Nella rassegna stampa di oggi:
1) 17/05/2009 13.00.51 – Radio Vaticana – Il pensiero forte alla Terra Santa e l’appello per la situazione umanitaria in Sri Lanka: nelle parole del Papa al Regina Coeli
2) Presentazione del libro di Mons. Massimo Camisasca "Don Giussani: la sua esperienza dell’uomo e di Dio" . - Cinema-Teatro Antoniano, 15 maggio 2009
3) 14-5-2009 AsiaNews - Il papa, l’islam arabo e l’occidente - di Samir Khalil Samir
4) Gender-Mainstream. Tutto il resto è omofobia - di Vito Punzi – Tempi 12 maggio 2009
5) A conclusione del viaggio Benedetto XVI ricorda che il dialogo tra le religioni è un'esigenza di fede - In Terra Santa il desiderio di pace oltre le difficoltà - A conclusione del pellegrinaggio in Terra Santa, durante il volo verso l'aeroporto di Roma-Ciampino - dove è giunto alle 16.43 per poi fare rientro in elicottero in Vaticano - il Papa ha incontrato i giornalisti, salutandoli con le parole che pubblichiamo di seguito. – L’Osservatore Romano 17, maggio 2009
6) La prima comunione secondo Alessandro Manzoni - Con lo sgomento e la gioia di essere cenere - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 17 maggio 2009
7) Alle radici dei genocidi europei - Dove e come nasce l'odio - di Oddone Camerana – L’Osservatore Romano, 17 maggio 2009
8) MA GUARDA COSA SI INCONTRA - LA FRANCIA TIENE GRAZIE ALL’INVESTIMENTO SULLA FAMIGLIA - LUIGI CAMPIGLIO – Avvenire, 17 maggio 2009
9) Eluana, la forza dei fatti: un libro per raccontarli - Che cosa è successo davvero? La storia senza censure – Avvenire, 17 maggio 2009
17/05/2009 13.00.51 – Radio Vaticana – Il pensiero forte alla Terra Santa e l’appello per la situazione umanitaria in Sri Lanka: nelle parole del Papa al Regina Coeli
Al momento della recita del Regina Coeli, stamane il Papa ha speso significative parole sulla Terra Santa, annunciando però che parlerà di più della sua visita apostolica nella prossima udienza generale mercoledì. Ha rivolto poi un pressante appello per la drammatica crisi umanitaria nello Sri Lanka. Il servizio di Fausta Speranza: http://62.77.60.84/audio/ra/00162478.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00162478.RM
“Quella Terra, simbolo dell’amore di Dio per il suo popolo e per l’intera umanità, è anche simbolo della libertà e della pace che Dio vuole per tutti i suoi figli”: così Benedetto XVI parla della Terra Santa per poi aggiungere che “di fatto, però, la storia di ieri e di oggi mostra che proprio quella Terra è diventata anche simbolo del contrario, cioè di divisioni e di conflitti interminabili tra fratelli”. “Come è possibile questo?”: dice il Papa con dolore, affermando che “è giusto che tale interrogativo interpelli il nostro cuore, benché sappiamo – aggiunge - che un misterioso disegno di Dio concerne quella Terra, dove, come scrive san Giovanni, Egli “ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. E poi Benedetto XVI afferma:
“La Terra Santa è stata chiamata un ‘Quinto Vangelo’, perché qui possiamo vedere, anzi: toccare, la realtà della storia che Dio ha fatto con gli uomini, incominciando con i luoghi della vita di Abramo fino ai luoghi della vita di Gesù, dall’Incarnazione fino alla tomba vuota, segno della sua Risurrezione. Sì: Dio è entrato in questa terra, ha agito con noi in questo mondo. Ma possiamo dire ancora di più: la Terra Santa, per la sua stessa storia, può essere considerata un microcosmo che riassume in sé il faticoso cammino di Dio con l’umanità, un cammino che implica – con il peccato – anche la Croce. Ma con l’abbondanza dell’amore divino, sempre anche la gioia dello Spirito Santo, la Risurrezione è già iniziata ed è un cammino dalle valli della nostra sofferenza verso il Regno di Dio, regno che non è di questo mondo, ma vive in questo mondo e deve penetrarlo con la sua forza di giustizia e di pace”.
E poi, a braccio, aggiunge:
“La storia della salvezza comincia con l’elezione di un uomo – Abramo – e di un popolo – Israele. Ma la sua intenzione è l’universalità, la salvezza di tutti i popoli. La storia della salvezza è sempre marcata da questo intreccio di particolarità e di universalità”.
Ancora a braccio, altre considerazioni che toccano il tema del dialogo interreligioso:
“Temere Dio e praticare la giustizia: imparare questo e aprire così il mondo al Regno di Dio, è questo lo scopo più profondo di ogni dialogo interreligioso”.
Benedetto XVI sottolinea che il pellegrinaggio ai Luoghi Santi “è stato anche una visita pastorale ai fedeli che vivono là, un servizio all’unità dei cristiani, al dialogo con ebrei e musulmani, e alla costruzione della pace”.
“Vorrei soprattutto ringraziare il Signore, che mi ha concesso di portare a termine questo viaggio apostolico così importante. Ringrazio anche tutti coloro che hanno offerto la loro collaborazione: il Patriarca latino e i Pastori della Chiesa in Giordania, in Israele e nei Territori Palestinesi, i Francescani della Custodia di Terra Santa, le Autorità civili della Giordania, di Israele e dei Territori Palestinesi, gli Organizzatori, le Forze dell’ordine. Ringrazio i sacerdoti, i religiosi e i fedeli che mi hanno accolto con tanto affetto e quanti mi hanno accompagnato e sostenuto con la loro preghiera. Grazie a tutti dal profondo del cuore!”
Il Papa volentieri rivolge il suo pensiero al significativo viaggio appena concluso ma annuncia anche che ne parlerà “con maggiore ampiezza” mercoledì prossimo all’udienza generale.
Poi il Papa rivolge il suo pensiero allo Sri Lanka, in particolare ai civili che si trovano nella zona dei combattimenti al nord del Paese: “Si tratta – dice - di migliaia di bambini, donne, anziani, cui la guerra ha tolto anni di vita e di speranza”.
“Desidero ancora una volta rivolgere un pressante invito ai belligeranti, affinché ne facilitino l’evacuazione e unisco, a questo scopo, la mia voce a quella del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che appena qualche giorno fa ha chiesto garanzie per la loro incolumità e sicurezza. Chiedo inoltre alle istituzioni umanitarie, comprese quelle cattoliche, di non lasciare nulla d’intentato per venire incontro alle urgenti necessità alimentari e mediche dei profughi.”
Poi i saluti nelle varie lingue, tutti con un pensiero al pellegrinaggio in Terra Santa. In italiano in particolare, anche un saluto ai “numerosi soci della Federazione Italiana Donatori Associati di Sangue, che hanno celebrato il loro congresso nel cinquantenario dell’associazione”.
Presentazione del libro di Mons. Massimo Camisasca "Don Giussani: la sua esperienza dell’uomo e di Dio" . - Cinema-Teatro Antoniano, 15 maggio 2009
Quando si è richiesti di presentare un libro, si possono percorrere le seguenti strade: fare un riassunto puntuale, quasi a sostituire la lettura; prendere spunto da esso per fare considerazioni proprie circa lo stesso tema del libro; coglierne l’idea e l’ispirazione originaria e lasciarsi come provocare intellettualmente e spiritualmente da essa. Io scelgo di svolgere la mia presentazione seguendo la terza via, perché, come risulterà dal seguito del mio discorso, è quella più adeguata al libro.
Procederò nel modo seguente. Nel primo punto cercherò di individuare quella che secondo l’autore costituisce l’esperienza originaria di don Giussani. Nel secondo mostrerò come quest’esperienza abbia una coerente cifra educativa. Nel terzo cercherò di mostrare come l’esperienza originaria generi e strutturi tutto il pensiero di don Giussani. Nel quarto accennerò l’esito ultimo e più suggestivo di tutto il percorso.
1. Il libro è costruito bene secondo un paradigma genetico-storico: esso narra il carisma di don Giussani attraverso prima di tutto l’individuazione della intuizione originaria; per passare poi allo sviluppo cronologico e vitale della medesima sia nella sua logica interna sia nel confronto colle varie situazioni storiche, fino alla conclusione "mistica" [nel senso autenticamente cristiano del termine] della vicenda cristiana e sacerdotale di don Giussani. È a causa di questo impianto che la lettura di questo libro risulta essere tanto affascinante.
Cercherò allora di cogliere quella che è, secondo l’autore, l’intuizione originaria che genera tutta la vita e la proposta di don Giussani.
Ogni grande visione della realtà è incentrata attorno ad un momento spirituale primario – per esempio una idea, o un dato della nostra esperienza, o un fatto significativo dell’esistenza – che si mostra a tal punto originario, centrale e omnicomprensivo che senza di esso niente è intelligibile e sensato, e alla luce di esso ogni realtà si svela nella sua verità e trova il suo luogo giusto nell’intero universo dell’essere. Non sarebbe difficile fare esempi.
In Giussani questa chiave interpretativa del tutto non è un’idea, un’evidenza esprimibile attraverso una riflessione filosofica: è un fatto storicamente accaduto. Scrive l’autore: "si può dire che tutta la parola di don Giussani, e questo vale particolarmente per i suoi ultimi anni di vita, sia sgorgata dallo stupore per l’Incarnazione. Questo avvenimento, passato e presente, determinò il sobbalzare del suo spirito, la gratitudine del suo cuore, il movimento di tutta la sua vita" [pag. 143]. Ed infatti in Gesù, dice don Giussani, "si riallacciano e si coordinano tutti i fili, tutte le generatrici dell’universo. Chiunque instauri un punto di vista sull’universo totale, passato, presente e futuro, vede tutti gli esseri sospesi ontologicamente al Cristo e diventare definitivamente intelligibili attraverso di Lui" [cit. a pag. 123].
Forse tutto era già stato deposto in germe nel cuore di questo grande uomo, quando poco più che adolescente seminarista, ebbe quel sobbalzo interiore di cui parlò varie volte nella sua vita, quando lesse per la prima volta la poesia di Leopardi [col quale intesserà un profondo dialogo per tutta vita] "Alla sua donna", soprattutto l’ultima stanza. Anche un altro grande spirito del Novecento, don Barsotti, si confrontò lungamente con Leopardi. Se non sbaglio, sono stati solamente questi due grandi spiriti che nella Chiesa hanno capito che la proposta cristiana non poteva ignorare la "provocazione teologica" di Leopardi.
È l’incontro [categoria centrale nell’esperienza di don Giussani] con Gesù il Cristo, il Verbo incarnato, la chiave di volta di tutta la sua esistenza e proposta, come continuamente sottolinea il libro.
Ora dobbiamo vedere in che modo questo evento spirituale originario agisce sulla proposta di Giussani.
2. Prima di rispondere alla domanda – risposta che poi è il contenuto di tutto il libro – devo fare una premessa assai importante, e necessaria per capire in profondità tutta l’opera che stiamo presentando.
Uno degli elementi essenziali della Denkform cattolica è il realismo: la visione cattolica della vita è una visione realista. Un grande teologo, il Card. Leo Scheffczyk [1920-2005] così definisce il realismo cattolico: "Il realismo della salvezza afferma che la salvezza, proprio in base alla comprensione cristiana e cattolica, attraversa e lega a sé anche quella sfera che sta di fronte alla realtà ideale e spirituale, vale a dire la realtà materiale, cosmica, sensibile e storica; il sovrannaturale, divino e spirituale, si serve dunque, della realtà che gli è subordinata, ossia di ciò che è visibile, materiale e, esprimendosi in esso, lo innalza, allo stesso tempo, nella salvezza. Il significato proprio dell’espressione "realismo della salvezza" dunque deve esser volto in questa direzione che, ultimamente, fa riferimento al mistero dell’immanenza del Dio trascendente" [in Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, V&P, Milano 2007, pag. 95 ].
Leggendo il libro di Mons. Camisasca sono stato spesso tentato di pensare che il realismo della salvezza sia l’elemento che più caratterizza la proposta giussaniana.
Il libro mostra molto bene che per don Giussani o la proposta cristiana è significativa per tutta la vita, per tutti i capitoli di cui si compone la biografia di ogni uomo dalla nascita alla morte, o essa gradualmente scompare per delegittimazione esistenziale: "non è legittimata a parlare dell’uomo all’uomo, poiché essa non c’entra colla vita dell’uomo". Giussani fu di una preveggente lucidità spietata su questo punto: ebbe veramente la coraggiosa chiarezza del profeta-sentinella. Si comprende allora come sia profondamente vero quanto Mons. Camisasca scrive: "L’educazione è la cifra riassuntiva della sua [di don Giussani] esistenza" [pag. 39].
Il realismo della salvezza comporta che la proposta cristiana non può non avere il profilo dell’azione educativa, dal momento che don Giussani non si stanca di ripetere che l’educazione è "l’introduzione alla realtà" [cfr. pag. 40].
La definizione si precisa come "introduzione al Mistero". In una parola: tutto l’humanum in Cristo e Cristo nello humanum. Potrebbe essere questa la definizione dell’azione educativa cristiana, che coincide paolinamente con l’affermazione del Cristo in noi. Nella prospettiva di Giussani proposta cristiana e proposta educativa sono il concavo ed il convesso della stessa figura.
Da ciò derivano due conseguenze: accennerò alla prima e dedicherò invece ampio spazio alla seconda, come fa anche il libro.
La prima. Lo stile educativo di don Giussani [come di ogni vero e grande educatore] è uno stile, positivamente, generativo di persone libere; negativamente, che transita fra la Scilli dell’autoritarismo e la Cariddi del permissivismo, che sono i fattori che producono schiavi. Scrive molto bene l’autore: "Lo scopo dell’educazione è di portare il ragazzo a diventare adulto, "capace di far da sé di fronte al tutto"" [pag. 46].
La seconda conseguenza merita una più attenta e prolungata riflessione, perché riguarda la summa del pensiero.
3. Quanto detto finora ci aiuta a capire la struttura del pensiero di don Giussani, e nella sua logica interna e nel suo contenuto. La sua esposizione più importante è la trilogia del PerCorso. Si tratta di tre volumi giunti alla loro definitiva pubblicazione fra il 1997 e il 2003: Il senso religioso, All’origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa. Ad essi giustamente Mons. Camisasca dedica la parte centrale del suo volume.
La trilogia parte da una domanda di fondo, su cui l’autore del libro richiama a lungo l’attenzione. "Da dove partire? Ancora una volta dall’osservazione dell’uomo, da se stessi. L’uomo va osservato in azione" [pag. 54]. "I fattori costitutivi dell’umano si percepiscono là dove sono impegnati nell’azione", scrive don Giussani. Questo punto di partenza coincide singolarmente con quello della principale opera filosofica di K. Woitila: "Un’esperienza è connessa indubbiamente ad una serie di fatti che ci sono dati. Uno di essi è certamente il tutto dinamico "l’uomo agisce". Nel nostro studio partiamo appunto da questo fatto …" [Persona e atto, Rusconi Libri, Milano 1999, pag. 48-49].
Ma occorre fare bene attenzione e non dimenticare quanto ho detto nei due numeri precedenti, che individuavano la sorgente del pensiero giussaniano. Esso è un pensiero antropocentrico ma perché è cristocentrico; ed è cristocentrico perché antropocentrico. Insomma: la passione per Cristo e la passione per l’uomo sono inscindibilmente correlate.
È la grande domanda che si è piantata nel cuore dei credenti e non l’ha più lasciato: Cur Deus homo? E la risposta: ut homo fieret Deus. Il cristianesimo è il dono offerto all’uomo di una pienezza di essere che al contempo risponde adeguatamente al desiderio dell’uomo e lo supera infinitamente, per cui lo stupore è incessante.
Gesù non è soltanto la risposta all’attesa dell’uomo, né ancor meno una sua pretesa. In termini più vicini al vocabolario di Giussani. Il cristianesimo non si riduce al senso religioso: "La cosa più importante su cui costruire, su cui siamo costruiti, non è il senso religioso, ma è l’incontro con Cristo" [pag. 60].
