lunedì 15 febbraio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 14/02/2010 – Radio Vaticana - L'Angelus del Papa: Gesù rende giustizia a poveri e oppressi, ma la sua rivoluzione è realizzata nell'amore, con la Croce e la Risurrezione
2) MATRIMONIO E UNIONI OMOSESSUALI - Nota Dottrinale del 14 febbraio 2010 - + Carlo Card. Caffarra, Arcivescovo di Bologna
3) E il senatore fa la morale al vescovo. Riuscendoci bene – Sulle imminenti amministrative mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali si è lamentato che si parli troppo poco di problemi locali - Non è tardata la replica del senatore e coordinatore regionale del Pdl Enzo Ghigo: “Le scelte politiche e amministrative delle Regioni devono sì confrontarsi con i problemi locali, ma non possono prescindere da un orientamento valoriale.
4) FINE VITA/ Non bastano i neuroni a spiegare quella domanda che abita nella nostra testa - Costantino Esposito - lunedì 15 febbraio 2010 – ilsussidiario.net
5) 15 febbraio, San Claudio de la Colombière - Atto di confidenza in Dio


14/02/2010 – Radio Vaticana - L'Angelus del Papa: Gesù rende giustizia a poveri e oppressi, ma la sua rivoluzione è realizzata nell'amore, con la Croce e la Risurrezione
Dopo la visita all’Ostello Caritas, il Papa ha guidato, a mezzogiorno, la tradizionale preghiera dell’Angelus dalla finestra del suo studio privato in Vaticano. Migliaia i pellegrini presenti in Piazza San Pietro, in una giornata fredda e nuvolosa. Benedetto XVI ha commentato l’odierno Vangelo delle Beatitudini sottolineando che Gesù risponde alle attese di giustizia dei poveri e degli oppressi non attraverso una rivoluzione politica ma d’amore, con la sua Croce e la sua Risurrezione. Il Pontefice ha poi rivolto un augurio alle popolazioni della Cina e del Vietnam che oggi festeggiano il capodanno lunare. E infine, ricordando l’odierna festa dei santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, ha affermato che i valori cristiani da essi promossi rimangono il fondamento dell’unità europea. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il Papa commenta il Vangelo delle Beatitudini come viene raccontato da San Luca. Ma perché – si chiede – Gesù proclama beati i poveri, gli affamati, gli afflitti e quanti sono disprezzati per causa sua?


“Perché la giustizia di Dio farà sì che costoro siano saziati, rallegrati, risarciti di ogni falsa accusa, in una parola, perché li accoglie fin d’ora nel suo regno. Le beatitudini si basano sul fatto che esiste una giustizia divina, che rialza chi è stato a torto umiliato e abbassa chi si è esaltato (cfr Lc 14,11). Infatti, l’evangelista Luca, dopo i quattro ‘beati voi’, aggiunge quattro ammonimenti: ‘guai a voi, ricchi… guai a voi, che ora siete sazi,… guai a voi, che ora ridete' e 'guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi', perché, come afferma Gesù, le cose si ribalteranno, gli ultimi diventeranno primi, e i primi ultimi (cfr Lc 13,30)”.


“Questa giustizia e questa beatitudine – ha spiegato - si realizzano nel ‘Regno dei cieli’ … che avrà il suo compimento alla fine dei tempi ma che è già presente nella storia. Dove i poveri sono consolati e ammessi al banchetto della vita” – infatti – “lì si manifesta già ora la giustizia di Dio”. Il Papa, incoraggiando quanti, in ogni parte del mondo, si impegnano gratuitamente in opere di giustizia e di amore, ricorda che proprio al tema della giustizia ha dedicato quest’anno il Messaggio per la Quaresima, che inizierà il prossimo mercoledì: e ha invitato tutti a leggerlo e a meditarlo:

“Il Vangelo di Cristo risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, ma in modo inatteso e sorprendente. Gesù non propone una rivoluzione di tipo sociale e politico, ma quella dell’amore, che ha già realizzato con la sua Croce e la sua Risurrezione. Su di esse si fondano le beatitudini, che propongono il nuovo orizzonte di giustizia, inaugurato dalla Pasqua, grazie al quale possiamo diventare giusti e costruire un mondo migliore”.


