venerdì 15 maggio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 14 Maggio 2009 - IL VIAGGIO - Il Papa al Santo Sepolcro:«L'amore superi i conflitti» - Il Papa concluderà oggi il pellegrinaggio in Medio Oriente in uno dei luoghi più sacri della cristianità, il giorno dopo una messa per decine di migliaia di persone nella cittadina di Nazareth. Prima di concludere la visita di otto giorni che lo ha portato in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi, il Pontefice dovrebbe visitare la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, costruita nel luogo in cui i cristiani credono che Gesù sia stato crocifisso e sia risorto. – Avvenire, 15 maggio 2009
2) Chi può rompere il guscio dell'Io? - Pigi Colognesi - venerdì 15 maggio 2009 – ilsussidiario.net
3) TERRA SANTA/ Magister: così l’impolitico Benedetto XVI ha posto le condizioni della pace e deluso i laicisti - INT. Sandro Magister - venerdì 15 maggio 2009 – ilsussidiario.net
4) LETTERATURA/ Il cristianesimo mai tranquillo di Flannery O’Connor - INT. Rafael Jiménez Cataño - venerdì 15 maggio 2009 – ilsussidiario.net
5) La pillola abortiva ha effetti secondari e richiede controllo medico - Avverte il presidente della FIAMC - di Patricia Navas


14 Maggio 2009 - IL VIAGGIO - Il Papa al Santo Sepolcro:«L'amore superi i conflitti» - Il Papa concluderà oggi il pellegrinaggio in Medio Oriente in uno dei luoghi più sacri della cristianità, il giorno dopo una messa per decine di migliaia di persone nella cittadina di Nazareth. Prima di concludere la visita di otto giorni che lo ha portato in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi, il Pontefice dovrebbe visitare la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, costruita nel luogo in cui i cristiani credono che Gesù sia stato crocifisso e sia risorto. – Avvenire, 15 maggio 2009
Il Papa ha concluso al Santo Sepolcro a Gerusalemme il suo pellegrinaggio in Terrasanta. Questo luogo «ci parla di speranza... questo è il messaggio che voglio lasciarvi a conclusione del mio pellegrinaggio in Terrasanta», ha detto il Pontefice. quindi della «redenzione» del genere umano, "possa la speranza sorgere nuovamente, per grazia di Dio, nel cuore di tutte el persone che abitano in questa terra" - ha esclamato Benedetto XVi - «con queste parole di incoraggiamento, cari amici, concludo il mio pellegrinaggio nei luoghi santi».

Prima del Papa, ha preso la parola il patriarca latino di Gersualemme, Fouad Twal, chiedendo la fine del conflitto in Medio Oriente. "Oso confermare -ha aggiunto- che nè il conflitto, nè l'occupazione, nè i muri di separazione, nè la cultura della morte, nell'emigrazione dei cristiani riusciranno ad abbatterci".


In ginocchio davanti al Santo Sepolcro. In preghiera per alcuni minuti sulla pietra della tomba di Cristo nel Santo Sepolcro. Al suo arrivo nella basilica che ricorda la morte e risurrezione di Gesù, Benedetto XVI aveva invece asperso d'incenso la pietra "dell'unzione" dove, secondo la tradizione, Cristo sarebbe stato cosparso di olii dopo la deposizione dalla croce.

Benedetto XVI, che all'arrivo in basilica è stato accolto dal custode di Terrasanta, Pierbattista Pizzaballa, e dal patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha poi rivolto un discorso di contenuto spirituale sul senso della "tomba vuota" per i credenti. Ha incitato la Chiesa di Terrasanta a non rinunciare alla speranza e ad essere "aralda di speranza". «La potenza dello Spirito - ha anche detto - possa aiutarci a superare ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo e al potere del suo amore che riconcilia». Dalla tomba, il Papa si recherà al Calvario, il luogo della crocifissione.

Ai rappresentanti delle chiese cristiane in Terrasanta. La vita di Gerusalemme sia «contrassegnata da libertà religiosa e da coesistenza pacifica e - in particolare per le giovani generazioni - dal libero accesso all'educazione e all'impiego, prospettiva di una conveniente ospitalità e residenza famigliare e possibilità di trarre vantaggio da una situazione di stabilità economica e di contribuirvi». Lo ha chiesto il Papa nell'incontro ecumenico, nella sala del trono del patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme, con i rappresentanti delle chiese cristiane in Terrasanta. Il Papa è stato accolto dal patriarca greco-ortodosso Teofilo III.

