venerdì 4 febbraio 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    L'Europa divisa sui cristiani di Mario Mauro, venerdì 4 febbraio 2011 – il sussidiario.net
2)    03/02/2011 – VATICANO - Papa: si investano sempre più energie per l’aiuto e il sostegno di chi soffre
3)    Il "democratico" Egitto manda a morte gli apostati - Gli egiziani in rivolta chiedono più libertà, ma vogliono anche la pena capitale per chi si converte dall'islam a un'altra religione. Una grande inchiesta sul più popoloso paese musulmano del Nordafrica e del Medio Oriente di Sandro Magister
4)    «La Sindone svela l'enigma della sofferenza» di Massimo Introvigne, 03-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
5)    03/02/2011 – PAKISTAN - Blasfemia: Rehman ritira la modifica alla legge. In galera 17enne denunciato dal professore
6)    Stato laico e bene comune nel discorso di Benedetto XVI alla Westminster Hall
7)    Democrazia e senso etico - di MARIO TOSO (©L'Osservatore Romano - 4 febbraio 2011)
8)    IL CASO/ Ecco perchè il "freddo" di Elisa ci riguarda tutti di Alessandro Banfi - venerdì 4 febbraio 2011 – il sussidiario.net
9)    Avvenire.it, 4 febbraio 2011 - Oltre le nostre private oscurità - Semplicemente stare e sperare di Marina Corradi
10)                      Avvenire.it, 4 febbraio 2011 - Il mancato riferimento ai cristiani nel documento della Ue /1 - L'Europa che si volta dall'altra parte rinuncia alla forza dei suoi valori
11)                      Avvenire.it, 4 febbraio 2011 - Il mancato riferimento ai cristiani nel documento della Ue /2 - Libertà condizione di accorci e aiuti: finito il tempo dei compromessi

L'Europa divisa sui cristiani di Mario Mauro, venerdì 4 febbraio 2011 – il sussidiario.net

“Il cristianesimo ha solo bisogno di verità”. Citando questa frase di Leone XIII, Vittorio Messori, con il suo articolo apparso lunedì scorso su Il Corriere della Sera, ha sottolineato un aspetto fondamentale all’interno del dibattito sulle radici cristiane dell’Europa.

Allo stesso tempo, proprio per rispetto della verità, vorrei precisare qual è lo stato dell’arte nelle istituzioni europee, che si comportano da alcuni anni a questa parte in maniera estremamente diversificata. Il Parlamento europeo, infatti, dalla fine del 2007 a oggi, ha compiuto alcuni significativi passi in avanti verso il superamento di quella “ideologia egemone, la political correctness”, a cui fa riferimento Messori.

Sono ben quattro le risoluzioni con riferimento chiaro e inequivocabile alla persecuzione dei cristiani che sono state approvate da Strasburgo negli ultimi tre anni e mezzo. L’ultima di queste, approvata a metà gennaio 2011, contiene alcune innovazioni che fanno giustizia di quello che a lungo è apparso un improprio imbarazzo.

Per la prima volta, si chiede all’esecutivo dell’Unione europea di vincolare gli accordi commerciali che l’Ue sigla in tutto il mondo al rispetto dei diritti delle popolazioni cristiane e di tutte le minoranze. Si chiede anche di procedere all’attivazione di un organismo europeo di monitoraggio del livello di libertà religiosa nel mondo.

Durante il dibattito su quest’ultima risoluzione, svoltosi prima della votazione in aula in risposta all’intervento dell’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton, ho rimarcato come questa avesse scientemente evitato di utilizzare la parola “cristiani”, nonostante la discussione fosse incentrata appunto sulla “situazione dei cristiani nel contesto della libertà religiosa”. Dopo l’approvazione della risoluzione in Parlamento, il testo è stato trasmesso al Consiglio.

Il testo preparato dal Consiglio europeo confermava l’impostazione della Commissaria, senza la parola “cristiani”, ma ignorando anche le due proposte d’azione effettuate dal Parlamento. È stato partorito quindi un documento privo di qualsiasi iniziativa concreta in aiuto delle minoranze cristiane perseguitate. Un documento vuoto e inutile, che conferma la patologia laicista in seno alle due istituzioni europee più potenti.
Da quanto è emerso dai negoziati, uno dei paesi che maggiormente hanno osteggiato il riferimento esplicito ai cristiani è stata la Gran Bretagna, perché, secondo Londra, potrebbe comportare un irrigidimento da parte delle componenti islamiche nei paesi musulmani.

Fortunatamente, all’interno del Consiglio europeo, non c’è un pensiero unico e totalizzante: il rinvio dell’approvazione del testo, risultato a questo punto molto positivo, è merito di quei Governi, (guidati da quello italiano), che si sono opposti con fermezza a una soluzione che sarebbe stata inutile, anzi avrebbe bloccato sul nascere le importantissime novità che erano arrivate dal parlamento europeo.

“Ho ritenuto, proprio perché il testo proposto non menziona le comunità cristiane come vittime di gravi atti di violenza, che la credibilità europea sarebbe stata seriamente minata dalla sua eventuale approvazione”. Questo è quanto dichiarato lunedì dal Ministro Frattini. La strada è ancora in salita, ma questo rinvio evidenzia una spaccatura che ci da un po’ di tempo per sperare di convincere i Governi più “riottosi” della contraddittorietà delle posizioni da loro espresse.

Credo, infatti, si sia trattato dell’ennesimo tradimento compiuto da quella ostinata minoranza dei governi europei nei confronti di quegli ideali che hanno permesso la nascita e il fiorire di quel progetto che chiamiamo Europa unita.


