Nella rassegna stampa di oggi:
1) 13/05/2009 9.53.37 – Radio Vaticana – Il Papa a Betlemme: il luogo della nascità di Gesù invita a testimoniare il trionfo dell'amore sull'odio. Solidarietà ai pellegrini di Gaza: sia tolto l'embargo
2) La preghiera deposta da Benedetto XVI nel Muro del Pianto
3) Omelia di Benedetto XVI nella valle di Giosafat di Gerusalemme
4) Indulgenze speciali durante l'Anno Sacerdotale
5) Legge 40: la sentenza della Corte viola principi di ragionevolezza e uguaglianza - Proteste del MpV e di Scienza & Vita
6) La visita ai due gran rabbini di Gerusalemme - Autentica e durevole riconciliazione fra cristiani ed ebrei - Benedetto XVI ha incontrato i due gran rabbini di Gerusalemme Yona Metzger, ashkenazita, e Shlomo Amar, sefardita. L'incontro si è svolto al centro Hechal Shlomo, martedì mattina 12 maggio. Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato dal Papa. – L’Osservatore Romano, 13 maggio 2009
7) Suicidio di un'adolescente - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 12 maggio 2009
8) TERRA SANTA/ La sfida del Papa - Claudio Morpurgo - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
9) TERRA SANTA/ La “ragione” del Papa, metodo di convivenza e di pace - INT. Luigi Geninazzi - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
10) DIARIO DA ISRAELE/ Lo sceicco al parroco: “grazie, perché ci hai fatto conoscere i cristiani” - Redazione - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
11) DIARIO DA L'AQUILA/ L'appello di un "padre": non cediamo al lamento, la ricostruzione parte da noi - Redazione - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
12) TERRA SANTA/ La scuola che educa cristiani e musulmani: il Papa ha scelto di partire da qui - Redazione - venerdì 8 maggio 2009 – ilsussidiario.net
13) PERSA UN’OCCASIONE DURANTE IL VIAGGIO DEL PAPA - Quando guarderemo negli occhi i problemi dell’Africa - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 13 maggio 2009
13/05/2009 9.53.37 – Radio Vaticana – Il Papa a Betlemme: il luogo della nascità di Gesù invita a testimoniare il trionfo dell'amore sull'odio. Solidarietà ai pellegrini di Gaza: sia tolto l'embargo
Il Papa è giunto oggi a Betlemme poco prima delle 8.00. Dopo la cerimonia di benvenuto con il presidente Abbas si è trasferito nella Piazza della Mangiatoia di Betlemme per celebrare la Santa Messa. Nella sua omelia Benedetto XVI ha espresso innanzitutto la sua vicinanza ai pellegrini provenienti “dalla martoriata Gaza a motivo della guerra”. “Vi chiedo – ha detto - di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto”. Poi ha parlato del significato di Betlemme: “Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta!”. Poi ha aggiunto: “Cristo ha portato un Regno che non è di questo mondo, eppure è un Regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà. Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!”. Ecco il testo integrale dell’omelia del Papa:
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
ringrazio Dio Onnipotente per avermi concesso la grazia di venire a Betlemme, non solo per venerare il posto dove Cristo è nato, ma anche per essere al vostro fianco, fratelli e sorelle nella fede, in questi Territori Palestinesi. Sono grato al Patriarca Fouad Twal per i sentimenti che ha espresso a nome vostro, e saluto con affetto i confratelli Vescovi e tutti i sacerdoti, religiosi e fedeli laici che faticano ogni giorno per confermare questa Chiesa locale nella fede, nella speranza, nell’amore. Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra: vi chiedo di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto.
“Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,10-11). Il messaggio della venuta di Cristo, recato dal cielo mediante la voce degli angeli, continua ad echeggiare in questa città, come echeggia nelle famiglie, nelle case e nelle comunità del mondo intero. È una “grande gioia”, hanno detto gli angeli, “che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10). Questo messaggio di gioia proclama che il Messia, Figlio di Dio e figlio di Davide, è nato “per voi”: per te e per me, e per tutti gli uomini e donne di ogni tempo e luogo. Nel piano di Dio, Betlemme, “così piccola per essere fra i villaggi di Giudea” (Mic 5,1) è divenuta un luogo di gloria immortale: il posto dove, nella pienezza dei tempi, Dio ha scelto di divenire uomo, per concludere il lungo regno del peccato e della morte e per portare vita nuova ed abbondante ad un mondo che era divenuto vecchio, affaticato, oppresso dalla disperazione.
Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta! Quanto distante appare quel Regno di ampio dominio e di pace, sicurezza, giustizia ed integrità, che il profeta Isaia aveva annunciato, secondo quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr Is 9,7) e che proclamiamo come fondato in maniera definitiva con la venuta di Gesù Cristo, Messia e Re!
Dal giorno della sua nascita, Gesù è stato “segno di contraddizione” (Lc 2,34) e continua ad essere tale anche oggi. Il Signore degli eserciti, “le cui origini è dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mic 5,2), volle inaugurare il suo Regno nascendo in questa piccola città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e giacendo, come bimbo bisognoso di tutto, in una mangiatoia. Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo. Qui infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è mostrato fedele alle sue promesse. Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un Regno d’amore: un amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella gloriosa risurrezione a nuova vita. Cristo ha portato un Regno che non è di questo mondo, eppure è un Regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà. Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!
“Nella speranza siamo stati salvati” dice l’apostolo Paolo (Rm 8,24). E tuttavia afferma con grande realismo che la creazione continua a gemere nel travaglio, anche se noi, che abbiamo ricevuto le primizie dello Spirito, attendiamo pazientemente il compimento della redenzione (cfr Rm 8,22-24). Nella seconda lettura odierna, Paolo trae dall’Incarnazione una lezione che può essere applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in Betlemme, state sperimentando: “È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà”, nell’attesa della venuta della nostra beata speranza, il Salvatore Cristo Gesù (Tt 2,11-13).
Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili. La cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune. E poi la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza: perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo per dimorare sulla terra.
“Non abbiate paura!”. Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo. Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire. Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.
Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!
L’antica basilica della Natività, provata dai venti della storia e dal peso dei secoli, si erge di fronte a noi quale testimone della fede che permane e trionfa sul mondo (cfr 1 Gv 5,4). Nessun visitatore di Betlemme potrebbe fare a meno di notare che nel corso dei secoli la grande porta che introduce nella casa di Dio è divenuta sempre più piccola. Preghiamo oggi affinché, con la grazia di Dio e il nostro impegno, la porta che introduce nel mistero della dimora di Dio tra gli uomini, il tempio della nostra comunione nel suo amore, e l’anticipo di un mondo di perenne pace e gioia, si apra sempre più ampiamente per accogliere ogni cuore umano e rinnovarlo e trasformarlo. In questo modo, Betlemme continuerà a farsi eco del messaggio affidato ai pastori, a noi, all’umanità: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”! Amen.
Omelia di Benedetto XVI nella valle di Giosafat di Gerusalemme
GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo pomeriggio la Santa Messa nella valle di Giosafat di Gerusalemme, che si trova di fronte alla Basilica del Gethsemani e all’Orto degli Ulivi.
* * *
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,
"Cristo è risorto, alleluia!". Con queste parole vi saluto con grande affetto. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal per le sue parole di benvenuto a vostro nome, e prima di tutto esprimo anche la mia gioia di essere qui a celebrare questa Eucarestia con voi, Chiesa in Gerusalemme. Ci siamo raccolti qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere "la via della pace" (cfr Lc 19,42), qui donde egli tornò al Padre, dando la sua ultima benedizione terrena ai suoi discepoli e a noi. Accogliamo oggi questa benedizione. Egli la dona in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle, che siete collegati in una ininterrotta linea con quei primi discepoli che incontrarono il Signore Risorto nello spezzare il pane, che sperimentarono l’effusione dello Spirito Santo nella "stanza al piano superiore", che furono convertiti dalla predicazione di San Pietro e degli altri apostoli. I miei saluti vanno anche a tutti i presenti, e in modo speciale a quei fedeli della Terra Santa che per varie ragioni non hanno potuto essere oggi con noi.
Come successore di san Pietro, ho ripercorso i suoi passi per proclamare il Signore Risorto in mezzo a voi, per confermarvi nella fede dei vostri padri ed invocare su di voi la consolazione che è il dono del Paraclito. Trovandomi qui davanti a voi oggi, desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre. Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa.
Nella seconda lettura di oggi, l’Apostolo Paolo chiede ai Colossesi di "cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio" (Col 3,1). Queste parole risuonano con particolare forza qui, sotto il Giardino del Getsemani, dove Gesù ha accettato il calice della sofferenza in completa obbedienza alla volontà del Padre e dove, secondo la tradizione, è asceso alla destra del Padre per intercedere continuamente per noi, membra del suo Corpo. San Paolo, il grande araldo della speranza cristiana, ha conosciuto il prezzo di questa speranza, il suo costo in sofferenza e persecuzione per amore del Vangelo, e mai vacillò nella sua convinzione che la risurrezione di Cristo era l’inizio della nuova creazione. Come egli dice a noi: "Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria" (Col 3,4)!
L’esortazione di Paolo di "cercare le cose di lassù" deve continuamente risuonare nei nostri cuori. Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr Is 25,6-8; Ap 21,2-4).
Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese. Per questa ragione, la comunità cristiana in questa Città che ha visto la risurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito deve fare tutto il possibile per conservare la speranza donata dal Vangelo, tenendo in gran conto il pegno della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, testimoniando la forza del perdono e manifestando la natura più profonda della Chiesa quale segno e sacramento di una umanità riconciliata, rinnovata e resa una in Cristo, il nuovo Adamo.
Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, Musulmani e Cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una "città della pace" per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, "una voce che parla di pace" ( cf. Sl 85,8)!
Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana. Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.
Vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa Città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città. Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.
Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, San Pietro e San Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, "vide e credette" (Gv 20,8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di "toccare" le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio. La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a "vedere e credere" nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad "ascoltare" con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a "toccare" le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.
Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo. Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni "pietra pesante" posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo. Cristo è risorto, alleluia! Egli è davvero risorto, alleluia!
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
La preghiera deposta da Benedetto XVI nel Muro del Pianto
GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo il testo della preghiera scritta sul biglietto che Benedetto XVI ha deposto questo martedì tra le fenditure del Muro del Pianto, a Gerusalemme.
* * *
Dio di tutti i tempi,
nella mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”,
casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani
porto di fronte a te le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le prove, le sofferenze e i disagi di tutti i tuoi popoli dovunque nel mondo.
Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati;
manda la pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente,
su tutta la famiglia umana;
smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome,
affinché camminino umilmente nel sentiero di giustizia e compassione.
“Il Signore è buono con coloro che lo attendono,
con gli animi che lo cercano” (Lamentazioni 3:25).
Indulgenze speciali durante l'Anno Sacerdotale
Un decreto della Penitenzieria Apostolica ne spiega le condizioni
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- I sacerdoti e i fedeli che compiranno determinati esercizi di pietà durante l'Anno Sacerdotale riceveranno l'indulgenza plenaria.
Lo rende noto un decreto reso pubblico questo martedì dalla Sala Stampa della Santa Sede, firmato dal Cardinale James Francis Stafford e dal Vescovo Gianfranco Girotti, O.F.M., rispettivamente penitenziere maggiore e reggente della Penitenzieria Apostolica.
La Chiesa celebrerà l'Anno Sacerdotale dal 19 giugno 2009 allo stesso giorno dell'anno successivo in occasione del 150° anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney, il Curato di Ars.
L'Anno Sacerdotale inizierà il 19 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù, con la celebrazione, presieduta dal Papa, dei Vespri davanti alle reliquie del Santo, portate a Roma dal Vescovo di Belley-Ars.
Benedetto XVI concluderà il "sacro periodo" un anno dopo in Piazza San Pietro insieme a sacerdoti di tutto il mondo, che "rinnoveranno la fedeltà a Cristo e il vincolo di fraternità", osserva il testo.
Il decreto spiega dettagliatamente le modalità per ottenere le indulgenze.
In primo luogo, potranno ottenere l'indulgenza plenaria i sacerdoti "veramente pentiti, che in qualsiasi giorno devotamente reciteranno almeno le Lodi mattutine o i Vespri davanti al SS.mo Sacramento, esposto alla pubblica adorazione o riposto nel tabernacolo, e, sull'esempio di San Giovanni Maria Vianney, si offriranno con animo pronto e generoso alla celebrazione dei sacramenti, soprattutto della Confessione".
