venerdì 22 maggio 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 21/05/2009 14.18.23 – Radio Vaticana – Solennità dell'Ascensione in Vaticano. Il Papa: l'umanità peccatrice innalzata a Dio dalla Croce di Cristo
2) il tema La famiglia, «bellezza da conquistare di nuovo» - intervento di Julian Carròn sera al Centro Culturale di Milano sul tema «L’esperienza della famiglia. Una bellezza da conquistare di nuovo». - DI RICCARDO CASCIOLI – Avvenire, 22 maggio 2009
3) Multiculturalismo reale - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 21 maggio 2009 - Altissime cariche istituzionali del nostro Paese hanno esternato l’idea di un’Italia multietnica, ribadendo convinti che il multiculturalismo rappresenti l’inestimabile ricchezza di una grande nazione. - Chi ha osato dissentire è stato immediatamente bollato come becero xenofobo
4) Gerusalemme e dintorni - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 20 maggio 2009
5) Rileggere “La strada” di Cormac McCarthy - Autore: Acerbi, Clemi Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 21 maggio 2009
6) 21/05/2009 13:32 - VATICANO-ISLAM - Cristiani e musulmani promuovano il dialogo e rifiutino la violenza - Sono le principali conclusioni sulle quali hanno convenuto i partecipanti al primo Colloquio tra il giordano Royal Institute for Inter-Faith Studies (R.I.I.F.S.) e il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
7) INDIA – ITALIA - Premio “Defensor Fidei” a p. Thomas Chellan, fra le prime vittime dell’Orissa - AsiaNews ha sostenuto la sua candidatura. Il sacerdote, insieme a una suora, ha rischiato di essere bruciato vivo. Il 23 maggio incontra i giornalisti sul tema “India, fra democrazia e persecuzioni”.
8) 22 Maggio 2009 - IDEE - Preghiera, il tabù della modernità – di S.E. Camillo Ruini – Avvenire, 22 maggio 2009
9) IL VALORE DELLA VITA - Tre anni fa un aneurisma cerebrale che la porta a un passo dalla morte. Dopo il coma e diverse operazioni, Anita ora è in carrozzella, ma piano piano ha ripreso a sorridere, rispondere con cenni degli occhi e deglutire «Mia moglie disabile, la amo più di prima» - Francesco: vorrei solo una casa più adatta a lei - DAL NOSTRO INVIATO A FIUMICINO (ROMA) - PINO CIOCIOLA – Avvenire, 22 maggio 2009
10) Svizzera «Dai vescovi nessun via libera alla “dolce morte”» - DI VIVIANA DALOISO – Avvenire, 22 maggio 2009
11) polemiche - Il noto giornalista che firma un libro col filosofo plagia le idee del biologo Wilson. Viviamo in un Paese di «copisti»? - Augias copia come Galimberti e Mancuso allibisce - DI GIANNI GENNARI – Avvenire, 22 maggio 2009


21/05/2009 14.18.23 – Radio Vaticana – Solennità dell'Ascensione in Vaticano. Il Papa: l'umanità peccatrice innalzata a Dio dalla Croce di Cristo
Oggi in Vaticano si celebra la Solennità dell’Ascensione, che in Italia e in altri Paesi sarà festeggiata domenica prossima. Si tratta di un mistero della fede – ha sottolineato Benedetto XVI – che richiama l’altissima vocazione dell’uomo, innalzato a Dio da Cristo dopo aver pagato sulla Croce i peccati di ognuno di noi. Il servizio di Sergio Centofanti. http://62.77.60.84/audio/ra/00163028.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00163028.RM

Il significato dell’Ascensione – afferma il Papa - è duplice. Anzitutto, salendo verso l'alto, rivela in modo inequivocabile la sua divinità: ritorna là da dove è venuto, cioè in Dio:


“Inoltre Cristo ascende al Cielo con l'umanità che ha assunto e che ha risuscitato dai morti: quell'umanità è la nostra, trasfigurata, divinizzata, divenuta eterna. L'Ascensione, pertanto, rivela l'altissima vocazione (Gaudium et spes, 22) di ogni persona umana: essa è chiamata alla vita eterna nel Regno di Dio, Regno di amore, di luce e di pace”. (Regina Caeli del 21 maggio 2006)


Gesù realizza la sua missione entrando nella miseria dell’uomo e prendendo su di sé i peccati di tutti noi: solo così può elevarlo a Dio:


“Egli infatti è venuto nel mondo per riportare l’uomo a Dio, non sul piano ideale – come un filosofo o un maestro di saggezza – ma realmente, quale pastore che vuole ricondurre le pecore all’ovile. Questo ‘esodo’ verso la patria celeste, che Gesù ha vissuto in prima persona, l’ha affrontato totalmente per noi. E’ per noi che è disceso dal Cielo ed è per noi che vi è asceso, dopo essersi fatto in tutto simile agli uomini, umiliato fino alla morte di croce, e dopo avere toccato l’abisso della massima lontananza da Dio”. (Regina Caeli del 4 maggio 2008)


Nel mondo nessuno è senza peccato, anche se non ne ha coscienza. Nessuno può salvarsi da sé. Solo in Cristo l’uomo, debole e peccatore, può sperare:

“Dio nell’uomo – l’uomo in Dio: questa è ormai una verità non teorica ma reale. Perciò la speranza cristiana, fondata in Cristo, non è un’illusione ma, come dice la Lettera agli Ebrei, ‘in essa noi abbiamo come un’àncora della nostra vita’ (Eb 6,19), un’àncora che penetra nel Cielo dove Cristo ci ha preceduto”. (Regina Caeli del 4 maggio 2008)


Tutti noi siamo chiamati a volgere lo sguardo a Colui che, asceso al cielo, ci ha guariti attraverso le sue piaghe:


“Siamo pertanto chiamati a rinnovare la nostra fede in Gesù, l’unica vera àncora di salvezza per tutti gli uomini. Salendo al Cielo, Egli ha riaperto la via verso la nostra patria definitiva, che è il paradiso. Ora, con la potenza del suo Spirito, ci sostiene nel quotidiano pellegrinaggio sulla terra”. (Regina Caeli dell’8 maggio 2005)


Dopo l’Ascensione i primi discepoli restano uniti nel Cenacolo intorno alla Madre di Gesù in attesa dello Spirito Santo. E il Papa invita a volgere lo sguardo anche verso Maria: la Madre rimanda al Figlio, che non è più fisicamente tra noi, ma ci attende nella casa del Padre:


