lunedì 7 febbraio 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Radio Vaticana, Udienze ed Angelus, notizia del 06/02/2011- Appello del Papa all'Angelus per la pace in Egitto e la difesa della vita. Testo integrale
2)    ’EGITTO IN RIVOLTA. FRATELLI MUSULMANI: MA SAPPIAMO DAVVERO CHI SONO? di Paolo Deotto, da www.riscossacristiana.it
3)             Marocco, l'eccezione nella regione del Maghreb di Elisabetta Galeffi, 07-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
4)    Egitto, prove di dialogo di Riccardo Cascioli, 07-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
5)    I "diversamente credenti" e il Dio in cui credo di don Angelo Busetto, 07-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
6)    Quattro elementi che fanno la Chiesa di Massimo Introvigne, 07-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
7)    Imparare a leggere di Pigi Colognesi, lunedì 7 febbraio 2011, il sussidiario.net
8)    Libertà e Giustizia: contro Berlusca, ma viva il divorzio e l'aborto! - Di Caius - 06/02/2011 - Politica – da http://www.libertaepersona.org
9)    Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci  - Quando ci irridevano per la castità… di Antonio Socci da “Libero”, 6 febbraio 2011
10)                      IDEE/ Barcellona: la vera sfida politica è salvare il nostro io interiore di Pietro Barcellona, domenica 6 febbraio 2011, il sussidiario.net

Radio Vaticana, Udienze ed Angelus, notizia del 06/02/2011- Appello del Papa all'Angelus per la pace in Egitto e la difesa della vita. Testo integrale

Il Papa oggi all’Angelus ha lanciato un appello per l’Egitto: “In questi giorni, seguo con attenzione la delicata situazione della cara Nazione egiziana. Chiedo a Dio che quella Terra, benedetta dalla presenza della Santa Famiglia, ritrovi la tranquillità e la pacifica convivenza, nell’impegno condiviso per il bene comune”. Quindi ha ricordato l’odierna Giornata per la vita: “Auspico che tutti si impegnino per far crescere la cultura della vita, per mettere al centro, in ogni circostanza, il valore dell’essere umano. Secondo la fede e la ragione la dignità della persona è irriducibile alle sue facoltà o alle capacità che può manifestare, e pertanto non viene meno quando la persona stessa è debole, invalida e bisognosa di aiuto”. E la Giornata del malato l’11 febbraio: “Esorto … tutti gli operatori sanitari a riconoscere nell’ammalato non solo un corpo segnato dalla fragilità, ma prima di tutto una persona, alla quale donare tutta la solidarietà e offrire risposte adeguate e competenti”. Ricordando la liturgia odierna ha esortato i cristiani ad essere sale della terra e luce del mondo: uniti a Dio – ha detto - i cristiani possono diffondere in mezzo alle tenebre dell’indifferenza e dell’egoismo la luce dell’amore di Dio, vera sapienza che dona significato all’esistenza e all’agire degli uomini”. Ecco le parole del Papa:


Cari fratelli e sorelle!

Nel Vangelo di questa domenica il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13.14). Mediante queste immagini ricche di significato, Egli vuole trasmettere ad essi il senso della loro missione e della loro testimonianza. Il sale, nella cultura mediorientale, evoca diversi valori quali l’alleanza, la solidarietà, la vita e la sapienza. La luce è la prima opera di Dio Creatore ed è fonte della vita; la stessa Parola di Dio è paragonata alla luce, come proclama il salmista: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105). E sempre nella Liturgia odierna il profeta Isaia dice: “Se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio” (58,10). La sapienza riassume in sé gli effetti benefici del sale e della luce: infatti, i discepoli del Signore sono chiamati a donare nuovo “sapore” al mondo, e a preservarlo dalla corruzione, con la sapienza di Dio, che risplende pienamente sul volto del Figlio, perché Egli è la “luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Uniti a Lui, i cristiani possono diffondere in mezzo alle tenebre dell’indifferenza e dell’egoismo la luce dell’amore di Dio, vera sapienza che dona significato all’esistenza e all’agire degli uomini.

