giovedì 4 febbraio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI RIFLETTE SUGLI INSEGNAMENTI DI SAN DOMENICO DI GUZMAN - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) TRA AUTONOMIA E AUTODETERMINAZIONE, CONTRO LA DERIVA EUGENISTA - di Claudia Navarini e Tommaso Scandroglio
3) Chi c’era dietro le quinte del caso Boffo-Feltri? - Sui mezzi di stampa in questi giorni circolavano affermazioni, poi riprese da Antonio Socci, a dir poco impressionanti… - Feltri incontra Boffo, si apre un caso Vaticano. - Il direttore del Giornale chiama in causa Bertone e Vian - di Carmelo Lopapa - La Repubblica (02 febbraio 2010) - Il killer di Boffo è in Vaticano - di Antonio Socci - LIBERO 03/02/2010
4) Intervista al biologo Giuseppe Simoni - In ricerca delle staminali "buone" - Riportiamo ampi stralci dell'intervista al biologo e genetista Giuseppe Simoni pubblicata sul numero di settembre-dicembre 2009 della rivista "Communio" (Milano, Jaca Book) dedicata al tema della "Paternità". - di Giuseppe Reguzzoni - L'Osservatore Romano - 4 febbraio 2010
5) 5 Febbraio. Hans Jonas e il "principio responsabilità" - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - mercoledì 3 febbraio 2010 (…) ricordiamo un grande pensatore, che si confronta con il dibattito contemporaneo, proponendoci una filosofia attenta all'etica e solidale con le future generazioni: Hans Jonas.
6) Piemonte: "Cattolici contro Bresso" - Editoriale del "Foglio", 4 febbraio 2009 - Cattolici contro Bresso - Pro life contro la governatrice ultra-abortista ed eutanasica
7) Le Comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Salesiani - Diocesi di Casale Monferrato – lunedì 8 febbraio 2010 - propongono una tavola rotonda: L’educazione: una sfida per tutti! - interverranno: MONSIGNOR VESCOVO ALCESTE CATELLA (Diocesi di Casale Monferrato) - Ing. GIORGIO DEMEZZI - (Sindaco di Casale Monferrato) - dott. MARCO CAPONIGRO (Assessore Politiche per la Famiglia e Servizi Sociali) - don BRUNO FERRERO (Salesiano) - dott. ALBERTO CASELLA - (Presidente Regionale AGESC) - dott. SCAGLIOTTI MAURIZIO (Insegnante)
8) LA PILLOLA DEI 5 GIORNI DOPO - MA L’ABORTO «INVISIBILE» È ANCOR PIÙ DRAMMA - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 4 febbraio 2010
9) «Suicidio assistito»: a Londra decidono i giudici - di Elisabetta Del Soldato – Avvenire, 4 febbraio 2010
10) Lobby all’assalto della legge 40. E chi la difende? - Forti dei risultati già ottenuti per via giudiziaria, ora i gruppi legati ai radicali e a interessi ben identificati si apprestano a sfidare anche il divieto di fecondazione eterologa Ma nella politica molti tra quelli che potrebbero attivarsi sembrano assistere senza batter ciglio alla guerra dichiarata contro una legge dello Stato, confermata da un referendum popolare. - di Domenico Delle Foglie – Avvenire, 4 febbraio 2010
11) «Nuove staminali», siamo alla svolta decisiva? - di Alessandra Turchetti – Avvenire, 4 febbraio 2010

