Nella rassegna stampa di oggi:
1) Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 2009 - "La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana"
2) SPAGNA/ Zapatero fa marcia indietro sull’aborto... - Ignacio Santa María - mercoledì 1 aprile 2009 – ilsussidiario.net
3) Come cambia il sogno americano - Lorenzo Albacete - mercoledì 1 aprile 2009 – ilsussidiario.net
4) Arcivescovo Sako: “La situazione dei cristiani in Iraq è una tragedia”
5) Il patriarca di Venezia ha fatto un sogno: il meticciato di civiltà - E un suo amico filosofo ha scritto come arrivarci. Ma tra le religioni la strada è accidentata, specie tra cristianesimo e islam. L'arcivescovo Teissier racconta ciò che accade nella sua Algeria, divisa tra repressione e rispetto della libertà religiosa - di Sandro Magister
6) IN MARGINE A UNA VICENDA SCOLASTICA NOVARESE - Adulti ridotti a babbei. - Il sesso nuovo totalitarismo - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 1 aprile 2009
Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 2009 - "La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana"
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 31 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio del Papa per la 46.ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema: "La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana", che si celebrerà il 3 maggio 2009, IV Domenica di Pasqua.
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Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
In occasione della prossima Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, che sarà celebrata il 3 maggio 2009, Quarta Domenica di Pasqua, mi è gradito invitare l’intero Popolo di Dio a riflettere sul tema: La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana. Risuona perenne nella Chiesa l’esortazione di Gesù ai suoi discepoli: "Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,38). Pregate! Il pressante appello del Signore sottolinea come la preghiera per le vocazioni debba essere ininterrotta e fiduciosa. Solamente se animata dalla preghiera infatti, la comunità cristiana può effettivamente "avere maggiore fede e speranza nella iniziativa divina" (Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 26).
La vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata costituisce uno speciale dono divino, che si inserisce nel vasto progetto d’amore e di salvezza che Iddio ha su ogni uomo e per 1’intera umanità. L’apostolo Paolo, che ricordiamo in modo speciale durante quest’Anno Paolino nel bimillenario della sua nascita, scrivendo agli Efesini afferma: "Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo, in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità" (Ef 1,3-4). Nell’universale chiamata alla santità risalta la peculiare iniziativa di Dio, con cui sceglie alcuni perché seguano più da vicino il suo Figlio Gesù Cristo, e di lui siano ministri e testimoni privilegiati. Il divino Maestro chiamò personalmente gli Apostoli "perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni" (Mc 3,14-15); essi, a loro volta, si sono associati altri discepoli, fedeli collaboratori nel ministero missionario. E così, rispondendo alla chiamata del Signore e docili all’azione dello Spirito Santo, schiere innumerevoli di presbiteri e di persone consacrate, nel corso dei secoli, si sono poste nella Chiesa a totale servizio del Vangelo. Rendiamo grazie al Signore che anche oggi continua a convocare operai per la sua vigna. Se è pur vero che in talune regioni della terra si registra una preoccupante carenza di presbiteri, e che difficoltà e ostacoli accompagnano il cammino della Chiesa, ci sorregge l’incrollabile certezza che a guidarla saldamente nei sentieri del tempo verso il compimento definitivo del Regno è Lui, il Signore, che liberamente sceglie e invita alla sua sequela persone di ogni cultura e di ogni età, secondo gli imperscrutabili disegni del suo amore misericordioso.
Nostro primo dovere è pertanto di mantenere viva, con preghiera incessante, questa invocazione dell’iniziativa divina nelle famiglie e nelle parrocchie, nei movimenti e nelle associazioni impegnati nell’apostolato, nelle comunità religiose e in tutte le articolazioni della vita diocesana. Dobbiamo pregare perché 1’intero popolo cristiano cresca nella fiducia in Dio, persuaso che il "padrone della messe" non cessa di chiedere ad alcuni di impegnare liberamente la loro esistenza per collaborare con lui più strettamente nell’opera della salvezza. E da parte di quanti sono chiamati si esige attento ascolto e prudente discernimento, generosa e pronta adesione al progetto divino, serio approfondimento di ciò che è proprio della vocazione sacerdotale e religiosa per corrispondervi in modo responsabile e convinto. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda opportunamente che la libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo. Una risposta positiva che presuppone sempre 1’accettazione e la condivisione del progetto che Dio ha su ciascuno; una risposta che accolga 1’iniziativa d’amore del Signore e diventi per chi è chiamato un’esigenza morale vincolante, un riconoscente omaggio a Dio e una totale cooperazione al piano che Egli persegue nella storia (cfr n. 2062).
Contemplando il mistero eucaristico, che esprime in modo sommo il libero dono fatto dal Padre nella Persona del Figlio Unigenito per la salvezza degli uomini, e la piena e docile disponibilità di Cristo nel bere fino in fondo il "calice" della volontà di Dio (cfr Mt 26,39), comprendiamo meglio come "la fiducia nell’iniziativa di Dio" modelli e dia valore alla "risposta umana". Nell’Eucaristia, il dono perfetto che realizza il progetto d’amore per la redenzione del mondo, Gesù si immola liberamente per la salvezza dell’umanità. "La Chiesa - ha scritto il mio amato predecessore Giovanni Paolo II - ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza" (Enc. Ecclesia de Eucharistia, 11).
A perpetuare questo mistero salvifico nei secoli, sino al ritorno glorioso del Signore, sono destinati i presbiteri, che proprio in Cristo eucaristico possono contemplare il modello esimio di un "dialogo vocazionale" tra la libera iniziativa del Padre e la fiduciosa risposta del Cristo. Nella celebrazione eucaristica è Cristo stesso che agisce in coloro che Egli sceglie come suoi ministri; li sostiene perché la loro risposta si sviluppi in una dimensione di fiducia e di gratitudine che dirada ogni paura, anche quando si fa più forte 1’esperienza della propria debolezza (cfr Rm 8,26-30), o si fa più aspro il contesto di incomprensione o addirittura di persecuzione (cfr Rm 8,35-39).
La consapevolezza di essere salvati dall’amore di Cristo, che ogni Santa Messa alimenta nei credenti e specialmente nei sacerdoti, non può non suscitare in essi un fiducioso abbandono in Cristo che ha dato la vita per noi. Credere nel Signore ed accettare il suo dono, porta dunque ad affidarsi a Lui con animo grato aderendo al suo progetto salvifico. Se questo avviene, il "chiamato" abbandona volentieri tutto e si pone alla scuola del divino Maestro; ha inizio allora un fecondo dialogo tra Dio e l’uomo, un misterioso incontro tra l’amore del Signore che chiama e la libertà dell’uomo che nell’amore gli risponde, sentendo risuonare nel suo animo le parole di Gesù: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,16).
Questo intreccio d’amore tra l’iniziativa divina e la risposta umana è presente pure, in maniera mirabile, nella vocazione alla vita consacrata. Ricorda il Concilio Vaticano II: "I consigli evangelici della castità consacrata a Dio, della povertà e dell’obbedienza, essendo fondati sulle parole e sugli esempi del Signore, e raccomandati dagli Apostoli, dai Padri, dai dottori e dai pastori della Chiesa, sono un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva" (Cost. Lumen gentium, 43). Ancora una volta, è Gesù il modello esemplare di totale e fiduciosa adesione alla volontà del Padre, a cui ogni persona consacrata deve guardare. Attratti da lui, fin dai primi secoli del cristianesimo, molti uomini e donne hanno abbandonato famiglia, possedimenti, ricchezze materiali e tutto quello che umanamente è desiderabile, per seguire generosamente il Cristo e vivere senza compromessi il suo Vangelo, diventato per essi scuola di radicale santità. Anche oggi molti percorrono questo stesso esigente itinerario di perfezione evangelica, e realizzano la loro vocazione con la professione dei consigli evangelici. La testimonianza di questi nostri fratelli e sorelle, nei monasteri di vita contemplativa come negli istituti e nelle congregazioni di vita apostolica, ricorda al popolo di Dio "quel mistero del Regno di Dio che già opera nella storia, ma attende la sua piena attuazione nei cieli" (Esort. ap. postsinodale Vita consecrata, 1).
Chi può ritenersi degno di accedere al ministero sacerdotale? Chi può abbracciare la vita consacrata contando solo sulle sue umane risorse? Ancora una volta, è utile ribadire che la risposta dell’uomo alla chiamata divina, quando si è consapevoli che è Dio a prendere l’iniziativa ed è ancora lui a portare a termine il suo progetto salvifico, non si riveste mai del calcolo timoroso del servo pigro che per paura nascose sotto terra il talento affidatogli (cfr Mt 25,14-30), ma si esprime in una pronta adesione all’invito del Signore, come fece Pietro quando non esitò a gettare nuovamente le reti pur avendo faticato tutta la notte senza prendere nulla, fidandosi della sua parola (cfr Lc 5,5). Senza abdicare affatto alla responsabilità personale, la libera risposta dell’uomo a Dio diviene così "corresponsabilità", responsabilità in e con Cristo, in forza dell’azione del suo Santo Spirito; diventa comunione con Colui che ci rende capaci di portare molto frutto (cfr Gv 15,5).
Emblematica risposta umana, colma di fiducia nell’iniziativa di Dio, è l’"Amen" generoso e pieno della Vergine di Nazaret, pronunciato con umile e decisa adesione ai disegni dell’Altissimo, a Lei comunicati dal messo celeste (cfr Lc 1,38). II suo pronto "si" permise a Lei di diventare la Madre di Dio, la Madre del nostro Salvatore. Maria, dopo questo primo "fiat", tante altre volte dovette ripeterlo, sino al momento culminante della crocifissione di Gesù, quando "stava presso la croce", come annota l’evangelista Giovanni, compartecipe dell’atroce dolore del suo Figlio innocente. E proprio dalla croce, Gesù morente ce l’ha data come Madre ed a Lei ci ha affidati come figli (cfr Gv 19,26-27), Madre specialmente dei sacerdoti e delle persone consacrate. A Lei vorrei affidare quanti avvertono la chiamata di Dio a porsi in cammino nella via del sacerdozio ministeriale o nella vita consacrata.
Cari amici, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà e ai dubbi; fidatevi di Dio e seguite fedelmente Gesù e sarete i testimoni della gioia che scaturisce dall’unione intima con lui. Ad imitazione della Vergine Maria, che le generazioni proclamano beata perché ha creduto (cfr Lc 1,48), impegnatevi con ogni energia spirituale a realizzare il progetto salvifico del Padre celeste, coltivando nel vostro cuore, come Lei, la capacità di stupirvi e di adorare Colui che ha il potere di fare "grandi cose" perché Santo è il suo nome (cfr ibid., 1,49).
Dal Vaticano, 20 Gennaio 2009
BENEDICTUS PP. XVI
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
SPAGNA/ Zapatero fa marcia indietro sull’aborto... - Ignacio Santa María - mercoledì 1 aprile 2009 – ilsussidiario.net
La debolezza parlamentare del Psoe e l’insperato, ma necessario, dibattito sociale che si è creato intorno alla nuova legge sull’aborto hanno fatto sì che il Governo pensi a una piccola retromarcia rispetto al progetto iniziale. Sfortunamente, queste modifiche non riguardano la questione di fondo: se questa legge viene approvata, lo Stato considererà la vita di una persona solamente come il frutto di un calcolo interessato e pertanto potrà essere eliminata.
Solamente alcuni mesi fa, quando erano state create parallelamente la sottocommissione parlamentare e il cosiddetto gruppo di esperti nominati dal ministro Aído per preparare una nuova legge sull’aborto, era impensabile che in Spagna si potesse aprire un dibattito pubblico sulla questione con l’intensità e nei termini con cui sta avanzando da alcuni giorni.
La solitudine parlamentare in cui è rimasto il Governo socialista dopo le elezioni del 1° marzo, unita all’inizio della campagna della Conferenza Episcopale e al manifesto contro l’aborto firmato da oltre mille scienziati e intellettuali, sono stati i fattori che hanno permesso di aprire un imprenscindibile dibattito di cui si voleva privare la società.
Il manifesto di cui sopra è chiarissimo quando afferma che «un aborto non è solamente l’interruzione della gravidanza ma un atto semplice e crudele di interruzione di una vita umana» che suppone «un dramma con due vittime: una muore e l’altra sopravvive soffrendo quotidianamente le conseguenze di una decisione drammatica e irreparabile».
