi detta le mode e influenza i mercati.
(©L'Osservatore Romano - 12 febbraio 2010)

Italia, Stati Uniti, Brasile. Dal Vaticano alla conquista del mondo - L'ambizioso condottiere è il cardinale segretario di Stato, con l'ausilio de "L'Osservatore Romano". L'obiettivo è di sottomettere a sé le Chiese nazionali, sul terreno politico. Ma i vescovi resistono e reagiscono. La lezione del caso italiano - di Sandro Magister

ROMA, 11 febbraio 2010 – Dopo più di due settimane di silenzio dal nuovo esplodere delle polemiche, la segreteria di Stato vaticana, con un comunicato di due giorni fa, ha rigettato le accuse che, partite la scorsa estate contro Dino Boffo, avevano nel frattempo cambiato bersaglio, alzando il tiro sul direttore de "L'Osservatore Romano", Giovanni Maria Vian, e sullo stesso cardinale Tarcisio Bertone.

Nel comunicato, riprodotto integralmente più sotto, non solo si nega che l'uno e l'altro abbiano trasmesso o accreditato le carte, poi rivelatesi false, che avevano infangato la persona di Boffo e l'avevano portato a dimettersi dalla direzione del quotidiano dei vescovi italiani "Avvenire"; non solo si respinge "una campagna diffamatoria che coinvolge lo stesso romano pontefice"; ma si attesta che Benedetto XVI "rinnova piena fiducia ai suoi collaboratori".

Roma locuta, causa finita? Più no che sì. Il caso Boffo ha aperto lo sguardo su una realtà di conflitti intraecclesiali che vanno oltre la meccanica della vicenda. Conflitti e disordini non toccati né cancellati dalla smentita di pochi giorni fa. E dei quali il caso Boffo è solo un capitolo, molto italiano ma alla fin fine mondiale, la cui chiave esplicativa era già tutta nella sua puntata d'inizio.

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Quel giorno, il 28 di agosto, uscì su "il Giornale" diretto da Vittorio Feltri la prima micidiale bordata contro l'allora direttore di "Avvenire", accusato, sulla base di carte giudiziarie presentate come inoppugnabili, di molestie contro "la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione".

Ma quella stessa mattina ci fu anche dell'altro: su "la Repubblica", il giornale leader dell'Italia laica e progressista, il "teologo" Vito Mancuso accusò il cardinale Bertone di sedersi a tavola con Erode, ovvero col premier Silvio Berlusconi, col quale in effetti il segretario di Stato aveva programmato un incontro.

Nel pomeriggio di quello stesso giorno "L'Osservatore Romano" mostrò subito da che parte stava.

Il quotidiano della Santa Sede difese a spada tratta il cardinale Bertone, in prima pagina, con un editoriale della sua commentatrice di punta, Lucetta Scaraffia. E liquidò invece in sole tre righe d'agenzia, in una pagina interna, la difesa di Boffo fatta dai vescovi.

A chi gli chiedeva il perché di quel trattamento dispari, Vian rispondeva che il vero nemico della Chiesa è chi attacca Bertone "e quindi il papa", non chi se la prende con Boffo. Anzi, aggiungeva, contro Boffo "il Giornale" era fin troppo benevolo: agiva "con esemplare misura" e "con stile anglosassone"

Tre giorni dopo, mentre l'attacco a Boffo era al culmine, Vian si scoprì ancora di più. Non solo non difese Boffo e "Avvenire", ma li accusò di contribuire anch'essi a far danno alle supreme autorità vaticane. Lo disse al "Corriere della Sera" in un'intervista che, fece poi sapere, aveva "l'approvazione" del cardinale Bertone.

E che cosa rappresentavano Boffo e "Avvenire" se non il progetto del cardinale Camillo Ruini, presidente della conferenza episcopale italiana dal 1991 al 2007, quel "progetto culturale cristianamente orientato" che Vian irrise poi equiparandolo a "un'araba fenice"?

