giovedì 9 aprile 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Meditazione di Benedetto XVI sul significato del Triduo Pasquale - In occasione dell'Udienza generale del mercoledì
2) Meditazioni per la Via Crucis al Colosseo 2009 - A cura dell'Arcivescovo di Guwahati, mons. Thomas Menamparampil
3) L'aborto: abbandono e silenzio, e nessuno che vuole ascoltarti - Intervista a Esperanza Puente, autrice di un libro-testimonianza - di Sara Martín
4) Di fronte all'Ultima cena - Il Dio che difende le vittime - di Lucetta Scaraffia – L’Osservatore Romano, 9 aprile 2009
5) TERREMOTO ABRUZZO/ 1. Giannino: quella carità spontanea che ci interroga tutti - Oscar Giannino - giovedì 9 aprile 2009 – ilsussidiario.net
6) TERREMOTO/ Il grido del cuore - Luca Doninelli - giovedì 9 aprile 2009 – ilsussidiario.net
7) DOPO ELUANA/ La “profezia” di Romano Guardini e l’ipotesi di monsignor Giussani - Elisa Buzzi - giovedì 9 aprile 2009 – ilsussidiario.net
8) STESSO REALISMO DI 2.000 ANNI FA - LA VIA CRUCIS VA IN SCENA STAVOLTA NELLA NOSTRA TERRA - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 9 aprile 2009
9) REPORTAGE DALL’INDIA - Una Pasqua di sofferenza per i cristiani dell’Orissa - DAL NOSTRO INVIATO A PHULBANI (ORISSA) - CLAUDIO MONICI – Avvenire, 9 aprile 2009
10) testimoni - «La nostra Moira e quel sondino» - Avvenire, 9 aprile 2009 - Da nove anni in stato vegetativo, giovane come Eluana, ma accudita in casa dai genitori. Che scrivono per dire: non ci crederete, ma nostra figlia mangia quel che mangiamo noi, frullato. E sarebbe una terapia?

Meditazione di Benedetto XVI sul significato del Triduo Pasquale - In occasione dell'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 8 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della meditazione pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale svoltasi in Piazza San Pietro.
Quest'oggi il Papa ha incentrato il suo discorso sul significato del Triduo Pasquale, culmine dell’itinerario quaresimale.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
la Settimana Santa, che per noi cristiani è la settimana più importante dell’anno, ci offre l’opportunità di immergerci negli eventi centrali della Redenzione, di rivivere il Mistero pasquale, il grande Mistero della fede. A partire da domani pomeriggio, con la Messa in Coena Domini, i solenni riti liturgici ci aiuteranno a meditare in maniera più viva la passione, la morte e la risurrezione del Signore nei giorni del Santo Triduo pasquale, fulcro dell'intero anno liturgico. Possa la grazia divina aprire i nostri cuori alla comprensione del dono inestimabile che è la salvezza ottenutaci dal sacrificio di Cristo. Questo dono immenso lo troviamo mirabilmente narrato in un celebre inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (cfr 2,6-11), che in Quaresima abbiamo più volte meditato. L’apostolo ripercorre, in modo tanto essenziale quanto efficace, tutto il mistero della storia della salvezza accennando alla superbia di Adamo che, pur non essendo Dio, voleva essere come Dio. E contrappone a questa superbia del primo uomo, che tutti noi sentiamo un po' nel nostro essere, l'umiltà del vero Figlio di Dio che, diventando uomo, non esitò a prendere su di sé tutte le debolezze dell'essere umano, eccetto il peccato, e si spinse fino alla profondità della morte. A questa discesa nell'ultima profondità della passione e della morte segue poi la sua esaltazione, la vera gloria, la gloria dell'amore che è andato fino alla fine. Ed è perciò giusto – come dice Paolo – che «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore!» (2, 10-11). San Paolo accenna, con queste parole, a una profezia di Isaia dove Dio dice: Io sono il Signore, ogni ginocchio si pieghi davanti a me nei cieli e nella terra (sfr Is 45, 23). Questo – dice Paolo – vale per Gesù Cristo. Lui realmente, nella sua umiltà, nella vera grandezza del suo amore, è il Signore del mondo e davanti a Lui realmente ogni ginocchio si piega.
Quanto meraviglioso, e insieme sorprendente, è questo mistero! Non possiamo mai sufficientemente meditare questa realtà. Gesù, pur essendo Dio, non volle fare delle sue prerogative divine un possesso esclusivo; non volle usare il suo essere Dio, la sua dignità gloriosa e la sua potenza, come strumento di trionfo e segno di distanza da noi. Al contrario, «svuotò se stesso» assumendo la misera e debole condizione umana - Paolo usa, a questo riguardo, un verbo greco assai pregnante per indicare la kénosis, questa discesa di Gesù. La forma (morphé) divina si nascose in Cristo sotto la forma umana, ossia sotto la nostra realtà segnata dalla sofferenza, dalla povertà, dai nostri limiti umani e dalla morte. La condivisione radicale e vera della nostra natura, condivisione in tutto fuorché nel peccato, lo condusse fino a quella frontiera che è il segno della nostra finitezza, la morte. Ma tutto ciò non è stato frutto di un meccanismo oscuro o di una cieca fatalità: fu piuttosto una sua libera scelta, per generosa adesione al disegno salvifico del Padre. E la morte a cui andò incontro – aggiunge Paolo - fu quella di croce, la più umiliante e degradante che si potesse immaginare. Tutto questo il Signore dell’universo lo ha compiuto per amore nostro: per amore ha voluto "svuotare se stesso" e farsi nostro fratello; per amore ha condiviso la nostra condizione, quella di ogni uomo e di ogni donna. Scrive in proposito un grande testimone della tradizione orientale, Teodoreto di Ciro: «Essendo Dio e Dio per natura e avendo l’uguaglianza con Dio, non ha ritenuto questo qualcosa di grande, come fanno coloro che hanno ricevuto qualche onore al di sopra dei loro meriti, ma nascondendo i suoi meriti, ha scelto l’umiltà più profonda e ha preso la forma di un essere umano» (Commento all’epistola ai Filippesi, 2,6-7).
Preludio al Triduo pasquale, che incomincerà domani – come dicevo - con i suggestivi riti pomeridiani del Giovedì Santo, è la solenne Messa Crismale, che nella mattinata il Vescovo celebra con il proprio presbiterio, e nel corso della quale insieme vengono rinnovate le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’ Ordinazione. E’ un gesto di grande valore, un’occasione quanto mai propizia in cui i sacerdoti ribadiscono la propria fedeltà a Cristo che li ha scelti come suoi ministri. Quest’incontro sacerdotale assume inoltre un significato particolare, perché è quasi una preparazione all’Anno Sacerdotale, che ho indetto in occasione del 150 anniversario della morte del Santo Curato d’Ars e che avrà inizio il prossimo 19 giugno. Sempre nella Messa Crismale verranno poi benedetti l’olio degli infermi e quello dei catecumeni, e sarà consacrato il Crisma. Riti questi con i quali sono simbolicamente significate la pienezza del Sacerdozio di Cristo e quella comunione ecclesiale che deve animare il popolo cristiano, radunato per il sacrificio eucaristico e vivificato nell’unità dal dono dello Spirito Santo.
Nella Messa del pomeriggio, chiamata in Coena Domini, la Chiesa commemora l’istituzione dell’Eucaristia, il Sacerdozio ministeriale ed il Comandamento nuovo della carità, lasciato da Gesù ai suoi discepoli. Di quanto avvenne nel Cenacolo, la vigilia della passione del Signore, san Paolo offre una delle più antiche testimonianze. «Il Signore Gesù, - egli scrive, all'inizio degli anni cinquanta, basandosi su un testo che ha ricevuto dall’ambiente del Signore stesso - nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e , dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,23-25). Parole cariche di mistero, che manifestano con chiarezza il volere di Cristo: sotto le specie del pane e del vino Egli si rende presente col suo corpo dato e col suo sangue versato. E’ il sacrificio della nuova e definitiva alleanza offerta a tutti, senza distinzione di razza e di cultura. E di questo rito sacramentale, che consegna alla Chiesa come prova suprema del suo amore, Gesù costituisce ministri i suoi discepoli e quanti ne proseguiranno il ministero nel corso dei secoli. Il Giovedì Santo costituisce pertanto un rinnovato invito a rendere grazie a Dio per il sommo dono dell’Eucaristia, da accogliere con devozione e da adorare con viva fede. Per questo, la Chiesa incoraggia, dopo la celebrazione della Santa Messa, a vegliare in presenza del Santissimo Sacramento, ricordando l’ora triste che Gesù passò in solitudine e preghiera nel Getsemani, prima di essere arrestato per poi venire condannato a morte.
E siamo così al Venerdì Santo, giorno della passione e della crocifissione del Signore. Ogni anno, ponendoci in silenzio di fronte a Gesù appeso al legno della croce, avvertiamo quanto siano piene di amore le parole da Lui pronunciate la vigilia, nel corso dell’Ultima Cena. "Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti" (cfr Mc 14,24). Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità. Come di fronte all’Eucaristia, così di fronte alla passione e morte di Gesù in Croce il mistero si fa insondabile per la ragione. Siamo posti davanti a qualcosa che umanamente potrebbe apparire assurdo: un Dio che non solo si fà uomo, con tutti i bisogni dell'uomo, non solo soffre per salvare l’uomo caricandosi di tutta la tragedia dell’umanità, ma muore per l’uomo.
La morte di Cristo richiama il cumulo di dolore e di mali che grava sull’umanità di ogni tempo: il peso schiacciante del nostro morire, l’odio e la violenza che ancora oggi insanguinano la terra. La passione del Signore continua nella sofferenze degli uomini. Come giustamente scrive Blaise Pascal, "Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo" (Pensieri, 553). Se il Venerdì Santo è giorno pieno di tristezza, è dunque al tempo stesso, giorno quanto mai propizio per ridestare la nostra fede, per rinsaldare la nostra speranza e il coraggio di portare ciascuno la nostra croce con umiltà, fiducia ed abbandono in Dio, certi del suo sostegno e della sua vittoria. Canta la liturgia di questo giorno: O Crux, ave, spes unica – Ave, o croce, unica speranza!" .
Questa speranza si alimenta nel grande silenzio del Sabato Santo, in attesa della risurrezione di Gesù. In questo giorno le Chiese sono spoglie e non sono previsti particolari riti liturgici. La Chiesa veglia in preghiera come Maria e insieme a Maria, condividendone gli stessi sentimenti di dolore e di fiducia in Dio. Giustamente si raccomanda di conservare durante tutta la giornata un clima orante, favorevole alla meditazione e alla riconciliazione; si incoraggiano i fedeli ad accostarsi al sacramento della Penitenza, per poter partecipare realmente rinnovati alle Feste Pasquali.
Il raccoglimento e il silenzio del Sabato Santo ci condurranno nella notte alla solenne Veglia Pasquale, "madre di tutte le veglie", quando proromperà in tutte le chiese e comunità il canto della gioia per la risurrezione di Cristo. Ancora una volta, verrà proclamata la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, e la Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore. Entreremo così nel clima della Pasqua di Risurrezione.
Cari fratelli e sorelle, disponiamoci a vivere intensamente il Triduo Santo, per essere sempre più profondamente partecipi del Mistero di Cristo. Ci accompagna in questo itinerario la Vergine Santa, che ha seguito in silenzio il Figlio Gesù fino al Calvario, prendendo parte con grande pena al suo sacrificio, cooperando così al mistero della Redenzione e divenendo Madre di tutti i credenti (cfr Gv 19,25-27). Insieme a Lei entreremo nel Cenacolo, resteremo ai piedi della Croce, veglieremo idealmente accanto al Cristo morto attendendo con speranza l’alba del giorno radioso della risurrezione. In questa prospettiva, formulo fin d’ora a tutti voi i più cordiali auguri di una lieta e santa Pasqua, insieme con le vostre famiglie, parrocchie e comunità.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In primo luogo rinnovo la mia vicinanza spirituale alla cara comunità de L’Aquila e degli altri paesi, duramente colpiti dal violento fenomeno sismico dei giorni scorsi, che ha provocato numerose vittime, tanti feriti e ingenti danni materiali. La sollecitudine con cui Autorità, forze dell’ordine, volontari e altri operatori stanno soccorrendo questi nostri fratelli dimostra quanto sia importante la solidarietà per superare insieme prove così dolorose. Ancora una volta desidero dire a quelle care popolazioni che il Papa condivide la loro pena e le loro preoccupazioni. Carissimi, appena possibile spero di venire a trovarvi. Sappiate che il Papa prega per tutti, implorando la misericordia del Signore per i defunti, e per i familiari e i superstiti il conforto materno di Maria e il sostegno della speranza cristiana. Saluto poi i partecipanti al Convegno internazionale UNIV, promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei. Cari amici, vi esorto a rispondere con gioia alla chiamata del Signore per dare un senso pieno alla vostra vita: nello studio, nei rapporti con i colleghi, in famiglia e nella società. "Dal fatto che tu e io –diceva san Josémaria Escrivà– ci comportiamo come Dio vuole, non dimenticarlo, dipendono molte cose grandi" (Cammino, 755). Saluto i fedeli della parrocchia San Giovanni Battista, in Campagnano di Roma, e i dirigenti, gli insegnanti e i numerosi giovani studenti del Circolo didattico Don Milani, di Galatone. Auguro che la visita alle tombe degli Apostoli susciti in tutti il desiderio di servire sempre più generosamente Cristo e i fratelli.
Saluto i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani entreremo nel Sacro Triduo che ci farà rivivere i misteri centrali della nostra salvezza. Invito voi, cari giovani, a trarre dalla Croce la luce necessaria per camminare sulle orme del Redentore. Per voi, cari malati, la Passione del Signore, culminante nel trionfo della Pasqua, costituisca sempre sorgente di speranza. E voi, cari sposi novelli, vivendo il Mistero pasquale, fate della vostra esistenza diventi un dono reciproco.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