Tanto la campagna della Chiesa quanto la menzionata “Dichiarazione di Madrid” hanno avuto una ripercussione maggiore di quella che si aspettavano i loro promotori e questo si deve probabilmente alla certezza dei loro fondamenti che si dirigono direttamente a quel fondo di umanità che tutti abbiamo, indipendemente dal fatto che siamo credenti o meno, e dalle nostre preferenze politiche.
Entrambe le iniziative sono riuscite a distruggere il castello di eufemismi dietro al quale si nascondeva la mutazione culturale che implica il fatto di considerare l’aborto come un diritto. È la propria umanità a sentirsi interpellata da questa manifesta ingiustizia. E questo non vuol dire che il dibattito abbia lasciato da parte il fattore religioso, come è stato detto, perché tutto ciò che è profondamente umano è religioso e viceversa.
Il dibattito è vivo e già solamente questo è un motivo di soddisfazione, sebbene non convenga farsi tante illusioni su quello che succederà. Già si conosce l’intenzione del Governo. Invece di ritirarsi o rischiare una sconfitta nei tribunali, vuole ridurre di qualche grado le ambizioni del progetto iniziale, riducendo il periodo in cui è permesso l’aborto e riportando a 18 anni l’età in cui non si ritiene necessario il consenso dei genitori. Con questo probabilmente riuscirà a convincere i deputati ancora reticenti e ad avere i voti sufficienti.
Ma queste “riduzioni” nella legge non cambieranno il problema sostanziale che è la mutazione culturale che la norma introduce. Nel suo tentativo di reinterpretare tutta la realtà a colpi di legge, il Governo sta cercando un’altra volta di fare “pedagogia”, cercando di inoculare nella società una nuova concezione della vita umana, che lo Stato non vedrebbe più come un dono gratuito e di infinito valore, ma come il prodotto di un calcolo interessato della madre che, pertanto, ha il diritto di eliminare. È qualcosa che implica di svalutare la vita di tutti.
Il rifiuto sociale verso la legge non è diretto al numero di settimane o all’età in cui le adoloscenti possono abortire senza il consenso dei genitori, ma al nucleo centrale della questione, e così le “riduzioni” che paventa l’esecutivo socialista non metteranno a tacere le voci libere di chi difende la vita.
Come cambia il sogno americano - Lorenzo Albacete - mercoledì 1 aprile 2009 – ilsussidiario.net
Il primo spettacolo cui ho assistito a Broadway è stato West Side Story, nel 1958, quando iniziai a frequentare l’università. Avevo solo 17 anni. Con un gruppo di amici dell’Università di Washington ero venuto a New York durante le vacanze del Giorno del Ringraziamento per vedere il maggior numero possibile di spettacoli a Broadway. La commedia musicale era centrata sulle tensioni razziali attorno a immigrati portoricani molto poveri che, venuti come cittadini americani nella City alla ricerca del Sogno Americano, si ritrovavano vittime delle discriminazioni razziali dei discendenti dei primi immigrati, irlandesi, polacchi e italiani.
Gli immigrati europei erano bianchi e, in quanto tali, pensavano di avere maggiori probabilità di entrare a far parte della massa degli americani. I portoricani non sembravano bianchi e, nella testa della gente, erano scuri (mi hanno sempre chiesto perché ho capelli biondi e occhi azzurri). Per poter avere successo, i portoricani dovevano pensare e agire alla maniera dei bianchi. West Side Story rappresenta questo conflitto attraverso le canzoni e la danza, secondo una storia che ricalca Romeo e Giulietta di Shakespeare.
Questa settimana, dopo più di cinquant’anni, viene rappresentata a Broadway una nuova versione aggiornata di West Side Story, aprendo un dibattito sui cambiamenti nella composizione etnica degli americani. I dati sono sorprendenti. Secondo il censimento del 2008, afroamericani, ispanici e asiatici costituiranno la maggioranza della popolazione degli Stati Uniti verso il 2042. La maggioranza dei giovani sotto i 18 anni sarà non bianca verso il 2023. Questo significa che ogni bambino nato negli Stati Uniti d’ora in avanti apparterrà a una generazione post-bianca di americani.
Nel passato, come mostra West Side Story, i nativi e gli immigrati non bianchi cercavano di integrarsi il massimo possibile, imparando a parlare inglese senza accento straniero, entrando a far parte di una Chiesa, preferibilmente protestante (la Chiesa cattolica ha tentato per quanto possibile di convincere che il cattolicesimo era compatibile con i valori protestanti, sia progressisti che conservatori), e frequentando le stesse scuole della maggioranza.
Oggi, questo sforzo di assimilazione non è più così rilevante e l’accento è sulle diversità. Nella nuova versione di West Side Story, i portoricani cantano e parlano in spagnolo. Naturalmente, l’elezione a presidente degli Stati Uniti di uno, per metà del Kenya e per metà del Kansas, che si dichiara nero è un esempio sbalorditivo dei cambiamenti avvenuti nel profilo raziale e culturale dell’America. É sorprendente che, nel mezzo di una crisi economica che minaccia la possibilità di esistenza dell’American Dream, la maggioranza degli americani abbia visto la salvezza nell’elezione di un presidente non bianco (i Repubblicani, dal canto loro, hanno eletto un nero alla guida del loro partito e molti guardano a un indiano-americano, governatore della Louisiana, come prossimo possibile candidato alla presidenza).
Quando leggerete queste righe, il presidente Obama sarà in Europa per la prima volta. In relazione a ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti, è altrettanto importante la presenza di Michelle Obama. Tutto ciò comporta cambiamenti che trasformeranno il paese, e quindi il mondo, una volta che la crisi economica sarà passata.
Arcivescovo Sako: “La situazione dei cristiani in Iraq è una tragedia”
MONACO (Germania), giovedì, 1° aprile 2009 (ZENIT.org).- L'Arcivescovo caldeo-cattolico di Kirkuk, monsignor Louis Sako, ha avvertito che si rischia la scomparsa del cristianesimo in Iraq.
In una conferenza stampa svoltasi questo mercoledì a Vienna, spiega un comunicato ricevuto da ZENIT, il presule ha spiegato che i cristiani iracheni hanno sofferto in modo indicibile negli ultimi cinque anni.
Monsignor Sako è intervenuto su invito dell'associazione caritativa cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) e delle organizzazioni Christian Solidarity International in Austria e Pro Oriente, ricordando che questo lustro di guerra è costato la vita a 750 cristiani, tra cui l'Arcivescovo di Mosul, monsignor Paulos Faraj Rahho.
“200.000 cristiani hanno abbandonato il Paese, il che è una tragedia per noi”, ha confessato, chiedendo aiuto per i fedeli perché possano restare in Iraq o tornare nelle proprie case.
L'Arcivescovo ha segnalato che gli emigrati, ora presenti soprattutto in Siria, Giordania, Libano e Turchia, rappresentano “una grande sfida per la Chiesa” e che molte famiglie vivono sfollate in piccole località del nord dell'Iraq dove è molto difficile trovare lavoro.
Ringraziando ACS, Christian Solidarity International in Austria e Pro Oriente per l'aiuto che offrono – perché “in questo modo contribuiscono a che i cristiani non emigrino nonostante la loro situazione difficile” –, ha chiesto anche che si eserciti una maggiore pressione politica sull'Iraq.
A suo avviso, “è una vergogna” che non si rispettino i diritti umani dei cristiani, perché anche loro sono cittadini iracheni. Sono infatti presenti da 2.000 anni nel Paese, ha osservato, e con la loro espulsione si perderebbe anche una parte della cultura e della storia dell'Iraq.
Malgrado le difficoltà, rivela, i cristiani non demordono. “Abbiamo molti problemi, ma anche molte speranza. Non abbiamo paura, ma vogliamo convivere in pace con i musulmani iracheni”.
Per il presule il dialogo tra le due religioni è possibile, “non dal punto di vista teologico, ma come un 'dialogo della vita'”, ma è anche necessario che i musulmani riflettano sul nuovo concetto di “libertà responsabile” dell'uomo e compiano un'interpretazione del Corano adatta ai tempi.
“I musulmani vivono come nel VII secolo, e questo è un problema”, ha osservato.
Allo stesso modo, è problematico che molti iracheni identifichino le truppe statunitensi – che secondo la popolazione hanno invaso il Paese per combattere l'islam – con i cristiani, ma suscita preoccupazione anche il ritiro delle truppe, perché in questo momento il problema principale del Paese è la mancanza di sicurezza, e l'esercito e la polizia iracheni non sono abbastanza forti.
“Sotto il regime di Saddam avevamo sicurezza e non avevamo libertà. Oggi abbiamo libertà, ma abbiamo anche il problema della sicurezza”, ha concluso.
Il patriarca di Venezia ha fatto un sogno: il meticciato di civiltà - E un suo amico filosofo ha scritto come arrivarci. Ma tra le religioni la strada è accidentata, specie tra cristianesimo e islam. L'arcivescovo Teissier racconta ciò che accade nella sua Algeria, divisa tra repressione e rispetto della libertà religiosa - di Sandro Magister
ROMA, 1 aprile 2009 – Sulla copertina del libro ci sono una domanda e una foto. La foto mostra la confluenza tra il Rio delle Amazzoni e il Rio Negro: acque di colore diverso che scorrono vicine e poi si mescolano. La domanda è nel titolo: "Meticciato: convivenza o confusione?".
In effetti, nel linguaggio corrente, la parola "meticciato" non gode di buona reputazione. Nata con la mescolanza tra spagnoli e indios dopo la scoperta delle Americhe, fa pensare a conquista e soggiogamento. Oppure, associata al moderno multiculturalismo, evoca confusione, guazzabuglio tra persone e civiltà, giustapposte senza capirsi.
Eppure, proprio sul "meticciato di civiltà" ha scommesso uno degli uomini di Chiesa più impegnati nell'interpretare e orientare i rapporti tra popoli, religioni e culture: il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia.
Il libro è una tappa importante di questo programma. È stampato dalla Marcianum Press, l'editrice del patriarcato di Venezia. L'autore è Paolo Gomarasca, professore di filosofia e antropologia all'Università Cattolica di Milano.
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Il cardinale Scola lanciò per la prima volta l'idea del meticciato nel 2004, quando a Venezia fece nascere una fondazione internazionale finalizzata alla reciproca conoscenza e all'incontro tra l'Occidente e l'islam. Una fondazione chiamata "Oasis", con una rivista dello stesso nome in quattro versioni distinte: in italiano, in francese e arabo, in inglese e arabo, in inglese e urdu.
Per il patriarca di Venezia, il meticciato tra le civiltà è un processo che è sotto gli occhi di tutti, esteso a tutto il mondo e in continua accelerazione, come mai in passato. È un processo che "non chiede il permesso di accadere", semplicemente c'è. Non bisogna illudersi di fermarlo. È doveroso invece giudicarlo criticamente e "orientarlo verso stili di vita buona, personale e sociale". A maggior ragione "da parte di noi uomini delle religioni, convinti che tutti i popoli sono parte di un'unica famiglia umana e che Dio guida la storia".
Da qui è nata l'idea di mettere ordine in questo processo, anzitutto concettualmente. Il libro del professor Gomarasca ricostruisce la storia del meticciato di civiltà, dalla scoperta delle Americhe a oggi, una storia che è anche storia delle sue interpretazioni più o meno fallimentari, da quella coloniale a quella del multiculturalismo.
Ma Gomarasca non solo osserva e descrive. Indica una direzione di cammino. La categoria chiave che mette in campo è quella di filiazione:
"Il meticcio è una novità che nasce dalla relazione dell'uno con l'altro, ma che non può essere ridotto né all'uno né all'altro, è un effetto che eccede entrambi. Prendiamo ad esempio quello che accadde nel Nuovo Mondo: chi sono i 'mestizos' se non figli, la cui identità mista interroga la coscienza dei loro padri bianchi, che si rendono conto improvvisamente di non poter essere gli unici? La filiazione, come riconoscimento di un'origine comune, è condizione necessaria della vita buona".