Ha quindi elevato la sua preghiera alla Vergine Maria che tutte le generazioni proclamano “beata”, perché ha creduto nella buona notizia che il Signore le ha annunciato:


“Lasciamoci guidare da Lei nel cammino della Quaresima, per essere liberati dall’illusione dell’autosufficienza, riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, della sua misericordia, ed entrare così nel suo Regno di giustizia, di amore e di pace”.

Dopo la preghiera dell’Angelus, il Papa ha rivolto il suo augurio alle popolazioni dell’Asia, ma non solo, pensando in particolare alla Cina e al Vietnam, che celebrano oggi il capodanno lunare:


“Sono giorni di festa, che quei popoli vivono come occasione privilegiata per rinsaldare i vincoli familiari e generazionali. Auguro a tutti di mantenere e accrescere la ricca eredità di valori spirituali e morali, che si radicano saldamente nella cultura di quei popoli”.


Infine, salutando i fedeli polacchi, ha ricordato l’odierna festa dei santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa:


“Wartości, które krzewili...
I valori che essi hanno propagato nel nostro continente, cioè il segno della Croce, il Vangelo di Cristo e la vita secondo il Vangelo – ha detto - rimangono il solido fondamento della forza spirituale dei popoli e dell’unità dell’Europa. Sono valori importanti anche per noi contemporanei. Chiediamo – ha concluso il Papa - che i santi apostoli degli Slavi continuino a condurci sulle vie della fede”.


MATRIMONIO E UNIONI OMOSESSUALI - Nota Dottrinale del 14 febbraio 2010 - + Carlo Card. Caffarra, Arcivescovo di Bologna
La presente Nota si rivolge in primo luogo ai fedeli perché non siano turbati dai rumori mass-mediatici. Ma oso sperare che sia presa in considerazione anche da chi non-credente intenda fare uso, senza nessun pregiudizio, della propria ragione.

1. Il matrimonio è uno dei beni più preziosi di cui dispone l’umanità. In esso la persona umana trova una delle forme fondamentali della propria realizzazione; ed ogni ordinamento giuridico ha avuto nei suoi confronti un trattamento di favore, ritenendolo di eminente interesse pubblico.

In Occidente l’istituzione matrimoniale sta attraversando forse la sua più grave crisi. Non lo dico in ragione e a causa del numero sempre più elevato dei divorzi e separazioni; non lo dico a causa della fragilità che sembra sempre più minare dall’interno il vincolo coniugale: non lo dico a causa del numero crescente delle libere convivenze. Non lo dico cioè osservando i comportamenti.

La crisi riguarda il giudizio circa il bene del matrimonio. È davanti alla ragione che il matrimonio è entrato in crisi, nel senso che di esso non si ha più la stima adeguata alla misura della sua preziosità. Si è oscurata la visione della sua incomparabile unicità etica.

Il segno più manifesto, anche se non unico, di questa "disistima intellettuale" è il fatto che in alcuni Stati è concesso, o si intende concedere, riconoscimento legale alle unioni omosessuali equiparandole all’unione legittima fra uomo e donna, includendo anche l’abilitazione all’adozione dei figli.

A prescindere dal numero di coppie che volessero usufruire di questo riconoscimento – fosse anche una sola! – una tale equiparazione costituirebbe una grave ferita al bene comune.

La presente Nota intende aiutare a vedere questo danno. Ed anche intende illuminare quei credenti cattolici che hanno responsabilità pubbliche di ogni genere, perché non compiano scelte che pubblicamente smentirebbero la loro appartenenza alla Chiesa.

2. L’equiparazione in qualsiasi forma o grado della unione omosessuale al matrimonio avrebbe obiettivamente il significato di dichiarare la neutralità dello Stato di fronte a due modi di vivere la sessualità, che non sono in realtà ugualmente rilevanti per il bene comune.