Meditazioni per la Via Crucis al Colosseo 2009 - A cura dell'Arcivescovo di Guwahati, mons. Thomas Menamparampil
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 8 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le meditazioni e preghiere di mons. Thomas Menamparampil, S.D.B, Arcivescovo di Guwahati (India), per la Via Crucis al Colosseo del Venerdì Santo 2009.
* * *
INTRODUZIONE
Il Santo Padre:
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
C. Amen.

MEDITAZIONE
Cari fratelli e sorelle, siamo venuti a cantare insieme un "inno di speranza". Vogliamo dire a noi stessi che tutto non è perduto nei momenti di difficoltà. Quando le cattive notizie si susseguono, siamo oppressi dall’ansia. Quando la disgrazia ci colpisce più da vicino, ci scoraggiamo. Quando una calamità fa di noi le sue vittime, la fiducia in noi stessi è del tutto scossa e la nostra fede è
messa alla prova. Ma non tutto è ancora perduto. Come Giobbe, siamo alla ricerca di senso.(1)
In questo sforzo abbiamo un esempio: "Abramo credette, saldo nella speranza contro ogni speranza".(2) In verità, in tempi difficili non vediamo nessun motivo per credere e sperare. Eppure crediamo. Eppure speriamo. Questo può succedere nella vita di ognuno di noi. Questo succede nel più vasto contesto sociale.
Con il Salmista ci chiediamo: "Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio".(3) Rinnoviamo e rafforziamo la nostra fede e continuiamo a confidare nel Signore. Poiché egli salva coloro che hanno perduto ogni speranza.(4) E questa speranza alla fine non delude.(5)
È veramente in Cristo che comprendiamo il pieno significato della sofferenza. Durante questa meditazione, mentre contempleremo con angoscia l’aspetto doloroso della sofferenza di Gesù, porremo anche attenzione al suo valore redentivo. Era secondo il progetto di Dio che il "Messia avrebbe dovuto soffrire",(6) e che queste sofferenze dovessero essere per noi.(7) La consapevolezza di questo ci riempie di una viva speranza.(8) È questa speranza a mantenerci lieti e costanti nella tribolazione.(9)
Un cammino di fede e di speranza è un lungo cammino spirituale, attento al più profondo disegno di Dio nei processi cosmici e negli eventi della storia umana. Poiché sotto la superficie di calamità naturali, guerre, rivoluzioni e conflitti di ogni genere, vi è una presenza silenziosa, vi è
un’azione divina mirata. Egli rimane nascosto nel mondo, nella società, nell’universo. La scienza e la tecnologia rivelano le meraviglie della sua grandezza e del suo amore: "senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio".(10) Egli respira speranza.
Rivela i suoi piani attraverso la sua "Parola", mostrando come tragga il bene dal male sia nei piccoli eventi delle nostre vite personali, sia nei grandi accadimenti della storia umana. La sua "Parola" rende nota la "gloriosa ricchezza" del piano di Dio, che dice che egli ci libera dai nostri peccati e che Cristo è in voi, speranza della gloria.(11)
Possa questo messaggio di speranza echeggiare dallo Hoang-Ho al Colorado, dall’Himalaya alle Alpi e alle Ande, dal Mississippi al Brahmaputra. Dice: "Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore".(12)
Preghiera
Il Santo Padre:
Preghiamo.
Breve pausa di silenzio.
Guarda, Dio onnipotente,
l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale,
e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unico Figlio.
Egli Dio e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
C. Amen.







PRIMA STAZIONE
Gesù in agonia nell’Orto degli ulivi
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 41-44
Gesù si allontanò dai discepoli circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: « Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà ». Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra.
MEDITAZIONE
Gesù era in agonia. Dolore e angoscia si abbatterono su di lui. Il peccato di tutta l’umanità lo opprimeva pesantemente. Ma quanto più grande era il dolore, tanto più intensa era la sua preghiera.
Il dolore resta sempre una sfida per noi. Ci sentiamo lasciati soli. Dimentichiamo di pregare e crolliamo. Alcuni si tolgono perfino la vita. Ma se ci rivolgiamo a Dio, diveniamo forti spiritualmente e ci rendiamo prossimi ai nostri fratelli in difficoltà.(13)
Gesù continua a soffrire nei suoi discepoli perseguitati. Il Papa Benedetto XVI dice che anche nei nostri tempi "non mancano alla Chiesa martiri".(14) Cristo è in agonia tra di noi e nei nostri tempi.
Noi preghiamo per coloro che soffrono. Il mistero della sofferenza cristiana è nel suo valore redentivo. Possano le persecuzioni, che i credenti subiscono, completare in loro i patimenti di Cristo, portatori di salvezza.(15)
PREGHIERA
Signore Gesù, fa’ che possiamo comprendere più profondamente il grande "mistero del male" e quanto noi abbiamo contribuito ad esso. Poiché la sofferenza è entrata nella vita umana attraverso il peccato, il tuo piano ha previsto che l’umanità fosse salvata dal peccato attraverso la sofferenza.
Non vada perduta nessuna delle piccole contrarietà, umiliazioni e frustrazioni che subiamo nelle nostre vite quotidiane e nessuna delle grandi disgrazie che ci colgono inaspettatamente. Unite alle tue, possano le tribolazioni che sopportiamo, da te accolte, produrre speranza.(16)
Signore, insegnaci ad essere compassionevoli non solo con gli affamati, gli assetati, gli infermi, o con coloro che si trovano in un particolare stato di bisogno, ma anche verso quanti sono inclini ad essere sgarbati, polemici e offensivi. In questo modo, poiché tu ci hai consolato in tutte le nostre difficoltà, possiamo anche noi "consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio".(17)

Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Stabat mater dolorosa,
iuxta crucem lacrimosa,
dum pendebat Filius.




SECONDA STAZIONE
Gesù è tradito da Giuda
e trattiene Pietro dalla violenza
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca 22, 47-50
e secondo Matteo. 26, 52.56
Mentre Gesù ancora parlava, ecco giungere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: « Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo? ». Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: « Signore, dobbiamo colpire con la spada? ». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro.
Gesù gli disse: « Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno ». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.
MEDITAZIONE
È un amico fidato a tradire Gesù, e con un bacio. Il modo, in cui Gesù ha affrontato la violenza, contiene un messaggio per i nostri tempi. La violenza è suicida – dice a Pietro – e non si sconfigge con altra violenza, ma con una superiore energia spirituale, che si estende agli altri in forma di amore risanante. Gesù tocca il servo del sommo sacerdote e lo guarisce. L’uomo violento può aver bisogno anche oggi di un gesto risanante, scaturito da un amore che trascende le questioni immediate.
In tempi di conflitto tra persone, gruppi etnici e religiosi, nazioni, interessi economici e politici, Gesù dice che lo scontro e la violenza non sono la risposta, bensì l’amore, la persuasione e la riconciliazione. Anche quando sembriamo non riuscire in tali sforzi, piantiamo nondimeno semi di pace, che porteranno frutto a tempo debito. La giustezza della nostra causa è la nostra forza.
PREGHIERA
Signore Gesù, ci consideri tuoi amici, eppure notiamo tracce di infedeltà in noi stessi. Noi riconosciamo le nostre trasgressioni. Siamo a volte presuntuosi e troppo sicuri di noi stessi. E cadiamo. Non permettere che l’avarizia, la concupiscenza o l’orgoglio ci sorprendano. Quanto sconsideratamente rincorriamo soddisfazioni effimere e idee indimostrate! Fa’ che non siamo "trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ma che, agendo secondo verità nella carità, cresciamo in ogni cosa, tendendo a lui, che il capo, Cristo".(18)
Possa la verità e la sincerità delle intenzioni essere la nostra forza. Reprimi, Signore, la nostra impetuosità in situazioni di violenza, come hai represso il carattere impulsivo di Pietro. Mantienici sereni nello spirito davanti all’opposizione e al trattamento ingiusto.(19) Persuadici che "una risposta gentile calma la collera" (20) nelle nostre famiglie, e che la "bontà" unita alla "saggezza" riporta serenità nella società.(21)
"Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace".(22)
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Cuius animam gementem,
contristatam et dolentem
pertransivit gladius.


TERZA STAZIONE
Gesù è condannato dal Sinedrio
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Matteo. 26, 62-66
Il sommo sacerdote si alzò e disse a Gesù: « Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te? ». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: « Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio ». « Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo ».
Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: « Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare? ». E quelli risposero: « È reo di morte! ».
MEDITAZIONE
In ogni terra ci sono state persone innocenti che hanno sofferto, persone che sono morte combattendo per la libertà, l’uguaglianza o la giustizia. Coloro che lottano a favore dei "piccoli di Dio" promuovono l’opera stessa di Dio. Poiché egli difende i diritti dei deboli e degli oppressi.(23) Chiunque collabora a quest’opera nello spirito di Gesù reca speranza agli oppressi ed offre un messaggio di correzione a colui che compie il male.
Il modo di Gesù di combattere per la giustizia non è quello di suscitare l’ira collettiva delle persone contro l’oppositore, con la conseguenza che esse sono spinte a forme di più grande ingiustizia. Al contrario, è di sfidare il nemico con la giustezza della propria causa e di suscitare la buona volontà dell’oppositore in modo tale che si desista dall’ingiustizia con la persuasione e la conversione del cuore. Il Mahatma Gandhi ha portato nella vita pubblica questo insegnamento di Gesù sulla non-violenza con sorprendente successo.
PREGHIERA
Signore, spesso giudichiamo gli altri frettolosamente, indifferenti alla realtà dei fatti e insensibili ai sentimenti delle persone! Mettiamo in atto stratagemmi di autogiustificazione e cerchiamo di spiegare il modo irresponsabile in cui ci siamo comportati con "l’altro". Perdonaci!
Quando siamo mal giudicati e trattati ingiustamente, dacci, Signore, la pace interiore e la fiducia che il tuo Figlio ha manifestato davanti all’ingiustizia. Preservaci da una risposta aggressiva che andrebbe contro il tuo Spirito. Al contrario, aiutaci a portare la tua possente Parola in situazioni di tensione e di timore, così che possa rivelare il suo potere dinamico nella storia.
"E ’n la sua volontade è nostra pace".(24)

Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
O quam tristis et afflicta
fuit illa benedicta
mater Unigeniti!