Benedetto XVI ha incitato ad educare una «generazione di cristiani ben formati e impegnati, solleciti nel desiderio di contribuire generosamente alla vita religiosa e civile di questa città unica e santa». «Dobbiamo trovare la forza - ha detto papa Ratzinger nel discorso ai capi cristiani - per perfezionare la nostra comunione, per renderla completa, per recare comune testimonianza all'amore del Padre...».

Benedetto XVI ha anche ricordato gli «storici incontri che ebbero luogo qui a Gerusalemme - ha detto - fra il mio predecessore, il papa Paolo VI e il patriarca ecumenico Atenagora I, come pure quello fra papa Giovanni Paolo II e sua beatitudine il patriarca Diodoros. Questi incontri, in essi comprendendo la mia visita odierna - ha rimarcato - sono di grande significato simbolico».


Chi può rompere il guscio dell'Io? - Pigi Colognesi - venerdì 15 maggio 2009 – ilsussidiario.net
È in corso a Torino la ventiduesima edizione della Fiera Internazionale del libro, la principale manifestazione editoriale del nostro paese. Si intitola «Io, gli altri» e si presenta con una frase di Italo Calvino: «La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso». Gli organizzatori giustificano il titolo con queste parole: «La scelta dell’Io come motivo conduttore della Fiera 2009 nasce dalla constatazione di quanto oggi l’Io sia malato. Esibizionista, egoista, autoreferenziale, indifferente al destino e alle necessità degli altri, ha perso il senso della comunità ed è incapace di elaborare progetti condivisibili, di riconoscersi in una causa di utilità comune». Un Io chiuso in sé che fatica ad aprirsi all’esterno. Come un uovo; e infatti proprio un uovo col guscio appena appena screpolato campeggia nel manifesto al posto della O di Io.
È un tema coraggioso, che coglie quel drammatico fenomeno di «trascuratezza dell’io» da più parti denunciato come una della malattie più gravi della nostra civiltà. Ma è sulla pars construens che sorge qualche interrogativo. Continua, infatti, la presentazione della mostra: «Un Io che non sa guardarsi dentro, e invece di affrontare una coraggiosa autoanalisi preferisce creare un alter ego virtuale da far circolare in rete, offrendo di sé un’immagine edulcorata che non corrisponde al vero: non il ritratto di quello che si è, ma di quello che si vorrebbe essere. Un inganno romanzesco, una proiezione immaginaria». Lasciamo stare la questione dell’immagine virtuale e della proiezione immaginaria, che ci porterebbe troppo lontano. Soffermiamoci su quello che viene denunciato come mancante e, per contrasto, indicato come soluzione: «guardarsi dentro», «affrontare una coraggiosa autoanalisi». È proprio così che l’Io si ritrova?
Proviamo a considerare la dinamica originale attraverso la quale l’essere umano nel suo primo svilupparsi prende coscienza del proprio Io. Il bambino non si scopre Io perché si guarda dentro o si fa un’autoanalisi, ma perché si trova di fronte ed accoglie un Tu. Guardandolo, immedesimandosi con esso, seguendolo, imparando l’Io emerge. Un grande studioso di linguistica mi raccontava che in nessuna grammatica di nessuna lingua del mondo esiste solo il pronome di prima persona: Io; c’è sempre anche il Tu. Senza un Tu, l’Io non si costituisce, non fiorisce. E tutto il «guardarsi dentro» che realizza, tutta la sottile «autoanalisi» in cui imbarca non può che lasciarlo ancora più dubbioso, complicato e insicuro su di sé. Pauroso come un bambino che non ha il coraggio di entrare in una stanza buia.
Guardandosi dentro, infatti, l’Io scopre un’infinita sete, un bisogno struggente. E analizzandosi si addentra in una complessità sempre più inestricabile, il «guazzabuglio del cuore umano» di cui parlava Manzoni. Bisogno e complessità di fronte ai quali non è semplice stare. Ed è proprio per questa paura di guardare sé fino in fondo che l’Io fugge in immagini virtuali e fittizie. Non ce la fa proprio a tenere fisso lo sguardo sul proprio intimo. A meno che non si senta guardato con ammirazione, speranza, incoraggiamento. Proprio come un padre guarda soddisfatto il figlio che cresce. Insieme al padre (Padre) il bambino ha il coraggio di entrare anche nella stanza del suo Io.