“Gesù ci invita a non restare a guardare in alto, ma a stare insieme uniti nella preghiera, per invocare il dono dello Spirito Santo. Solo infatti a chi ‘rinasce dall’alto’, cioè dallo Spirito di Dio, è aperto l’ingresso nel Regno dei cieli (cfr Gv 3,3-5), e la prima ‘rinata dall’alto’ è proprio la Vergine Maria”. (Regina Caeli del 4 maggio 2008)


il tema La famiglia, «bellezza da conquistare di nuovo» - intervento di Julian Carròn sera al Centro Culturale di Milano sul tema «L’esperienza della famiglia. Una bellezza da conquistare di nuovo». - DI RICCARDO CASCIOLI – Avvenire, 22 maggio 2009
L a ricchezza della famiglia non si trasmette meccanica­mente; al contrario, essendo una decisione morale che sfida la libertà, si tratta sempre di un nuo­vo inizio da riguadagnare. Lo ha detto don Julian Carrón, presi­dente della Fraternità di Comu­nione e LIberazione, intervenen­do mercoledì sera al Centro Cul­turale di Milano sul tema «L’espe­rienza della famiglia. Una bellez­za da conquistare di nuovo». L’in­contro, introdotto da monsignor Giovanni Balconi, responsabile diocesano dei centri culturali cat­tolici, si è svolto nell’ambito della Settimana della Cultura organiz­zata dalla diocesi di Milano e al ter­mine di un anno in cui i diversi centri culturali hanno promosso incontri e dibattiti sul tema della famiglia.
Secondo don Carrón, malgrado la propaganda mediatica contraria, «tante persone continuano a fare una esperienza positiva della fa­miglia », ma allo stesso tempo «questo bene sperimentato non è riuscito a bloccare socialmente i tentativi per trasformare il matri­monio in forme diverse». Per que­sto è necessario ricominciare da capo: il «nuovo inizio è l’espres­sione più adeguata per descrivere il presente» perché «quello che e­ra trasmesso pacificamente da u­na generazione a un’altra non c’è più».
Il primo passo è prendere co­scienza del «mistero del proprio essere uomini», perché gli sposi sono un uomo e una donna «che decidono di camminare insieme verso il destino, verso la felicità. Come impostano il rapporto di­pende dall’immagine che ciascu­no ha della propria vita, della rea­lizzazione di sé. Ciò implica una concezione dell’uomo e del suo mistero».
«Ciò che siamo – è il secondo pas­saggio evidenziato da don Carrón – ci viene rivelato dalla relazione con la persona amata» in quanto la sua presenza «è un bene così grande che ci fa cogliere la profon­dità e la vera dimensione» del de­siderio di felicità, che è «un desi­derio infinito» che fa superare il li­mite umano. Si scopre dunque «l’orizzonte di un amore più gran­de » di cui la persona amata è se­gno. Solo mantenendo la consa­pevolezza di questo orizzonte, ha proseguito don Carrón, si evita che «l’esperienza più bella della vita, innamorarsi, decada sino a tra­sformarsi in qualcosa di soffocan­te ». Il leader di Cl ha quindi citato il dialogo sul matrimonio tra Gesù e dei discepoli perplessi a causa del­le sue parole. Ma Gesù ha risposto al loro «spavento» riguardo la ve­rità sul matrimonio semplice­mente «facendo il cristianesimo». Cioè «Egli non si è fermato ad an­nunciare la verità sul matrimonio, ma ha introdotto una novità nelle loro vite che ha reso possibile vi­verlo secondo quella verità».
È qui che si chiarisce allora – pro­segue don Carrón – «il compito della comunità cristiana: favorire una esperienza del cristianesimo per la pienezza della vita di cia­scuno ». «Senza comunità cristiane capaci di accompagnare e soste­nere gli sposi nella loro avventura, sarà difficile, se non impossibile, che essi la portino a compimento felicemente». Il che, ovviamente, non toglie che gli sposi «non pos­sono esimersi dal lavoro di una e­ducazione, della quale sono i pro­tagonisti principali».
C’è un ultimo, importante pas­saggio, perché il bene della fami­glia non è fine a se stesso. Al con­trario, l’esperienza di pienezza, di felicità, di fedeltà – che sarebbe im­possibile «senza l’esperienza di pienezza umana che Cristo rende possibile» – è una testimonianza per tutto il mondo, è la dimostra­zione della «razionalità della fede cristiana, una realtà che corri­sponde totalmente al desiderio e alle esigenze dell’uomo, anche nel matrimonio e nella famiglia».
Questo vale, ha detto Carrón ci­tando il recente discorso di papa Benedetto XVI a Nazaret, anche per le nuove persone generate dal­l’amore di marito e moglie. «Nella famiglia – aveva detto il Papa – o­gni persona (...) viene considerata per ciò che è in se stessa e non semplicemente come un mezzo per altri fini. Qui iniziamo a vede­re qualcosa del ruolo essenziale della famiglia come primo matto­ne di costruzione di una società ben ordinata e accogliente».
A Milano, nell’ambito della Settimana diocesana della cultura, l’intervento di don Carrón presidente della Fraternità di Cl: viviamo un nuovo inizio, quello che era trasmesso pacificamente tra le generazioni non c’è più



Multiculturalismo reale - Curatore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 21 maggio 2009 - Altissime cariche istituzionali del nostro Paese hanno esternato l’idea di un’Italia multietnica, ribadendo convinti che il multiculturalismo rappresenti l’inestimabile ricchezza di una grande nazione. - Chi ha osato dissentire è stato immediatamente bollato come becero xenofobo
Altissime cariche istituzionali del nostro Paese hanno esternato l’idea di un’Italia multietnica, ribadendo convinti che il multiculturalismo rappresenti l’inestimabile ricchezza di una grande nazione.
Chi ha osato dissentire è stato immediatamente bollato come becero xenofobo.

Su questo argomento si sono arrovellati fior di pensatori da Jürgen Habermas a Giovanni Sartorie certo il tema non può essere liquidato con poche battute.
Ma anche per tale fenomeno vale l’insegnamento dato da don Luigi Giussani: per un’indagine seria su qualsiasi avvenimento occorre realismo, ovvero la necessità di non privilegiare uno schema mentale rispetto all’osservazione della realtà.
Alexis Carrell ammoniva che «poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità».
Se utilizziamo il metodo di Carrell – suggerito da Giussani – allora non ci resta che osservare cosa accade nei Paesi multiculturali e quindi verificare che anche per il multiculturalismo vale la differenza storica che vi fu tra socialismo teorico e socialismo reale.
L’occasione ce la offre un episodio recentemente accaduto in Gran Bretagna, Paese un tempo considerato cristiano.
La BBC ha nominato un musulmano, Aaquil Ahmed, responsabile dei servizi religiosi della prestigiosa emittente. Mr. Ahmed non è un musulmano qualunque. Prima di essere chiamato alla BBC, ha lavorato alla rete televisiva Channel 4, dove ha avuto modo di suscitare scandalo grazie alle sue trasmissioni di studio sul Corano ed ai documentari sul «Culto degli attentatori suicidi».

Persino l’Arcivescovo di Canterbury, capo della Chiesa anglicana, personaggio più vicino al manzoniano Don Abbondio che al conterraneo re-crociato Riccardo Cœur de Lion, ha trovato il coraggio di denunciare pubblicamente – usando una metafora sportiva – che dopo la nomina di Mr. Ahmed «la voce dei cristiani sta per essere messa in panchina».
La nomina è stata vista come inevitabile conseguenza della società multiculturale dal Direttore Generale della BBC, Mark Thompson, e non a caso Aaquil Ahmed è membro del direttivo di Runnymede Trust, un’organizzazione che promuove il multiculturalismo.