QUARTA STAZIONE
Gesù è rinnegato da Pietro
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 54-62
Dopo aver catturato Gesù, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: « Anche questi era con lui ». Ma egli negò dicendo: « O donna, non lo conosco! ». Poco dopo un altro lo vide e disse: « Anche tu sei uno di loro! ». Ma Pietro rispose: « O uomo, non lo sono! ». Passata circa un’ora, un altro insisteva: « In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo ». Ma Pietro disse: « O uomo, non so quello che dici ». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò . Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: « Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte ». E, uscito fuori, pianse amaramente.
MEDITAZIONE
Pietro affermava di essere forte, ma è crollato davanti a una giovane serva. La debolezza umana ci coglie di sorpresa e cadiamo. Ecco perché Gesù ci chiede di vegliare e di pregare.(25) E ci esorta a rinunciare a noi stessi e ad avvicinarci a Dio.
Dentro di noi vi è un "io" ribelle. Siamo spesso interiormente divisi,(26) ma non riusciamo a riconoscere questa interna incoerenza. Pietro la riconobbe, quando i suoi occhi incontrarono gli occhi di Gesù, e allora pianse. Pi tardi Tommaso, incontrando il Signore risorto, si rese conto della propria infedeltà e credette. Paolo, nella luce di Cristo, si rese conto dell’interna contradditorietà e la superò con il suo aiuto,(27) giungendo infine alla scoperta: "Non vivo più io, ma Cristo vive in me".(28)
PREGHIERA
Signore, quanto facilmente tolleriamo una sempre maggior divergenza tra ciò che professiamo di essere e ciò che siamo realmente! Quanto spesso non riusciamo a portare avanti le nostre stesse decisioni e neppur a onorare a volte le più solenni promesse! Di conseguenza, siamo spesso esitanti nel momento di prendere un impegno definitivo perfino con te.
Confessiamo che non siamo riusciti a portare nella nostra vita quella disciplina interiore, che si attende da ogni persona adulta e si richiede per il successo di ogni progetto umano. Concedi fermezza alla nostra determinazione interiore. Aiutaci a portare a felice conclusione ogni opera buona iniziata. Rendici capaci di essere "saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio".(29)

Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Quæ mærebat et dolebat
pia mater, cum videbat
Nati pœnas incliti.




QUINTA STAZIONE
Gesù è giudicato da Pilato
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 22-25
Pilato, per la terza volta, disse loro: « Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.
MEDITAZIONE
Non era la giustezza di una questione che importava a Pilato, ma i suoi interessi professionali. Un simile atteggiamento non lo aiutò né in questo caso, né nella sua successiva carriera. Era così dissimile da Gesù, che l’interiore rettitudine rendeva intrepido.
E Pilato non era interessato neanche alla verità. Si allontana da Gesù esclamando: "Che cos’è la verità?".(30) Una tale indifferenza nei confronti della verità non oggi infrequente. La gente spesso si preoccupa di ciò che procura una soddisfazione immediata. Ci si accontenta di risposte superficiali. Si prendono decisioni non sulla base di principi di integrità, ma di considerazioni opportunistiche.
Non scegliendo opzioni moralmente responsabili, si danneggiano gli interessi vitali della persona umana e della famiglia umana. Preghiamo affinché le "concezioni spirituali ed etiche", contenute nella Parola di Dio, ispirino le norme di vita della società nei nostri tempi.(31)
PREGHIERA
Signore, dacci il coraggio di assumere decisioni responsabili quando rendiamo un servizio pubblico. Infondi probità nella vita pubblica e aiutaci a "conservare la fede e una buona coscienza".(32)
Signore, tu sei la sorgente di ogni Verità. Guidaci nella nostra ricerca di risposte ultime. Fa’ che, lasciandoci alle spalle spiegazioni solo parziali e incomplete, possiamo ricercare ciò che è permanentemente vero, bello e buono.
Signore, mantienici intrepidi davanti "alle sassate e alle frecce dell'oltraggiosa fortuna". (33) Quando le ombre si addensano sui pesanti cammini della vita e sopraggiunge la notte oscura, rendici capaci di ascoltare l'insegnamento dell'apostolo Paolo: "Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate forti". (34)
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Quis est homo qui non fleret,
matrem Christi si videret
in tanto supplicio?






SESTA STAZIONE
Gesù è flagellato
e coronato di spine
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Matteo. 27, 26-30
Pilato, dopo aver fatto flagellare Gesù lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: « Salve, re dei Giudei! ». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo.
MEDITAZIONE
La disumanità raggiunge nuovi vertici. Gesù è flagellato e coronato di spine. La storia piena di odio e di guerre. Anche oggi siamo testimoni di violenze al di là del credibile: omicidi, violenze su donne e bambini, sequestri, estorsioni, conflitti etnici, violenza urbana, torture fisiche e mentali, violazioni dei diritti umani.
Gesù continua a soffrire quando i credenti sono perseguitati, quando la giustizia viene amministrata in modo distorto nei tribunali, quando la corruzione è radicata, le strutture ingiuste schiacciano i poveri, le minoranze sono soppresse, i rifugiati e i migranti maltrattati. Gesù viene spogliato delle vesti quando la persona umana è disonorata sullo schermo, quando le donne sono costrette a umiliarsi, quando i bambini dei quartieri poveri vanno in giro per le strade a raccogliere i rifiuti.
Chi sono i colpevoli? Non puntiamo il dito verso gli altri, poiché anche noi possiamo avere avuto la nostra parte in queste forme di disumanità.
PREGHIERA
Signore Gesù, sappiamo che sei tu a soffrire quando siamo causa di sofferenza l’uno per l’altro e rimaniamo indifferenti. Il tuo cuore si è mosso a compassione quando hai visto "le folle stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore".(35) Dammi occhi che notino i bisogni dei poveri e un cuore che si prodighi per amore. "Dammi la forza di rendere il mio cuore fecondo nel servizio".(36)
Soprattutto, fa’ che possiamo condividere con l’indigente la tua "Parola" di speranza, l’assicurazione del tuo aiuto. Possa lo "zelo per la tua casa" ardere in noi come fuoco.(37) Aiutaci a portare il sole vivo della tua gioia nella vita di coloro che si trascinano lungo le vie della disperazione.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Pro peccatis suae gentis
vidit Iesum in tormentis
et flagellis subditum.




SETTIMA STAZIONE
Gesù, fatto oggetto di scherno,
è condotto via per essere crocifisso
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Matteo. 27, 31
Dopo averlo deriso, spogliarono Gesù del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.
MEDITAZIONE
Gesù, nel cui nome ogni ginocchio si piega nei cieli e sulla terra,(38) è fatto oggetto di scherno. Siamo sconvolti nel vedere i livelli di brutalità in cui gli esseri umani possono sprofondare. Gesù è umiliato in nuovi modi anche oggi: quando realtà tra le più sacre e profonde della fede sono banalizzate, quando si lascia che il senso del sacro si sgretoli e il sentimento religioso è classificato tra i resti sgraditi dell’antichità.
Nella vita pubblica tutto rischia di essere desacralizzato: persone, luoghi, promesse, preghiere, pratiche, parole, scritti sacri, formule religiose, simboli, cerimonie. La nostra vita sociale diviene sempre più secolarizzata. Il sacro è cancellato. La vita religiosa diventa timida. Così vediamo che le questioni più importanti sono collocate tra le inezie e le banalità glorificate. Valori e norme, che tenevano insieme le società e guidavano la gente a più alti ideali, sono derisi e gettati a mare. Gesù continua ad essere ridicolizzato!
PREGHIERA
Abbiamo fede, Signore, ma non abbastanza. Aiuta la nostra incredulità.(39) Fa’ che non mettiamo mai in dubbio o deridiamo con cinismo gli aspetti seri della vita. Concedici di non smarrire la strada nel deserto dell’assenza di Dio. Mettici in grado di percepirti nella brezza leggera, di vederti agli angoli delle strade, di amarti nel bambino non ancora nato.
Dio, facci comprendere che sul Tabor o sul Calvario, il tuo Figlio è il Signore. Con le vesti splendenti o spogliato delle vesti, egli è il Salvatore del mondo.(40) Rendici attenti alle sue presenze silenziose: nella sua "Parola", nei tabernacoli, santuari, luoghi umili, persone semplici, la vita dei poveri, il riso dei bambini, i pini che sussurrano, le colline ondulate, la più minuta cellula vivente, l’atomo più piccolo e le distanti galassie.
Fa’ che possiamo guardarlo con stupore mentre cammina sulle acque del Reno, del Nilo e del Tanganica.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Quis non posset contristari,
piam matrem contemplari
dolentem cum Filio?




OTTAVA STAZIONE
Gesù è aiutato dal Cireneo
a portare la Croce
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 26
Mentre i soldati lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.
MEDITAZIONE
In Simone di Cirene abbiamo il prototipo del discepolo fedele che prende su di sé la croce e segue Cristo.(41) Non è dissimile da milioni di cristiani di umili origini, con un profondo attaccamento a Cristo. Privi di fascino, di raffinatezza, ma con una fede profonda. Uomini e donne di tale fede continuano a crescere in terra d’Africa e d’Asia e nelle isole lontane. In mezzo a loro fioriscono le vocazioni.
Simone ci ricorda le piccole comunità e tribù con il loro caratteristico impegno per il bene comune, un profondo radicamento nei valori etici e l’apertura al Vangelo. Meritano attenzione e cura. Il Signore non vuole che "neanche uno di questi piccoli si perda".(42) In Simone scopriamo la sacralità dell’ordinario e la grandezza di ciò che sembra piccolo. Poiché la realtà più piccola ha un qualche mistico rapporto con la più grande e l’ordinaria con la più straordinaria!
PREGHIERA
Signore, nel tuo mirabile piano tu innalzi gli umili (43) e sostieni i poveri. Rafforza la tua Chiesa nel suo servizio alle comunità svantaggiate: i meno privilegiati, gli emarginati, i baraccati, i poveri delle aree rurali, i sottoalimentati, gli intoccabili, i disabili, le vittime di varie forme di dipendenza.
Possa l’esempio della tua serva, Madre Teresa di Calcutta, ispirarci e indurci a dedicare più energie e risorse alla causa dei "più poveri dei poveri". Possiamo anche noi un giorno ascoltare da Gesù queste parole: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi".(44)
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Tui Nati vulnerati,
tam dignati pro me pati,
pœnas mecum divide.


NONA STAZIONE
Gesù incontra le donne
di Gerusalemme
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 27-28
Seguiva Gesù una grande moltitudine di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: « Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli ».
MEDITAZIONE
Davanti alle donne in lacrime, Gesù dimentica se stesso. Non si cura delle proprie sofferenze, ma del tragico futuro che attende loro e i loro figli.
I destini delle società sono strettamente connessi col benessere delle loro donne. Dovunque sono tenute in scarsa stima o il loro ruolo resta sminuito, le società non riescono a elevarsi fino a raggiungere le loro autentiche potenzialità. Allo stesso modo, dovunque la loro responsabilità verso le nuove generazioni è trascurata, ignorata o emarginata, il futuro di quella società diviene incerto.
In molte società del mondo le donne non ricevono un trattamento equo. Cristo probabilmente piange per loro.
Vi sono anche società incuranti del proprio futuro. Cristo probabilmente piange per i loro figli. Dovunque vi sia noncuranza per il futuro, attraverso l’uso eccessivo delle risorse, il degrado dell’ambiente, l’oppressione delle donne, l’abbandono dei valori familiari, il mancato rispetto delle norme etiche, l’abbandono delle tradizioni religiose, Gesù continua a dire alla gente: "Non piangete per me, ma per voi stessi e per i vostri figli".(45)
PREGHIERA
Signore, tu sei il Padrone della storia. Eppure hai voluto la nostra collaborazione nel portare a compimento i tuoi piani. Aiuta ciascuno a svolgere in modo responsabile il proprio ruolo nella società: i capi nelle loro comunità, i genitori nelle loro famiglie, gli educatori e gli operatori sanitari nell’ambito del proprio compito, i comunicatori nel mondo dell’informazione. Suscita in noi il senso della missione in ciò che facciamo, un profondo senso di responsabilità gli uni verso gli altri, verso la società, verso il nostro comune futuro e verso di te, poiché hai posto nelle nostre mani i destini delle nostre comunità e dell’umanità stessa.
Signore, non distogliere da noi il tuo sguardo quando vedi donne umiliate o quando la tua immagine viene sfigurata nella persona umana; quando interferiamo nei sistemi di vita, quando indeboliamo il potere nutritivo della natura, inquiniamo i corsi d’acqua, l’azzurro profondo dei mari o le nevi del Settentrione. Salvaci dall’indifferenza crudele per il nostro futuro comune e non permettere che trasciniamo la nostra civiltà sul sentiero del declino.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Eia mater, fons amoris,
me sentire vim doloris
fac, ut tecum lugeam.