La famiglia e la libera società civile sono i naturali "luoghi di riconoscimento" e di messa in opera di questa comunanza tra le persone, i popoli, le culture. E così le religioni:
"Posto che le religioni sono capaci di dare ragioni pubbliche della propria fede, è essenziale valorizzare il contributo di verità che esse possono fornire al pensiero della relazionalità costitutiva dell'umano".
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Negli stessi giorni del lancio del libro di Gomarasca sul meticciato – presentato il 25 marzo a Roma dal cardinale Scola nel palazzo dell'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede – è uscito anche l'ultimo numero della rivista semestrale "Oasis".
Ma più che le virtù del meticciato, questo numero di "Oasis" mette in luce i suoi limiti e i suoi rischi.
Gli articoli raccolti nella rivista riguardano prevalentemente il mondo islamico. E in un precedente lancio della Newsletter che accompagna la rivista "Oasis" il vescovo di Tunisi, Maroun Elias Lahham, aveva messo in guardia dalle illusioni:
"L’islam è una religione e una cultura sicura di sé, che non sente il bisogno di essere arricchita da altri contributi. Nel mio mondo culturale arabo non riesco nemmeno a tradurre la parola ‘meticciato’, se non con valenza negativa: tahjin, ibrido, oppure khalt, mescolanza. Se per meticciato si intende il luogo in cui due identità insieme danno vita a una terza, c'è il rischio che le due identità nell’unirsi perdano una parte di sé. Per me il dialogo interculturale e interreligioso non deve permettere che uno perda neppure una parte della propria identità e della sua fede".
L'articolo riprodotto più sotto è tratto dall'ultimo numero di "Oasis" e riguarda l'Algeria. Ne è autore Henri Teissier, arcivescovo di Algeri per vent'anni, dal 1988 al 2008.
L'Algeria è una nazione nella quale i cristiani sono una piccolissima minoranza che tra il 1994 e il 1996 ha avuto diciannove religiosi martirizzati.
E oggi la vita delle comunità cristiane in Algeria è di nuovo in grave pericolo. L'audace attività missionaria di gruppi "evangelical" ha indurito la repressione.
Nello stesso tempo, però, si registra tra i musulmani algerini una crescente attenzione alla libertà di coscienza e di religione. Se ne scrive, se ne discute, si lanciano appelli perché sia garantita la libertà di convertirsi a un'altra fede.
L'articolo dell'arcivescovo Teissier descrive questo doppio, contrastante processo. La cui parte positiva, dice, non ha eguali oggi in nessun altro paese arabo.
In coda al testo di Teissier sono riportate in questa stessa pagina le parole rivolte da Benedetto XVI a una rappresentanza di musulmani del Camerun, il 19 marzo 2009 a Yaoundé. Il papa non ha usato il termine "meticciato" ma concettualmente vi è andato vicino. In una prospettiva di convivenza, non certo di confusione.
Islam d'Algeria. C'è chi difende la libertà di conversione
di Henri Teissier
In Algeria la relazione islamo-cristiana attraversa un periodo di crisi dopo la pubblicazione da parte dello stato, il 28 febbraio 2006, di un'ordinanza che disciplina l'esercizio dei culti non musulmani. [...] Questo documento è stato integrato, nel maggio 2007, da due decreti applicativi che definiscono le condizioni imposte alle "manifestazioni religiose" dei culti diversi dall'islam.
L'ordinanza del 2006 presenta nel suo preambolo dichiarazioni di principio positive. Essa afferma di avere come obiettivo quello di assicurare la protezione dei culti non musulmani; garantisce la libertà di culto e invita al rispetto delle religioni diverse dall'islam.
Tuttavia, le disposizioni enumerate in seguito lasciano spazio a interpretazioni massimaliste estremamente pregiudizievoli per la pace interreligiosa. Ogni comportamento od ogni parola suscettibile di incitare un musulmano ad abbandonare la sua religione sono puniti con severe pene di prigione, da uno a tre anni, e da multe piuttosto pesanti. Non solo i culti non musulmani sono autorizzati solo nei luoghi pubblici riconosciuti a questo uso ed esplicitamente indicati alle autorità responsabili ma, cosa più grave, ogni attività diversa da quella cultuale è proibita in quegli stessi luoghi di culto. Sarebbe la fine del servizio umanitario della Chiesa: asili, ambulatori, sostegno scolastico, conferenze.
Così questa ordinanza rende sospetta ogni preghiera tra cristiani in un contesto diverso da quello di una chiesa. Ma in questo modo diventano altrettanto sospette l'assistenza religiosa ai lavoratori cristiani stranieri nei cantieri, ai gruppi di pellegrini in marcia verso Tamanrasset, così come le celebrazioni tra gli immigrati che vivono nelle periferie delle città, ma, soprattutto, più generalmente ogni incontro di preghiera cristiana od ogni Eucarestia domestica nei quartieri e nelle città dove non esistono edifici ecclesiastici riconosciuti. [...]
Di fatto le prime misure prese dallo stato algerino sono state dirette contro la Chiesa cattolica. [...] Tra il 7 e il 15 tutte le comunità di religiose e religiosi cattolici in tutti i dipartimenti del nord del paese sono stati convocati e invitati a lasciare l'Algeria per ragioni di sicurezza. A partire dal mese di ottobre del 2007 è diventato quasi impossibile ottenere dei visti per accogliere nuovi religiosi e religiose o volontari laici.
Queste prime misure [...] furono poi seguite da molte altre decisioni: espulsione, il 20 novembre 2007, di quattro volontari brasiliani cristiani invitati in Algeria dall'arcivescovo per servire gli studenti borsisti cristiani provenienti dai paesi lusofoni (Mozambico, Angola, Capo Verde, Guinea Bissau ecc.); divieto di celebrare la messa di Pasqua in un campo petrolifero italiano, per via delle disposizioni contenute nell'ordinanza sui luoghi di culto; rifiuto del visto a diversi responsabili di congregazioni religiose che lavorano in Algeria; rifiuto del visto a una laica con la motivazione, espressamente dichiarata al consolato a Parigi, che lavorava alla delegazione "cattolica" alla cooperazione.
In seguito, non sono mancate, in diversi luoghi e in diverse occasioni, interpretazioni massimaliste dell'ordinanza che disciplina la vita dei culti non musulmani. Un prete cattolico, della diocesi di Orano, don Pierre Wallez, è stato trattenuto per trenta ore alla gendarmeria di Maghnia, il 9 gennaio 2008, per aver pregato, due giorni dopo Natale, con dei cristiani camerunensi che vivevano in una foresta vicino alla frontiera algero-marocchina. In linea di principio l'ordinanza vietava soltanto il "culto" al di fuori di una chiesa. E questo prete si era limitato a compiere una visita pastorale a dei cristiani presso i quali non era stato celebrato nessun "culto", ma soltanto una preghiera condivisa nel contesto della grande festa cristiana del Natale. Questo prete fu condannato in prima istanza a sei mesi di prigione con la condizionale, poi, il 9 aprile 2008, a due mesi di prigione con la condizionale in seconda istanza, quando queste visite agli immigrati avevano luogo da più di dieci anni e dopo che le autorità algerine responsabili ne erano state informate dal vescovo del luogo. Il medico algerino che in spirito di carità accompagnava il prete in questa visite fu prima condannato a due anni di prigione, pena commutata alla fine in sei mesi con la condizionale, ma col divieto di esercitare la professione di medico nella funzione pubblica.
Nella vita quotidiana, capita che la gendarmeria fermi i preti che circolano per strada e li accusi di proselitismo perché portano con sé la Bibbia e il breviario: così a Sidi Akacha, vicino a Ténès. Cattolici che arrivavano in aereo si sono visti confiscare i loro libri cristiani personali: per esempio all'aeroporto di Batna, nel giugno 2008. Un'insegnante algerina cristiana che aveva con sé un rosario è stata fermata dalla polizia e ha subito un interrogatorio serrato. Più recentemente, nel giugno scorso, la polizia ha fatto sequestrare dalla dogana tutti gli esemplari ricevuti per posta dei "Prions en Église" e dei "Magnificat", malgrado una lettera di protesta dell'arcivescovo indirizzata al ministero degli affari religiosi rimasta senza risposta. In diverse città si lamenta la chiusura delle attività educative animate dalla Chiesa.
Ma tutte queste misure dipendono, molto spesso, dalle molestie di certi responsabili e non avrebbero avuto grandi conseguenze senza un fatto che ha diffusamente toccato l'opinione pubblica. [...]
***
Da una decina d'anni la stampa algerina presenta regolarmente degli studi sul fenomeno, nuovo in un paese musulmano, della conversione di gruppi di persone di origine musulmana, soprattutto nella regione della Kabilia. [...] In uno di questi saggi, ripreso il 19 marzo 2000 dal giornale francofono di Algeri "Le Soir d'Algérie", si poteva leggere:
"Fatto significativo, la quasi totalità dei membri di queste comunità non è affiliata all'entità cattolica, tradizionalmente presente in Algeria. Sono algerini di confessione cristiana, ma di rito protestante. Molti dicono di aver avuto un'avventura spirituale e religiosa in seguito alla quale hanno cambiato vita, altri fanno per la prima volta l'esperienza della fede, ma tutti convergono sulla via di Cristo, affermando di aver ricevuto la sua grazia. Ma da dove nasce il fatto che tutti questi uomini e queste donne abbiano provato un entusiasmo così vivo per la spiritualità abbracciando la religione cristiana? [...] È forse l'espressione di una ricerca identitaria? [...] Si tratta di un tentativo di riappropriazione dell'eredità di sant'Agostino che si nasconde sotto la cenere dei secoli? Il fenomeno ha qualche legame con l'attualità immediata dell'Algeria, in cui l'islamismo scuote il paese sullo sfondo di violenze assassine? O esprime semplicemente un vezzo alla moda, palliativo di un bisogno passeggero d'identificazione? C'è ancora, dietro questa esperienza spirituale, un desiderio di trascendere la materialità dell'esistenza, una ricerca terapeutica davanti a un'angoscia esistenziale dove la ricerca del senso della vita si è spostata dalla terra verso il cielo?".
Dunque già prima della crisi attuale certi studiosi si erano espressi positivamente sul tema della libertà di coscienza, compreso il diritto per un musulmano di cambiare religione. Ma ciò che è veramente nuovo per un paese arabo, è che l'aggravarsi della situazione provocata dai decreti del 28 febbraio 2006 sta suscitando nell'opinione musulmana liberale in Algeria una reazione collettiva in difesa dei diritti dei nuovi cristiani venuti dall'Islam.
Infatti, dopo la messa in stato di accusa da parte della giustizia di una giovane insegnante algerina di Tiaret, "Habiba", nell'aprile-maggio 2007, che si era convertita al cristianesimo "evangelical", è nato un vero dibattito pubblico nel quale una parte degli interlocutori ha pubblicamente difeso il diritto alla libertà di coscienza di "Habiba" e di tutti gli algerini. Il giornale francofono algerino "El Watan" ha addirittura preso l'iniziativa di pubblicare il 18 marzo 2008 una petizione firmata poi da più di duemila intellettuali algerini e il cui testo recita:
"Giornalisti condannati a pene detentive e minacciati di incarcerazione. Sindacalisti licenziati per aver rivendicato salari decenti. Cristiani vessati per delitto di preghiera. I firmatari, fortemente preoccupati da questa scalata contro le libertà democratiche, esprimono la loro solidarietà con i giornalisti liberi, i sindacati autonomi e la comunità cristiana d'Algeria, bersaglio di misure tanto brutali quanto ingiustificate; riaffermano il loro attaccamento alla libertà d'espressione, al pluralismo sindacale e alla libertà di coscienza, sinonimo del diritto di ognuno di praticare la religione che sceglie o di non praticare affatto; invitano alla tolleranza e al rispetto delle libertà e delle diversità, valori cardinali di ogni società democratica".
Nello stesso senso va la dichiarazione fatta dal "Rassemblement pour la culture et la Démocratie", uno dei principali partiti di opposizione algerini e dal suo presidente Said Saadi, così presentata dal giornale "El Watan" il 28 febbraio 2008:
"La libertà di culto è stata colpita! L'RCD reagisce. Il partito di Said Saadi denuncia infatti gli opinion makers in servizio permanente che hanno lanciato una campagna inquisitoria per denunciare l'evangelizzazione del paese. […] L'RCD ritiene, in un comunicato reso pubblico ieri, che ciò attenta alla costituzione e ai patti internazionali firmati dall'Algeria che garantiscono rispettivamente la libertà di culto e la libertà di coscienza. Secondo Saadi non c'è ombra di dubbio che si tratti di una vera persecuzione condotta contro i cristiani d'Algeria. Questa campagna, portata avanti con un gran clamore mediatico, in apparenza prende la difesa dell'islam, ma in realtà suggella l'alleanza tra il presidente Bouteflika e la corrente islamista radicale".