Come si esce da questo ambito, l’ambito della proposta cristiana? In due modi pensa don Giussani. Impedendo alla propria ragione di esercitarsi secondo la misura intesa della sua capacità: "tutta la vita pubblica di Giussani ha rappresentato una battaglia in favore della ragione e di un uso non ridotto ma adeguato, di essa" [pag. 53]. Su questo Giussani ha precorso una delle grandi sfide del magistero di Benedetto XVI.
L’altro modo di uscire dall’ambito della proposta cristiana è la decisione di bastare a se stessi. Kierkegaard la chiama "disperazione o per debolezza o per ostinazione" e vede in essa la cifra distintiva della modernità che ha abbandonato il cristianesimo. Per cui molto finemente Camisasca conclude il capitolo dedicato a Il senso religioso con un testo mirabile di Giussani: "Il vero dramma è nella libertà, nella volontà che è chiamata ad aderire a questa immensa evidenza. L’uomo da solo è tentato di chiudere presto il cerchio dell’attesa, di dare presto un volto al Mistero" [cfr. pag.59].
È a questo punto che va introdotta una categoria chiave nel pensiero di Giussani, come poi prosegue nel secondo e terzo volume della Trilogia: la categoria del Mistero. Essa assieme a quella del realismo definisce la Denkform cattolica. Non posso fermarmi lungamente su questo. Mi limito ad alcune note essenziali.
Che cosa significa "Mistero"? Mistero è il fatto cristiano che può essere narrato come ogni fatto realmente accaduto, ma che ha in se stesso e per se stesso la proposta salvifica del Dio, che è sempre più grande delle e sta sempre oltre le nostre attese.
Il Mistero allora è Gesù il Cristo: la sua vita, la sua passione e morte, la sua risurrezione. Dentro la storia umana: il Mistero è la Chiesa. La Chiesa è infatti per don Giussani Gesù il Cristo che incontra oggi la persona umana. Con un’espressione molto forte, il sacerdote ambrosiano parla di una "continuità fisiologica" fra Gesù e la Chiesa.
In sostanza la tessitura concettuale del secondo e terzo volume del Percorso è tutta tesa a mostrare la possibilità reale offerta all’uomo in Cristo di incontrare il Padre. E c’è un solo modo di verificare una possibilità: provarla, sperimentarla.
L’Occidente, secondo Giussani, ha eliminato il Mistero riducendo il cristianesimo ad una proposta morale, esemplificata in Cristo: ha eliminato il Mistero, cioè, separando la proposta salvifica dalla storia. Perché in fondo lo scandalo cristiano è tutto in questo: la salvezza prende carne.
Una conseguenza particolare, ma che mi ha sempre profondamente colpito nella lettura delle opere di Giussani, è così delineata da Mons. Camisasca: "Giussani ha una capacità singolare di immedesimare l’ascoltatore con lo stesso evento evangelico, di ricreare situazioni, ambienti, di svelare ciò che non è detto ma soltanto suggerito" [pag. 68]. Questo modo di leggere la pagina evangelica non ha finalità devozionali. Esso ha la sua radice ultima, teologica, nel senso del Mistero.
4. L’autore mostra poi la coerente rilevanza che la riflessione teologico-pedagogica di don Giussani ha per alcune dimensioni essenziali della vita: il lavoro; l’impegno per l’edificazione di una società a misura d’uomo, e quindi la politica; il rapporto uomo-donna. Non voglio addentrarmi, perché mi preme maggiormente richiamare quello che secondo Mons. Camisasca ritiene essere l’esito di tutte le vicende spirituali di don Giussani. E la cosa ha avuto per me il gusto profondo di una scoperta. Non conoscevo la vicenda cristiana di don Giussani, da questo punto di vista. E ne sono grato all’autore.
Quanto Mons. Camisasca scrive negli ultimi due capitoli della sua opera è profondamente commovente.
Il grande sacerdote ambrosiano, questo struggente amante di Cristo e dell’uomo, alla fine del suo percorso ha raggiunto l’ultima profondità del Mistero. S. Tommaso dice che fra tutti gli attributi di Dio, il più divino di tutti, quello in cui si manifesta maggiormente il suo Essere, è la Misericordia. "Dio per l’uomo è misericordia e la pace in noi ha solo un nome: la misericordia di Dio" [pag. 156].
E dentro a questa sintesi di tutta l’opera di Dio, don Giussani vede illuminarsi di nuova luce la persona e la missione di Maria, Mater misericordiae, "di speranza fontana vivace".
Ho avuto in questo una nuova conferma di ciò che vado pensando e dicendo da molti anni. Tutti i grandi cristiani di una modernità che si sta dissolvendo come promessa non mantenuta, hanno portato il peso della miseria umana vivendola dentro l’esperienza della misericordia divina. Così Teresa del Bambino Gesù, così Gemma Galgani, così Padre Pio, così Teresa Benedetta Stein, così Teresa di Calcutta, così Giovanni Paolo II, così don Giussani ["Dio vincerà col suo bene il nostro male: il trionfo della misericordia"] (pag. 157).
5. Vorrei ora concludere molto semplicemente. Attraverso don Giussani Dio ha ora deposto un carisma nella sua Chiesa, un carisma che ha preso corpo nella Fraternità di CL per il bene della Chiesa.
I cristiani che ricevono carismi fondazionali sono donati perché la Chiesa tutta sia aiutata a rimanere, a dimorare dentro l’Origine per poter vivere sempre rinnovandosi. Sono itinerari nuovi verso "Ciò che è al principio". Dentro l’Origine: Deus homo, ut homo fieret Deus.
14-5-2009 AsiaNews - Il papa, l’islam arabo e l’occidente - di Samir Khalil Samir
Le critiche dei media islamici contro Benedetto XVI sono un nulla di fronte alla ricchezza della sua proposta. Nel mondo arabo è urgente il dialogo con la scienza, bloccato da secoli; nel mondo occidentale è urgente non rinchiudersi in ideologie relativiste e sprezzanti verso la fede.
Beirut (AsiaNews) - Il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa è avvolto da molte polemiche e critiche che innalzano un polverone senza far vedere la verità. In realtà il messaggio che il pontefice ha affidato ai popoli di quella terra, cristiani e musulmani, israeliani e palestinesi, è fondamentale per lo sviluppo e per la pace nella regione.
In Giordania vera fraternità fra musulmani e cristiani
In Giordania, in particolare, Benedetto XVI ha posto ancora una volta delle solide basi per la collaborazione fra musulmani e cristiani, fra oriente e occidente. Vi è una differenza notevole fra ciò che il mondo musulmano ha scritto sulla stampa e l’atteggiamento della Giordania. In molti giornali arabi si ritorna alla cosiddetta “offesa di Regensburg”, alla richiesta di scuse per l’offesa recata all’islam, ecc… Invece l’atmosfera che abbiamo visto in Giordania è stata serena, ospitale, con una buona dose di fiducia reciproca.
Il papa non ha mancato di fare l’elogio sincero degli sforzi della casa reale di Giordania, del re, del principe Al-Ghazi, della regina Rania, che lo ha accompagnato all’università di Madaba, per la benedizione della prima pietra. La stessa università cattolica di Madaba – voluta dal patriarca emerito Michel Sabbah – è segno della cordialità fra cristiani e musulmani: un’università cattolica che apre col sostegno, anche economico, della casa reale hascemita.
Ciò è frutto di una politica che è più che tolleranza verso il cristianesimo. Le mie esperienze in Giordania – l’anno scorso vi sono stato 3 volte e ho incontrato 2 volte il principe Hassan – è quella di un’atmosfera serena e amichevole, ciò che non ho trovato in nessun altro Paese islamico finora.
Questo ha permesso piccoli gesti di ospitalità e di onore verso il papa ospite. Ad esempio, per l’entrata alla Moschea “al-Hussein bin-Talal” di Amman, hanno permesso al pontefice di tenere le scarpe, stendendo una stuoia lungo tutto il percorso. Lo stesso principe al-Ghazi ha tenuto le scarpe.
L’atmosfera in Giordania ispira un messaggio del tipo: siamo tutti fratelli, beduini, cristiani, musulmani. I giordani insistono anche sul fatto che Gesù e Maria sono parte della tradizione storica del Paese, perché hanno vissuto in Giordania (v. il luogo del battesimo, Betania, ecc..) Loro sentono che questa è una terra santificata dalla presenza di Gesù e dei profeti.
Religione e scienza: affinare i “talenti critici”
Ma il discorso all’università di Madaba è davvero un punto chiave di questo pellegrinaggio. Il papa ha sottolineato varie cose, ma soprattutto l’importanza di una educazione seria e accademica di cristiani e musulmani per lo sviluppo personale, per la pace, per il progresso nella regione.
Il pontefice ha sottolineato con forza che lo sviluppo della persona passa per l’istruzione che l’università deve offrire; che la pace si costruisce con la conoscenza e lo studio più che con l’ignoranza; che il progresso integrale, materiale ed economico, politico e democratico cresce con lo studio e la conoscenza.
Egli sviluppa questo aspetto dicendo che lo scopo dell’università è trasmettere agli studenti “l’amore per la verità”, promuovere “la loro adesione ai valori”, innalzando “la loro libertà personale”.
È molto importante che in un mondo musulmano (e cristiano), spesso teocratico, il papa, prima di parlare di religione, parli di cultura e di scienza. E la scienza ha per scopo di amare la verità e scoprirla. Egli insiste che questa formazione intellettuale “affinerà i loro talenti critici, disperderà l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove”.
I “talenti critici” sono importanti nel mondo arabo: senza critica la fede può diventare fanatismo, superstizione, o addirittura manipolazione Il papa ha toccato un punto che è fondamentale per la crescita di questa regione: l’assenza di sguardo critico, porta la gente a seguire in modo politico l’uno o l’altro leader, senza domandarsi sulle esigenze di democrazia, libertà, diritti umani, convivenza. Tutti seguono religiosamente, ma senza domandarsi sulle fondamenta della propria fede; attenendosi alle tradizioni fino ad annegare la libertà di coscienza. Questo vale per tutte le religioni, non solo per l’Islam. L’ignoranza e il pregiudizio, per il papa, sono una minaccia alla pace e al dialogo.
E quando parla degli “incantesimi delle ideologie”, egli allude al modo facile con cui uno si lascia prendere dal fanatismo e dalla violenza.
Egli dice: “la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso”.
Benedetto XVI mette nello stesso contenitore tutte queste realtà, perché tutto può essere sfigurato – anche la scienza. Ciò che è importante per lui è comunque non lasciare che la religione sia sfigurata dall’ignoranza e dall’abuso.
Necessità di una “sapienza etica”
Parlando alla Moschea di Amman egli dice anche che le società laiche pretendono spesso che solo la religione è causa di violenza. In verità ciò avviene solo se la religione si lascia “sfigurare”, ma questo è il rischio di tutte le conoscenze. Per questo il papa esorta con la Lettera ai Filippesi (4,8) di essere attenti a “tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, che merita lode” Egli consiglia a cristiani e musulmani di non avere paura della scienza, di aprire le loro menti, anche se si mette a rischio la propria fede. Questo messaggio è coraggioso in una società come quella araba che rischia di trovare nella religione un rifugio.
Ma il suo messaggio è rivolto anche verso la scienza, che rischia spesso di trasformarsi in un’ideologia senza etica o apertura a Dio.
Questo è un elemento presente anche a Regensburg. Il papa sottolinea che anche la scienza “ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza”.
Per questo l’uso della conoscenza scientifica ha bisogno della luce orientatrice della “sapienza etica”. “Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento”.
Il papa spiega questa “sapienza etica” con il giuramento di Ippocrate, un pagano del III secolo a.C.; poi parla della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del ’48, una dichiarazione laica; la Convenzione di Ginevra sui comportamenti in caso di conflitto, che è anch’essa laica. Egli non si riferisce ad elementi religiosi. Così suggerisce che la sapienza etica può essere indipendente dalla religione. Questa sottolineatura è importante in una società musulmana o cristiano-tradizionale: significa che il dialogo è a 360 gradi, con tutti, anche con chi non crede. Ma a quelli che non credono dice che non è possibile agire senza etica, o senza fondamenti religiosi, perché in tal modo viene a mancare qualcosa di essenziale nella formazione umana.
La religione ha soffocato l’uomo arabo
La funzione dell’università cattolica è formare “uomini e donne qualificati, sia cristiani che musulmani o di altre religioni”. Non è un messaggio solo per l’Islam. Questa sottolineatura a non lasciare che la religione sia sfigurata; ad accettare la sfida della scienza per avere uno sguardo critico; a ricercare un’etica religiosa e laica per creare una comunità da diverse religioni e non credenti, mi pare un discorso importante nel nostro mondo arabo.
Quelli citati dal papa sono i valori che molti oggi ricercano e che noi arabi abbiamo vissuto in passato (dal 1860 al 1950, con il cosiddetto ‘Rinascimento’, Nahda), oppure nell’epoca medievale (dal IX all’XI secolo): allora abbiamo vissuto un rapporto vivo fra scienza e religione, con reciproche messe in questione, in un dialogo critico, con delle sfide. Ma da mezzo secolo circa, questo dialogo è scomparso, sia a livello scientifico, sia a livello religioso.
Alcuni anni fa studiosi arabi hanno fatto un’analisi della situazione della conoscenza scientifica nel mondo arabo e hanno scritto un rapporto catastrofico: dalla scuola elementare all’università, tutti si chiedono quale sia il contributo del mondo arabo alla conoscenza universale e ci accorgiamo che esso è inesistente. Più recentemente, il 3 marzo scorso, il giornalista algerino Anwar Malek, sulla tv Al-Jazeera, ha fustigato gli Arabi per non aver contribuito in nessun modo al progresso in questo secolo.
Siamo davvero regrediti dal punto di vista scientifico. E nel campo religioso, siamo soffocati da una religione formalista, sempre più comandata dall’esterno, attenta all’apparenza (portare il velo, la barba, il burqa, o il Niqab), a tutte le infinite regole che gli imam danno con le loro fatwa. Ormai su tutti i più piccoli aspetti della vita sociale e privata si emettono delle fatwa: è vietato usare il rossetto; depilarsi le sopracciglia; mangiare con un cristiano; vivere insieme fra sciiti e sunniti… Decine e decine di fatwa sono emesse sul vestire, sul modo di fare l’amore fra marito e moglie, sui rapporti economici… Tutto questo sta soffocando la libertà e si manifesta con l’assenza di scienza, democrazia e libertà.
Spazio alla fede nelle società occidentali
Il discorso semplice, umile e coraggioso del papa, dà il benvenuto alla scienza, allo spirito critico, alla libertà, domandando a tutti di cercare quello che è bello, nobile e giusto. Allo stesso tempo, egli proclama il diritto di manifestare la fede, spingendo il mondo non religioso a trovare dei fondamenti etici. Per me questo messaggio di Benedetto XVI è un prolungamento del discorso di Regensburg sul rapporto fra fede e ragione. Lì, egli aveva sviluppato il tema in ambiente cristiano e occidentale; qui lo ha ampliato in un ambiente musulmano.
Ridurre questo messaggio a “qualcosa che serve solo per i musulmani” significa essere miopi. Il papa ha parlato per tutto il mondo, anche per quello occidentale, che continua ad annegare nel relativismo, nella mancanza di fede e nel disprezzo per le religioni. A questo proposito, nel suo discorso alla Moschea al-Hussein bin-Talal egli ha messo in guardia dal pericolo del laicismo: “non possiamo non essere preoccupati – ha detto – per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è”.
Questa è una critica chiarissima al relativismo e all’ateismo dell’occidente. Ma egli corregge anche i musulmani, riconoscendo che c’è qualche verità in questa posizione laica: “Tuttavia – aggiunge - non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società?”. Ma precisa che non è la religione tout court il problema, ma “la manipolazione della religione”.
“Musulmani e cristiani – egli dice infine – devono oggi impegnarsi per essere individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera, desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente, misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia”.
In ciò vi è l’affermazione che adorare Dio nella società è un diritto. Come c’è un diritto di praticare la non religione, così c’è anche il diritto di praticare la religione.