DECIMA STAZIONE
Gesù è crocifisso
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca 23, 33-37
e secondo Matteo. 27, 46
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero Gesù e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: « Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno ». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: « Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto ». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: « Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso ».
Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ».
MEDITAZIONE
Le sofferenze di Gesù raggiungono il culmine. Era stato impavido al cospetto di Pilato. Aveva sopportato i maltrattamenti dei soldati romani. Aveva conservato il controllo di sé durante la flagellazione e l’incoronazione di spine. Perfino sulla Croce sembrava non essere scosso dalla tempesta degli insulti. Non aveva parole di lamento, né desiderio di ritorsione. Ma poi, alla fine, arriva il momento in cui viene meno. Non ha più forza per resistere. Si sente abbandonato perfino dal Padre!
L’esperienza ci dice che anche l’uomo più forte può scendere negli abissi della disperazione. Le frustrazioni si accumulano, l’ira e il risentimento aggiungono il loro peso.
Malattie, cattive notizie, disgrazie, maltrattamenti – tutto può sopraggiungere insieme. Può essere successo anche a noi. È in questi momenti che abbiamo bisogno di ricordare che Gesù non ci lascia mai. Egli si rivolse al Padre con un grido. Anche il nostro grido si rivolga al Padre, che costantemente viene in nostro aiuto in tutta la nostra angoscia, ogniqualvolta lo invochiamo.(46)
PREGHIERA
Signore, quando le nubi si addensano all’orizzonte e tutto sembra perduto, quando non troviamo amici che ci stiano vicino e la speranza scivola via dalle nostre mani, insegnaci a confidare in te, che verrai con certezza in nostro soccorso.(47) Possa l’esperienza del dolore e dell’oscurità interiore insegnarci la grande verità che in te nulla è perduto, che perfino i nostri peccati – una volta riconosciuti nel pentimento – servono a uno scopo, come legna secca nel freddo dell’inverno.(48)
Signore, tu hai concepito un disegno universale dietro i meccanismi dell’universo e il progresso della storia. Apri i nostri occhi ai ritmi e ai modelli nei moti delle stelle, all’equilibrio e alla proporzione nella struttura interna degli elementi, all’interdipendenza e complementarità nella natura, al progresso e allo scopo nel corso della storia, alla correzione e compensazione nelle nostre storie personali. E ` questa armonia, che tu non cessi di ricreare malgrado i dolorosi squilibri che noi causiamo. In te anche la perdita più grande è un guadagno. La morte di Cristo infatti è preludio di risurrezione.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Fac ut ardeat cor meum
in amando Christum Deum,
ut sibi complaceam.


UNDICESIMA STAZIONE
Gesù promette il suo Regno
al buon ladrone
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 39-43
Uno dei malfattori appesi alla croce insultava Gesù dicendo: « Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi! ». L’altro invece lo rimproverava dicendo: « Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male ». E disse: « Gesù , ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ». Gli rispose: « In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso ».
MEDITAZIONE
Non è l’eloquenza che convince e converte. È uno sguardo d’amore nel caso di Pietro; la serenità senza risentimento nella sofferenza, nel caso del buon ladrone. La conversione avviene come un miracolo. Dio apre i tuoi occhi. Tu riconosci la sua presenza e la sua azione. Ti arrendi!
Optare per Cristo è sempre un mistero. Perché si fa una scelta definitiva per Cristo, anche nella prospettiva di difficoltà o della morte? Perché i cristiani fioriscono nei luoghi di persecuzione? Non lo sapremo mai. Ma succede continuamente. Se una persona che ha abbandonato la fede incontra il vero volto di Cristo, sarà stordita da ciò che vede realmente e potrebbe arrendersi come Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!".(49) E ` un privilegio svelare il volto di Cristo alle persone. E ` una gioia anche più grande scoprirlo, o riscoprirlo.
"Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto".(50)
PREGHIERA
O Signore, oggi io grido a te in lacrime: "Gesu` , ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno".(51) È a questo Regno che io fiduciosamente anelo. È l’eterna casa che hai preparato per tutti coloro che ti cercano con cuore sincero. "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano".(52) Aiutami, Signore, mentre procedo con fatica nella via verso il mio eterno destino. Dissipa l’oscurità lungo il mio cammino e tieni i miei occhi innalzati verso l’alto!
"Guidami, o Luce benevola,
tra le tenebre che mi circondano.
Guidami tu!
La notte è buia e io sono lontano da casa.
Guidami tu!
Sostieni il mio cammino;
non chiedo di vedere l’orizzonte lontano;
un passo alla volta è ciò che mi basta".(53)
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Sancta mater, istud agas,
Crucifixi fige plagas
cordi meo valide.


DODICESIMA STAZIONE
La madre di Gesù e il discepolo
che egli amava ai piedi della Croce
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Giovanni. 19, 25-27
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé.
MEDITAZIONE
Nella sofferenza aneliamo alla solidarietà. Maria, la madre, ci ricorda l’amore, il sostegno e la solidarietà all’interno della famiglia, Giovanni la lealtà all’interno della comunità. Coesione familiare, legami comunitari, vincoli di amicizia sono essenziali per la fioritura degli esseri umani. In una società anonima perdono di vigore. Quando mancano, la nostra stessa umanità si indebolisce.
Inoltre in Maria non notiamo il minimo segno di risentimento; non una parola di amarezza. La Vergine diviene un archetipo del perdono nella fede e nella speranza. Ci addita la via verso il futuro. Anche coloro che vorrebbero rispondere all’ingiustizia violenta con una "giustizia violenta" sanno che questa non è la risposta risolutiva. Il perdono suscita la speranza.
Vi sono anche offese storiche che per secoli feriscono le memorie delle società. Se non trasformiamo la nostra ira collettiva in nuove energie d’amore attraverso il perdono, periremo congiuntamente. Quando la guarigione avviene attraverso il perdono, accendiamo una lampada che annuncia future possibilità per "la vita e il benessere" dell’umanità.(54)
PREGHIERA
Signore Gesù, tua madre è stata silenziosamente al tuo fianco nella tua agonia finale. Ella che rimaneva nascosta, quando ti acclamavano come grande profeta, è accanto a te nella tua umiliazione. Fa’ che io abbia il coraggio di rimanere leale anche dove non ti riconoscono. Fa’ che io non mi senta mai in imbarazzo di appartenere al "piccolo gregge".(55)
Signore, fammi ricordare che anche coloro che considero miei "nemici" appartengono alla famiglia umana. Se mi trattano ingiustamente, fa’ che la mia preghiera sia solo "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno".(56) Può accadere che in un simile contesto qualcuno riconosca improvvisamente il vero volto di Cristo e gridi come il centurione: "Davvero quest’uomo era Figlio di Dio".(57)
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Fac me vere tecum flere,
Crucifixo condolere,
donec ego vixero.




TREDICESIMA STAZIONE
Gesù muore sulla Croce
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 46
Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò.
MEDITAZIONE
Gesù consegna il suo spirito al Padre con sereno abbandono. Quello che i suoi persecutori ritenevano un momento di sconfitta si dimostra di fatto un momento di trionfo. Quando un profeta muore per la causa che ha sostenuto, dà la prova definitiva di tutto ciò che ha detto. La morte di Cristo è qualcosa di più. Porta la redenzione. (58) "In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe".(59)
Con ciò inizia per me un cammino mistico: Cristo mi attira più vicino a sé finché non gli apparterrò pienamente.(60)
"Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio...
Quando verrò e vedrò il volto di Dio?".(61)
PREGHIERA
Signore Gesù, per i miei peccati sei stato inchiodato sulla Croce. Aiutami ad acquisire maggiore consapevolezza della gravità delle mie colpe e dell’immensità del tuo amore. "Infatti, quando eravamo ancora deboli, Cristo morì per gli empi".(62) Confesso i miei peccati, come al loro tempo fecero i profeti:
"Abbiamo peccato
e abbiamo operato da malvagi e da empi,
siamo stati ribelli,
ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti
e dalle tue leggi!
Non abbiamo obbedito ai tuoi servi, i profeti...".(63)
Nulla in me meritava la tua benevolenza. Ti rendo grazie per la tua incommensurabile bontà verso di me. Aiutami a vivere per te, conforma la mia vita a te,(64) in modo che io sia unito a te e divenga una nuova creatura.(65)
Cristo sia con me, Cristo dentro di me,
Cristo dietro di me, Cristo davanti a me,
Cristo accanto a me, Cristo mi conquisti,
Cristo mi consoli, Cristo mi guarisca.(66)
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Vidit suum dulcem Natum
morientem desolatum,
cum emisit spiritum.




QUATTORDICESIMA STAZIONE
Gesù è deposto dalla croce
e collocato nel sepolcro
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 46
Giuseppe d’Arimatea, comprato un lenzuolo, depose il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro.
MEDITAZIONE
Le tragedie ci fanno riflettere. Uno tsunami ci dice che la vita va presa seriamente. Hiroshima e Nagasaki restano luoghi di pellegrinaggio. Quando la morte colpisce da vicino, un altro mondo ci si fa accanto. Allora ci liberiamo dalle illusioni e abbiamo la percezione di una realtà più profonda. Anticamente la gente in India così pregava: "Conducimi dall’irreale al reale, dall’oscurità alla luce, dalla morte all’immortalità".(67)
Dopo che Gesù ebbe lasciato questa terra, i cristiani cominciarono a guardare indietro e a comprendere la sua vita e la sua missione. Recarono il suo messaggio ai confini della terra. Questo messaggio è lo stesso Gesù Cristo, che è "potenza di Dio e sapienza di Dio".(68) Dice che la realtà è Cristo (69) e che il nostro destino definitivo è di essere con lui.(70)
PREGHIERA
Signore Gesù, mentre avanziamo con pena lungo il faticoso cammino della vita, rendici capaci di avere un barlume del nostro destino definitivo. E quando finalmente oltrepasseremo l’ultima soglia, sapremo che "non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno". (71) Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi. È questa Buona Novella che desideriamo annunciare "in ogni maniera",(72) anche in luoghi dove Cristo non è mai stato conosciuto.(73) Per questo ci impegniamo a fondo,(74) "lavorando notte e giorno" (75) fino allo sfinimento.(76) Signore, rendici efficaci messaggeri della tua Buona Novella.
"Io so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio".(77)
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Quando corpus morietur,
fac ut animæ donetur
paradisi gloria.
Amen.