Mentre l’unione legittima fra un uomo e una donna assicura il bene – non solo biologico! – della procreazione e della sopravvivenza della specie umana, l’unione omosessuale è privata in se stessa della capacità di generare nuove vite. Le possibilità offerte oggi dalla procreatica artificiale, oltre a non essere immuni da gravi violazioni della dignità delle persone, non mutano sostanzialmente l’inadeguatezza della coppia omosessuale in ordine alla vita.

Inoltre, è dimostrato che l’assenza della bipolarità sessuale può creare seri ostacoli allo sviluppo del bambino eventualmente adottato da queste coppie. Il fatto avrebbe il profilo della violenza commessa ai danni del più piccolo e debole, inserito come sarebbe in un contesto non adatto al suo armonico sviluppo.

Queste semplici considerazioni dimostrano come lo Stato nel suo ordinamento giuridico non deve essere neutrale di fronte al matrimonio e all’unione omosessuale, poiché non può esserlo di fronte al bene comune: la società deve la sua sopravvivenza non alle unioni omosessuali, ma alla famiglia fondata sul matrimonio.

3. Un’altra considerazione sottopongo a chi desideri serenamente ragionare su questo problema.

L’equiparazione avrebbe, dapprima nell’ordinamento giuridico e poi nell’ethos del nostro popolo, una conseguenza che non esito definire devastante. Se l’unione omosessuale fosse equiparata al matrimonio, questo sarebbe degradato ad essere uno dei modi possibili di sposarsi, indicando che per lo Stato è indifferente che l’uno faccia una scelta piuttosto che l’altra.

Detto in altri termini, l’equiparazione obiettivamente significherebbe che il legame della sessualità al compito procreativo ed educativo, è un fatto che non interessa lo Stato, poiché esso non ha rilevanza per il bene comune. E con ciò crollerebbe uno dei pilastri dei nostri ordinamenti giuridici: il matrimonio come bene pubblico. Un pilastro già riconosciuto non solo dalla nostra Costituzione, ma anche dagli ordinamenti giuridici precedenti, ivi compresi quelli così fieramente anticlericali dello Stato sabaudo.

4. Vorrei prendere in considerazione ora alcune ragioni portate a supporto della suddetta equiparazione.

La prima e più comune è che compito primario dello Stato è di togliere nella società ogni discriminazione, e positivamente di estendere il più possibile la sfera dei diritti soggettivi.

Ma la discriminazione consiste nel trattare in modo diseguale coloro che si trovano nella stessa condizione, come dice limpidamente Tommaso d’Aquino riprendendo la grande tradizione etica greca e giuridica romana: "L’uguaglianza che caratterizza la giustizia distributiva consiste nel conferire a persone diverse dei beni differenti in rapporto ai meriti delle persone: di conseguenza se un individuo segue come criterio una qualità della persona per la quale ciò che le viene conferito le è dovuto non si verifica una considerazione della persona ma del titolo" [2,2, q.63, a. 1c].

Non attribuire lo statuto giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali, non è discriminazione ma semplicemente riconoscere le cose come stanno. La giustizia è la signoria della verità nei rapporti fra le persone.

Si obietta che non equiparando le due forme lo Stato impone una visione etica a preferenza di un’altra visione etica.

L’obbligo dello Stato di non equiparare non trova il suo fondamento nel giudizio eticamente negativo circa il comportamento omosessuale: lo Stato è incompetente al riguardo. Nasce dalla considerazione del fatto che in ordine al bene comune, la cui promozione è compito primario dello Stato, il matrimonio ha una rilevanza diversa dall’unione omosessuale. Le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l’ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, e pertanto il diritto civile deve conferire loro un riconoscimento istituzionale adeguato al loro compito. Non svolgendo un tale ruolo per il bene comune, le coppie omosessuali non esigono un uguale riconoscimento.

Ovviamente – la cosa non è in questione – i conviventi omosessuali possono sempre ricorrere, come ogni cittadino, al diritto comune per tutelare diritti o interessi nati dalla loro convivenza.