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03/02/2011 – VATICANO - Papa: si investano sempre più energie per l’aiuto e il sostegno di chi soffre

Nel messaggio per la Giornata mondiale del malato, Benedetto XVI ripensa al volto della Sindone, alle sofferenze della Passione. Ma se la malattia “rimane sempre carica di mistero” e se Gesù non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, “li ha vinti alla radice. Alla prepotenza del Male ha opposto l'onnipotenza del suo Amore. Ci ha indicato, allora, che la via della pace e della gioia è l'Amore”.


Città del Vaticano (AsiaNews)- Le autorità pubbliche “investano sempre più energie in strutture sanitarie che siano di aiuto e di sostegno ai sofferenti, soprattutto i più poveri e bisognosi”, perché “una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana”.

E’ il monito he Benedetto XVI rivolge a conclusione del suo messaggio per la 19ma Giornata mondiale del malato, reso noto oggi, intitolato “Dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt 2,24). Proprio prendendo spunto dal tema della Giornata, che si celebra ogni anno l’11 febbraio, il Papa scrive che la malattia “rimane sempre carica di mistero, difficile da accettare e da portare”, ma nella Passione e nelle piaghe di Cristo “possiamo vedere, con occhi di speranza, tutti i mali che affliggono l'umanità”, perché “risorgendo, il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice. Alla prepotenza del Male ha opposto l'onnipotenza del suo Amore. Ci ha indicato, allora, che la via della pace e della gioia è l'Amore”.

“Ho ancora nel cuore - si legge ancora nel documento - il momento in cui, nel corso della visita pastorale a Torino, ho potuto sostare in riflessione e preghiera davanti alla Sacra Sindone, davanti a quel volto sofferente, che ci invita a meditare su Colui che ha portato su di sé la passione dell'uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati. Quanti fedeli, nel corso della storia, sono passati davanti a quel telo sepolcrale, che ha avvolto il corpo di un uomo crocifisso, che in tutto corrisponde a ciò che i Vangeli ci trasmettono sulla passione e morte di Gesù! Contemplarlo è un invito a riflettere su quanto scrive san Pietro: “dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt 2,24). Il Figlio di Dio ha sofferto, è morto, ma è risorto, e proprio per questo quelle piaghe diventano il segno della nostra redenzione, del perdono e della riconciliazione con il Padre; diventano, però, anche un banco di prova per la fede dei discepoli e per la nostra fede: ogni volta che il Signore parla della sua passione e morte, essi non comprendono, rifiutano, si oppongono. Per loro, come per noi, la sofferenza rimane sempre carica di mistero, difficile da accettare e da portare”.

“Cari ammalati e sofferenti, è proprio attraverso le piaghe del Cristo che noi possiamo vedere, con occhi di speranza, tutti i mali che affliggono l'umanità. Risorgendo, il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice. Alla prepotenza del Male ha opposto l'onnipotenza del suo Amore. Ci ha indicato, allora, che la via della pace e della gioia è l'Amore: ‘Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri’ (Gv 13,34). Cristo, vincitore della morte, è vivo in mezzo a noi. E mentre con san Tommaso diciamo anche noi: ‘Mio Signore e mio Dio!’, seguiamo il nostro Maestro nella disponibilità a spendere la vita per i nostri fratelli (cfr 1 Gv 3,16), diventando messaggeri di una gioia che non teme il dolore, la gioia della Risurrezione”.
“San Bernardo afferma: ‘Dio non può patire, ma può compatire’. Dio, la Verità e l'Amore in persona, ha voluto soffrire per noi e con noi; si è fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo reale, in carne e sangue. In ogni sofferenza umana, allora, è entrato Uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; in ogni sofferenza si diffonde la con-solatio, la consolazione dell'amore partecipe di Dio per far sorgere la stella della speranza (cfr Lett. enc. Spe salvi, 39).
A voi, cari fratelli e sorelle, ripeto questo messaggio, perché ne siate testimoni attraverso la vostra sofferenza, la vostra vita e la vostra fede”.

Il Papa, infine, si rivolge ai giovani, “specialmente a coloro che vivono l’esperienza della malattia. Spesso la Passione, la Croce di Gesù fanno paura, perché sembrano essere la negazione della vita. In realtà, è esattamente il contrario! La Croce è il “sì” di Dio all'uomo, l’espressione più alta e più intensa del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna. Dal cuore trafitto di Gesù è sgorgata questa vita divina. Solo Lui è capace di liberare il mondo dal male e di far crescere il suo Regno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 2011, 3). Cari giovani, imparate a “vedere” e a “incontrare” Gesù nell'Eucaristia, dove è presente in modo reale per noi, fino a farsi cibo per il cammino, ma sappiatelo riconoscere e servire anche nei poveri, nei malati, nei fratelli sofferenti e in difficoltà, che hanno bisogno del vostro aiuto (cfr ibid.,4). A tutti voi giovani, malati e sani, ripeto l'invito a creare ponti di amore e solidarietà, perché nessuno si senta solo, ma vicino a Dio e parte della grande famiglia dei suoi figli”.


Il "democratico" Egitto manda a morte gli apostati - Gli egiziani in rivolta chiedono più libertà, ma vogliono anche la pena capitale per chi si converte dall'islam a un'altra religione. Una grande inchiesta sul più popoloso paese musulmano del Nordafrica e del Medio Oriente di Sandro Magister

ROMA, 3 febbraio 2011 – Buona parte della popolazione egiziana che in questi giorni si è ribellata al trentennale regime di Hosni Mubarak dice di preferire la democrazia ad ogni altra forma di governo.