Gender-Mainstream. Tutto il resto è omofobia - di Vito Punzi – Tempi 12 maggio 2009
I tentativi di limitare la libertà d’opinione nella Germania che nel 2009 festeggia in un sol colpo sessant’anni di Repubblica federale e vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino si fanno sempre più frequenti. Non è un caso che molti commentatori, anziché tornare a macinare l’ormai trita e ritrita denuncia della presunta riunificazione “violenta” imposta dalla Germania capitalista dal 1990 in poi, oggi preferiscano dettagliare i pesanti retaggi sopravvissuti al socialismo reale della Germania orientale. Il celebre giornalista Hugo Müller-Vogg si è spinto fino a immaginare una futura e neanche troppo inverosimile “Repubblica popolare tedesca” (vedi Tempi del 23 aprile http://www.tempi.it/esteri/006471-la-solitudine-di-angela ).
Un episodio che ha mostrato fino a che punto possa essere illiberale e antidemocratica la tendenza a considerare censurabile tutto ciò che si discosta dal mainstream si è verificato l’anno scorso, quando Monika Hoffmann e Konstantin Mascher, dell’Istituto tedesco per la gioventù e la società di Reichelsheim, dovettero rinunciare alla libera manifestazione del proprio pensiero e alla comunicazione dei risultati delle proprie ricerche scientifiche ed esperienze terapeutiche. I due erano stati invitati a tenere un seminario dal titolo “Comprendere l’omosessualità. Una chance per il cambiamento” nell’ambito della quinta edizione del “Christival”, il congresso organizzato a Brema da un’associazione di giovani cristiani protestanti proprio nei primi giorni di maggio del 2008. Già in quell’occasione la lobby omosessuale (che con grande facilità si autodefinisce, a seconda della circostanze, anche “femminista” e “antifascista”) ebbe modo di dimostrare tutta la propria capacità d’influenza sulla società tedesca, ottenendo che i due relatori fossero silenziati. Portavoce della “rivolta” fu allora il deputato al Bundestag per i Grünen Volker Beck, il quale chiese in particolare al ministro per la Famiglia Ursula von der Leyen il ritiro del patrocinio concesso al “Christival”, perché a suo dire nel contesto del congresso si sarebbero tenuti «pericolosi corsi di psicologia» – così Beck – e sarebbero state avanzate «proposte ostili nei confronti di minoranze», ostili in quanto escogitate con l’intento di proporre «la guarigione dall’omosessualità». L’esito di questa campagna fu, appunto, che Hoffmann e Mascher dovettero rinunciare al loro seminario e il resto del programma di “Christival” poté essere svolto solo grazie alla presenza della polizia.
La stessa situazione si sta ripetendo in questi giorni in occasione del sesto Congresso internazionale per la psicoterapia e l’assistenza spirituale, organizzato dal 20 al 24 maggio prossimi all’università di Marburg dalla Akademie für Psychotherapie und Seelsorge, un’istituzione che promuove «l’incontro tra la psicoterapia e la cura cristiana delle persone nella ricerca scientifica e nell’esperienza». L’offensiva del mondo gay organizzato non si è fatta attendere neppure questa volta e si è scatenata di nuovo contro il diritto di parola di coloro che la lobby omosessuale ritiene rei di voler giustificare scientificamente o clinicamente l’“inversione dei poli”, la possibilità cioè che gli omosessuali che vivono nel disagio e nella sofferenza per la propria condizione possano essere aiutati, in un percorso terapeutico, a diventare etero.
Rappresentanti dei Verdi dell’Assia e lo Lsvd (l’Unione dei gay e delle lesbiche tedeschi) si sono dunque scagliati in particolare contro due dei numerosi relatori del convegno di Marburg, Markus Hoffmann, dell’Associazione “Wüstenstrom e. V.”, e Christl Vonholdt, del Deutschen Institut für Jugend und Gesellschaft (lo stesso di Kostantin Mascher, censurato a Brema nel 2008). Le istituzioni d’appartenenza dei due psicoterapeuti, secondo la Lsvd, sarebbero colpevoli di opporsi alla tesi che vuole «la persona omosessuale come genere», un genere da accostare a quello maschile e a quello femminile. In particolare lo Lsvd ha scritto una lettera aperta datata 24 marzo 2009 indirizzata al sindaco di Marburg, al rettore dell’università e al direttore del dipartimento di Psicologia chiedendo espressamente di rinunciare ad ospitare il congresso, poiché «lesivo del buon nome della città e della sua università».
«Lasciateci l’autodeterminazione»
Visto il precedente di Brema, sarebbe stato fin troppo scontato immaginare anche per questa battaglia un finale con censura. Ma così non è stato. Almeno finora. E questo grazie soprattutto all’iniziativa partita da alcune personalità del mondo culturale, politico e sociale tedesco. Si tratta per lo più di cattolici e protestanti, ma non solo, che hanno dato vita all’iniziativa “Per la libertà e l’autodeterminazione – Contro le aspirazioni totalitarie delle associazioni omosessuali”, diffusa e proposta alla pubblica sottoscrizione attraverso il forum d’informazione cristiana Medrum (www.medrum.de). Tra i primi firmatari il filosofo Robert Spaemann, il costituzionalista Martin Kriele, il teologo e direttore dell’Istituto internazionale per la libertà religiosa Thomas Schirrmacher, la filosofa della religione Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, il deputato della Csu Norbert Geis, il teologo evangelico Theo Sorg, la pubblicista Gabriele Kuby. A questi, ad oggi, si sono aggiunti oltre mille firmatari. Con il “manifesto” che riassume i contenuti dell’iniziativa i sottoscrittori dichiarano esplicitamente di non avere «nulla contro la dignità delle persone con orientamento omosessuale e contro la loro libertà di praticare vita omosessuale» ma di trovare piuttosto contraddittorio il fatto che il movimento a favore del “gender-mainstreaming”, appositamente nato per difendere la libertà di scelta dell’orientamento sessuale, si batta contro la possibilità di un cambiamento, attraverso metodi terapeutici, dall’omosessualità all’eterosessualità.
Il “manifesto” protesta esplicitamente contro lo Lsvd e tutti coloro che se ne rendono cassa di risonanza (giornalisti, politici e scienziati) per il discredito gettato su ricercatori e terapeuti con diversa posizione culturale, per le accuse gratuite di «omofobia» rovesciate su di loro e per il «clima di paura e di odio» creato attorno al prossimo congresso di Marburg. Il sostegno all’iniziativa promossa da Medrum sta dando importanti risultati. Il giudice della Corte costituzionale Ernst-Wolfgang Böckenförde ha definito «inammissibile» il tentativo di «impedire la libertà d’opinione e di confronto scientifico» e anche il sindaco di Marburg, Egon Vaupel, ha preso le difese dell’università spiegando di non vedere «alcun motivo per vietare lo svolgimento del congresso». Questa volta la censura sembra dunque scongiurata, ma difficilmente la battaglia per la libertà di espressione promossa da Spaemann & co. può considerarsi conclusa.
TEMPI 12 Maggio 2009
A conclusione del viaggio Benedetto XVI ricorda che il dialogo tra le religioni è un'esigenza di fede - In Terra Santa il desiderio di pace oltre le difficoltà - A conclusione del pellegrinaggio in Terra Santa, durante il volo verso l'aeroporto di Roma-Ciampino - dove è giunto alle 16.43 per poi fare rientro in elicottero in Vaticano - il Papa ha incontrato i giornalisti, salutandoli con le parole che pubblichiamo di seguito. – L’Osservatore Romano 17, maggio 2009
Cari amici,
grazie per il vostro lavoro. Immagino quanto sia stato difficile, circondato com'era da tanti problemi, tanti trasferimenti, ecc., e vorrei ringraziarvi perché avete accettato tutte queste difficoltà per informare il mondo su questo pellegrinaggio, invitando così anche altri al pellegrinaggio in questi luoghi santi. Ho già fatto un breve riassunto di questo viaggio nel discorso all'aeroporto, non vorrei aggiungere molto. Potrei citare tanti, molti dettagli: la commovente discesa nel punto più profondo della terra, al Giordano, che per noi è anche un simbolo della discesa di Dio, della discesa di Cristo nei punti più profondi dell'esistenza umana. Il Cenacolo, dove il Signore ci ha donato l'Eucaristia, dove c'è stata la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo; poi il Santo Sepolcro, e tante altre impressioni, ma mi sembra che non sia il momento di soffermarcisi. Forse, tuttavia, qualche breve accenno potrei farlo. Tre sono le impressioni fondamentali: la prima è che ho trovato dappertutto, in tutti gli ambienti, musulmani, cristiani, ebrei, una decisa disponibilità al dialogo interreligioso, all'incontro, alla collaborazione tra le religioni. Ed è importante che tutti vedano questo, non solo come un'azione - diciamo - ispirata a motivi politici nella situazione data, ma come frutto dello stesso nucleo della fede, perché credere in un unico Dio che ha creato tutti noi, Padre di tutti noi, credere in questo Dio che ha creato l'umanità come una famiglia, credere che Dio è amore e vuole che l'amore sia la forza dominante nel mondo, implica questo incontro, questa necessità dell'incontro, del dialogo, della collaborazione come esigenza della fede stessa. Secondo punto: ho trovato anche un clima ecumenico molto incoraggiante. Abbiamo avuto tanti incontri con il mondo ortodosso con grande cordialità; ho potuto anche parlare con un rappresentante della Chiesa anglicana e due rappresentanti luterani, e si vede che proprio questo clima della Terra Santa incoraggia anche l'ecumenismo. E terzo punto: ci sono grandissime difficoltà - lo sappiamo, lo abbiamo visto e sentito. Ma ho anche visto che c'è un profondo desiderio di pace da parte di tutti. Le difficoltà sono più visibili e non dobbiamo nasconderle: ci sono, devono essere chiarite. Ma non è così visibile il desiderio comune della pace, della fraternità, e mi sembra dobbiamo parlare anche di questo, incoraggiare tutti in questa volontà per trovare le soluzioni certamente non facili a queste difficoltà. Sono venuto come pellegrino di pace. Il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni. Lo è anche dell'islam, della religione ebraica, del cristianesimo. È anche l'immagine della nostra esistenza, che è un camminare in avanti, verso Dio e così verso la comunione dell'umanità. Sono venuto come pellegrino e spero che molti seguano queste tracce e così incoraggino l'unità dei popoli di questa Terra Santa e diventino a loro volta messaggeri di pace. Grazie!
(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)
La prima comunione secondo Alessandro Manzoni - Con lo sgomento e la gioia di essere cenere - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 17 maggio 2009
Di tutte le strofe che Manzoni, in vario tempo, compose "per una prima comunione", si potrebbe affermare quello che Antonio Rosmini diceva riferendosi ai versi per l'offertorio: "Una meraviglia di poesia e di teologia e di religiosissimo affetto". L'ispirazione lirica, la precisione dottrinale e la ripetuta emozione mistica che le pervadono, rivelano quanto il poeta fosse attratto dal mistero dell'Eucaristia. L'impianto dei versi - ottonari o decasillabi o settenari - è molto semplice: d'altronde, erano stati richiesti da don Giulio Ratti, canonico della parrocchia milanese di San Fedele, perché fossero musicati e cantati dai comunicandi, come infatti avvenne il 10 maggio 1832. Manzoni, poi, al primo gruppo di strofe ne aggiunse un secondo nel 1834 e un terzo nel 1850. E, tuttavia, il disegno d'insieme, la sostanza delle singole parole accuratamente scelte e, infine, il tessuto tematico ed emotivo si rivelano di una ricchezza e suggestione straordinarie. L'Eucaristia: una nuova incarnazione e una reiterata discesa di Cristo dal cielo. Con questa visione si aprono i primi versi delle strofe "Prima della Messa": "Sì, Tu scendi ancor dal cielo; / Sì, Tu vivi ancor tra noi". Il pane e il vino non sono che un'apparenza: "Solo appar, non è, quel velo", e ne è certa la fede, che accoglie le indubitabili parole del Signore: "Tu l'hai detto; il credo, il so". Avviene, nella Messa, la transustanziazione, di cui il poeta coglie ed esalta perfettamente l'origine e il senso. Essa è un miracolo, che proviene dall'onnipotenza di Dio e dal suo amore inesausto, ossia - e l'espressione è splendida - dall'amore onnipotente: "So che tutto puoi, / Che ami ognora i tuoi credenti, / Che s'addicono i portenti / A un amor che tutto può". È quanto Manzoni afferma riguardo alla grazia dell'immacolata concezione di Maria: il medesimo "Amor che può tutto" l'ha collocata "più su del perdono". Basterebbe avvertire questo "amor che tutto può" come genesi della "mirabile e singolare" conversione eucaristica, per intendere decentemente il significato del termine transustanziazione, per accorgersi di quanto siano vane le avversioni di teologi e liturgisti contro questo linguaggio "scolastico" e "tridentino". Ogni Eucaristia col portentoso mutamento che in essa avviene è il segno che Dio non cessa di amarci. Il momento dell'offertorio è compreso da Manzoni come il momento dell'avvicendamento dei doni. In quel rito si presentano a Dio il pane e il vino; o, meglio, Dio si riprende il suo stesso dono: la sua grandezza, infatti, e la sua santità e bontà hanno tratto dallo "stelo" "la spiga fiorita" e nascosto nel tralcio il tesoro dell'uva. Ma quei doni ci sono, con uno scambio mirabile, comunque, restituiti, dopo che l'onnipotente amore li ha trasformati: "Tu (...) in cambio, qual cambio! ci rendi / Il tuo Corpo, il tuo Sangue, o Signore". L'offertorio non è però un'offerta soltanto del pane e del vino: "Anche i cor che T'offriamo son tuoi" - lo proclamiamo incominciando il prefazio: "In alto i nostri cuori". Certo, non sono cuori innocenti: il nostro peccato li ha deturpati: "Ah! il tuo dono fu guasto da noi". E, pure, li rimettiamo ugualmente, così come sono, e quale pegno di misericordia divina, alla profonda bontà che li ha plasmati. È un affidamento accompagnato dalla preghiera perché questa stessa bontà, con l'alito creatore dell'inizio, vi infonda una fede capace di oltrepassare le apparenze visibili, una speranza che matura nel possesso dei beni celesti, e un amore che invece non conosce tramonto, ma rimane come eterna comunione con Dio: "(...) quell'alta Bontà che li fea, / Li riceva quai sono, a mercè; / E vi spiri, col soffio che crea, / Quella fede che passa ogni velo, / Quella speme che more nel cielo, / Quell'amor che s'eterna con Te". Le strofe che cantano la consacrazione risaltano per la viva percezione dell'Eucaristia come mistica comunione con Cristo. Di fronte all'umile Vittima immolata e al Sangue purissimo - "Ostia umìl, Sangue innocente" - il credente avverte insieme la presenza e il nascondimento di Dio - che sono il mistero e il "dramma" stesso dell'Eucaristia - e ritrova Gesù nella condizione umana di "Figlio d'Eva" e in quella divina di "eterno Re". Egli si rende conto della propria inconsistenza: è stato tratto dal fango, è nativamente polvere, e, pure, una polvere che irresistibilmente riesce a sentire Dio e si scioglie e si consuma nella adorazione, e sulla quale implora il chinarsi dello sguardo della divina pietà: "China il guardo, Iddio pietoso, / A una polve che Ti sente, / che si perde innanzi a Te". Il testo che segue - "Prima della comunione" - accentua la forza e la profondità impressionante di questi sentimenti di adorazione e di unione con Dio. Un così stretto contatto giunge a infondere come un sacro spavento e un arcano trasporto, mentre sorge il soffio divino, che avvolge tutt'intorno: "Questo terror divino - scrive il poeta - Questo segreto ardor, / È che mi sei vicino, / È l'aura tua, Signor!". "Respirare il soffio della grazia celeste": è un'espressione di sant'Ambrogio nel suo De Cain et Abel. Nella concezione di Manzoni questa vicinanza eucaristica assume la forma del rapporto più esclusivo e unitivo, ossia il rapporto sponsale. Il Signore è lo Sposo dell'anima, che a lui anela: "Sospir dell'alma mia, / Sposo, Signor". Si tratta di una familiarità e intimità che sono in atto già nel sacramento, ma che raggiungeranno il loro vertice nell'abbraccio eterno e nel colloquio personale, a tu per tu: "(...) che fia / Nel tuo superno amplesso! / Quando di Te Tu stesso / Mi parlerai nel cor!" Gli stessi accenti muovono i versi successivi: ci si avvia alla comunione in un intreccio di confidenza amorosa e di consapevolezza del proprio nulla di fronte alla maestà divina. Il cuore è colmo di gioia indicibile e insieme è carico di trepido sgomento e dell'acuta e rinnovata coscienza del proprio peccato e del proprio essere cenere: "Con che fidente affetto / Vengo al tuo santo trono, / M'atterro al tuo cospetto, / Mio Giudice e mio Re! / Con che ineffabil gaudio / Tremo dinanzi a Te! / Cenere e colpa io sono". Possiamo sentire l'eco delle parole: "Signore, non sono degno che tu venga nel mio petto". Ciononostante, l'animo non si dispera, ma si appoggia interamente su Cristo: ora è lui che, facendo tutt'uno con chi lo ha ricevuto, prega e invoca misericordia, offrendo a Dio i propri meriti, la propria adorazione e il proprio ringraziamento: "Ma vedi chi T'implora / Chi vuole il tuo perdono, / Chi merita, Chi adora, / Chi rende grazie in me". Il poeta mostra di conoscere perfettamente la dottrina cattolica della mediazione di Gesù Cristo, che supplisce e rappresenta l'umanità dinanzi al Padre celeste. Ed ecco ritornare, negli ultimi motivi delle strofe, la figura dell'Eucaristia come un'esperienza estatica o mistica: chi la riceve possiede Dio, vive di lui, quasi si amalgama con lui e con lui respira: esattamente in questo verbo - "respirare con Dio" - crediamo di scorgere il culmine del sentimento eucaristico di Manzoni. Chi ha preso parte alla mensa eucaristica si ritrova in sé da offrire, fuso col proprio amore, lo stesso amore di Dio: "Sei mio, con Te respiro: / Vivo di Te, gran Dio! / Confuso a Te col mio / Offro il tuo stesso amor". Le strofe terminano con una appassionata invocazione: "Empi ogni mio desiro; / Parla, ché tutto intende; / dona, ché tutto attende, / Quanto T'alberga un cor". Dopo il dono del Corpo e del Sangue di Cristo, ogni parola divina può essere intesa, e ogni grazia può essere aspettata. Del Manzoni eucaristico possiamo ricordare anche i più semplici versi "per una prima comunione", composti prima del 1823 su richiesta di Luigi Tosi, suo confessore e guida spirituale, allora canonico di Sant'Ambrogio di Milano: "Vieni, o Signor, riposati: / Regna ne' nostri petti! / Sgombra da' nostri affetti / Ciò che Immortal non è. // Sei nostro! Ogni tua visita / Prepari un tuo ritorno, / Fino a quell'aureo giorno / Che ci rapisca in Te". È ancora la prospettiva dell'Eucaristia come anticipo e avvio della venuta finale e del congiungimento o dell'estasi definitivo. Ora ci spieghiamo perché Rosmini parlasse di "meraviglia di poesia e di teologia e di religiosissimo affetto". Egli si riferiva ai versi sull'offertorio ma, in realtà, abbiamo detto che il giudizio vale per tutte queste strofe. Manzoni ci ha lasciato in esse il succo di un trattato sull'Eucaristia. Se la facilità ritmica dei versi le rendeva adatte al canto dei fanciulli, in realtà l'alto contenuto dei termini trascende di molto la loro incipiente capacità di comprensione. Domanda una prolungata riflessione, che non manca di suscitare stupore e ammirazione.