Non prendo in considerazione altre difficoltà, perché non lo meritano: sono luoghi comuni, più che argomenti razionali. Per es. l’accusa di omofobia a chi sostiene l’ingiustizia dell’equiparazione; l’obsoleto richiamo in questo contesto alla laicità dello Stato; l’elevazione di qualsiasi rapporto affettivo a titolo sufficiente per ottenere riconoscimento civile.

5. Mi rivolgo ora al credente che ha responsabilità pubbliche, di qualsiasi genere.

Oltre al dovere con tutti condiviso di promuovere e difendere il bene comune, il credente ha anche il grave dovere di una piena coerenza fra ciò che crede e ciò che pensa e propone a riguardo del bene comune. È impossibile fare coabitare nella propria coscienza e la fede cattolica e il sostegno alla equiparazione fra unioni omosessuali e matrimonio: i due si contraddicono.

Ovviamente la responsabilità più grave è di chi propone l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico della suddetta equiparazione, o vota a favore in Parlamento di una tale legge. È questo un atto pubblicamente e gravemente immorale.

Ma esiste anche la responsabilità di chi dà attuazione, nella varie forme, ad una tale legge. Se ci fosse bisogno, quod Deus avertat, al momento opportuno daremo le indicazioni necessarie.

È impossibile ritenersi cattolici se in un modo o nell’altro si riconosce il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Mi piace concludere rivolgendomi soprattutto ai giovani. Abbiate stima dell’amore coniugale; lasciate che il suo puro splendore appaia alla vostra coscienza. Siate liberi nei vostri pensieri e non lasciatevi imporre il giogo delle pseudo-verità create dalla confusione mass-mediatica. La verità e la preziosità della vostra mascolinità e femminilità non è definita e misurata dalle procedure consensuali e dalle lotte politiche.

Bologna, 14 febbraio 2010
Festa dei Santi Cirillo e Metodio
Compatroni d’Europa


E il senatore fa la morale al vescovo. Riuscendoci bene – Sulle imminenti amministrative mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali si è lamentato che si parli troppo poco di problemi locali - Non è tardata la replica del senatore e coordinatore regionale del Pdl Enzo Ghigo: “Le scelte politiche e amministrative delle Regioni devono sì confrontarsi con i problemi locali, ma non possono prescindere da un orientamento valoriale.

Sulle imminenti amministrative mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali, ipotizzato prossimo arcivescovo di Torino, ha espresso il timore che “si continui a parlare troppo di protagonisti, di organizzazioni, di formule e troppo poco di problemi locali”. “In Piemonte e anche nel Lazio, come in tutto il Paese, quando si tratta di elezioni regionali e amministrative in primo piano dovrebbero esserci i problemi locali al di là degli schieramenti e delle formule”. - Non è tardata la replica del senatore e coordinatore regionale del Pdl Enzo Ghigo: “Le scelte politiche e amministrative delle Regioni devono sì confrontarsi con i problemi locali, ma non possono prescindere da un orientamento valoriale. Non si può accogliere la lettura riduttiva che mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea, dà delle prossime elezioni, perché la scelta dei compagni di strada che formano una coalizione non è indifferente rispetto all'approccio che gli amministratori hanno verso i temi sempre più rilevanti che si trovano ad affrontare. Si prenda ad esempio la sanità…”.

Leggi la replica integrale del Sen. Enzo Ghigo. Effettivamente è molto interessante…