Thompson, peraltro, non ha avuto problemi a sostenere pubblicamente che l’islam va trattato con maggior tatto rispetto al cristianesimo, perche, anche se «nessuna religione è immune da discussione, le sensibilità divergono e di questo se ne deve tener conto».
E proprio in forza di una visione multiculturale, la BBC ha completato l’opera nominando come produttore del più importante programma religioso “Songs of Praise” (Canzoni di Lode) un Sikh indù, Tommy Nagra, e come consulente della programmazione religiosa un ateo militante, Andrew Copson, membro della “British Humanist Association” organizzazione che annovera tra i propri scopi anche quello di «far cessare la posizione privilegiata della religione nella vita pubblica, compresa la telecomunicazione».

Il multiculturalismo britannico – modello oggi più avanzato in Europa – non si limita, del resto, al mondo del video.
Su pressione dei mussulmani, oggi in Gran Bretagna il Corano è posto su uno scaffale superiore rispetto alla Bibbia nelle aule di giustizia, e la sharia è fonte normativa utilizzata nelle controversie legali di competenza dei Muslim Arbitration Tribunals, organi che oramai fanno ufficialmente parte dell’ordinamento giuridico inglese.
Per non parlare del Natale declassato a “festa della luce invernale”, del divieto imposto ai consiglieri comunali di Tower Hamlets, East London, di non consumare cibo nel corso delle sessioni comunali durante il mese di Ramadan, e della disposizione dello stesso consiglio comunale, guidato dal musulmano Lutfur Rahman, di rinominare il consueto pranzo natalizio per i membri dello staff, come “pranzo festivo” e di vietare la celebrazione del Guy Fawkes, festa popolare in cui gli Inglesi si divertono a bruciare un fantoccio fin dal 1605.
In un numero sempre maggiore di college le tradizionali festività di Natale e Pasqua vengono sostituite con il termine “fine della pausa semestrale”, per timore di offendere le minoranze etniche e per «incentivare l’inclusione e la diversità», mentre le scuole di Manchester hanno ufficialmente introdotto nel calendario scolastico le festività musulmane.

Grazie al multiculturalismo il governo britannico riconosce oggi i matrimoni poligami.
Sebbene la Gran Bretagna consideri la bigamia un crimine, punibile con la reclusione fino a sette anni, i matrimoni poligami sono pienamente riconosciuti nel caso in cui siano stati contratti in paesi dove la poligamia è legale, e nei quali, al momento del matrimonio, i coniugi erano residenti.
Apportando le dovute modifiche al "Tax Credits (Polygamous Marriages) Regulations 2003", infatti, oggi è consentito a più mogli di ereditare esentasse, purché il matrimonio sia stato contratto in un paese dove la poligamia è legale, come in Nigeria, Pakistan o in India, mentre il Dipartimento per il Lavoro e le Pensioni (DWP) ha iniziato a concedere sostegni finanziari agli harem sotto forma di sussidi, come indennità di disoccupazione, assegni integrativi per inquilini non abbienti e sgravi fiscali di vario genere.
Un mese fa la stampa inglese ha dato la notizia che, dopo una disamina durata dodici mesi, quattro dipartimenti governativi (Lavoro e Pensioni, Tesoro, Fisco e Dogane, Ministero degli Interni) sono giunti alla conclusione che in una società multiculturale il riconoscimento ufficiale della poligamia sia “the best possible option”, la migliore opzione possibile per il Governo britannico. Lo stesso governo che attraverso il suo giovane ministro degli esteri, David Miliband, è incorso in una sintomatica gaffe: proprio dal Foreing Office sono stati spediti alle ambasciate gli auguri ufficiali per la festività del ramadan e del capodanno ebraico, ma non quelli di Natale e di Pasqua.
Il ciclone del multiculturalismo non ha neppure risparmiato la Monarchia britannica.
E’ di pochi giorni fa la notizia che, su pressione di gruppi musulmani ed indù, il Privy Council – il Consiglio Privato della Corona – con una decisione del 28 aprile 2009 ha ritenuto incostituzionale ed illegittima l’onorificenza della Trinity Cross, croce della trinità, dell’Ordine della Trinità poiché discriminatoria ed offensiva nei confronti dei non cristiani. Cinque alti magistrati (Law Lords) si sono pronunciati nel senso che tale onorificenza rappresenti una palese violazione del diritto di eguaglianza, e della libertà di coscienza e di religione. Giuristi sono già al lavoro per una profonda revisione di tutte le onorificenze di Sua Maestà.
Persino al povero Principe Carlo è stato imposto l’impegno a modificare, nell’ipotesi in cui dovesse un giorno assumere lo scettro, il titolo che spetta ai sovrani inglesi di “Defender of the Faith” (Difensore della Fede), titolo concesso dal Papa ad Enrico VIII nel 1521, in “Defender of Faith” (Difensore di Fede). L’articolo è caduto in omaggio al multiculturalismo affinché la difesa non si limitasse alla sola religione cristiana ma si estendesse anche a quella musulmana, indù, animista e a tutte le altre che compongono la variopinta società britannica.
Se questa è la prospettiva multiculturale cui siamo inesorabilmente destinati, è ancora possibile dissentire dagli autorevoli pareri della prima e della terza carica del nostro Stato sul fatto che una simile prospettiva costituisca davvero una ricchezza inestimabile?
Forse hanno ragione quella altre cariche istituzionali che tendono, invece, a mettere in guardia dal rischio di una deriva multiculturale. Quella del multiculturalismo reale.


Gianfranco Amato
Presidente di Scienza e Vita di Grosseto


Gerusalemme e dintorni - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 20 maggio 2009
Monte del Precipizio, Nazareth, Santa Messa. Una giovane donna sta cantando come voce solista, a un tratto inizia a camminare, quasi portata da un vento. Nel suo incedere un’evidente tensione, il desiderio di incontrare qualcosa di più potente di lei che le donava la baldanza di aprirsi un varco. Poi l’abbiamo vista cadere ai piedi del Papa, baciargli l’anello e i piedi, come Maria Maddalena con Gesù quando Gli ha cosparso di olio i piedi e li ha asciugati con i suoi capelli. “Come sono belli i piedi del messaggero che annuncia la pace”, diceva Isaia. Questa giovane non ha espresso solo il suo personale affetto, una dedizione amorosa, ci ha mostrato che il Papa è il dolce Cristo in terra, come diceva Santa Caterina da Siena; con Lui accadono i potenti segni che hanno accompagnato il passaggio di Cristo tra la gente. Il segno più grande è l’esperienza di corrispondenza che si vive stando alla presenza del Papa. Basta andare una volta in piazza San Pietro, seguire un Angelus, il breve tempo di un quarto d’ora, e tutti i pregiudizi svaniscono, infondati. Il Papa, che ha scritto sul libro d’onore al mausoleo di Yad Vashem a Gerusalemme: “Non sono esaurite le sue misericordie”, è stato misericordia per chi l’ha incontrato. Non dovrebbe essere così la nostra vita? Un cadere ai piedi di Cristo, un arrendersi al segno attraverso cui ci è dato di riconoscerLo. Ci sono momenti che sono paradigmatici, modello per il quotidiano nella loro eccezionalità. Quella giovane donna ha sfondato il muro di ogni calcolo, ha corrisposto all’invito di abbattere i muri, soprattutto quelli del cuore, che il Papa ha espresso in più occasioni a Betlemme. Ha mostrato come si fa la pace, cadendo ai piedi dell’Altissimo. Nei suoi discorsi Benedetto XVI ha metto in atto il metodo del dialogo, ha spiegato la necessità, “come credenti o persone religiose, di proclamare con chiarezza ciò che abbiamo in comune”. “Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione e noi siamo sue creature e che egli chiama ogni uomo e ogni donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un criterio di giudizio e di discernimento che è divino nella sua origine e destinato a tutta l’umanità, allora non possiamo stancarci di portare tale conoscenza ad influire sulla vita della comunità”. In Terra Santa Papa Benedetto ha mostrato una fede che diventa cultura. Si è mostrato vicino a tutti, per tutti ha rivendicato la libertà, il rispetto e la dignità. Non si è impegnato in discorsi astratti ma ha mostrato la capacità di guardare la realtà complessa e articolata di quella che fu la terra di Gesù, il Salvatore di tutti gli uomini.