(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)
Alle radici dei genocidi europei - Dove e come nasce l'odio - di Oddone Camerana – L’Osservatore Romano, 17 maggio 2009
Che la giudeofobia e l'antigiudaismo siano sentimenti dell'Occidente è un fatto sul quale non ci sono dubbi. Ma l'ostilità rivolta a Israele da molti Paesi di fede islamica, arabi e non, ci dice che quei sentimenti, ancorché nei riguardi di uno Stato e motivati dalla difesa dei fratelli palestinesi, vanno oltre i tradizionali confini occidentali. Giudeofobia e antigiudaismo sono dunque forme di un odio, di un bisogno che stanno e si formano altrove. La Russia zarista, e poi sovietica, si è macchiata anch'essa di stermini di ebrei, ma anche di non ebrei. Lo stesso dicasi per alcuni Stati africani, orientali e medio-orientali responsabili di genocidi, ma non di ebrei. Del resto il Vecchio Testamento ci fa presente come la "caduta" - letta come il peccato di farsi misura del bene e del male e di approfittarne per sentirsi autorizzati a colpire il prossimo - non appartiene al popolo ebreo, la cui storia antica è quella di chi è stato invece vittima della caduta stessa. Questi accennati non sono pensieri alla base di Genocidio. Una passione europea di Georges Bensoussan (Venezia, Marsilio, 2009, pagine 396, euro 21), ma sorgono alla lettura del suo testo, concentrato - come dice il titolo - sui genocidi europei, di cui ha sofferto il popolo ebreo soprattutto, apparso il più idoneo a subire un destino ingiusto. La centralità dell'ebreo nel subire un odio costante e insistente è un fenomeno al quale il libro di Bensoussan aggiunge pagine interessanti anche per il lettore non specializzato. Come quelle dedicate all'antigiudaismo capace di bloccare una società a partire dagli strati più bassi a quelli più alti, concordi nella ricerca di una purezza del sangue, soprattutto quando questa purezza non c'è. O quelle che descrivono la figura dell'ebreo come soggetto da incolpare o il cui ripudio è funzionale all'economia psichica di un popolo. Dal punto di vista terminologico non ci sono dubbi sul fatto che igiene razziale, eugenetica, pogrom, sterminio, genocidio siano alcune delle parole - antiche e nuove e di applicazione universale - che nei fatti trovano nell'antigiudaismo la loro espressione temporalmente più lunga, geograficamente più estesa, culturalmente più radicata, umanamente più ingiusta e sadicamente più ripetuta. Ma le cose cambiano se l'antigiudaismo cristiano viene considerato alla stregua degli altri antigiudaismi: quello ariano, quello social-darwinista, quello razziale, quello nazionalista o fascista o biologico: le principali fedi antigiudaiche cresciute nel corso del xix secolo ed esplose nel successivo. All'antigiudaismo cristiano Bensoussan dedica molte pagine che ricorrono sovente nel libro. Un capitolo specifico è riservato all'antigiudaismo sviluppatosi nella Spagna cattolica ossessionata dalla conservazione della purezza del sangue. Tra i motivi giudeofobici, l'accusa rivolta agli ebrei di deicidio non è peraltro una novità. Lo è invece l'aver Bensoussan cucito una nuova veste di antigiudaismo fatta indossare alla svolta cristiana del xii secolo, svolta per descrivere la quale l'autore risale all'opera di Marcel Gauchet La condition historique dove quest'ultimo "spiega che il miracolo della storia cristiana in Occidente fu una lenta emancipazione dell'ordine temporale rispetto all'ordine divino". "Quando il mondo terreno era in sé una finalità - continua poco dopo Bensoussan rifacendosi sempre a Gauchet - l'umanità lavorava per la propria sussistenza. Quando però, verso l'anno Mille e un po' oltre, il mondo terreno non è più esclusivamente un mezzo per la vita eterna e quando la vita quaggiù è anch'essa dotata di senso, nasce allora la necessità di un'istituzione ecclesiale che faccia da intercessione tra il quaggiù e il lassù spirituale. È solo allora che il potere della Chiesa si rafforza per formare un potente apparato temporale la cui emergenza è strettamente legata all'emarginazione di gruppi minoritari". Il principale dei quali, a parte gli eretici, è quello costituito dal "popolo testimone", gli ebrei, condannati a diventare dei "residui della storia" in vista anche della concorrenza rappresentata dalla concomitante nascita de "l'Occidente dei borghi e delle città in una economia sempre più basata sul denaro". Tutto bene, ma il risultato della svolta descritta in cui "fa la sua apparizione "la prima burocrazia occidentale" carica di "senso"", è che l'antigiudaismo perde l'unicità della motivazione deicida assumendo quella di un'ostilità fatta di gelosia culturale, ostilità che colloca il cattolicesimo in una posizione collaterale ai successivi antigiudaismi terreni e mondani nati con la Riforma, le guerre di religione, l'illuminismo. Il che risponde bene a un progetto relativistico nel quale la tradizione giudeofobica cristiana è, se così si può dire, svilita a un protagonismo ordinario nella storia. Sennonché Bensoussan cita più volte René Girard e conosce l'ipotesi formulata da quest'ultimo sul fondamento culturale del meurtre fondateur, denunciato dall'antropologia evangelica. Il fatto è che Bensoussan non tiene poi conto di come la lettura antisacrificale dei Vangeli, proposta sempre da Girard, abbia svincolato la Chiesa dalla tradizione del cristianesimo storico abitato da un Dio che punisce. Il lògos giovanneo della rinuncia alla violenza è infatti sufficiente a riservare alla tradizione cristiana e alla Chiesa l'eccezionalità di un posto, al di fuori della storia, di custodi del sacro, questa volta nella sua forma non violenta e non punitiva. Posto conteso, ancorché nella forma tradizionale del sacro violento, dai totalitarismi del XX secolo, aspiranti anch'essi a veder loro riconosciuto un posto fuori della storia nell'ordine divino. Non è andata così, bisogna prenderne atto, i totalitarismi restano quello che sono. Ciononostante i tentativi comparativistici proposti dalla cultura di porre Gesù sullo stesso piano di Dioniso, di non vedere la differenza tra il Giuseppe dell'Antico Testamento e l'Edipo del mito, e di non cogliere il senso anticipatore del sacro non violento nella rinuncia da parte della vera madre del bimbo nell'episodio del giudizio di Salomone, continuano.
(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)
MA GUARDA COSA SI INCONTRA - LA FRANCIA TIENE GRAZIE ALL’INVESTIMENTO SULLA FAMIGLIA - LUIGI CAMPIGLIO – Avvenire, 17 maggio 2009
Nel primo trimestre del 2009 l’Italia ha registrato un ulteriore declino del Pil, sceso del 2,4 percento rispetto al 4° trimestre 2008 - quasi nella media europea - e una riduzione addirittura del 5,9 percento rispetto al primo trimestre 2008, che è una percentuale decisamente superiore alla media europea. L’andamento dell’economia italiana, che finora ha tenuto più di altri, segnala perciò il rischio di un possibile cedimento che è necessario contrastare, soprattutto sul piano creditizio. Ciò che maggiormente fa riflettere tuttavia è il risultato italiano rispetto alla Francia, un paese a noi simile come dimensione ed economia, dove la riduzione del Pil è stata molto più contenuta, pari cioè al -1,2 percento, ed è riconducibile ad una forte contrazione delle esportazioni. La domanda interna delle famiglie tiene invece molto bene, al punto di registrare un leggero segno positivo, pari al + 0,2 percento. Per l’Italia la crisi è dovuta al clima di grande incertezza che si respira in giro, e che per i consumatori e le imprese si traduce in paura del futuro. All’opposto, il risultato positivo che riguarda le famiglie francesi segnala invece che esse continuano a valutare con fiducia al loro futuro: lo testimonia l’aumento consistente della domanda di beni durevoli, come le automobili o i mobili e gli accessori per la casa.
Ovvio che l’esito d’Oltralpe non spunta a caso. È il risultato di una politica fiscale volta a favore della famiglia e di cui il quoziente familiare è il perno centrale, intorno al quale ruota un’articolata e corposa gamma di iniziative specifiche mirate sulle coppie con figli. Il quoziente familiare è una misura di equità orizzontale, che corregge la progressività di imposta dovuta alla diversa dimensione familiare: il cosiddetto costo del quoziente è in realtà un’imposta aggiuntiva, in Italia subita da gran parte dei nuclei con figli. Inoltre, la Francia spende 1,4 punti di Pil più dell’Italia per famiglie e relativi bambini, il che rappresenta circa 22 miliardi di euro, il cui impatto sulla domanda interna si rivela oggi di particolare importanza.
Ma l’effetto di una vera politica familiare si espande in molteplici direzioni, la più rilevante delle quali è la natalità, che in Francia ha superato i 2 figli per donna, che poi è il livello di una popolazione stazionaria. In Italia il numero di figli per donna è invece di 1,33 (e di 2,12 nel caso di donne straniere). Quanto ai flussi migratori nel loro insieme, si rileva che il loro contributo annuo, nella Francia del 2008, è stato pari alle 76 mila unità nel 2008, mentre in Italia ha lievitato a 430mila circa.
La questione della famiglia è dunque centrale per l’economia, oltre che per la vita civile: Il problema è che nel nostro Paese, nel corso degli ultimi vent’anni, la famiglia è stata la grande dimenticata, e non si scorgono al momento segnali concreti di un’inversione di marcia. I Paesi che hanno realizzato una efficace politica per la famiglia, in genere vi si sono applicati per ragioni di sopravvivenza numerica oppure questo è il risultato positivo di politiche iniziate per altri scopi, come nel caso della Francia. In altre parole, sembra proprio valere la riflessione di John Stuart Mill, quando affermava che i politici 'per quanto onestamente disposti, sono in genere troppo occupati con cose di cui devono prendersi cura, per avere abbastanza spazio nei loro pensieri per qualunque cosa che possono senza danno tralasciare'. I minorenni, si sa, sono cittadini che non votano e dunque qualcuno pensa che li si può tralasciare. Eppure, le nazioni che dalla crisi in atto usciranno più forti saranno quelle, come la Francia, dotate di istituzioni in grado di investire nel futuro dei figli. Che sono al tempo stesso una garanzia per i loro genitori e il patrimonio d’investimento di tutto un Paese.
Eluana, la forza dei fatti: un libro per raccontarli - Che cosa è successo davvero? La storia senza censure – Avvenire, 17 maggio 2009
Un libro che vuole essere il racconto dei fatti e delle verità (a cominciare da quelle scientifiche) accertate e incontrovertibili. Eluana Englaro, infatti, è morta il 9 febbraio scorso a Udine, dopo diciassette anni di stato vegetativo, chiudendo una vicenda che ha lacerato il Paese, ma lasciando aperti gli interrogativi che hanno scosso le coscienze e diviso gli italiani: era ancora una persona o solo un involucro umano? Nutrirla e mantenerla sana era un accanimento o un diritto dovuto a lei come a qualunque disabile? La sua era vita o non-vita? La legge è stata rispettata o aggirata?
Sul mistero Eluana molti si sono ritenuti in diritto di sostenere le loro 'verità', ma a loro volta senza conoscere i fatti, spesso basandosi su notizie prive di fondamento o addirittura costruendole ad arte. Così le voci si sono sovrapposte e la verità è stata sepolta sotto mille contraddizioni, dimenticanze, omissioni, bugie. Il volume 'Eluana. I fatti', edito da Àncora e 'Avvenire' (12 euro, 144 pagine) e scritto dagli inviati di 'Avvenire' Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola, raccontando gli avvenimenti senza censure non intende gridare più forte di altri, ma offrire gli elementi sui quali ognuno potrà farsi un’opinione. È infatti un libro che nasce su impulso delle centinaia di lettori che in questi mesi hanno scritto al nostro giornale chiedendo di fare chiarezza nella ridda di voci e opporre alle mille versioni contrastanti una onesta e comprensibile della vicenda.
Tuttora ad esempio molti non sanno che Eluana non era attaccata ad alcuna 'spina': volendone la morte, era quindi necessario che venisse provocata. Così come non sanno che non era affatto malata terminale come qualcuno sosteneva - e che anzi non aveva alcuna malattia: era una disabile, come migliaia di altri casi. Anche sul suo stato fisico giornali e televisioni hanno detto e scritto di tutto. «Pesava meno di 40 chili », «il viso era tutto piagato da quelle lacerazioni che ai vecchi vengono sul sedere »...: intorno alla sua vita e al suo corpo si ballava una danza macabra quanto deformante. Facile a questo punto capire lo sgomento degli italiani, che non sapevano più a chi e a che cosa credere: Eluana il mostro o la bella addormentata? Nel suo 'sonno' apparente sentiva che cosa avveniva nella sua stanza di Lecco? Portarla a morire togliendole nutrimento e acqua è stato un atto di barbarie o la giusta decisione per chiudere una vita che era stata definita 'indegna'? E soprattutto la sua volontà - di Eluana - sarebbe davvero stata quella?