Nello stesso tempo, però, e in maggioranza schiacciante, vogliono che sia lapidato chi commette adulterio, che siano tagliate le mani ai ladri e che siano messi a morte coloro che abbandonano la religione musulmana.

È ciò che risulta da un'indagine condotta in Egitto e in altri sei paesi a maggioranza musulmana dal Pew Forum on Religion & Public Life di Washington, numero uno al mondo per quanto riguarda le ricerche in questo campo:

> Egypt, Democracy and Islam

Gli altri sei paesi indagati sono la Turchia, il Libano, la Giordania, il Pakistan, l'Indonesia e la Nigeria.

Il caso dell'Egitto è in questi giorni particolarmente sotto osservazione. Ma anche i confronti con gli altri paesi sono di grande interesse.

La democrazia, ad esempio, è ritenuta la migliore forma di governo dal 59 per cento degli egiziani, mentre in Turchia e in Libano raccoglie consensi ancora maggiori, rispettivamente del 76 e dell'81 per cento.

In Egitto, tuttavia, il 22 per cento della popolazione ritiene che in alcune circostanze sia da preferirsi un governo non democratico.

Circa i rapporti tra politica e religione, quasi la metà degli egiziani pensano che l'islam influisca già ora fortemente sulla politica. E tra quelli che la vedono così, il 95 per cento giudicano che ciò sia un bene.

In generale, 85 egiziani su cento giudicano positiva l'influenza dell'islam sulla politica, contro soltanto il 2 per cento di risposte negative. In Libano e in Turchia, invece, i giudizi negativi sono superiori al 30 per cento.

In uno scontro tra modernizzatori e fondamentalisti, il 59 per cento degli egiziani dice di tenere ai fondamentalisti, contro il 27 per cento che parteggia per i primi. In Libano e in Turchia le parti sono rovesciate: rispettivamente l'84 e il 74 per cento stanno con i modernizzatori, mentre con i fondamentalisti si schierano il 15 e l'11 per cento.

Più della metà degli egiziani, per l'esattezza il 54 per cento, sia donne che uomini, sono favorevoli alla separazione dei sessi sui luoghi di lavoro. Mentre in Libano e Turchia i contrari sono tra l'80 e il 90 per cento.

Richiesti di dire la loro su Hamas, Hezbollah, e al-Qaeda, in Egitto si dicono favorevoli a Hamas il 49 per cento, a Hezbollah il 30 per cento e ad al-Qaeda il 20 per cento.

Su questi giudizi influisce in parte l'essere musulmani sunniti o sciiti. Gli egiziani sono sunniti, come lo è Hamas, mentre Hezbollah è sciita.

In ogni caso, in Egitto, i favorevoli a Hezbollah sono da alcuni anni in calo. Nel 2007 erano il 56 per cento, nel 2008 il 54, nel 2009 il 43 e nel 2010 il 30 per cento.

È invece in aumento, pur restando minoritario, il favore ai terroristi suicidi. In Egitto, coloro che li giustificano sono oggi il 20 per cento, mentre nel 2009 erano il 15 per cento.

Tornando alla pena di morte per chi abbandona l'islam, invocata dall'84 per cento degli egiziani, va segnalato che a volerla sono uomini e donne, vecchi e giovani, istruiti e non, senza distinzioni.

In Giordania la quota dei favorevoli alla condanna a morte degli apostati sale addirittura all'86 per cento. Solo in Libano e in Turchia i favorevoli sono pochi, rispettivamente il 6 e il 5 per cento.


«La Sindone svela l'enigma della sofferenza» di Massimo Introvigne, 03-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

La Santa Sede ha presentato oggi il Messaggio di Benedetto XVI per la XIX Giornata Mondiale del Malato, che si celebrerà il prossimo 11 febbraio, formalmente datato 21 novembre 2010. Il Magistero più recente procede ampiamente attraverso i messaggi pontifici per le varie giornate mondiali: della pace, delle comunicazioni sociali, fino appunto a quelle del malato. Anno dopo anno, questi messaggi vanno a costituire un corpus sui diversi argomenti, che dev'essere studiato con attenzione come espressione particolarmente significativa del Magistero ordinario.

La Giornata Mondiale del Malato è stata voluta, e fissata ogni anno nel giorno della festa della Madonna di Lourdes, dal venerabile Giovanni Paolo II (1920-2005), il quale ha poi testimoniato anche con la sua vita come «la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana» (Benedetto XVI, enciclica «Spe salvi», n. 38). Una celebrazione particolarmente solenne della Giornata Mondiale del Malato, annuncia il Papa, avrà luogo nel 2013, al Santuario mariano di Altötting, in Germania.

Il Papa confessa la speciale relazione che, a partire dall'ostensione del 2010, si è stabilita per lui tra i malati e la Sindone di Torino, che è al centro del Messaggio. «Ho ancora nel cuore, scrive, il momento in cui, nel corso della visita pastorale a Torino, ho potuto sostare in riflessione e preghiera davanti alla Sacra Sindone, davanti a quel volto sofferente, che ci invita a meditare su Colui che ha portato su di sé la passione dell'uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati. Quanti fedeli, nel corso della storia, sono passati davanti a quel telo sepolcrale, che ha avvolto il corpo di un uomo crocifisso, che in tutto corrisponde a ciò che i Vangeli ci trasmettono sulla passione e morte di Gesù! Contemplarlo è un invito a riflettere su quanto scrive san Pietro: “dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt 2,24). Il Figlio di Dio ha sofferto, è morto, ma è risorto, e proprio per questo quelle piaghe diventano il segno della nostra redenzione, del perdono e della riconciliazione con il Padre; diventano, però, anche un banco di prova per la fede dei discepoli e per la nostra fede: ogni volta che il Signore parla della sua passione e morte, essi non comprendono, rifiutano, si oppongono. Per loro, come per noi, la sofferenza rimane sempre carica di mistero, difficile da accettare e da portare».