TERRA SANTA/ Magister: così l’impolitico Benedetto XVI ha posto le condizioni della pace e deluso i laicisti - INT. Sandro Magister - venerdì 15 maggio 2009 – ilsussidiario.net
L’occasione è ghiotta e l’Economist non se la lascia sfuggire. “Un capitolo di gaffe: la visita del papa in Terra Santa - titola il settimanale britannico - ha aggiunto un altro disastro nelle pubbliche relazioni alla lista già esistente”. Anche ammesso che le ragioni profonde che hanno indotto Benedetto XVI ad andare in Terra santa per sostenere la speranza e la testimonianza dei cristiani siano riconducibili ad un panel di “pubbliche relazioni”, cosa sulla quale, se non altro per onestà intellettuale, è lecito nutrire qualche dubbio, è sul “disastro” che l’autorevole settimanale si lascia sfuggire la mano. “Disastro” perché il Papa è andato allo Yad Vashem e “ha parlato di ‘milioni’ di ebrei vittime dell'Olocausto e non di sei milioni”: “un’omissione - secondo l’Economist - che ha avuto l'effetto di riaprire la questione appena chiusa dei lefebvriani e del vescovo Richard Williamson che aveva negato l'esistenza dell'Olocausto”. «Ma se l’Economist fosse stato più attento - commenta Sandro Magister - si sarebbe accorto che l’omissione non c’è stata affatto, perché di sei milioni di ebrei uccisi il Papa ha parlato, appena sbarcato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv la mattina dell’11 maggio». È vero. Può testimoniare il presidente Shimon Peres. «È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele - ha detto il Papa, e ci scuseranno i lettori la lunga citazione - io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e dipregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile».
Siamo al ridicolo, dice Magister, al quale ilsussidario.net ha chiesto un primo bilancio del viaggio apostolico di Benedetto XVI, che partirà oggi stesso da Tel Aviv per far ritorno a Roma. Ma la realtà è ben più seria, ed è l’esistenza di un «copione» - spiega Magister - da soddisfare sempre e comunque, quando si cita il dramma della persecuzione ebraica. Quel copione “scritto” in anticipo, ancor prima che il papa parlasse, sulla questione ebraica. Un canovaccio non esente da rischi, se ha impedito a molti - ma non a tutti - di cogliere la portata, la reale portata, di quello che Benedetto XVI ha detto nel Memoriale della Shoah.
Magister, il pellegrinaggio di Benedetto XVI volge al termine. Tentiamone un bilancio. Ieri il Custode dei luoghi santi padre Pizzaballa, faceva notare che tutto quello che ha un significato religioso, o anche semplicemente umano, in Terra santa diventa politica. Lei cosa pensa?
In un certo senso concordo: è un viaggio che inesorabilmente ha effetti e contraccolpi politici. La questione capitale a mio giudizio è capire se il terreno politico è quello principale sul quale Benedetto XVI ha voluto collocare il senso del suo viaggio. Non lo credo. Ciò non toglie che il papa sia perfettamente consapevole degli effetti politici del suo gesto. Lo si è visto anche mercoledì, quando Benedetto XVI è andato nei territori: sia a Betlemme che nel campo dei rifugiati ha detto cose politiche molto esplicite, che però non rappresentano una novità nella linea della Santa Sede sul conflitto israelo-palestinese. Il Papa è andato oltre la sfera prettamente politica.
Si riferisce per esempio al tema del muro spirituale e a quello, ad esso legato, del perdono?
Sì. Nei discorsi “politici” questa dimensione ulteriore è chiaramente visibile. Quando ha detto, a proposito del muro così contestato e controverso, che la questione vera è abbattere i muri che si creano nei cuori degli uomini, tra un uomo e il suo prossimo. È un compito che mette in gioco delle scelte personali, che in quanto tali sono in grado di cambiare le cose a livello pubblico. Lo stesso è avvenuto nell’omelia di Betlemme, come nell’omelia della Messa nella valle di Giosafat: Benedetto XVI ha lanciato messaggi molto espliciti ai cristiani, invitandoli a non abbandonare la loro terra.