Il prossimo 11 febbraio, memoria della Beata Vergine di Lourdes, celebreremo la Giornata Mondiale del Malato. Essa è occasione propizia per riflettere, per pregare e per accrescere la sensibilità delle comunità ecclesiali e della società civile verso i fratelli e le sorelle malati. Nel Messaggio per questa Giornata, ispirato ad una espressione della Prima Lettera di Pietro: “Dalle sue piaghe siete stati guariti” (2,24), invito tutti a contemplare Gesù, il Figlio di Dio, il quale ha sofferto, è morto, ma è risorto. Dio si oppone radicalmente alla prepotenza del male. Il Signore si prende cura dell’uomo in ogni situazione, condivide la sofferenza e apre il cuore alla speranza. Esorto, pertanto tutti gli operatori sanitari a riconoscere nell’ammalato non solo un corpo segnato dalla fragilità, ma prima di tutto una persona, alla quale donare tutta la solidarietà e offrire risposte adeguate e competenti. In questo contesto ricordo, inoltre, che oggi ricorre in Italia la “Giornata per la vita”. Auspico che tutti si impegnino per far crescere la cultura della vita, per mettere al centro, in ogni circostanza, il valore dell’essere umano. Secondo la fede e la ragione la dignità della persona è irriducibile alle sue facoltà o alle capacità che può manifestare, e pertanto non viene meno quando la persona stessa è debole, invalida e bisognosa di aiuto.

Cari fratelli e sorelle, invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria, affinché i genitori, i nonni, gli insegnanti, i sacerdoti e quanti sono impegnati nell’educazione possano formare le giovani generazioni alla sapienza del cuore, perché raggiungano la pienezza della vita.

DOPO ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

in questi giorni, seguo con attenzione la delicata situazione della cara Nazione egiziana. Chiedo a Dio che quella Terra, benedetta dalla presenza della Santa Famiglia, ritrovi la tranquillità e la pacifica convivenza, nell’impegno condiviso per il bene comune.

Rivolgo un cordiale saluto alle delegazioni delle Facoltà di Medicina e Chirurgia delle Università di Roma, accompagnate dal Cardinale Vicario, in occasione del convegno promosso dai Dipartimenti di Ginecologia e Ostetricia sul tema dell’assistenza sanitaria nella gravidanza. Quando la ricerca scientifica e tecnologica è guidata da autentici valori etici è possibile trovare soluzioni adeguate per l’accoglienza della vita nascente e per la promozione della maternità. Auspico che le nuove generazioni di sanitari siano portatrici di una rinnovata cultura della vita.

Je salue cordialement les pèlerins francophones. Dans l’Evangile de ce dimanche, le Christ affirme que nous sommes « la lumière du monde ». Puissions-nous accueillir son message comme un appel et une mission qu’il nous confie aujourd’hui ! Alors que nous venons de célébrer cette semaine la fête de la Présentation de Jésus au Temple qui est aussi la Fête de la Vie consacrée, je vous invite à prier et à rendre grâce pour toutes les personnes consacrées. Leur place essentielle dans l’Eglise témoigne que l’amour du Christ peut combler la vie humaine, et stimuler les chrétiens à marcher dans la joie vers la sainteté. Que la Vierge Marie nous accompagne sur ce chemin ! Bon séjour à tous !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors present at this Angelus prayer. In today’s Gospel, Jesus urges us to make our light shine before others, to the praise of our Father in heaven. May the light of Christ purify all our thoughts and actions. As the Church celebrates the World Day of the Sick on the Feast of Our Lady of Lourdes, may that same light bring hope and healing to those who are ill. Upon you and your loved ones, I invoke the blessings of Almighty God.

Ganz herzlich grüße ich auch alle deutschsprachigen Gäste. Das Evangelium des heutigen Sonntags gibt einen Abschnitt der Bergpredigt Jesu wieder. Christus spricht zu den Menschen, die ihm folgen, und nennt sie „Licht der Welt“ (Mt 5,14). Eine Stadt, die auf dem Berg liegt, kann nicht verborgen bleiben. So ist auch die Nachfolge Christi notwendig sichtbar und duldet keinen Rückzug. Bitten wir den Herrn, daß er uns zu treuen Zeugen mache, welche die Wahrheit und die Liebe Christi in der Welt verbreiten. Der Herr stärke euch und eure Familien mit seiner Gnade.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los grupos de las parroquias de Cristo Rey, de Zamora, de la Resurrección del Señor, de Segovia, y de Santa Joaquina de Vedruna, de Barcelona. Con la liturgia de hoy, invito a todos a ser reflejo del amor de Dios mediante las buenas obras, y a ser así luz del mundo y sal de la tierra, que inspire en todos el horizonte de la verdadera razón de su existencia y la esperanza suprema que Cristo ha traído a la tierra. Que la Virgen María os proteja y acompañe en el camino de la fe. Feliz domingo.

Lepo pozdravljam romarje iz Vrhnike v Sloveniji! Naj vam bo to vaše romanje v pomoč, da boste v skladu z evangelijem, ki smo ga poslušali danes pri sveti maši, vedno bolj postajali sol zemlje in luč sveta. Naj bo z vami moj blagoslov!
[Saluto cordialmente i pellegrini da Vrhnika in Slovenia! Il vostro pellegrinaggio vi aiuti affinché, secondo il Vangelo che abbiamo ascoltato durante la liturgia odierna, diventiate sempre di più il sale della terra e la luce del mondo. Vi accompagni la mia Benedizione!]