In effetti, prosegue il Papa, «è proprio attraverso le piaghe del Cristo che noi possiamo vedere, con occhi di speranza, tutti i mali che affliggono l'umanità. Risorgendo, il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice. Alla prepotenza del Male ha opposto l'onnipotenza del suo Amore». Il rapporto con il mistero dell'Incarnazione e del Cristo sofferente svela il grande significato della sofferenza umana. «San Bernardo [1090-1153] afferma: “Dio non può patire, ma può compatire”. Dio, la Verità e l'Amore in persona, ha voluto soffrire per noi e con noi; si è fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo reale, in carne e sangue. In ogni sofferenza umana, allora, è entrato Uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; in ogni sofferenza si diffonde la con-solatio, la consolazione dell'amore partecipe di Dio per far sorgere la stella della speranza (cfr Lett. enc. Spe salvi, 39)».

Ai giovani, in particolare, il Papa spiega che «spesso la Passione, la Croce di Gesù fanno paura, perché sembrano essere la negazione della vita. In realtà, è esattamente il contrario! La Croce è il “sì” di Dio all'uomo, l’espressione più alta e più intensa del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna. Dal cuore trafitto di Gesù è sgorgata questa vita divina». Occorre allora imparare «a “vedere” e a “incontrare” Gesù nell'Eucaristia, dove è presente in modo reale per noi, fino a farsi cibo per il cammino, ma sappiatelo riconoscere e servire anche nei poveri, nei malati, nei fratelli sofferenti e in difficoltà, che hanno bisogno del vostro aiuto».

Continuando a meditare sulla Sindone di Gesù, che ha tanto colpito il Papa, «il nostro sguardo si rivolge al suo Cuore sacratissimo, in cui si manifesta in sommo grado l'amore di Dio. Il Sacro Cuore è Cristo crocifisso, con il costato aperto dalla lancia dal quale scaturiscono sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), “simbolo dei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingano con gioia alla fonte perenne della salvezza" (Messale Romano, Prefazio della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù)».

Nel dramma testimoniato dalla Sindone è presente naturalmente «la Vergine Maria, che invochiamo con fiducia Salute degli infermi e Consolatrice dei sofferenti. Ai piedi della Croce si realizza per lei la profezia di Simeone: il suo cuore di Madre è trafitto (cfr Lc 2,35). Dall'abisso del suo dolore, partecipazione a quello del Figlio, Maria è resa capace di accogliere la nuova missione: diventare la Madre di Cristo nelle sue membra. Nell’ora della Croce, Gesù le presenta ciascuno dei suoi discepoli dicendole: “Ecco tuo figlio” (cfr Gv 19,26-27). La compassione materna verso il Figlio, diventa compassione materna verso ciascuno di noi nelle nostre quotidiane sofferenze (cfr Omelia a Lourdes, 15 settembre 2008)».

Una volta che la si pone in relazione con quanto la Sindone testimonia, che rimanda anche alle devozioni al Sacro Cuore e alla Madonna Addolorata, la sofferenza dei malati non diventa più una questione che riguarda solo loro e chi li cura, ma un elemento di meditazione che sta al cuore della vita cristiana di ognuno di noi. A tutti è rivolto l'invito di Benedetto XVI: «nei volti dei malati sappiate vedere sempre il Volto dei volti: quello di Cristo».


03/02/2011 – PAKISTAN - Blasfemia: Rehman ritira la modifica alla legge. In galera 17enne denunciato dal professore

La parlamentare del PPP, minacciata di morte dai fondamentalisti islamici, pronta a seguire la linea del partito e del governo. Il premier Gilani conferma che non vi saranno modifiche. A Karachi arrestato per blasfemia uno studente: ha profanato il nome di Maometto in un compito in classe. Hrw: fatto “spaventoso”.


Lahore (AsiaNews) – Sherry Rehman, esponente del Pakistan People’s Party (PPP), ha ritirato la proposta di emendamenti alla legge sulla blasfemia e si dice pronta a seguire le indicazioni del partito di governo. Lo conferma il premier Yousuf Raza Gilani, durante un incontro con un gruppo di parlamentari a Islamabad; durante un colloquio fra la deputata e il Primo Ministro, la Rehman ha accettato di archiviare la proposta di modifiche alla “Legge nera”. Intanto uno studente di 17 anni è stato incarcerato con l’accusa di blasfemia, per aver profanato – questa la denuncia del professore – il nome del profeta Maometto in un compito scritto.

La parlamentare pakistana – minacciata di morte dai fondamentalisti islamici per aver proposto una revisione della controversa norma – ha deciso di seguire la linea del PPP e del premier Gilani, che chiude la porta ad ogni discussione di modifica della legge. Lo scorso anno aveva proposto l’eliminazione della pena di morte dalla Sezione 295-C del Codice penale (inerente la blasfemia), scatenando le ire degli estremisti che hanno lanciato una fatwa nei suoi confronti. Sherry Rehman ha spiegato che la proposta di emendamento era volta a “prevenire abusi” nell’applicazione della legge. In una dichiarazione pubblica, la parlamentare parla di “semplici cambiamenti”, per garantire “una possibilità” alle persone incriminate di “dimostrare la propria innocenza” e impedire che “qualcuno possa lanciare false accuse” usando come pretesto “il nome del Profeta Maometto”.