Il testo segnala che i sacerdoti potranno beneficiare dell'indulgenza plenaria, applicabile ai sacerdoti defunti come suffragio, se, in conformità alle disposizioni vigenti, si confesseranno e comunicheranno e pregheranno per le intenzioni del Papa.
Riceveranno l'indulgenza parziale, anch'essa applicabile ai defunti, "ogni qual volta reciteranno devotamente preghiere debitamente approvate per condurre una vita santa e per adempiere santamente agli uffici a loro affidati".
Potranno beneficiare dell'indulgenza plenaria anche i fedeli che, "veramente pentiti", assisteranno alla Messa e offriranno per i sacerdoti della Chiesa preghiere a Cristo e qualsiasi opera buona.
Saranno necessari il sacramento della confessione e la preghiera per le intenzioni del Papa "nei giorni in cui si apre e si chiude l'Anno Sacerdotale, nel giorno del 150° anniversario del pio transito di San Giovanni Maria Vianney, nel primo giovedì del mese o in qualche altro giorno stabilito dagli Ordinari dei luoghi per l'utilità dei fedeli".
Gli anziani, i malati e tutti coloro che per motivi legittimi non possano uscire di casa potranno ottenere l'indulgenza plenaria se, "con l'animo distaccato da qualsiasi peccato e con l'intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni", "nei giorni sopra determinati, reciteranno preghiere per la santificazione dei sacerdoti, e offriranno con fiducia a Dio per mezzo di Maria, Regina degli Apostoli, le malattie e i disagi della loro vita".
Il decreto indica che si concederà l'indulgenza parziale a tutti i fedeli che reciteranno cinque Padre Nostro, Ave Maria e Gloria o altra preghiera appositamente approvata "in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù, per ottenere che i sacerdoti si conservino in purezza e santità di vita".
Il testo dichiara che il Santo Curato di Ars fu un "luminoso modello di pastore, pienamente dedito al servizio del popolo di Dio".
Sottolinea anche che le indulgenze possono aiutare i sacerdoti, insieme alla preghiera e alle opere buone, a ottenere "la grazia di risplendere con la Fede, la Speranza, la Carità e le altre virtù" e di mostrare "con la condotta di vita, ma anche con l'aspetto esteriore, di essere pienamente dediti al bene spirituale del popolo".
Legge 40: la sentenza della Corte viola principi di ragionevolezza e uguaglianza - Proteste del MpV e di Scienza & Vita
ROMA, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- "Visto che la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40 viola principi di ragionevolezza e uguaglianza, ci muoveremo di conseguenza. Chiederemo ai parlamentari a noi vicini di riproporre la proposta di legge che modifica il Codice Civile stabilendo che la capacità giuridica si acquista dal concepimento, e non dalla nascita come è ora".
Lo hanno annunciato Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, e Maria Luisa Di Pietro, presidente di Scienza&Vita, in una conferenza stampa che si è tenuta questo martedì mattina al Senato.
"C'è un pesante silenzio nella sentenza sull'embrione e il diritto alla vita - spiega Casini -. La Consulta deve applicare la legge, a partire dalla Costituzione, dove c'è già la tutela del diritto alla vita dal concepimento. Visto che i giudici non lo vogliono vedere, allora modifichiamo la legge italiana dal Codice Civile".
Dello stesso parere anche Maria Luisa Di Pietro, secondo la quale le "argomentazioni usate dalla Corte Costituzionale non hanno senso, visto che le complicanze da iperstimolazione ovarica in Italia sono la metà rispetto all'Europa, e questo grazie alla legge".
Senza contare che a fronte di maggiori prelievi di ovociti "non è corrisposto un aumento delle stimolazioni, forse perché sono i medici a incitare le donne ad andare all'estero, diffondendo l'idea che la procreazione medicalmente assistita in Italia è più difficile", ha aggiunto Casini.
Sul fronte parlamentare, la senatrice Laura Bianconi ha assicurato tutto il suo appoggio nel presentare questa proposta di legge: "Ripartiremo dal vecchio testo del MpV per modificarlo alla luce della sentenza - precisa -. Raccoglieremo firme in modo trasversale, e chiederemo al presidente della commissione Sanità del Senato di porre la proposta all'ordine del giorno. Lo stesso sarà fatto per la Camera".
Secondo il presidente del MpV, "c'e' bisogno che la società civile spinga verso questo cambiamento culturale e per farlo cercheremo di coinvolgere tutte le associazioni che hanno a cuore la difesa della vita in un lavoro di informazione".
Nel frattempo, però, "in difesa della salute della donna e del concepito porteremo avanti obiettivi intermedi attraverso la vigilanza sull'applicazione corretta della legge 40, perché, ad esempio, non si producano più embrioni del necessario, come impone ancora la legge che ha cancellato il numero, ma non l'indicazione di produrre solo gli embrioni strettamente necessari", ha continuato Casini.
"Chiederemo inoltre che vengano emanate linee guida che possano correttamente interpretare la legge 40, che seppure 'ferita' mantiene il suo impianto fondamentale", ha concluso.
La visita ai due gran rabbini di Gerusalemme - Autentica e durevole riconciliazione fra cristiani ed ebrei - Benedetto XVI ha incontrato i due gran rabbini di Gerusalemme Yona Metzger, ashkenazita, e Shlomo Amar, sefardita. L'incontro si è svolto al centro Hechal Shlomo, martedì mattina 12 maggio. Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato dal Papa. – L’Osservatore Romano, 13 maggio 2009
Distinti Rabbini,
Cari Amici,
vi sono riconoscente per l'invito fattomi a visitare Hechal Shlomo e ad incontrarmi con voi durante questo mio viaggio in Terra Santa come Vescovo di Roma. Ringrazio Sephardi Rabbi Shlomo Amar e Ashknazi Rabbi Yona Metzger per le loro calorose parole di benvenuto e per il desiderio da loro espresso di continuare a fortificare i vincoli di amicizia che la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato si sono impegnati così diligentemente a far avanzare nell'ultimo decennio. Le vostre visite in Vaticano nel 2003 e 2005 sono un segno della buona volontà che caratterizza le nostre relazioni in crescita. Distinti Rabbini, contraccambio tale atteggiamento esprimendo a mia volta i miei personali sentimenti di rispetto e di stima per voi e per le vostre comunità. Vi assicuro del mio desidero di approfondire la vicendevole comprensione e la cooperazione fra la Santa Sede, il Gran Rabbinato di Israele e il popolo Ebraico in tutto il mondo. Un grande motivo di soddisfazione per me fin dall'inizio del mio pontificato è stato il frutto prodotto dal dialogo in corso tra la Delegazione della Commissione della Santa Sede per le Relazioni Religiose con gli Ebrei e il Gran Rabbinato della Delegazione di Israele per le Relazioni con la Chiesa Cattolica. Desidero ringraziare i membri di entrambe le Delegazioni per la loro dedizione e il faticoso lavoro nel perfezionare questa iniziativa, così sinceramente desiderata dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo ii, come egli volle affermare nel Grande Giubileo del 2000. Il nostro odierno incontro è un'occasione molto appropriata per rendere grazie all'Onnipotente per le tante benedizioni che hanno accompagnato il dialogo condotto dalla Commissione Bilaterale, e per guardare con speranza alle sue future sessioni. La buona volontà dei delegati nel discutere apertamente e pazientemente non solo i punti di intesa, ma anche i punti di disaccordo, ha anche spianato la strada per una più efficace collaborazione nella vita pubblica. Ebrei e Cristiani sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana. Questi temi di dialogo rappresentano solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione. Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell'avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali. Possa il dialogo che è stato avviato continuare a generare idee su come sia possibile a Cristiani ed Ebrei lavorare insieme per accrescere l'apprezzamento della società per i contributi caratteristici delle nostre tradizioni religiose ed etiche. Qui in Israele i Cristiani, dal momento che costituiscono solamente una piccola parte della popolazione totale, apprezzano in modo particolare le opportunità di dialogo con i loro vicini ebrei. La fiducia è innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo. Oggi ho l'opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei. Come la Dichiarazione Nostra Aetate ha chiarito, la Chiesa continua a valorizzare il patrimonio spirituale comune a Cristiani ed Ebrei e desidera una sempre più profonda mutua comprensione e stima tanto mediante gli studi biblici e teologici quanto mediante i dialoghi fraterni. I sette incontri della Commissione Bilaterale che già hanno avuto luogo tra la Santa Sede e il Gran Rabbinato possano costituirne una prova! Vi sono così molto grato per la vostra condivisa assicurazione che l'amicizia fra la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato continuerà in futuro a svilupparsi nel rispetto e nella comprensione. Amici miei, esprimo ancora una volta il mio profondo apprezzamento per il benvenuto che mi avete rivolto oggi. Confido che la nostra amicizia continui a porsi come esempio di fiducia nel dialogo per gli Ebrei e i Cristiani di tutto il mondo. Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità - insieme con tutte le persone di buona volontà - nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo. Prego Iddio, che scruta i nostri cuori e conosce i nostri pensieri (Sl 139, 23), perché continui ad illuminarci con la sua sapienza, così che possiamo seguire i suoi comandamenti di amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze (cfr. Dt 6, 5) e di amare il nostro prossimo come noi stessi (Lev 19, 18). Grazie!
(©L'Osservatore Romano - 13 maggio 2009)
Suicidio di un'adolescente - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 12 maggio 2009
Sono stata adolescente quando Guccini cantava "l’avvelenata", quando si girava con il cappotto sbottonato in pieno inverno per mostrare a tutti la cintura di Gucci, quando i blues jeans erano un simbolo irrinunciabile, ma io non ne ho mai posseduti un paio, mia madre era contraria per principio, avrei fatto carte false per avere un paio di Wrangler ma lei niente, solo imitazioni acquistate al mercato, quando tutti avevano il motorino, io non avevo nemmeno il permesso di usare il vecchio Garelli di mio padre, quando mi diplomai ai miei amici regalarono l’iscrizione alla scuola guida e a me una bicicletta, non potevo uscire la sera perché mia madre diceva che il mondo era popolato da gente poco affidabile, ho pianto, urlato, scritto lettere strazianti rimaste senza risposta, non rivivrei quegli anni nemmeno se me li regalassero insieme alla giovinezza, ma non ho mai pensato che la vita fosse brutta, certo, volevo cambiare, fuggire, volevo una famiglia differente dalla mia, ma la vita mi sembrava una grande opportunità e io mi sentivo un uccello in gabbia con le ali tarpate che non vedeva l’ora di poter volare.
Quelle fatiche, quei soprusi a volte inutili, mi hanno forgiata, si poteva farne a meno, ma tant’è, quella era la mia vita e un senso doveva pur esserci.
Diventando madre ho capito che alcuni errori si ripetono in buona fede, altri si evitano, non c’è nulla della vita da cui non si possa imparare ad essere migliori.
L’educazione di uomini e donne che solchino la strada del futuro è il compito più difficile e più arduo, spesso un compito che le famiglie svolgono in solitudine.
Ecco perché quando ho letto della studentessa quindicenne di Lecce, impiccatasi in casa mi si è spezzato il cuore, perché non c’è dolore più grande di un figlio che decide che non valga la pena di vivere, di un figlio che se ne va così, lasciandoti solo interrogativi e sensi di colpa che solcheranno i tuoi giorni per sempre, domande a cui non avrai mai risposta.
La studentessa di Lecce era brava a scuola, senza problemi particolari se non i soliti conflitti adolescenziali, il giorno in cui ha scelto d’impiccarsi si festeggiava la comunione di suo fratello e lei non aveva voluto partecipare alla cerimonia, né alla festa, voleva uscire con i suoi amici, per questo il padre le aveva tolto per punizione il cellulare, chi può dargli torto, chi può pensare che si trattasse di un sopruso invivibile, insuperabile, nessuno.
Lei ha passato il pomeriggio in casa a conversare al telefono fisso con le amiche, senza una parola su quanto tramava. Forse non voleva morire, voleva solo fingere un gesto estremo per attirare su di sé l’attenzione, forse voleva solo scherzare con la morte convinta di vincere ed invece è toccato al padre rientrato dalla festa alle 23 trovarla impiccata con un lenzuolo.