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(1) Cfr Gb 1, 13 – 2, 10.
(2) Rm 4, 18.
(3) Sal 42, 6.
(4) Cfr Sal 34, 19.
(5) Cfr Rm 5, 5.
(6) At 3,18; 26, 23.
(7) Cfr 1Pt 2, 21.
(8) Cfr 1Pt 1, 3.
(9) Cfr Rm 12, 12.
(10) Sal 19, 3.
(11) Cfr Col 1, 27.
(12) Sal 31, 25.
(13) Cfr 1Tm 5, 10.
(14) Sacramentum Caritatis 85.
(15) Cfr Col 1, 24.
(16) Cfr Rm 5, 4.
(17) 2Cor 1, 4.
(18) Cfr Ef 4, 14-15.
(19) Cfr Gc 5, 10-11a.
(20) Pr 15, 1.
(21) Cfr Pr 31, 26.
(22) Attribuita a San Francesco d’Assisi.
(23) Cfr Is 1, 17.
(24) Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, Canto III v. 85.
(25) Cfr Mt 26, 41.
(26) Cfr Gc 4, 8.
(27) Cfr Rom 7, 14-25.
(28) Gal 2, 20.
(29) Col 4, 12.
(30) Gv 18, 38.
(31) Cfr XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Messaggio al Popolo di Dio, 24 ottobre 2008, n. 15.
(32) Cfr 1Tm 1, 19.
(33) William Shakespeare, Amleto, III, 1.
(34) 1Cor 16, 13.
(35) Mt 9, 36.
(36) Rabindranath Tagore, Gitanjali, 36.
(37) Sal 69, 10.
(38) Cfr Fil 2, 10.
(39) Cfr Mc 9, 24.
(40) Cfr Gv 4, 42.
(41) Cfr Mt 10, 38.
(42) Mt 18, 14.
(43) Cfr Lc 1, 52.
(44) Mt 25, 35-36.
(45) Lc 23, 28.
(46) Cfr Sal 107, 6, 13, 19, 20.
(47) Cfr Sal 25, 15.
(48) Frère Roger di Taize´.
(49) Gv 20, 28.
(50) Sal 27, 8.
(51) Lc 23, 42.
(52) 1Cor 2, 9.
(53) John Henry Newman, Libro di Preghiere, curato da Vincent Ferrer Blehl, S.I., Birmingham 1990, p. 32.
(54) Cfr Ml 2, 5.
(55) Lc 12, 32.
(56) Lc 23, 34.
(57) Mc 15, 39.
(58) Cfr Gal 3, 13.
(59) Ef 1, 7.
(60) Cfr Gv 12, 32; Fil 3, 12-14; Gal 2, 20.
(61) Sal 42, 2-3.
(62) Rm 5, 6.8.
(63) Dn 9, 5-6.
(64) Cfr 1Cor 11, 1.
(65) Cfr 2Cor 5, 17.
(66) "Saint Patrick’s Breastplate" (Inno irlandese del secolo VIII).
(67) Brihadaranyaka Upanishads 1.III.28.
(68) 1Cor 1, 24.
(69) Cfr Col 2, 17.
(70) Cfr Fil 1, 23.
(71) Ap 21, 4.
(72) Fil 1, 18.
(73) Cfr Rm 15, 20.
(74) Cfr At 20, 35; Rm 12, 8.
(75) 1Ts 2, 9.
(76) Cfr 1Cor 4, 12.
(77) Gb 19, 25-26.


L'aborto: abbandono e silenzio, e nessuno che vuole ascoltarti - Intervista a Esperanza Puente, autrice di un libro-testimonianza - di Sara Martín
MADRID, mercoledì, 8 aprile 2009 (ZENIT.org).- E' stato appena pubblicato in Spagna “Rompiendo el silencio” (“Spezzando il silenzio”, edizioni LibrosLibres), scritto da Esperanza Puente, che ha abortito quindici anni fa e oggi racconta la sua esperienza di dolore e solitudine.
L'autrice riporta anche casi di uomini e donne che, come lei, hanno subito la sindrome post-aborto.
Perché scrivere un libro raccontando la propria esperienza dell'aborto? Aiuta a far rimarginare la ferita o la riapre?
Esperanza Puente: L'ho scritto per far conoscere all'opinione pubblica una realtà sociale occulta e perché si sappia che quando una donna abortisce soffre. I 23 anni di funzionamento della legge sull'aborto rappresentano un fallimento e una piaga per la società spagnola. Ho anche voluto che, oltre alla mia testimonianza, ne apparissero altre di uomini e donne che fanno parte della mia vita e il cui caso mi ha colpito in modo particolare. Sono casi rappresentativi di vari ambiti e circostanze. Ad ogni modo, insisto, ho scritto il libro soprattutto per esprimere questa realtà: ciò che si vive e si soffre prima, durante e dopo un aborto provocato.
E cosa si soffre?
Esperanza Puente: Prima dell'aborto, quando una donna è incinta, continua a sentirsi sola, indifesa e non protetta. Nessuno le spiega quali opzioni ha, che abortire non è una soluzione ma un grande problema, che c'è gente che la può aiutare...
Durante l'aborto si prova dolore e lacerazione. E' come una ferita mortale che ti lascia devastata dentro, a livello fisico e mentale.
Dopo aver posto fine alla gravidanza provi abbandono, silenzio e solitudine. Nessuno è interessato ad ascoltare la donna e a cercare di aiutarla, il che si aggiunge alla sindrome post-aborto che si soffre di per sé. Nel mio caso, soffrire in silenzio mi ha portato ad essere un “morto vivente”: avevo ansia, incubi, senso di colpa, mi facevo del male guardando bambini... Sono arrivata a picchiare mio figlio, e in quel momento ho deciso che dovevo cercare aiuto. Il mio caso non è isolato, ogni giorno parlo con donne alle quali accade lo stesso. Proprio per questo dovevo raccontarlo in un libro.
Di fronte a questo, cosa dovremmo fare tutti e cosa deve fare il Governo?
Esperanza Puente: La società dovrebbe prendere coscienza, acquisire formazione su questo tema per non lasciarsi ingannare con eufemismi sulla vita e la morte.
Anche il Governo, da parte sua, deve prendere coscienza di ciò che significa un aborto provocato per la donna, e deve compiere un esercizio di onestà morale e ammettere che non esiste una domanda sociale per questa misura. La realtà dell'aborto è lì, le conseguenze le vediamo tutti. Spero sinceramente che il Governo non approvi questa nuova legge che ha tanto interesse a portare avanti.
Perché?
Esperanza Puente: Il problema di questo disegno di legge è che è stato fatto senza consenso, perché è iniziato con la creazione di un comitato di esperti a favore dell'aborto. Di fronte alle critiche unanimi da parte di tutti e alla richiesta di un comitato in cui si potesse sentire la voce pro-vita e pro-donna, il Governo ha creato una sottocommissione perché ogni gruppo parlamentare presentasse i suoi esperti e si traessero conclusioni.
L'unica conclusione, tuttavia, è che è stata una farsa, io ho partecipato e nessuno del Governo ha avuto l'educazione o la decenza di ascoltare la mia testimonianza. Una volta che si è saputo cos'era quello che il Governo voleva approvare, inoltre, si è capito che non ha tenuto conto di tutti noi che abbiamo partecipato a quella sottocommissione. Credo sia stato uno scandalo.
Cosa fa attualmente? Si dedica completamente a questa causa?
Esperanza Puente: Sono portavoce della Fondazione REDMADRE, una rete solidale di sostegno alla donna che affronta una gravidanza inaspettata con difficoltà. Informiamo in modo completo e verace, e offriamo anche opzioni perché crediamo che l'informazione dia libertà. Se la donna non è informata, viene spinta a subire un aborto, come un agnello condotto al macello.
Personalmente l'aiuta a superare la sua sindrome post-aborto ascoltare altre donne che passano per lo stesso dramma?
Esperanza Puente: Sì, per me è come una seconda liberazione. Sicuramente quando ho iniziato a collaborare avevo superato la cosa, ma a livello psicologico mi ha aiutata.
Per ulteriori informazioni, www.libroslibres.com
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


Di fronte all'Ultima cena - Il Dio che difende le vittime - di Lucetta Scaraffia – L’Osservatore Romano, 9 aprile 2009
Quando pensiamo all'Ultima cena, l'immagine che ci viene in mente è quella, celeberrima, del dipinto di Leonardo conservato a Milano nel convento domenicano delle Grazie. Anche se numerosissime sono le raffigurazioni di quell'evento, l'affresco leonardesco è così perfetto da surclassarle tutte. Per questo, quando cerchiamo di immaginare cosa sia successo realmente quella notte, il nostro pensiero corre subito a quel capolavoro. Ecco perché qualche giorno fa tante persone sono accorse nella chiesa di Santa Maria delle Grazie - dopo avere avuto l'occasione straordinaria di vedere per un quarto d'ora, divise a piccoli gruppi, il dipinto originale anche nelle ore serali - per ascoltare la bellissima lectio magistralis di Timothy Verdon sull'opera per iniziativa dell'associazione Imago Veritatis, che promuove "l'arte come esperienza spirituale". È stato un modo particolarmente appropriato per iniziare le meditazioni della Settimana santa, culmine del percorso quaresimale. All'arte vengono così riconosciuti il suo significato e la sua funzione originari: costituire un mezzo per vivere con intensità un'esperienza spirituale - in questo caso le parole dei Vangeli - quasi come testimoni reali dell'evento. Verdon ha spiegato benissimo perché, arrivati di fronte all'affresco, riconosciamo immediatamente chi è Gesù, senza bisogno di aureole, e soprattutto perché, davanti a un'immagine già vista mille volte, ne siamo così colpiti: è per la forza della presenza di Cristo, che si impone al centro del gruppo, a cui sono volti tutti gli sguardi e i gesti dei presenti. L'abilità dell'artista e la sua sapienza prospettica sono in perfetta sintonia con il messaggio spirituale che l'opera vuole dare. Gesù, solo e malinconico, immerso in se stesso, ha appena stupito i discepoli con la profezia del tradimento - "uno di voi mi tradirà" - rivelando così quanto sia poco affidabile l'amore umano, al quale silenziosamente contrappone il dono totale di sé, rappresentato dalla sua prossima fine e dall'Eucaristia. Vedendo il dipinto, nessuno ha dubbi che Cristo sia lui, assorto in una dolorosa consapevolezza, mentre i discepoli si agitano, senza capire. Tutti noi presenti abbiamo compreso così il fine dell'arte sacra, quello che i grandi artisti come Leonardo interpretano alla perfezione: fare emergere il senso degli eventi della vita di Gesù, così carichi di significato e di mistero. Guardando l'Ultima cena siamo posti dinnanzi a Gesù che soffre, che capisce, che sa. E noi ci sentiamo ottusi e confusi come i discepoli che si ammassano preoccupati ai suoi lati. Così possiamo rivivere la loro angoscia per la debolezza che sanno di avere, cioè per l'insufficienza umana davanti all'amore gratuito e totale di Cristo. Si tratta di un'immagine "parlante" che ripete, illuminandole, le parole dei Vangeli. Per noi che viviamo nella società contemporanea, conoscere attraverso l'immagine è divenuta un'esigenza primaria, alla quale siamo talmente abituati da non concepire più un mondo solo di parole. Conosciamo infatti i volti dei nostri antenati grazie alle foto di famiglia e quelli degli uomini importanti che ci hanno preceduto grazie alle foto e ai film storici. Per questo è così importante, oggi, poter ricorrere all'immenso patrimonio dell'arte sacra per capire meglio - attraverso la capacità di evocazione creativa degli artisti - chi è stato Gesù. Riconoscere il volto di Cristo in questo momento, al centro degli avvenimenti che segnano la sua passione, in un'opera che è capace di trasmettere il senso profondo del suo donarsi, aiuta a comprendere il significato del sacrificio pasquale. La consapevolezza di quello che accade e la scelta di accettare il dolore e la morte, che si leggono sul volto del Gesù leonardesco, fanno capire al primo sguardo che egli è differente da tutte le altre vittime innocenti che ci sono state e ci saranno dopo di lui. In questa libera accettazione del sacrificio, a cui corrisponde da parte degli evangelisti la difesa della sua totale innocenza, sta infatti - come ha scritto René Girard - la differenza fra la tradizione cristiana e i miti arcaici. In questi la situazione è radicalmente diversa: la vittima non doveva essere percepita come tale, ma considerata colpevole di qualche male, per risolvere come capro espiatorio il problema della violenza interna alla comunità. I Vangeli, invece, contengono per la prima volta la storia di una vittima uccisa e perseguitata in cui l'unico punto di vista valido è quello della vittima stessa: una vittima non solo del tutto innocente, ma che aveva chiaramente preannunciato il proprio destino e i motivi per cui vi sarebbe andata incontro. Gesù si rivela così un nuovo Dio d'amore, il Dio che difende le vittime, e in questo modo sovverte dall'interno le strutture violente su cui si basa la vita degli esseri umani.
(©L'Osservatore Romano - 9 aprile 2009)