Rileggere “La strada” di Cormac McCarthy - Autore: Acerbi, Clemi Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 21 maggio 2009
Ho letto a suo tempo il romanzo La strada di Cormac McCarthy, pubblicato da Einaudi nel 2007. Esso mostra un mondo devastato da un evento gravissimo che non viene narrato, ma a cui si allude solo in qualche frammento di flash back: c’è stata un’esplosione atomica? Una guerra nucleare? Sembra comunque che si sia realizzato anni addietro qualcosa di previsto (qualcuno si è preparato un bunker pieno di attrezzature e di scorte per rifugiarvisi), che ha ridotto la terra a un ammasso di detriti coperti di cenere; il sole è perennemente oscurato da una fitta e gelida coltre di nubi.
L’umanità è rimasta in gran parte uccisa dalle tempeste di fuoco, poi dal freddo e dalla distruzione delle risorse. Successivamente sono cominciate le guerre tra le “sette sanguinarie” che volevano impadronirsi delle scorte residue; ora rimangono gruppi di pericolosissimi predoni cannibali, o individui isolati che stanno nascosti e hanno paura di tutto, o viandanti stremati e fuori di testa che cercano di sopravvivere.
In questo contesto di ritorno dell’umanità allo stato ferino non rimangono più nemmeno i nomi propri delle persone e dei luoghi.
Un uomo e un bambino, suo figlio, percorrono l’America già da molto tempo, nella speranza di trovare a sud, vicino al mare, condizioni di vita possibili. Essi rappresentano un resto dell’umanità e il loro tenerissimo rapporto contrasta fortemente con l’agghiacciante contesto. Sono “l’uno il mondo intero dell’altro” (p. 5): bellissimo modo di dire contemporaneamente il loro affetto reciproco e la loro assoluta solitudine. Nonostante le esperienze traumatiche che attraversano, restano fermamente convinti di essere “i buoni” e di “portare il fuoco”, come si ripetono più volte. Riescono anche a vivere alcuni momenti sereni, di un normale rapporto di un genitore col figlio: si veda l’episodio della coca cola (pp. 18 – 19), oppure quello del bagno nel mare (pp. 165 - 166).
L’uomo è ingegnoso a utilizzare tutte le risorse possibili: la nettezza dei dettagli con cui vengono descritti i gesti che compie contrasta con la nebulosità della realtà che lo circonda. Egli è fermamente convinto di avere il dovere di proteggere il bambino: “Dio mi ha assegnato questo compito”, afferma (p. 59). La molla narrativa del racconto è forse proprio questo senso ancestrale di un compito da svolgere, misteriosamente assegnato da Dio stesso.
Il bambino ha proprio le caratteristiche di un bambino: ha molta paura, vuole fermamente stare dalla parte dei “buoni” e quando incontra qualcuno lo vuole a tutti i costi “aiutare”.
Quando l’uomo, già malato, alla fine sta per morire, invita il bambino a parlare con lui anche quando lui non ci sarà più: a poco a poco riuscirà a sentire quello che gli risponderà. Questo passaggio cambia la prospettiva del romanzo, non più schiacciato in una dimensione “terrena”, ma aperto ora a una dimensione metafisica.
Morto il padre, il bambino incontra un uomo, cerca di accertarsi che sia dei buoni ed accetta di essere accolto nella sua famiglia; la moglie dell’uomo gli parla di Dio, ma il bambino preferisce parlare con il padre, come questi gli aveva detto. Per la donna va bene così: “Il respiro di Dio è sempre il respiro di Dio, anche se passa da un uomo all’altro in eterno”.
Rileggendo recentemente questo romanzo, ho notato alcuni particolari a cui in prima lettura non avevo fatto molto caso.
Essi riguardano soprattutto quanto si dice del bambino. All’inizio il padre sa solo che “il bambino era la sua garanzia. Disse: Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato” (p. 4).
Successivamente, in un momento in cui gli accarezza i capelli biondi, pensa: “Calice d’oro, buono per ospitare un dio”.
Infine quando, vicino alla fine, lo guarda sulla strada, gli sembra che quello lo guardi “da qualche futuro impensabile, radioso come un tabernacolo in quella desolazione” (p. 208).
Mi sembra dunque che, nella prospettiva metafisica che si apre nel romanzo, il bambino non abbia soltanto le caratteristiche dell’infanzia, ma di una umanità nuova, nuova perché capace di essere un “tabernacolo”, di “ospitare un dio”. E il compito dell’uomo, di ogni uomo, è proprio quello di salvare questa umanità.
Padre e figlio dicono di portare il fuoco, la donna nella conclusione parla del respiro di Dio: non sono queste due immagini dello Spirito santo? E l’uomo nel pensiero cristiano non è tempio dello Spirito santo?
Dunque, nella distruzione dell’umanità che incombe, la speranza è in una umanità che torni ad essere quello che è.