Si troveranno posizioni simili in una dichiarazione pubblicata dalla "Maison des droits de l'homme e du citoyen de Tizi Ouzou":
"Invitiamo tutti quelli che [...] possono influire sugli eventi a dar prova di saggezza e di senso di responsabilità: l'Algeria non ha bisogno di lanciarsi in una falsa guerra di religione. Per i militanti dei diritti umani, la libertà di culto e di coscienza è un principio intangibile. I poteri pubblici devono vigilare sul rispetto pieno degli obblighi contenuti nei trattati e nelle convenzioni ratificate dall'Algeria".
Il 26 maggio 2008 l'allora capo del governo Belkhadem è stato chiamato direttamente in causa da "Le Soir d'Algérie" in un articolo di Nawel Imès intitolato "Il tempo dell'Inquisizione", sempre sul tema della libertà di coscienza:
"A intervalli regolari, l'islam serve da merce di scambio e le concessioni fatte agli islamisti sono presentate come un male necessario. La messa in opera della riconciliazione nazionale non ha sistemato le cose. Peggio ancora, si assiste a un vigoroso ritorno del religioso. […] Annunciando che 'la società algerina si è legata al santo Corano da quando ha abbracciato l'islam e che il Corano rappresenta la costituzione che essa non accetterà di cambiare', il capo del governo, oltre a violare il principio della libertà di coscienza, non fa che legittimare la caccia ai non musulmani condotta a tambur battente dal ministro degli affari religiosi. In meno di un mese, 25 comunità cristiane si sono viste notificare l'ordine di cessazione di ogni attività. Algerini convertiti al cristianesimo sono perseguiti in via giudiziale e alcuni responsabili di chiese sono costretti a lasciare l'Algeria perché rappresenterebbero 'una minaccia per la sicurezza della nazione'. Più grave ancora, una giovane donna rischia tre anni di prigione a Tiaret. È stata arrestata in possesso di diversi esemplari della Bibbia, ciò che è bastato alla sua imputazione".
Uno dei pensatori contemporanei algerini più in vista, Soheib Bencheikh, residente in Francia ma che si reca in Algeria per delle conferenze, tiene dei discorsi che vanno nello stesso senso, come quello riferito dal giornale "El Watan" il 22 maggio 2008:
"Il legislatore o il moralizzatore non può penetrare nella coscienza delle persone, ha dichiarato Soheib Bencheikh, già mufti di Marsiglia [...] Scoraggiato dalla piega presa dagli eventi, eglil unisce la sua voce a quella di chi denuncia la caccia alle streghe sollevando il paradosso dell'Algeria moderna. Infatti, nel momento in cui si tiene un colloquio internazionale sulla concezione dei diritti dell'uomo secondo l'emiro Abdelkader, con la sottolineatura della sua difesa dei cristiani del Medio Oriente, il tribunale di Tiaret giudica una donna per pratica illegale di una religione diversa dall'Islam. 'La fede non si decide per decreto', dice Bencheikh rifiutando 'questi modi di agire in piena contraddizione con la nostra religione, che favorisce le confessioni e le protegge'. Tutto questo a suon di citazioni di quelle sure che danno un fondamento alle sue dichiarazioni, segnatamente i versetti sulla tolleranza, la diversità religiosa e la non costrizione".
Al di là di queste prese di posizione dell'opinione pubblica liberale in Algeria, è molto significativo che il ministro degli affari religiosi Ghoulamallah abbia dichiarato a più riprese di sostenere la libertà di coscienza, ivi compresa la possibilità per un musulmano di cambiare religione, aggiungendo che quello che lo stato algerino teme è la costituzione di minoranza religiose che cerchino appoggi all'estero per difendere i loro diritti.
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Si sa che il dibattito, nel mondo islamico, sullo statuto del musulmano che abbandona l'islam per convertirsi a un'altra religione, il murtadd, è un dibattito antico e oggi molto attuale. Il Corano minaccia l'apostata solo di pene nell'altro mondo (vedi ad esempio 16, 108). Ma vi sono hadîth che prevedono la messa a morte dell'apostata. I fuqahâ’, gli specialisti della sharî'a, dibattono per sapere come interpretare questa tradizione. Certi esegeti contemporanei dicono che bisogna tener conto del fatto che i versetti radicali sono stati pronunciati in un contesto in cui si profilava la minaccia di una rivolta generale delle tribù della penisola arabica, che avrebbe messo in pericolo l'esistenza stessa del giovane stato musulmano, come effettivamente avvenne sotto il califfato di Abu Bakr. Di conseguenza, questi versetti andrebbero compresi come una condanna del tradimento in caso di pericolo della nazione e il principio "non vi sia costrizione nella fede" rimarrebbe valido.
Ma il fatto nuovo che lo stato algerino deve affrontare è la conversione di diverse centinaia, forse di diverse migliaia di persone nate in famiglie musulmane, che scelgono pubblicamente di aderire al cristianesimo. Di fatto il dibattito, sulla stampa algerina, non è nato a partire dai criteri propri dell'esegesi musulmana. Per la stampa francofona, generalmente più aperta al rispetto delle convinzioni personali, si è trattato di un dibattito sulla libertà di coscienza, a partire da una prospettiva dei diritti dell'uomo.
Un'evoluzione molto importante si è dunque prodotta in Algeria in occasione di questo movimento di conversioni. Non si tratta più, infatti, di un'opinione privata di uno specialista, ma di una reazione di coscienza espressa da centinaia di giornalisti e da migliaia di intellettuali musulmani che difendono la libertà di coscienza di quelli, tra i loro compatrioti, che hanno scelto di lasciare l'islam per abbracciare un'altra confessione.
Non conosco un altro paese arabo dove vi sia già stato un dibattito di questa ampiezza sulla libertà di coscienza, intesa come libertà per i musulmani di abbandonare la loro religione di nascita per scegliere di aderire liberamente a un'altra confessione di fede.
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Il link alla fondazione internazionale "Oasis", in italiano, inglese, francese, arabo e urdu, con la rivista, la newsletter di notizie e commenti, i libri:
> Oasis
Tra le sue molte attività "Oasis" diffonde on line ogni lunedì, tradotta integralmente in lingua araba, la catechesi di Benedetto XVI all'udienza generale del mercoledì precedente.
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E il papa in Camerun ha detto ai musulmani...
Dal discorso di Benedetto XVI a una rappresentanza di musulmani del Camerun, il 19 marzo 2009 a Yaoundé:
Amici, io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede. Credere in Dio, lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata. Lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso. Siamo chiamati ad aiutare gli altri nello scoprire le tracce discrete e la presenza misteriosa di Dio nel mondo, che Egli ha creato in modo meraviglioso e sostiene con il suo ineffabile amore che abbraccia tutto. Anche se la sua gloria infinita non può mai essere direttamente afferrata in questa vita dalla nostra mente finita, possiamo tuttavia raccoglierne barlumi nella bellezza che ci circonda. Se gli uomini e le donne consentono all’ordine magnifico del mondo e allo splendore della dignità umana di illuminare la loro mente, essi possono scoprire che ciò che è “ragionevole” va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare; il “ragionevole” include anche la bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e secondo l’etica, manifestato a noi mediante lo stesso linguaggio della creazione.
Questa visione ci induce a cercare tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri. In questo modo una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione. In realtà, religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede.
Per questo vi incoraggio, cari amici musulmani, a penetrare la società con i valori che emergono da questa prospettiva ed accrescono la cultura umana, così come insieme lavoriamo per edificare una civiltà dell’amore. Che l’entusiastica cooperazione tra musulmani, cattolici ed altri cristiani in Camerun sia per le altre nazioni africane un faro luminoso sul potenziale enorme di un impegno interreligioso per la pace, la giustizia e il bene comune!
IN MARGINE A UNA VICENDA SCOLASTICA NOVARESE - Adulti ridotti a babbei. - Il sesso nuovo totalitarismo - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 1 aprile 2009
I bambini fanno domande imbarazzanti. È naturale, sono bambini. Chiedere è il loro mestiere, si può dire. E infatti chiedono su tutto: sulla nonna che chissà dove è finita, o su chi ha fatto le montagne. Una volta, uno dei miei figli mi chiese a che punto della Creazione, dopo stelle, mari e uomini, Dio avesse fatto la Ferrari. I nostri piccoli hanno la ragione allo stato naturale: curiosa e spalancata come una finestra che si sta aprendo sul reale. È giusto, è naturale, è bello che facciano domande. Se gli adulti si imbarazzano e non sanno come rispondere o come stare di fronte a tali domande significa che loro, invece, non sono adulti. Soprattutto se uno fa di professione il maestro o la maestra elementare. Questo è il succo, direbbe Manzoni, della faccenda che da Novara è stata molto amplificata su alcuni media, a seguito delle proteste dei genitori di una classe di elementari che non hanno gradito le risposte di una insegnante circa alcune curiosità sul sesso da parte dei suoi bambini.
E ne hanno chiesto la rimozione. Fa quasi sorridere la strana euforia con cui alcuni commentatori hanno ripreso la faccenda, come il simpatico Gramellini sulla Stampa.
Come se la maestra che spiega senza né remore né veli certe 'pratiche' a dei bambinetti fosse quasi una postuma campionessa della liberazione sessuale («forse esagerando», ammette la prima pagina della Stampa,
che peraltro all’interno pubblica le foto scabrose e da pubblica gogna dell’ex potente piemontese Soria). O dall’altra parte, sconforta un po’ la constatazione su quelle pagine e altrove di chi se la cava dicendo: 'ah ma tanto ormai il sesso variamente esibito e interpretato è onnipresente e i bambini vengono a contatto con tante cose e dunque tutto questo è inevitabile.' Di inevitabile appare ormai solo l’impaccio, la mancanza assoluta di delicatezza nel trattare il tema. Di inevitabile purtroppo sembra solo che ci sia la perdita di delicatezza da parte degli adulti a trattare il tema del sesso. Una delicatezza che viene dalla forza. La forza dell’amore. Una delicatezza che dovrebbe guidare gli insegnanti per amore dei ragazzini loro affidati, che dovrebbe correggere la grossolanità di tanti pubblicitari – approvati peraltro da serissimi manager e da consigli di amministrazione –. Una delicatezza che dovrebbe far parte dell’amore che i genitori hanno verso i loro figli. Il sesso trattato senza la delicatezza che viene dal considerarlo una parte dell’amore si trasforma in una pratica, più o meno come una tecnica sportiva, una faccenda su cui si può parlare a vanvera, con la leggerezza acida che è il contrario della delicatezza. E questo capita anche tra genitori, ignari di essere ascoltati dai figli. Eppure, il sesso non è una pratica, ma un gesto d’amore. Un gesto in cui si mettono in moto gli strati profondi dell’offerta e della gioia. Dell’identità e della ricerca.
Sta a vedere che ormai siamo rimasti noi cattolici a prender sul serio, con gioia e delicatezza, il sesso.
Banalizzare queste cose di fronte a dei bambini illustrandone le 'tecniche' come se si trattasse delle istruzioni per costruire una bicicletta è una mancanza suprema di delicatezza. Oltre che un segno di adulti ridotti pericolosamente a babbei. Il che deve far pensare. Poiché, com’è noto, i babbei sono i maggiori alleati del pensiero totalitario. E solo un babbeo, appunto, non si accorge che dietro a questo gonfiare notiziole, a questo confondere le acque addirittura alla faccia dei bambini c’è un montare preciso di un totalitarismo di pensiero che fa a pezzi l’uomo, considerandolo di volta in volta macchina di congegni biologici, macchina di pulsioni sessuali, macchina di pezzi di ricambio, macchina fabbricabile a piacere.
Macchina, automa, a cui il totalitario non-pensiero, concede pure lo svago di qualche pratica sessuale. E se i bambini in fondo se lo ficcano in zucca fin da piccoli, per il non-pensiero totalitario, è meglio...
1) Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 2009 - "La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana"
2) SPAGNA/ Zapatero fa marcia indietro sull’aborto... - Ignacio Santa María - mercoledì 1 aprile 2009 – ilsussidiario.net
3) Come cambia il sogno americano - Lorenzo Albacete - mercoledì 1 aprile 2009 – ilsussidiario.net
4) Arcivescovo Sako: “La situazione dei cristiani in Iraq è una tragedia”
5) Il patriarca di Venezia ha fatto un sogno: il meticciato di civiltà - E un suo amico filosofo ha scritto come arrivarci. Ma tra le religioni la strada è accidentata, specie tra cristianesimo e islam. L'arcivescovo Teissier racconta ciò che accade nella sua Algeria, divisa tra repressione e rispetto della libertà religiosa - di Sandro Magister
6) IN MARGINE A UNA VICENDA SCOLASTICA NOVARESE - Adulti ridotti a babbei. - Il sesso nuovo totalitarismo - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 1 aprile 2009
Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 2009 - "La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana"
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 31 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio del Papa per la 46.ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema: "La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana", che si celebrerà il 3 maggio 2009, IV Domenica di Pasqua.
* * *
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
In occasione della prossima Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, che sarà celebrata il 3 maggio 2009, Quarta Domenica di Pasqua, mi è gradito invitare l’intero Popolo di Dio a riflettere sul tema: La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana. Risuona perenne nella Chiesa l’esortazione di Gesù ai suoi discepoli: "Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,38). Pregate! Il pressante appello del Signore sottolinea come la preghiera per le vocazioni debba essere ininterrotta e fiduciosa. Solamente se animata dalla preghiera infatti, la comunità cristiana può effettivamente "avere maggiore fede e speranza nella iniziativa divina" (Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 26).
La vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata costituisce uno speciale dono divino, che si inserisce nel vasto progetto d’amore e di salvezza che Iddio ha su ogni uomo e per 1’intera umanità. L’apostolo Paolo, che ricordiamo in modo speciale durante quest’Anno Paolino nel bimillenario della sua nascita, scrivendo agli Efesini afferma: "Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo, in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità" (Ef 1,3-4). Nell’universale chiamata alla santità risalta la peculiare iniziativa di Dio, con cui sceglie alcuni perché seguano più da vicino il suo Figlio Gesù Cristo, e di lui siano ministri e testimoni privilegiati. Il divino Maestro chiamò personalmente gli Apostoli "perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni" (Mc 3,14-15); essi, a loro volta, si sono associati altri discepoli, fedeli collaboratori nel ministero missionario. E così, rispondendo alla chiamata del Signore e docili all’azione dello Spirito Santo, schiere innumerevoli di presbiteri e di persone consacrate, nel corso dei secoli, si sono poste nella Chiesa a totale servizio del Vangelo. Rendiamo grazie al Signore che anche oggi continua a convocare operai per la sua vigna. Se è pur vero che in talune regioni della terra si registra una preoccupante carenza di presbiteri, e che difficoltà e ostacoli accompagnano il cammino della Chiesa, ci sorregge l’incrollabile certezza che a guidarla saldamente nei sentieri del tempo verso il compimento definitivo del Regno è Lui, il Signore, che liberamente sceglie e invita alla sua sequela persone di ogni cultura e di ogni età, secondo gli imperscrutabili disegni del suo amore misericordioso.
Nostro primo dovere è pertanto di mantenere viva, con preghiera incessante, questa invocazione dell’iniziativa divina nelle famiglie e nelle parrocchie, nei movimenti e nelle associazioni impegnati nell’apostolato, nelle comunità religiose e in tutte le articolazioni della vita diocesana. Dobbiamo pregare perché 1’intero popolo cristiano cresca nella fiducia in Dio, persuaso che il "padrone della messe" non cessa di chiedere ad alcuni di impegnare liberamente la loro esistenza per collaborare con lui più strettamente nell’opera della salvezza. E da parte di quanti sono chiamati si esige attento ascolto e prudente discernimento, generosa e pronta adesione al progetto divino, serio approfondimento di ciò che è proprio della vocazione sacerdotale e religiosa per corrispondervi in modo responsabile e convinto. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda opportunamente che la libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo. Una risposta positiva che presuppone sempre 1’accettazione e la condivisione del progetto che Dio ha su ciascuno; una risposta che accolga 1’iniziativa d’amore del Signore e diventi per chi è chiamato un’esigenza morale vincolante, un riconoscente omaggio a Dio e una totale cooperazione al piano che Egli persegue nella storia (cfr n. 2062).
Contemplando il mistero eucaristico, che esprime in modo sommo il libero dono fatto dal Padre nella Persona del Figlio Unigenito per la salvezza degli uomini, e la piena e docile disponibilità di Cristo nel bere fino in fondo il "calice" della volontà di Dio (cfr Mt 26,39), comprendiamo meglio come "la fiducia nell’iniziativa di Dio" modelli e dia valore alla "risposta umana". Nell’Eucaristia, il dono perfetto che realizza il progetto d’amore per la redenzione del mondo, Gesù si immola liberamente per la salvezza dell’umanità. "La Chiesa - ha scritto il mio amato predecessore Giovanni Paolo II - ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza" (Enc. Ecclesia de Eucharistia, 11).
A perpetuare questo mistero salvifico nei secoli, sino al ritorno glorioso del Signore, sono destinati i presbiteri, che proprio in Cristo eucaristico possono contemplare il modello esimio di un "dialogo vocazionale" tra la libera iniziativa del Padre e la fiduciosa risposta del Cristo. Nella celebrazione eucaristica è Cristo stesso che agisce in coloro che Egli sceglie come suoi ministri; li sostiene perché la loro risposta si sviluppi in una dimensione di fiducia e di gratitudine che dirada ogni paura, anche quando si fa più forte 1’esperienza della propria debolezza (cfr Rm 8,26-30), o si fa più aspro il contesto di incomprensione o addirittura di persecuzione (cfr Rm 8,35-39).
La consapevolezza di essere salvati dall’amore di Cristo, che ogni Santa Messa alimenta nei credenti e specialmente nei sacerdoti, non può non suscitare in essi un fiducioso abbandono in Cristo che ha dato la vita per noi. Credere nel Signore ed accettare il suo dono, porta dunque ad affidarsi a Lui con animo grato aderendo al suo progetto salvifico. Se questo avviene, il "chiamato" abbandona volentieri tutto e si pone alla scuola del divino Maestro; ha inizio allora un fecondo dialogo tra Dio e l’uomo, un misterioso incontro tra l’amore del Signore che chiama e la libertà dell’uomo che nell’amore gli risponde, sentendo risuonare nel suo animo le parole di Gesù: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,16).
Questo intreccio d’amore tra l’iniziativa divina e la risposta umana è presente pure, in maniera mirabile, nella vocazione alla vita consacrata. Ricorda il Concilio Vaticano II: "I consigli evangelici della castità consacrata a Dio, della povertà e dell’obbedienza, essendo fondati sulle parole e sugli esempi del Signore, e raccomandati dagli Apostoli, dai Padri, dai dottori e dai pastori della Chiesa, sono un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva" (Cost. Lumen gentium, 43). Ancora una volta, è Gesù il modello esemplare di totale e fiduciosa adesione alla volontà del Padre, a cui ogni persona consacrata deve guardare. Attratti da lui, fin dai primi secoli del cristianesimo, molti uomini e donne hanno abbandonato famiglia, possedimenti, ricchezze materiali e tutto quello che umanamente è desiderabile, per seguire generosamente il Cristo e vivere senza compromessi il suo Vangelo, diventato per essi scuola di radicale santità. Anche oggi molti percorrono questo stesso esigente itinerario di perfezione evangelica, e realizzano la loro vocazione con la professione dei consigli evangelici. La testimonianza di questi nostri fratelli e sorelle, nei monasteri di vita contemplativa come negli istituti e nelle congregazioni di vita apostolica, ricorda al popolo di Dio "quel mistero del Regno di Dio che già opera nella storia, ma attende la sua piena attuazione nei cieli" (Esort. ap. postsinodale Vita consecrata, 1).
Chi può ritenersi degno di accedere al ministero sacerdotale? Chi può abbracciare la vita consacrata contando solo sulle sue umane risorse? Ancora una volta, è utile ribadire che la risposta dell’uomo alla chiamata divina, quando si è consapevoli che è Dio a prendere l’iniziativa ed è ancora lui a portare a termine il suo progetto salvifico, non si riveste mai del calcolo timoroso del servo pigro che per paura nascose sotto terra il talento affidatogli (cfr Mt 25,14-30), ma si esprime in una pronta adesione all’invito del Signore, come fece Pietro quando non esitò a gettare nuovamente le reti pur avendo faticato tutta la notte senza prendere nulla, fidandosi della sua parola (cfr Lc 5,5). Senza abdicare affatto alla responsabilità personale, la libera risposta dell’uomo a Dio diviene così "corresponsabilità", responsabilità in e con Cristo, in forza dell’azione del suo Santo Spirito; diventa comunione con Colui che ci rende capaci di portare molto frutto (cfr Gv 15,5).
Emblematica risposta umana, colma di fiducia nell’iniziativa di Dio, è l’"Amen" generoso e pieno della Vergine di Nazaret, pronunciato con umile e decisa adesione ai disegni dell’Altissimo, a Lei comunicati dal messo celeste (cfr Lc 1,38). II suo pronto "si" permise a Lei di diventare la Madre di Dio, la Madre del nostro Salvatore. Maria, dopo questo primo "fiat", tante altre volte dovette ripeterlo, sino al momento culminante della crocifissione di Gesù, quando "stava presso la croce", come annota l’evangelista Giovanni, compartecipe dell’atroce dolore del suo Figlio innocente. E proprio dalla croce, Gesù morente ce l’ha data come Madre ed a Lei ci ha affidati come figli (cfr Gv 19,26-27), Madre specialmente dei sacerdoti e delle persone consacrate. A Lei vorrei affidare quanti avvertono la chiamata di Dio a porsi in cammino nella via del sacerdozio ministeriale o nella vita consacrata.
Cari amici, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà e ai dubbi; fidatevi di Dio e seguite fedelmente Gesù e sarete i testimoni della gioia che scaturisce dall’unione intima con lui. Ad imitazione della Vergine Maria, che le generazioni proclamano beata perché ha creduto (cfr Lc 1,48), impegnatevi con ogni energia spirituale a realizzare il progetto salvifico del Padre celeste, coltivando nel vostro cuore, come Lei, la capacità di stupirvi e di adorare Colui che ha il potere di fare "grandi cose" perché Santo è il suo nome (cfr ibid., 1,49).
Dal Vaticano, 20 Gennaio 2009
BENEDICTUS PP. XVI
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SPAGNA/ Zapatero fa marcia indietro sull’aborto... - Ignacio Santa María - mercoledì 1 aprile 2009 – ilsussidiario.net
La debolezza parlamentare del Psoe e l’insperato, ma necessario, dibattito sociale che si è creato intorno alla nuova legge sull’aborto hanno fatto sì che il Governo pensi a una piccola retromarcia rispetto al progetto iniziale. Sfortunamente, queste modifiche non riguardano la questione di fondo: se questa legge viene approvata, lo Stato considererà la vita di una persona solamente come il frutto di un calcolo interessato e pertanto potrà essere eliminata.
Solamente alcuni mesi fa, quando erano state create parallelamente la sottocommissione parlamentare e il cosiddetto gruppo di esperti nominati dal ministro Aído per preparare una nuova legge sull’aborto, era impensabile che in Spagna si potesse aprire un dibattito pubblico sulla questione con l’intensità e nei termini con cui sta avanzando da alcuni giorni.
La solitudine parlamentare in cui è rimasto il Governo socialista dopo le elezioni del 1° marzo, unita all’inizio della campagna della Conferenza Episcopale e al manifesto contro l’aborto firmato da oltre mille scienziati e intellettuali, sono stati i fattori che hanno permesso di aprire un imprenscindibile dibattito di cui si voleva privare la società.
Il manifesto di cui sopra è chiarissimo quando afferma che «un aborto non è solamente l’interruzione della gravidanza ma un atto semplice e crudele di interruzione di una vita umana» che suppone «un dramma con due vittime: una muore e l’altra sopravvive soffrendo quotidianamente le conseguenze di una decisione drammatica e irreparabile».