TERREMOTO ABRUZZO/ 1. Giannino: quella carità spontanea che ci interroga tutti - Oscar Giannino - giovedì 9 aprile 2009 – ilsussidiario.net
M'interroga nel profondo, lo stupore pressoché generale per l'Italia che riscopre carità e fratellanza, coesione e unità, e si prodiga in una gara di solidarietà che esclude pochi o nessuno, al punto che la Protezione Civile deve chiedere a tutti di disciplinare le centinaia di eterogenee offerte di intervento e di prestazione di beni e servizi, di sangue e denaro, cibo e posti letto.
M'interroga per almeno tre ordini di ragioni. Che hanno sapori diversi. La prima, di un arancio amaro. La seconda, di una susina immatura. La terza, è l'onesta mela che mi riporta alla convinzione più di fondo del mio pensare.
L'arancio amaro viene da uno stupore che in me è di segno ben diverso da quello prevalente. Che in tanti stupiscano, e i commenti di tanti paludati media per primi, dice quanto il senso comune che orienta tanti analisti avesse una volta di più smarrito la consapevolezza vera che l'Italia è e resta Paese la cui cultura popolare, prima ancora che fede, è secolarmente ancorata alla risposta che il Cristo dette allo scriba, quell'"ama il prossimo tuo come te stesso" che veniva subito dopo la professione di fede monoteista del Deuteronomio, perché nel cristianesimo l'amore per il prossimo è binomio inscindibile da quello per Dio che ha scelto di farsi uomo. Gli italiani questa cosa non la "riscoprono": ce l'hanno nel cuore da venti secoli, checché possa dire chiunque. Ce l'hanno quanto più profondamente i ceti, le forme e gli ambiti in cui si esprime sono quelli popolari, nei quali vive e s'incarna la Tradizione di lungo periodo della nostra identità culturale e valoriale. Lo stupore prevalente perché vi sia ancora e si manifesti tanto con forza, di fronte al sisma e alla sua scia di lutto e dolore, testimonia che coltivare l'amore per l'uomo nella modernità scomposta in cui viviamo è come dover talora e anzi spesso coltivare un campo in notturna, perché i tecnici agrimensori dell'opinione secolarizzata non ti vedano, e non pensino che sei impazzito, se non mostri di perseguire un immediato tornaconto..
La susina immatura ha quel gusto di acerbo che inevitabilmente viene al palato, al constatare che in talune di queste innumerevoli solidarietà si manifesti comunque il segno del tempo, cioè la gara a mostrarsi in testa, a ostentarsi primi e migliori, a non essere secondi a nulla e nessuno. Una sorta di marketing dove a contare è talora il brand e la ragione sociale o d'impresa di chi aiuta, assai più di quel che davvero porta. Diciamola tutta: tra centinaia di migliaia di italiani che donano in silenzio e in forma anonima, e Madonna che dichiara al mondo il suo mezzo milione, sono per prendere di corsa anche il mezzo milione, ma pur non condannando per principio le leggi dello star system preferisco di gran lunga gli anonimi donatori di sé e del proprio.
L'onesta mela finale mi conferma invece nella mia scelta di fondo, la centralità essenziale della persona e della sussidiarietà, rispetto al collettivismo, all'olismo e allo statalismo in ogni sua forma. Il punto essenziale non è solo quello di "vivere" con pensieri e opere l'amore per l'altro. Perché ciò ha inevitabilmente a che fare con l'etica, la coscienza, la fede: scelte tutte di libertà individuale, anche se esse vengono poi a tradursi in azioni e contesti organizzati su base liberamente associativa. Come tutte le scelte individuali, riguardano coloro che le hanno già maturate dentro di sé e ne sono convinti.
Il punto è un altro, per chi come noi è convinto della sussidiarietà come modello essenziale di organizzazione economico-sociale. In fasi dolorose come queste, nel soccorso immediato alle vittime del sisma come nella successiva ricerca poi dei migliori modelli da seguire per avviare la ricostruzione non solo delle case crollate e dei centri urbani, ma di un'intera economia comunitaria ferita a morte, chi è sussidiarista "deve" cercare di dimostrare non solo che l'operato "dal basso" di milioni di cittadini e di migliaia di associazioni del volontariato e del Terzo Settore è un'imprescindibile moltiplicatore di forza, rispetto a quanto possono fare le sole diverse articolazioni dello Stato. Dobbiamo ricordare a tutti e mostrare nei fatti che la sussidiarietà innanzitutto è il sistema più efficiente e generatore di migliori pratiche e risultati.
La sua superiorità non sta solo nel comandamento operante dell'amore per l'altro, perché quella superiorità è etica e ci vedrebbe respinti con sussiego dai superciliosi utilitaristi. Per suscitare interesse e convincere gli scettici, è l'utilitarista individualista a-etico il nostro interlocutore obbligato. E per mostrargli che il nostro utilitarismo personalista è superiore al suo in termini di risultati concreti, allora la sfida da affrontare e il conto concreto da tirare riguarda l'efficienza comparata del risultato.
Il motivo per il quale il microcredito, esteso a migliaia di poveri indiani e pachistani e poi in mezzo mondo dal Nobel Yunus, è meritorio di affermarsi e infatti si afferma, non sta solo nelle braccia allargate alla dignità di uomini ai quali in precedenza essa era negata. Sta nel fatto che esso genera un moltiplicatore dal basso di produzione, lavoro e redditi, consumi e investimenti che era negato e impossibile, al modello tradizionale di fare banca e di esercitare il merito di credito per mere garanzie reali ex ante. E' un crinale essenziale che spacca verticalmente la teoria del valore ricardiana-marxista-keynesiana da quella basata sulla prasseologia personalista della Scuola Austriaca, di Carl Menger e di tutti coloro che nello statalismo positivista incipiente seppero leggere il preavviso fumigante del disastro della civiltà che puntualmente seguì nel Novecento, rosso e nero di colore politico.
Vedete quante cose si possono leggere, nella gara strepitosa a donare che ancora una volta ci rende davvero "fratelli d'Italia". Nelle sventure, più che nelle grandezze patrie, vero. L'eticismo statalista ha sempre rampognato gli italiani, per questo. A me pare, al contrario, che lo Stato italiano e le sue classi dirigenti abbiano così storicamente scarsa buona prova dato di sé, che per fortuna gli italiani nella sventura sanno mostrarsi superiori a chi spesso, in passato, delle sventure ha cooperato ad estendere i danni. Non dimentichiamolo, proprio oggi: anche nelle ricostruzioni post terremoto del nostro più recente passato.


TERREMOTO/ Il grido del cuore - Luca Doninelli - giovedì 9 aprile 2009 – ilsussidiario.net
La grande gara di solidarietà iniziata pressoché subito dopo la prima grande scossa di terremoto in Abruzzo, lunedì notte, è davvero commovente. Dagli ambienti più diversi - penso, ad esempio, al mondo dello spettacolo - la risposta è stata forte e immediata: segno che permane, nella maggior parte di noi, un impeto buono, quello che ci porta a tendere la mano prima di ogni altra considerazione.
C’è stata qualche polemica, questo è vero, ma la mia impressione è che si trattasse di un modo di riempire i palinsesti più che di una discussione vera e propria. La verità è che, di fronte al male, gli uomini sentono la necessità di stringersi in compagnia: il destino non lo si affronta da soli.
Due immagini, però, vengono a drammatizzare questo quadro che, preso per sé, ridurrebbe tutto il problema alla generosa risposta dell’uomo a una calamità di per sé priva di senso - come dire: di fronte all’assurdità dell’esistenza, diamoci una mano. Se fosse soltanto così, infatti, finiremmo per concordare con le amare conclusioni del Leopardi delle Operette Morali o de La Ginestra, tutte dirette a mostrare la nullità dell’uomo di fronte alla suprema indifferenza della Natura.
La prima immagine è la più inquietante. È la notizia della seconda, grande scossa che ha colpito l’Abruzzo intorno alle 19:30 di martedì. Immaginiamo gli sfollati intirizziti, i volontari che distribuiscono cibo e coperte, i medici che si danno da fare nei loro ospedali improvvisati, i rappresentanti della Protezione Civile e del Governo e, all’improvviso, un nuovo boato, una nuova scossa. L’attività si ferma e per un istante si crea un vuoto in ciascuno: un istante di sgomento. E la consapevolezza che, di fronte a eventi così grandi, non c’è risposta adeguata. Nessuno sa come si fa a imbrigliare un terremoto, e forse non lo sapremo mai.
Quindi, è evidente che non si può “far fronte” a tutto. Chi pretende questo finirà incattivito contro il destino e contro Dio, come nel film Katyn, dove una donna macerata dal dolore finisce per trasformare in pretesa la propria domanda di giustizia, consegnandosi così (come vuole il potere) alla disperazione. Noi siamo poveri e impotenti, e nulla è veramente nostro, se non quello che ci è stato donato e perciò può esserci tolto.
La seconda immagine è quella della mamma trovata morta abbracciata alle sue figliolette, morte anch’esse. Mi sono chiesto a lungo il perché di quell’abbraccio. Era solo il tentativo disperato di salvare la vita delle due bambine? Davvero quella donna poteva contare sulla riuscita di un simile progetto? Io credo che ci fosse anche qualcos’altro: il bisogno di affermare un legame, un rapporto che costituisce l’uomo perfino al di là della morte: “Comunque vada, io sono la vostra mamma, vi amo e la morte - arrivasse pure tra una frazione di secondo - non vincerà su questo amore”.
Di fronte a una sciagura così, o diventiamo più cattivi o riconosciamo che c’è un Mistero dal quale dipende ogni nostro respiro, ivi incluso l’amore per i nostri figli o la morte sotto le macerie di una casa crollata. Ma quale cuore umano potrebbe restare a lungo di fronte a fatti così sgomentanti senza cedere alla rabbia, alla smania di fare, allo scandalo di fronte alle inevitabili inadempienze? Ci vuole una grande fortuna: quella di aver potuto incontrare, vedere, toccare la risposta al grido di questo cuore. Perché il cuore è quella cosa che, in noi, si ribella alla sentenza annunciata che ci vuole destinati al nulla. Un uomo rispose a questo grido: Gesù, Gesù di Nazareth.
Per stare di fronte allo sgomento di un terremoto, e continuare a domandare, è necessario aver conosciuto quell’uomo che alla povera vedova cui era morto l’unico figlio disse: «Donna, non piangere». Da duemila anni, grazie alla Chiesa, l’uomo può fare esperienza di quell’amore, di quelle parole piene di infinita pietà. Finito il tempo dell’emergenza, la sfida, di fronte a persone così colpite dalla disgrazia, sarà questa: portare quell’amore e quella pietà, affinché il carico del dolore, delle morti premature, degli affetti spezzati non finisca avvolto dalla nebbia dell’assurdità.