Il dibattito resta aperto. La posta in gioco adesso è qualcosa che in Italia nemmeno era mai stato concepito: il diritto di spegnere le vite che qualcuno (lo Stato, i magistrati, un genitore...) ritenesse non-vite
1) 17/05/2009 13.00.51 – Radio Vaticana – Il pensiero forte alla Terra Santa e l’appello per la situazione umanitaria in Sri Lanka: nelle parole del Papa al Regina Coeli
2) Presentazione del libro di Mons. Massimo Camisasca "Don Giussani: la sua esperienza dell’uomo e di Dio" . - Cinema-Teatro Antoniano, 15 maggio 2009
3) 14-5-2009 AsiaNews - Il papa, l’islam arabo e l’occidente - di Samir Khalil Samir
4) Gender-Mainstream. Tutto il resto è omofobia - di Vito Punzi – Tempi 12 maggio 2009
5) A conclusione del viaggio Benedetto XVI ricorda che il dialogo tra le religioni è un'esigenza di fede - In Terra Santa il desiderio di pace oltre le difficoltà - A conclusione del pellegrinaggio in Terra Santa, durante il volo verso l'aeroporto di Roma-Ciampino - dove è giunto alle 16.43 per poi fare rientro in elicottero in Vaticano - il Papa ha incontrato i giornalisti, salutandoli con le parole che pubblichiamo di seguito. – L’Osservatore Romano 17, maggio 2009
6) La prima comunione secondo Alessandro Manzoni - Con lo sgomento e la gioia di essere cenere - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 17 maggio 2009
7) Alle radici dei genocidi europei - Dove e come nasce l'odio - di Oddone Camerana – L’Osservatore Romano, 17 maggio 2009
8) MA GUARDA COSA SI INCONTRA - LA FRANCIA TIENE GRAZIE ALL’INVESTIMENTO SULLA FAMIGLIA - LUIGI CAMPIGLIO – Avvenire, 17 maggio 2009
9) Eluana, la forza dei fatti: un libro per raccontarli - Che cosa è successo davvero? La storia senza censure – Avvenire, 17 maggio 2009
17/05/2009 13.00.51 – Radio Vaticana – Il pensiero forte alla Terra Santa e l’appello per la situazione umanitaria in Sri Lanka: nelle parole del Papa al Regina Coeli
Al momento della recita del Regina Coeli, stamane il Papa ha speso significative parole sulla Terra Santa, annunciando però che parlerà di più della sua visita apostolica nella prossima udienza generale mercoledì. Ha rivolto poi un pressante appello per la drammatica crisi umanitaria nello Sri Lanka. Il servizio di Fausta Speranza: http://62.77.60.84/audio/ra/00162478.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00162478.RM
“Quella Terra, simbolo dell’amore di Dio per il suo popolo e per l’intera umanità, è anche simbolo della libertà e della pace che Dio vuole per tutti i suoi figli”: così Benedetto XVI parla della Terra Santa per poi aggiungere che “di fatto, però, la storia di ieri e di oggi mostra che proprio quella Terra è diventata anche simbolo del contrario, cioè di divisioni e di conflitti interminabili tra fratelli”. “Come è possibile questo?”: dice il Papa con dolore, affermando che “è giusto che tale interrogativo interpelli il nostro cuore, benché sappiamo – aggiunge - che un misterioso disegno di Dio concerne quella Terra, dove, come scrive san Giovanni, Egli “ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. E poi Benedetto XVI afferma:
“La Terra Santa è stata chiamata un ‘Quinto Vangelo’, perché qui possiamo vedere, anzi: toccare, la realtà della storia che Dio ha fatto con gli uomini, incominciando con i luoghi della vita di Abramo fino ai luoghi della vita di Gesù, dall’Incarnazione fino alla tomba vuota, segno della sua Risurrezione. Sì: Dio è entrato in questa terra, ha agito con noi in questo mondo. Ma possiamo dire ancora di più: la Terra Santa, per la sua stessa storia, può essere considerata un microcosmo che riassume in sé il faticoso cammino di Dio con l’umanità, un cammino che implica – con il peccato – anche la Croce. Ma con l’abbondanza dell’amore divino, sempre anche la gioia dello Spirito Santo, la Risurrezione è già iniziata ed è un cammino dalle valli della nostra sofferenza verso il Regno di Dio, regno che non è di questo mondo, ma vive in questo mondo e deve penetrarlo con la sua forza di giustizia e di pace”.
E poi, a braccio, aggiunge:
“La storia della salvezza comincia con l’elezione di un uomo – Abramo – e di un popolo – Israele. Ma la sua intenzione è l’universalità, la salvezza di tutti i popoli. La storia della salvezza è sempre marcata da questo intreccio di particolarità e di universalità”.
Ancora a braccio, altre considerazioni che toccano il tema del dialogo interreligioso:
“Temere Dio e praticare la giustizia: imparare questo e aprire così il mondo al Regno di Dio, è questo lo scopo più profondo di ogni dialogo interreligioso”.
Benedetto XVI sottolinea che il pellegrinaggio ai Luoghi Santi “è stato anche una visita pastorale ai fedeli che vivono là, un servizio all’unità dei cristiani, al dialogo con ebrei e musulmani, e alla costruzione della pace”.
“Vorrei soprattutto ringraziare il Signore, che mi ha concesso di portare a termine questo viaggio apostolico così importante. Ringrazio anche tutti coloro che hanno offerto la loro collaborazione: il Patriarca latino e i Pastori della Chiesa in Giordania, in Israele e nei Territori Palestinesi, i Francescani della Custodia di Terra Santa, le Autorità civili della Giordania, di Israele e dei Territori Palestinesi, gli Organizzatori, le Forze dell’ordine. Ringrazio i sacerdoti, i religiosi e i fedeli che mi hanno accolto con tanto affetto e quanti mi hanno accompagnato e sostenuto con la loro preghiera. Grazie a tutti dal profondo del cuore!”
Il Papa volentieri rivolge il suo pensiero al significativo viaggio appena concluso ma annuncia anche che ne parlerà “con maggiore ampiezza” mercoledì prossimo all’udienza generale.
Poi il Papa rivolge il suo pensiero allo Sri Lanka, in particolare ai civili che si trovano nella zona dei combattimenti al nord del Paese: “Si tratta – dice - di migliaia di bambini, donne, anziani, cui la guerra ha tolto anni di vita e di speranza”.
“Desidero ancora una volta rivolgere un pressante invito ai belligeranti, affinché ne facilitino l’evacuazione e unisco, a questo scopo, la mia voce a quella del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che appena qualche giorno fa ha chiesto garanzie per la loro incolumità e sicurezza. Chiedo inoltre alle istituzioni umanitarie, comprese quelle cattoliche, di non lasciare nulla d’intentato per venire incontro alle urgenti necessità alimentari e mediche dei profughi.”
Poi i saluti nelle varie lingue, tutti con un pensiero al pellegrinaggio in Terra Santa. In italiano in particolare, anche un saluto ai “numerosi soci della Federazione Italiana Donatori Associati di Sangue, che hanno celebrato il loro congresso nel cinquantenario dell’associazione”.
Presentazione del libro di Mons. Massimo Camisasca "Don Giussani: la sua esperienza dell’uomo e di Dio" . - Cinema-Teatro Antoniano, 15 maggio 2009
Quando si è richiesti di presentare un libro, si possono percorrere le seguenti strade: fare un riassunto puntuale, quasi a sostituire la lettura; prendere spunto da esso per fare considerazioni proprie circa lo stesso tema del libro; coglierne l’idea e l’ispirazione originaria e lasciarsi come provocare intellettualmente e spiritualmente da essa. Io scelgo di svolgere la mia presentazione seguendo la terza via, perché, come risulterà dal seguito del mio discorso, è quella più adeguata al libro.
Procederò nel modo seguente. Nel primo punto cercherò di individuare quella che secondo l’autore costituisce l’esperienza originaria di don Giussani. Nel secondo mostrerò come quest’esperienza abbia una coerente cifra educativa. Nel terzo cercherò di mostrare come l’esperienza originaria generi e strutturi tutto il pensiero di don Giussani. Nel quarto accennerò l’esito ultimo e più suggestivo di tutto il percorso.
1. Il libro è costruito bene secondo un paradigma genetico-storico: esso narra il carisma di don Giussani attraverso prima di tutto l’individuazione della intuizione originaria; per passare poi allo sviluppo cronologico e vitale della medesima sia nella sua logica interna sia nel confronto colle varie situazioni storiche, fino alla conclusione "mistica" [nel senso autenticamente cristiano del termine] della vicenda cristiana e sacerdotale di don Giussani. È a causa di questo impianto che la lettura di questo libro risulta essere tanto affascinante.
Cercherò allora di cogliere quella che è, secondo l’autore, l’intuizione originaria che genera tutta la vita e la proposta di don Giussani.
Ogni grande visione della realtà è incentrata attorno ad un momento spirituale primario – per esempio una idea, o un dato della nostra esperienza, o un fatto significativo dell’esistenza – che si mostra a tal punto originario, centrale e omnicomprensivo che senza di esso niente è intelligibile e sensato, e alla luce di esso ogni realtà si svela nella sua verità e trova il suo luogo giusto nell’intero universo dell’essere. Non sarebbe difficile fare esempi.
In Giussani questa chiave interpretativa del tutto non è un’idea, un’evidenza esprimibile attraverso una riflessione filosofica: è un fatto storicamente accaduto. Scrive l’autore: "si può dire che tutta la parola di don Giussani, e questo vale particolarmente per i suoi ultimi anni di vita, sia sgorgata dallo stupore per l’Incarnazione. Questo avvenimento, passato e presente, determinò il sobbalzare del suo spirito, la gratitudine del suo cuore, il movimento di tutta la sua vita" [pag. 143]. Ed infatti in Gesù, dice don Giussani, "si riallacciano e si coordinano tutti i fili, tutte le generatrici dell’universo. Chiunque instauri un punto di vista sull’universo totale, passato, presente e futuro, vede tutti gli esseri sospesi ontologicamente al Cristo e diventare definitivamente intelligibili attraverso di Lui" [cit. a pag. 123].
Forse tutto era già stato deposto in germe nel cuore di questo grande uomo, quando poco più che adolescente seminarista, ebbe quel sobbalzo interiore di cui parlò varie volte nella sua vita, quando lesse per la prima volta la poesia di Leopardi [col quale intesserà un profondo dialogo per tutta vita] "Alla sua donna", soprattutto l’ultima stanza. Anche un altro grande spirito del Novecento, don Barsotti, si confrontò lungamente con Leopardi. Se non sbaglio, sono stati solamente questi due grandi spiriti che nella Chiesa hanno capito che la proposta cristiana non poteva ignorare la "provocazione teologica" di Leopardi.
È l’incontro [categoria centrale nell’esperienza di don Giussani] con Gesù il Cristo, il Verbo incarnato, la chiave di volta di tutta la sua esistenza e proposta, come continuamente sottolinea il libro.
Ora dobbiamo vedere in che modo questo evento spirituale originario agisce sulla proposta di Giussani.
2. Prima di rispondere alla domanda – risposta che poi è il contenuto di tutto il libro – devo fare una premessa assai importante, e necessaria per capire in profondità tutta l’opera che stiamo presentando.
Uno degli elementi essenziali della Denkform cattolica è il realismo: la visione cattolica della vita è una visione realista. Un grande teologo, il Card. Leo Scheffczyk [1920-2005] così definisce il realismo cattolico: "Il realismo della salvezza afferma che la salvezza, proprio in base alla comprensione cristiana e cattolica, attraversa e lega a sé anche quella sfera che sta di fronte alla realtà ideale e spirituale, vale a dire la realtà materiale, cosmica, sensibile e storica; il sovrannaturale, divino e spirituale, si serve dunque, della realtà che gli è subordinata, ossia di ciò che è visibile, materiale e, esprimendosi in esso, lo innalza, allo stesso tempo, nella salvezza. Il significato proprio dell’espressione "realismo della salvezza" dunque deve esser volto in questa direzione che, ultimamente, fa riferimento al mistero dell’immanenza del Dio trascendente" [in Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, V&P, Milano 2007, pag. 95 ].
Leggendo il libro di Mons. Camisasca sono stato spesso tentato di pensare che il realismo della salvezza sia l’elemento che più caratterizza la proposta giussaniana.
Il libro mostra molto bene che per don Giussani o la proposta cristiana è significativa per tutta la vita, per tutti i capitoli di cui si compone la biografia di ogni uomo dalla nascita alla morte, o essa gradualmente scompare per delegittimazione esistenziale: "non è legittimata a parlare dell’uomo all’uomo, poiché essa non c’entra colla vita dell’uomo". Giussani fu di una preveggente lucidità spietata su questo punto: ebbe veramente la coraggiosa chiarezza del profeta-sentinella. Si comprende allora come sia profondamente vero quanto Mons. Camisasca scrive: "L’educazione è la cifra riassuntiva della sua [di don Giussani] esistenza" [pag. 39].
Il realismo della salvezza comporta che la proposta cristiana non può non avere il profilo dell’azione educativa, dal momento che don Giussani non si stanca di ripetere che l’educazione è "l’introduzione alla realtà" [cfr. pag. 40].
La definizione si precisa come "introduzione al Mistero". In una parola: tutto l’humanum in Cristo e Cristo nello humanum. Potrebbe essere questa la definizione dell’azione educativa cristiana, che coincide paolinamente con l’affermazione del Cristo in noi. Nella prospettiva di Giussani proposta cristiana e proposta educativa sono il concavo ed il convesso della stessa figura.
Da ciò derivano due conseguenze: accennerò alla prima e dedicherò invece ampio spazio alla seconda, come fa anche il libro.
La prima. Lo stile educativo di don Giussani [come di ogni vero e grande educatore] è uno stile, positivamente, generativo di persone libere; negativamente, che transita fra la Scilli dell’autoritarismo e la Cariddi del permissivismo, che sono i fattori che producono schiavi. Scrive molto bene l’autore: "Lo scopo dell’educazione è di portare il ragazzo a diventare adulto, "capace di far da sé di fronte al tutto"" [pag. 46].
La seconda conseguenza merita una più attenta e prolungata riflessione, perché riguarda la summa del pensiero.
3. Quanto detto finora ci aiuta a capire la struttura del pensiero di don Giussani, e nella sua logica interna e nel suo contenuto. La sua esposizione più importante è la trilogia del PerCorso. Si tratta di tre volumi giunti alla loro definitiva pubblicazione fra il 1997 e il 2003: Il senso religioso, All’origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa. Ad essi giustamente Mons. Camisasca dedica la parte centrale del suo volume.
La trilogia parte da una domanda di fondo, su cui l’autore del libro richiama a lungo l’attenzione. "Da dove partire? Ancora una volta dall’osservazione dell’uomo, da se stessi. L’uomo va osservato in azione" [pag. 54]. "I fattori costitutivi dell’umano si percepiscono là dove sono impegnati nell’azione", scrive don Giussani. Questo punto di partenza coincide singolarmente con quello della principale opera filosofica di K. Woitila: "Un’esperienza è connessa indubbiamente ad una serie di fatti che ci sono dati. Uno di essi è certamente il tutto dinamico "l’uomo agisce". Nel nostro studio partiamo appunto da questo fatto …" [Persona e atto, Rusconi Libri, Milano 1999, pag. 48-49].
Ma occorre fare bene attenzione e non dimenticare quanto ho detto nei due numeri precedenti, che individuavano la sorgente del pensiero giussaniano. Esso è un pensiero antropocentrico ma perché è cristocentrico; ed è cristocentrico perché antropocentrico. Insomma: la passione per Cristo e la passione per l’uomo sono inscindibilmente correlate.
È la grande domanda che si è piantata nel cuore dei credenti e non l’ha più lasciato: Cur Deus homo? E la risposta: ut homo fieret Deus. Il cristianesimo è il dono offerto all’uomo di una pienezza di essere che al contempo risponde adeguatamente al desiderio dell’uomo e lo supera infinitamente, per cui lo stupore è incessante.
Gesù non è soltanto la risposta all’attesa dell’uomo, né ancor meno una sua pretesa. In termini più vicini al vocabolario di Giussani. Il cristianesimo non si riduce al senso religioso: "La cosa più importante su cui costruire, su cui siamo costruiti, non è il senso religioso, ma è l’incontro con Cristo" [pag. 60].