21/05/2009 13:32 - VATICANO-ISLAM - Cristiani e musulmani promuovano il dialogo e rifiutino la violenza - Sono le principali conclusioni sulle quali hanno convenuto i partecipanti al primo Colloquio tra il giordano Royal Institute for Inter-Faith Studies (R.I.I.F.S.) e il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Promuovere una cultura del dialogo, rifiutando la violenza, per la costruzione di uno Stato democratico che rispetti le diversità etniche, culturali e religiose. Sono le principali conclusioni alle quali è giunto il primo Colloquio tra il giordano Royal Institute for Inter-Faith Studies (R.I.I.F.S.) e il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, conclusosi ieri ad Amman.
Dedicato alla “Religione e società civile”, l’incontro, del quale dà notizie il Pontificio consiglio, è stato centrato su tre aree: La religione e la società civile nella storia e nel pensiero filosofico-giuridico; La religione e la società civile nelle società moderne; La religione e la società civile nella tradizione religiosa.
La delegazioine del RIIFS era guidata dal direttore dell’istituto, ambasciatore Hasan Abu Nimah e comprendeva esperti e studiosi provenienti da Iran, Egitto, Libano, oltre che da istituzioni come la The World Islamic Science and Education University e della stessa Giordania. La delegazione vaticana era presieduta dal card. Jean Luois Tauran, presidente el Pontificio consiglio e comprendeva personalità e studiosi del Vaticano, delle Chiese locali e di università. Il Colloquio ha anche avuto una seduta pubblica, tenutasi nel Founders Theater, El-Hassan Science City.
I partecipanti, in particolare, hanno convenuto sui seguenti punti:
1) è stata discussa la nozione di società civile e i partecipanti sottolineano il suo carattere come mezzo per uno scambio aperto di esperienze e visioni mirante a perseguire il bene comune. I partecipanti sono d’accordo sull’importanza della società civile per un sano e integrale sviluppo di individui e comunità, riconoscendo il particolare e indispensabile contributo che la società civile può offrire come prezioso forum per il dialogo nel contesto del responsabile esercizio della libertà.
2) I partecipanti sottolineano l’importanza di educare i giovani sul valore del rispetto reciproco e della cultura del dialogo, rifiutando la violenza, così da promuovere una coesistenza pacifica sulla base della piena cittadinanza.
3) Essi sottolineano l’importanza della democrazia e il ruolo della legge in uno Stato che rispetti le diversità etniche, culturali e religiose e incrementi l’uguaglianza tra i cittadini, sulla base del rispetto della dignità umana e in conseguenza dei diritti umani fondamentali, in particolare la libertà e la giustizia.
4) Le religioni hanno un ruolo specifico da svolgere nella società civile, per offrire motivazioni per il contributo dei cittadini al bene comune, che sono basate sulla fede in Dio e che prescindono dall’interesse politico e dalla ricerca del potere.
5) i partecipanti sottolineano il ruolo che le religioni possono svollgere nel rafforzare la partecipazione sociale e la coesione, dando quindi il loro specifico apporto nella costruzione di uno Stato stabile e prospero, basato sul principio di sussidiarietà.
E’ stato deciso che il prossimo colloquio si terrà a Roma, entro due anni, preceduto da un incontro preparatorio, nel quale saranno definiti temi e modalità.


INDIA – ITALIA - Premio “Defensor Fidei” a p. Thomas Chellan, fra le prime vittime dell’Orissa - AsiaNews ha sostenuto la sua candidatura. Il sacerdote, insieme a una suora, ha rischiato di essere bruciato vivo. Il 23 maggio incontra i giornalisti sul tema “India, fra democrazia e persecuzioni”.
Roma (AsiaNews) – Il sacerdote indiano p. Thomas Chellan, uno dei primi ad essere investito dalle violenze dei radicali indù in Orissa, giunge in Italia domani per ricevere il premio “Defensor Fidei” istituito dalla Fondazione “Fides et Ratio” e dal mensile cattolico “Il Timone”. Il premio gli verrà consegnato sabato 23 maggio nel corso del “Timone Day” a Oreno di Vimercate. Prima della consegna, il sacerdote avrà un incontro con i giornalisti sul tema “India, fra democrazia e persecuzioni”.
La candidatura di p. Chellan è stata sostenuta da AsiaNews, che aveva pubblicato la sua prima testimonianza pubblica il 3 settembre 2008 (cfr.: La Via crucis di p. Thomas in Orissa: Sono pronto a tornare e servire chi mi ha colpito ).
Padre Thomas Chellan, 58 anni, era direttore del Centro pastorale Divyajyoti, della diocesi di Cuttack- Bhubaneshwar. Il 25 agosto 2008, due giorni dopo il lancio del pogrom contro i cristiani, un gruppo di circa 50 estremisti indù, lo hanno picchiato, malmenato, ferito, denudato, usando bastoni, piedi di porco, asce, lance. Con lui, anche una suora ha subito le stesse violenze, forse anche più brutali. Entrambi hanno rischiato di essere bruciati, cosparsi di benzina. Solo alla fine essi sono stati soccorsi dalla polizia, che sembrava connivente con la folla violenta. Il loro Centro pastorale a Kandhamal è stato fra le prime costruzioni cristiane ad essere distrutte e bruciate. Attualmente, dopo un periodo di convalescenza, p. Thomas vive in un luogo segreto in India, avendo ricevuto diverse minacce di morte.


22 Maggio 2009 - IDEE - Preghiera, il tabù della modernità – di S.E. Camillo Ruini – Avvenire, 22 maggio 2009
Nella storia e nella vita della Chiesa la preghiera ha occupato e occupa un posto di primo piano, che diventa pienamente visibile solo a chi ne fa esperienza personale, o ne studia direttamente i documenti storici. Questa preghiera si struttura anzitutto come liturgia, preghiera pubblica e comunitaria della Chiesa che unita a Gesù Cristo si rivolge nello Spirito Santo a Dio Padre: qui emerge in tutta la sua pregnanza il carattere specificamente trinitario della preghiera cristiana, come partecipazione e immissione nel rapporto che Cristo ha con Dio Padre nel vincolo di amore dello Spirito Santo. Siamo immersi, o innalzati, cioè in una vita che non è la nostra di uomini, di creature, ma è la vita di Dio, e il Dio a cui ci rivolgiamo nella liturgia non è un Dio generico, e nemmeno propriamente il Dio uno e trino, ma il Dio Padre di Gesù Cristo e in Cristo Padre di tutti noi.

Nella preghiera cristiana, inoltre, la dimensione pubblica e comunitaria e quella intima e personale rimandano l’una all’altra e crescono insieme: il "noi" della preghiera della Chiesa si accompagna all’ascolto di quel Dio che vede nel segreto e che siamo chiamati ad incontrare nel chiuso della nostra camera e nel segreto del nostro cuore (Mt 6,5-6). Nel corso dei secoli questo carattere personale della preghiera ha trovato molte espressioni, non di rado sublimi, che restano un tesoro prezioso, come rimangono anche preziose le umili espressioni della pietà popolare.

A questo punto dobbiamo però prendere in considerazione le molteplici difficoltà che a partire dall’epoca moderna ha incontrato la preghiera, specialmente nei paesi di religione cristiana. Alcune di esse hanno a che fare con le idee e le convinzioni e per lungo tempo hanno avuto una minore diffusione a livello popolare. Sono fondamentalmente di tre tipi. Le prime nascono dalla negazione dell’esistenza di Dio, o almeno da una posizione agnostica: si pensi ad esempio al materialismo già presente in alcuni filoni dell’illuminismo settecentesco, poi a Feuerbach e al marxismo. Ma anche le forme di panteismo ripresentatesi già a partire da Spinoza non lasciano un reale spazio alla preghiera. Il secondo tipo di difficoltà non mette in discussione Dio, cioè il Tu a cui la preghiera si rivolge, ma lo considera inaccessibile a un rapporto personale con noi. Ad esempio Kant, che pure conserva in buona parte il concetto cristiano di Dio, considera la preghiera una "illusione superstiziosa" (La religione nei limiti della sola ragione, a cura di M. M. Olivetti 1993, p. 217), e con lui parecchi altri, che ritengono vera e autentica soltanto una religione naturale e comune a tutti gli uomini, non una religione rivelata.