BENEDETTO XVI RIFLETTE SUGLI INSEGNAMENTI DI SAN DOMENICO DI GUZMAN - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale nell'aula Paolo VI, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato sulla figura di san Domenico di Guzman.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
la settimana scorsa ho presentato la luminosa figura di Francesco d’Assisi, quest’oggi vorrei parlarvi di un altro santo che, nella stessa epoca, ha dato un contributo fondamentale al rinnovamento della Chiesa del suo tempo. Si tratta di san Domenico, il fondatore dell’Ordine dei Predicatori, noti anche come Frati Domenicani.
Il suo successore nella guida dell’Ordine, il beato Giordano di Sassonia, offre un ritratto completo di san Domenico nel testo di una famosa preghiera: "Infiammato dello zelo di Dio e di ardore soprannaturale, per la tua carità senza confini e il fervore dello spirito veemente ti sei consacrato tutt’intero col voto della povertà perpetua all’osservanza apostolica e alla predicazione evangelica". E’ proprio questo tratto fondamentale della testimonianza di Domenico che viene sottolineato: parlava sempre con Dio e di Dio. Nella vita dei santi, l’amore per il Signore e per il prossimo, la ricerca della gloria di Dio e della salvezza delle anime camminano sempre insieme.
Domenico nacque in Spagna, a Caleruega, intorno al 1170. Apparteneva a una nobile famiglia della Vecchia Castiglia e, sostenuto da uno zio sacerdote, si formò in una celebre scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse nello studio della Sacra Scrittura e per l’amore verso i poveri, al punto da vendere i libri, che ai suoi tempi costituivano un bene di grande valore, per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.
Ordinato sacerdote, fu eletto canonico del capitolo della Cattedrale nella sua diocesi di origine, Osma. Anche se questa nomina poteva rappresentare per lui qualche motivo di prestigio nella Chiesa e nella società, egli non la interpretò come un privilegio personale, né come l’inizio di una brillante carriera ecclesiastica, ma come un servizio da rendere con dedizione e umiltà. Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa? Lo ricordavo qualche mese fa, durante la consacrazione di alcuni Vescovi: "Non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile, e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità" (Omelia. Cappella Papale per l’Ordinazione episcopale di cinque Ecc.mi Presuli, 12 Settembre 2009).
Il Vescovo di Osma, che si chiamava Diego, un vero e zelante pastore, notò ben presto le qualità spirituali di Domenico, e volle avvalersi della sua collaborazione. Insieme si recarono nell’Europa del Nord, per compiere missioni diplomatiche affidate loro dal re di Castiglia. Viaggiando, Domenico si rese conto di due enormi sfide per la Chiesa del suo tempo: l’esistenza di popoli non ancora evangelizzati, ai confini settentrionali del continente europeo, e la lacerazione religiosa che indeboliva la vita cristiana nel Sud della Francia, dove l’azione di alcuni gruppi eretici creava disturbo e l’allontanamento dalla verità della fede. L’azione missionaria verso chi non conosce la luce del Vangelo e l’opera di rievangelizzazione delle comunità cristiane divennero così le mète apostoliche che Domenico si propose di perseguire. Fu il Papa, presso il quale il Vescovo Diego e Domenico si recarono per chiedere consiglio, che domandò a quest’ultimo di dedicarsi alla predicazione agli Albigesi, un gruppo eretico che sosteneva una concezione dualistica della realtà, cioè con due principi creatori ugualmente potenti, il Bene e il Male. Questo gruppo, di conseguenza, disprezzava la materia come proveniente dal principio del male, rifiutando anche il matrimonio, fino a negare l’incarnazione di Cristo, i sacramenti nei quali il Signore ci "tocca" tramite la materia, e la risurrezione dei corpi. Gli Albigesi stimavano la vita povera e austera – in questo senso erano anche esemplari – e criticavano la ricchezza del Clero di quel tempo. Domenico accettò con entusiasmo questa missione, che realizzò proprio con l’esempio della sua esistenza povera e austera, con la predicazione del Vangelo e con dibattiti pubblici. A questa missione di predicare la Buona Novella egli dedicò il resto della sua vita. I suoi figli avrebbero realizzato anche gli altri sogni di san Domenico: la missione ad gentes, cioè a coloro che ancora non conoscevano Gesù, e la missione a coloro che vivevano nelle città, soprattutto quelle universitarie, dove le nuove tendenze intellettuali erano una sfida per la fede dei colti.
Questo grande santo ci rammenta che nel cuore della Chiesa deve sempre bruciare un fuoco missionario, il quale spinge incessantemente a portare il primo annuncio del Vangelo e, dove necessario, ad una nuova evangelizzazione: è Cristo, infatti, il bene più prezioso che gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni luogo hanno il diritto di conoscere e di amare! Ed è consolante vedere come anche nella Chiesa di oggi sono tanti – pastori e fedeli laici, membri di antichi ordini religiosi e di nuovi movimenti ecclesiali – che con gioia spendono la loro vita per questo ideale supremo: annunciare e testimoniare il Vangelo!
A Domenico di Guzman si associarono poi altri uomini, attratti dalla stessa aspirazione. In tal modo, progressivamente, dalla prima fondazione di Tolosa, ebbe origine l’Ordine dei Predicatori. Domenico, infatti, in piena obbedienza alle direttive dei Papi del suo tempo, Innocenzo III e Onorio III, adottò l’antica Regola di sant’Agostino, adattandola alle esigenze di vita apostolica, che portavano lui e i suoi compagni a predicare spostandosi da un posto all’altro, ma tornando, poi, ai propri conventi, luoghi di studio, preghiera e vita comunitaria. In particolar modo, Domenico volle dare rilievo a due valori ritenuti indispensabili per il successo della missione evangelizzatrice: la vita comunitaria nella povertà e lo studio.
Anzitutto, Domenico e i Frati Predicatori si presentavano come mendicanti, cioè senza vaste proprietà di terreni da amministrare. Questo elemento li rendeva più disponibili allo studio e alla predicazione itinerante e costituiva una testimonianza concreta per la gente. Il governo interno dei conventi e delle provincie domenicane si strutturò sul sistema di capitoli, che eleggevano i propri Superiori, confermati poi dai Superiori maggiori; un’organizzazione, quindi, che stimolava la vita fraterna e la responsabilità di tutti i membri della comunità, esigendo forti convinzioni personali. La scelta di questo sistema nasceva proprio dal fatto che i Domenicani, come predicatori della verità di Dio, dovevano essere coerenti con ciò che annunciavano. La verità studiata e condivisa nella carità con i fratelli è il fondamento più profondo della gioia. Il beato Giordano di Sassonia dice di san Domenico: "Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano" (Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum autore Iordano de Saxonia, ed. H.C. Scheeben, [Monumenta Historica Sancti Patris Nostri Dominici, Romae, 1935]).
In secondo luogo, Domenico, con un gesto coraggioso, volle che i suoi seguaci acquisissero una solida formazione teologica, e non esitò a inviarli nelle Università del tempo, anche se non pochi ecclesiastici guardavano con diffidenza queste istituzioni culturali. Le Costituzioni dell’Ordine dei Predicatori danno molta importanza allo studio come preparazione all’apostolato. Domenico volle che i suoi Frati vi si dedicassero senza risparmio, con diligenza e pietà; uno studio fondato sull’anima di ogni sapere teologico, cioè sulla Sacra Scrittura, e rispettoso delle domande poste dalla ragione. Lo sviluppo della cultura impone a coloro che svolgono il ministero della Parola, ai vari livelli, di essere ben preparati. Esorto dunque tutti, pastori e laici, a coltivare questa "dimensione culturale" della fede, affinché la bellezza della verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata e anche difesa. In quest’Anno Sacerdotale, invito i seminaristi e i sacerdoti a stimare il valore spirituale dello studio. La qualità del ministero sacerdotale dipende anche dalla generosità con cui ci si applica allo studio delle verità rivelate.
Domenico, che volle fondare un Ordine religioso di predicatori-teologi, ci rammenta che la teologia ha una dimensione spirituale e pastorale, che arricchisce l’animo e la vita. I sacerdoti, i consacrati e anche tutti i fedeli possono trovare una profonda "gioia interiore" nel contemplare la bellezza della verità che viene da Dio, verità sempre attuale e sempre viva. Il motto dei Frati Predicatori - contemplata aliis tradere – ci aiuta a scoprire, poi, un anelito pastorale nello studio contemplativo di tale verità, per l’esigenza di comunicare agli altri il frutto della propria contemplazione.
Quando Domenico morì nel 1221, a Bologna, la città che lo ha dichiarato patrono, la sua opera aveva già avuto grande successo. L’Ordine dei Predicatori, con l’appoggio della Santa Sede, si era diffuso in molti Paesi dell’Europa a beneficio della Chiesa intera. Domenico fu canonizzato nel 1234, ed è lui stesso che, con la sua santità, ci indica due mezzi indispensabili affinché l’azione apostolica sia incisiva. Anzitutto, la devozione mariana, che egli coltivò con tenerezza e che lasciò come eredità preziosa ai suoi figli spirituali, i quali nella storia della Chiesa hanno avuto il grande merito di diffondere la preghiera del santo Rosario, così cara al popolo cristiano e così ricca di valori evangelici, una vera scuola di fede e di pietà. In secondo luogo, Domenico, che si prese cura di alcuni monasteri femminili in Francia e a Roma, credette fino in fondo al valore della preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico. Solo in Paradiso comprenderemo quanto la preghiera delle claustrali accompagni efficacemente l’azione apostolica! A ciascuna di esse rivolgo il mio pensiero grato e affettuoso.
Cari fratelli e sorelle, la vita di Domenico di Guzman sproni noi tutti ad essere ferventi nella preghiera, coraggiosi a vivere la fede, profondamente innamorati di Gesù Cristo. Per sua intercessione, chiediamo a Dio di arricchire sempre la Chiesa di autentici predicatori del Vangelo.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Vescovi partecipanti all'incontro internazionale promosso dalla Comunità di sant'Egidio, ed auspico che questi giorni di riflessione e di preghiera siano fruttuosi per il ministero che ciascuno è chiamato a svolgere nella propria Diocesi. Saluto i rappresentanti dell’Unione sportiva "Anagni Calcio" e gli artisti del "Circo Americano", della Famiglia Togni, e li incoraggio ad operare con generoso impegno nei rispettivi ambiti per contribuire a costruire un futuro migliore per tutti.
Desidero, infine, indirizzare il mio pensiero a voi, cari giovani, malati e sposi novelli. Ricorre oggi la memoria liturgica del martire S. Biagio e nei prossimi giorni ricorderemo altri martiri: sant’Agata, S. Paolo Miki e compagni giapponesi. Il coraggio di questi eroici testimoni di Cristo aiuti voi, cari giovani, ad aprire il cuore all’eroismo della santità; sostenga voi, cari malati, ad offrire il dono prezioso della preghiera e della sofferenza per la Chiesa; e dia a voi, cari sposi novelli, la forza di improntare le vostre famiglie ai valori cristiani.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


TRA AUTONOMIA E AUTODETERMINAZIONE, CONTRO LA DERIVA EUGENISTA - di Claudia Navarini e Tommaso Scandroglio
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Martedì 9 febbraio prossimo, alle ore 9.00, presso l’Università Europea di Roma (via degli Aldobrandeschi 190), si terrà il congresso “Autonomia e autodeterminazione. Profili giuridici, etici e bioetici”, nell’ambito della Settimana delle Scienze Biomediche del Vicariato di Roma.
Nel corso del congresso sarà presentato anche il Progetto “Libertà, autonomia e autodeterminazione”, promosso dal Dipartimento di Didattica e di Ricerca in Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.
I concetti di autonomia e di autodeterminazione sono ampiamente utilizzati nel dibattito pubblico, talora con significati differenti che li rendono equivoci.
Il convegno organizzato dall’Università Europea di Roma intende fare luce sui presupposti teorici di tali concetti, con una riflessione seria e argomentata che ne recuperi il nucleo semantico, e al tempo stesso ne delinei le principali implicazioni per l’agire sociale e per la cultura.
Molti sono i temi che verranno toccati. In primo luogo il tema del consenso informato, spesso concepito in modo astratto e bisognoso al contrario di essere riportato nella concretezza e nell’attualità della relazione medico-paziente.
Vi è poi il tema del rapporto fra autonomia e dignità umana: se l’autonomia, intesa sovente come unica espressione della libertà umana, è intesa come marca del valore della vita umana, nascerà fatalmente la tentazione di destituire di valore e di dignità tutti coloro che soffrono di un deficit di autonomia, con un crescente rischio di deriva eugenista.
In terzo luogo occorre puntualizzare le differenti angolature dei termini stessi: il concetto di autodeterminazione è stato utilizzato per secoli dalla filosofia morale come elemento caratterizzante della libertà umana, senza con ciò giungere alla pretesa di fondare (o ri-fondare) il senso dell’umanità e della legge naturale.
I lavori avranno anche l’obiettivo di posare lo sguardo sulle prospettive legislative in tema di dichiarazioni anticipate di trattamento, per osservare quali requisiti fondamentali debba tutelare un stato di diritto al fine di porsi realmente a servizio della vita umana.
Il convegno tenterà altresì di mettere in evidenza quale configurazione assume il principio di autodeterminazione nel nostro ordinamento giuridico in relazione soprattutto al bene “vita”. In modo induttivo possiamo asserire che l’ordinamento giuridico italiano considera il bene “vita” come un bene indisponibile.
Ciò è confermato in prima battuta dagli artt. 579 e 580 c.p che sanzionano rispettivamente l’omicidio del consenziente e l’istigazione e aiuto al suicidio.
Se le leggi italiane ritenessero la vita bene disponibile questi articoli del Codice penale non avrebbero ragione di esistere.
Giustamente non è sanzionato penalmente il tentato suicidio perché il legislatore ha ben compreso che lo strumento della repressione penale in questo caso sarebbe inefficace ed anzi peggiorerebbe la stato psicologico di colui che aveva in animo di togliersi la vita.
La mancanza di una risposta punitiva dello Stato non sta a significare, in questo caso, la liceità della condotta, né l’indifferenza dell’ordinamento giuridico verso questa fattispecie.
Bensì esprime la tolleranza dello Stato verso un comportamento dannoso per sé e per la comunità che abbisogna non di uno strumento repressivo, ma di altri percorsi più rispondenti ai profili specifici del caso.
La traduzione degli articoli sopra citati – artt. 579 e 580 c.p. – in termini eutanasici ed esemplificativi potrebbe essere la seguente. Il medico pratica una iniezione letale, es. barbiturico e cloruro di potassi (omicidio del consenziente).
Oppure: il medico consegna il farmaco letale al paziente e questi si inietterà da sé la sostanza che lo porterà alla morte (aiuto al suicidio). Il medico interrompe attivamente con il consenso del malato quelle cure che potrebbero permettergli di continuare a vivere, assumendo una condotta fattivamente collaborativa (omicidio del consenziente).
L’articolo 50 c.p. non viene poi in soccorso dei sostenitori della dolce morte: «Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne».
Infatti è lo stesso articolo che esplicitamente ci dice che la lesione del diritto può avvenire unicamente su beni disponibili («che può validamente disporne»), e non riguarda i beni indisponibili. Sarebbe una contraddizione in termini disporre di beni indisponibili.
Qualche lettore, in risposta alle argomentazioni esposte sin qui, potrebbe obiettare citando l’articolo 32 secondo comma della Costituzione: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.[…]».
In genere questo articolo viene erroneamente inteso come salvacondotto per l’eutanasia omissiva. La risposta a tale obiezione si articola almeno in due direzioni.
Innanzitutto si deve ricordare il contesto in cui venne alla luce tale articolo. La data della firma della Costituzione – 27 Dicembre 1947 – ci rammenta che gli echi della Seconda Guerra Mondiale non si erano ancora spenti nell’Europa appena pacificata.
Nella memoria dei padri della Costituzione era ancora vivo il ricordo delle aberrazioni perpetrate dal regime nazionalsocialista su ebrei, cristiani, zingari, omosessuali e malati psichici.
Tra questi scempi spiccavano le famigerate sperimentazioni cliniche a scopo eugenetico. Nelle aule della costituente risuonava quindi come un imperativo categorico il divieto di sottoporre ad interventi a carattere clinico i pazienti senza loro consenso.
Così infatti si conclude l’art. 32: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Ben lungi dalle intenzioni dei costituenti perciò un avvallo seppur tacito all’eutanasia omissiva: semmai tutto il contrario.
Infatti nell’art. 32 risplende tutta la profonda consapevolezza del valore altissimo della vita umana che non può essere mai sfruttata per fini utilitaristici, vita a cui occorre accostarsi con rispetto e prudenza.
In seconda battuta l’art. 32 non è un prodromo dell’eutanasia omissiva, né un inno al principio di autodeterminazione inteso in senso assoluto. Infatti l’articolo stesso precisa che nessun individuo può essere obbligato a sottoporsi a cure «se non per disposizione di legge».
Ciò ci fa intendere che il principio di autodeterminazione non è assoluto ma incontra dei limiti. Uno di questi limiti è posto addirittura dal dettato legislativo. Infatti un soggetto può essere sottoposto coattivamente, a norma di legge, a vaccinazioni obbligatorie o a trattamenti psichiatrici obbligatori.