Come si esce da questo ambito, l’ambito della proposta cristiana? In due modi pensa don Giussani. Impedendo alla propria ragione di esercitarsi secondo la misura intesa della sua capacità: "tutta la vita pubblica di Giussani ha rappresentato una battaglia in favore della ragione e di un uso non ridotto ma adeguato, di essa" [pag. 53]. Su questo Giussani ha precorso una delle grandi sfide del magistero di Benedetto XVI.
L’altro modo di uscire dall’ambito della proposta cristiana è la decisione di bastare a se stessi. Kierkegaard la chiama "disperazione o per debolezza o per ostinazione" e vede in essa la cifra distintiva della modernità che ha abbandonato il cristianesimo. Per cui molto finemente Camisasca conclude il capitolo dedicato a Il senso religioso con un testo mirabile di Giussani: "Il vero dramma è nella libertà, nella volontà che è chiamata ad aderire a questa immensa evidenza. L’uomo da solo è tentato di chiudere presto il cerchio dell’attesa, di dare presto un volto al Mistero" [cfr. pag.59].
È a questo punto che va introdotta una categoria chiave nel pensiero di Giussani, come poi prosegue nel secondo e terzo volume della Trilogia: la categoria del Mistero. Essa assieme a quella del realismo definisce la Denkform cattolica. Non posso fermarmi lungamente su questo. Mi limito ad alcune note essenziali.
Che cosa significa "Mistero"? Mistero è il fatto cristiano che può essere narrato come ogni fatto realmente accaduto, ma che ha in se stesso e per se stesso la proposta salvifica del Dio, che è sempre più grande delle e sta sempre oltre le nostre attese.
Il Mistero allora è Gesù il Cristo: la sua vita, la sua passione e morte, la sua risurrezione. Dentro la storia umana: il Mistero è la Chiesa. La Chiesa è infatti per don Giussani Gesù il Cristo che incontra oggi la persona umana. Con un’espressione molto forte, il sacerdote ambrosiano parla di una "continuità fisiologica" fra Gesù e la Chiesa.
In sostanza la tessitura concettuale del secondo e terzo volume del Percorso è tutta tesa a mostrare la possibilità reale offerta all’uomo in Cristo di incontrare il Padre. E c’è un solo modo di verificare una possibilità: provarla, sperimentarla.
L’Occidente, secondo Giussani, ha eliminato il Mistero riducendo il cristianesimo ad una proposta morale, esemplificata in Cristo: ha eliminato il Mistero, cioè, separando la proposta salvifica dalla storia. Perché in fondo lo scandalo cristiano è tutto in questo: la salvezza prende carne.
Una conseguenza particolare, ma che mi ha sempre profondamente colpito nella lettura delle opere di Giussani, è così delineata da Mons. Camisasca: "Giussani ha una capacità singolare di immedesimare l’ascoltatore con lo stesso evento evangelico, di ricreare situazioni, ambienti, di svelare ciò che non è detto ma soltanto suggerito" [pag. 68]. Questo modo di leggere la pagina evangelica non ha finalità devozionali. Esso ha la sua radice ultima, teologica, nel senso del Mistero.
4. L’autore mostra poi la coerente rilevanza che la riflessione teologico-pedagogica di don Giussani ha per alcune dimensioni essenziali della vita: il lavoro; l’impegno per l’edificazione di una società a misura d’uomo, e quindi la politica; il rapporto uomo-donna. Non voglio addentrarmi, perché mi preme maggiormente richiamare quello che secondo Mons. Camisasca ritiene essere l’esito di tutte le vicende spirituali di don Giussani. E la cosa ha avuto per me il gusto profondo di una scoperta. Non conoscevo la vicenda cristiana di don Giussani, da questo punto di vista. E ne sono grato all’autore.
Quanto Mons. Camisasca scrive negli ultimi due capitoli della sua opera è profondamente commovente.
Il grande sacerdote ambrosiano, questo struggente amante di Cristo e dell’uomo, alla fine del suo percorso ha raggiunto l’ultima profondità del Mistero. S. Tommaso dice che fra tutti gli attributi di Dio, il più divino di tutti, quello in cui si manifesta maggiormente il suo Essere, è la Misericordia. "Dio per l’uomo è misericordia e la pace in noi ha solo un nome: la misericordia di Dio" [pag. 156].
E dentro a questa sintesi di tutta l’opera di Dio, don Giussani vede illuminarsi di nuova luce la persona e la missione di Maria, Mater misericordiae, "di speranza fontana vivace".
Ho avuto in questo una nuova conferma di ciò che vado pensando e dicendo da molti anni. Tutti i grandi cristiani di una modernità che si sta dissolvendo come promessa non mantenuta, hanno portato il peso della miseria umana vivendola dentro l’esperienza della misericordia divina. Così Teresa del Bambino Gesù, così Gemma Galgani, così Padre Pio, così Teresa Benedetta Stein, così Teresa di Calcutta, così Giovanni Paolo II, così don Giussani ["Dio vincerà col suo bene il nostro male: il trionfo della misericordia"] (pag. 157).
5. Vorrei ora concludere molto semplicemente. Attraverso don Giussani Dio ha ora deposto un carisma nella sua Chiesa, un carisma che ha preso corpo nella Fraternità di CL per il bene della Chiesa.
I cristiani che ricevono carismi fondazionali sono donati perché la Chiesa tutta sia aiutata a rimanere, a dimorare dentro l’Origine per poter vivere sempre rinnovandosi. Sono itinerari nuovi verso "Ciò che è al principio". Dentro l’Origine: Deus homo, ut homo fieret Deus.
14-5-2009 AsiaNews - Il papa, l’islam arabo e l’occidente - di Samir Khalil Samir
Le critiche dei media islamici contro Benedetto XVI sono un nulla di fronte alla ricchezza della sua proposta. Nel mondo arabo è urgente il dialogo con la scienza, bloccato da secoli; nel mondo occidentale è urgente non rinchiudersi in ideologie relativiste e sprezzanti verso la fede.
Beirut (AsiaNews) - Il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa è avvolto da molte polemiche e critiche che innalzano un polverone senza far vedere la verità. In realtà il messaggio che il pontefice ha affidato ai popoli di quella terra, cristiani e musulmani, israeliani e palestinesi, è fondamentale per lo sviluppo e per la pace nella regione.
In Giordania vera fraternità fra musulmani e cristiani
In Giordania, in particolare, Benedetto XVI ha posto ancora una volta delle solide basi per la collaborazione fra musulmani e cristiani, fra oriente e occidente. Vi è una differenza notevole fra ciò che il mondo musulmano ha scritto sulla stampa e l’atteggiamento della Giordania. In molti giornali arabi si ritorna alla cosiddetta “offesa di Regensburg”, alla richiesta di scuse per l’offesa recata all’islam, ecc… Invece l’atmosfera che abbiamo visto in Giordania è stata serena, ospitale, con una buona dose di fiducia reciproca.
Il papa non ha mancato di fare l’elogio sincero degli sforzi della casa reale di Giordania, del re, del principe Al-Ghazi, della regina Rania, che lo ha accompagnato all’università di Madaba, per la benedizione della prima pietra. La stessa università cattolica di Madaba – voluta dal patriarca emerito Michel Sabbah – è segno della cordialità fra cristiani e musulmani: un’università cattolica che apre col sostegno, anche economico, della casa reale hascemita.
Ciò è frutto di una politica che è più che tolleranza verso il cristianesimo. Le mie esperienze in Giordania – l’anno scorso vi sono stato 3 volte e ho incontrato 2 volte il principe Hassan – è quella di un’atmosfera serena e amichevole, ciò che non ho trovato in nessun altro Paese islamico finora.
Questo ha permesso piccoli gesti di ospitalità e di onore verso il papa ospite. Ad esempio, per l’entrata alla Moschea “al-Hussein bin-Talal” di Amman, hanno permesso al pontefice di tenere le scarpe, stendendo una stuoia lungo tutto il percorso. Lo stesso principe al-Ghazi ha tenuto le scarpe.
L’atmosfera in Giordania ispira un messaggio del tipo: siamo tutti fratelli, beduini, cristiani, musulmani. I giordani insistono anche sul fatto che Gesù e Maria sono parte della tradizione storica del Paese, perché hanno vissuto in Giordania (v. il luogo del battesimo, Betania, ecc..) Loro sentono che questa è una terra santificata dalla presenza di Gesù e dei profeti.
Religione e scienza: affinare i “talenti critici”
Ma il discorso all’università di Madaba è davvero un punto chiave di questo pellegrinaggio. Il papa ha sottolineato varie cose, ma soprattutto l’importanza di una educazione seria e accademica di cristiani e musulmani per lo sviluppo personale, per la pace, per il progresso nella regione.
Il pontefice ha sottolineato con forza che lo sviluppo della persona passa per l’istruzione che l’università deve offrire; che la pace si costruisce con la conoscenza e lo studio più che con l’ignoranza; che il progresso integrale, materiale ed economico, politico e democratico cresce con lo studio e la conoscenza.
Egli sviluppa questo aspetto dicendo che lo scopo dell’università è trasmettere agli studenti “l’amore per la verità”, promuovere “la loro adesione ai valori”, innalzando “la loro libertà personale”.
È molto importante che in un mondo musulmano (e cristiano), spesso teocratico, il papa, prima di parlare di religione, parli di cultura e di scienza. E la scienza ha per scopo di amare la verità e scoprirla. Egli insiste che questa formazione intellettuale “affinerà i loro talenti critici, disperderà l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove”.
I “talenti critici” sono importanti nel mondo arabo: senza critica la fede può diventare fanatismo, superstizione, o addirittura manipolazione Il papa ha toccato un punto che è fondamentale per la crescita di questa regione: l’assenza di sguardo critico, porta la gente a seguire in modo politico l’uno o l’altro leader, senza domandarsi sulle esigenze di democrazia, libertà, diritti umani, convivenza. Tutti seguono religiosamente, ma senza domandarsi sulle fondamenta della propria fede; attenendosi alle tradizioni fino ad annegare la libertà di coscienza. Questo vale per tutte le religioni, non solo per l’Islam. L’ignoranza e il pregiudizio, per il papa, sono una minaccia alla pace e al dialogo.
E quando parla degli “incantesimi delle ideologie”, egli allude al modo facile con cui uno si lascia prendere dal fanatismo e dalla violenza.
Egli dice: “la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso”.
Benedetto XVI mette nello stesso contenitore tutte queste realtà, perché tutto può essere sfigurato – anche la scienza. Ciò che è importante per lui è comunque non lasciare che la religione sia sfigurata dall’ignoranza e dall’abuso.
Necessità di una “sapienza etica”
Parlando alla Moschea di Amman egli dice anche che le società laiche pretendono spesso che solo la religione è causa di violenza. In verità ciò avviene solo se la religione si lascia “sfigurare”, ma questo è il rischio di tutte le conoscenze. Per questo il papa esorta con la Lettera ai Filippesi (4,8) di essere attenti a “tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, che merita lode” Egli consiglia a cristiani e musulmani di non avere paura della scienza, di aprire le loro menti, anche se si mette a rischio la propria fede. Questo messaggio è coraggioso in una società come quella araba che rischia di trovare nella religione un rifugio.
Ma il suo messaggio è rivolto anche verso la scienza, che rischia spesso di trasformarsi in un’ideologia senza etica o apertura a Dio.
Questo è un elemento presente anche a Regensburg. Il papa sottolinea che anche la scienza “ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza”.
Per questo l’uso della conoscenza scientifica ha bisogno della luce orientatrice della “sapienza etica”. “Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento”.
Il papa spiega questa “sapienza etica” con il giuramento di Ippocrate, un pagano del III secolo a.C.; poi parla della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del ’48, una dichiarazione laica; la Convenzione di Ginevra sui comportamenti in caso di conflitto, che è anch’essa laica. Egli non si riferisce ad elementi religiosi. Così suggerisce che la sapienza etica può essere indipendente dalla religione. Questa sottolineatura è importante in una società musulmana o cristiano-tradizionale: significa che il dialogo è a 360 gradi, con tutti, anche con chi non crede. Ma a quelli che non credono dice che non è possibile agire senza etica, o senza fondamenti religiosi, perché in tal modo viene a mancare qualcosa di essenziale nella formazione umana.
La religione ha soffocato l’uomo arabo
La funzione dell’università cattolica è formare “uomini e donne qualificati, sia cristiani che musulmani o di altre religioni”. Non è un messaggio solo per l’Islam. Questa sottolineatura a non lasciare che la religione sia sfigurata; ad accettare la sfida della scienza per avere uno sguardo critico; a ricercare un’etica religiosa e laica per creare una comunità da diverse religioni e non credenti, mi pare un discorso importante nel nostro mondo arabo.
Quelli citati dal papa sono i valori che molti oggi ricercano e che noi arabi abbiamo vissuto in passato (dal 1860 al 1950, con il cosiddetto ‘Rinascimento’, Nahda), oppure nell’epoca medievale (dal IX all’XI secolo): allora abbiamo vissuto un rapporto vivo fra scienza e religione, con reciproche messe in questione, in un dialogo critico, con delle sfide. Ma da mezzo secolo circa, questo dialogo è scomparso, sia a livello scientifico, sia a livello religioso.
Alcuni anni fa studiosi arabi hanno fatto un’analisi della situazione della conoscenza scientifica nel mondo arabo e hanno scritto un rapporto catastrofico: dalla scuola elementare all’università, tutti si chiedono quale sia il contributo del mondo arabo alla conoscenza universale e ci accorgiamo che esso è inesistente. Più recentemente, il 3 marzo scorso, il giornalista algerino Anwar Malek, sulla tv Al-Jazeera, ha fustigato gli Arabi per non aver contribuito in nessun modo al progresso in questo secolo.
Siamo davvero regrediti dal punto di vista scientifico. E nel campo religioso, siamo soffocati da una religione formalista, sempre più comandata dall’esterno, attenta all’apparenza (portare il velo, la barba, il burqa, o il Niqab), a tutte le infinite regole che gli imam danno con le loro fatwa. Ormai su tutti i più piccoli aspetti della vita sociale e privata si emettono delle fatwa: è vietato usare il rossetto; depilarsi le sopracciglia; mangiare con un cristiano; vivere insieme fra sciiti e sunniti… Decine e decine di fatwa sono emesse sul vestire, sul modo di fare l’amore fra marito e moglie, sui rapporti economici… Tutto questo sta soffocando la libertà e si manifesta con l’assenza di scienza, democrazia e libertà.
Spazio alla fede nelle società occidentali
Il discorso semplice, umile e coraggioso del papa, dà il benvenuto alla scienza, allo spirito critico, alla libertà, domandando a tutti di cercare quello che è bello, nobile e giusto. Allo stesso tempo, egli proclama il diritto di manifestare la fede, spingendo il mondo non religioso a trovare dei fondamenti etici. Per me questo messaggio di Benedetto XVI è un prolungamento del discorso di Regensburg sul rapporto fra fede e ragione. Lì, egli aveva sviluppato il tema in ambiente cristiano e occidentale; qui lo ha ampliato in un ambiente musulmano.
Ridurre questo messaggio a “qualcosa che serve solo per i musulmani” significa essere miopi. Il papa ha parlato per tutto il mondo, anche per quello occidentale, che continua ad annegare nel relativismo, nella mancanza di fede e nel disprezzo per le religioni. A questo proposito, nel suo discorso alla Moschea al-Hussein bin-Talal egli ha messo in guardia dal pericolo del laicismo: “non possiamo non essere preoccupati – ha detto – per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è”.
Questa è una critica chiarissima al relativismo e all’ateismo dell’occidente. Ma egli corregge anche i musulmani, riconoscendo che c’è qualche verità in questa posizione laica: “Tuttavia – aggiunge - non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società?”. Ma precisa che non è la religione tout court il problema, ma “la manipolazione della religione”.
“Musulmani e cristiani – egli dice infine – devono oggi impegnarsi per essere individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera, desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente, misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia”.
In ciò vi è l’affermazione che adorare Dio nella società è un diritto. Come c’è un diritto di praticare la non religione, così c’è anche il diritto di praticare la religione.