Intanto nel Paese continuano gli abusi legati alla famigerata “legge nera”. La polizia pakistana ha arrestato un liceale di 17 anni, colpevole di blasfemia verso l’islam in un compito in classe previsto per gli esami di fine anno. A denunciare Muhammad Samiullah, rinchiuso nel carcere di Karachi dal 28 gennaio scorso, è stato uno dei professori preposti alla correzione degli elaborati. Pronta la risposta di attivisti e membri della società civile, che invocano l’abrogazione della legge sulla blasfemia. Human Rights Watch (Hrw) si rivolge al governo pakistano, chiedendo l’immediato rilascio del ragazzo. Bede Sheppard, ricercatore di Hrw, conferma i livelli di “intolleranza” caratteristici del Pakistan quando si parla di blasfemia, ma “spedire in galera uno studente – aggiunge l’attivista – per qualcosa che ha scarabocchiato in uno scritto d’esame è davvero spaventoso”.

Contro la crescente islamizzazione della nazione e il legame sempre più stretto fra Stato e religione è intervenuto anche mons. Lawrence Saldhana, arcivescovo di Lahore e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan: il prelato si dice “dispiaciuto” per gli attacchi al papa, le immagini di Benedetto XVI e del ministro Shahbaz Bhatti bruciate e si “dissocia” da “ogni atto violento”. Mons. Saldanha conferma “solidarietà e gratitudine” al ministro cattolico, ma non fa alcun accenno alla legge sulla blasfemia e a ipotesi di modifica della legge.(JK)


Stato laico e bene comune nel discorso di Benedetto XVI alla Westminster Hall
Democrazia e senso etico - di MARIO TOSO (©L'Osservatore Romano - 4 febbraio 2011)

Si conclude nella serata di giovedì 3 febbraio nel Palazzo Apostolico Lateranense il ciclo di incontri dedicato ai grandi discorsi di Benedetto XVI. Al centro del dibattito il discorso tenuto dal Papa alla Westminster Hall il 17 settembre 2010. Anticipiamo uno stralcio dalla conclusione dell'intervento del vescovo segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.

Per lo sviluppo integrale e sociale la Caritas in veritate postula un'etica di prima persona, ossia pensata sul fondamento dell'intrinseca capacità di ogni soggetto umano di tendere al bene perfetto, a Dio. E questo, al contrario di quanto avviene ultimamente nelle etiche secolari, etiche di terza persona, scettiche circa la conoscenza del vero, del bene e di Dio, che non conducono alla collaborazione secondo giustizia fra individui che non di rado si ritengono liberi di perseguire qualsiasi fine. Nemmeno portano a un buon stato di cose, poiché massimizzano l'utilità media della società, lasciando da parte i cittadini più deboli, incapaci di dialogo o di contrattazione.
La religione o, meglio, una riflessione critica sull'esperienza religiosa, aiutano a recuperare una ragion pratica integrale, in quanto la pongono in un ampio contesto di vita e di saperi che, mentre relativizzano la sua pretesa di essere l'unica fonte delle norme, la rafforzano, evidenziandone la dimensione metasociologica e metastorica, che superando il fenomenico - senza peraltro negarlo - le consente di formulare il tèlos umano, ossia un insieme di beni ordinato sulla base del metro di misura che è il Sommo Bene.
Ma la religione non sempre è disponibile per esercitare un ministero di purificazione della ragione. Questo accade, rammenta il Pontefice, quando la religione subisce distorsioni a causa del settarismo e del fondamentalismo. La religione, allora, anziché essere "risorsa" per la società, diventa un problema da risolvere. Come purificare l'esperienza religiosa da razionalismi deleteri per essa e per la società? Come ha insegnato lo stesso Benedetto XVI nella Caritas in veritate ciò è possibile solo sulla base di un giudizio etico che si struttura grazie a una ragione non imprigionata nell'empirico, bensì aperta all'integralità della verità e al Trascendente.
Una tale razionalità sussiste e si esercita solo entro un discernimento basato e incentrato sulla carità e sulla verità (Caritas in veritate, 55). L'esperienza conoscitiva, propria della carità nella verità, fa emergere dal suo grembo il criterio "Tutto l'uomo e tutti gli uomini", che consente di giudicare e di purificare tutte le religioni, strutturandole coerentemente nella loro essenza.
La risemantizzazione della laicità di uno Stato democratico presuppone una sostanziale fiducia nella persona umana, nella sua ragione (capace di conoscere il vero e il bene, ma anche fallibile), nella coscienza morale. Di fronte al fenomeno moderno e postmoderno della desemantizzazione progressiva della laicità, a causa dell'affermarsi di una cultura sempre più secolarizzata sconfinante nel secolarismo, risulta indispensabile, come è stato sollecitato ripetutamente da Benedetto XVI, un impegno pluriarticolato, volto alla riscoperta di una ragione integrale e alla diffusione di un èthos aperto alla Trascendenza nonché alla realizzazione di una nuova evangelizzazione. Questa appare indispensabile non solo in ordine all'annuncio primario di Cristo salvatore in una società multietnica e multireligiosa, ma anche per la liberazione e l'umanizzazione delle culture e degli èthos, che sono a fondamento degli ordinamenti giuridici e della laicità dello Stato. Lo Stato laico di diritto, a fronte del primato della persona e della società civile, non può considerarsi fonte della verità e della morale in base a una propria dottrina o ideologia. Esso riceve dall'esterno, dalla società civile pluralista e armonicamente convergente, l'indispensabile misura di conoscenza e di verità circa il bene dell'uomo e dei gruppi. Non la riceve da una pura conoscenza razionale, da curare e proteggere mediante una filosofia totalmente indipendente dal contesto storico, in quanto non esiste una pura evidenza razionale, avulsa dalla storia. La ragione metafisica e morale agisce solo in un contesto storico, dipende da esso, ma allo stesso tempo lo supera. In breve, lo Stato trae il suo sostegno da preesistenti tradizioni culturali e religiose e non da una ragione nuda. Lo riceve da una ragione che matura all'interno di pratiche e di istituzioni a lei favorevoli, nella forma storica delle fedi religiose che, non deteriorandosi, tengono vivo il senso etico dell'esistenza e della sua trascendenza.
Il tentativo odierno di rimuovere la religione dalla sfera pubblica, mentre da un lato si ripromette di rendere più vivibile e pacifica la vita democratica, dall'altro ne provoca l'indebolimento, perché le sottrae linfa vitale.
In effetti, una sana democrazia ha bisogno di riconoscere le fedi personali e la loro appartenenza comunitaria. Non le può bastare una "religione civile" riconosciuta solo sulla base di un mero consenso sociale (una tale "religione" è fondata su basi morali fragili e mutevoli come le mode), né una religione rinchiusa nel privato, ossia concepita come scelta soggettivistica, irrazionale, e perciò irrilevante o addirittura dannosa per la vita sociale.
Nemmeno le giova una religione che mortifica la dignità delle persone e il loro compimento umano secondo una trascendenza orizzontale e verticale.
La dimensione religiosa della persona non esula dall'universalità della ragione, semmai la trascende, senza contraddirla. La fede dei cittadini, come le corrispondenti comunità religiose che la educano, alimentano quel "capitale sociale" - fatto di relazionalità stabili, di stili di vita, di valori condivisi, di amicizia civile, di fraternità - di cui ogni democrazia non può fare a meno, se non vuole ridursi a pura amministrazione conflittuale di interessi disparati.
Se questo è vero, le democrazie devono coltivare nei confronti delle religioni un atteggiamento di apertura non passiva, ma attiva, nel senso che debbono riconoscere e promuovere, per ciò che concerne la loro competenza, lo spazio pubblico - ben distinto dall'istituzione statale e nella stessa società civile - ove si plasmano quelle famiglie spirituali e culturali, quell'èthos, che le vivifica specie nell'edificazione plurale e convergente del bene comune.