La storia proseguì con le dimissioni di Boffo. Con il cardinale Bertone che confidò a un politico amico e molto ciarliero: "Il mio più grande sbaglio è stato di mettere il cardinale Angelo Bagnasco a capo della CEI, al posto di Ruini". Con Feltri che riscontrò che le carte che accusavano Boffo di condotta immorale erano false, e ritrattò, dando la colpa all'"informatore attendibile, direi insospettabile" che gliele aveva date per vere. E ancora con Feltri che specificò che questa sua fonte era "una personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente", descrivendola con particolari che facevano correre il pensiero al Vaticano, al direttore de "L'Osservatore Romano" e al suo editore, il cardinale Bertone: identificazione ora negata dal comunicato della segreteria di Stato del 9 febbraio.

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L'antagonismo tra segreteria di Stato e conferenze episcopali è un classico della storia recente della Chiesa. Appena Bertone fu nominato segretario di Stato, nel settembre del 2006, non fece mistero di voler assoggettare la CEI alla sua guida. Manovrò perché il successore del cardinale Ruini fosse un vescovo di seconda fila, docile ai dettami d'oltre Tevere. Poi ripiegò su Bagnasco, e appena questo s'insediò, il 25 marzo 2007, gli scrisse nero su bianco, in una lettera pubblica, che il vero capo sarebbe stato comunque lui, Bertone, "per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche". La CEI si ribellò, a cominciare dal suo neopresidente, e da lì in avanti lesse ogni atto di Bertone con il sospetto che celasse questa sua pretesa di comando.

Anche in Vaticano l'attuale segretario di Stato è isolato. I diplomatici di lungo corso non gli perdonano di non essere uno dei loro. E infatti Bertone non è venuto dalla diplomazia, ma dalla congregazione per la dottrina della fede, dove a lui affidavano i casi più spinosi e turbolenti, dal segreto di Fatima a monsignor Emmanuel Milingo. E lui vi si prodigava con ardore indefesso, salvo poi, come avvenne nel secondo caso, vedersi scappare di nuovo il bizzarro arcivescovo africano che s'era illuso di addomesticare.

All'isolamento interno, Bertone supplisce con una esuberanza di attività esterne di ogni tipo: feste, saluti, anniversari, prolusioni, inaugurazioni, interviste.

Del suo predecessore Agostino Casaroli, grande diplomatico, in carica dodici anni dal 1979 al 1990, si ricordano in tutto 40 discorsi. Bertone, in poco più di tre anni, ne ha prodotti 365.

E poi i viaggi. È stato in Argentina, Croazia, Bielorussia, Ucraina, Armenia, Azerbaigian, Cuba, Polonia, Messico, dove ha incontrato e parlato a capi di Stato e vescovi, ambasciatori e professori, con un'agenda simile a quella dei viaggi papali.

Da un anno non fa più lunghi viaggi all'estero e si dedica maggiormente al governo della curia, che per statuto fa perno su di lui. Ma l'ultimo anno è stato anche il più orribile, per quantità e gravità di disastri, dal caso Williamson al caso Boffo.

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L'unico fortilizio sicuro di Bertone è "L'Osservatore Romano", con Vian direttore. Il legame tra i due è saldissimo, scandito dalla telefonata che ogni giorno si scambiano a tarda sera. E i compiti del secondo non si limitano allo storico giornale vaticano.

Bertone ha affidato a Vian anche il ruolo che all'epoca di Giovanni Paolo II era svolto da Joaquín Navarro Valls: quello di orientare da dietro le quinte la grande stampa italiana e mondiale.

Vian lo svolge qua e là con successo (o almeno così è stato fino a ieri, visti i commenti non positivi della generalità della stampa al comunicato vaticano del 9 febbraio). Sul "Corriere della Sera" è lui l'oracolo vaticano più consultato. La prossimità tra Vian e il "Corriere" è corroborata dalla sua amicizia con l'editorialista Ernesto Galli della Loggia, marito di Lucetta Scaraffia che a sua volta è grande firma de "L'Osservatore", e con Paolo Mieli, che da direttore del più diffuso giornale italiano, nel 2005, fu uno dei più agguerriti avversari laici del cardinale Ruini, nella battaglia dei referendum sulla fecondazione assistita.

Incredibile ma vero: il più aspro momento di scontro tra "L'Osservatore Romano" e "Avvenire", prima del caso Boffo, fu proprio un'altra grande battaglia bioetica, quella sulla vita di Eluana Englaro, tra il 2008 e il 2009. Col giornale dei vescovi italiani impegnatissimo a mantenere in vita questa giovane donna in stato vegetativo. E col giornale vaticano invece molto più taciturno, anzi, a tratti persino polemico contro gli argomenti "non abbastanza convincenti" e i toni "esaltati ed esibiti" del quotidiano di Boffo. Al di là del quale il bersaglio ultimo era di nuovo il progetto ruiniano di una Chiesa molto presente e attiva sul terreno culturale e politico, una Chiesa "meglio contestata che irrilevante".