Arriviamo così alla terza causa di difficoltà, che consiste nella contestazione del cristianesimo. Dapprima essa ha riguardato piuttosto la Chiesa come istituzione e il suo potere sociale, ma poi si è estesa vieppiù a mettere in discussione gli elementi centrali della fede, come la divinità di Cristo e la possibilità stessa di un intervento di Dio nella storia. Al riguardo pensiamo spontaneamente all’illuminismo, soprattutto francese, ma forse più radicale e più efficace storicamente è stata la critica al cristianesimo condotta in Germania lungo il secolo XIX, come mostra assai bene il libro di Karl Löwith <+corsivo>Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX<+tondo>. In particolare questa critica ha coinvolto l’attendibilità storica della figura di Cristo che ci è presentata dai Vangeli. Si comprende facilmente quanto tutto ciò abbia potuto e possa ostacolare quel rapporto fiducioso e filiale con Gesù Cristo e con Dio Padre che è proprio della preghiera cristiana.

Le difficoltà che hanno avuto più ampio impatto sulla gente comune dipendono però non da idee e teorie, ma dagli enormi cambiamenti che sono intervenuti negli ultimi secoli, a un ritmo sempre più incalzante, quanto alle condizioni concrete della nostra vita. Mi riferisco alla rivoluzione industriale e poi alle grandi trasformazioni successive, che hanno il loro motore nello sviluppo delle scienze moderne e delle tecnologie ad esse collegate. Il mondo che ne deriva e di cui abbiamo esperienza diretta si presenta a noi sempre più come opera dell’uomo e sempre meno come "natura", che rimanda al suo Creatore. Il processo di cambiamento è anzi ancora più vasto, perché abbraccia progressivamente i rapporti sociali e le istituzioni, le scienze e in genere l’uso pubblico della ragione. Essi vengono ricondotti esclusivamente all’intelligenza e alla libertà dell’uomo, sottraendoli all’influsso di Dio e della religione.

Questo macro-processo, che viene denominato "secolarizzazione", ha trovato la sua espressione classica già nel 1625 con la formula coniata da un grande giurista olandese, personalmente molto credente, Ugo Grozio: etsi Deus non daretur, «anche se Dio non esistesse». Il senso è che il diritto naturale, e in genere gli ordinamenti del mondo, mantengono la loro validità anche nell’ipotesi – per Grozio assolutamente empia – che Dio non esistesse. La conseguenza pratica è la riduzione tendenziale del rapporto con Dio al solo ambito personale e privato, ciò che oggi viene teorizzato attraverso un’interpretazione restrittiva del concetto di "laicità". Per essere concreti dobbiamo aggiungere il grande e quasi soffocante influsso negativo che esercitano il frastuono quotidiano, l’idolatria del denaro e del successo, l’ostentazione della sessualità fine a se stessa. Così la preghiera rischia di essere soffocata non solo a livello pubblico ma anche all’interno del nostro cuore.
Nel dinamismo della storia questi diversi fattori necessariamente interagiscono tra loro e a volte confluiscono nel tentativo di eliminare la religione e la preghiera dall’orizzonte dell’umanità. I due maggiori tentativi di questo genere appartengono l’uno ad un passato recente, che però in alcune parti del mondo è ancora fortemente operante, l’altro agli anni che stiamo vivendo.

Il primo è l’ateismo di Stato promosso sistematicamente dai regimi comunisti: si osserva giustamente che questo tentativo è fallito, poiché la fede e la preghiera sono sopravvissute al suo attacco e anzi, per certi aspetti, mostrano una nuova vitalità nei paesi che sono passati attraverso quell’esperienza. Questa è però soltanto una parte del discorso: i danni e le distruzioni arrecati hanno lasciato infatti conseguenze profonde, quanto alla consistenza umana e morale di tante persone e di intere società e anche, specificamente, quanto al loro radicamento nel cristianesimo.

Oggi comunque la nostra attenzione deve rivolgersi soprattutto a un fenomeno molto più complesso, sottile ed impalpabile dell’ateismo di Stato, cioè al tentativo di presentare la religione e la preghiera come qualcosa che, da una parte, mancherebbe di fondamento oggettivo, perché Dio non esiste, o comunque non è da noi conoscibile, o quanto meno non ha un carattere personale che lo renda da noi interpellabile.

Dall’altra parte, invece, la religione e la preghiera si spiegherebbero assai bene come una nostra funzione psicologica, che si radica in determinate aree del nostro cervello, cerca di compensare i nostri bisogni di protezione e di sicurezza e può forse avere svolto nel passato un ruolo positivo per la sopravvivenza e l’evoluzione della nostra specie.

In concreto, l’influsso della religione e in particolare della fede in un unico Dio oggi viene spesso
considerato nefasto: un suo ruolo pubblico tenderebbe infatti a comprimere la libertà dei comportamenti e anche a contrapporre tra loro gli uomini e i popoli a seconda delle diverse fedi che professano, fino a diventare matrice di violenza. Anche sul piano personale la religione sarebbe causa d’infelicità, provocando sensi di colpa e reprimendo la gioia di vivere.

Non mancano tuttavia le testimonianze di un fenomeno inverso: aumentano le persone, in particolare tra i giovani, che hanno sete di preghiera e prendono decisioni coraggiose per soddisfarla. Una conferma viene dall’aumento, anche in Italia e in Europa, delle vocazioni contemplative, assai significativo in un periodo nel quale le vocazioni sacerdotali e religiose di vita attiva sono invece purtroppo in diminuzione in questi Paesi.
Camillo Ruini