Tanto la campagna della Chiesa quanto la menzionata “Dichiarazione di Madrid” hanno avuto una ripercussione maggiore di quella che si aspettavano i loro promotori e questo si deve probabilmente alla certezza dei loro fondamenti che si dirigono direttamente a quel fondo di umanità che tutti abbiamo, indipendemente dal fatto che siamo credenti o meno, e dalle nostre preferenze politiche.
Entrambe le iniziative sono riuscite a distruggere il castello di eufemismi dietro al quale si nascondeva la mutazione culturale che implica il fatto di considerare l’aborto come un diritto. È la propria umanità a sentirsi interpellata da questa manifesta ingiustizia. E questo non vuol dire che il dibattito abbia lasciato da parte il fattore religioso, come è stato detto, perché tutto ciò che è profondamente umano è religioso e viceversa.
Il dibattito è vivo e già solamente questo è un motivo di soddisfazione, sebbene non convenga farsi tante illusioni su quello che succederà. Già si conosce l’intenzione del Governo. Invece di ritirarsi o rischiare una sconfitta nei tribunali, vuole ridurre di qualche grado le ambizioni del progetto iniziale, riducendo il periodo in cui è permesso l’aborto e riportando a 18 anni l’età in cui non si ritiene necessario il consenso dei genitori. Con questo probabilmente riuscirà a convincere i deputati ancora reticenti e ad avere i voti sufficienti.
Ma queste “riduzioni” nella legge non cambieranno il problema sostanziale che è la mutazione culturale che la norma introduce. Nel suo tentativo di reinterpretare tutta la realtà a colpi di legge, il Governo sta cercando un’altra volta di fare “pedagogia”, cercando di inoculare nella società una nuova concezione della vita umana, che lo Stato non vedrebbe più come un dono gratuito e di infinito valore, ma come il prodotto di un calcolo interessato della madre che, pertanto, ha il diritto di eliminare. È qualcosa che implica di svalutare la vita di tutti.
Il rifiuto sociale verso la legge non è diretto al numero di settimane o all’età in cui le adoloscenti possono abortire senza il consenso dei genitori, ma al nucleo centrale della questione, e così le “riduzioni” che paventa l’esecutivo socialista non metteranno a tacere le voci libere di chi difende la vita.
Come cambia il sogno americano - Lorenzo Albacete - mercoledì 1 aprile 2009 – ilsussidiario.net
Il primo spettacolo cui ho assistito a Broadway è stato West Side Story, nel 1958, quando iniziai a frequentare l’università. Avevo solo 17 anni. Con un gruppo di amici dell’Università di Washington ero venuto a New York durante le vacanze del Giorno del Ringraziamento per vedere il maggior numero possibile di spettacoli a Broadway. La commedia musicale era centrata sulle tensioni razziali attorno a immigrati portoricani molto poveri che, venuti come cittadini americani nella City alla ricerca del Sogno Americano, si ritrovavano vittime delle discriminazioni razziali dei discendenti dei primi immigrati, irlandesi, polacchi e italiani.
Gli immigrati europei erano bianchi e, in quanto tali, pensavano di avere maggiori probabilità di entrare a far parte della massa degli americani. I portoricani non sembravano bianchi e, nella testa della gente, erano scuri (mi hanno sempre chiesto perché ho capelli biondi e occhi azzurri). Per poter avere successo, i portoricani dovevano pensare e agire alla maniera dei bianchi. West Side Story rappresenta questo conflitto attraverso le canzoni e la danza, secondo una storia che ricalca Romeo e Giulietta di Shakespeare.
Questa settimana, dopo più di cinquant’anni, viene rappresentata a Broadway una nuova versione aggiornata di West Side Story, aprendo un dibattito sui cambiamenti nella composizione etnica degli americani. I dati sono sorprendenti. Secondo il censimento del 2008, afroamericani, ispanici e asiatici costituiranno la maggioranza della popolazione degli Stati Uniti verso il 2042. La maggioranza dei giovani sotto i 18 anni sarà non bianca verso il 2023. Questo significa che ogni bambino nato negli Stati Uniti d’ora in avanti apparterrà a una generazione post-bianca di americani.
Nel passato, come mostra West Side Story, i nativi e gli immigrati non bianchi cercavano di integrarsi il massimo possibile, imparando a parlare inglese senza accento straniero, entrando a far parte di una Chiesa, preferibilmente protestante (la Chiesa cattolica ha tentato per quanto possibile di convincere che il cattolicesimo era compatibile con i valori protestanti, sia progressisti che conservatori), e frequentando le stesse scuole della maggioranza.
Oggi, questo sforzo di assimilazione non è più così rilevante e l’accento è sulle diversità. Nella nuova versione di West Side Story, i portoricani cantano e parlano in spagnolo. Naturalmente, l’elezione a presidente degli Stati Uniti di uno, per metà del Kenya e per metà del Kansas, che si dichiara nero è un esempio sbalorditivo dei cambiamenti avvenuti nel profilo raziale e culturale dell’America. É sorprendente che, nel mezzo di una crisi economica che minaccia la possibilità di esistenza dell’American Dream, la maggioranza degli americani abbia visto la salvezza nell’elezione di un presidente non bianco (i Repubblicani, dal canto loro, hanno eletto un nero alla guida del loro partito e molti guardano a un indiano-americano, governatore della Louisiana, come prossimo possibile candidato alla presidenza).
Quando leggerete queste righe, il presidente Obama sarà in Europa per la prima volta. In relazione a ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti, è altrettanto importante la presenza di Michelle Obama. Tutto ciò comporta cambiamenti che trasformeranno il paese, e quindi il mondo, una volta che la crisi economica sarà passata.
Arcivescovo Sako: “La situazione dei cristiani in Iraq è una tragedia”
MONACO (Germania), giovedì, 1° aprile 2009 (ZENIT.org).- L'Arcivescovo caldeo-cattolico di Kirkuk, monsignor Louis Sako, ha avvertito che si rischia la scomparsa del cristianesimo in Iraq.
In una conferenza stampa svoltasi questo mercoledì a Vienna, spiega un comunicato ricevuto da ZENIT, il presule ha spiegato che i cristiani iracheni hanno sofferto in modo indicibile negli ultimi cinque anni.
Monsignor Sako è intervenuto su invito dell'associazione caritativa cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) e delle organizzazioni Christian Solidarity International in Austria e Pro Oriente, ricordando che questo lustro di guerra è costato la vita a 750 cristiani, tra cui l'Arcivescovo di Mosul, monsignor Paulos Faraj Rahho.
“200.000 cristiani hanno abbandonato il Paese, il che è una tragedia per noi”, ha confessato, chiedendo aiuto per i fedeli perché possano restare in Iraq o tornare nelle proprie case.
L'Arcivescovo ha segnalato che gli emigrati, ora presenti soprattutto in Siria, Giordania, Libano e Turchia, rappresentano “una grande sfida per la Chiesa” e che molte famiglie vivono sfollate in piccole località del nord dell'Iraq dove è molto difficile trovare lavoro.
Ringraziando ACS, Christian Solidarity International in Austria e Pro Oriente per l'aiuto che offrono – perché “in questo modo contribuiscono a che i cristiani non emigrino nonostante la loro situazione difficile” –, ha chiesto anche che si eserciti una maggiore pressione politica sull'Iraq.
A suo avviso, “è una vergogna” che non si rispettino i diritti umani dei cristiani, perché anche loro sono cittadini iracheni. Sono infatti presenti da 2.000 anni nel Paese, ha osservato, e con la loro espulsione si perderebbe anche una parte della cultura e della storia dell'Iraq.
Malgrado le difficoltà, rivela, i cristiani non demordono. “Abbiamo molti problemi, ma anche molte speranza. Non abbiamo paura, ma vogliamo convivere in pace con i musulmani iracheni”.
Per il presule il dialogo tra le due religioni è possibile, “non dal punto di vista teologico, ma come un 'dialogo della vita'”, ma è anche necessario che i musulmani riflettano sul nuovo concetto di “libertà responsabile” dell'uomo e compiano un'interpretazione del Corano adatta ai tempi.
“I musulmani vivono come nel VII secolo, e questo è un problema”, ha osservato.
Allo stesso modo, è problematico che molti iracheni identifichino le truppe statunitensi – che secondo la popolazione hanno invaso il Paese per combattere l'islam – con i cristiani, ma suscita preoccupazione anche il ritiro delle truppe, perché in questo momento il problema principale del Paese è la mancanza di sicurezza, e l'esercito e la polizia iracheni non sono abbastanza forti.
“Sotto il regime di Saddam avevamo sicurezza e non avevamo libertà. Oggi abbiamo libertà, ma abbiamo anche il problema della sicurezza”, ha concluso.
Il patriarca di Venezia ha fatto un sogno: il meticciato di civiltà - E un suo amico filosofo ha scritto come arrivarci. Ma tra le religioni la strada è accidentata, specie tra cristianesimo e islam. L'arcivescovo Teissier racconta ciò che accade nella sua Algeria, divisa tra repressione e rispetto della libertà religiosa - di Sandro Magister
ROMA, 1 aprile 2009 – Sulla copertina del libro ci sono una domanda e una foto. La foto mostra la confluenza tra il Rio delle Amazzoni e il Rio Negro: acque di colore diverso che scorrono vicine e poi si mescolano. La domanda è nel titolo: "Meticciato: convivenza o confusione?".
In effetti, nel linguaggio corrente, la parola "meticciato" non gode di buona reputazione. Nata con la mescolanza tra spagnoli e indios dopo la scoperta delle Americhe, fa pensare a conquista e soggiogamento. Oppure, associata al moderno multiculturalismo, evoca confusione, guazzabuglio tra persone e civiltà, giustapposte senza capirsi.
Eppure, proprio sul "meticciato di civiltà" ha scommesso uno degli uomini di Chiesa più impegnati nell'interpretare e orientare i rapporti tra popoli, religioni e culture: il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia.
Il libro è una tappa importante di questo programma. È stampato dalla Marcianum Press, l'editrice del patriarcato di Venezia. L'autore è Paolo Gomarasca, professore di filosofia e antropologia all'Università Cattolica di Milano.
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Il cardinale Scola lanciò per la prima volta l'idea del meticciato nel 2004, quando a Venezia fece nascere una fondazione internazionale finalizzata alla reciproca conoscenza e all'incontro tra l'Occidente e l'islam. Una fondazione chiamata "Oasis", con una rivista dello stesso nome in quattro versioni distinte: in italiano, in francese e arabo, in inglese e arabo, in inglese e urdu.
Per il patriarca di Venezia, il meticciato tra le civiltà è un processo che è sotto gli occhi di tutti, esteso a tutto il mondo e in continua accelerazione, come mai in passato. È un processo che "non chiede il permesso di accadere", semplicemente c'è. Non bisogna illudersi di fermarlo. È doveroso invece giudicarlo criticamente e "orientarlo verso stili di vita buona, personale e sociale". A maggior ragione "da parte di noi uomini delle religioni, convinti che tutti i popoli sono parte di un'unica famiglia umana e che Dio guida la storia".
Da qui è nata l'idea di mettere ordine in questo processo, anzitutto concettualmente. Il libro del professor Gomarasca ricostruisce la storia del meticciato di civiltà, dalla scoperta delle Americhe a oggi, una storia che è anche storia delle sue interpretazioni più o meno fallimentari, da quella coloniale a quella del multiculturalismo.
Ma Gomarasca non solo osserva e descrive. Indica una direzione di cammino. La categoria chiave che mette in campo è quella di filiazione:
"Il meticcio è una novità che nasce dalla relazione dell'uno con l'altro, ma che non può essere ridotto né all'uno né all'altro, è un effetto che eccede entrambi. Prendiamo ad esempio quello che accadde nel Nuovo Mondo: chi sono i 'mestizos' se non figli, la cui identità mista interroga la coscienza dei loro padri bianchi, che si rendono conto improvvisamente di non poter essere gli unici? La filiazione, come riconoscimento di un'origine comune, è condizione necessaria della vita buona".
La famiglia e la libera società civile sono i naturali "luoghi di riconoscimento" e di messa in opera di questa comunanza tra le persone, i popoli, le culture. E così le religioni:
"Posto che le religioni sono capaci di dare ragioni pubbliche della propria fede, è essenziale valorizzare il contributo di verità che esse possono fornire al pensiero della relazionalità costitutiva dell'umano".