Pozdrawiam uczestniczących w modlitwie „Anioł Pański” Polaków. „Wy jesteście solą ziemi. Wy jesteście światłem świata” (Mt 5, 13-14). Oto powinność i przywilej uczniów Chrystusa, płynące z dzisiejszej Ewangelii. Jak sól nadaje smak potrawom, a światło pozwala nam widzieć przestrzeń i kolory, tak świadectwo naszego życia niech prowadzi wszystkich do wiary, wskazuje przestrzeń Boga, Jego Piękno i Miłość. Życzę wam dobrej niedzieli i z serca błogosławię.

Saluto tutti i Polacchi partecipanti alla preghiera dell’Angelus. “Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13-14): ecco l’impegno e il privilegio dei discepoli di Gesù che provengono dal Vangelo odierno. Come il sale dà un gusto ai cibi e la luce ci permette di vedere la dimensione e i colori, così la testimonianza della nostra vita conduca tutti alla fede, indichi loro la dimensione di Dio, la sua Bellezza e l’Amore. Auguro a tutti voi una buona domenica e vi benedico di cuore.]

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare le famiglie del Movimento dell’Amore Familiare e quanti in questa notte, nella chiesa parrocchiale di san Gregorio VII, hanno vegliato davanti al Santissimo Sacramento pregando per i cristiani perseguitati e per la libertà religiosa. Saluto i fedeli venuti da Brescia e da Vigodarzere, e quelli della parrocchia romana di Santa Maria Goretti. A tutti auguro una buona domenica.


’EGITTO IN RIVOLTA. FRATELLI MUSULMANI: MA SAPPIAMO DAVVERO CHI SONO? di Paolo Deotto, da www.riscossacristiana.it

Ciò che sta accadendo in Egitto è sotto gli occhi di tutti, e l’unica certezza che possiamo per ora avere è che il Presidente Mubarak è bruciato, scaricato anche dagli “alleati” americani, che per l’ennesima volta hanno dato una dimostrazione di politica estera sempre oscillante tra il cinismo e la pura e semplice stupidità. All’improvviso si è scoperto – e lo hanno scoperto anche i nostri politici, il che è tutto dire – che è assurdo che Mubarak sia presidente da trent’anni, all’improvviso si è scoperto che l’Egitto è un Paese dove la corruzione è dilagata. Ergo, o i vari nuovi moralisti sono semplicemente stupidi, o prima guardavano da qualche altra parte. Oppure sono, appunto, cinici. Non scordiamoci che per un lungo periodo anche il signore Saddam Hussein, impiccato con la benedizione degli USA, era stato un “amico dell’Occidente”.

Dicevamo che l’unica certezza è la fine politica di Mubarak, che del resto ha la bella età di 83 anni, e dopo trent’anni di presidenza forse è anche stufo.

Ma da qui a parlare di “democrazia”, c’è un abisso. Guarda caso, nel disordinato iter della rivolta egiziana, a un certo punto si è fatto, se così vogliamo dire, “più ordine”, si è incominciata a palesare una direzione strategica che ha saputo assumere il controllo della piazza. Non a caso l’esercito si è dichiarato “neutrale”. Quando le dimostrazioni di piazza raccolgono centinaia di migliaia di individui, e poi milioni, la soluzione militare può essere solo la carneficina. Quello che i cinesi non hanno avuto paura di fare nella famosa piazza Tienanmen. E non sappiamo se i vertici militari abbiano avuto paura di fare una carneficina per spirito umanitario, o perché si rendevano conto di avere davanti un nemico a cui in un domani avrebbero dovuto render conto. Il dubbio è lecito, laddove si consideri che il movimento che è emerso come il più determinato, l’unico realmente organizzato, è quello dei “Fratelli Musulmani”.

Adesso tutti i politici si affannano a dire che bisogna che in Egitto si attui una “transizione pacifica”, e frasi simili. Del resto, che altro potrebbero dire?

Ma prima di parlare di processo democratico, di fine della dittatura (e quindi, si presume a priori, avvento della democrazia), bisogna fare molta attenzione. Anzitutto consideriamo che in tutti i Paesi islamici la democrazia non può esistere, sia per la stessa natura del’Islam, che mischia religione e politica in un nodo gordiano, sia per l’arretrato culturale di secoli che quei Paesi hanno nei confronti dell’Occidente. Un esempio viene dall’Afganistan, dove si è eliminato un Governo composto da fanatici  (i Talebani), ma se si vuole avere un dialogo politico bisogna tuttora rivolgersi ai capi tribù, che restano la struttura fondamentale del Paese.