IL VALORE DELLA VITA - Tre anni fa un aneurisma cerebrale che la porta a un passo dalla morte. Dopo il coma e diverse operazioni, Anita ora è in carrozzella, ma piano piano ha ripreso a sorridere, rispondere con cenni degli occhi e deglutire «Mia moglie disabile, la amo più di prima» - Francesco: vorrei solo una casa più adatta a lei - DAL NOSTRO INVIATO A FIUMICINO (ROMA) - PINO CIOCIOLA – Avvenire, 22 maggio 2009
Non volevano operarla: «È inutile per com’è ridotta. E pure se lo facessimo, rimarrebbe sotto i ferri». Anzi, già quella notte i medici arrivati con l’ambulanza nemmeno volevano portarla in ospedale. Poco prima s’era alzata dal letto per andare in bagno, poi il marito aveva sentito un rantolo e sfondato la porta, trovandola a terra in un lago di sangue. La diagnosi d’ingresso all’ospedale di Ostia annulla il futuro: aneurisma cerebrale, trombosi e coma. Cioè questione di ore, un giorno o due se fosse particolarmente forte, e se ne andrà. Intanto per le sue condizioni è impossibile tenerla lì e la trasferiscono al San Camillo a Roma. È il 19 marzo 2006: Anita ha trentatré anni, suo marito Francesco trentaquattro e la loro figlia Chiara quattordici. Famiglia semplice, unita e formidabile (loro due si amano da quando erano ragazzini), che sembra esser stata schiantata nel giro di una notte. Sembra. Due giorni e la operano: Francesco – letteralmente – fa il diavolo a quattro perché tentino la via chirurgica (come già la notte dell’aneurisma perché la portassero in ospedale) e alla fine la spunta. Le devono anche togliere un pezzo di cervello, oltre ad un quinto di parete cranica: non c’è scelta. Quando esce dalla sala operatoria sembra di nuovo finita: morirà da un momento all’altro oppure, a voler proprio credere nei miracoli o poco meno, resterà peggio che in uno stato vegetativo. Sembra.
Anita lotta senza che nessuno possa vederlo, né saperlo: non vuole morire.
Venti giorni dopo esce dal coma. Ma ha lo sguardo fisso e non dà risposte agli stimoli esterni. Francesco nel frattempo non s’è mosso dall’ospedale. È sempre vicino alla moglie, dorme in corsia e la mattina si lava nel bagno della camera di degenza. Ha mollato tutto. E da quella notte di tre anni fa è tornato a lavorare soltanto nel gennaio scorso, macellaio in un’azienda agricola, ma solo quattro giorni a settimana «perché non voglio smettere di seguire Anita». Prima hanno vissuto mettendo insieme la pensione della mamma, i 250 euro di pensione d’invalidità di Anita e i 400 dell’indennità d’accompagnamento.
Francesco aveva due macchine e una moto, ha subito regalato quest’ultima e un’auto, perché – racconta – «avevo paura di avere un incidente e se fosse successo come avrebbero fatto Anita e Chiara?».
Non fu una scelta, la sua: fu reazione d’amore e umanità. «Non c’ero più per nessuno – racconta Francesco – e non fosse perché mi lavavo e cambiavo, ero diventato quasi un... barbone. Ma da lì non mi mossi. Non potevo muovermi».
Alcuni amici lo giudicano un eroe: lui sorride e ripete sempre, solo, d’amare la moglie. Di amarla «anche così e forse più di prima».
Nessuno lo sa, né può accorgersene, eppure Anita continua a combattere come una leonessa: prende polmoniti e diverse infezioni, ma tira fuori gli artigli e tiene duro. Trascorrono sei mesi e la ricoverano all’'Unità di risveglio' del San Giovanni Battista. «In quei sei mesi – dice Francesco – al San Camillo furono come una famiglia nei suoi confronti.
Era diventata un po’ la loro 'cocca'».
Anche Chiara, anche la sorella e la madre di Francesco hanno mollato tutto. Anche loro tre restano al fianco di Anita, che è stata tracheotomizzata ed è nutrita con la Peg (il sondino che entra direttamente nello stomaco passando per l’addome). «Lei è la nostra vita», ripetono da quella notte del 2006 anche Chiara, la sorella e la mamma di Francesco. La stanno «svezzando».
Sarebbe a dire che mangia e beve sempre attraverso la Peg, però – usando molto tempo, pazienza e amore – manda ormai giù col cucchiaino cibi semisolidi e, soprattutto, il gelato che le piace da matti.
Anita subisce via via altre cinque operazioni. È tornata nella sua piccola abitazione a Isola Sacra (una frazione di Fiumicino) sei mesi fa, al San Giovanni Battista hanno spiegato bene che la casa e l’amore dei suoi possono aiutarla più di qualsiasi altra cosa. Naturalmente un’ora ogni giorno viene un fisioterapista e due volte a settimana la logopedista.
Dal suo letto, a volte sorride (l’ha fatto anche al cronista), a volte risponde aprendo e chiudendo gli occhi alle domande, a volte stringe il pugno alzando il pollice per dire «ok», a volte accenna a parlare senza tirar fuori suoni, ma muovendo le labbra. Ha la pelle liscia e non una piaga da decubito sul corpo, perché la girano in continuazione, perché d’inverno la fanno passeggiare in casa sulla carrozzella e durante la bella stagione Francesco la carica sulle spalle, le fa scendere tre rampe di scale (non c’è ascensore) e sempre sulla carrozzella, che le sorregge anche la testa, la porta a spasso sotto la palazzina. In questo periodo è impossibile: sono case popolari, ci sono le impalcature, stanno facendo grossi lavori e Anita non può correre il rischio di respirare polvere di calcinacci. Ecco, ora è questo il problema più grande: «Cerco una casetta ad un affitto non altissimo, anche piccola, ma che sia al pian terreno. Qui non ce la facciamo, mia moglie è costretta a non uscire quasi mai». Il secondo problema è che dev’essere in zona, per non perdere medici e controlli e fisioterapie... A dirla tutta, una casa (addirittura con un pezzetto di giardino) l’aveva trovata ed aveva anche già versato la caparra dell’affitto, ma il giorno della firma sul contratto la proprietaria gli ha detto che aveva cambiato idea e non l’affittava più: aveva saputo che sarebbe dovuta entrarvi una disabile.
«Il rapporto con mia mamma è bello, ci faccio tutto insieme», spiega Chiara, che oggi ha diciassette anni, quasi sempre studia, legge e vede la tivù nella stanza con la madre e quando il padre è al lavoro non esce. Nel pomeriggio, poi, lei e i suoi amici spesso mettono musica, sempre nella stanza di Anita, e la fanno 'ballare' con la carrozzella. «Noi sfortunati? – dice di nuovo sorridendo Francesco, mentre accarezza Anita e Chiara le è accanto – Ma vuoi scherzare? Noi possiamo raccontarla, altro che sfortuna! E poi guardala, Anita... Ma la vedi?!». Però c’è chi sosterrebbe che la sua vita è priva di dignità, umiliante e inutile: «Ma proprio non esiste! – ribatte Francesco e qui insorge anche Chiara –.
Te lo ripeto, le parole sono inutili: guardala».
Marito e figlia adolescente, coadiuvati dai parenti, la accudiscono nel loro appartamento di un edificio senza ascensore: «Non siamo sfortunati, noi possiamo raccontarla»