Chi c’era dietro le quinte del caso Boffo-Feltri? - Sui mezzi di stampa in questi giorni circolavano affermazioni, poi riprese da Antonio Socci, a dir poco impressionanti… - Feltri incontra Boffo, si apre un caso Vaticano. - Il direttore del Giornale chiama in causa Bertone e Vian - di Carmelo Lopapa - La Repubblica (02 febbraio 2010) - Il killer di Boffo è in Vaticano - di Antonio Socci - LIBERO 03/02/2010

Feltri incontra Boffo, si apre un caso Vaticano. - Il direttore del Giornale chiama in causa Bertone e Vian
ROMA - Il "carnefice" e la vittima allo stesso tavolo. Uno di fronte all'altro per la prima volta. Cinque mesi dopo. Perché ora che l'esecuzione è alle spalle, ora che il primo ha perfino chiesto scusa a modo suo al secondo, ora è venuto il momento di capire cosa ci fosse dietro la macchinazione e soprattutto chi. È l'esigenza che ha spinto l'ex direttore dell'Avvenire Dino Boffo a pranzare ieri con Vittorio Feltri. Proprio col giornalista che, appena insediatosi alla tolda di comando del Giornale della famiglia Berlusconi, il 28 agosto aveva sferrato l'attacco a freddo contro di lui, reo di voler fare "la morale al Cavaliere". Attacco basato su un documento presentato come "informativa allegata al casellario giudiziario" e che sbatteva in prima pagina la presunta omosessualità del direttore del quotidiano dei vescovi. Salvo poi scoprire che quell'"informativa", dalla paternità rimasta misteriosa, non figurava in alcun fascicolo.
"Berti" è un ristorante milanese abbastanza noto e ben frequentato. Al tavolo c'è anche Renato Farina, parlamentare Pdl ed editorialista del Giornale benché radiato dall'Ordine dei giornalisti nel 2007 dopo l'accertamento di un suo legame col Sismi. Sullo sfondo, le tante indiscrezioni, i boatos, le voci che corrono veloci tra la Segreteria di Stato e la Cei e finite negli ultimi giorni sulle pagine del Foglio, del Riformista, di Libero. Indizi trapelati da ambienti vaticani e della destra, che riaprono il caso sfociato nelle dimissioni di Boffo e nell'"atto di incolpazione" di Feltri da parte dell'Ordine dei giornalisti. Elementi che iniziano a definire i contorni di quel "blocco di potere" che ha "congegnato la colossale montatura", per dirla coi termini usati dal direttore dell'Avvenire nella lettera con cui il 3 settembre ha rassegnato le dimissioni al presidente della Cei Angelo Bagnasco.
"Non l'ho incontrato per perdonare. Avevo piuttosto bisogno di capire chi mi ha ucciso e chi ha armato la sua mano" confidava ieri Boffo agli amici stupiti del faccia a faccia. Al direttore del Giornale, l'ex direttore non sconta alcuna delle sue responsabilità per quanto accaduto, ma dal colloquio sarebbe risultato più chiaro lo "scenario" in cui è maturata l'intera vicenda. Ed è uno scenario da corte dei Borgia. Feltri, che il 4 dicembre aveva ammesso l'errore sul Giornale ("Su Boffo scandalo infondato"), la prende molto alla larga. Al tavolo del Berti non confida alla sua "vittima" chi gli abbia girato quella informativa molto sui generis. Ma gli rivolge due domande. "Perché Bertone (il cardinale segretario di Stato vaticano, ndr) ce l'ha tanto con te? E perché Gian Maria Vian (direttore dell'Osservatore romano, quotidiano vicino alla Segreteria, ndr) ce l'ha tanto con te?" Domande che fanno calare il gelo fra i tre commensali. Ma che pesano come risposte. Tanto che la discussione tra i due prosegue dando per scontato che sia stato il direttore dell'Osservatore a far recapitare l'informativa su mandato - questa la tesi - del segretario di Stato Bertone. Operazione poi rivelatasi di disinformazione e alla quale Feltri si sarebbe "prestato" perché in fondo utile alla causa politica del premier Berlusconi (più volte criticato da Boffo dalle colonne dell'Avvenire), per fare un favore a una "fazione", riconducibile alla Segreteria vaticana - più accondiscendente verso le politiche del governo - in aperto contrasto con l'altra, la Cei, oggi in mano ad Angelo Bagnasco.
E infine, perché garantito da una copertura autorevole e da una pezza d'appoggio in apparenza credibile. In questo scontro di potere, tutto interno alle gerarchie cattoliche, l'ex direttore dell'Avvenire sarebbe stato stritolato perché ritenuto "colpevole" di aver fatto da trait d'union tra Camillo Ruini e il suo successore alla Cei, Bagnasco. Un laico ritenuto ingombrante anche per il suo potere: direttore da anni pure di Tv Sat2000 e Radio Inblu.
Al ruolo di presunto "ispiratore" di Gian Maria Vian - il quale ieri ha avuto incontro col direttore di un quotidiano nella sede dell'Osservatore - hanno alluso in questi giorni vari giornali. Il "professore" vicino a Bertone, già tre giorni dopo il finto scoop del Giornale aveva rilasciato un'intervista al Corriere per rivendicare di "non aver mai scritto sulle vicende private del premier" e lamentare invece "imprudenze ed esagerazioni" dell'Avvenire in quelle ore sotto attacco. Il 22 settembre Vian bollava come "fantavaticano" le ricostruzioni che lo dipingevano come fonte di un articolo anti-Ruini apparso proprio sul Giornale. Lo va ripetendo in questi giorni anche a chi gli fa notare quel che il Foglio e altri scrivono, quel che nei Palazzi d'Oltretevere si sussurra: "Sono solo polveroni".
di Carmelo Lopapa
La Repubblica (02 febbraio 2010)