Gender-Mainstream. Tutto il resto è omofobia - di Vito Punzi – Tempi 12 maggio 2009
I tentativi di limitare la libertà d’opinione nella Germania che nel 2009 festeggia in un sol colpo sessant’anni di Repubblica federale e vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino si fanno sempre più frequenti. Non è un caso che molti commentatori, anziché tornare a macinare l’ormai trita e ritrita denuncia della presunta riunificazione “violenta” imposta dalla Germania capitalista dal 1990 in poi, oggi preferiscano dettagliare i pesanti retaggi sopravvissuti al socialismo reale della Germania orientale. Il celebre giornalista Hugo Müller-Vogg si è spinto fino a immaginare una futura e neanche troppo inverosimile “Repubblica popolare tedesca” (vedi Tempi del 23 aprile http://www.tempi.it/esteri/006471-la-solitudine-di-angela ).
Un episodio che ha mostrato fino a che punto possa essere illiberale e antidemocratica la tendenza a considerare censurabile tutto ciò che si discosta dal mainstream si è verificato l’anno scorso, quando Monika Hoffmann e Konstantin Mascher, dell’Istituto tedesco per la gioventù e la società di Reichelsheim, dovettero rinunciare alla libera manifestazione del proprio pensiero e alla comunicazione dei risultati delle proprie ricerche scientifiche ed esperienze terapeutiche. I due erano stati invitati a tenere un seminario dal titolo “Comprendere l’omosessualità. Una chance per il cambiamento” nell’ambito della quinta edizione del “Christival”, il congresso organizzato a Brema da un’associazione di giovani cristiani protestanti proprio nei primi giorni di maggio del 2008. Già in quell’occasione la lobby omosessuale (che con grande facilità si autodefinisce, a seconda della circostanze, anche “femminista” e “antifascista”) ebbe modo di dimostrare tutta la propria capacità d’influenza sulla società tedesca, ottenendo che i due relatori fossero silenziati. Portavoce della “rivolta” fu allora il deputato al Bundestag per i Grünen Volker Beck, il quale chiese in particolare al ministro per la Famiglia Ursula von der Leyen il ritiro del patrocinio concesso al “Christival”, perché a suo dire nel contesto del congresso si sarebbero tenuti «pericolosi corsi di psicologia» – così Beck – e sarebbero state avanzate «proposte ostili nei confronti di minoranze», ostili in quanto escogitate con l’intento di proporre «la guarigione dall’omosessualità». L’esito di questa campagna fu, appunto, che Hoffmann e Mascher dovettero rinunciare al loro seminario e il resto del programma di “Christival” poté essere svolto solo grazie alla presenza della polizia.
La stessa situazione si sta ripetendo in questi giorni in occasione del sesto Congresso internazionale per la psicoterapia e l’assistenza spirituale, organizzato dal 20 al 24 maggio prossimi all’università di Marburg dalla Akademie für Psychotherapie und Seelsorge, un’istituzione che promuove «l’incontro tra la psicoterapia e la cura cristiana delle persone nella ricerca scientifica e nell’esperienza». L’offensiva del mondo gay organizzato non si è fatta attendere neppure questa volta e si è scatenata di nuovo contro il diritto di parola di coloro che la lobby omosessuale ritiene rei di voler giustificare scientificamente o clinicamente l’“inversione dei poli”, la possibilità cioè che gli omosessuali che vivono nel disagio e nella sofferenza per la propria condizione possano essere aiutati, in un percorso terapeutico, a diventare etero.
Rappresentanti dei Verdi dell’Assia e lo Lsvd (l’Unione dei gay e delle lesbiche tedeschi) si sono dunque scagliati in particolare contro due dei numerosi relatori del convegno di Marburg, Markus Hoffmann, dell’Associazione “Wüstenstrom e. V.”, e Christl Vonholdt, del Deutschen Institut für Jugend und Gesellschaft (lo stesso di Kostantin Mascher, censurato a Brema nel 2008). Le istituzioni d’appartenenza dei due psicoterapeuti, secondo la Lsvd, sarebbero colpevoli di opporsi alla tesi che vuole «la persona omosessuale come genere», un genere da accostare a quello maschile e a quello femminile. In particolare lo Lsvd ha scritto una lettera aperta datata 24 marzo 2009 indirizzata al sindaco di Marburg, al rettore dell’università e al direttore del dipartimento di Psicologia chiedendo espressamente di rinunciare ad ospitare il congresso, poiché «lesivo del buon nome della città e della sua università».
«Lasciateci l’autodeterminazione»
Visto il precedente di Brema, sarebbe stato fin troppo scontato immaginare anche per questa battaglia un finale con censura. Ma così non è stato. Almeno finora. E questo grazie soprattutto all’iniziativa partita da alcune personalità del mondo culturale, politico e sociale tedesco. Si tratta per lo più di cattolici e protestanti, ma non solo, che hanno dato vita all’iniziativa “Per la libertà e l’autodeterminazione – Contro le aspirazioni totalitarie delle associazioni omosessuali”, diffusa e proposta alla pubblica sottoscrizione attraverso il forum d’informazione cristiana Medrum (www.medrum.de). Tra i primi firmatari il filosofo Robert Spaemann, il costituzionalista Martin Kriele, il teologo e direttore dell’Istituto internazionale per la libertà religiosa Thomas Schirrmacher, la filosofa della religione Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, il deputato della Csu Norbert Geis, il teologo evangelico Theo Sorg, la pubblicista Gabriele Kuby. A questi, ad oggi, si sono aggiunti oltre mille firmatari. Con il “manifesto” che riassume i contenuti dell’iniziativa i sottoscrittori dichiarano esplicitamente di non avere «nulla contro la dignità delle persone con orientamento omosessuale e contro la loro libertà di praticare vita omosessuale» ma di trovare piuttosto contraddittorio il fatto che il movimento a favore del “gender-mainstreaming”, appositamente nato per difendere la libertà di scelta dell’orientamento sessuale, si batta contro la possibilità di un cambiamento, attraverso metodi terapeutici, dall’omosessualità all’eterosessualità.
Il “manifesto” protesta esplicitamente contro lo Lsvd e tutti coloro che se ne rendono cassa di risonanza (giornalisti, politici e scienziati) per il discredito gettato su ricercatori e terapeuti con diversa posizione culturale, per le accuse gratuite di «omofobia» rovesciate su di loro e per il «clima di paura e di odio» creato attorno al prossimo congresso di Marburg. Il sostegno all’iniziativa promossa da Medrum sta dando importanti risultati. Il giudice della Corte costituzionale Ernst-Wolfgang Böckenförde ha definito «inammissibile» il tentativo di «impedire la libertà d’opinione e di confronto scientifico» e anche il sindaco di Marburg, Egon Vaupel, ha preso le difese dell’università spiegando di non vedere «alcun motivo per vietare lo svolgimento del congresso». Questa volta la censura sembra dunque scongiurata, ma difficilmente la battaglia per la libertà di espressione promossa da Spaemann & co. può considerarsi conclusa.
TEMPI 12 Maggio 2009
A conclusione del viaggio Benedetto XVI ricorda che il dialogo tra le religioni è un'esigenza di fede - In Terra Santa il desiderio di pace oltre le difficoltà - A conclusione del pellegrinaggio in Terra Santa, durante il volo verso l'aeroporto di Roma-Ciampino - dove è giunto alle 16.43 per poi fare rientro in elicottero in Vaticano - il Papa ha incontrato i giornalisti, salutandoli con le parole che pubblichiamo di seguito. – L’Osservatore Romano 17, maggio 2009
Cari amici,
grazie per il vostro lavoro. Immagino quanto sia stato difficile, circondato com'era da tanti problemi, tanti trasferimenti, ecc., e vorrei ringraziarvi perché avete accettato tutte queste difficoltà per informare il mondo su questo pellegrinaggio, invitando così anche altri al pellegrinaggio in questi luoghi santi. Ho già fatto un breve riassunto di questo viaggio nel discorso all'aeroporto, non vorrei aggiungere molto. Potrei citare tanti, molti dettagli: la commovente discesa nel punto più profondo della terra, al Giordano, che per noi è anche un simbolo della discesa di Dio, della discesa di Cristo nei punti più profondi dell'esistenza umana. Il Cenacolo, dove il Signore ci ha donato l'Eucaristia, dove c'è stata la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo; poi il Santo Sepolcro, e tante altre impressioni, ma mi sembra che non sia il momento di soffermarcisi. Forse, tuttavia, qualche breve accenno potrei farlo. Tre sono le impressioni fondamentali: la prima è che ho trovato dappertutto, in tutti gli ambienti, musulmani, cristiani, ebrei, una decisa disponibilità al dialogo interreligioso, all'incontro, alla collaborazione tra le religioni. Ed è importante che tutti vedano questo, non solo come un'azione - diciamo - ispirata a motivi politici nella situazione data, ma come frutto dello stesso nucleo della fede, perché credere in un unico Dio che ha creato tutti noi, Padre di tutti noi, credere in questo Dio che ha creato l'umanità come una famiglia, credere che Dio è amore e vuole che l'amore sia la forza dominante nel mondo, implica questo incontro, questa necessità dell'incontro, del dialogo, della collaborazione come esigenza della fede stessa. Secondo punto: ho trovato anche un clima ecumenico molto incoraggiante. Abbiamo avuto tanti incontri con il mondo ortodosso con grande cordialità; ho potuto anche parlare con un rappresentante della Chiesa anglicana e due rappresentanti luterani, e si vede che proprio questo clima della Terra Santa incoraggia anche l'ecumenismo. E terzo punto: ci sono grandissime difficoltà - lo sappiamo, lo abbiamo visto e sentito. Ma ho anche visto che c'è un profondo desiderio di pace da parte di tutti. Le difficoltà sono più visibili e non dobbiamo nasconderle: ci sono, devono essere chiarite. Ma non è così visibile il desiderio comune della pace, della fraternità, e mi sembra dobbiamo parlare anche di questo, incoraggiare tutti in questa volontà per trovare le soluzioni certamente non facili a queste difficoltà. Sono venuto come pellegrino di pace. Il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni. Lo è anche dell'islam, della religione ebraica, del cristianesimo. È anche l'immagine della nostra esistenza, che è un camminare in avanti, verso Dio e così verso la comunione dell'umanità. Sono venuto come pellegrino e spero che molti seguano queste tracce e così incoraggino l'unità dei popoli di questa Terra Santa e diventino a loro volta messaggeri di pace. Grazie!
(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)
La prima comunione secondo Alessandro Manzoni - Con lo sgomento e la gioia di essere cenere - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano, 17 maggio 2009
Di tutte le strofe che Manzoni, in vario tempo, compose "per una prima comunione", si potrebbe affermare quello che Antonio Rosmini diceva riferendosi ai versi per l'offertorio: "Una meraviglia di poesia e di teologia e di religiosissimo affetto". L'ispirazione lirica, la precisione dottrinale e la ripetuta emozione mistica che le pervadono, rivelano quanto il poeta fosse attratto dal mistero dell'Eucaristia. L'impianto dei versi - ottonari o decasillabi o settenari - è molto semplice: d'altronde, erano stati richiesti da don Giulio Ratti, canonico della parrocchia milanese di San Fedele, perché fossero musicati e cantati dai comunicandi, come infatti avvenne il 10 maggio 1832. Manzoni, poi, al primo gruppo di strofe ne aggiunse un secondo nel 1834 e un terzo nel 1850. E, tuttavia, il disegno d'insieme, la sostanza delle singole parole accuratamente scelte e, infine, il tessuto tematico ed emotivo si rivelano di una ricchezza e suggestione straordinarie. L'Eucaristia: una nuova incarnazione e una reiterata discesa di Cristo dal cielo. Con questa visione si aprono i primi versi delle strofe "Prima della Messa": "Sì, Tu scendi ancor dal cielo; / Sì, Tu vivi ancor tra noi". Il pane e il vino non sono che un'apparenza: "Solo appar, non è, quel velo", e ne è certa la fede, che accoglie le indubitabili parole del Signore: "Tu l'hai detto; il credo, il so". Avviene, nella Messa, la transustanziazione, di cui il poeta coglie ed esalta perfettamente l'origine e il senso. Essa è un miracolo, che proviene dall'onnipotenza di Dio e dal suo amore inesausto, ossia - e l'espressione è splendida - dall'amore onnipotente: "So che tutto puoi, / Che ami ognora i tuoi credenti, / Che s'addicono i portenti / A un amor che tutto può". È quanto Manzoni afferma riguardo alla grazia dell'immacolata concezione di Maria: il medesimo "Amor che può tutto" l'ha collocata "più su del perdono". Basterebbe avvertire questo "amor che tutto può" come genesi della "mirabile e singolare" conversione eucaristica, per intendere decentemente il significato del termine transustanziazione, per accorgersi di quanto siano vane le avversioni di teologi e liturgisti contro questo linguaggio "scolastico" e "tridentino". Ogni Eucaristia col portentoso mutamento che in essa avviene è il segno che Dio non cessa di amarci. Il momento dell'offertorio è compreso da Manzoni come il momento dell'avvicendamento dei doni. In quel rito si presentano a Dio il pane e il vino; o, meglio, Dio si riprende il suo stesso dono: la sua grandezza, infatti, e la sua santità e bontà hanno tratto dallo "stelo" "la spiga fiorita" e nascosto nel tralcio il tesoro dell'uva. Ma quei doni ci sono, con uno scambio mirabile, comunque, restituiti, dopo che l'onnipotente amore li ha trasformati: "Tu (...) in cambio, qual cambio! ci rendi / Il tuo Corpo, il tuo Sangue, o Signore". L'offertorio non è però un'offerta soltanto del pane e del vino: "Anche i cor che T'offriamo son tuoi" - lo proclamiamo incominciando il prefazio: "In alto i nostri cuori". Certo, non sono cuori innocenti: il nostro peccato li ha deturpati: "Ah! il tuo dono fu guasto da noi". E, pure, li rimettiamo ugualmente, così come sono, e quale pegno di misericordia divina, alla profonda bontà che li ha plasmati. È un affidamento accompagnato dalla preghiera perché questa stessa bontà, con l'alito creatore dell'inizio, vi infonda una fede capace di oltrepassare le apparenze visibili, una speranza che matura nel possesso dei beni celesti, e un amore che invece non conosce tramonto, ma rimane come eterna comunione con Dio: "(...) quell'alta Bontà che li fea, / Li riceva quai sono, a mercè; / E vi spiri, col soffio che crea, / Quella fede che passa ogni velo, / Quella speme che more nel cielo, / Quell'amor che s'eterna con Te". Le strofe che cantano la consacrazione risaltano per la viva percezione dell'Eucaristia come mistica comunione con Cristo. Di fronte all'umile Vittima immolata e al Sangue purissimo - "Ostia umìl, Sangue innocente" - il credente avverte insieme la presenza e il nascondimento di Dio - che sono il mistero e il "dramma" stesso dell'Eucaristia - e ritrova Gesù nella condizione umana di "Figlio d'Eva" e in quella divina di "eterno Re". Egli si rende conto della propria inconsistenza: è stato tratto dal fango, è nativamente polvere, e, pure, una polvere che irresistibilmente riesce a sentire Dio e si scioglie e si consuma nella adorazione, e sulla quale implora il chinarsi dello sguardo della divina pietà: "China il guardo, Iddio pietoso, / A una polve che Ti sente, / che si perde innanzi a Te". Il testo che segue - "Prima della comunione" - accentua la forza e la profondità impressionante di questi sentimenti di adorazione e di unione con Dio. Un così stretto contatto giunge a infondere come un sacro spavento e un arcano trasporto, mentre sorge il soffio divino, che avvolge tutt'intorno: "Questo terror divino - scrive il poeta - Questo segreto ardor, / È che mi sei vicino, / È l'aura tua, Signor!". "Respirare il soffio della grazia celeste": è un'espressione di sant'Ambrogio nel suo De Cain et Abel. Nella concezione di Manzoni questa vicinanza eucaristica assume la forma del rapporto più esclusivo e unitivo, ossia il rapporto sponsale. Il Signore è lo Sposo dell'anima, che a lui anela: "Sospir dell'alma mia, / Sposo, Signor". Si tratta di una familiarità e intimità che sono in atto già nel sacramento, ma che raggiungeranno il loro vertice nell'abbraccio eterno e nel colloquio personale, a tu per tu: "(...) che fia / Nel tuo superno amplesso! / Quando di Te Tu stesso / Mi parlerai nel cor!" Gli stessi accenti muovono i versi successivi: ci si avvia alla comunione in un intreccio di confidenza amorosa e di consapevolezza del proprio nulla di fronte alla maestà divina. Il cuore è colmo di gioia indicibile e insieme è carico di trepido sgomento e dell'acuta e rinnovata coscienza del proprio peccato e del proprio essere cenere: "Con che fidente affetto / Vengo al tuo santo trono, / M'atterro al tuo cospetto, / Mio Giudice e mio Re! / Con che ineffabil gaudio / Tremo dinanzi a Te! / Cenere e colpa io sono". Possiamo sentire l'eco delle parole: "Signore, non sono degno che tu venga nel mio petto". Ciononostante, l'animo non si dispera, ma si appoggia interamente su Cristo: ora è lui che, facendo tutt'uno con chi lo ha ricevuto, prega e invoca misericordia, offrendo a Dio i propri meriti, la propria adorazione e il proprio ringraziamento: "Ma vedi chi T'implora / Chi vuole il tuo perdono, / Chi merita, Chi adora, / Chi rende grazie in me". Il poeta mostra di conoscere perfettamente la dottrina cattolica della mediazione di Gesù Cristo, che supplisce e rappresenta l'umanità dinanzi al Padre celeste. Ed ecco ritornare, negli ultimi motivi delle strofe, la figura dell'Eucaristia come un'esperienza estatica o mistica: chi la riceve possiede Dio, vive di lui, quasi si amalgama con lui e con lui respira: esattamente in questo verbo - "respirare con Dio" - crediamo di scorgere il culmine del sentimento eucaristico di Manzoni. Chi ha preso parte alla mensa eucaristica si ritrova in sé da offrire, fuso col proprio amore, lo stesso amore di Dio: "Sei mio, con Te respiro: / Vivo di Te, gran Dio! / Confuso a Te col mio / Offro il tuo stesso amor". Le strofe terminano con una appassionata invocazione: "Empi ogni mio desiro; / Parla, ché tutto intende; / dona, ché tutto attende, / Quanto T'alberga un cor". Dopo il dono del Corpo e del Sangue di Cristo, ogni parola divina può essere intesa, e ogni grazia può essere aspettata. Del Manzoni eucaristico possiamo ricordare anche i più semplici versi "per una prima comunione", composti prima del 1823 su richiesta di Luigi Tosi, suo confessore e guida spirituale, allora canonico di Sant'Ambrogio di Milano: "Vieni, o Signor, riposati: / Regna ne' nostri petti! / Sgombra da' nostri affetti / Ciò che Immortal non è. // Sei nostro! Ogni tua visita / Prepari un tuo ritorno, / Fino a quell'aureo giorno / Che ci rapisca in Te". È ancora la prospettiva dell'Eucaristia come anticipo e avvio della venuta finale e del congiungimento o dell'estasi definitivo. Ora ci spieghiamo perché Rosmini parlasse di "meraviglia di poesia e di teologia e di religiosissimo affetto". Egli si riferiva ai versi sull'offertorio ma, in realtà, abbiamo detto che il giudizio vale per tutte queste strofe. Manzoni ci ha lasciato in esse il succo di un trattato sull'Eucaristia. Se la facilità ritmica dei versi le rendeva adatte al canto dei fanciulli, in realtà l'alto contenuto dei termini trascende di molto la loro incipiente capacità di comprensione. Domanda una prolungata riflessione, che non manca di suscitare stupore e ammirazione.