È comprensibile che il Papa chieda ai cristiani di rimanere: quella è anche la loro terra, al pari di ebrei e musulmani…
Certo, il Papa ha chiesto loro di restare ed era nelle aspettative, ma l’argomento con cui lo ha fatto è eminentemente teologico. Ha detto: restate, perché avete il privilegio unico di essere a contatto diretto con la memoria storica della salvezza. Siete in grado, come gli apostoli, di vedere e di toccare i luoghi in cui la salvezza si è innestata, e quindi avete una missione di testimonianza eccezionale di fronte al mondo. E li ha esortati a restare fedeli a questa missione. L’approccio con cui Benedetto XVI guarda a cose molto concrete, e quindi anche molto politiche - come la permanenza dei cristiani in Terra santa - è sostanzialmente profetico, religioso.
Questo viaggio segna un’evoluzione nel rapporto tra Santa Sede e Stato di Israele?
Più che il rapporto con lo Stato di Israele politicamente inteso, sul quale le parole di Benedetto XVI sono state molto misurate e molto sobrie, direi che il capitolo del rapporto tra ebraismo e cristianesimo è uno dei grandi assi portanti di questo viaggio. Anche per quanto riguarda la storia dell’ebraismo e quindi la Shoah il Papa ha detto delle cose molto originali. Che proprio per questo hanno disorientato parte degli osservatori.
Allude alle polemiche che hanno seguito la visita al Memoriale di Yad Vashem?
Persino lo Ha’aretz, il giornale più liberal in Israele, ha pubblicato parole dure, un attacco impietoso nei confronti delle parole di Benedetto XVI. Perché molti intellettuali israeliani sono rimasti così sconcertati? Perché avevano in mente un copione - che era poi il loro - e vigilavano per vedere se e come il Papa rispettasse questo copione. E il Papa non lo ha fatto. Ha aperto delle pagine di riflessione ancora in parte inedite sul mistero della persecuzione di Israele, centrando la sua riflessione sul nome, sul valore biblico fortissimo che ha il concetto di nome.
Dunque il Papa ha tradito le aspettative: quelle di chi si era ostinatamente preparato a sentire altro.
Infatti quelli rimasti attaccati al “manoscritto” - preparato da loro - non hanno più saputo da che parte voltarsi. Ma è una riflessione che è stata moltissimo apprezzata, in campo ebraico, da chi l’ha colta. Il nome è l’identificazione della persona e l’identificazione della missione che la persona ha, tanto è vero che il Papa ha ricordato come Dio abbia dato un nome nuovo ad Abramo dopo la chiamata e lo stesso è avvenuto con Giacobbe. Il nome nuovo corrisponde a una missione. E questi nomi sono incisi indelebilmente nel pensiero e nel cuore di Dio. Anche quando il male assoluto arriva a voler togliere tutto all’uomo, non può però togliergli il nome, perché questo è difeso per l’eternità da Dio.
E per quanto riguarda i rapporti col mondo musulmano?
Si sono giocati nella prima parte del viaggio, perché il Regno di Giordania è un po’ il cenacolo culturale da cui è uscita la Lettera dei 138: uno dei frutti più promettenti generati dalla lezione di Ratisbona, che a mio parere ha segnato un tornante straordinario nei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’islam, da cui è partito un dialogo faticoso, incipiente ma portato finalmente sulle questioni reali: il rapporto fede, ragione e violenza. Al capitolo aggiunto da Papa Ratzinger in Giordania ha fatto riscontro l’ampio e interessante discorso tenuto dal principe GhaziBin Talal, in occasione della visita alla moschea di Amman.
Dove sta, a suo avviso, il valore della riflessione papale?
Il rapporto tra cristianesimo e islam è centrato non su un impossibile “negoziato” tra le due fedi - cosa semplicemente impensabile - ma sulla consapevolezza che dall’unica fede nell’unico Dio creatore derivi l’uguaglianza di natura di tutti gli uomini. Quindi i diritti dell’uomo sono esattamente quelli scritti nella creazione stessa e questo è il terreno comune su cui islam e cristianesimo possono servire l’unità della famiglia umana, secondo quanto detto dal Papa non solo in Giordania ma anche a Gerusalemme, dopo aver visitato la Cupola della roccia.