Il killer di Boffo è in Vaticano - di Antonio Socci
Una cosa si sta clamorosamente chiarendo: nel “caso Boffo”, che ha portato alle dimissioni del direttore di Avvenire, Berlusconi non c’entra niente. Questo per dare “A ciascuno il suo” come recita (in latino) il motto che sta sotto la testata dell’Osservatore romano.
Se dunque non è esistito un “mandante” Berlusconi sfumano nel nulla fiumi di inchiostro dei polemisti “addetti ai livori” che quattro mesi fa misero sotto accusa il premier, accusandolo di voler intimidire e imbavagliare la stampa e perfino la Chiesa. E sfumano nel nulla soprattutto i furori degli ambienti ecclesiastici che imputarono al primo ministro – tramite il Giornale - un feroce e gratuito attacco al mondo cattolico.
Anzi, l’affare adesso si sta facendo scottante per il mondo ecclesiastico perché da giorni si susseguono boatos e articoli che portano in tutt’altra direzione, una direzione insospettabile: quella vaticana.
La vicenda si fa scottante anche perché nei giorni di fine agosto in cui il Giornale lanciò la sua paginata su Dino Boffo ad avvalorare implicitamente l’interpretazione della correità (oggettiva o soggettiva) di Berlusconi fu addirittura il segretario di Stato Vaticano, cardinal Bertone che, scrive La Stampa, «annullò l’incontro alla Perdonanza dell’Aquila con il premier (Berlusconi) in segno di solidarietà verso una delle personalità più apprezzate dell’editoria cattolica».
Una decisione pesantissima, praticamente inedita nella storia della diplomazia vaticana, che pose in serissimo imbarazzo il presidente del Consiglio italiano. Una decisione che non divenne frattura diplomatica fra Italia e Santa Sede solo per la saggezza di Palazzo Chigi che incassò lo sgarbo e tacque. Sgarbo istituzionale che mai il Vaticano aveva fatto nei confronti del governo italiano.
L’INTERVISTA
Ad avallare l’interpretazione politica dell’attacco a Boffo però, oltre al gesto di Bertone, provvide anche il direttore dell’Osservatore romano che si espose anch’egli in modo del tutto inusuale attaccando il direttore del giornale della Cei con un’intervista al Corriere della sera nella quale – dopo avergli espresso solidarietà personale - accusava Boffo di aver tenuto una linea troppo ostile al governo sull’immigrazione clandestina e rivendicava con orgoglio la scelta di non aver scritto una riga, sull’Osservatore, in merito alle «vicende private di Silvio Berlusconi».
Si trattava di critiche obiettivamente infondate che furono lette nel quadro di uno scontro fra la Segreteria di stato bertoniana, desiderosa di prendere le redini del rapporto con la politica, e i vescovi italiani guidati da Ruini e Bagnasco: Boffo da anni rappresenta la mente politica del ruinismo ed è stato osteggiato soprattutto dai settori di sinistra dell’episcopato italiano e del mondo cattolico proprio per il suo attento equilibrio. Farlo passare per un antiberlusconiano era obiettivamente una forzatura.
La vicenda ha avuto poi sviluppi sensazionali. Feltri ha onestamente riconosciuto, con un sorprendente editoriale, che vedendo le carte «Boffo non risulta implicato in vicende omosessuali» e quindi quella “nota” che accreditava tali risultanze era falsa.
Ancor più clamorosamente Feltri ha svelato che tale “nota” gli era stata accreditata da «informatore attendibile, direi insospettabile», anzi «una personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente». E del resto fin dall’inizio aveva detto che il plico gli era stato materialmente consegnato addirittura dalla gendarmeria vaticana. Tanto da costringere padre Lombardi a smentire.
Ma la ricerca della pista vaticana è andata avanti. Il 30 gennaio, proprio quando l’Osservatore romano pubblica vistosamente una nota di plauso di Bertone allo stesso Osservatore, Il Foglio di Giuliano Ferrara comincia un pesante bombardamento sul direttore del giornale vaticano, Vian.
Il quale già il 22 settembre aveva liquidato come «fantavaticano» gli articoli che lo presentavano come fonte di un articolo anti-Ruini uscito sul Giornale. Anche verso le accuse di questi giorni del Foglio da oltretevere si risponde: «sono solo polveroni».
Ma ieri il giornale di Ferrara è andato giù ancor più pesante: «Al Foglio risulta da buona fonte che alcune telefonate fatte con lo scopo di avvalorare il documento falso sono arrivate a Feltri dal direttore dell’Osservatore Romano Gian Maria Vian».
Il Foglio proseguiva così: «Chi poi abbia avuto l’autorità di muovere un postino vaticano, e se questo abbia un significato riguardo al diretto superiore del direttore dell’Osservatore, la segreteria di stato, è questione ancora discussa».
Ad accreditare questa ricostruzione dietrologica c’è anche Sandro Magister che dal suo blog sull’Espresso (di impronta ruiniana) ha bombardato un po’ da acceso tifoso: «Ora si è giunti al ”redde rationem” finale. Il giornale del papa è al tappeto, nella persona del suo direttore, e le autorità vaticane, in testa la segreteria di stato, non possono più tirare avanti come se nulla fosse. Il conteggio è iniziato e il k.o. tecnico appare il verdetto più logico».
Nelle ultime ore poi in un vistosissimo ristorante milanese si sono fatti vedere a pranzo Vittorio Feltri e Dino Boffo. Un incontro di chiarimento che, secondo una cronaca di Repubblica.it, sarebbe iniziato con due domande di Feltri: «Perché Bertone ce l’ha tanto con te? E perché Gian Maria Vian ce l’ha tanto con te?».
È obiettivamente una situazione imbarazzante. Personalmente ritengo che Vian abbia un modo semplice e chiaro per smentire in maniera netta e inconfutabile queste voci. Non è neanche necessario sfidare con un giurì d’onore (o a duello) Giuliano Ferrara.
LA VERITÀ
Gli basta chiedere – anzi esigere – da Feltri che faccia il nome della «personalità della chiesa» di cui ha parlato. Feltri spiega che non farà nomi perché un giornalista non rivela le sue fonti. Ma in questo caso avrebbe tutto il diritto di farli, avendogli costoro accreditato una nota rivelatasi fasulla. E avrebbe anche il dovere di farlo in difesa di Vian, nel caso in cui costui fosse chiamato in causa senza motivo e fosse innocente. Dunque c’è un modo velocissimo per far luce. Ieri Vian – secondo la cronaca di Repubblica – «ha avuto incontro col direttore di un quotidiano nella sede dell'Osservatore», direttore che secondo i boatos sarebbe Ferruccio de Bortoli del Corriere della sera, giornale che ha sempre sostenuto Vian. Una cosa è certa: Vian deve dissolvere al più presto ogni dubbio, in modo inequivocabile e ha un modo semplice per farlo. Quello sopra detto. Altrimenti coloro che chiederanno le sue dimissioni saranno sempre più numerosi e bisognerebbe riconoscere le loro buone ragioni. Ma in questo secondo caso il problema non riguarderebbe solo lui. E il ciclone non si fermerebbe a lui. Per amore alla Chiesa, e per obbedienza al Papa stesso, si esige che sia fatta chiarezza.
LIBERO 03/02/2010