Ma tanto meno potrà esserci democrazia in un Paese dove arrivino al potere i Fratelli Musulmani.

Sappiamo chi sono realmente? La setta dei Fratelli Musulmani nasce in Egitto, nel 1928. Il suo fondatore, Hassan al-Banna, raccoglie attorno a sé quanti condividono una visione universale e guerriera dell’Islam. Lo slogan fondamentale è ““L’Islam è la soluzione a tutti i problemi”. È molto interessante leggere quanto scriveva Sayyid Qutb, ideologo della setta: ““l'Islam è chiamato per necessità al combattimento se vuole assumere il comando e la guida del genere umano. Essere musulmano significa essere un guerriero, una comunità di credenti perennemente in armi. I combattenti che cadono in battaglia sono martiri della fede perché hanno messo in pratica la Legge di Dio. Il combattimento per Dio (Jihad) non ha altro scopo che Dio stesso, imporre l'ordine divino nel mondo terreno”. Ad Hassan al-Banna faceva eco, in Pakistan, Sayyid Abul Ala Mawdudi secondo il quale la politica è una componente integrale ed essenziale della fede islamica e lo stato islamico, basato sulla legge coranica, sarà la panacea per tutti i mali. Nei suoi testi la religione diventa ideologia, con richiami storici ai primi musulmani che, fuggiti dalla Mecca, intrisa di paganesimo, avevano seguito Maometto a Medina per edificare uno stato in cui la sovranità fosse esercitata in nome di Allah.

Il colpo di Stato del 1952 in Egitto, col quale Neguib e Nasser detronizzarono Re Faruk, costituendo la Repubblica, era ispirato dai Fratelli Musulmani; ma lo stesso regime instaurato da Nasser non si rivelò poi, secondo i fondamentalisti, un vero regime islamico. Sayyid Qutb, accusato di complotto contro lo Stato, fu a lungo in carcere in Egitto, finché nel 1966 venne impiccato. Prima di lui l’avevano preceduto sulla forca centinaia di confratelli. Nasser era molto sbrigativo nella soluzione dei problemi di politica interna. E non scordiamoci che il Presidente Sadat (il predecessore di Mubarak), “reo” di aver concluso la pace con Israele e di aver incarcerato numerosi fratelli musulmani, venne ucciso da un ufficiale della sua stessa guardia, segretamente iscritto ai Fratelli Musulmani.

A questa setta di fanatici, che non hanno mai cambiato una virgola nei loro statuti, si ispireranno negli anni gruppi di gentiluomini come Al Qaeda e Hamas, e gli stessi Talebani avevano la loro base ideologica nel fondamentalismo esasperato dei “Fratelli Musulmani”. Un altro documento molto interessante da leggere è la costituzione della Repubblica islamica dell’Iran, che nel suo preambolo recita:  “… la Costituzione prepara il terreno affinché tale rivoluzione prosegua sia all’interno che all’esterno del Paese. In particolare si impegna nell’allargamento dei rapporti internazionali con altri movimenti islamici e popolari affinché si renda possibile la creazione di un’unica comunità mondiale”.

Insomma, è il sogno violento del califfato universale, che non ha mai abbandonato i fanatici islamici.

Come noto in Egitto il vice presidente Omar Suleiman ha aperto trattative con i rivoltosi. Ma il dirigente dei Fratelli Musulmani egiziani, Mustafa al-Katatni ha già fatto sapere che per loro  “l’accordo è incompleto… Se vediamo in futuro che il dialogo non è serio certamente inviteremo il popolo a una nuova rivolta".

Insomma, si è ben chiarito chi ha in mano la piazza in Egitto. Si potrà obiettare che i Fratelli Musulmani non sono l’unico gruppo in rivolta contro Mubarak. Vero. Ma sono i più organizzati, i più oltranzisti, e sono quelli che, una volta raggiunto anche un granello di potere, sapranno adoperarsi per conquistarlo tutto, fanaticamente convinti di dover imporre la legge islamica al mondo.

La Storia, piaccia o meno, l’hanno sempre fatta le minoranze più determinate. Ma in questo caso abbiamo una minoranza che, oltre che determinata, è anche profondamente criminale.

Il virus della rivolta intanto viaggia. Tunisia, Marocco, Algeria, Giordania hanno già avuto i loro problemi. A quando il turno di altre due solide dittature, Libia e Siria?

Guardiamo la realtà per quello che è: il primo, terribile rischio è quello di un’Africa mediterranea in mano agli estremisti islamici. E noi saremo i primi a fare i conti con questa realtà, data la nostra posizione nel mediterraneo. Ma un altro grande rischio è rappresentato da un allargarsi del fronte dei Paesi fanaticamente decisi alla distruzione di Israele. Quest’ultimo si troverebbe davanti un numero di nemici maggiore di quello dei precedenti conflitti. Inoltre Israele si troverebbe probabilmente senza l’appoggio (o con un appoggio minimo) da parte dell’America, guidata da un Presidente filo islamico, se non islamico lui stesso. Chi lancerà il primo missile atomico? Il quesito ha scarsa importanza, perché al primo seguiranno gli altri.