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La tentata e fallita conquista vaticana del quotidiano della CEI è dunque un capitolo di un antagonismo che vede contrapposti molto più che due giornali: due visioni del governo della Chiesa, su scala mondiale.

Oltre che con la Chiesa italiana, infatti, la segreteria di Stato vaticana s'è messa in urto con altre Chiese nazionali, e tra le più vive.

Gli attori e il copione sono quasi sempre gli stessi: il cardinale Bertone, "L'Osservatore Romano", un episcopato nazionale molto vivace, le battaglie a difesa della vita e della famiglia.

Sono oggi sul piede di guerra con Roma, tra altri, i due episcopati più numerosi del globo, quello degli Stati Uniti e quello del Brasile.

Negli Stati Uniti, a far inalberare l'ala marciante dei vescovi, presieduti dall'arcivescovo di Chicago, cardinale Francis George, fu anzitutto un editoriale de "L'Osservatore Romano" che, nel valutare i primi cento giorni di Barack Obama, non solo gli diede un voto positivo, ma riconobbe al nuovo presidente un "riequilibrio a sostegno della maternità" che secondo i vescovi americani proprio non c'era stato, perché anzi era accaduto l'opposto.

Un secondo elemento di conflitto fu la decisione dell'Università di Notre Dame, la più rinomata università cattolica degli Stati Uniti, di conferire a Obama una laurea ad honorem. Un'ottantina di vescovi si ribellarono contro quell'onorificenza data a un leader politico le cui posizioni bioetiche erano contrarie alla dottrina della Chiesa. E prima e dopo la laurea di Notre Dame manifestarono il loro disappunto per aver visto le loro critiche ignorate da "L'Osservatore Romano".

Altre polemiche sono scoppiate tra gli Stati Uniti e Roma a proposito della comunione negata ai politici cattolici sostenitori dell'aborto. Su questo molti vescovi americani non transigono e vedono il silenzio della segreteria di Stato e del giornale vaticano come una sconfessione nei loro confronti, oltre che una resa morale.

La volontà di intrattenere rapporti istituzionali pacifici con i poteri costituiti, di qualsiasi colore siano, è tipica di Bertone. In questo egli applica un canone classico della diplomazia vaticana, tradizionalmente "realista", anche a costo di scontrarsi con gli episcopati nazionali che spesso sono critici con i rispettivi governi.

Ma gli effetti appaiono talora contraddittori. Lo scorso marzo un articolo de "L'Osservatore Romano" sconfessò il vescovo brasiliano di Recife per aver condannato gli autori di un doppio aborto su una madre bambina. Ma in tal modo i vescovi del Brasile si videro traditi da Roma proprio mentre stavano combattendo con il governo di Luiz Inácio Lula da Silva una difficile battaglia contro la piena liberalizzazione dell'aborto.

L'autore dell'articolo era l'arcivescovo Salvatore Fisichella, che l'aveva scritto su richiesta di Bertone. E così, alla protesta dei vescovi brasiliani, si sommò una ribellione dentro la pontificia accademia per la vita, di cui Fisichella è presidente. Un buon numero di accademici reclamò la sua destituzione, e alcuni fecero appello a papa Joseph Ratzinger, che ordinò alla congregazione per la dottrina della fede di emettere una nota di "chiarificazione", in difesa del vescovo di Recife.

Ma Fisichella resterà al suo posto, e così Vian, e così Bertone, fresco di riconferma.

Sul caso Boffo, papa Benedetto "sa". E personalmente vede le cose più come le vedono i cardinali Bagnasco e Ruini che non il suo segretario di Stato.

Ma il passo del papa è quello della Chiesa di sempre. Lungo e paziente.

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COMUNICATO DELLA SEGRETERIA DI STATO

Dal 23 gennaio si stanno moltiplicando, soprattutto su molti media italiani, notizie e ricostruzioni che riguardano le vicende connesse con le dimissioni del direttore del quotidiano cattolico italiano "Avvenire", con l’evidente intenzione di dimostrare una implicazione nella vicenda del direttore de "L’Osservatore Romano", arrivando a insinuare responsabilità addirittura del cardinale segretario di Stato. Queste notizie e ricostruzioni non hanno alcun fondamento.