Intervista al biologo Giuseppe Simoni - In ricerca delle staminali "buone" - Riportiamo ampi stralci dell'intervista al biologo e genetista Giuseppe Simoni pubblicata sul numero di settembre-dicembre 2009 della rivista "Communio" (Milano, Jaca Book) dedicata al tema della "Paternità". - di Giuseppe Reguzzoni - L'Osservatore Romano - 4 febbraio 2010
Incontro Giuseppe Simoni nel suo ufficio nel Biocell Center di Busto Arsizio, il primo centro al mondo ad aver sviluppato un metodo di trattamento e crioconservazione delle cellule staminali da liquido amniotico. Un progetto complesso in cui la ricerca scientifica procede di pari passo con un'intensa attività medica e biologica sul campo, in continuo contatto con la realtà e i drammi quotidiani di chi a questa rete si rivolge per avere delle risposte concrete a personali situazioni di bisogno. Recentemente Biocell Center di Busto Arsizio, l'Harvard Medical School, dipartimento di Oftalmologia e la Fondazione Irccs, Ospedale Maggiore, Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano, hanno siglato un accordo di ricerca sulla terapia per degenerazioni retiniche con staminali da liquido amniotico, che riporta dritti al cuore del lavoro svolto da questo gruppo di ricercatori su quelle cellule, che, come si dice spesso, sono davvero "il futuro della medicina".
Il problema è che su questo futuro, già iniziato da tempo, circolano e vengono fatte circolare, spesso ad arte, molte falsità o verità alterate. La posizione cattolica è nota ed è al centro di un ampio dibattito, non privo di distorsioni da parte di lobbies che hanno interessi da difendere.
Le ricerche avviate ormai da diversi decenni hanno preso le mosse dai problemi legati all'identificazione, all'isolamento, all'espansione in vitro e alla caratterizzazione morfologica e funzionale di diverse popolazioni di cellule, chiamate staminali dal termine stammzelle introdotto dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1868.
Queste cellule sono capaci di autorinnovarsi in coltura, conservando la loro potenzialità replicativa ed epigenetica, e di differenziarsi in uno o più tipi cellulari. Alla fase pionieristica è seguito un grande entusiasmo per il loro possibile uso nella terapia rigenerativa dei tessuti lesionati, nella correzione di difetti genetici e nel potenziamento della risposta cellulare a fattori patogeni.
Alcune linee di cellule staminali presenti nei tessuti dell'adulto erano già conosciute da diversi anni, ma l'attenzione dei ricercatori e dei media si è presto concentrata sulle cellule staminali pluripotenti che si trovano esclusivamente nelle primissime fasi di sviluppo dell'organismo umano, le cellule staminali embrionali.
Proprio qui, peraltro, scatta la questione etica, in modo particolare per quanto concerne le modalità di reperimento delle cellule staminali umane. Il magistero della Chiesa, con l'Istruzione Dignitatis personae, posto di fronte a un problema nuovo, muove comunque dalla certezza che non è lecito manipolare la nascita di un embrione umano e predeterminarne arbitrariamente il patrimonio genetico, procedendo poi alla sua distruzione dopo aver isolato alcune cellule per dei fini in sé considerati giusti.
Ma lasciamo che sia Simoni, per anni titolare della cattedra di Genetica all'università di Milano e direttore del Laboratorio di genetica medica dell'ospedale San Paolo, ad aiutarci a capire la posta in gioco.

Cominciamo da una domanda che può sembrare banale: Biocell non è una struttura confessionale, tuttavia avete scelto di darvi un codice etico. È una scelta limitante per chi fa ricerca scientifica?

Noi crediamo invece che un'etica sia necessaria in tutte le cose. Non si può operare bene se non si ha rispetto per la persona, anche per quella che deve nascere. Come può nascere qualcosa di buono da un sopruso o da un comportamento poco etico? In questo senso lo studio del liquido amniotico e delle cellule staminali che contiene non sono in contrasto con alcun principio etico. Anzi, è la risposta che la natura ci fornisce per ottenere staminalità embrionale senza toccare l'embrione. Inoltre con il liquido amniotico - nell'ipotesi di uso autologo - si ha la possibilità di lavorare con cellule e materiale appartenente allo stesso individuo, fatto fondamentale per le questioni di rigetto che però non si verifica neppure con le staminali embrionali: infatti le cellule embrionali non potranno mai essere utilizzate sullo stesso individuo. Come si può dedurre da questo fatto, spesso le scelte etiche trovano il sostegno della medicina.

La ricerca sulle cellule staminali è il futuro, perché?

Perché è una componente importantissima del nostro corpo di cui non conosciamo quasi nulla e che invece dobbiamo conoscere. Le cellule staminali e il loro comportamento sono importanti per capire la dinamica dei tumori, la rigenerazione dei tessuti, la proliferazione cellulare continua che avviene ogni minuto nel corso di tutta la vita. Noi stiamo studiando un particolare tipo di cellule staminali, le amniotiche, che rappresentano un unicum nel corso della nostra esistenza. Investiamo tutto il nostro lavoro nella convinzione che lo studio delle cellule amniotiche potrebbe portare a comprendere meglio molti fenomeni, e di conseguenza migliorare la vita dei malati, curare patologie ad oggi incurabili, rendere più efficaci i rimedi già utilizzati. Nel campo delle cellule amniotiche inoltre siamo proprio agli inizi: tutto deve ancora essere studiato, verificato, dimostrato. Le possibilità sono davvero tante e le speranze infinite.

In passato il comitato per la bioetica ha avanzato il sospetto che l'accento posto sugli embrioni nella ricerca sulle cellule staminali nascondesse anche grossi interessi economici.

Il profitto ci sarà se e quando, grazie al nostro lavoro, avremo scoperto e brevettato qualche cura o qualche sistema per il trattamento di malattie serie e tuttora non curabili. Fino ad allora ogni euro di ricavo sarà destinato allo studio del comportamento delle staminali amniotiche, di cui ancora si sa davvero poco. A differenza delle staminali embrionali, in un futuro non lontano ognuno potrebbe possedere le proprie cellule amniotiche, oppure avere nello stretto giro di parentela una disponibilità di cellule amniotiche compatibili. Per le embrionali invece il discorso è più complicato, bisogna trovare l'embrione, sviluppare le linee compatibili... tutto questo costa, e potrebbe generare profitti molto grossi. Tutto questo è incompatibile con la nostra missione e inconciliabile con il nostro codice etico.

Non siete solo ricercatori, ma lavorate a contatto con i problemi concreti delle persone. Che cosa significa tutto questo per voi?

L'idea di Biocell Center nasce proprio con questo obiettivo, cioè mettere al centro la persona, anche quella che ancora deve nascere. Qui crediamo che chiunque lavori mettendo al centro la Persona, con la P maiuscola, possa e riesca a dare di più perché non c'è in ballo solo il lavoro, i soldi, la carriera, il successo... c'è soprattutto la soddisfazione di dare il proprio contributo ad una vita, alla soluzione di un problema, forse anche un piccolo passo verso la conoscenza della realtà e di quella meravigliosa creatura che è il nostro corpo, vera e propria missione per il ricercatore di ogni fede.
(©L'Osservatore Romano - 4 febbraio 2010)


5 Febbraio. Hans Jonas e il "principio responsabilità" - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - mercoledì 3 febbraio 2010 (…) ricordiamo un grande pensatore, che si confronta con il dibattito contemporaneo, proponendoci una filosofia attenta all'etica e solidale con le future generazioni: Hans Jonas.

Ecco la presentazione del suo pensiero di Vittorio Possenti, nell'articolo intitolato significativamente:
"E l'ecopensiero di Jonas riparte dal vivente. Lontano dalle derive del postmoderno emerge la lucidità del teorico del “principio responsabilità”"

"Io ho tentato di mantenere viva l'antica fiamma della metafisica che sembrava essersi estinta nella nostra epoca moderna": così illustra la propria opera Hans Jonas.

Col trascorrere del tempo si fa più vivido il suo progetto filosofico, di cui solo taluni aspetti sono stati sinora colti. Sollevando con vigore i problemi della tecnica, del rispetto responsabile della natura, del carattere della vita e del sì che essa merita, in special modo del finalismo intrinseco all'organismo vivente (cfr. il suo Organismo e libertà.
Verso una biologia filosofica edito da Einaudi), Jonas ha riaperto strade che sembravano sbarrate per sempre. Egli è giustamente noto per l'opera Il principio responsabilità. Un'etica per la società tecnologica, ampiamente discussa, eppure i suoi studi su una biologia filosofica e sull'organismo vivente potrebbero segnare una svolta di prim'ordine nella filosofia della natura e della vita dopo secoli di meccanicismo e di aspre opposizioni ad ogni finalismo. Su questi aspetti Jonas ha compiuto un solido tentativo per superare il dualismo cartesiano. Sostenendo la necessità di una nuova metafisica nell'epoca della scepsi radicale, egli svolse una metafisica dell'autoaffermazione dell'essere ed elaborò un'etica in cui l'assiologia è radicata nell'ontologia. Con la fondazione ontologica e finalistica dell'etica venne decisamente abbandonato lo schema kantiano della separazione tra etica e ontologia, egemone da oltre due secoli, e dischiuso il cammino per una vera rivoluzione nella scienza morale. Ciò potrebbe spiegare la scarsa attenzione delle culture laiche e illuministiche verso Jonas, e la difficoltà ad ammettere che l'etica moderna è inadeguata sulle questioni del futuro. Questi aspetti, elaborati nelle opere maggiori, emergono come spunti stimolanti nelle dieci interviste di cui si compone Sull'orlo dell'abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura (Einaudi). Nei dialoghi che uniscono rigore e capacità di parlare alla gente, sono le questioni della crisi ecologica che devasta il pianeta, della necessità di costruire un nuovo rapporto tra uomo e natura, i difficili dilemmi dell'eutanasia, a ritornare puntualmente con nuovi approfondimenti.
Uno dei nuclei delle interviste ruota intorno alla necessità di una nuova etica che inglobi la responsabilità verso le generazioni future, a cui non possiamo consegnare un ambiente sempre più degradato.
Si tratta di un'etica non bilaterale, poiché se è vero che i posteri non possono fare nulla per noi, noi siamo obbligati a tenerli in conto. Le morali di tipo dialogico e consensuale come quelle di Apel e Habermas, dove la decisione raggiunta è legittima se raccoglie il consenso dei soggetti coinvolti, non è considerata idonea per avviare un'etica di responsabilità verso le generazioni future, poiché dal consenso attuale sono appunto esclusi i posteri.
D'altra parte non ci si può nascondere che i sistemi liberaldemocratici sono apparsi sinora incapaci di affrontare i problemi suscitati dalla crisi ecologica. Non esistono finora sufficienti prove che il binomio tecnologia e mercato sia in grado di affrontare adeguatamente i problemi ecologici. Anzi l'evidenza empirica parrebbe contraria, poiché le economie occidentali non affrontano l'incognita ecologica, mentre il dissesto dell'ambiente prosegue senza apprezzabili mutamenti: interessi a breve sopravanzano i doveri di responsabilità a lungo.
Così rimaniamo soggetti al pensiero unico che quotidianamente suggerisce che le cose vanno nella direzione giusta e che non sussistano motivi per cambiare. D'altra parte l'alternativa è antropologicamente difficile, poiché occorrerebbe avere un uomo diverso, disponibile a sobrietà e ascesi, capace di vedere oltre l'angusta logica del self-interest. È questo possibile nell'epoca della secolarizzazione? Forse iniziamo ad accorgerci che l'esperimento di creare un uomo che veda solo il proprio vantaggio è fallito per troppo successo. Le nuove situazioni pongono un'inedita sfida al pensiero civile e morale, tributario di un'epoca in cui le questioni dell'ecologia e del futuro dell'uomo non si ponevano.
Fondarsi su Hegel, su Smith, su Marx è un'illusione costosa, poiché questi autori, pur diversi, hanno ignorato il problema e stanno diventando pensatori regressivi del passato.
Il concetto stesso di società aperta andrebbe riformulato. Jonas ha dischiuso un nuovo modo di fare filosofia, che prendendo le mosse dall'organismo vivente e dall'essere, e non subordinandosi a priori alle scienze naturali, dà all'etica una nuova dimensione (la responsabilità morale nei confronti del futuro) e vede nella vita un finalismo.