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Negli stessi giorni del lancio del libro di Gomarasca sul meticciato – presentato il 25 marzo a Roma dal cardinale Scola nel palazzo dell'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede – è uscito anche l'ultimo numero della rivista semestrale "Oasis".
Ma più che le virtù del meticciato, questo numero di "Oasis" mette in luce i suoi limiti e i suoi rischi.
Gli articoli raccolti nella rivista riguardano prevalentemente il mondo islamico. E in un precedente lancio della Newsletter che accompagna la rivista "Oasis" il vescovo di Tunisi, Maroun Elias Lahham, aveva messo in guardia dalle illusioni:
"L’islam è una religione e una cultura sicura di sé, che non sente il bisogno di essere arricchita da altri contributi. Nel mio mondo culturale arabo non riesco nemmeno a tradurre la parola ‘meticciato’, se non con valenza negativa: tahjin, ibrido, oppure khalt, mescolanza. Se per meticciato si intende il luogo in cui due identità insieme danno vita a una terza, c'è il rischio che le due identità nell’unirsi perdano una parte di sé. Per me il dialogo interculturale e interreligioso non deve permettere che uno perda neppure una parte della propria identità e della sua fede".
L'articolo riprodotto più sotto è tratto dall'ultimo numero di "Oasis" e riguarda l'Algeria. Ne è autore Henri Teissier, arcivescovo di Algeri per vent'anni, dal 1988 al 2008.
L'Algeria è una nazione nella quale i cristiani sono una piccolissima minoranza che tra il 1994 e il 1996 ha avuto diciannove religiosi martirizzati.
E oggi la vita delle comunità cristiane in Algeria è di nuovo in grave pericolo. L'audace attività missionaria di gruppi "evangelical" ha indurito la repressione.
Nello stesso tempo, però, si registra tra i musulmani algerini una crescente attenzione alla libertà di coscienza e di religione. Se ne scrive, se ne discute, si lanciano appelli perché sia garantita la libertà di convertirsi a un'altra fede.
L'articolo dell'arcivescovo Teissier descrive questo doppio, contrastante processo. La cui parte positiva, dice, non ha eguali oggi in nessun altro paese arabo.
In coda al testo di Teissier sono riportate in questa stessa pagina le parole rivolte da Benedetto XVI a una rappresentanza di musulmani del Camerun, il 19 marzo 2009 a Yaoundé. Il papa non ha usato il termine "meticciato" ma concettualmente vi è andato vicino. In una prospettiva di convivenza, non certo di confusione.
Islam d'Algeria. C'è chi difende la libertà di conversione
di Henri Teissier
In Algeria la relazione islamo-cristiana attraversa un periodo di crisi dopo la pubblicazione da parte dello stato, il 28 febbraio 2006, di un'ordinanza che disciplina l'esercizio dei culti non musulmani. [...] Questo documento è stato integrato, nel maggio 2007, da due decreti applicativi che definiscono le condizioni imposte alle "manifestazioni religiose" dei culti diversi dall'islam.
L'ordinanza del 2006 presenta nel suo preambolo dichiarazioni di principio positive. Essa afferma di avere come obiettivo quello di assicurare la protezione dei culti non musulmani; garantisce la libertà di culto e invita al rispetto delle religioni diverse dall'islam.
Tuttavia, le disposizioni enumerate in seguito lasciano spazio a interpretazioni massimaliste estremamente pregiudizievoli per la pace interreligiosa. Ogni comportamento od ogni parola suscettibile di incitare un musulmano ad abbandonare la sua religione sono puniti con severe pene di prigione, da uno a tre anni, e da multe piuttosto pesanti. Non solo i culti non musulmani sono autorizzati solo nei luoghi pubblici riconosciuti a questo uso ed esplicitamente indicati alle autorità responsabili ma, cosa più grave, ogni attività diversa da quella cultuale è proibita in quegli stessi luoghi di culto. Sarebbe la fine del servizio umanitario della Chiesa: asili, ambulatori, sostegno scolastico, conferenze.
Così questa ordinanza rende sospetta ogni preghiera tra cristiani in un contesto diverso da quello di una chiesa. Ma in questo modo diventano altrettanto sospette l'assistenza religiosa ai lavoratori cristiani stranieri nei cantieri, ai gruppi di pellegrini in marcia verso Tamanrasset, così come le celebrazioni tra gli immigrati che vivono nelle periferie delle città, ma, soprattutto, più generalmente ogni incontro di preghiera cristiana od ogni Eucarestia domestica nei quartieri e nelle città dove non esistono edifici ecclesiastici riconosciuti. [...]
Di fatto le prime misure prese dallo stato algerino sono state dirette contro la Chiesa cattolica. [...] Tra il 7 e il 15 tutte le comunità di religiose e religiosi cattolici in tutti i dipartimenti del nord del paese sono stati convocati e invitati a lasciare l'Algeria per ragioni di sicurezza. A partire dal mese di ottobre del 2007 è diventato quasi impossibile ottenere dei visti per accogliere nuovi religiosi e religiose o volontari laici.
Queste prime misure [...] furono poi seguite da molte altre decisioni: espulsione, il 20 novembre 2007, di quattro volontari brasiliani cristiani invitati in Algeria dall'arcivescovo per servire gli studenti borsisti cristiani provenienti dai paesi lusofoni (Mozambico, Angola, Capo Verde, Guinea Bissau ecc.); divieto di celebrare la messa di Pasqua in un campo petrolifero italiano, per via delle disposizioni contenute nell'ordinanza sui luoghi di culto; rifiuto del visto a diversi responsabili di congregazioni religiose che lavorano in Algeria; rifiuto del visto a una laica con la motivazione, espressamente dichiarata al consolato a Parigi, che lavorava alla delegazione "cattolica" alla cooperazione.
In seguito, non sono mancate, in diversi luoghi e in diverse occasioni, interpretazioni massimaliste dell'ordinanza che disciplina la vita dei culti non musulmani. Un prete cattolico, della diocesi di Orano, don Pierre Wallez, è stato trattenuto per trenta ore alla gendarmeria di Maghnia, il 9 gennaio 2008, per aver pregato, due giorni dopo Natale, con dei cristiani camerunensi che vivevano in una foresta vicino alla frontiera algero-marocchina. In linea di principio l'ordinanza vietava soltanto il "culto" al di fuori di una chiesa. E questo prete si era limitato a compiere una visita pastorale a dei cristiani presso i quali non era stato celebrato nessun "culto", ma soltanto una preghiera condivisa nel contesto della grande festa cristiana del Natale. Questo prete fu condannato in prima istanza a sei mesi di prigione con la condizionale, poi, il 9 aprile 2008, a due mesi di prigione con la condizionale in seconda istanza, quando queste visite agli immigrati avevano luogo da più di dieci anni e dopo che le autorità algerine responsabili ne erano state informate dal vescovo del luogo. Il medico algerino che in spirito di carità accompagnava il prete in questa visite fu prima condannato a due anni di prigione, pena commutata alla fine in sei mesi con la condizionale, ma col divieto di esercitare la professione di medico nella funzione pubblica.
Nella vita quotidiana, capita che la gendarmeria fermi i preti che circolano per strada e li accusi di proselitismo perché portano con sé la Bibbia e il breviario: così a Sidi Akacha, vicino a Ténès. Cattolici che arrivavano in aereo si sono visti confiscare i loro libri cristiani personali: per esempio all'aeroporto di Batna, nel giugno 2008. Un'insegnante algerina cristiana che aveva con sé un rosario è stata fermata dalla polizia e ha subito un interrogatorio serrato. Più recentemente, nel giugno scorso, la polizia ha fatto sequestrare dalla dogana tutti gli esemplari ricevuti per posta dei "Prions en Église" e dei "Magnificat", malgrado una lettera di protesta dell'arcivescovo indirizzata al ministero degli affari religiosi rimasta senza risposta. In diverse città si lamenta la chiusura delle attività educative animate dalla Chiesa.
Ma tutte queste misure dipendono, molto spesso, dalle molestie di certi responsabili e non avrebbero avuto grandi conseguenze senza un fatto che ha diffusamente toccato l'opinione pubblica. [...]
***
Da una decina d'anni la stampa algerina presenta regolarmente degli studi sul fenomeno, nuovo in un paese musulmano, della conversione di gruppi di persone di origine musulmana, soprattutto nella regione della Kabilia. [...] In uno di questi saggi, ripreso il 19 marzo 2000 dal giornale francofono di Algeri "Le Soir d'Algérie", si poteva leggere:
"Fatto significativo, la quasi totalità dei membri di queste comunità non è affiliata all'entità cattolica, tradizionalmente presente in Algeria. Sono algerini di confessione cristiana, ma di rito protestante. Molti dicono di aver avuto un'avventura spirituale e religiosa in seguito alla quale hanno cambiato vita, altri fanno per la prima volta l'esperienza della fede, ma tutti convergono sulla via di Cristo, affermando di aver ricevuto la sua grazia. Ma da dove nasce il fatto che tutti questi uomini e queste donne abbiano provato un entusiasmo così vivo per la spiritualità abbracciando la religione cristiana? [...] È forse l'espressione di una ricerca identitaria? [...] Si tratta di un tentativo di riappropriazione dell'eredità di sant'Agostino che si nasconde sotto la cenere dei secoli? Il fenomeno ha qualche legame con l'attualità immediata dell'Algeria, in cui l'islamismo scuote il paese sullo sfondo di violenze assassine? O esprime semplicemente un vezzo alla moda, palliativo di un bisogno passeggero d'identificazione? C'è ancora, dietro questa esperienza spirituale, un desiderio di trascendere la materialità dell'esistenza, una ricerca terapeutica davanti a un'angoscia esistenziale dove la ricerca del senso della vita si è spostata dalla terra verso il cielo?".
Dunque già prima della crisi attuale certi studiosi si erano espressi positivamente sul tema della libertà di coscienza, compreso il diritto per un musulmano di cambiare religione. Ma ciò che è veramente nuovo per un paese arabo, è che l'aggravarsi della situazione provocata dai decreti del 28 febbraio 2006 sta suscitando nell'opinione musulmana liberale in Algeria una reazione collettiva in difesa dei diritti dei nuovi cristiani venuti dall'Islam.
Infatti, dopo la messa in stato di accusa da parte della giustizia di una giovane insegnante algerina di Tiaret, "Habiba", nell'aprile-maggio 2007, che si era convertita al cristianesimo "evangelical", è nato un vero dibattito pubblico nel quale una parte degli interlocutori ha pubblicamente difeso il diritto alla libertà di coscienza di "Habiba" e di tutti gli algerini. Il giornale francofono algerino "El Watan" ha addirittura preso l'iniziativa di pubblicare il 18 marzo 2008 una petizione firmata poi da più di duemila intellettuali algerini e il cui testo recita:
"Giornalisti condannati a pene detentive e minacciati di incarcerazione. Sindacalisti licenziati per aver rivendicato salari decenti. Cristiani vessati per delitto di preghiera. I firmatari, fortemente preoccupati da questa scalata contro le libertà democratiche, esprimono la loro solidarietà con i giornalisti liberi, i sindacati autonomi e la comunità cristiana d'Algeria, bersaglio di misure tanto brutali quanto ingiustificate; riaffermano il loro attaccamento alla libertà d'espressione, al pluralismo sindacale e alla libertà di coscienza, sinonimo del diritto di ognuno di praticare la religione che sceglie o di non praticare affatto; invitano alla tolleranza e al rispetto delle libertà e delle diversità, valori cardinali di ogni società democratica".
Nello stesso senso va la dichiarazione fatta dal "Rassemblement pour la culture et la Démocratie", uno dei principali partiti di opposizione algerini e dal suo presidente Said Saadi, così presentata dal giornale "El Watan" il 28 febbraio 2008:
"La libertà di culto è stata colpita! L'RCD reagisce. Il partito di Said Saadi denuncia infatti gli opinion makers in servizio permanente che hanno lanciato una campagna inquisitoria per denunciare l'evangelizzazione del paese. […] L'RCD ritiene, in un comunicato reso pubblico ieri, che ciò attenta alla costituzione e ai patti internazionali firmati dall'Algeria che garantiscono rispettivamente la libertà di culto e la libertà di coscienza. Secondo Saadi non c'è ombra di dubbio che si tratti di una vera persecuzione condotta contro i cristiani d'Algeria. Questa campagna, portata avanti con un gran clamore mediatico, in apparenza prende la difesa dell'islam, ma in realtà suggella l'alleanza tra il presidente Bouteflika e la corrente islamista radicale".