LETTERATURA/ Il cristianesimo mai tranquillo di Flannery O’Connor - INT. Rafael Jiménez Cataño - venerdì 15 maggio 2009 – ilsussidiario.net
L’opera e la personalità di Flannery O’Connor (1925-1964) sono stati al centro del simposio Ragione, Fiction, Fede svoltosi a Roma dal 22 al 24 aprile scorsi. ilsussidiario.net ne ha parlato con il professor Rafael Jiménez Cataño, professore ordinario di Retorica presso la Facoltà di Comunicazione Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce, che ha organizato il Convegno.
Qual è, secondo lei, il principale insegnamento di Flannery O’Connor per un cristiano oggi?
Che il rapporto con Dio è avventuroso e molto più interessante di una vita calcolata a colpi di diritti e doveri. Il che non è minimamente un irrazionalismo: è la constatazione che siamo una libertà che si confronta con altre libertà, compresa quella di Dio.
Chi legge Flannery O’Connor è per forza ben lontano dallo stereotipo che vuole il credente ormai in possesso di risposte per tutto, e più lontano ancora da un’immagine idillica della vita cristiana, una specie di Arcadia senza spazio per il conflitto, dove nulla può diventare un vero problema. È qui che la O’Connor scuote i suoi lettori. C’è chi sente persino che lei sia crudele con i suoi personaggi. In realtà è l’irruzione della grazia in vite spesso mediocri, ridicole, vuote, a provocare quella violenza che ci sconvolge nei suoi racconti. Irruzione che lascia sgomenti, perché di solito i personaggi non cercavano né grazia né nulla di simile, e tuttavia sono proprio queste le condizioni perché a quella libertà di Dio l’uomo possa rispondere in piena libertà.
Nella narrativa della grande scrittrice è ben presente la tematica del male. Le sembra una caratteristica “cattolica” quella di saper guardare in faccia senza fuggire questo aspetto tenebroso dell’esistenza?
È un realismo che ha sempre caratterizzato le più grandi penne cattoliche. I cattolici sono stati a volte accusati di giustificare il male. Li si vorrebbero implacabili nel contrastare il male e si ha l’impressione che siano un po’ concilianti. Il motivo è a mio avviso la particolare attenzione che il cattolico ha come per istinto verso la persona. È più importante salvare la persona che schiacciare il male. Ma non schiacciarlo – per il rischio di sopprimere insieme l’uomo – non è giustificarlo. D’altra parte l’onnipotenza di Dio si manifesta non tanto nella cancellazione del male quanto nell’ottenere il bene anche a partire dal male. Non ci dovrebbe stupire che da qui venga tutto uno “stile” di rapporto con il bene e il male.
È caratteristica della Chiesa Cattolica la coscienza di essere una comunità di santi e di peccatori, dove in prima persona nessuno si sente appartenente alla prima categoria ma certamente chiamato ad essa. Non è una comunità di persone di buon gusto né l’insieme di coloro che hanno ormai eliminato ogni legame con il male.
Così come avvicinarsi alla vita della Chiesa non è l’effetto dell’essere buoni ma del desiderio di incontrare Dio, la descrizione della vita umana fatta da questa consapevolezza non può non confrontarsi con la realtà del male, e non là, lontano, fra “coloro che sono cattivi”, ma nel proprio cuore. Perché io, per sapere del male, non ho bisogno che mi raccontino l’Olocausto: mi basta la mia vita. Nel male fatto da altri resta sempre l’incognita dell’intenzionalità e della consapevolezza, il che non succede, per me, in quello fatto da me.
Quali sono stati i principali risultati del convegno da voi recentemente promosso?
Può sembrare una banalità, ma bisogna dire che Flannery non delude. Pur nella relativa brevità della sua opera, ci abbiamo girato in lungo e in largo per tre giorni, in sessioni plenarie (nove relazioni e relativi dibattiti) e tavole rotonde (diciassette), più tre eventi teatrali e uno cinematografico. Inoltre le conversazioni di corridoio, nel coffee break, nei pranzi, posso testimoniare che continuavano sull’argomento. E non abbiamo mai avuto l’impressione che tutto ciò fosse eccessivo, che fossimo arrivati ai limiti dell’interpretazione.
È stato anche bello fare esperienza in vivo della validità della O’Connor fuori del cristianesimo. Presenze islamiche, hinduiste e budhiste hanno tenuto a ricordarci che la luce offerta dalla scrittrice vanno ben oltre l’ambito della cultura cristiana.
Un esito non indifferente di questo convegno è stato riunire le voci che con più autorevolezza si occupano della vita e dell’opera della O’Connor: biografi, editori, presidenti di fondazioni e persino qualche parente e amico molto vicino. Si conoscevano, ma non si erano mai riuniti tutti, neanche negli Stati Uniti.
È presto in ogni caso per tirare conclusioni. Il materiale raccolto, che ora deve passato al vaglio per poi arrivare alla pubblicazione, è estremamente vario. Consiglio vivamente di visitare il sito del convegno (http://www.pusc.it/pec/conv2009/) perché sono molto illuminanti i titoli, le provenienze, le attività; ci sono poi gli abstract di tutte le comunicazioni e ora si stanno aggiungendo anche nuove informazioni multimediali su quanto abbiamo vissuto in quei giorni.