(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)
Alle radici dei genocidi europei - Dove e come nasce l'odio - di Oddone Camerana – L’Osservatore Romano, 17 maggio 2009
Che la giudeofobia e l'antigiudaismo siano sentimenti dell'Occidente è un fatto sul quale non ci sono dubbi. Ma l'ostilità rivolta a Israele da molti Paesi di fede islamica, arabi e non, ci dice che quei sentimenti, ancorché nei riguardi di uno Stato e motivati dalla difesa dei fratelli palestinesi, vanno oltre i tradizionali confini occidentali. Giudeofobia e antigiudaismo sono dunque forme di un odio, di un bisogno che stanno e si formano altrove. La Russia zarista, e poi sovietica, si è macchiata anch'essa di stermini di ebrei, ma anche di non ebrei. Lo stesso dicasi per alcuni Stati africani, orientali e medio-orientali responsabili di genocidi, ma non di ebrei. Del resto il Vecchio Testamento ci fa presente come la "caduta" - letta come il peccato di farsi misura del bene e del male e di approfittarne per sentirsi autorizzati a colpire il prossimo - non appartiene al popolo ebreo, la cui storia antica è quella di chi è stato invece vittima della caduta stessa. Questi accennati non sono pensieri alla base di Genocidio. Una passione europea di Georges Bensoussan (Venezia, Marsilio, 2009, pagine 396, euro 21), ma sorgono alla lettura del suo testo, concentrato - come dice il titolo - sui genocidi europei, di cui ha sofferto il popolo ebreo soprattutto, apparso il più idoneo a subire un destino ingiusto. La centralità dell'ebreo nel subire un odio costante e insistente è un fenomeno al quale il libro di Bensoussan aggiunge pagine interessanti anche per il lettore non specializzato. Come quelle dedicate all'antigiudaismo capace di bloccare una società a partire dagli strati più bassi a quelli più alti, concordi nella ricerca di una purezza del sangue, soprattutto quando questa purezza non c'è. O quelle che descrivono la figura dell'ebreo come soggetto da incolpare o il cui ripudio è funzionale all'economia psichica di un popolo. Dal punto di vista terminologico non ci sono dubbi sul fatto che igiene razziale, eugenetica, pogrom, sterminio, genocidio siano alcune delle parole - antiche e nuove e di applicazione universale - che nei fatti trovano nell'antigiudaismo la loro espressione temporalmente più lunga, geograficamente più estesa, culturalmente più radicata, umanamente più ingiusta e sadicamente più ripetuta. Ma le cose cambiano se l'antigiudaismo cristiano viene considerato alla stregua degli altri antigiudaismi: quello ariano, quello social-darwinista, quello razziale, quello nazionalista o fascista o biologico: le principali fedi antigiudaiche cresciute nel corso del xix secolo ed esplose nel successivo. All'antigiudaismo cristiano Bensoussan dedica molte pagine che ricorrono sovente nel libro. Un capitolo specifico è riservato all'antigiudaismo sviluppatosi nella Spagna cattolica ossessionata dalla conservazione della purezza del sangue. Tra i motivi giudeofobici, l'accusa rivolta agli ebrei di deicidio non è peraltro una novità. Lo è invece l'aver Bensoussan cucito una nuova veste di antigiudaismo fatta indossare alla svolta cristiana del xii secolo, svolta per descrivere la quale l'autore risale all'opera di Marcel Gauchet La condition historique dove quest'ultimo "spiega che il miracolo della storia cristiana in Occidente fu una lenta emancipazione dell'ordine temporale rispetto all'ordine divino". "Quando il mondo terreno era in sé una finalità - continua poco dopo Bensoussan rifacendosi sempre a Gauchet - l'umanità lavorava per la propria sussistenza. Quando però, verso l'anno Mille e un po' oltre, il mondo terreno non è più esclusivamente un mezzo per la vita eterna e quando la vita quaggiù è anch'essa dotata di senso, nasce allora la necessità di un'istituzione ecclesiale che faccia da intercessione tra il quaggiù e il lassù spirituale. È solo allora che il potere della Chiesa si rafforza per formare un potente apparato temporale la cui emergenza è strettamente legata all'emarginazione di gruppi minoritari". Il principale dei quali, a parte gli eretici, è quello costituito dal "popolo testimone", gli ebrei, condannati a diventare dei "residui della storia" in vista anche della concorrenza rappresentata dalla concomitante nascita de "l'Occidente dei borghi e delle città in una economia sempre più basata sul denaro". Tutto bene, ma il risultato della svolta descritta in cui "fa la sua apparizione "la prima burocrazia occidentale" carica di "senso"", è che l'antigiudaismo perde l'unicità della motivazione deicida assumendo quella di un'ostilità fatta di gelosia culturale, ostilità che colloca il cattolicesimo in una posizione collaterale ai successivi antigiudaismi terreni e mondani nati con la Riforma, le guerre di religione, l'illuminismo. Il che risponde bene a un progetto relativistico nel quale la tradizione giudeofobica cristiana è, se così si può dire, svilita a un protagonismo ordinario nella storia. Sennonché Bensoussan cita più volte René Girard e conosce l'ipotesi formulata da quest'ultimo sul fondamento culturale del meurtre fondateur, denunciato dall'antropologia evangelica. Il fatto è che Bensoussan non tiene poi conto di come la lettura antisacrificale dei Vangeli, proposta sempre da Girard, abbia svincolato la Chiesa dalla tradizione del cristianesimo storico abitato da un Dio che punisce. Il lògos giovanneo della rinuncia alla violenza è infatti sufficiente a riservare alla tradizione cristiana e alla Chiesa l'eccezionalità di un posto, al di fuori della storia, di custodi del sacro, questa volta nella sua forma non violenta e non punitiva. Posto conteso, ancorché nella forma tradizionale del sacro violento, dai totalitarismi del XX secolo, aspiranti anch'essi a veder loro riconosciuto un posto fuori della storia nell'ordine divino. Non è andata così, bisogna prenderne atto, i totalitarismi restano quello che sono. Ciononostante i tentativi comparativistici proposti dalla cultura di porre Gesù sullo stesso piano di Dioniso, di non vedere la differenza tra il Giuseppe dell'Antico Testamento e l'Edipo del mito, e di non cogliere il senso anticipatore del sacro non violento nella rinuncia da parte della vera madre del bimbo nell'episodio del giudizio di Salomone, continuano.
(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)
MA GUARDA COSA SI INCONTRA - LA FRANCIA TIENE GRAZIE ALL’INVESTIMENTO SULLA FAMIGLIA - LUIGI CAMPIGLIO – Avvenire, 17 maggio 2009
Nel primo trimestre del 2009 l’Italia ha registrato un ulteriore declino del Pil, sceso del 2,4 percento rispetto al 4° trimestre 2008 - quasi nella media europea - e una riduzione addirittura del 5,9 percento rispetto al primo trimestre 2008, che è una percentuale decisamente superiore alla media europea. L’andamento dell’economia italiana, che finora ha tenuto più di altri, segnala perciò il rischio di un possibile cedimento che è necessario contrastare, soprattutto sul piano creditizio. Ciò che maggiormente fa riflettere tuttavia è il risultato italiano rispetto alla Francia, un paese a noi simile come dimensione ed economia, dove la riduzione del Pil è stata molto più contenuta, pari cioè al -1,2 percento, ed è riconducibile ad una forte contrazione delle esportazioni. La domanda interna delle famiglie tiene invece molto bene, al punto di registrare un leggero segno positivo, pari al + 0,2 percento. Per l’Italia la crisi è dovuta al clima di grande incertezza che si respira in giro, e che per i consumatori e le imprese si traduce in paura del futuro. All’opposto, il risultato positivo che riguarda le famiglie francesi segnala invece che esse continuano a valutare con fiducia al loro futuro: lo testimonia l’aumento consistente della domanda di beni durevoli, come le automobili o i mobili e gli accessori per la casa.
Ovvio che l’esito d’Oltralpe non spunta a caso. È il risultato di una politica fiscale volta a favore della famiglia e di cui il quoziente familiare è il perno centrale, intorno al quale ruota un’articolata e corposa gamma di iniziative specifiche mirate sulle coppie con figli. Il quoziente familiare è una misura di equità orizzontale, che corregge la progressività di imposta dovuta alla diversa dimensione familiare: il cosiddetto costo del quoziente è in realtà un’imposta aggiuntiva, in Italia subita da gran parte dei nuclei con figli. Inoltre, la Francia spende 1,4 punti di Pil più dell’Italia per famiglie e relativi bambini, il che rappresenta circa 22 miliardi di euro, il cui impatto sulla domanda interna si rivela oggi di particolare importanza.
Ma l’effetto di una vera politica familiare si espande in molteplici direzioni, la più rilevante delle quali è la natalità, che in Francia ha superato i 2 figli per donna, che poi è il livello di una popolazione stazionaria. In Italia il numero di figli per donna è invece di 1,33 (e di 2,12 nel caso di donne straniere). Quanto ai flussi migratori nel loro insieme, si rileva che il loro contributo annuo, nella Francia del 2008, è stato pari alle 76 mila unità nel 2008, mentre in Italia ha lievitato a 430mila circa.
La questione della famiglia è dunque centrale per l’economia, oltre che per la vita civile: Il problema è che nel nostro Paese, nel corso degli ultimi vent’anni, la famiglia è stata la grande dimenticata, e non si scorgono al momento segnali concreti di un’inversione di marcia. I Paesi che hanno realizzato una efficace politica per la famiglia, in genere vi si sono applicati per ragioni di sopravvivenza numerica oppure questo è il risultato positivo di politiche iniziate per altri scopi, come nel caso della Francia. In altre parole, sembra proprio valere la riflessione di John Stuart Mill, quando affermava che i politici 'per quanto onestamente disposti, sono in genere troppo occupati con cose di cui devono prendersi cura, per avere abbastanza spazio nei loro pensieri per qualunque cosa che possono senza danno tralasciare'. I minorenni, si sa, sono cittadini che non votano e dunque qualcuno pensa che li si può tralasciare. Eppure, le nazioni che dalla crisi in atto usciranno più forti saranno quelle, come la Francia, dotate di istituzioni in grado di investire nel futuro dei figli. Che sono al tempo stesso una garanzia per i loro genitori e il patrimonio d’investimento di tutto un Paese.
Eluana, la forza dei fatti: un libro per raccontarli - Che cosa è successo davvero? La storia senza censure – Avvenire, 17 maggio 2009
Un libro che vuole essere il racconto dei fatti e delle verità (a cominciare da quelle scientifiche) accertate e incontrovertibili. Eluana Englaro, infatti, è morta il 9 febbraio scorso a Udine, dopo diciassette anni di stato vegetativo, chiudendo una vicenda che ha lacerato il Paese, ma lasciando aperti gli interrogativi che hanno scosso le coscienze e diviso gli italiani: era ancora una persona o solo un involucro umano? Nutrirla e mantenerla sana era un accanimento o un diritto dovuto a lei come a qualunque disabile? La sua era vita o non-vita? La legge è stata rispettata o aggirata?
Sul mistero Eluana molti si sono ritenuti in diritto di sostenere le loro 'verità', ma a loro volta senza conoscere i fatti, spesso basandosi su notizie prive di fondamento o addirittura costruendole ad arte. Così le voci si sono sovrapposte e la verità è stata sepolta sotto mille contraddizioni, dimenticanze, omissioni, bugie. Il volume 'Eluana. I fatti', edito da Àncora e 'Avvenire' (12 euro, 144 pagine) e scritto dagli inviati di 'Avvenire' Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola, raccontando gli avvenimenti senza censure non intende gridare più forte di altri, ma offrire gli elementi sui quali ognuno potrà farsi un’opinione. È infatti un libro che nasce su impulso delle centinaia di lettori che in questi mesi hanno scritto al nostro giornale chiedendo di fare chiarezza nella ridda di voci e opporre alle mille versioni contrastanti una onesta e comprensibile della vicenda.
Tuttora ad esempio molti non sanno che Eluana non era attaccata ad alcuna 'spina': volendone la morte, era quindi necessario che venisse provocata. Così come non sanno che non era affatto malata terminale come qualcuno sosteneva - e che anzi non aveva alcuna malattia: era una disabile, come migliaia di altri casi. Anche sul suo stato fisico giornali e televisioni hanno detto e scritto di tutto. «Pesava meno di 40 chili », «il viso era tutto piagato da quelle lacerazioni che ai vecchi vengono sul sedere »...: intorno alla sua vita e al suo corpo si ballava una danza macabra quanto deformante. Facile a questo punto capire lo sgomento degli italiani, che non sapevano più a chi e a che cosa credere: Eluana il mostro o la bella addormentata? Nel suo 'sonno' apparente sentiva che cosa avveniva nella sua stanza di Lecco? Portarla a morire togliendole nutrimento e acqua è stato un atto di barbarie o la giusta decisione per chiudere una vita che era stata definita 'indegna'? E soprattutto la sua volontà - di Eluana - sarebbe davvero stata quella?
Il dibattito resta aperto. La posta in gioco adesso è qualcosa che in Italia nemmeno era mai stato concepito: il diritto di spegnere le vite che qualcuno (lo Stato, i magistrati, un genitore...) ritenesse non-vite