Svizzera «Dai vescovi nessun via libera alla “dolce morte”» - DI VIVIANA DALOISO – Avvenire, 22 maggio 2009
D opo dieci anni di discus­sioni e proposte, la Sviz­zera adotterà il prossimo dicembre la riforma del codice civile. Tra le principali novità an­che un articolo – precisamente il 370 – che si occupa di «Dichia­razioni anticipate di trattamen­to », alias testamento biologico.
L’articolo si inserisce in una risi­stemazione più ampia della tu­tela dei diritti del paziente, che entrerà in vigore solo nel 2012, e che non fa alcun cenno alle pra­tiche eutanasiche, tanto meno a come si devono intendere i trat­tamenti di alimentazione e idra­tazione artificiale.
Punto che divide il dibattito po­litico italiano e sulla cui obbliga- torierà – come naturale – la Chie­sa svizzera ha le stesse posizioni della nostra. Di qui lo stupore di Claudio Mésoniat, direttore del
Giornale del Popolo, che ieri è ri­masto a bocca aperta leggendo su alcuni quotidiani italiani che l’episcopato svizzero addirittu­ra benedirebbe la dolce morte.
Intanto un po’ di chiarezza, co­sa succede di nuovo in Svizze­ra?
Niente di nuovo. Le «direttive an­ticipate » hanno ricevuto valore legale da un voto parlamentare federale di tre mesi fa, che esa­minava una riforma del Codice civile. Si tratta di un testo molto generico, sul quale potranno ap­poggiarsi diversi tipi di testa­mento biologico che sono già in circolazione da anni. C’è per e­sempio quello di Caritas svizze­ra, ovviamente contrario a ogni forma di eutanasia. Si fa, ad e­sempio, menzione del diritto del futuro paziente di rifiutare alcu­ni mezzi terapeutici, ma senza precisare nulla a proposito di i­dratazione e alimentazione arti­ficiali. Si tratterà di interpretarlo, e ogni Cantone dovrà emanare i propri regolamenti applicativi entro il 2012.
Su questo punto la Chiesa sviz­zera come la pensa?
La posizione dei vescovi svizze­ri circa la natura da attribuire a idratazione e alimentazione ar­tificiali è chiara da sempre: non vanno considerate terapie, ma normali cure di base. Quindi, per i vescovi svizzeri, non dovreb­bero rientrare affatto tra i «mez­zi terapeutici» che si possono ri­fiutare. Né più né meno che la posizione dei vescovi italiani. Che poi, com’è noto, è quella del magistero cattolico.
Il contrario di quanto afferma­to ieri da alcuni quotidiani ita­liani.
Già. Ho spiacevolmente notato come abbiano nuovamente per­so la tramontana su questi temi, in particolare La Stampa, facen­do una totale confusione tra «suicidio assistito» – una triste specialità elvetica che esiste da 20 anni e ha radici nel codice pe­nale degli anni ’30 del secolo scorso – e «direttive anticipate.
Che sono due cose differenti...
Il suicidio assistito è opera di un paio di associazioni, Exit e Di­gnitas, che operano sul crinale della legalità facendo leva su un articolo del nostro codice pena­le che non punisce chi assiste – senza scopi di lucro – una per­sona che intende suicidarsi. E la posizione della Chiesa svizzera in proposito è da sempre di net­tissima condanna.
Come spiega, allora, le dichia­razioni messe in bocca ai vesco­vi svizzeri?
A un insolito meeting che si è svolto nei giorni scorsi a Berna su iniziativa dell’Ambasciata svizzera a Roma (stranamente molto intraprendente in questo caso: il nostro ministro degli E­steri è la signora Calmy Rey, no­ta per le sue posizioni «aperte» in fatto di fine vita), erano stati in­vitati cinque giornalisti italiani. A spiegare le posizioni dei cattoli­ci c’era il teologo Jerumanis, pro­fessore della Facoltà teologica di Lugano. Le cui posizioni su idra­tazione e alimentazione sono state fuorviate.
E, a rischio di essere ripetitivi, quali sono?
No alla «dolce morte» (che per il titolone de La Stampa sarebbe «benedetta» dalla Chiesa in Sviz­zera), sia nella forma suicidale che in quella procurata, e no a delle «direttive» di fine vita che contemplino il rifiuto di idrata­zione alimentazione artificiali (come nel caso di Eluana): que­sta, e solo questa, è la posizione dei vescovi svizzeri.
Mésoniat, direttore del «Giornale del Popolo»: anche per la Chiesa elvetica idratazione e alimentazione artificiali non sono terapie «Fuorviate le dichiarazioni del teologo Jerumanis»


polemiche - Il noto giornalista che firma un libro col filosofo plagia le idee del biologo Wilson. Viviamo in un Paese di «copisti»? - Augias copia come Galimberti e Mancuso allibisce - DI GIANNI GENNARI – Avvenire, 22 maggio 2009
Ieri titolone di due pagine su 'Libero'(34/35) e strillo mi­rato: «Copia e incolla. Au­gias passa da Repubblica a ri­pubblica »! Quattro foto, una grande con Augias e Mancuso, autori di Disputa su Dio e dintorni, grande box con testi a fronte e tre pezzi di Miska Ruggeri e Francesco Borgonovo con de­nuncia: a p. 249 del libro Augias «tra­scrive interi brani» da p. 14 del saggio del biologo di Har­vard Edward Osbor­ne Wilson, La crea­zione:
un appello per salvare la vita sulla terra (Adelphi, 2006), ma non cita la fonte. Poi a p. 35 parla il professor Flavio De Florian (Università di Trento) che ha scoperto l’inghippo e ne ha informato l’editore e i due autori. A lui Augias ha det­to che non conosceva l’opera di Wilson, ma 'la spiegazione' era semplice: aveva 'pescato in Internet' da fonti anonime, che perciò non poteva citare.
Ciò spiega anche il fatto che il libro di Wilson non è citato nella bibliografia, dove c’è spa­zio perfino per Eugenio Scalfa­ri… Elementare e sdrammatiz­zante? Sì, ma non per Mancuso – dice De Florian – che invece conosceva Wilson e la sua ope­ra, ma ora si dice «amareggiato e completamente sbalordito»: non pensava mai possibile un simile plagio, soprattutto «nel­le conclusioni del libro, dove Augias parla in prima persona e parla di se stesso». Chiaro? Sì, e ovviamente i commenti sono liberi. Il mio è che sono cose u­mane, del resto già capitate a 'Repubblica': l’anno scorso il 'filosofo' ufficiale Umberto Galimberti fu accusato di pla­gio nei confronti di ben quat­tro autori e in qualche modo riconobbe il fatto quasi con ra­gioni simili a quelle di Augias.
Internet e il computer – cito Giovanni Paolo II – hanno cambiato 'la nostra vita'… Possono aver cambiato anche l’attribuzione inconsapevole di qualche testo autorevole. Ov­viamente anche Augias sarà un po’ imbarazzato. I lettori di 'Avvenire' sanno che nella ru­brica consueta non sono tene­ro nei suoi confronti, e i rim­proveri non riguardano ragio­namenti o testi altrui, ma pro­prio i suoi. Anche qui i testi di Wilson sono fatti propri da Au­gias in prima persona, e sono conclusivi del discorso su Dio: Wilson/Augias dunque conce­de a Mancuso, con le parole di Wilson a un 'pastore' evange­lico, «la gloria di una invisibile divinità…il credo in un Dio fat­to uomo», ma afferma solenne che «la verità è che paradiso e inferno li creiamo noi…», e pe­rentorio rivendica a sé «il cre­do nel fuoco di Prometeo…nel faticosissimo cammino che porta a 'virtute e canoscen­za' ». Che dire? Certo, il feno­meno del 'plagio', che attri­buisce a sé testi di autore na­scosto, segna la storia della let­teratura. Giovanbattista Mari­no ha scritto di far poesia «con il rampino», cioè afferrando te­sti altrui. Si discute anche sui possibili autori, tra cui un’au­trice, di interi brani di Shake­speare e pare che molta produ­zione del 'Vate', Gabriele D’Annunzio, aveva altre fonti originali. Cose di questo mon­do. Purtroppo. C’è da indignar­si. O forse c’è da sorridere. Vi­viamo in un Paese di copisti.