"Sulle alleanze il vescovo Miglio sbaglia" - di ENZO GHIGO coordinatore regionale PDL - - La Stampa 11 febbraio 2010
Le scelte politiche e amministrative delle Regioni devono sì confrontarsi con i problemi locali, ma non possono prescindere da un orientamento valoriale. Non si può accogliere la lettura riduttiva che mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea, dà delle prossime elezioni, perché la scelta dei compagni di strada che formano una coalizione non è indifferente rispetto all'approccio che gli amministratori hanno verso i temi sempre più rilevanti che si trovano ad affrontare.
Si prenda ad esempio la sanità. Certo la salute dei cittadini è in cima alle preoccupazioni di tutti gli schieramenti - non esiste un partito della malattia! - ma le modalità d'intervento sono spesso antitetiche. Per la pillola abortiva, la Lombardia ha deciso la somministrazione solo con ricovero ospedaliero, l'Emilia ammette il day hospital: dopo tutto quel che s'è detto sul rischio di banalizzazione dell'aborto, sono scelte indifferenti rispetto alla difesa della vita?
E ancora: sul testamento biologico, come se ne curerà l'applicazione in una Regione governata da Mercedes Bresso, che offrì le strutture sanitarie piemontesi per il caso Englaro? Si potrebbero aggiungere le questioni relative al permissivismo in materia di tossicodipendenza, ricordando che a Torino Chiamparino è favorevole alle «stanze del buco».
Non è il solo campo in cui le scelte concrete possono confliggere con valori che il più alto magistero ecclesiale ritiene non negoziabili. Il governo di centrodestra in Regione, fino al 2005, aveva fatto passi avanti per garantire la libertà di scelta educativa, intervenendo a favore di quelle famiglie che, senza redditi elevati, vogliano iscrivere i figli alla scuola privata, per ragioni etiche. La maggioranza che ha sostenuto Bresso ha posto ogni ostacolo alla legge, fino a modificarla. Il risultato è che le risorse indirizzate alle famiglie con figli iscritti alla scuola non statale si sono più che dimezzate.
Ma vediamo anche nel settore delle politiche per la famiglia. La scelta di aprire bandi per l'assegnazione di alloggi o per incentivi anche alle famiglie gay, è solo un fatto tecnico di «rilevanza locale»? O investe una scala di valori che, nell'attenzione ai deboli, pone comunque la salvaguardia e la tutela del nucleo famigliare tradizionale in una posizione di maggior rilievo? E altri potrebbero essere gli esempi, che dimostrano come la legislazione e il governo di una Regione non possano prescindere dai valori ispiratori e dalla condivisione dei medesimi da parte della coalizione che ha il compito di amministrare. Infatti, pochi giorni fa era stato Avvenire a rilevare che l'Udc ha compiuto «scelte contraddittorie», puntando più sull'utilitarismo che sul segno identitario dell'ispirazione cristiana.
Segno che questa preoccupazione non è ignota negli ambienti ecclesiali. Credo che le medesime considerazioni le faranno molti elettori dell'Udc che, soprattutto al Nord, sono legati al partito per motivazioni ideali e non clientelari, per cui non si faranno trarre in inganno dai posti generosamente offerti nel listino. E difficilmente potranno riconoscere nell'arlecchinismo di Casini una politica degna di rappresentarli. A meno di non ritenere il governo di una Regione alla stregua del direttivo di una bocciofila.