DOPO ELUANA/ La “profezia” di Romano Guardini e l’ipotesi di monsignor Giussani - Elisa Buzzi - giovedì 9 aprile 2009 – ilsussidiario.net
In due articoli, apparsi su La Repubblica pochi giorni dopo la morte di Eluana Englaro, M. Niola e R. Esposito, indicano “la posta in gioco” nella “battaglia biopolitica”: una volta che il corpo, nella fase terminale, è ridotto a “nuda vita”, “pura cosa”, avendo perso il suo “proprietario naturale”, “il soggetto che lo abita”, chi ne diventa il propietario, “Dio, lo Stato, chi lo ha generato, chi lo ha in custodia”? Una questione di “possesso” e di “potere”, dunque: a chi appartiene ultimamente l’uomo, la vita dell’uomo, chi ha potere di decidere il suo destino? Sullo sfondo si staglia una posizione oggi molto diffusa in campo filosofico e bioetico: non basta essere un essere umano, nato da due esseri umani, per essere una persona, non tutti gli esseri umani, in qualunque condizione o stadio della vita, sono persone. È su questa distinzione, e sulla possibilità di ridurre la “nuda vita” a “pura cosa”, che si fonda la pretesa del potere che, come ricordava don Giussani in un intervento del 1983 (La crisi dell’esperienza cristiana e il trionfo del potere), sempre si costruisce sulle necessità e sui limiti, sul “corpo”, ma è potere su tutto l’uomo, secondo una logica che il progresso tecnologico ha reso più totalizzante.
Il problema che allora si pone, tornando al suggerimento iniziale, è quello del limite a e di questo potere del e nel soggetto legittimo del suo esercizio, perché come ricordava ancora Giussani nell’intervento dell’83, citando Romano Guardini: «Essere in possesso di un potere, se non è definito da una responsabilità morale e non controllato da un profondo rispetto della persona significa distruzione dell’umano in senso assoluto» (R.Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, 1984, 177)
Lo stesso Guardini nel 1947, su invito di alcuni medici, tenne una conferenza sul “Diritto alla vita prima della nascita” in riferimento alla discussione allora in corso sull’art. 218 del Codice Penale tedesco relativo all’interruzione di gravidanza e alla sua non punibilità nei casi contemplati da una specifica Indikation di carattere medico, criminologico o sociale. Le esperienze recentissime del nazismo segnavano profondamente la riflessione di Guardini, che fa riferimento in particolare alle misure di eutanasia adottate dal regime negli anni 1939-1941, conosciute come “Operazione T4”, che causarono dalle settantamila e alle novantamila vittime, tra bambini portatori di handicap, persone affette da demenza senile, epilettici, detenuti provenienti da manicomi criminali. Per cui, a un certo punto, pur riconoscendo il peso che la considerazione delle circostanze, delle miserie e necessità materiali e morali, non può non esercitare sulla definizione del problema, Guardini afferma: «Attraverso l’intrico di tutte le considerazioni [giuridiche, scientifiche, economiche e sociali] deve risultare chiaro che alla fin fine un’unica questione è importante, quella che oltrepassando il problema particolare […] conduce al punto fondamentale: l’uomo appartiene a se stesso, alla famiglia e allo Stato, oppure è sottoposto all’elevatezza [Hoheit] di un’istanza assoluta, la cui norma regoli sia i desideri personali sia le pretese sociali?
Se è vero il primo caso, allora l’uomo è abbandonato a se stesso, ai suoi desideri, ai suoi bisogni e alle sue concezioni; come pure alla situazione sociale e alla sua più potente espressione, ossia allo Stato. Singolo e Stato troveranno sempre delle ragioni […] per dare un carattere di giustizia esclusiva a ciò che vogliono. Lo abbiamo sperimentato.
Se è vero il secondo caso, allora ai desideri e alle tribolazioni del singolo, così come alla forza di suggestione della situazione sociale e alla violenza dello Stato, sta di fronte un limite morale assoluto. E questo limite non solo inibisce, ma anche salva; salva l’uomo e lo Stato – ciò che è proprio dell’uomo e ciò che è proprio dello Stato – dalla confusione che nasce da essi medesimi. Ogni violazione della persona, specialmente quando s’effettua sotto l’egida della legge, prepara lo Stato totalitario. Rifiutare questo e approvare quella non denota chiarezza di pensiero né coscienza morale vigile.» (R. Guardini, Il diritto alla vita prima della nascita, 2005, 36-38).
Molto probabilmente, il problema oggi sta, in gran parte, proprio qui: in questa mancanza di chiarezza del pensiero, in questo sopore morale per cui chiunque rifiuta lo stato totalitario, molti, però, in vario modo, tendono ad approvare e giustificare la violazione della persona, sotto l’egida della legge, anche affermando che non tutti gli esseri umani sono persone, in qualunque condizione o stadio della vita, «non lo sono, ad esempio, se viene loro negata fin dall’inizio l’ammissione nella comunità di riconoscimento, mediante la quale - e solo grazie alla quale – gli uomini diventano persone. Non lo sono neppure se ad essi in quanto individui mancano le caratteristiche in virtù delle quali definiamo in generale gli uomini come persone, cioè se essi non dispongono ancora , o non più, temporaneamente o per tutta la vita, di queste caratteristiche. Ad esempio, bambini piccoli e vecchi con gravi deficit mentali non sono persone, e secondo Derek Parfit, il pensatore di gran lunga più autorevole di questo orientamento, non lo sono neanche coloro che si trovano in coma irreversibile e quanti sono temporaneamente privi di coscienza». (R. Spaemann Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, 2007, 4). È questo quello che Spaemann definisce un profondo rivolgimento teorico, per cui «il concetto di persona gioca improvvisamente un ruolo chiave nella distruzione dell’idea che gli uomini, proprio in quanto uomini, rispetto ai loro simili, avrebbero qualcosa come dei diritti» (Ibid.).
Tutti parlano di “dignità della persona” come fondamento dei diritti, ma in che cosa consista propriamente questa dignità, che secondo il precetto kantiano costituisce appunto l’istanza morale e il limite assoluto, che impedisce di trattare un essere umano come un mezzo, una cosa, è oggetto delle più varie interpretazioni, o, più precisamente, tale concetto si presta facilmente al gioco di chi vuole manovrare a piacimento il limite morale assoluto, di volta in volta lasciando fuori «dal recinto concettuale e simbolico della persona» – sono espressioni di Esposito – tutto quello o tutti quelli che non rientrano nella definizione che qualcuno – chi? gli intellettuali, i giuristi, gli economisti, il comitato etico, il popolo sovrano, Derek Parfit, Peter Singer, il magistrato competente, il Tar?- ha deciso a priori di escludere. Così, in nome delle “dignità della persona”, si uccidono degli esseri umani, in nome di una dignità della persona intesa, per altro, secondo criteri piuttosto soggettivi e mutevoli: la “qualità della vita”, la “libertà di scelta”, la “pietà per i sofferenti”, il “diritto di autodeterminazione del soggetto”, ultimamente persino il “diritto del padre a decidere della vita dei figli” – perché purtroppo si è detto anche questo –, secondo una interpretazione confusamente sentimentale di una logica arcaica - il diritto della stirpe e del sangue incarnato dalla feroce patria potestas pagana - contro la quale la Chiesa ha lottato fin dalle sue origini e che sembrava definitivamente tramontata nella nostra civiltà, almeno giuridica. Questo forse è il segnale più preoccupante dei limiti del formalismo etico, anche nella sua espressione più alta, quella kantiana, e, quindi, di una impostazione puramente procedurale della difesa dei diritti umani.
Perché infine il discorso, anche quello della dignità della persona e di una sua adeguata fondazione, ci riconduce sempre allo stesso punto: a chi appartiene l’uomo, a chi appartengo io? Questa mi sembra la formulazione più corretta, non semplicemente retorica, della domanda di Esposito. La ragione e l’evidenza sono, e non possono che essere, a questo livello, inesorabili: io appartengo a ciò che mi fa essere. Chi mi fa essere? Se la mia origine è puramente biologica, «ciò che han fatto papà e mamma», come ricorda ancora Giussani, o sociale, «è chiaro che [io sono] come un sasso dentro tutto il flusso dei torrenti [del potere]»; allora veramente lo “Stato”, - “l’espressione più forte” dell’individuo e della società, nelle sue versioni decisamente totalitarie o più soft, liberal democratiche – è “origine e fonte di tutti i diritti e gode di un diritto senza confini” – letteralmente assoluto, indefinito e irresponsabile -, secondo la tesi condannata dalla 39º proposizione del Sillabo. Ma, chi, veramente, mi fa essere? «Solo se nell’uomo è ipotizzabile o viene affermato un quid che non deriva dal flusso biologico [o sociale] antecedente, e perciò solo se c’è nell’uomo qualcosa che, siccome non c’era, è fatto, resta – unica ipotesi – la grande ipotesi della trascendenza: nell’uomo, in qualunque punto sia, esiste qualcosa che sia identicamente rapporto con ciò da cui tutto dipende e, come tale, proprio perché tutto ne dipende, è il significato totale e quindi indecifrabile […] incommensurabile [non misurabile, neppure rispetto ai parametri di qualità della vita o della nostra cosiddetta pietà, dei nostri desideri o delle nostre tribolazioni], incommensurabile, cioè mistero. Se il significato di tutto è mistero, e nell’uomo ciò che gli è specifico è il rapporto con il mistero [prima e più profondamente della “parte razionale e volontaria”, del “riconoscimento”, della “vita di relazione”], questa è una fondazione di dignità che tutta la baraonda che si può stabilire nel regno umano non può toccare […]. Perciò il fondamento della dignità di una persona non può essere che questa ipotesi, e questo è il più grande paradosso: solo la dipendenza dal mistero come costitutiva del valore dell’io libera l’io.» (Giussani, La crisi dell’esperienza cristiana, 20-21).
Questo, si potrebbe dire, riprendendo Guardini, è il contenuto, la sostanza, dell’Istanza assoluta che protegge il singolo da tutte le pretese assolute del potere.


STESSO REALISMO DI 2.000 ANNI FA - LA VIA CRUCIS VA IN SCENA STAVOLTA NELLA NOSTRA TERRA - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 9 aprile 2009
L a morte di Cristo fu reale, come lo è quella di uomini e donne d’Abruzzo. Come la loro fu insen­sata e brutale. E sentita ingiusta. La morte di Cristo e la morte degli uo­mini sono uguali. E il dolore per quella morte fu uguale al dolore per le morti che oggi ci stanno davanti agli occhi. Fu lo stesso dolore. Lo stesso pianto, il medesimo crampo nello stomaco. E lo stesso venir giù delle luci. Fu lo stesso serrare i pu­gni, e lo stesso buttarsi nell’ab­braccio l’uno dell’altro. Come per metter quiete a qualcosa che fa rompere il petto. Come per tenere legate nell’abbraccio di un altro le ossa che stanno per rompersi per il grido del cuore. Il dolore di Lui che moriva fu dello stesso tipo del do­lore di molti che non ce l’hanno fat­ta sotto le macerie. Il soffocamen­to fu lo stesso. E anche la dispera­zione di Cristo fu la stessa di quel­la che hanno provato in tanti, in troppi in Abruzzo.
La croce non fu una scena teatrale. Come non è teatro, non è set televi­sivo, nonostante a tratti l’invaden­za dei media, quello che vediamo in Abruzzo. La morte di Cristo non fu un bello spettacolo, come non lo è per niente la morte di tanti in que­ste ore. Abbiamo la croce davanti, in questa settimana, e la croce addos­so a così tante famiglie. Ed è lo stes­so peso, la stessa offesa e la stessa sofferenza, la stessa condanna, sul­le spalle di Gesù e sulle spalle oggi di tanti. La Via Crucis si svolge sot­to i nostri occhi. E come accade so­litamente nel presepe, dove si ag­giungono figure e figurine tratte dal­la vita quotidiana e dalla cronaca, ora ci accade di farlo per la Via Cru­cis. E per la settimana intera di Pa­squa. Di dover aggiungere mille fi­gure di dolore e di speranza. Di ve­dere tante figure, tanti personaggi reali per la Via Crucis e per i prepa­rativi della notte del Sabato. Di ve­dere i volti di Cristo, i volti della Ma­dre dolorosa, quelli degli amici sgo­menti. E pure i volti, i tanti volti del Cireneo, che aiuta a portare la cro­ce. Perché quella di Cristo è come la nostra morte. Ed è per la nostra. Ab­biamo per così dire, purtroppo, la Via Crucis sottomano. Va in scena nella nostra terra. Vicina, con il suo carico di dolore. E con i segni del bene. Perché il Cireneo, e la docilità con cui Gesù va al supplizio sono segni, per quanto apparentemente meno visibili di tutto l’orrore e la pe­na, del bene che non cessa di pre­sentarsi. Della Resurrezione che non smette di annunciarsi. Si fa fa­tica a tenere gli occhi su questi se­gni. Sembrano piccoli, nella im­mensa via Crucis di queste ore ita­liane. Piccoli ma evidenti.
Trovarsi insieme, come avverrà nei prossimi giorni, per i riti e le cele­brazioni di Pasqua, servirà proprio per aiutarsi a vedere bene. Per ve­dere insieme la via Crucis. E anche il senso della via Crucis. Per vedere il volto di Cristo che soffre e per ri­volgere gli occhi dove stava guar­dando Lui mentre era nel supplizio. E occorrerà guardare bene, da soli e nella comunità, per vedere il saba­to. E per attendere la Domenica. Che sembra ostruita dai sassi. E dal sapore della sabbia tra i denti. Oc­correrà aiutarsi a guardare la Via Crucis tra noi. A guardare davvero. A non distogliere gli occhi. Cercan­do Gesù dov’è. Perché è dove si pa­tisce la morte, questa morte sua, u­guale di Figlio di uomo alla morte di tutti i figli di uomini, specie degli in­nocenti; sì, Lui è nella Via Crucis d’A­bruzzo, dove si patisce forte, ma è lì tra le tende, le bare, le case non più case, le coperte e le sue chiese a­perte come grida al cielo, per la cer­tezza di conoscere la vita che non fi­nisce mai.