La sua bambina, la sua piccola donna che si credeva così grande da non dover condividere una giornata di festa con la sua famiglia, che si credeva così grande da poter bastare a se stessa, ha reso la vita di chi le voleva bene un sentiero irto e difficile, li aspettano giorni di dolore, di dubbi e spero davvero che non siano giorni di solitudine perché nessuno potrà togliere loro il dolore e la fatica, ma la compagnia potrà aiutarli a portare il peso di questo dolore e superare quei giorni che sembreranno più bui degli altri guardando al futuro, all'altro figlio da crescere, guardando alla vita e alle cose buone che offre, e scoprendo che nulla accade senza un senso, nemmeno il più grande dei dolori.
TERRA SANTA/ La sfida del Papa - Claudio Morpurgo - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Impossibile non esserne consapevoli. Il viaggio di Benedetto XVI rappresenta un passaggio storico nei rapporti tra le religioni monoteistiche.
Anche se potranno rimanere, tra ebrei, cristiani e mussulmani, punti di frizione su particolari tematiche, il Pontefice ha lanciato al mondo, da Gerusalemme, un messaggio di forza formidabile che va interpretato con onestà e positività, cercando di valorizzare più ciò che unisce, rispetto a ciò che ben potrà continuare a dividere.
L’impressione è quella che Benedetto XVI non abbia voluto nascondersi, non abbia voluto fare sconti a nessuno. Non è più il momento di farlo, probabilmente, in un mondo malato, dove relativismo morale e strumentalizzazione criminale del nome di Dio rappresentano mali di dirompente gravità.
Quando l’umanità soffre, quando la religiosità ed il diritto di appartenere sono minacciati, quando la libertà dell’individuo di essere se stesso rimane troppo spesso un miraggio irrealizzabile nel tessuto sociale, non è più ammissibile nessuna ritrosia.
Certo, nel dialogo interreligioso potrà permanere qualcosa che divide, che lascia perplessi, soprattutto, se si vorrà privilegiare una valutazione delle parole del Papa di natura teologica o strettamente confessionale.
La questione posta da Benedetto XVI è, però, un’altra e di più elevato spessore concreto, perché nasce da un’affermazione di metodo di straordinaria importanza che permette di superare e di mettere da parte, nella quotidianità delle nostre vite individuali e collettive, possibili incomprensioni.
Non è sufficiente, secondo il Pontefice, un dialogo interreligioso teorico, limitato alla sfera teologica. La condivisione, invece, l’unità di intenti, la partecipazione ad una sfida comune, potrà esserci nell’azione, nel fattivo impegno religioso nella società.
Coloro che confessano il nome di Dio “hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrensicamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana”.
Le fedi monoteistiche, secondo il Pontefice, di fronte al dramma del relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana, devono assumere un ruolo da protagonista, abbandonando ogni tendenza alla autoghettizzazione e al conflitto. Dalla spianata delle Moschee, dal Muro del Pianto, Benedetto XVI ha sottolineato quanto sia importante superare le divisioni del passato, realizzando forme di dialogo operativo in grado di costruire un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno.
Alla base del dialogo interreligioso dovrà esserci rispetto, accettazione delle diversità di impostazioni e sensibilità. E, soprattutto, dovrà esserci il comune impegno per tutelare la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società giusta.
Ecco, è questo il messaggio che Benedetto XVI ha voluto lanciare all’umanità e che trova “naturalmente” in piena sintonia le fedi abramitiche.
Un messaggio che, prima di tutto, impegna gli uomini di fede. Senza timidezze, senza nascondimenti, bisogna essere consapevoli che la religiosità deve sempre più diventare soggetto protagonista di civiltà. Ogni uomo di fede è responsabile davanti a Dio, è consapevole di essere oggetto dell’attenzione di Dio, di essere prezioso ai suoi occhi.
Questo vale sotto ogni profilo, allorché si verifichino tragedie, quando sia necessario prevenirle, nei casi in cui l’umanità richieda prese di posizione forti rispetto a temi essenziali per tutti.
E’ finita l’epoca in cui le identità forti, le appartenenze religiose potevano permettersi di vivere rinchiuse nel loro recinto. Il laicismo che permea, subdolamente e con sempre maggiore forza devastatrice, la nostra struttura sociale e culturale chiama gli uomini di fede ad un impegno comune.
La base di questo lavoro condiviso è l’affermazione costitutiva della centralità della persona.
Il singolo non è riducibile a soli valori collettivi, egli stesso rappresenta un valore assoluto: la specificità dell'anima umana, la singolarità dei suoi attributi costituisce insieme il rischio e il valore dell'individuo. Come tale l'uomo è posto di fronte all'Eterno, non come modello impersonale. Dio vuole dall’uomo l'attuazione della sua singolare irripetibilità, non l'adeguamento acquiescènte a uno schema collettivo.
La missione di ogni uomo di fede è, quindi, quella di portare nel mondo la concezione della sacralità della singola ed irripetibile vita umana. Ogni uomo è un valore in sé. E l’educazione, cioè la libera possibilità di formarsi nel rispetto dei propri valori e delle proprie scelte culturali (e religiose), costituisce la grammatica fondante di una società inclusiva, giusta e pacifica.
TERRA SANTA/ La “ragione” del Papa, metodo di convivenza e di pace - INT. Luigi Geninazzi - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
È stata la preghiera di Benedetto XVI al Muro del Pianto: «pace per la Terrasanta e per l'umanità». E rivolto ai cristiani, nell’omelia durante la Messa nella valle di Giosafat: «Spero che la mia presenza qui - ha detto il Papa - sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre». Le parole di Papa Ratzinger nel corso del suo pellegrinaggio, però, suscitano anche critiche, come quelle piovute dalla stampa ebraica per quello che il Papa non avrebbe detto allo Yad Vashem. «Ma Benedetto XVI - spiega Luigi Geninazzi, editorialista di Avvenire - non dimentica la sofferenza del mondo; cerca di guardare più in là, con gli occhi della fede. Proprio per questo i suoi interlocutori fanno fatica a stargli dietro».
Geninazzi, ieri il Papa è stato al Memoriale di Yad Vashem. Ha fatto un discorso accorato, nel quale ha reso omaggio alle vittime dell’Olocausto: «è il grido di Abele - ha detto - che sale dalla terra verso l’Onnipotente». Ma a giudicare dalle reazioni che ci sono state in Israele, non ha del tutto superato “la prova” della Shoah…
Benedetto XVI ha fatto un discorso di grande profondità. Quello di Yad Vashem è stato quasi una lirica poetica. Diverso è il modo il cui quel discorso è stato recepito. Sui giornali israeliani ieri mattina c’è stata una bordata di critiche: perché il Papa ha detto “killed” e non “murdered”, uccisi e non assassinati, perché non ha citato i nazisti come responsabili della Shoah… c’è come la sensazione che non se ne dica mai abbastanza. Anche da parte islamica: sempre ieri, durante la visita sulla Spianata delle Moschee, il Gran Muftì ha chiesto una condanna dell’aggressione israeliana contro il popolo palestinese. Ma il Papa non dimentica queste sofferenze; cerca di guardare più in là. Il suo è uno sguardo di fede, non fa politica.
È stato così anche in Giordania, nel dialogo con il mondo musulmano?
Sì. Anche i temi a sfondo politico oltre che religioso li ha toccati, mi pare, con grande delicatezza e sensibilità. Ha parlato di legame inscindibile tra ebraismo e cristianesimo; ha sottolineato come la violenza sia estranea allo spirito religioso; sul piano politico ha parlato di pace giusta coi palestinesi. Nell’incontro col presidente Shimon Peres ha accennato ai problemi del muro di separazione, dicendo che queste barriere non possono creare la pace. Ha parlato della sicurezza, un concetto molto importante nello stato di Israele, ma rifacendosi al termine biblico betah ha detto che la sicurezza non è soltanto l’assenza di minacce militari, ma uno spirito di confidenza reciproca.
Il Medio oriente, come ha sottolineato Benedetto XVI a Betania domenica scorsa, è profondamente «segnato da questioni irrisolte». Cosa possono fare i cristiani?
Ne ha parlato ieri agli Ordinari cattolici nel Cenacolo di Gerusalemme. Il Papa li ha incoraggiati, «siete un ponte di pace», ha detto, richiamando l’importanza di quello che fanno nelle scuole, dove vanno anche i musulmani: voi insegnate la carità, i diritti della giustizia. I cristiani hanno un grande ruolo, che soffre della loro presenza sempre più ridotta. Sia dal punto di vista numerico che sociale e politico: e questo vale sia per i cristiani arabi israeliani della Galilea, sia per i cristiani palestinesi dentro i territori. Questi ultimi saranno ormai meno di 40 mila e qui la situazione è davvero tragica, perché i giovani se ne vanno.
Oggi Benedetto XVI vedrà il presidente dell’Anp. Che cosa potrà portare questa visita al processo di pace?
Non solo vedrà il presidente, ma andrà nei territori palestinesi. Vedrà le comunità cristiane di Cisgiordania, si incontrerà con i cristiani di Gaza, andrà nel campo profughi, dirà la Messa al mattino davanti alla basilica della Natività; sarà una giornata importante. Anche in questo caso i cristiani hanno grandi attese ma si tratterà di vedere come capiranno il discorso del Papa. Certamente Benedetto XVI non potrà fare una tirata contro l’occupazione israeliana. A lui interessa ribadire il criterio della fede, proporre un atteggiamento di fronte al male della vita. Vedremo se anche in quel caso dominerà l’atteggiamento già visto del “non è mai abbastanza”.
Israele come accoglierà la visita?
Basti ricordare che il centro stampa di Israele oggi chiude i battenti: non farà vedere un’immagine. Il programma dato ai giornalisti dalle autorità israeliane è dettagliatissimo, a cominciare dall’arrivo fino a giovedì a Nazareth. Oggi invece si dice semplicemente che il papa sarà a Betlemme, null’altro.
Qual è, a suo avviso, il senso del ripetuto richiamo al valore della ragione fatto dal Papa?
In senso ampio è un leitmotiv fondamentale del pensiero di Ratzinger, ma in questo contesto il tema della ragione, che potrebbe sembrare apparentemente lontano dalla mentalità islamica ma anche da quella ebraica, getta le basi del dialogo, perché la convivenza pacifica nasce proprio dall’unità tra la fede e la ragione. Parlare ai musulmani della ragione nei termini che ha usato nella moschea di Amman non è ripetere uno slogan, ma difendere un criterio: la ragione porta a dar valore ai comportamenti concreti, come la tutela della vita umana e quindi la condanna della violenza. È un grande esempio del coraggio di questo Papa, che non si adatta alle situazioni cercando magari di “accontentare” l’interlocutore. Proprio per questo i suoi interlocutori fanno fatica a stargli dietro.
DIARIO DA ISRAELE/ Lo sceicco al parroco: “grazie, perché ci hai fatto conoscere i cristiani” - Redazione - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Caro Francesco, l’influenza e la tosse non ti hanno fanno godere, ieri, il giorno di festa dalla scuola. Il Papa, che ha provocato con la sua presenza la chiusura della scuola e di molte strade della nostra città, era ieri mattina di fronte alla nostra casa. È andato alla Spianata della Moschee ed ha visitato la Cupola della roccia, che vediamo molta bene attraverso le nostre finestre. Poi è sceso giù e si è fermato a pregare davanti al Muro del pianto, quello dove gli ebrei mettono i foglietti. Anche il Papa ha messo il suo foglietto. Forse sei curioso di sapere cosa ha scritto? Lo ha scritto di suo pugno. “Dio di tutti i tempi - c’è scritto - nella mia visita a Gerusalemme, la città della pace, casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani, porto di fronte a te le gioie, le speranze e le aspirazioni, le prove, le sofferenze e i disagi di tutti i tuoi popoli dovunque nel mondo. Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati”.