FINE VITA/ Non bastano i neuroni a spiegare quella domanda che abita nella nostra testa - Costantino Esposito - lunedì 15 febbraio 2010 – ilsussidiario.net
Nel dibattito filosofico attuale la coscienza resta per molti ancora un “mistero”, perché ancora inesplicabile risulta essere il rapporto causale tra i meccanismi e le funzioni del nostro cervello e l’esperienza che il nostro io fa di sé stesso come un soggetto cosciente. Come si può spiegare l’emergere da una realtà di tipo fisico e oggettivo (più specificamente neurobiologico) di un fenomeno squisitamente soggettivo, quale è il nostro esser-coscienti, in prima persona, di noi stessi e del mondo? Si tratta di un semplice rapporto di causa-effetto, e quindi di una connessione spiegabile esaurientemente sul piano naturalistico, al pari di ogni altro fenomeno fisico-organico (quali il metabolismo o la riproduzione)? Oppure resta uno iato, una differenza incolmabile tra il piano fisico o cerebrale e quello psichico o mentale?
Senza addentrarci nell’intricata suddivisione delle posizioni in campo, possiamo dire tuttavia che in entrambe queste alternative la coscienza è un mistero in senso sostanzialmente negativo, e cioè indica o l’impossibilità di rendere conto di una realtà inesplicabile (come nei cosiddetti “dualisti”, che tengono ferma la separazione tra le due realtà, quella fisica e quella mentale) oppure, molto più frequentemente, indica la nostra attuale ignoranza su certi processi della causalità fisica, che almeno in linea di principio si deve pensare verrà un giorno colmata grazie allo sviluppo sempre più sofisticato delle nostre tecniche di indagine della natura. In altri termini, il mistero indicherebbe solo un residuo ancora oscuro, il cui destino è quello però di assottigliarsi sempre di più.
Come ha scritto di recente un filosofo della mente, John Searle, «il mistero della coscienza verrà progressivamente rimosso quando risolveremo il problema biologico della coscienza. Il mistero non costituisce un ostacolo metafisico ad una comprensione del funzionamento del cervello; il senso di mistero deriva piuttosto dal fatto che, attualmente, non soltanto non sappiamo come esso funziona, ma non abbiamo nemmeno un’idea chiara di come il cervello potrebbe funzionare per causare la coscienza. Non comprendiamo neppure come sia possibile una cosa simile. Ma ci siamo trovati in una situazione analoga anche in passato» (Il mistero della coscienza, Cortina, Milano 1998, p. 166).
Naturale, dunque, che la questione venga riaccesa dalle ultime rilevazioni da parte di un’equipe anglo-belga di neuroscienziati, e pubblicate sul «New England Journal of Medecine», riguardo a un’attività cerebrale che continuerebbe ad essere esercitata anche in persone che si trovano in uno stato vegetativo persistente, in risposta a determinati stimoli elettromagnetici.
Ma prima ancora di tutte le inevitabili ricadute che tale rilevazione avrà sulle discussioni bioetiche riguardo alla soglia tra la vita e la morte e al valore della coscienza individuale, essa fa sorgere nuovamente una domanda, e cioè che cosa veramente accade - per esperienza diretta - quando la nostra attività cerebrale, nel corso del suo stesso funzionamento neurobiologico, sempre sollecitata da stimoli esterni e interni, giunge a consapevolezza di sé.
La nostra mente non solo funziona, ma sa di funzionare; non solo risulta essere un effetto di determinate cause neurobiologiche, ma conosce, giudica e valuta questa sua attività. Non si tratta semplicemente di rivendicare “qualcosa” di irriducibile al funzionamento meccanico del nostro cervello, ma di rendersi conto che dentro a questo meccanismo si rende presente qualcosa di inesplicabile e che possiamo chiamare il “soggetto” del meccanismo stesso.
Una volta Agostino d’Ippona - forse il pensatore più “moderno” di tutti i moderni - ha scritto che la mente umana quando giunge a consapevolezza di sé, e cioè quando arriva a porre la domanda sul perché della propria stessa esistenza o sul senso ultimo della propria vita, si imbatte in un abisso - «abyssus humanae conscientiae» (Confessioni, libro X, 2.2) - nel quale l’io scopre di avere in sé la traccia di qualcosa di altro da sé. E non è un caso che Agostino chiami questo abisso della coscienza umana con il nome di “memoria”, che è come una “caverna” profondissima o uno “scrigno” dalla capacità quasi infinita, in cui sono custodite tutte le esperienze, le conoscenze, le immagini, i sentimenti che abbiamo provato nel corso della nostra vita, e di cui non sempre abbiamo coscienza, ma che continuano a riaffiorare dietro l’impulso di stimoli, occasioni e associazioni esterne.
È nella sua memoria, cioè nell’esercizio concreto e naturale della mente, che l’io si ritrova per così dire addosso quella domanda sul perché, ma anche la risposta a tale domanda: ciò per cui siamo fatti è la felicità, ed è il desiderio di essere felici che ci fa capire la stoffa della nostra coscienza. Ma non una felicità qualsiasi, aggiunge Agostino, identificata con questa o con quell’altra soddisfazione naturalistica, ma con una felicità vera, con quella gioia o quel gusto della verità («gaudium de veritate»: libro X, 23.33) che non è altro che il riconoscimento amoroso di ciò per cui vale la pena vivere.
Senza il riferimento, in noi, a qualcosa che - secondo il meccanismo naturale - sarebbe semplicemente impossibile a noi, non si spiegherebbe quel desiderio e quella evidenza della nostra coscienza. In tal modo la coscienza scopre in sé un “mistero”, inteso stavolta non in senso meramente negativo (cioè dovuto soltanto ai limiti della nostra conoscenza), ma in senso “positivo”, starei per dire razionale, quello che indica che noi siamo strutturalmente in rapporto con il motivo per cui stiamo al mondo – e quindi la nostra coscienza non implica solo la funzione, ma anche la ragione del nostro meccanismo naturale, ossia il suo fine.
Il mistero della coscienza di cui parla la filosofia contemporanea della mente può essere così inteso come la coscienza del mistero, che non manca mai di sorprenderci, come l’aspetto più interessante nella natura della nostra mente. È solo alla luce di questa scoperta di un mistero reale nella nostra coscienza che diviene infine sorprendente quella traccia di risposta che si leva dal silenzio “vegetativo” di una mente che sembrava definitivamente addormentata, se non persa a se stessa e al mondo. Non è solo qualcosa che va “oltre” il meccanismo naturale, ma è il suo centro invisibile, il principio operativo di ogni coscienza.