La pillola abortiva ha effetti secondari e richiede controllo medico - Avverte il presidente della FIAMC - di Patricia Navas
BARCELLONA, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Distribuire la pillola del giorno dopo senza bisogno di ricetta nelle farmacie, anche a minorenni, “è un'aberrazione che attenta contro la professione medica”.
Lo ha dichiarato a ZENIT il presidente della Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche, Josep Maria Simón, dopo che il Ministro della Salute spagnolo, Trinidad Jiménez, ha annunciato l'autorizzazione della vendita di questo farmaco senza controllo medico nelle farmacie di tutta la Spagna.
Simon ha avvertito che la pillola “ha seri effetti secondari” e non previene le circa 30 malattie a trasmissione sessuale esistenti.
“Se in Spagna c'è bisogno della ricetta medica per un antibiotico, dovrebbe essere necessaria anche per una pillola con tanti effetti secondari”, ha affermato.
Il medico ha aggiunto che “è un contrasto che si promuova questa pillola e allo stesso tempo si promuovano i preservativi”.
Simón ha ricordato che nel 70% dei casi la pillola agisce come abortivo, impedendo l'impianto di quello che è già un essere umano.
Per il presidente della FIAMC, inoltre, “il Ministero per le Pari Opportunità commette una mancanza contro la sana uguaglianza favorendo questa pillola, il cui carico anticoncezionale ricade esclusivamente sulla donna”.
A suo avviso, “è macabro” che “ora si modifichi la legge sull'aborto e si distribuiscano pillole del giorno dopo solo ed esclusivamente per giustificare l'esistenza di un Ministero come quello delle Pari Opportunità e cercare di mascherare la situazione economica spagnola”.
Come Simón, molti professionisti sanitari, farmacisti, politici e rappresentanti di entità civili hanno espresso la propria opposizione all'autorizzazione alla vendita di questa pillola senza ricetta nelle farmacie spagnole.
L'autorizzazione fa parte della “Strategia sulla Salute Sessuale e Riproduttiva” inclusa nel “Disegno di Legge Organica sulla salute sessuale e riproduttiva e sull'interruzione volontaria di gravidanza”, approvato questo giovedì dal Consiglio dei Ministri.
Con questa bozza della nuova legge sull'aborto, il Governo propone di legalizzare l'aborto libero fino a 14 settimane di gestazione, e fino alla 22ª settimana se esiste rischio per la vita o la salute della donna o se il feto ha gravi anomalie.
Il disegno di legge segnala anche che “l'interruzione volontaria di gravidanza verrà garantita tra i servizi del Servizio Sanitario Nazionale perché sia una prestazione pubblica e gratuita”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]