Mentre il Papa infilava questo biglietto con questo parole io sono andato a trovare una persona che tu non conoscevi, ma che sai bene dove vive. O meglio dove viveva, fino a pochi giorni fa, cioè a Gaza. Sì, proprio a Gaza, quella regione dove c’è stata la guerra poco fa e dove sono morti tanti bambini e dove ci sono state tante distruzioni, e dove adesso ci sono tante persone senza casa. Tu lo sai, perché hai visto la televisione ed anche le foto sul cartellone che i più grandi della tua scuola hanno fatto. E Gaza è anche il posto dove è andato tuo papà e lo so che hai paura perché pensi che la guerra possa colpire anche il tuo papà.
Sai chi ho incontrato: il vecchio parroco della chiesa cattolica di Gaza, padre Manuel Musallam. Dopo 14 anni è tornato a vivere nel villaggio dove è nato, vicino a Ramallah. Sai cosa mi ha detto? Che bisogna stare vicino a chi soffre, musulmano o cristiano che sia, come a Gaza. Che la Chiesa è il volto di Cristo, e lui guarda ai poveri e ai sofferenti. Abuna Musallam si è battuto perché il Papa andasse anche a Gaza, ma non ci è riuscito. E questo lo ha rattristato. Poi ha sorriso, quando ha ricordato il giorno della sua partenza da Gaza. «Lo sceicco musulmano di Gaza - mi ha raccontato - aveva le lacrime agli occhi. Allora Abuna gli ha chiesto: sceicco perché piangi? In fondo io torno alla mia famiglia. E lui ha risposto: piango perché tu ci hai fatto conoscere i cristiani attraverso la tua persona». È proprio un bel complimento per un cristiano, tanto più detto da un musulmano.
(Filippo Landi)
DIARIO DA L'AQUILA/ L'appello di un "padre": non cediamo al lamento, la ricostruzione parte da noi - Redazione - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Vescovo ma anche professore. Guida di una comunità che sente il bisogno, come un padre, di educare. Il richiamo di monsignor Giuseppe Molinari è arrivato diretto al presidente della provincia, Stefania Pezzopane, già sua alunna ai tempi della scuola. Una lettera che è stata indirizzata a un esponente politico ma che leggendola diventa richiamo educativo a chiunque sta vivendo questi giorni post terremoto.
«Conosciamo tutti i disagi di chi vive in questo momento in una tenda. E ci auguriamo tutti che si possano trovare soluzioni migliori e rapide per mettere fine a queste difficoltà. Ma il tuo grido di protesta sembra dimenticare che siamo tutti interessati a risolvere subito il problema. La tua sembra essere un’accusa indiscriminata contro lo Stato, contro la Protezione Civile e contro tutti coloro che si stanno prodigando generosamente nei confronti della nostra popolazione e si stanno impegnando nella ricerca delle soluzioni concrete possibili».
Non solo i politici. In questi giorni, girando per le tendopoli si sentono sempre più persone prendersela con tutto e tutti per la situazione sempre più pesante, sempre più precaria, sempre più difficile. La figura del padre che richiama per indicare la strada da percorrere.
«E’ facile, purtroppo, in questi momenti, cedere alla tentazione di speculare sulla tragedia che ci ha colpiti. Non è giusto far leva sui disagi e la stanchezza della gente che vive nelle tendopoli anche se è certamente doveroso rimanere all’erta affinché l'opera di ricostruzione avvenga nella trasparenza e velocemente».
La gente reclama, tanti vorrebbero che tutto fosse già parte del passato. Solo l’opera dell’uomo, il suo impegno quotidiano può invece dare un domani a ciascuno di noi, in famiglia, nel lavoro. Le difficoltà sono tante. Io ho a disposizione un prefabbricato per riprendere il mio lavoro in un luogo certo. Ma la burocrazia oggi non mi sa ancora indicare un luogo dove farlo sistemare, dove poter allacciare luce ed acqua. Così rimango precario in mezzo alla strada. E allora faccio mie le parole che l’arcivescovo ha detto al Papa quanto è venuto a L’Aquila.
«L’ho detto anche dinanzi al Papa e lo ripeto: oggi la nostra città ha bisogno di uomini e donne che cerchino con lealtà soluzioni concrete e condivise per il bene del nostro popolo. L’unità è la nostra forza, la divisione e la rissa sono la nostra più grande debolezza».
Unità nella condivisione per il bene di un popolo. Per il futuro dell’Aquila e degli aquilani.
(Fabio Capolla - Giornalista de Il Tempo)
TERRA SANTA/ La scuola che educa cristiani e musulmani: il Papa ha scelto di partire da qui - Redazione - venerdì 8 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Sarà la prima visita del Santo Padre nel suo lungo e intenso viaggio in Terra Santa. Appena arrivato nella capitale giordana di Amman, Benedetto XVI si recherà oggi stesso presso il centro “Nostra Signora della Pace”: un luogo che accoglie persone disabili, sostenuto dall’organizzazione non governativa Avsi attraverso la formazione degli educatori e del personale che vi lavora.
Perché mai questa visita? Che cos’ha di importante un centro come questo da meritare questa attenzione da parte del Papa? Lo spiega a ilsussidiario.net Simon Suweis, giordano di origine e ora rappresentante di Avsi in Giordania: «Il centro “Nostra Regina della Pace” è una realtà non solo di accoglienza per i disabili, ma è un vero e proprio luogo di pace e di carità, creato dai cristiani e aperto a tantissimi musulmani».
All’origine di questa e di altre opere di accoglienza c’è la forte volontà di Sua Eccellenza Mons. Saleem El Sayegh, vescovo di Giordania. Come spiega ancora Simon, «Sua Eccellenza ha voluto con tutto il cuore che nascessero queste opere di carità. E soprattutto ha voluto che qui si esercitasse l’accoglienza attraverso l’opera educativa».
Perché è così importante l’aspetto educativo, e che valore aggiunto dà a realtà come questa in cui si sperimenta la convivenza tra cristiani e musulmani? «L’educazione – ci dice Simon – è l’aspetto fondamentale perché nasca e cresca una vera convivenza. In centri di accoglienza, di formazione, in scuole come queste dove i bambini, cristiani e musulmani, crescono insieme e condividono fin da piccoli lo stesso banco, il tipo di rapporto che nasce e matura fra di loro è molto intenso e libero. Non c’è più il problema di dire “non ti conosco”; e così il pregiudizio viene tagliato alla radice».
«Quindi – continua Simon – è molto bello e importante il fatto che il Papa incominci da qui: da un’opera di carità fatta da cristiani, e i cui destinatari sono per lo più musulmani di famiglie povere. Inoltre il centro non è solo adibito all’accoglienza dei disabili, ma è anche un luogo dove si svolgono ritiri spirituali, e dove i giovani si ritrovano. Insomma: è una grande famiglia, e questa famiglia darà con gioia il suo benvenuto al Papa».
Per chi vive in prima persona l’esperienza dell’educazione e della carità che si respira in un centro come questo, deve essere dunque una grandissima gioia poter accogliere l’arrivo del Papa. Ma il resto della società, i giordani come si apprestano a questo evento? «C’è molto interesse per questo arrivo – racconta Simon –. Da una parte la Chiesa sta lavorando moltissimo e sta organizzando in modo molto accurato l’evento. Dall’altra i mezzi di comunicazione parlano molto di questo viaggio, e spesso anche in modo positivo. E questo crea grande sensibilizzazione e grande attesa. Un’altra cosa molto interessante è poi il fatto che si preparano ad arrivare molte persone anche da altri paesi arabi, tutti con l’intento di venire qui a salutare il Papa: arriverà gente dal Libano, gente dall’Egitto, e da altri Paesi ancora. Insomma: si vede chiaramente che c’è molta attesa per l’arrivo di un grande uomo».
Un arrivo che è anche una grande speranza, per tutti coloro che lavorano quotidianamente per una pace e una convivenza che può sembrare solo un lontano miraggio. Con quale sguardo e con quale speranza attendere questo evento? «Per me personalmente – risponde Simon – si tratta di un avvenimento grandissimo, che mi riempie di gioia e di attesa. In particolare è bello il fatto che questo viaggio chiarirà molte cose che si sono dette su questo Papa, soprattutto dopo il discorso di Ratisbona. Molte critiche in realtà si erano già rivelate del tutto false, come si è poi visto in occasione dell’incontro a Roma con la delegazione di intellettuali islamici. Ma ora tutto questo sarà ancora più evidente, e porterà ancora di più il dialogo e la pace». Una pace che ha poi un fondamento molto chiaro e preciso: «Questa – conclude Simon – è la terra del fiume Giordano, la terra da dove è iniziata la missione di Gesù. Anche questa è Terra Santa. Da qui dunque inizierà questa viaggio. Sarà una cosa grande, e sono certo che non deluderà».
PERSA UN’OCCASIONE DURANTE IL VIAGGIO DEL PAPA - Quando guarderemo negli occhi i problemi dell’Africa - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 13 maggio 2009
O ra diciamo: poveri africani. Diciamo così perché ce li finalmente fanno vedere, mentre li risospingiamo crudelmente dal buio da dove sono sbucati. Ora ce li mostrano, quasi li esibiscono, come oggetto del contendere. Ora ce li mostrano. Eppure, poche settimane fa, li hanno fatti oggetto di una grave censura. Tanto ora ci fanno vedere i nostri fratelli africani, interessanti oggetto di polemica politica, quanto allora non ce li hanno fatti vedere quando il Papa si è recato in quelle terre proprio per invitare l’Africa a rialzarsi. E tutti ad aiutarla. Quando Benedetto XVI andò a chiamare le cose con il loro nome.
Sfruttamento, abuso del potere, astuzie, diseducazione. Allora non ce li fecero vedere. I maggiori media mondiali (e italiani) montarono una campagna idiota su una frase di buon senso del Papa, e non ci fecero vedere l’Africa. Si misero di traverso, si misero a sbraitare, non ci fecero vedere i volti di coloro a cui il Papa si rivolgeva. Non ci fecero vedere i problemi dell’Africa da cui queste persone scappano. Vollero che tutto si fermasse ai luoghi comuni, al polemismo sterile. Quando si poteva parlare dei problemi reali, delle condizioni indispensabili per fermare la fuga delle leve più giovani, senza fermarsi di fronte alle logiche di potere che avviliscono anche l’Africa no, non ce li fecero vedere. Vollero essere loro, i grandi media e i grandi gruppi di interesse, vollero diventare 'protagonisti' di quel viaggio che avrebbe fatto vedere al mondo l’Africa, e le sue urgenze. Tentando di trascinare il Papa in una polemica mondiale pur di non affrontare veramente i problemi dell’Africa che egli indicava. Ora invece ce li mostrano. Ce li fanno vedere e rivedere i grandi media, ci offrono in pasto lo sgomento sui visi di uomini e donne. Ma ancora una volta come figure in un teatro dove i protagonisti sono altri: i polemizzanti. È difficile sentirsi 'giusti' dinanzi a queste scene. Si è affranti. Sia chi pensa che è giusto risospingere indietro, nel quadro di norme internazionali, sia chi pensa che è ingiusto, perché si deve accogliere sempre, in particolare quando la gente è in mare. Il fatto è che anche sulle questioni più delicate è difficile intendersi.
E certi problemi a volte, no, non è per niente semplice affrontarli, limitati come siamo da una giustizia segnata dei nostri stessi caratteri umani, imperfetta. In queste faccende non ci sono necessariamente da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Si dice: povero continente di disperati, di scafisti e sfruttatori, che preme da oltre al mare. Ce li fanno vedere, sulle barche del niente. E ci viene da piangere sull’Africa. Tenuta in ostaggio dalla miseria e da imperi di cartapesta e fucili, da cui folle di uomini e donne cercano di andarsene. Però pochi mesi fa, quando potevamo guardare senza schermi le cause e la natura dei problemi che stanno alla radice di questo esodo no, non ce li fecero vedere. Ci voltarono la testa da un’altra parte. Non facciamo di nuovo così. Non si parli, non ci si accapigli ancora una volta 'usando' le miserie dell’Africa per guardare altrove. Guardiamoli in faccia davvero questi uomini, e facciamo ogni sforzo per accoglierli. In ogni caso, poi, concentriamoci sull’Africa. Su ciò che serve, su ciò che le necessità per trattenere con sé i suoi figli migliori. È un dovere dei governi, e degli uomini di buona volontà.
Abbiamo l’esempio della passione e della libertà di giudizio del Papa. E quello di tanti cristiani impegnati ad aiutare l’Africa a rialzarsi.