15 febbraio, San Claudio de la Colombière - Atto di confidenza in Dio
Nota di Massimo Introvigne: Per la festa di San Claudio de la Colombière S.J. (1641-1682), direttore spirituale di Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) e diffusore della devozione al Sacro Cuore di Gesù, trascrivo nella sua forma filologicamente più aderente all'originale il suo celebre "Atto di confidenza in Dio" che fa parte da sempre del patrimonio spirituale di Alleanza Cattolica ed era preghiera carissima al pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), i cui scritti sono per noi speciale punto di riferimento

Mio Signore e Dio, io sono così convinto che Tu hai cura di tutti quelli che sperano in Te e che niente può mancare a coloro che aspettano tutto da te, che ho deciso, per l’avvenire, di vivere senza alcuna preoccupazione e di riversare su di Te ogni mia inquietudine.

Gli uomini possono spogliarmi di tutti i beni e del mio stesso onore; le malattie possono privarmi delle forze e dei mezzi per servirti; col peccato posso smarrire perfino la tua grazia, ma non perderò mai e poi mai la mia fiducia in Te. la conserverò fino all’estremo della mia vita e il demonio, con tutti i suoi sforzi, non riuscirà mai a strapparmela.

Altri aspettino pure la loro felicità dalle ricchezze e dal loro ingegno; facciano anche affidamento sull’innocenza della loro vita, sui rigori delle loro penitenze, sulla quantità delle loro opere buone e sul fervore delle loro preghiere; per me tutta la mia confidenza è la mia stessa confidenza; confidenza che non ha mai ingannato nessuno.

Ecco perché ho l’assoluta certezza di essere eternamente felice, perché ho l’incrollabile fiducia di esserlo e perché lo spero unicamente da Te.

Per mia triste esperienza devo purtroppo riconoscere di essere debole ed incostante; so quanto le tentazioni possono contro le virtù più affermate; eppure nulla, finché conserverò questa ferma fiducia in Te, potrà spaventarmi; starò al riparo da ogni disgrazia e sarò certo di continuare a sperare, perché spero questa stessa immutabile speranza.

Infine, mio Dio, sono intimamente persuaso che non sarà mai troppa la fiducia che ho in Te e che, ciò che otterrò da Te, sarà sempre al di sopra di ciò che avrò sperato.

Spero anche, Signore che Tu mi sorreggerai nelle facili debolezze; mi sosterrai negli assalti più violenti; farai trionfare la mia fiacchezza sopra i miei temuti nemici.

Ho tanta fiducia che Tu mi amerai sempre e che anche io, a mia volta, ti amerò per sempre.
E per portare al più alto grado questa mia fiducia, o mio Creatore, io spero Te da Te stesso, per il tempo e per l’eternità.