In particolare, è falso che responsabili della Gendarmeria vaticana o il direttore de "L’Osservatore Romano" abbiano trasmesso documenti che sono alla base delle dimissioni, il 3 settembre scorso, del direttore di "Avvenire"; è falso che il direttore de "L’Osservatore Romano" abbia dato – o comunque trasmesso o avallato in qualsiasi modo – informazioni su questi documenti, ed è falso che egli abbia scritto sotto pseudonimo, o ispirato, articoli su altre testate.

Appare chiaro dal moltiplicarsi delle argomentazioni e delle ipotesi più incredibili – ripetute sui media con una consonanza davvero singolare – che tutto si basa su convinzioni non fondate, con l’intento di attribuire al direttore de "L’Osservatore Romano", in modo gratuito e calunnioso, un’azione immotivata, irragionevole e malvagia. Ciò sta dando luogo a una campagna diffamatoria contro la Santa Sede, che coinvolge lo stesso Romano Pontefice.

Il Santo Padre Benedetto XVI, che è sempre stato informato, deplora questi attacchi ingiusti e ingiuriosi, rinnova piena fiducia ai suoi collaboratori e prega perché chi ha veramente a cuore il bene della Chiesa operi con ogni mezzo perché si affermino la verità e la giustizia.

Dal Vaticano, 9 febbraio 2010

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COMUNICATO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La Presidenza della CEI accoglie il comunicato della Segreteria di Stato ispirato dalla volontà prioritaria e pienamente condivisa di evitare che il bene della Chiesa sia compromesso da notizie e ricostruzioni che hanno dato vita ad una campagna diffamatoria contro la Santa Sede.

Facendo nostra questa medesima preoccupazione, auspichiamo che la presa di posizione odierna contribuisca a rasserenare il clima, segnato da una vicenda dolorosa che in questi mesi è andata oltre la sua valenza effettiva.

Rimane viva e conforta la consapevolezza che la Chiesa è sorretta dalla forza del suo Signore, mentre rinnoviamo l’impegno ad operare per l’affermazione della verità e della giustizia.
Roma, 9 febbraio 2010


Bioetica e legge naturale - Il limite cancellato - Dall'11 al 13 febbraio si svolge in Vaticano, nell'Aula Nuova del Sinodo, l'assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita. Pubblichiamo la seconda parte dell'intervento introduttivo dell'arcivescovo presidente. - di Rino Fisichella L'Osservatore Romano - 12 febbraio 2010

Bioetica e legge naturale. Con questa tematica siamo posti dinanzi al grande interrogativo: Come si concepisce la vita umana? Come la si accetta e come ci si pone dinanzi al proprio limite? In una società che sembra rigettare l'inizio e la fine dell'esistenza come se non avessero piena dignità, per concentrarsi solo sulla giovinezza, come si saprà dare risposta al vero senso della vita nel suo inesorabile sviluppo?
Si dimentica troppo spesso che la vita va accolta così com'è perché possiede una sua verità e, quindi, una sua conseguente dignità dovuta al rispetto per il mistero che contiene in sé e l'indisponibilità che possiede per essere dono offerto e non possesso conquistato.
Sempre, dall'inizio alla fine, essa va accolta con quella dinamica intrinseca che spinge un'esistenza al pieno compimento di sé, ma solo nell'accettazione libera, non passiva di ciò che si è, perché inseriti all'interno di quell'ordine impresso nella natura dal suo Creatore che tutto ha posto con sapienza infinita.
Il rapporto tra i nuovi problemi che sono presenti nel nostro contesto contemporaneo toccano in primo luogo le questioni di bioetica, e la ricerca di fondamento su cui poter costruire l'inevitabile giudizio etico che si è chiamati a comporre dinanzi alle sfide che sono provocate dalla natura, dalla scienza e dalla tecnica.
Il mondo di oggi vive una situazione realmente paradossale: più aumenta la capacità di conquista scientifica e tecnica e maggiormente si accresce il divario con la questione fondamentale della vita che ruota intorno al bene e al male come premessa indispensabile per dare senso all'esistenza personale.
Se, da una parte, la scienza e la tecnica sembrano addolcire il divario esistente con la domanda etica sul bene e sul male, ponendo sul tappeto sempre più nuove e sofisticate conquiste che tendono a mostrare l'urgenza e la necessità della ricerca scientifica come promessa per la soluzione di tutte le nostre malattie così da prolungare il tempo della vita, senza tuttavia dirci come essa sarà vissuta dal punto di vista della qualità, dall'altra la questione si fa ancora più impellente per il sopraggiungere di domande che la mente - non assopita dalle nuove conquiste, ma affascinata da esse, anche se forse in alcuni momenti frastornata - pone per l'impossibilità di poterne fare a meno.
C'è stato un tempo in cui l'uomo si sentiva parte integrante della natura; a essa faceva riferimento come il luogo significativo della propria esistenza e come lo spazio entro cui trovare significato. Il senso di appartenenza alla natura portava a verificare direttamente i tempi e le dinamiche del vivere personale; come si sperimentava il passaggio delle stagioni così si viveva nella propria carne il senso della precarietà del vivere e del morire. Avveniva così che l'uomo viveva la propria esistenza con riferimento a leggi che riconosceva essere presenti nella natura, non create né determinate da lui, ma piuttosto da lui scoperte per l'attenzione dovuta ai fenomeni, e da lui rispettate come provenienti da un mondo intangibile a cui era dovuta l'obbedienza.