Insomma, smettiamo di parlare di lotte per la democrazia, e cerchiamo di avere i piedi più a terra. L’Egitto ha saputo controllare per anni i Fratelli Musulmani, e ora il suo presidente si trova scaricato e invitato esplicitamente ad andarsene proprio da quegli alleati americani che, almeno in teoria, dovrebbero avere tutto l’interesse a evitare un propagarsi di rivolte estremiste nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Resta un quesito interessante: ma per chi lavora di preciso il signor Barak Obama?


Marocco, l'eccezione nella regione del Maghreb di Elisabetta Galeffi, 07-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Souad Sbai è onorevole del parlamento italiano. Nata in Marocco, ma da molto tempo cittadina italiana,  ha fondato nel 2003 il mensile  Al Maghrebiya, l’unica  rivista  in lingua araba edita in Italia. E’presidente dell'Associazione Donne Marocchine in Italia e dal 2005 fa parte della Consulta islamica nel nostro paese. L’abbiamo incontrata nei corridoi di Montecitorio alla fine di una lunga giornata parlamentare: per conoscere il punto di vista su quanto succede in queste ore in Egitto da chi conosce bene questa parte del mondo e per chiederle se si deve temere un’allargarsi della rivolta fino alle strade del suo Marocco.

Per qualche giorno a Fez, la storica capitale del paese della mezzaluna, c’eravamo dati da fare a leggere i commenti su i giornali locali e ad interrogare la gente incontrata durante il viaggio per sondare l’umore del paese in queste ore. Senza riuscire però ad arrivare al polso della situazione. Certo il Marocco è un paese con un parlamento democratico, elezioni regolari e libere, tante nuove leggi a favore della parità tra i sessi e a difesa della libertà di opinione, però il potere anche economico, come riferiscono illustri giornalisti, è ancora concentrato nelle mani del re Mohamed VI, mentre il livello di disoccupazione, alfabetizzazione  e il tasso di povertà sono fra i più alti dei paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo.

C’è pericolo che la situazione degeneri anche in Marocco?
No, non credo. Qui le rivoluzioni per i diritti umani sono state già fatte e con i risultati visibili sul piano della democratizzazione del paese. Si può decidere sul primo ministro e sul governo. In Marocco c’è parlamento e un governo pluralista dal 1993. E chi vuole va a votare.

Aboubakr Jamai, noto giornalista marocchino in esilio, scrive che ci sono le premesse per una destabilizzazione del paese. Troppa disoccupazione e povertà, mentre i ricchi iniziano a portare i capitali all’estero.
E’ un uomo credibile Jamai. Ma chi può portare capitali all’estero in Marocco è solo il Re. E poi le proteste che erano state previste in Marocco in questi giorni sono state di fatto annullate dagli stessi organizzatori, che non sapevano bene contro cosa andare in piazza. In Marocco ci sono tantissimi giornali di opinione e si scrive cosa si vuole, si prende in giro il Re, tutti hanno accesso a internet e alle televisioni. Io non vedo questo pericolo.

Differenze con la Tunisia?
Il Marocco è più povero, non ha materie prime, ha meno introiti dal turismo che è essenzialmente e solo a Marrakech,  però non ha un dittatore. Certo una eventuale protesta marocchina sarebbe più simile a quella delle strade di Tunisi: per i prezzi che aumentano degli alimentari e per la disoccupazione che non ha ancora soluzioni vicine. La protesta in Egitto è altra cosa.

Si spieghi meglio.
La protesta in Egitto per me, e altri osservatori del nord dell’Africa e del Medioriente, è una protesta pilotata.  Non nasce dalla borghesia del paese, unica parte sociale che può chiedere cambiamenti, perché ha la cultura di chiederli. In Egitto, ormai da molti anni la borghesia è pressoché scomparsa, diversa la protesta tunisina fatta da molti laureati anche se senza lavoro. Le grandi masse dell’Egitto invece sono facilmente strumentalizzabili.

Crede che Mubarak abbia ancora il polso della situazione?
Io credo di si e che la protesta non durerà a lungo se qualcuno l’aiuta. C’è chi mi dice che lo sta già facendo Israele, che non ha alcun interesse di perdere l’Egitto di Mubarak in termini di sicurezza. Comunque, avere i Fratelli mussulmani al potere in Egitto è un pericolo per tutto il Mediterraneo.