IL CASO/ Ecco perchè il "freddo" di Elisa ci riguarda tutti di Alessandro Banfi - venerdì 4 febbraio 2011 – il sussidiario.net

Elisa non ha visto l’alba, forse neanche l’aurora. È morta di freddo, finita in un posto che non conosceva e dove non voleva andare. Il mistero sulla sua morte, davvero orribile, non ha grande interesse per i mass media. È una storia brutta e cattiva. Eppure ci lascia un profondo disagio e un’enorme frustrazione. Può una ragazza di 25 anni finire così, in un Paese civilizzato e moderno come dovrebbe essere il nostro? Il suo calvario finale, così com’è stato ricostruito da coloro che indagano, ha qualcosa dell’incubo.

Prima la ricerca della droga insieme ad un’amica, il contatto con uno spacciatore, una sosta da un benzinaio che offre anche da bere superalcolici, un incidente stradale. Poi, mentre l’amica compila il modulo della constatazione amichevole, Elisa riparte. La febbre del sabato sera diventa fuga paranoica, suona ad un paio di case, dove purtroppo non si ferma, telefona al 118, poi ai Carabinieri. Dice di essersi persa, di essere stata violentata... Ma non la trovano. È finita in un posto maledetto, non lontano da Perugia, che si chiama Casa del Diavolo. Cade in un torrente, poi torna a riva, si toglie il maglione bagnato ma non sopravvive al freddo della notte. L’ultima ipotesi che hanno ora gli inquirenti è che sia stata ingannata sulla droga, le avrebbero dato polvere sintetica invece di eroina. La violenza non ci sarebbe stata, secondo l’autopsia.
Storia agra, che ci comunica la tremenda estraneità in cui può finire l’esistenza di tutti noi, in primo luogo dei nostri giovani. Non c’è stato nessuno che potesse aiutare Elisa, sottrarla dal suo spaventoso sbandamento di un sabato sera di provincia. Lo sballo come abitudine consolidata, l’whisky con l’amica, la voglia di andare a ballare... Ma che razza di divertimento offre la nostra società?  Soprattutto non c’è stato nessuno che potesse quantomeno leggere nel suo sbandamento il pericolo mortale che esso poteva rappresentare. Estraneità, incomprensione, timore forse di finire in qualche guaio... Elisa è morta di freddo, del freddo assoluto che circonda le nostre vite solitarie, del freddo assassino tipico del mondo orribile che abbiamo costruito, senza il caldo dell’amore, dell’accoglienza, della comprensione.