Il senso di rispetto acquistava proprio in questo contesto il suo senso semantico più profondo: l'uomo prendeva coscienza di non essere solo, intorno e accanto a sé percepiva la presenza di altre realtà viventi che rispondevano alle loro leggi senza che lui ne potesse modificare il tragitto. Presa consapevolezza di questa presenza, egli viveva una forma di armonia tale da sperimentare nella natura la propria audacia e il proprio limite. Audacia, perché poteva imprimere nella natura il suo potere; limite, perché l'opera delle sue mani continuava a esistere anche dopo di lui. Persa la relazione con la natura per il sopravvenire del senso di autonomia, è venuto meno anche il ricorso al senso di rispetto per la natura che aveva caratterizzato il rapporto di interi secoli. Il confine tra la vita umana e la natura si è progressivamente ma inarrestabilmente allargato così che perso il contatto con la natura anche la vita personale sembra acquisire i tratti di piena autonomia dalla natura e in modo quasi sprezzante si rivendica per sé una libertà che faticosamente ha acquistato con il predominio sulla natura stessa.
La situazione del rapporto si venne a modificare soprattutto per il sopraggiungere della scienza sperimentale. Poiché si poteva entrare direttamente nella natura e carpirne i segreti nascosti producendoli anche in laboratorio, essa diventava a maggior ragione un grande laboratorio piuttosto che uno spazio di intangibilità. Questa situazione, pur nella sua positività, creava di fatto una forma di dualismo antropologico che sfociò nel porre i due elementi in una forma di contrapposizione tale da far dimenticare all'uomo che il suo stesso corpo è a pieno titolo natura.
Le questioni di bioetica rimarranno ancora per diverso tempo sul tappeto dei nostri dibattiti perché il progresso della scienza è inarrestabile, e deve rimanere tale, così come la conquista tecnologica sarà sempre più aperta ed entrerà ancora di più a determinare la vita dei singoli e delle società.
Se più cresce la conoscenza scientifica e maggiormente si affina la tecnologia, è evidente che gli interrogativi della ragione avranno motivo di moltiplicarsi per verificare quanto il percorso verso la felicità desiderata e agognata sia realmente fattibile e raggiungibile. Il richiamo etico, comunque, troverà in questo contesto ancora maggior urgenza per approdare a una risposta giusta e rispettosa della dignità della vita umana.
La vita personale non può essere ridotta a pura materia né relegata in un limbo, priva di passione per la verità; essa dovrà sempre essere capace di approdare alla risposta definitiva che ruota intorno alla domanda di senso per la propria esistenza. L'istanza etica che richiama al valore fondamentale della legge morale naturale, pertanto, lontano dall'essere anacronistica, si impone come criterio ineliminabile per giungere alla verità e per guidare così il giudizio etico in vista di una autentica e forte scelta di libertà nella verità.
(©L'Osservatore Romano - 12 febbraio 2010)