Si troveranno posizioni simili in una dichiarazione pubblicata dalla "Maison des droits de l'homme e du citoyen de Tizi Ouzou":
"Invitiamo tutti quelli che [...] possono influire sugli eventi a dar prova di saggezza e di senso di responsabilità: l'Algeria non ha bisogno di lanciarsi in una falsa guerra di religione. Per i militanti dei diritti umani, la libertà di culto e di coscienza è un principio intangibile. I poteri pubblici devono vigilare sul rispetto pieno degli obblighi contenuti nei trattati e nelle convenzioni ratificate dall'Algeria".
Il 26 maggio 2008 l'allora capo del governo Belkhadem è stato chiamato direttamente in causa da "Le Soir d'Algérie" in un articolo di Nawel Imès intitolato "Il tempo dell'Inquisizione", sempre sul tema della libertà di coscienza:
"A intervalli regolari, l'islam serve da merce di scambio e le concessioni fatte agli islamisti sono presentate come un male necessario. La messa in opera della riconciliazione nazionale non ha sistemato le cose. Peggio ancora, si assiste a un vigoroso ritorno del religioso. […] Annunciando che 'la società algerina si è legata al santo Corano da quando ha abbracciato l'islam e che il Corano rappresenta la costituzione che essa non accetterà di cambiare', il capo del governo, oltre a violare il principio della libertà di coscienza, non fa che legittimare la caccia ai non musulmani condotta a tambur battente dal ministro degli affari religiosi. In meno di un mese, 25 comunità cristiane si sono viste notificare l'ordine di cessazione di ogni attività. Algerini convertiti al cristianesimo sono perseguiti in via giudiziale e alcuni responsabili di chiese sono costretti a lasciare l'Algeria perché rappresenterebbero 'una minaccia per la sicurezza della nazione'. Più grave ancora, una giovane donna rischia tre anni di prigione a Tiaret. È stata arrestata in possesso di diversi esemplari della Bibbia, ciò che è bastato alla sua imputazione".
Uno dei pensatori contemporanei algerini più in vista, Soheib Bencheikh, residente in Francia ma che si reca in Algeria per delle conferenze, tiene dei discorsi che vanno nello stesso senso, come quello riferito dal giornale "El Watan" il 22 maggio 2008:
"Il legislatore o il moralizzatore non può penetrare nella coscienza delle persone, ha dichiarato Soheib Bencheikh, già mufti di Marsiglia [...] Scoraggiato dalla piega presa dagli eventi, eglil unisce la sua voce a quella di chi denuncia la caccia alle streghe sollevando il paradosso dell'Algeria moderna. Infatti, nel momento in cui si tiene un colloquio internazionale sulla concezione dei diritti dell'uomo secondo l'emiro Abdelkader, con la sottolineatura della sua difesa dei cristiani del Medio Oriente, il tribunale di Tiaret giudica una donna per pratica illegale di una religione diversa dall'Islam. 'La fede non si decide per decreto', dice Bencheikh rifiutando 'questi modi di agire in piena contraddizione con la nostra religione, che favorisce le confessioni e le protegge'. Tutto questo a suon di citazioni di quelle sure che danno un fondamento alle sue dichiarazioni, segnatamente i versetti sulla tolleranza, la diversità religiosa e la non costrizione".
Al di là di queste prese di posizione dell'opinione pubblica liberale in Algeria, è molto significativo che il ministro degli affari religiosi Ghoulamallah abbia dichiarato a più riprese di sostenere la libertà di coscienza, ivi compresa la possibilità per un musulmano di cambiare religione, aggiungendo che quello che lo stato algerino teme è la costituzione di minoranza religiose che cerchino appoggi all'estero per difendere i loro diritti.
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Si sa che il dibattito, nel mondo islamico, sullo statuto del musulmano che abbandona l'islam per convertirsi a un'altra religione, il murtadd, è un dibattito antico e oggi molto attuale. Il Corano minaccia l'apostata solo di pene nell'altro mondo (vedi ad esempio 16, 108). Ma vi sono hadîth che prevedono la messa a morte dell'apostata. I fuqahâ’, gli specialisti della sharî'a, dibattono per sapere come interpretare questa tradizione. Certi esegeti contemporanei dicono che bisogna tener conto del fatto che i versetti radicali sono stati pronunciati in un contesto in cui si profilava la minaccia di una rivolta generale delle tribù della penisola arabica, che avrebbe messo in pericolo l'esistenza stessa del giovane stato musulmano, come effettivamente avvenne sotto il califfato di Abu Bakr. Di conseguenza, questi versetti andrebbero compresi come una condanna del tradimento in caso di pericolo della nazione e il principio "non vi sia costrizione nella fede" rimarrebbe valido.
Ma il fatto nuovo che lo stato algerino deve affrontare è la conversione di diverse centinaia, forse di diverse migliaia di persone nate in famiglie musulmane, che scelgono pubblicamente di aderire al cristianesimo. Di fatto il dibattito, sulla stampa algerina, non è nato a partire dai criteri propri dell'esegesi musulmana. Per la stampa francofona, generalmente più aperta al rispetto delle convinzioni personali, si è trattato di un dibattito sulla libertà di coscienza, a partire da una prospettiva dei diritti dell'uomo.
Un'evoluzione molto importante si è dunque prodotta in Algeria in occasione di questo movimento di conversioni. Non si tratta più, infatti, di un'opinione privata di uno specialista, ma di una reazione di coscienza espressa da centinaia di giornalisti e da migliaia di intellettuali musulmani che difendono la libertà di coscienza di quelli, tra i loro compatrioti, che hanno scelto di lasciare l'islam per abbracciare un'altra confessione.
Non conosco un altro paese arabo dove vi sia già stato un dibattito di questa ampiezza sulla libertà di coscienza, intesa come libertà per i musulmani di abbandonare la loro religione di nascita per scegliere di aderire liberamente a un'altra confessione di fede.
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Il link alla fondazione internazionale "Oasis", in italiano, inglese, francese, arabo e urdu, con la rivista, la newsletter di notizie e commenti, i libri:
> Oasis
Tra le sue molte attività "Oasis" diffonde on line ogni lunedì, tradotta integralmente in lingua araba, la catechesi di Benedetto XVI all'udienza generale del mercoledì precedente.
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E il papa in Camerun ha detto ai musulmani...
Dal discorso di Benedetto XVI a una rappresentanza di musulmani del Camerun, il 19 marzo 2009 a Yaoundé:
Amici, io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede. Credere in Dio, lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata. Lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso. Siamo chiamati ad aiutare gli altri nello scoprire le tracce discrete e la presenza misteriosa di Dio nel mondo, che Egli ha creato in modo meraviglioso e sostiene con il suo ineffabile amore che abbraccia tutto. Anche se la sua gloria infinita non può mai essere direttamente afferrata in questa vita dalla nostra mente finita, possiamo tuttavia raccoglierne barlumi nella bellezza che ci circonda. Se gli uomini e le donne consentono all’ordine magnifico del mondo e allo splendore della dignità umana di illuminare la loro mente, essi possono scoprire che ciò che è “ragionevole” va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare; il “ragionevole” include anche la bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e secondo l’etica, manifestato a noi mediante lo stesso linguaggio della creazione.
Questa visione ci induce a cercare tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri. In questo modo una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione. In realtà, religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede.
Per questo vi incoraggio, cari amici musulmani, a penetrare la società con i valori che emergono da questa prospettiva ed accrescono la cultura umana, così come insieme lavoriamo per edificare una civiltà dell’amore. Che l’entusiastica cooperazione tra musulmani, cattolici ed altri cristiani in Camerun sia per le altre nazioni africane un faro luminoso sul potenziale enorme di un impegno interreligioso per la pace, la giustizia e il bene comune!
IN MARGINE A UNA VICENDA SCOLASTICA NOVARESE - Adulti ridotti a babbei. - Il sesso nuovo totalitarismo - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 1 aprile 2009
I bambini fanno domande imbarazzanti. È naturale, sono bambini. Chiedere è il loro mestiere, si può dire. E infatti chiedono su tutto: sulla nonna che chissà dove è finita, o su chi ha fatto le montagne. Una volta, uno dei miei figli mi chiese a che punto della Creazione, dopo stelle, mari e uomini, Dio avesse fatto la Ferrari. I nostri piccoli hanno la ragione allo stato naturale: curiosa e spalancata come una finestra che si sta aprendo sul reale. È giusto, è naturale, è bello che facciano domande. Se gli adulti si imbarazzano e non sanno come rispondere o come stare di fronte a tali domande significa che loro, invece, non sono adulti. Soprattutto se uno fa di professione il maestro o la maestra elementare. Questo è il succo, direbbe Manzoni, della faccenda che da Novara è stata molto amplificata su alcuni media, a seguito delle proteste dei genitori di una classe di elementari che non hanno gradito le risposte di una insegnante circa alcune curiosità sul sesso da parte dei suoi bambini.
E ne hanno chiesto la rimozione. Fa quasi sorridere la strana euforia con cui alcuni commentatori hanno ripreso la faccenda, come il simpatico Gramellini sulla Stampa.
Come se la maestra che spiega senza né remore né veli certe 'pratiche' a dei bambinetti fosse quasi una postuma campionessa della liberazione sessuale («forse esagerando», ammette la prima pagina della Stampa,
che peraltro all’interno pubblica le foto scabrose e da pubblica gogna dell’ex potente piemontese Soria). O dall’altra parte, sconforta un po’ la constatazione su quelle pagine e altrove di chi se la cava dicendo: 'ah ma tanto ormai il sesso variamente esibito e interpretato è onnipresente e i bambini vengono a contatto con tante cose e dunque tutto questo è inevitabile.' Di inevitabile appare ormai solo l’impaccio, la mancanza assoluta di delicatezza nel trattare il tema. Di inevitabile purtroppo sembra solo che ci sia la perdita di delicatezza da parte degli adulti a trattare il tema del sesso. Una delicatezza che viene dalla forza. La forza dell’amore. Una delicatezza che dovrebbe guidare gli insegnanti per amore dei ragazzini loro affidati, che dovrebbe correggere la grossolanità di tanti pubblicitari – approvati peraltro da serissimi manager e da consigli di amministrazione –. Una delicatezza che dovrebbe far parte dell’amore che i genitori hanno verso i loro figli. Il sesso trattato senza la delicatezza che viene dal considerarlo una parte dell’amore si trasforma in una pratica, più o meno come una tecnica sportiva, una faccenda su cui si può parlare a vanvera, con la leggerezza acida che è il contrario della delicatezza. E questo capita anche tra genitori, ignari di essere ascoltati dai figli. Eppure, il sesso non è una pratica, ma un gesto d’amore. Un gesto in cui si mettono in moto gli strati profondi dell’offerta e della gioia. Dell’identità e della ricerca.
Sta a vedere che ormai siamo rimasti noi cattolici a prender sul serio, con gioia e delicatezza, il sesso.
Banalizzare queste cose di fronte a dei bambini illustrandone le 'tecniche' come se si trattasse delle istruzioni per costruire una bicicletta è una mancanza suprema di delicatezza. Oltre che un segno di adulti ridotti pericolosamente a babbei. Il che deve far pensare. Poiché, com’è noto, i babbei sono i maggiori alleati del pensiero totalitario. E solo un babbeo, appunto, non si accorge che dietro a questo gonfiare notiziole, a questo confondere le acque addirittura alla faccia dei bambini c’è un montare preciso di un totalitarismo di pensiero che fa a pezzi l’uomo, considerandolo di volta in volta macchina di congegni biologici, macchina di pulsioni sessuali, macchina di pezzi di ricambio, macchina fabbricabile a piacere.
Macchina, automa, a cui il totalitario non-pensiero, concede pure lo svago di qualche pratica sessuale. E se i bambini in fondo se lo ficcano in zucca fin da piccoli, per il non-pensiero totalitario, è meglio...