Elisa è morta di freddo come i barboni delle stazioni delle metropoli. Come loro, anche lei ad un certo punto è diventata invisibile a chi incontrava. Nessuno più ha voluto o potuto incrociare i suoi occhi.
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Avvenire.it, 4 febbraio 2011 - Oltre le nostre private oscurità - Semplicemente stare e sperare di Marina Corradi

Lo seguivano affascinati, lo amavano. Ma ogni volta che quell’uomo parlava della sua passione e della sua morte, «non comprendevano, si rifiutavano, si opponevano a quelle parole». Benedetto XVI parla dei discepoli di Cristo, duemila anni fa, ma parla in realtà di noi, nel messaggio per la Giornata mondiale del malato. Di noi, che pure immersi in questo tempo rumoroso e distratto crediamo in Dio, come nuotando contro la corrente. Di noi, che ci sforziamo di essere cristiani. E tuttavia c’è una prova in cui vacilliamo. È il momento del dolore: della malattia che piomba improvvisa in una casa, della vecchiaia che consuma e apparentemente annichilisce un padre o una madre. Cristiani, certo; però il dolore, però la morte ci lasciano spesso ammutoliti e come senza ragioni. Ragioni, a giustificare la nostra speranza. Riusciamo a trovarne nell’ordinaria vita quotidiana, e anche nella fatica; ma di fronte a certo dolore, subiamo come un’eclissi della speranza.
«La sofferenza – dice il Papa – rimane sempre carica di mistero, difficile da accettare e da portare». La sofferenza, la croce. È il figlio che muore in una notte, assurdamente; o l’agonia dell’uomo che ti è accanto da tutta la vita - quel suo respiro sempre più faticoso. Questo dolore ci ammutolisce. Cerchiamo, per quanto è possibile, di sfuggirlo; di non vedere, o di pianificare rapide morti “dignitose”. (Perfino nell’ansia di bandire dai luoghi pubblici il crocifisso sembra di leggere un desiderio di rimozione: perché dovremmo avere l’immagine di un uomo torturato davanti agli occhi? Quella sofferenza rappresenta proprio ciò che vogliamo dimenticare).
Benedetto XVI invece ha ancora nel cuore, dice, il momento in cui a Torino ha potuto fermarsi davanti alla Sindone, davanti a quel volto, icona di tutti i dolori, le violenze, di tutto il nostro male. E chi era in duomo quel giorno ricorda il lungo silenzio del Papa, solo, assorto. Davanti a quella che chiama «icona del sabato santo»: al volto di Cristo massacrato. Possibile che non abbia, il Papa, la stessa nostra angoscia davanti al dolore; che a lui non manchi, come a tanti di noi, di fronte alla sofferenza il fiato?
Il fatto è che tra quel volto, nel duomo di Torino, e l’altro, del vecchio pontefice cresciuto dentro le tragedie del Novecento, stava, silenziosa e sovrana una certezza: Cristo è morto, ma è risorto. È sceso negli inferi, ma ne è tornato: «Per le sue piaghe siamo stati guariti». L’icona della morte di Cristo è anche icona della sua vittoria; su una morte che, da quel giorno, non è più la stessa.
E il Papa parlando ai malati oggi torna alla Sindone. A quella croce che, dice, «fa paura, perché sembra la negazione della vita». (Il frettoloso angosciato silenzio con cui usciamo da una visita a una casa di riposo; o la ribellione aspra che sentiamo addosso, davanti a un bambino inguaribile).
Niente di nuovo, in fondo: da secoli la Chiesa indica nella croce, nel mistero della sofferenza offerta a Cristo, la <+corsivo>spes unica.<+tondo> E da altrettanto tempo immemorabile noi cerchiamo in ogni modo di evitare quella ferita, quella frattura, quella piaga. E lavoriamo, e parliamo, e facciamo cose numerose e anche lodevoli, sempre come cercando di navigare al largo da quella croce, sul Golgota.
Fanno assai più di noi – hai pensato nelle stanze della Casa della Divina provvidenza a Torino, visitata dal Papa a maggio – fanno assai più di noi questi malati handicappati o dementi, nella economia misteriosa della salvezza e del dolore. Inermi, ai piedi della croce; semplicemente, lì. Come intuì Edith Stein, docente di filosofia, allieva di Husserl, il giorno che disse a se stessa che ogni parola era ormai inutile, e occorreva semplicemente stare ai piedi della croce. Quando dal Carmelo la portarono ad Auschwitz, seppe di essere stata presa in parola. La croce in realtà sola speranza, in quella oscurità da sabato santo. E nelle nostre private oscurità; di malati, di sani, e di quelli che fan finta di essere sani; e cercano di distrarsi, e guardano altrove.


Avvenire.it, 4 febbraio 2011 - Il mancato riferimento ai cristiani nel documento della Ue /1 - L'Europa che si volta dall'altra parte rinuncia alla forza dei suoi valori

È stata la rinuncia a costruire un mosaico comune di norme e valori, in grado di presentare l’Europa sulla scena internazionale con la voce di chi non ha paura di chiamare cristiani i cristiani, musulmani i musulmani ed ebrei gli ebrei. Il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione ha fallito per paura e interessi. E ha ribadito quanto l’Europa degli Stati prevalga sullo spirito comunitario e sugli interessi comuni.

Il Parlamento europeo, d’altronde, aveva fatto la propria parte con equilibrio e orgoglio chiedendo di legare il rispetto della libertà religiosa agli accordi di cooperazione. Libertà civili e religiose camminano di pari passo. Parliamo di diritti fondamentali, di beni sociali fonte anche di stabilità. Una risoluzione votata a grande maggioranza, stravolta dall’Alto rappresentate, Catherine Ashton, con il documento sottoposto al Consiglio dei ministri degli Esteri. Non una parola sui cristiani vittime delle persecuzioni (Iraq) e del terrorismo (Egitto), sui diritti di tutte delle minoranze, sull’impegno in difesa delle libertà religiose.