1) 13/05/2009 9.53.37 – Radio Vaticana – Il Papa a Betlemme: il luogo della nascità di Gesù invita a testimoniare il trionfo dell'amore sull'odio. Solidarietà ai pellegrini di Gaza: sia tolto l'embargo
2) La preghiera deposta da Benedetto XVI nel Muro del Pianto
3) Omelia di Benedetto XVI nella valle di Giosafat di Gerusalemme
4) Indulgenze speciali durante l'Anno Sacerdotale
5) Legge 40: la sentenza della Corte viola principi di ragionevolezza e uguaglianza - Proteste del MpV e di Scienza & Vita
6) La visita ai due gran rabbini di Gerusalemme - Autentica e durevole riconciliazione fra cristiani ed ebrei - Benedetto XVI ha incontrato i due gran rabbini di Gerusalemme Yona Metzger, ashkenazita, e Shlomo Amar, sefardita. L'incontro si è svolto al centro Hechal Shlomo, martedì mattina 12 maggio. Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato dal Papa. – L’Osservatore Romano, 13 maggio 2009
7) Suicidio di un'adolescente - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 12 maggio 2009
8) TERRA SANTA/ La sfida del Papa - Claudio Morpurgo - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
9) TERRA SANTA/ La “ragione” del Papa, metodo di convivenza e di pace - INT. Luigi Geninazzi - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
10) DIARIO DA ISRAELE/ Lo sceicco al parroco: “grazie, perché ci hai fatto conoscere i cristiani” - Redazione - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
11) DIARIO DA L'AQUILA/ L'appello di un "padre": non cediamo al lamento, la ricostruzione parte da noi - Redazione - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
12) TERRA SANTA/ La scuola che educa cristiani e musulmani: il Papa ha scelto di partire da qui - Redazione - venerdì 8 maggio 2009 – ilsussidiario.net
13) PERSA UN’OCCASIONE DURANTE IL VIAGGIO DEL PAPA - Quando guarderemo negli occhi i problemi dell’Africa - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 13 maggio 2009
13/05/2009 9.53.37 – Radio Vaticana – Il Papa a Betlemme: il luogo della nascità di Gesù invita a testimoniare il trionfo dell'amore sull'odio. Solidarietà ai pellegrini di Gaza: sia tolto l'embargo
Il Papa è giunto oggi a Betlemme poco prima delle 8.00. Dopo la cerimonia di benvenuto con il presidente Abbas si è trasferito nella Piazza della Mangiatoia di Betlemme per celebrare la Santa Messa. Nella sua omelia Benedetto XVI ha espresso innanzitutto la sua vicinanza ai pellegrini provenienti “dalla martoriata Gaza a motivo della guerra”. “Vi chiedo – ha detto - di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto”. Poi ha parlato del significato di Betlemme: “Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta!”. Poi ha aggiunto: “Cristo ha portato un Regno che non è di questo mondo, eppure è un Regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà. Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!”. Ecco il testo integrale dell’omelia del Papa:
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
ringrazio Dio Onnipotente per avermi concesso la grazia di venire a Betlemme, non solo per venerare il posto dove Cristo è nato, ma anche per essere al vostro fianco, fratelli e sorelle nella fede, in questi Territori Palestinesi. Sono grato al Patriarca Fouad Twal per i sentimenti che ha espresso a nome vostro, e saluto con affetto i confratelli Vescovi e tutti i sacerdoti, religiosi e fedeli laici che faticano ogni giorno per confermare questa Chiesa locale nella fede, nella speranza, nell’amore. Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra: vi chiedo di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto.
“Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,10-11). Il messaggio della venuta di Cristo, recato dal cielo mediante la voce degli angeli, continua ad echeggiare in questa città, come echeggia nelle famiglie, nelle case e nelle comunità del mondo intero. È una “grande gioia”, hanno detto gli angeli, “che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10). Questo messaggio di gioia proclama che il Messia, Figlio di Dio e figlio di Davide, è nato “per voi”: per te e per me, e per tutti gli uomini e donne di ogni tempo e luogo. Nel piano di Dio, Betlemme, “così piccola per essere fra i villaggi di Giudea” (Mic 5,1) è divenuta un luogo di gloria immortale: il posto dove, nella pienezza dei tempi, Dio ha scelto di divenire uomo, per concludere il lungo regno del peccato e della morte e per portare vita nuova ed abbondante ad un mondo che era divenuto vecchio, affaticato, oppresso dalla disperazione.
Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta! Quanto distante appare quel Regno di ampio dominio e di pace, sicurezza, giustizia ed integrità, che il profeta Isaia aveva annunciato, secondo quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr Is 9,7) e che proclamiamo come fondato in maniera definitiva con la venuta di Gesù Cristo, Messia e Re!
Dal giorno della sua nascita, Gesù è stato “segno di contraddizione” (Lc 2,34) e continua ad essere tale anche oggi. Il Signore degli eserciti, “le cui origini è dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mic 5,2), volle inaugurare il suo Regno nascendo in questa piccola città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e giacendo, come bimbo bisognoso di tutto, in una mangiatoia. Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo. Qui infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è mostrato fedele alle sue promesse. Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un Regno d’amore: un amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella gloriosa risurrezione a nuova vita. Cristo ha portato un Regno che non è di questo mondo, eppure è un Regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà. Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!
“Nella speranza siamo stati salvati” dice l’apostolo Paolo (Rm 8,24). E tuttavia afferma con grande realismo che la creazione continua a gemere nel travaglio, anche se noi, che abbiamo ricevuto le primizie dello Spirito, attendiamo pazientemente il compimento della redenzione (cfr Rm 8,22-24). Nella seconda lettura odierna, Paolo trae dall’Incarnazione una lezione che può essere applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in Betlemme, state sperimentando: “È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà”, nell’attesa della venuta della nostra beata speranza, il Salvatore Cristo Gesù (Tt 2,11-13).
Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili. La cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune. E poi la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza: perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo per dimorare sulla terra.
“Non abbiate paura!”. Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo. Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire. Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.
Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!
L’antica basilica della Natività, provata dai venti della storia e dal peso dei secoli, si erge di fronte a noi quale testimone della fede che permane e trionfa sul mondo (cfr 1 Gv 5,4). Nessun visitatore di Betlemme potrebbe fare a meno di notare che nel corso dei secoli la grande porta che introduce nella casa di Dio è divenuta sempre più piccola. Preghiamo oggi affinché, con la grazia di Dio e il nostro impegno, la porta che introduce nel mistero della dimora di Dio tra gli uomini, il tempio della nostra comunione nel suo amore, e l’anticipo di un mondo di perenne pace e gioia, si apra sempre più ampiamente per accogliere ogni cuore umano e rinnovarlo e trasformarlo. In questo modo, Betlemme continuerà a farsi eco del messaggio affidato ai pastori, a noi, all’umanità: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”! Amen.
Omelia di Benedetto XVI nella valle di Giosafat di Gerusalemme
GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo pomeriggio la Santa Messa nella valle di Giosafat di Gerusalemme, che si trova di fronte alla Basilica del Gethsemani e all’Orto degli Ulivi.
* * *
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,
"Cristo è risorto, alleluia!". Con queste parole vi saluto con grande affetto. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal per le sue parole di benvenuto a vostro nome, e prima di tutto esprimo anche la mia gioia di essere qui a celebrare questa Eucarestia con voi, Chiesa in Gerusalemme. Ci siamo raccolti qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere "la via della pace" (cfr Lc 19,42), qui donde egli tornò al Padre, dando la sua ultima benedizione terrena ai suoi discepoli e a noi. Accogliamo oggi questa benedizione. Egli la dona in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle, che siete collegati in una ininterrotta linea con quei primi discepoli che incontrarono il Signore Risorto nello spezzare il pane, che sperimentarono l’effusione dello Spirito Santo nella "stanza al piano superiore", che furono convertiti dalla predicazione di San Pietro e degli altri apostoli. I miei saluti vanno anche a tutti i presenti, e in modo speciale a quei fedeli della Terra Santa che per varie ragioni non hanno potuto essere oggi con noi.
Come successore di san Pietro, ho ripercorso i suoi passi per proclamare il Signore Risorto in mezzo a voi, per confermarvi nella fede dei vostri padri ed invocare su di voi la consolazione che è il dono del Paraclito. Trovandomi qui davanti a voi oggi, desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre. Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa.
Nella seconda lettura di oggi, l’Apostolo Paolo chiede ai Colossesi di "cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio" (Col 3,1). Queste parole risuonano con particolare forza qui, sotto il Giardino del Getsemani, dove Gesù ha accettato il calice della sofferenza in completa obbedienza alla volontà del Padre e dove, secondo la tradizione, è asceso alla destra del Padre per intercedere continuamente per noi, membra del suo Corpo. San Paolo, il grande araldo della speranza cristiana, ha conosciuto il prezzo di questa speranza, il suo costo in sofferenza e persecuzione per amore del Vangelo, e mai vacillò nella sua convinzione che la risurrezione di Cristo era l’inizio della nuova creazione. Come egli dice a noi: "Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria" (Col 3,4)!
L’esortazione di Paolo di "cercare le cose di lassù" deve continuamente risuonare nei nostri cuori. Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr Is 25,6-8; Ap 21,2-4).
Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese. Per questa ragione, la comunità cristiana in questa Città che ha visto la risurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito deve fare tutto il possibile per conservare la speranza donata dal Vangelo, tenendo in gran conto il pegno della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, testimoniando la forza del perdono e manifestando la natura più profonda della Chiesa quale segno e sacramento di una umanità riconciliata, rinnovata e resa una in Cristo, il nuovo Adamo.
Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, Musulmani e Cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una "città della pace" per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, "una voce che parla di pace" ( cf. Sl 85,8)!
Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana. Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.
Vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa Città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città. Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.
Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, San Pietro e San Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, "vide e credette" (Gv 20,8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di "toccare" le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio. La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a "vedere e credere" nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad "ascoltare" con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a "toccare" le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.
Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo. Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni "pietra pesante" posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo. Cristo è risorto, alleluia! Egli è davvero risorto, alleluia!
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
La preghiera deposta da Benedetto XVI nel Muro del Pianto
GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo il testo della preghiera scritta sul biglietto che Benedetto XVI ha deposto questo martedì tra le fenditure del Muro del Pianto, a Gerusalemme.
* * *
Dio di tutti i tempi,
nella mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”,
casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani
porto di fronte a te le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le prove, le sofferenze e i disagi di tutti i tuoi popoli dovunque nel mondo.
Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati;
manda la pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente,
su tutta la famiglia umana;
smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome,
affinché camminino umilmente nel sentiero di giustizia e compassione.
“Il Signore è buono con coloro che lo attendono,
con gli animi che lo cercano” (Lamentazioni 3:25).
Indulgenze speciali durante l'Anno Sacerdotale
Un decreto della Penitenzieria Apostolica ne spiega le condizioni
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- I sacerdoti e i fedeli che compiranno determinati esercizi di pietà durante l'Anno Sacerdotale riceveranno l'indulgenza plenaria.
Lo rende noto un decreto reso pubblico questo martedì dalla Sala Stampa della Santa Sede, firmato dal Cardinale James Francis Stafford e dal Vescovo Gianfranco Girotti, O.F.M., rispettivamente penitenziere maggiore e reggente della Penitenzieria Apostolica.
La Chiesa celebrerà l'Anno Sacerdotale dal 19 giugno 2009 allo stesso giorno dell'anno successivo in occasione del 150° anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney, il Curato di Ars.
L'Anno Sacerdotale inizierà il 19 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù, con la celebrazione, presieduta dal Papa, dei Vespri davanti alle reliquie del Santo, portate a Roma dal Vescovo di Belley-Ars.
Benedetto XVI concluderà il "sacro periodo" un anno dopo in Piazza San Pietro insieme a sacerdoti di tutto il mondo, che "rinnoveranno la fedeltà a Cristo e il vincolo di fraternità", osserva il testo.
Il decreto spiega dettagliatamente le modalità per ottenere le indulgenze.
In primo luogo, potranno ottenere l'indulgenza plenaria i sacerdoti "veramente pentiti, che in qualsiasi giorno devotamente reciteranno almeno le Lodi mattutine o i Vespri davanti al SS.mo Sacramento, esposto alla pubblica adorazione o riposto nel tabernacolo, e, sull'esempio di San Giovanni Maria Vianney, si offriranno con animo pronto e generoso alla celebrazione dei sacramenti, soprattutto della Confessione".