Piemonte: "Cattolici contro Bresso" - Editoriale del "Foglio", 4 febbraio 2009 - Cattolici contro Bresso - Pro life contro la governatrice ultra-abortista ed eutanasica
Nota di Massimo Introvigne: Sono lieto di avere segnalato al "Foglio" il documento di Federvita, che gli amici che mi seguono su Facebook conoscono. Imperterrita, la Bresso ha siglato ieri l'accordo (definito ipocritamente "tecnico", ma la legge non prevede accordi tecnici: saranno nella coalizione come tutti gli altri) con Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani. Avremo dunque intorno al nome della Bresso lo scudo crociato dell'UDC e la falce e il martello dei vetero-comunisti, oltre alla rosa nel pugno dei radicali della lista Bonino-Pannella... "La Stampa" annuncia pure che l'esponente comunista nel listino della Bresso sarà Vincenzo Chieppa, il quale non più tardi del 9 dicembre 2009 in un comunicato stampa ha dichiarato: "La riaffermazione del valore dell'attuale centrosinistra è importante perché nei fatti respinge le pretese dell'UDC di azzerare il profilo politico dell'attuale coalizione. I nostri programmi (...) sulla laicità delle istituzioni anche regionali sono assolutamente incompatibili con il partito di Casini".


Cattolici contro Bresso - Pro life contro la governatrice ultra-abortista ed eutanasica - IL FOGLIO, 4 febbraio 2009 - Editoriale a pagina 4
Una costante e pervicace politica di opposizione alla vita e alla famiglia”. E’ così che Federvita Piemonte, che raggruppa settanta tra Movimenti per la Vita e Centri di Aiuto alla Vita, esordisce nell’attacco alla governatrice del Piemonte Bresso. La sua presidenza è stata caratterizzata dall’offerta di “un ospedale piemontese in cui poter far morire per fame e per sete una giovane donna disabile”. Il riferimento è al caso Eluana Englaro, su cui Bresso disse: “La vita di Eluana è artificiale”. Poi c’è stata la sperimentazione della RU486 (“Una soluzione dal punto di vista medico che permette alle donne di soffrire di meno”, disse Bresso) e che per la prima volta in Italia è stata promossa nell’ospedale Sant’Anna di Torino.

La gestione Bresso è stata dominata in questi anni dall’idea che l’aborto è “necessità assistenziale che deve essere garantita” senza far parola di quella “preferenza per la vita” proclamata dalla legge 194. Federvita parla di “una spirale di banalizzazione dell’aborto volontario e contro i pur deboli presidi posti alla vita nascente dalla legge”. Per queste ragioni i pro life piemontesi chiedono un altro candidato alla guida della regione. Un fatto politico non da poco visto che l’Udc si è impegnato per Bresso.

Non è un mistero che il Movimento per la Vita sia da molti anni vicino all’Udc. Ben vengano gesti inconsueti come questo che spezzano l’inerzia politicante che si è creata attorno alla difesa della vita umana. La Bresso, si osserva, “è una bandiera nazionale dell’attacco alla vita”. La governatrice non ha mai fatto mistero della sua avversione alla chiesa (“Quale è la differenza tra l’Italia di oggi e gli stati clericali, come quello degli Ayatollah?”) e della collaborazione, in tema di aborto, con Emma Bonino. Altra candidata pro death che molti cattolici laziali si apprestano a votare.

Sarebbe interessante un confronto diretto tra i casiniani e i prolife piemontesi e laziali: questo giornale, in caso di disponibilità, è pronto a ospitarlo in un teatro di Torino e in uno di Roma.


LA PILLOLA DEI 5 GIORNI DOPO - MA L’ABORTO «INVISIBILE» È ANCOR PIÙ DRAMMA - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 4 febbraio 2010
Il nome commerciale è «EllaOne», quel lo corrente è «pillola di cinque giorni do po », la sostanza è una trasformazione si gnificativa e pericolosa dell’aborto farma cologico: stiamo parlando di un prodotto ad azione abortiva, registrato però come anticoncezionale femminile, nella discu­tibile categoria della «contraccezione d’e mergenza ». La differenza con la «pillola del giorno do po » già in commercio in Italia potrebbe sembrare sottile, ma è sostanziale. Que st’ultima agisce entro 72 ore dal rapporto sessuale in cui vi sia stata la possibilità di un concepimento. E il suo meccanismo non è del tutto chiaro: a quanto si legge nei fo glietti illustrativi potrebbe bloccare la fe condazione, agendo quindi come un con traccettivo che però provoca l’eliminazio ne dell’embrione impedendone l’impian to nell’utero. A quanto dichiarato dall’a zienda produttrice, una volta iniziato l’im pianto dell’embrione la «pillola del giorno dopo» non è più efficace.
EllaOne invece è attiva per più tempo – cin que giorni – proprio perché agisce in mo do completamente diverso: blocca il pro gesterone, cioè l’ormone della gravidanza, con modalità simili a quelle della pillola a­bortiva Ru486, e in presenza di un embrio ne ne impedisce l’annidamento. A ragione di questo suo meccanismo d’azione, è e spressamente controindicata durante una gravidanza in atto.
Dal punto di vista morale l’uso delle due pillole è del tutto analogo, perché in en trambi casi si assumono sapendo che, se è presente un embrione, questo viene sem plicemente eliminato. Ma per l’immissio ne in commercio nel nostro Paese della «pil lola dei cinque giorni dopo», annunciata dall’azienda che la produce (la francese H ra Pharma), la differenza è sostanziale: si tratta di un farmaco con azione abortiva che la casa farmaceutica ha potuto regi strare come anticoncezionale, pur nella ca tegoria di «emergenza». L’ambiguità e la confusione non potevano essere più grandi: siamo infatti al cospetto di uno stratagemma che rende legalmente possibile procurarsi un precocissimo a borto con ricetta medica in tutte le farma cie dell’Unione Europea, classificando l’a borto come «contraccezione».
Fin dall’inizio, d’altra parte, era proprio que sto l’obiettivo cercato dai sostenitori del l’aborto farmacologico: la scomparsa del l’aborto stesso, intesa però non come ci si dovrebbe augurare, ovvero l’azzeramento delle interruzioni di gravidanza. Con pillo le somministrate sempre più precocemen te, infatti, l’aborto c’è sempre, ma viene re so «invisibile», socialmente non ricono sciuto, riguardando solamente la donna che assume la pillola. E un aborto «invisibile» non sarà solo un dramma, sarà un dram ma pressoché impossibile da prevenire.
Quando in Italia arriverà questa nuova pil lola aumenteranno i problemi di obiezio ne di coscienza degli operatori del setto re, a partire dai farmacisti: sarà davvero difficile considerare « anticoncezionale » un farmaco che può eliminare un em brione di cinque giorni. È anche curioso poi che in un Paese come il nostro, dove in nome della 'salute delle donne' tribu nali di ogni tipo – amministrativi, civili, fi no alla Corte Costituzionale – amano pro­nunciarsi su embrioni umani, nessuno si ponga il problema della salute delle ra gazze che assumono pillole del giorno pri ma e di quello dopo, e tra non molto pro babilmente dei cinque giorni, il tutto sen za alcun tipo di controllo. Lasciando da parte. per un momento, il pro blema strettamente etico, e considerando che sono soprattutto giovani donne – spes so ragazzine – a ricorrere a questo tipo di far maci, siamo proprio sicuri che ne possano fare un uso disinvolto e incontrollato, pas sando da una pillola all’altra senza alcuna conseguenza per la loro futura salute?
Si sta creando una nuova situazione di ri schio: ci auguriamo che le autorità com petenti, e in particolare l’Aifa (l’Agenzia i taliana del farmaco), che ha il compito di valutare i farmaci prima che siano com mercializzati in Italia, affrontino la que stione con rinnovato e grande senso di re­sponsabilità.