Criticare «le violenze interreligiose in Medioriente» è davvero troppo poco. Si è trattato, dunque, di uno schiaffo al Parlamento e della conferma che il governo italiano non è in grado di concertare, per mancanza di autorevolezza e iniziativa, dossier impegnativi neppure con i governi di centrodestra che – è bene ricordarlo – guidano la maggior parte degli Stati  europei. Il governo italiano non riesce a imporre le proprie priorità nell’iniziativa europea.

Vale per la politica estera dell’Unione; vale sulla politica industriale, fiscale, energetica, agricola. La lista dei fallimenti, anche nell’ultima settimana, è significativa: sul regime linguistico dei brevetti, sul caso Battisti, sulle missioni Ue in Egitto e Tunisia. Il mancato documento sulle libertà religiose e le violenze contro i cristiani dimostra quanto marginale sia il ruolo della Farnesina.

Il tema della libertà religiosa meritava ben altra attenzione da parte dell’Europa, così come ricorda un recente rapporto consegnato dal segretario di Stato americano, Hillary Clinton, al Dipartimento di Stato. Politica estera e azione dei movimenti per la libertà religiosa corrono di pari passo. E il Dipartimento di Stato non ha esitato a mettere sul banco degli imputati alcuni Paesi – Corea del Nord, Iran, Myanmar, Cina, Sudan, Eritrea, Arabia Saudita e Uzbekistan – dove con più violenza quei diritti vengono negati. «Siamo pienamente consapevoli – ha dichiarato Michael Posner, funzionario del Dipartimento presentando il rapporto – che anche Paesi con solide garanzie giuridiche, compresi gli Stati Uniti, non siano immuni da atti di intolleranza».

L’Europa, invece, si volta dall’altra parte, dimenticando che la sua forza risiede in quel sistema di valori che oggi è utile per dare governo ai processi di globalizzazione. Ogni rinuncia equivale a marginalizzarci, facendo prevalere i vecchi tabù di un’Europa stanca.
David Sassoli, presidente della Delegazione del Pd al Parlamento europeo


Avvenire.it, 4 febbraio 2011 - Il mancato riferimento ai cristiani nel documento della Ue /2 - Libertà condizione di accorci e aiuti: finito il tempo dei compromessi

Dietro al rinvio, per nulla scontato, dell’accordo sulla dichiarazione conclusiva a tutela delle libertà religiose in seno al Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione europea c’è un chiaro scontro causato da chi, come la Gran Bretagna e alcuni Paesi scandinavi, ritiene che menzionare appositamente le comunità cristiane nel testo sia rischioso perché potrebbe comportare un irrigidimento da parte delle componenti islamiche nei Paesi musulmani.

Credo si tratti dell’ennesimo tradimento compiuto dalla maggioranza dei governi europei nei confronti di quegli ideali che hanno permesso la nascita e il fiorire di quel progetto che chiamiamo Europa unita. È doveroso precisare come, all’interno del Consiglio europeo, non vi sia un pensiero unico e totalizzante: il rinvio del testo, risultato a questo punto molto positivo, è merito di quei governi, (guidati da quello italiano), che si sono opposti con fermezza a una soluzione che sarebbe stata inutile, anzi, avrebbe bloccato sul nascere le importantissime novità che erano arrivate dal Parlamento europeo.

«Ho ritenuto, proprio perché il testo proposto non menziona le comunità cristiane come vittime di gravi atti di violenza, che la credibilità europea sarebbe stata seriamente minata dalla sua eventuale approvazione». Questo è quanto dichiarato ieri dal ministro Frattini. Nella risoluzione comune approvata con una vastissima maggioranza il Parlamento europeo aveva infatti dichiarato con forza che le minoranze cristiane nel mondo sono perseguitate e aveva chiesto soprattutto che l’Ue si muovesse concretamente per proteggerle.

Il testo di questa risoluzione è una novità per l’Unione europea non solo perché riprende in modo chiaro tutte le problematiche legate alle sofferenze che i cristiani subiscono oggi nel mondo ma anche perché questo stesso testo è stato votato da una vasta maggioranza del Parlamento. Per la prima volta viene chiesto che l’Ue vincoli i propri accordi di cooperazione con i Paesi terzi al rispetto da parte di questi Paesi della libertà di religione garantendo le comunità religiose come i cristiani, che sono menzionati in modo esplicito. Soldi e accordi in cambio di diritti. Nel documento «si chiede inoltre all’esecutivo Ue, alla luce dei recenti eventi e della necessità crescente di analizzare e comprendere l’evoluzione delle tematiche culturali e religiose nelle relazioni internazionali e nelle società contemporanee, di predisporre una capacità permanente di ricerca strategica, elaborazione di politiche e formazione in materia di religioni e di convinzioni in seno al Servizio europeo per l’azione esterna».

Per questo si caldeggia l’inserimento di «un capitolo sulla libertà religiosa nella relazione annuale sui diritti dell’uomo». Il modello suggerito è quello della «Commissione Usa per la libertà religiosa internazionale, che controlla la protezione della libertà religiosa nel mondo fornendo consigli e proposte strategiche al presidente e al segretario di Stato americani». Questa, anche in Europa, è la direzione da prendere con decisione.
Mario Mauro, presidente dei deputati Pdl al Parlamento europeo