Il testo segnala che i sacerdoti potranno beneficiare dell'indulgenza plenaria, applicabile ai sacerdoti defunti come suffragio, se, in conformità alle disposizioni vigenti, si confesseranno e comunicheranno e pregheranno per le intenzioni del Papa.
Riceveranno l'indulgenza parziale, anch'essa applicabile ai defunti, "ogni qual volta reciteranno devotamente preghiere debitamente approvate per condurre una vita santa e per adempiere santamente agli uffici a loro affidati".
Potranno beneficiare dell'indulgenza plenaria anche i fedeli che, "veramente pentiti", assisteranno alla Messa e offriranno per i sacerdoti della Chiesa preghiere a Cristo e qualsiasi opera buona.
Saranno necessari il sacramento della confessione e la preghiera per le intenzioni del Papa "nei giorni in cui si apre e si chiude l'Anno Sacerdotale, nel giorno del 150° anniversario del pio transito di San Giovanni Maria Vianney, nel primo giovedì del mese o in qualche altro giorno stabilito dagli Ordinari dei luoghi per l'utilità dei fedeli".
Gli anziani, i malati e tutti coloro che per motivi legittimi non possano uscire di casa potranno ottenere l'indulgenza plenaria se, "con l'animo distaccato da qualsiasi peccato e con l'intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni", "nei giorni sopra determinati, reciteranno preghiere per la santificazione dei sacerdoti, e offriranno con fiducia a Dio per mezzo di Maria, Regina degli Apostoli, le malattie e i disagi della loro vita".
Il decreto indica che si concederà l'indulgenza parziale a tutti i fedeli che reciteranno cinque Padre Nostro, Ave Maria e Gloria o altra preghiera appositamente approvata "in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù, per ottenere che i sacerdoti si conservino in purezza e santità di vita".
Il testo dichiara che il Santo Curato di Ars fu un "luminoso modello di pastore, pienamente dedito al servizio del popolo di Dio".
Sottolinea anche che le indulgenze possono aiutare i sacerdoti, insieme alla preghiera e alle opere buone, a ottenere "la grazia di risplendere con la Fede, la Speranza, la Carità e le altre virtù" e di mostrare "con la condotta di vita, ma anche con l'aspetto esteriore, di essere pienamente dediti al bene spirituale del popolo".
Legge 40: la sentenza della Corte viola principi di ragionevolezza e uguaglianza - Proteste del MpV e di Scienza & Vita
ROMA, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- "Visto che la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40 viola principi di ragionevolezza e uguaglianza, ci muoveremo di conseguenza. Chiederemo ai parlamentari a noi vicini di riproporre la proposta di legge che modifica il Codice Civile stabilendo che la capacità giuridica si acquista dal concepimento, e non dalla nascita come è ora".
Lo hanno annunciato Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, e Maria Luisa Di Pietro, presidente di Scienza&Vita, in una conferenza stampa che si è tenuta questo martedì mattina al Senato.
"C'è un pesante silenzio nella sentenza sull'embrione e il diritto alla vita - spiega Casini -. La Consulta deve applicare la legge, a partire dalla Costituzione, dove c'è già la tutela del diritto alla vita dal concepimento. Visto che i giudici non lo vogliono vedere, allora modifichiamo la legge italiana dal Codice Civile".
Dello stesso parere anche Maria Luisa Di Pietro, secondo la quale le "argomentazioni usate dalla Corte Costituzionale non hanno senso, visto che le complicanze da iperstimolazione ovarica in Italia sono la metà rispetto all'Europa, e questo grazie alla legge".
Senza contare che a fronte di maggiori prelievi di ovociti "non è corrisposto un aumento delle stimolazioni, forse perché sono i medici a incitare le donne ad andare all'estero, diffondendo l'idea che la procreazione medicalmente assistita in Italia è più difficile", ha aggiunto Casini.
Sul fronte parlamentare, la senatrice Laura Bianconi ha assicurato tutto il suo appoggio nel presentare questa proposta di legge: "Ripartiremo dal vecchio testo del MpV per modificarlo alla luce della sentenza - precisa -. Raccoglieremo firme in modo trasversale, e chiederemo al presidente della commissione Sanità del Senato di porre la proposta all'ordine del giorno. Lo stesso sarà fatto per la Camera".
Secondo il presidente del MpV, "c'e' bisogno che la società civile spinga verso questo cambiamento culturale e per farlo cercheremo di coinvolgere tutte le associazioni che hanno a cuore la difesa della vita in un lavoro di informazione".
Nel frattempo, però, "in difesa della salute della donna e del concepito porteremo avanti obiettivi intermedi attraverso la vigilanza sull'applicazione corretta della legge 40, perché, ad esempio, non si producano più embrioni del necessario, come impone ancora la legge che ha cancellato il numero, ma non l'indicazione di produrre solo gli embrioni strettamente necessari", ha continuato Casini.
"Chiederemo inoltre che vengano emanate linee guida che possano correttamente interpretare la legge 40, che seppure 'ferita' mantiene il suo impianto fondamentale", ha concluso.
La visita ai due gran rabbini di Gerusalemme - Autentica e durevole riconciliazione fra cristiani ed ebrei - Benedetto XVI ha incontrato i due gran rabbini di Gerusalemme Yona Metzger, ashkenazita, e Shlomo Amar, sefardita. L'incontro si è svolto al centro Hechal Shlomo, martedì mattina 12 maggio. Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato dal Papa. – L’Osservatore Romano, 13 maggio 2009
Distinti Rabbini,
Cari Amici,
vi sono riconoscente per l'invito fattomi a visitare Hechal Shlomo e ad incontrarmi con voi durante questo mio viaggio in Terra Santa come Vescovo di Roma. Ringrazio Sephardi Rabbi Shlomo Amar e Ashknazi Rabbi Yona Metzger per le loro calorose parole di benvenuto e per il desiderio da loro espresso di continuare a fortificare i vincoli di amicizia che la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato si sono impegnati così diligentemente a far avanzare nell'ultimo decennio. Le vostre visite in Vaticano nel 2003 e 2005 sono un segno della buona volontà che caratterizza le nostre relazioni in crescita. Distinti Rabbini, contraccambio tale atteggiamento esprimendo a mia volta i miei personali sentimenti di rispetto e di stima per voi e per le vostre comunità. Vi assicuro del mio desidero di approfondire la vicendevole comprensione e la cooperazione fra la Santa Sede, il Gran Rabbinato di Israele e il popolo Ebraico in tutto il mondo. Un grande motivo di soddisfazione per me fin dall'inizio del mio pontificato è stato il frutto prodotto dal dialogo in corso tra la Delegazione della Commissione della Santa Sede per le Relazioni Religiose con gli Ebrei e il Gran Rabbinato della Delegazione di Israele per le Relazioni con la Chiesa Cattolica. Desidero ringraziare i membri di entrambe le Delegazioni per la loro dedizione e il faticoso lavoro nel perfezionare questa iniziativa, così sinceramente desiderata dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo ii, come egli volle affermare nel Grande Giubileo del 2000. Il nostro odierno incontro è un'occasione molto appropriata per rendere grazie all'Onnipotente per le tante benedizioni che hanno accompagnato il dialogo condotto dalla Commissione Bilaterale, e per guardare con speranza alle sue future sessioni. La buona volontà dei delegati nel discutere apertamente e pazientemente non solo i punti di intesa, ma anche i punti di disaccordo, ha anche spianato la strada per una più efficace collaborazione nella vita pubblica. Ebrei e Cristiani sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana. Questi temi di dialogo rappresentano solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione. Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell'avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali. Possa il dialogo che è stato avviato continuare a generare idee su come sia possibile a Cristiani ed Ebrei lavorare insieme per accrescere l'apprezzamento della società per i contributi caratteristici delle nostre tradizioni religiose ed etiche. Qui in Israele i Cristiani, dal momento che costituiscono solamente una piccola parte della popolazione totale, apprezzano in modo particolare le opportunità di dialogo con i loro vicini ebrei. La fiducia è innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo. Oggi ho l'opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei. Come la Dichiarazione Nostra Aetate ha chiarito, la Chiesa continua a valorizzare il patrimonio spirituale comune a Cristiani ed Ebrei e desidera una sempre più profonda mutua comprensione e stima tanto mediante gli studi biblici e teologici quanto mediante i dialoghi fraterni. I sette incontri della Commissione Bilaterale che già hanno avuto luogo tra la Santa Sede e il Gran Rabbinato possano costituirne una prova! Vi sono così molto grato per la vostra condivisa assicurazione che l'amicizia fra la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato continuerà in futuro a svilupparsi nel rispetto e nella comprensione. Amici miei, esprimo ancora una volta il mio profondo apprezzamento per il benvenuto che mi avete rivolto oggi. Confido che la nostra amicizia continui a porsi come esempio di fiducia nel dialogo per gli Ebrei e i Cristiani di tutto il mondo. Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità - insieme con tutte le persone di buona volontà - nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo. Prego Iddio, che scruta i nostri cuori e conosce i nostri pensieri (Sl 139, 23), perché continui ad illuminarci con la sua sapienza, così che possiamo seguire i suoi comandamenti di amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze (cfr. Dt 6, 5) e di amare il nostro prossimo come noi stessi (Lev 19, 18). Grazie!
(©L'Osservatore Romano - 13 maggio 2009)
Suicidio di un'adolescente - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 12 maggio 2009
Sono stata adolescente quando Guccini cantava "l’avvelenata", quando si girava con il cappotto sbottonato in pieno inverno per mostrare a tutti la cintura di Gucci, quando i blues jeans erano un simbolo irrinunciabile, ma io non ne ho mai posseduti un paio, mia madre era contraria per principio, avrei fatto carte false per avere un paio di Wrangler ma lei niente, solo imitazioni acquistate al mercato, quando tutti avevano il motorino, io non avevo nemmeno il permesso di usare il vecchio Garelli di mio padre, quando mi diplomai ai miei amici regalarono l’iscrizione alla scuola guida e a me una bicicletta, non potevo uscire la sera perché mia madre diceva che il mondo era popolato da gente poco affidabile, ho pianto, urlato, scritto lettere strazianti rimaste senza risposta, non rivivrei quegli anni nemmeno se me li regalassero insieme alla giovinezza, ma non ho mai pensato che la vita fosse brutta, certo, volevo cambiare, fuggire, volevo una famiglia differente dalla mia, ma la vita mi sembrava una grande opportunità e io mi sentivo un uccello in gabbia con le ali tarpate che non vedeva l’ora di poter volare.
Quelle fatiche, quei soprusi a volte inutili, mi hanno forgiata, si poteva farne a meno, ma tant’è, quella era la mia vita e un senso doveva pur esserci.
Diventando madre ho capito che alcuni errori si ripetono in buona fede, altri si evitano, non c’è nulla della vita da cui non si possa imparare ad essere migliori.
L’educazione di uomini e donne che solchino la strada del futuro è il compito più difficile e più arduo, spesso un compito che le famiglie svolgono in solitudine.
Ecco perché quando ho letto della studentessa quindicenne di Lecce, impiccatasi in casa mi si è spezzato il cuore, perché non c’è dolore più grande di un figlio che decide che non valga la pena di vivere, di un figlio che se ne va così, lasciandoti solo interrogativi e sensi di colpa che solcheranno i tuoi giorni per sempre, domande a cui non avrai mai risposta.
La studentessa di Lecce era brava a scuola, senza problemi particolari se non i soliti conflitti adolescenziali, il giorno in cui ha scelto d’impiccarsi si festeggiava la comunione di suo fratello e lei non aveva voluto partecipare alla cerimonia, né alla festa, voleva uscire con i suoi amici, per questo il padre le aveva tolto per punizione il cellulare, chi può dargli torto, chi può pensare che si trattasse di un sopruso invivibile, insuperabile, nessuno.
Lei ha passato il pomeriggio in casa a conversare al telefono fisso con le amiche, senza una parola su quanto tramava. Forse non voleva morire, voleva solo fingere un gesto estremo per attirare su di sé l’attenzione, forse voleva solo scherzare con la morte convinta di vincere ed invece è toccato al padre rientrato dalla festa alle 23 trovarla impiccata con un lenzuolo.