REPORTAGE DALL’INDIA - Una Pasqua di sofferenza per i cristiani dell’Orissa - DAL NOSTRO INVIATO A PHULBANI (ORISSA) - CLAUDIO MONICI – Avvenire, 9 aprile 2009
M iseri villaggi rurali, segnati da una dif­fusa povertà economica, umana e culturale, che ancora vivono la lon­tana attesa dei «tempi moderni», si rifletto­no nel finestrino dell’auto­mobile. Fotogrammi di un vecchio film in bianco e ne­ro, mentre il veicolo che ci trasporta procede sulle pol­verose strade del distretto di Kandhamal, cercando di scansare vacche sacre e gio­vani capretti che vagano in libertà. Casupole tutte uguali e malconce si succedono l’u­na all’altra, avvolte dall’aria appiccicosa dell’umido mat­tino, accanto i loro incerti braceri, in cui è mi­sero anche il fuoco che brucia. Ci vogliono sette ore di viaggio per fare 200 chilometri nel territorio che un giornale indiano ha defini­to «una terra diventata sinonimo dell’odio nel nome di Dio». Sette ore per risalire le sue montagne, le sue foreste, nel cuore dello Sta­to di Orissa. Il più povero in assoluto dei 28 Stati che costituiscono l’Unione in­diana; il più arretrato per scolariz­zazione, assistenza sanitaria e in­dici di benessere. Dove l’88 per cen­to della terra appartiene allo Stato. Qui i bambini con la zappa in spal­la non sanno che cos’è una scuola e molti anziani languono accascia­ti ai margini della società, soltanto una pezza sfrangiata, sporca, get­tata sulla schiena, senza il confor­to di una medicina. Storpi e mala­ti si arrangiano come possono, le donne lavorano nei campi e poi do­vranno occuparsi del cibo per i ma­riti e i figli. Occhi di questo pezzo di continente indiano, terra dei più miseri tra i miseri, ma anche 'la­boratorio' di una pulizia religiosa e di classe, perché i cristiani sono considerati un argine alla costru­zione del pensiero unico, del fana­tismo nazionalista e estremista indù, che divide il mondo in rigide caste e che urla il suo slogan della paura: «Bharat mata ki joy», essere indù per salvare la madre India.
Nell’agosto del 2008, in conse­guenza dell’assassinio di un capo radicale politico e religioso indù, Swami Laxmanananda Saraswati, benché un gruppo armato maoista avesse rivendicato l’omicidio, gli induisti at­taccarono la comunità cristiana.
A distanza di mesi, vivere da cristiani nell’a­gitata Orissa (34 milioni di abitanti; l’1% quel­li che pregano Gesù Cristo, il 18% risiede nel distretto di Kandhamal) continua a essere pe­ricoloso. «È come stare in una bolla di luce, circondata da una ne­bulosa di incertezza e paura», fa notare un re­ligioso indiano.
Sulla strada le tracce, le ferite di quanto acca­duto nei mesi passati restano impresse e ben evidenti. Il convento bruciato, la chiesa cat­tolica distrutta, dove la gente, comunque e no­nostante la paura, tor­na a radunarsi per una preghiera, i centri del­la Caritas locale e della pastorale con le por­te sfondate dai colpi d’accetta e ogni cosa in­cenerita, i computer sfasciati, i libri affumi­cati, le statue del presepe fuse dal forte calo­re, le fotografie dei giorni felici ridotte a sfo­glie di carbone. Impressiona la distruzione delle povere case appartenute ai cristiani e delle chiese co­struite di terra impastata a paglia, che la rab­bia indù ha trasformato in roghi sui quali get­tare madonne decapitate, libri religiosi, ta­bernacoli violati e statue dei santi pestate con così tanta rabbia da essere ridotte in bricio­le.
Come il marchio in rilievo del dolore che ha segnato un corpo senza sollievo, improvvi­sate tendopoli raccolgono decine di famiglie di sfollati, perché nessuno li vuole e nessun altro li aiuta. Sorgono accanto a ciò che resta di un villaggio o di un pugno di casupole di contadini cristiani o al riparo di una missio­ne sopravvissuta alla rabbia distruttrice indù, ma anche tra le mura di un lebbrosario ge­stito dalle suore missionarie della carità di madre Teresa di Calcutta, «Non piangere. Dio ti aiuta», dice il nostro ac­compagnatore rivolgendosi a un padre di fa­miglia in lacrime nel raccontare la sua storia. L’uomo, balbettando, risponde: «Quando po­trò tornare alla mia casa? Non è rimasto più niente. Mi hanno bruciato la casa. Quella è la terra dove sono nato. Dove vado? Chi mi aiu­terà?
». Nella tendopoli, il calore fonde gli odori men­tre le persone si radunano. Sono facce che hanno lo stesso colore della terra. Tutti dico­no di quando il grido degli indù ha rotto il si­lenzio della notte e le torce hanno illumina­to i villaggi per poi ardere e uccidere. Rac­contano della paura che ancora portano ne­gli occhi. «Siamo fuggiti nella foresta. Senza niente da mangiare per giorni», spiegano. Per­si nel silenzio di una vegetazione dove stri­sciano i cobra. Senza avere notizie dei propri cari, dei vicini di casa. Con le mani a tappar­si le orecchie per non sentire le grida di do­lore di chi era picchiato a sangue, o della don­na costretta a subire una brutale violenza. Ma anche l’ultimo gemito di chi veniva ucciso.
Dalla foresta vedevano bruciare la loro chie­sa e sentivano l’ultima oltraggiosa scampa­nacciata. E davanti alla minaccia di essere ucciso c’era chi non riusciva a dire no: con­versione forzata all’induismo in cambio del­la propria vita. «Strappare la Bibbia e poi bru­ciarla », ricorda l’uomo che piange, mentre altre voci che si fanno forza offrono adesso storie di famiglie miste: un cristiano sposato a una indù, rincorsi dalle minacce selvagge al loro figlio maschio da bruciare vivo. Ma an­cora più atroce è l’ascoltare la storia di chi dopo essere stato bastonato fin quasi alla morte «è stato sepolto vivo, mentre attorno gli assalitori gli gridavano: 'Adesso aspetta il tuo Gesù che ti verrà a salvare'».


testimoni - «La nostra Moira e quel sondino» - Avvenire, 9 aprile 2009 - Da nove anni in stato vegetativo, giovane come Eluana, ma accudita in casa dai genitori. Che scrivono per dire: non ci crederete, ma nostra figlia mangia quel che mangiamo noi, frullato. E sarebbe una terapia?
Caro direttore, siamo il papà e la mamma di Moira, da nove anni in stato vegetativo persistente. Abbiamo seguito nelle settimane scorse l’angosciante vicenda di Eluana Englaro e abbiamo tanto sofferto. Sì, perché, dalle informazioni che avevamo raccolto sapevamo che il quadro clinico di Eluana, quasi coetanea di Moira, era lo stesso di nostra figlia. Non riusciamo a spiegarci come si sia potuto toglierle l’alimentazione e farla morire!
Nostra figlia fino al 13 gennaio 2000 faceva la parrucchiera. Era al nono mese di gravidanza. La visita ginecologica effettuata il giorno precedente era stata rassicurante. Quella notte, però, perse le acque, svegliò il marito e gli disse «aiutami»: furono le ultime sue parole. Poi a causa di un’embolia amniotica entrò in coma.
All’ospedale di Desio venne sottoposta al taglio cesareo e nacque un bella bambina. Fece appena in tempo a ricevere il battesimo e dopo qualche minuto morì. Si chiamava Asia. Moira stette alcuni giorni in rianimazione. Fu trasferita all’ospedale di Seregno in riabilitazione. I medici ci invitarono a cercare istituti idonei a ospitare Moira, perché ormai non c’era più nulla da fare.
Visitammo un solo istituto e decidemmo di non ascoltarli. Contro il parere di tutti, portammo Moira a casa nostra, a Nova Milanese.
Ribaltammo la casa e la adattammo alle esigenze di Moira. L’Asl ci fornì l’attrezzatura sanitaria e il letto antidecubito. I primi due anni non furono per nulla facili: la nostra casa sembrava un poliambulatorio.
Il nostro medico di famiglia ci fu di grande aiuto nel risolvere i tanti problemi che ogni giorno si presentavano, come le infezioni causate dal cibo che fuoriusciva dalla Peg. Moira, poi, inconsapevolmente si mordeva la bocca, procurandosi ferite e infezioni. Si rese necessario il ricovero in ospedale. Non fu facile acconsentire che le venissero asportati i denti. Dopo questo intervento, nostra figlia iniziò a ricevere il cibo dalla bocca. Con tanta, tantissima pazienza e, impiegando infinite ore, riuscimmo a nutrirla con il cucchiaino. Le venne tolta la Peg e inserito solo un sondino gastrico-nasale per l’idratazione. Qualcuno non ci crederà, ma Moira da sette anni mangia quello che mangiamo noi. Ovviamente tutto il cibo viene frullato. Mangia le tagliatelle, le lasagne, la carne, lo yogurt, la banana, la torta. E come le piace il gelato! E alla fine del pranzo non può mancare il caffè.
C’è chi ci suggerisce di non perdere tempo a frullare il cibo e di darle gli omogeneizzati o i liofilizzati. Abbiamo provato, ma Moira li rifiuta: preferisce il cibo preparato dalla mamma. E poi, quale gioia quel giorno che ci ha sorriso! Ci dicevano che eravamo fissati, che è impossibile che le persone in stato vegetativo sorridano. Tanta gente non conosce la realtà di questi malati! Moira, come del resto Eluana, non è attaccata ad alcun respiratore artificiale: è solo attaccata al nostro amore. Sa, direttore, che recentemente ha iniziato anche a sollevare da sola le braccia e le gambe. Impensabile! Ci ripaga di tante sofferenze e di tanti momenti di sconforto e solitudine. Noi non frequentavamo molto la chiesa. Abbiamo ritrovato la fede ascoltando Radio Mater di Erba. Così abbiamo ripreso fiducia e abbiamo iniziato a pregare.
Oggi noi siamo felici di aver voluto assistere Moira in casa nostra. Non siamo eroi. Siamo solo dei genitori. E un genitore non può abbandonare la propria creatura. Questi disabili sono gioielli che Dio ci ha dato: dobbiamo accettarli e amarli. Sempre e comunque.
Chiediamo solo – e come noi ci sono centinaia di genitori a chiederlo – di non essere trascurati dalle istituzioni e che il peso dell’assistenza non venga lasciato solo sulle nostre spalle.
La ringraziamo dell’ospitalità. Con stima.
Giovanna e Faustino Quaresmini