Mubarak non potrà durare in eterno…
Certo. Ma proporre come sostituto El Baradei, che ha sempre vissuto fuori dell’Egitto è una cosa folle. Ci sono uomini e donne in Egitto che possono andare al posto di Mubarak conoscendo bene la situazione del loro paese. El Baradei potrebbe contare solo sull’appoggio dei Fratelli musulmani.


Egitto, prove di dialogo di Riccardo Cascioli, 07-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Una commissione congiunta regime-opposizione per studiare le riforme costituzionali e un comune impegno a gestire la transizione in modo pacifico è il primo risultato concreto dell’incontro avuto ieri dal vice presidente Omar Suleiman con i vari rappresentanti dell’opposizione, inclusi i Fratelli Musulmani,c he potrebbe essere il primo passo per sbloccare una crisi politica che dura da due settimane.

Ieri ancora migliaia di persone stazionavano in piazza Tahrir al Cairo, dove sabato sera avevano impedito l’ingresso ai carri armati dell’esercito che voleva riportare la normalità.
Volontà dimostrata ieri dalla riapertura di molte attività, a cominciare dalle banche che, dopo due settimane di chiusura, hanno visto subito formarsi delle code di risparmiatori che hanno provveduto a ritirare i parte dei loro depositi. La Banca centrale egiziana non si è fatta cogliere impreparata e ha reso disponibili 36 miliardi di dollari delle proprie riserve per fare fronte alla necessità ed evitare il panico tra i risparmiatori.

Sul fronte politico, intanto, si è cominciato a trattare: dopo l’incontro con Suleiman, i vari leader dell’opposizione hanno espresso dubbi sulla reale buona fede del governo e, oltre alle dimissioni di Mubarak, hanno perciò chiesto – come gesto di buona volontà e premessa a futuri colloqui – la fine immediata dello stato di emergenza che dura da 29 anni, e dell’istigazione alle intimidazioni attraverso i media statali.

Bisognerà ora vedere come risponderà il governo, che alla richiesta di dimissioni di Mubarak ha risposto garantendo soltanto che il presidente lascerà comunque a fine mandato (settembre) e che dimissioni immediate porterebbero il Paese al caos. Suleiman già venerdì aveva detto comunque che Mubarak è presidente solo formalmente.

Intanto però c’è un dato politico importante: al tavolo di ieri si è seduto anche il rappresentante dei Fratelli Musulmani, movimento finora al bando che però viene ritenuto il principale movimento organizzato. Non era invece presente all’incontro Mohamed El Baradei, l’ex capo dell’Agenzia atomica Internazionale (Aiea) che nei giorni scorsi aveva cercato di prendere la leadership della protesta in piazza Tahrir e che comunque si è detto pronto a correre per le presidenziali.

Tutti i partecipanti all’incontro di ieri hanno anche concordato sul respingere qualsiasi interferenza straniera in questa importante fase di cambiamento.

Ma a questo proposito c’è da registrare un curioso incidente diplomatico che ha per protagonista l’amministrazione Usa. Negli scorsi giorni il presidente americano Barack Obama aveva infatti sempre più chiaramente indicato il desiderio di Washington per un veloce avvio del dopo-Mubarak, con pressioni sul presidente di lasciare il suo posto. Ma sabato l’inviato speciale americano Frank Wisner, al Cairo per spiegare a Mubarak la posizione di Washington, ha detto che Mubarak a suo avviso “doveva restare in carica” per gestire la transizione, giudicando “decisiva” la “continuità di leadership”.  Dichiarazioni bomba che il Dipartimento di Stato americano si è subito affrettato a riparare, prendendo le distanze da Wisner e definendo le sue parole una opinione personale “non coordinata con il governo americano”. Ieri il segretario di Stato Hillary Clinton, da parte sua, ha detto di essere favorevole al coinvolgimento dei Fratelli Musulmani nei colloqui sulla transizione dell’Egitto, ma che in ogni caso gli Usa “aspettano di vedere” gli sviluppi.

In realtà il fattore Fratelli Musulmani rappresenta l’incognita principale sul futuro, perché molti temono che una loro vittoria potrebbe trasformare l’Egitto in un regime islamico, l’equivalente sunnita del regime sciita iraniano. I Fratelli Musulmani, da parte loro, hanno sempre negato di voler instaurare un regime fondamentalista, ma al momento l’estrema frammentazione dell’opposizione e le stesse correnti all’interno della Fratellanza, rendono impossibile qualsiasi previsione sull’esito della crisi e di eventuali libere elezioni.