La sua bambina, la sua piccola donna che si credeva così grande da non dover condividere una giornata di festa con la sua famiglia, che si credeva così grande da poter bastare a se stessa, ha reso la vita di chi le voleva bene un sentiero irto e difficile, li aspettano giorni di dolore, di dubbi e spero davvero che non siano giorni di solitudine perché nessuno potrà togliere loro il dolore e la fatica, ma la compagnia potrà aiutarli a portare il peso di questo dolore e superare quei giorni che sembreranno più bui degli altri guardando al futuro, all'altro figlio da crescere, guardando alla vita e alle cose buone che offre, e scoprendo che nulla accade senza un senso, nemmeno il più grande dei dolori.
TERRA SANTA/ La sfida del Papa - Claudio Morpurgo - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Impossibile non esserne consapevoli. Il viaggio di Benedetto XVI rappresenta un passaggio storico nei rapporti tra le religioni monoteistiche.
Anche se potranno rimanere, tra ebrei, cristiani e mussulmani, punti di frizione su particolari tematiche, il Pontefice ha lanciato al mondo, da Gerusalemme, un messaggio di forza formidabile che va interpretato con onestà e positività, cercando di valorizzare più ciò che unisce, rispetto a ciò che ben potrà continuare a dividere.
L’impressione è quella che Benedetto XVI non abbia voluto nascondersi, non abbia voluto fare sconti a nessuno. Non è più il momento di farlo, probabilmente, in un mondo malato, dove relativismo morale e strumentalizzazione criminale del nome di Dio rappresentano mali di dirompente gravità.
Quando l’umanità soffre, quando la religiosità ed il diritto di appartenere sono minacciati, quando la libertà dell’individuo di essere se stesso rimane troppo spesso un miraggio irrealizzabile nel tessuto sociale, non è più ammissibile nessuna ritrosia.
Certo, nel dialogo interreligioso potrà permanere qualcosa che divide, che lascia perplessi, soprattutto, se si vorrà privilegiare una valutazione delle parole del Papa di natura teologica o strettamente confessionale.
La questione posta da Benedetto XVI è, però, un’altra e di più elevato spessore concreto, perché nasce da un’affermazione di metodo di straordinaria importanza che permette di superare e di mettere da parte, nella quotidianità delle nostre vite individuali e collettive, possibili incomprensioni.
Non è sufficiente, secondo il Pontefice, un dialogo interreligioso teorico, limitato alla sfera teologica. La condivisione, invece, l’unità di intenti, la partecipazione ad una sfida comune, potrà esserci nell’azione, nel fattivo impegno religioso nella società.
Coloro che confessano il nome di Dio “hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrensicamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana”.
Le fedi monoteistiche, secondo il Pontefice, di fronte al dramma del relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana, devono assumere un ruolo da protagonista, abbandonando ogni tendenza alla autoghettizzazione e al conflitto. Dalla spianata delle Moschee, dal Muro del Pianto, Benedetto XVI ha sottolineato quanto sia importante superare le divisioni del passato, realizzando forme di dialogo operativo in grado di costruire un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno.
Alla base del dialogo interreligioso dovrà esserci rispetto, accettazione delle diversità di impostazioni e sensibilità. E, soprattutto, dovrà esserci il comune impegno per tutelare la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società giusta.
Ecco, è questo il messaggio che Benedetto XVI ha voluto lanciare all’umanità e che trova “naturalmente” in piena sintonia le fedi abramitiche.
Un messaggio che, prima di tutto, impegna gli uomini di fede. Senza timidezze, senza nascondimenti, bisogna essere consapevoli che la religiosità deve sempre più diventare soggetto protagonista di civiltà. Ogni uomo di fede è responsabile davanti a Dio, è consapevole di essere oggetto dell’attenzione di Dio, di essere prezioso ai suoi occhi.
Questo vale sotto ogni profilo, allorché si verifichino tragedie, quando sia necessario prevenirle, nei casi in cui l’umanità richieda prese di posizione forti rispetto a temi essenziali per tutti.
E’ finita l’epoca in cui le identità forti, le appartenenze religiose potevano permettersi di vivere rinchiuse nel loro recinto. Il laicismo che permea, subdolamente e con sempre maggiore forza devastatrice, la nostra struttura sociale e culturale chiama gli uomini di fede ad un impegno comune.
La base di questo lavoro condiviso è l’affermazione costitutiva della centralità della persona.
Il singolo non è riducibile a soli valori collettivi, egli stesso rappresenta un valore assoluto: la specificità dell'anima umana, la singolarità dei suoi attributi costituisce insieme il rischio e il valore dell'individuo. Come tale l'uomo è posto di fronte all'Eterno, non come modello impersonale. Dio vuole dall’uomo l'attuazione della sua singolare irripetibilità, non l'adeguamento acquiescènte a uno schema collettivo.
La missione di ogni uomo di fede è, quindi, quella di portare nel mondo la concezione della sacralità della singola ed irripetibile vita umana. Ogni uomo è un valore in sé. E l’educazione, cioè la libera possibilità di formarsi nel rispetto dei propri valori e delle proprie scelte culturali (e religiose), costituisce la grammatica fondante di una società inclusiva, giusta e pacifica.
TERRA SANTA/ La “ragione” del Papa, metodo di convivenza e di pace - INT. Luigi Geninazzi - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
È stata la preghiera di Benedetto XVI al Muro del Pianto: «pace per la Terrasanta e per l'umanità». E rivolto ai cristiani, nell’omelia durante la Messa nella valle di Giosafat: «Spero che la mia presenza qui - ha detto il Papa - sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre». Le parole di Papa Ratzinger nel corso del suo pellegrinaggio, però, suscitano anche critiche, come quelle piovute dalla stampa ebraica per quello che il Papa non avrebbe detto allo Yad Vashem. «Ma Benedetto XVI - spiega Luigi Geninazzi, editorialista di Avvenire - non dimentica la sofferenza del mondo; cerca di guardare più in là, con gli occhi della fede. Proprio per questo i suoi interlocutori fanno fatica a stargli dietro».
Geninazzi, ieri il Papa è stato al Memoriale di Yad Vashem. Ha fatto un discorso accorato, nel quale ha reso omaggio alle vittime dell’Olocausto: «è il grido di Abele - ha detto - che sale dalla terra verso l’Onnipotente». Ma a giudicare dalle reazioni che ci sono state in Israele, non ha del tutto superato “la prova” della Shoah…
Benedetto XVI ha fatto un discorso di grande profondità. Quello di Yad Vashem è stato quasi una lirica poetica. Diverso è il modo il cui quel discorso è stato recepito. Sui giornali israeliani ieri mattina c’è stata una bordata di critiche: perché il Papa ha detto “killed” e non “murdered”, uccisi e non assassinati, perché non ha citato i nazisti come responsabili della Shoah… c’è come la sensazione che non se ne dica mai abbastanza. Anche da parte islamica: sempre ieri, durante la visita sulla Spianata delle Moschee, il Gran Muftì ha chiesto una condanna dell’aggressione israeliana contro il popolo palestinese. Ma il Papa non dimentica queste sofferenze; cerca di guardare più in là. Il suo è uno sguardo di fede, non fa politica.
È stato così anche in Giordania, nel dialogo con il mondo musulmano?
Sì. Anche i temi a sfondo politico oltre che religioso li ha toccati, mi pare, con grande delicatezza e sensibilità. Ha parlato di legame inscindibile tra ebraismo e cristianesimo; ha sottolineato come la violenza sia estranea allo spirito religioso; sul piano politico ha parlato di pace giusta coi palestinesi. Nell’incontro col presidente Shimon Peres ha accennato ai problemi del muro di separazione, dicendo che queste barriere non possono creare la pace. Ha parlato della sicurezza, un concetto molto importante nello stato di Israele, ma rifacendosi al termine biblico betah ha detto che la sicurezza non è soltanto l’assenza di minacce militari, ma uno spirito di confidenza reciproca.
Il Medio oriente, come ha sottolineato Benedetto XVI a Betania domenica scorsa, è profondamente «segnato da questioni irrisolte». Cosa possono fare i cristiani?
Ne ha parlato ieri agli Ordinari cattolici nel Cenacolo di Gerusalemme. Il Papa li ha incoraggiati, «siete un ponte di pace», ha detto, richiamando l’importanza di quello che fanno nelle scuole, dove vanno anche i musulmani: voi insegnate la carità, i diritti della giustizia. I cristiani hanno un grande ruolo, che soffre della loro presenza sempre più ridotta. Sia dal punto di vista numerico che sociale e politico: e questo vale sia per i cristiani arabi israeliani della Galilea, sia per i cristiani palestinesi dentro i territori. Questi ultimi saranno ormai meno di 40 mila e qui la situazione è davvero tragica, perché i giovani se ne vanno.
Oggi Benedetto XVI vedrà il presidente dell’Anp. Che cosa potrà portare questa visita al processo di pace?
Non solo vedrà il presidente, ma andrà nei territori palestinesi. Vedrà le comunità cristiane di Cisgiordania, si incontrerà con i cristiani di Gaza, andrà nel campo profughi, dirà la Messa al mattino davanti alla basilica della Natività; sarà una giornata importante. Anche in questo caso i cristiani hanno grandi attese ma si tratterà di vedere come capiranno il discorso del Papa. Certamente Benedetto XVI non potrà fare una tirata contro l’occupazione israeliana. A lui interessa ribadire il criterio della fede, proporre un atteggiamento di fronte al male della vita. Vedremo se anche in quel caso dominerà l’atteggiamento già visto del “non è mai abbastanza”.
Israele come accoglierà la visita?
Basti ricordare che il centro stampa di Israele oggi chiude i battenti: non farà vedere un’immagine. Il programma dato ai giornalisti dalle autorità israeliane è dettagliatissimo, a cominciare dall’arrivo fino a giovedì a Nazareth. Oggi invece si dice semplicemente che il papa sarà a Betlemme, null’altro.
Qual è, a suo avviso, il senso del ripetuto richiamo al valore della ragione fatto dal Papa?
In senso ampio è un leitmotiv fondamentale del pensiero di Ratzinger, ma in questo contesto il tema della ragione, che potrebbe sembrare apparentemente lontano dalla mentalità islamica ma anche da quella ebraica, getta le basi del dialogo, perché la convivenza pacifica nasce proprio dall’unità tra la fede e la ragione. Parlare ai musulmani della ragione nei termini che ha usato nella moschea di Amman non è ripetere uno slogan, ma difendere un criterio: la ragione porta a dar valore ai comportamenti concreti, come la tutela della vita umana e quindi la condanna della violenza. È un grande esempio del coraggio di questo Papa, che non si adatta alle situazioni cercando magari di “accontentare” l’interlocutore. Proprio per questo i suoi interlocutori fanno fatica a stargli dietro.
DIARIO DA ISRAELE/ Lo sceicco al parroco: “grazie, perché ci hai fatto conoscere i cristiani” - Redazione - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Caro Francesco, l’influenza e la tosse non ti hanno fanno godere, ieri, il giorno di festa dalla scuola. Il Papa, che ha provocato con la sua presenza la chiusura della scuola e di molte strade della nostra città, era ieri mattina di fronte alla nostra casa. È andato alla Spianata della Moschee ed ha visitato la Cupola della roccia, che vediamo molta bene attraverso le nostre finestre. Poi è sceso giù e si è fermato a pregare davanti al Muro del pianto, quello dove gli ebrei mettono i foglietti. Anche il Papa ha messo il suo foglietto. Forse sei curioso di sapere cosa ha scritto? Lo ha scritto di suo pugno. “Dio di tutti i tempi - c’è scritto - nella mia visita a Gerusalemme, la città della pace, casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani, porto di fronte a te le gioie, le speranze e le aspirazioni, le prove, le sofferenze e i disagi di tutti i tuoi popoli dovunque nel mondo. Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati”.
Mentre il Papa infilava questo biglietto con questo parole io sono andato a trovare una persona che tu non conoscevi, ma che sai bene dove vive. O meglio dove viveva, fino a pochi giorni fa, cioè a Gaza. Sì, proprio a Gaza, quella regione dove c’è stata la guerra poco fa e dove sono morti tanti bambini e dove ci sono state tante distruzioni, e dove adesso ci sono tante persone senza casa. Tu lo sai, perché hai visto la televisione ed anche le foto sul cartellone che i più grandi della tua scuola hanno fatto. E Gaza è anche il posto dove è andato tuo papà e lo so che hai paura perché pensi che la guerra possa colpire anche il tuo papà.