«Suicidio assistito»: a Londra decidono i giudici - di Elisabetta Del Soldato – Avvenire, 4 febbraio 2010
Si fa sempre più acceso il dibattito in Inghilterra dopo i primi casi approdati davanti alla Corte penale e la nuova linea della scelta 'caso per caso' decisa l’anno scorso Un’apertura di fatto alla legalizzazione della pratica, finora vietata. L’allarme della baronessa Ilora Finley, da oltre vent’anni impegnata sul fronte delle cure palliative: «Così si scaricano i malati»
La baronessa Ilora Finlay è un membro indipendente della Camera dei Lord ed esperta in cure palliative. Da oltre vent’anni lavora a fianco di malati terminali, da sempre si batte contro la legalizzazione del «suicidio assistito» in Gran Bretagna. La sua voce è diventata una presenza abituale negli ultimi mesi sui media britannici, in un periodo in cui alcuni casi hanno riacceso il dibattito sulla questione se sia giusto o sbagliato aiutare una persona sofferente a morire. Il suicidio assistito è illegale nel Regno Unito e punibile fino a 14 anni di reclusione come stabilito dal Suicide Act, che però garantisce alle autorità di usare «la loro discrezionalità» nei singoli casi. Lo scorso luglio il direttore della Procura generale Keir Starmer aveva pubblicato nuove linee guida che permettono alla magistratura di considerare ogni caso in maniera a se stante, assegnandogli il potere di scagionare parenti e familiari che aiutano una persona a morire.
Baronessa Finlay, la legge attuale parla chiaro riguardo l’illegalità del suicidio assistito. Perché dunque, come dimo strano alcuni casi recenti, sta diventan do sempre più facile aiutare una perso na a morire e non essere puniti per questo?
«L’Atto sul suicidio ha un volto severo e un cuore compassionevole. La legge ci offre un messaggio chiaro: non è permesso uccidere una persona e quando una persona esprime il desiderio di suicidarsi abbiamo il dovere di prendercene cura. In Gran Bretagna avvengono cinquemila sucidi l’anno, e questo nonostante le strategie di prevenzione. Ma la legge sul suicidio assistito funziona in un modo che, quanto all’incriminazione, ogni caso deve essere considerato individualmente. E anche quando un tribunale emette un verdetto è sempre possibile sospendere la sentenza. Questo è già successo in passato anche nel caso in cui l’imputato era stato dichiarato colpevole.
Prendiamo per esempio chi ha accompagnato un familiare all’estero a morire. Nessuno di questi è stato fino a oggi incriminato nonostante la legge dica che è illegale aiutare o incoraggiare una persona a morire».
Il fatto che le incriminazioni siano sempre più rare, infatti, fa intravedere la possibilità di una legalizzazione del suicidio assistito. Cosa sta cambiando in Gran Bretagna?
«La grande preoccupazione è che, scaltramente, si stia lavorando per un cambiamento dell’atteggiamento della società nei confronti del suicidio assistito. Come se si volesse portare la società a credere che legalizzarlo sia ormai diventato inevitabile».

Cosa accadrebbe nel caso di un cam biamento della legge?
«Basta guardare a ciò che è accaduto nell’Oregon. Da quando la pratica è stata legalizzata, dieci anni fa, il numero dei suicidi assistiti è quadruplicato. Una legge in questo senso cambia qualcosa nel cuore di una società e nell’atteggiamento della gente: togliersi la vita non è più solo una scelta tragica di un momento, ma diventa un’opzione da considerare in anticipo. A ciò si aggiunga le difficoltà sempre più evidenti della scienza nel definire la condizione dei malati 'terminali': sempre più spesso le diagnosi si rivelano errate. I malati terminali hanno momenti di disperazione e in questi momenti credono che la morte sia la soluzione migliore. Questi sentimenti di angoscia a volte durano una settimana, altre un mese, ma nella mia lunga esperienza ho incontrato tanti malati che, passato il brutto momento, mi hanno detto che non avrebbero mai creduto di poter gioire di nuovo della vita. Il ricovero, anche se breve, anche se non completo, è sempre accaduto dopo cure palliative adeguate, dopo che è stato ridato valore alla vita di un paziente».
Le cure palliative potrebbero dunque essere la vera risposta a questi malati?
«Non ho mai pensato che le cure palliative siano una bacchetta magica: le persone soffrono e la sofferenza fa parte dell’esistenza umana. Ma se eliminiamo il dovere di prenderci cura dei nostri simili dalla nostra società e se ai vulnerabili togliamo la protezione garantita dalla legge, saremo messi di fronte a conseguenze che non avevamo mai desiderato in primo luogo. Alle persone vanno garantite delle scelte, delle vere scelte, affinché possano vivere e morire bene invece di spingerle a pensare che una vita più corta sia l’unica soluzione disponibile».
È stato spesso detto che curare un ma lato terminale sia molto più caro che aiutarlo a morire. E così?
«Lo scopo delle cure palliative è quello di aiutare le persone, di migliorare la qualità della loro vita. Non è un lavoro facile. Purtroppo viviamo in una società in cui dobbiamo lottare per ottenere risorse ed è troppo facile fare tagli e sostenere che alcune vite vanno la pena di essere vissute più di altre. Ma nel momento in cui si decide di prendere delle scorciatoie si avvalla la disperazione di questi malati. Il messaggio che ricevono è che sarebbe meglio per tutti se morissero. E questo non è certo dar loro una scelta».


Lobby all’assalto della legge 40. E chi la difende? - Forti dei risultati già ottenuti per via giudiziaria, ora i gruppi legati ai radicali e a interessi ben identificati si apprestano a sfidare anche il divieto di fecondazione eterologa Ma nella politica molti tra quelli che potrebbero attivarsi sembrano assistere senza batter ciglio alla guerra dichiarata contro una legge dello Stato, confermata da un referendum popolare. - di Domenico Delle Foglie – Avvenire, 4 febbraio 2010
Il seminario era a porte chiuse, ma ci ha pensato L’Espresso a far sapere al mondo intero che c’è «un gruppo che si prepara a dare l’assalto all’ultimo tabù della legge 40, sulla fecondazione assistita, il divieto della fecondazione eterologa». Parole testuali di Chiara Valentini, la giornalista invitata ad Acireale da Nino Guglielmino, ginecologo di Catania. «Dopo la sconfitta del referendum – scrive la giornalista – Guglielmino era stato fra i più decisi a percorrere la strada giudiziaria. E infatti dal suo centro Hera, uno dei più grandi d’Italia, vengono parecchie delle coppie che con i loro ricorsi ai Tribunali e ai Tar hanno consentito alla Corte costituzionale di rimettere mano alla legge». Abbiamo preferito utilizzare il testo dell’articolo, piuttosto che sintetizzare, poiché fotografa la situazione e ci dà la misura esatta dell’operazione che sta per prendere le mosse in questi giorni. Ripropone, infatti, in tutta la sua drammaticità, l’attacco a una legge dello Stato, confermata da un referendum democratico, ma che in questo momento sembra non avere più né padri né difensori all’altezza della sfida.
Sembra quasi che sia in Parlamento sia nel governo, fatte alcune debite e virtuose eccezioni, non ci sia nessuno che voglia difendere questa legge dagli assalti di quanti mostrano senza alcuna remora il loro volto e i loro interessi di natura marcatamente lobbystica.