I "diversamente credenti" e il Dio in cui credo di don Angelo Busetto, 07-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

‘Diversamente credenti’. Non avevo mai sentito questa espressione, presa in prestito dal moderno linguaggio psico-medico e spuntata in bocca al direttore di un mensile cattolico. I cristiani sono così tanto ‘diversamente credenti’ che non si incontrano più in una fede comune. Mi trovo a dire davanti a una piccola platea di uditori: “Io non credo in Dio”. Non credo nel vostro Dio lontano e invisibile, unico come il dio solitario dei cieli infiniti, fabbricatore di universi che ha dimenticato la sua opera.

Il Dio in cui credo è un altro, e non è saltato fuori dal cappello della fantasia. L’ho incontrato nel Vangelo e sperimentato nella Chiesa. Ha il volto sincero di Gesù, volto di uomo. Frequentandolo, guardandolo, ascoltandolo, i suoi amici si sono accorti del Dio vero. Un Dio proteso in un incessante movimento di vita: pensante e pensato, amante e amato. Gli amici hanno visto Gesù pregare e rivolgersi intensamente al Padre, e persino patirne la lontananza nella desolazione dell’orto degli ulivi e nell’abisso della croce, chinarsi sugli uomini con potenza umile e misericordiosa; l’hanno visto avvolto dalla nube misteriosa dello Spirito Santo, risorto e in cammino verso il Padre.

Dio è un fiume che scorre, un sole che gira e illumina e riscalda, un fiore che sboccia negli splendidi colori, un bimbo che nasce, un amore senza limiti. Che cosa può produrre una goccia d’acqua che – dal cuore di questo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, Trinità di persone e unità di natura - scenda nel cuore di un uomo attraverso una parola, un gesto, un volto? Chi si sente chiamare per nome si volta a guardarlo come Matteo dal banco delle tasse.

Diremo come il centurione sotto la croce: “Veramente quest’uomo è figlio di Dio”. Come Tommaso credente: “Mio Signore e Mio Dio”. Si potrà annunciarlo a tutti come l’unico Dio che esiste, l’unico che basta alla vita. Mi sorprendo che il Dio Trinità svelato in Cristo, ai miei quattro uditori di teologia risulti così nuovo e sorprendente e provochi commozione.

Il catechismo non è più parola desueta, abolita dal vocabolario della pastorale per grandi e piccini. La teologia non è linguaggio da iniziati che scrivono libri e organizzano convegni deserti. Una sapienza nuova e antica illumina la mente e avvolge il cuore. La vita acquista un nuovo spazio in cui muoversi e pensare, amare e inventare. Che cosa accade quando gli uomini si accorgono di Dio? Che cosa accade quando un uomo o una donna, un giovane o bambino cominciano la giornata e la vivono lasciandosi toccare e invadere dalla Sua Presenza?


Quattro elementi che fanno la Chiesa di Massimo Introvigne, 07-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Consacrando in San Pietro sabato 5 febbraio cinque nuovi vescovi, Benedetto XVI ha pronunciato un'omelia molto significativa, di cui ha ripreso alcune idee anche nell'Angelus di domenica 6 febbraio.

Il vescovo è per la Chiesa, e la consacrazione di vescovi è dunque occasione per ricordare che cosa fa la Chiesa e che cosa alla Chiesa si chiede: «Portare agli uomini - ha detto il Papa - la luce della verità, liberarli dalla povertà di verità, che è la vera tristezza e la vera povertà dell’uomo. Portare loro il lieto annuncio che non è soltanto parola, ma evento: Dio, Lui stesso, è venuto da noi. Egli ci prende per mano, ci trae verso l’alto, verso se stesso, e così il cuore spezzato viene risanato».

Potrebbe sembrare che queste parole del Vangelo oggi siano diventate anacronistiche, e che il «lieto annuncio» all'uomo del 2011 non interessi più. Non è così, assicura il Pontefice. «"La messe è abbondante” – anche oggi, proprio oggi. Anche se può sembrare che grandi parti del mondo moderno, degli uomini di oggi, volgano le spalle a Dio e ritengano la fede una cosa del passato – esiste tuttavia l’anelito che finalmente vengano stabiliti la giustizia, l’amore, la pace, che povertà e sofferenza vengano superate, che gli uomini trovino la gioia. Tutto questo anelito è presente nel mondo di oggi, l’anelito verso ciò che è grande, verso ciò che è buono. È la nostalgia del Redentore, di Dio stesso, anche lì dove Egli viene negato».

Il desiderio di Dio è ancora presente nell'Occidente contemporaneo, almeno come nostalgia. Saper rispondere a questa nostalgia «non è una questione di management, della nostra propria capacità organizzativa». Riprendendo quanto affermato nel Messaggio alla II Conferenza Continentale Latino Americana delle Vocazioni, pubblicato il 1 febbraio, e nell'omelia del 2 febbraio per la Giornata della Vita Consacrata - due interventi di cui La Bussola Quotidiana ha dato conto - il Papa ha ribadito che la chiave della nuova evangelizzazione è la vita spirituale. Dio vuole entrare nella storia, ha detto, «attraverso la porta della nostra preghiera».