Sai chi ho incontrato: il vecchio parroco della chiesa cattolica di Gaza, padre Manuel Musallam. Dopo 14 anni è tornato a vivere nel villaggio dove è nato, vicino a Ramallah. Sai cosa mi ha detto? Che bisogna stare vicino a chi soffre, musulmano o cristiano che sia, come a Gaza. Che la Chiesa è il volto di Cristo, e lui guarda ai poveri e ai sofferenti. Abuna Musallam si è battuto perché il Papa andasse anche a Gaza, ma non ci è riuscito. E questo lo ha rattristato. Poi ha sorriso, quando ha ricordato il giorno della sua partenza da Gaza. «Lo sceicco musulmano di Gaza - mi ha raccontato - aveva le lacrime agli occhi. Allora Abuna gli ha chiesto: sceicco perché piangi? In fondo io torno alla mia famiglia. E lui ha risposto: piango perché tu ci hai fatto conoscere i cristiani attraverso la tua persona». È proprio un bel complimento per un cristiano, tanto più detto da un musulmano.
(Filippo Landi)
DIARIO DA L'AQUILA/ L'appello di un "padre": non cediamo al lamento, la ricostruzione parte da noi - Redazione - mercoledì 13 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Vescovo ma anche professore. Guida di una comunità che sente il bisogno, come un padre, di educare. Il richiamo di monsignor Giuseppe Molinari è arrivato diretto al presidente della provincia, Stefania Pezzopane, già sua alunna ai tempi della scuola. Una lettera che è stata indirizzata a un esponente politico ma che leggendola diventa richiamo educativo a chiunque sta vivendo questi giorni post terremoto.
«Conosciamo tutti i disagi di chi vive in questo momento in una tenda. E ci auguriamo tutti che si possano trovare soluzioni migliori e rapide per mettere fine a queste difficoltà. Ma il tuo grido di protesta sembra dimenticare che siamo tutti interessati a risolvere subito il problema. La tua sembra essere un’accusa indiscriminata contro lo Stato, contro la Protezione Civile e contro tutti coloro che si stanno prodigando generosamente nei confronti della nostra popolazione e si stanno impegnando nella ricerca delle soluzioni concrete possibili».
Non solo i politici. In questi giorni, girando per le tendopoli si sentono sempre più persone prendersela con tutto e tutti per la situazione sempre più pesante, sempre più precaria, sempre più difficile. La figura del padre che richiama per indicare la strada da percorrere.
«E’ facile, purtroppo, in questi momenti, cedere alla tentazione di speculare sulla tragedia che ci ha colpiti. Non è giusto far leva sui disagi e la stanchezza della gente che vive nelle tendopoli anche se è certamente doveroso rimanere all’erta affinché l'opera di ricostruzione avvenga nella trasparenza e velocemente».
La gente reclama, tanti vorrebbero che tutto fosse già parte del passato. Solo l’opera dell’uomo, il suo impegno quotidiano può invece dare un domani a ciascuno di noi, in famiglia, nel lavoro. Le difficoltà sono tante. Io ho a disposizione un prefabbricato per riprendere il mio lavoro in un luogo certo. Ma la burocrazia oggi non mi sa ancora indicare un luogo dove farlo sistemare, dove poter allacciare luce ed acqua. Così rimango precario in mezzo alla strada. E allora faccio mie le parole che l’arcivescovo ha detto al Papa quanto è venuto a L’Aquila.
«L’ho detto anche dinanzi al Papa e lo ripeto: oggi la nostra città ha bisogno di uomini e donne che cerchino con lealtà soluzioni concrete e condivise per il bene del nostro popolo. L’unità è la nostra forza, la divisione e la rissa sono la nostra più grande debolezza».
Unità nella condivisione per il bene di un popolo. Per il futuro dell’Aquila e degli aquilani.
(Fabio Capolla - Giornalista de Il Tempo)
TERRA SANTA/ La scuola che educa cristiani e musulmani: il Papa ha scelto di partire da qui - Redazione - venerdì 8 maggio 2009 – ilsussidiario.net
Sarà la prima visita del Santo Padre nel suo lungo e intenso viaggio in Terra Santa. Appena arrivato nella capitale giordana di Amman, Benedetto XVI si recherà oggi stesso presso il centro “Nostra Signora della Pace”: un luogo che accoglie persone disabili, sostenuto dall’organizzazione non governativa Avsi attraverso la formazione degli educatori e del personale che vi lavora.
Perché mai questa visita? Che cos’ha di importante un centro come questo da meritare questa attenzione da parte del Papa? Lo spiega a ilsussidiario.net Simon Suweis, giordano di origine e ora rappresentante di Avsi in Giordania: «Il centro “Nostra Regina della Pace” è una realtà non solo di accoglienza per i disabili, ma è un vero e proprio luogo di pace e di carità, creato dai cristiani e aperto a tantissimi musulmani».
All’origine di questa e di altre opere di accoglienza c’è la forte volontà di Sua Eccellenza Mons. Saleem El Sayegh, vescovo di Giordania. Come spiega ancora Simon, «Sua Eccellenza ha voluto con tutto il cuore che nascessero queste opere di carità. E soprattutto ha voluto che qui si esercitasse l’accoglienza attraverso l’opera educativa».
Perché è così importante l’aspetto educativo, e che valore aggiunto dà a realtà come questa in cui si sperimenta la convivenza tra cristiani e musulmani? «L’educazione – ci dice Simon – è l’aspetto fondamentale perché nasca e cresca una vera convivenza. In centri di accoglienza, di formazione, in scuole come queste dove i bambini, cristiani e musulmani, crescono insieme e condividono fin da piccoli lo stesso banco, il tipo di rapporto che nasce e matura fra di loro è molto intenso e libero. Non c’è più il problema di dire “non ti conosco”; e così il pregiudizio viene tagliato alla radice».
«Quindi – continua Simon – è molto bello e importante il fatto che il Papa incominci da qui: da un’opera di carità fatta da cristiani, e i cui destinatari sono per lo più musulmani di famiglie povere. Inoltre il centro non è solo adibito all’accoglienza dei disabili, ma è anche un luogo dove si svolgono ritiri spirituali, e dove i giovani si ritrovano. Insomma: è una grande famiglia, e questa famiglia darà con gioia il suo benvenuto al Papa».
Per chi vive in prima persona l’esperienza dell’educazione e della carità che si respira in un centro come questo, deve essere dunque una grandissima gioia poter accogliere l’arrivo del Papa. Ma il resto della società, i giordani come si apprestano a questo evento? «C’è molto interesse per questo arrivo – racconta Simon –. Da una parte la Chiesa sta lavorando moltissimo e sta organizzando in modo molto accurato l’evento. Dall’altra i mezzi di comunicazione parlano molto di questo viaggio, e spesso anche in modo positivo. E questo crea grande sensibilizzazione e grande attesa. Un’altra cosa molto interessante è poi il fatto che si preparano ad arrivare molte persone anche da altri paesi arabi, tutti con l’intento di venire qui a salutare il Papa: arriverà gente dal Libano, gente dall’Egitto, e da altri Paesi ancora. Insomma: si vede chiaramente che c’è molta attesa per l’arrivo di un grande uomo».
Un arrivo che è anche una grande speranza, per tutti coloro che lavorano quotidianamente per una pace e una convivenza che può sembrare solo un lontano miraggio. Con quale sguardo e con quale speranza attendere questo evento? «Per me personalmente – risponde Simon – si tratta di un avvenimento grandissimo, che mi riempie di gioia e di attesa. In particolare è bello il fatto che questo viaggio chiarirà molte cose che si sono dette su questo Papa, soprattutto dopo il discorso di Ratisbona. Molte critiche in realtà si erano già rivelate del tutto false, come si è poi visto in occasione dell’incontro a Roma con la delegazione di intellettuali islamici. Ma ora tutto questo sarà ancora più evidente, e porterà ancora di più il dialogo e la pace». Una pace che ha poi un fondamento molto chiaro e preciso: «Questa – conclude Simon – è la terra del fiume Giordano, la terra da dove è iniziata la missione di Gesù. Anche questa è Terra Santa. Da qui dunque inizierà questa viaggio. Sarà una cosa grande, e sono certo che non deluderà».
PERSA UN’OCCASIONE DURANTE IL VIAGGIO DEL PAPA - Quando guarderemo negli occhi i problemi dell’Africa - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 13 maggio 2009
O ra diciamo: poveri africani. Diciamo così perché ce li finalmente fanno vedere, mentre li risospingiamo crudelmente dal buio da dove sono sbucati. Ora ce li mostrano, quasi li esibiscono, come oggetto del contendere. Ora ce li mostrano. Eppure, poche settimane fa, li hanno fatti oggetto di una grave censura. Tanto ora ci fanno vedere i nostri fratelli africani, interessanti oggetto di polemica politica, quanto allora non ce li hanno fatti vedere quando il Papa si è recato in quelle terre proprio per invitare l’Africa a rialzarsi. E tutti ad aiutarla. Quando Benedetto XVI andò a chiamare le cose con il loro nome.
Sfruttamento, abuso del potere, astuzie, diseducazione. Allora non ce li fecero vedere. I maggiori media mondiali (e italiani) montarono una campagna idiota su una frase di buon senso del Papa, e non ci fecero vedere l’Africa. Si misero di traverso, si misero a sbraitare, non ci fecero vedere i volti di coloro a cui il Papa si rivolgeva. Non ci fecero vedere i problemi dell’Africa da cui queste persone scappano. Vollero che tutto si fermasse ai luoghi comuni, al polemismo sterile. Quando si poteva parlare dei problemi reali, delle condizioni indispensabili per fermare la fuga delle leve più giovani, senza fermarsi di fronte alle logiche di potere che avviliscono anche l’Africa no, non ce li fecero vedere. Vollero essere loro, i grandi media e i grandi gruppi di interesse, vollero diventare 'protagonisti' di quel viaggio che avrebbe fatto vedere al mondo l’Africa, e le sue urgenze. Tentando di trascinare il Papa in una polemica mondiale pur di non affrontare veramente i problemi dell’Africa che egli indicava. Ora invece ce li mostrano. Ce li fanno vedere e rivedere i grandi media, ci offrono in pasto lo sgomento sui visi di uomini e donne. Ma ancora una volta come figure in un teatro dove i protagonisti sono altri: i polemizzanti. È difficile sentirsi 'giusti' dinanzi a queste scene. Si è affranti. Sia chi pensa che è giusto risospingere indietro, nel quadro di norme internazionali, sia chi pensa che è ingiusto, perché si deve accogliere sempre, in particolare quando la gente è in mare. Il fatto è che anche sulle questioni più delicate è difficile intendersi.
E certi problemi a volte, no, non è per niente semplice affrontarli, limitati come siamo da una giustizia segnata dei nostri stessi caratteri umani, imperfetta. In queste faccende non ci sono necessariamente da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Si dice: povero continente di disperati, di scafisti e sfruttatori, che preme da oltre al mare. Ce li fanno vedere, sulle barche del niente. E ci viene da piangere sull’Africa. Tenuta in ostaggio dalla miseria e da imperi di cartapesta e fucili, da cui folle di uomini e donne cercano di andarsene. Però pochi mesi fa, quando potevamo guardare senza schermi le cause e la natura dei problemi che stanno alla radice di questo esodo no, non ce li fecero vedere. Ci voltarono la testa da un’altra parte. Non facciamo di nuovo così. Non si parli, non ci si accapigli ancora una volta 'usando' le miserie dell’Africa per guardare altrove. Guardiamoli in faccia davvero questi uomini, e facciamo ogni sforzo per accoglierli. In ogni caso, poi, concentriamoci sull’Africa. Su ciò che serve, su ciò che le necessità per trattenere con sé i suoi figli migliori. È un dovere dei governi, e degli uomini di buona volontà.
Abbiamo l’esempio della passione e della libertà di giudizio del Papa. E quello di tanti cristiani impegnati ad aiutare l’Africa a rialzarsi.