Eppure, i sostenitori dell’eterologa sanno bene che questo è uno dei temi sui quali c’è, in assoluto, il minor consenso sia da parte dell’opinione pubblica sia da parte delle stesse coppie con problemi di fertilità.
Sanno bene che nel profondo delle coscienze degli uomini e delle donne del nostro Paese c’è la consapevolezza che un figlio debba poter avere certezza sull’identità dei propri genitori, eppure questo non li ferma. Anzi, li rende ancor più aggressivi e determinati nel pressare alcune coppie perché agiscano in Tribunale. «Ricordatevi – riporta la giornalista – che pochi accettano di parlare in pubblico della propria sterilità». E così già prevedono che sarà difficile trovare coppie disposte a ricorrere in Tribunale, ma vedrete che con il loro pressing ci riusciranno. Forti anche dei risultati già ottenuti: eliminazione del limite dei tre ovociti, che una volta fecondati andavano impiantati tutti (Corte costituzionale dopo sentenza del Tar); abolizione del divieto di crioconservazione degli embrioni e quindi porte aperte alla diagnosi preimpianto (casi specifici previa sentenza, vedi Tribunale di Salerno). In questo scenario svolge un ruolo decisivo la Consulta, chiamata direttamente in causa dalla lobby dell’eterologa, di cui già presumono un orientamento accondiscendente.
Del resto, già nel caso degli ovociti, la Corte costituzionale ha vestito gli abiti dell’arbitro favorevole, in barba ad ogni principio di precauzione, ma soprattutto incurante della dignità dell’embrione sancita nell’articolo 1 della Legge 40. In sintesi: addio embrione, addio Legge 40.
Ma di questo la Consulta sembra non preoccuparsi, presa com’è dalla foga di sanzionare quelli che a suo avviso sembrano altrettanti sbreghi al principio di eguaglianza. Se ciò che non è ottenibile mediante la natura è raggiungibile mediante una tecnologia, più o meno invasiva – non importa se il soggetto danneggiato è l’embrione – perché arrendersi dinanzi a questa situazione percepita come un’ineguaglianza? Ecco svelato il meccanismo che sancisce sempre e comunque uno stato di minorità dell’embrione, a cui la Corte non ha inteso sino a oggi porre rimedio.
L’
embrione è percepito dalla Corte costituzionale, in barba alla legge 40, come un soggetto portatore di diritti inferiori. Fa scuola, insomma, la legge 194, con la posizione preminente della madre sul concepito. Per estensione, nel caso della Legge 40, mettendo in conflitto «le giuste esigenze della procreazione» e i diritti dell’embrione, si preconizza di far pendere automaticamente la bilancia dalla parte degli adulti.
Fra il diritto di una coppia infertile ad avere un figlio anche attraverso l’eterologa e il diritto del figlio ad avere un’identità genetica certa, state sicuri che prevarranno i diritti dei più forti. Ovvero di tutti gli adulti in campo: genitori, medici, magistrati, lobby. A chi volete che importi il diritto dell’embrione, vero e unico soggetto debole di questa partita?
Fermi come siamo nella consapevolezza che le leggi dello Stato siano solo gli strumenti che le democrazie si danno per regolare la vita comune e perciò lungi da noi l’idea di volerne assolutizzare il valore, siamo però sconcertati dalla leggerezza con la quale un Parlamento e un governo possano lasciar morire una legge 'ragionevole' come quella sulla procreazione medicalmente assistita. Tocca forse alla società civile fare la guerra alle lobby? E con quali strumenti giuridici a disposizione, visto che ogni refolo viene colto dai tribunali e dalla Consulta come un uragano? È come se in certe aule si sappia dire solo 'sì', assecondando ogni desiderio dell’uomo moderno. Perché dire 'no' costa una fatica improba. È impopolare, poco chic e anche politicamente scorretto. Sarà che anche i nostri magistrati sono figli di questo tempo del 'sì' senza condizione e del 'no' impraticabile. Incapaci di vedere la vita che c’è nell’embrione.
Ecco, ci vorrebbe un ministro.
Magari un ministro della Salute che alzasse la sua voce per difendere le ragioni dell’embrione e che sapesse fronteggiare le lobby e magari sapesse anche motivare l’opinione pubblica in difesa di una legge dello Stato. Un defensor legis convinto e convincente, forte anche di una maggioranza parlamentare trasversale, altrettanto convinta e convincente.
Nel frattempo, per quello che vale, a noi tocca continuare senza remore e debolezze la nostra buona battaglia culturale per l’umano, che anche una legge imperfetta come quella sulla procreazione medicalmente assistita in qualche misura tutelava, operando per la riduzione del danno. Perché questo è, e non altro, il divieto alla fecondazione eterologa sancito da una legge dello Stato per tutti i cittadini: pura e semplice riduzione del danno.
Ché i cattolici, per conto loro, alla fecondazione artificiale non dovrebbero fare ricorso in nessun caso. Giusto per parlar chiaro e non essere fraintesi.


«Nuove staminali», siamo alla svolta decisiva? - di Alessandra Turchetti – Avvenire, 4 febbraio 2010
Chi nel panorama della ricerca se gue l’evoluzione degli studi sulle staminali adulte in qualche modo si aspettava il risultato reso pubblico appena una settimana fa dall’Università di Stanford: cellule di rettamente trasformate in neuroni, senza la necessità della riprogrammazione (cioè del loro ringiovanimento a uno stato simil-embrionale). «Si tratta di una notizia molto importante», commenta Paolo De Coppi, il ricercatore italiano che ha scoper to la presenza di cellule staminali nel li quido amniotico con capacità simili a quelle embrionali: «Utilizzando una mix di geni specifici il gruppo di Wernig ha scoperto che cellule della pelle di embrione di topo e anche di topo neonato posso no essere 'transdifferenziate' in cellule neuronali». Un’operazione – lo ricordiamo – che non presuppone la distruzione di embrioni per la ricerca, proprio come quella con cui Yamanaka ottenne le prime cellule «ringiovaite» (le cosiddette pluripotenti indotte). «È un altro grosso passo a vanti nel campo della medicina rigenerativa – continua De Coppi – che mostra co me, probabilmente, non sarà necessario nemmeno riprogrammare completamente una cellula per ottenerne il cambiamento, evitando così anche i rischi associati a tale processo come ad esempio la tumorigene­si, ma semplicemente basterà indirizzarla verso il tessuto di interesse». Rimane però aperto un quesito, almeno secondo il ricer catore emigrato a Londra: se tale processo, cioè, «sarà possibile anche per tessuti più distanti, cioè provenienti da foglietti germinali diversi (in questo caso, pelle e tessuto nervoso hanno la stessa origine, ndr)».
« Ritengo questa scoperta di grande interesse. Come sempre, si aprono orizzonti nuovi per la conoscenza scientifica», afferma dal canto suo Ornella Parolini, direttore del Centro di ricerca 'Eugenia Menni' (Crem) della Fondazione Poliambulanza di Brescia, ricercatrice di fama internazionale nel campo delle staminali isolate da placenta. «Sicuramente in linea con una ricerca etica. Credo però che non si possa concludere che questi risultati tolgano valore o possano cambiare la visione del concetto di staminalità o dell’utilizzo di staminali nella medicina rigenerativa. Gli studi sono infatti preliminari e sono condotti, per il momento, solo su cellule di topo e su una popolazione eterogenea contenente anche cellule non completamente differenziate, pertanto vanno estesi anche ad altre popolazioni cellulari, come gli stessi autori suggeriscono». La Parolini si chiede poi se il fenomeno sia reversibile: se queste cellule, cioè, una volta trapiantate in vivo rimangano neuroni oppure continuino a mantenere anche le caratteristiche delle cellule di partenza, che potrebbero non essere richieste e neppure desiderate là dove vengono impiantate. Altro punto critico per la Parolini sono i lentivirus impiegati come vettori per introdurre i geni: «Sappiamo che possono essere pericolosi se si integrano in punti incontrollati del Dna – spiega –. Insomma, complimenti agli autori, ma occorrerà ancora tanto lavoro e verifiche per parlare di rivoluzione nella clinica».
« Questo risultato migliora lo scenario già esistente», aggiunge Angelo Vescovi, illustre studioso delle staminali neuronali. «E mi fa molto piacere che ora la tecnica del transdifferenziamento riceva la dovuta attenzione, cosa che non accadeva anni fa.
Nel 1999, infatti, pubblicai un lavoro su Science insieme con il collega canadese Chris Bjornson: riuscimmo a ottenere la trasformazione di staminali adulte neuronali in cellule del sangue ma allora la notizia non suscitò lo stesso interesse né era facile trovare finanziamenti per questo filone di ricerca.
Ben venga, dunque, la svolta. Il risultato raggiunto è coerente con l’espansione degli studi sulle staminali a cui abbiamo assistito negli ultimissimi anni, a partire dal boom della riprogrammazione messa a punto da Yamanaka per ottenere le staminali pluripotenti indotte, le cosiddette 'Ips'. Qui si salta il passaggio all’indietro ma non si perde affatto il concetto di staminalità che è il presupposto di questo ulteriore avanzamento. Sono, cioè, tutti aspetti di uno stesso fenomeno che dimostrano come il destino di una cellula adulta non è affatto immodificabile».