La Chiesa, a sua volta, entra «nella storia del mondo con il compito di risanare aprendo le porte del mondo alla signoria di Dio, affinché la volontà di Dio sia fatta sulla terra come in cielo». La missione dei sacerdoti e dei vescovi, in particolare, è una forma speciale di «cooperazione alla missione di Gesù Cristo, quale partecipazione al dono dello Spirito Santo, dato a Lui in quanto Messia, il Figlio unto da Dio. La Lettera agli Ebrei [...] completa ancora questo a partire dall’immagine del sommo sacerdote Melchìsedek, che è un rinvio misterioso a Cristo, il vero Sommo Sacerdote, il Re di pace e di giustizia».

Benedetto XVI ha poi voluto raccomandare, anche ai vescovi, lo studio del suo ciclo di discorsi per la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani di quest'anno, di cui pure La Bussola Quotidiana ha dato puntuale notizia. Questi discorsi, nel loro insieme, costituiscono un articolato commento del Papa al brano degli Atti degli Apostoli scelto come motto per la Settimana ecumenica di quest'anno: «Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42).

Il Pontefice ha ribadito il 5 febbraio che qui troviamo descritti «quattro elementi portanti dell’essere della Chiesa». «Tutti e quattro gli elementi sono tenuti insieme mediante l’espressione “erano perseveranti” – “erant perseverantes”: la Bibbia latina traduce così l’espressione greca προσκαρτερ?ω: la perseveranza, l’assiduità, appartiene all’essenza dell’essere cristiani». Il vescovo, ma in realtà ogni cristiano «non deve essere una canna di palude che si piega secondo il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo», e deve avere al contrario «il coraggio di opporsi alle correnti del momento».

Il primo dei quattro elementi costitutivi della Chiesa è «“perseverare nell’insegnamento degli Apostoli” – la fede ha un contenuto concreto. Non è una spiritualità indeterminata, una sensazione indefinibile per la trascendenza. Dio ha agito e proprio Lui ha parlato. Ha realmente fatto qualcosa e ha realmente detto qualcosa. Certamente, la fede è, in primo luogo, un affidarsi a Dio, un rapporto vivo con Lui. Ma il Dio al quale ci affidiamo ha un volto e ci ha donato la sua Parola. Possiamo contare sulla stabilità della sua Parola. La Chiesa antica ha riassunto il nucleo essenziale dell’insegnamento degli Apostoli nella cosiddetta Regula fidei, che, in sostanza, è identica alle Professioni di Fede. È questo il fondamento attendibile, sul quale noi cristiani ci basiamo anche oggi. È la base sicura sulla quale possiamo costruire la casa della nostra fede, della nostra vita (cfr Mt 7,24ss)».

Il secondo «pilastro dell’esistenza ecclesiale, san Luca lo chiama κοινων?α – communio». L'interpretazione di questa parola, ha detto il Papa, non è scontata. «Che cosa Luca voglia precisamente esprimere con tale parola in questo testo, non lo sappiamo. Possiamo quindi tranquillamente comprenderla in base al contesto globale del Nuovo Testamento e della Tradizione apostolica». La testimonianza degli apostoli ci assicura che con la venuta di Gesù Cristo «Dio si è reso per noi visibile e toccabile e così ha creato una reale comunione con Lui stesso. Entriamo in tale comunione attraverso il credere e il vivere insieme con coloro che Lo hanno toccato. Con loro e tramite loro, noi stessi in certo qual modo Lo vediamo, e tocchiamo il Dio fattosi vicino. Così la dimensione orizzontale e quella verticale sono qui inscindibilmente intrecciate l’una con l’altra. Con lo stare in comunione con gli Apostoli, con lo stare nella loro fede, noi stessi stiamo in contatto con il Dio vivente». E «a tale scopo serve il ministero dei Vescovi: che questa catena della comunione non si interrompa. È questa l’essenza della Successione apostolica: conservare la comunione con coloro che hanno incontrato il Signore in modo visibile e tangibile e così tenere aperto il Cielo, la presenza di Dio in mezzo a noi».

Il terzo pilastro della Chiesa è lo spezzare il pane. L'inclusione di questo gesto nell'elenco degli elementi fondamentali della Chiesa proposto dagli Atti degli Apostoli indica che «la santa Eucaristia è il centro della Chiesa». Ai vescovi e ai sacerdoti il Papa raccomanda: «Cerchiamo di celebrare l’Eucaristia con una dedizione, un fervore sempre più profondo, cerchiamo di impostare i nostri giorni secondo la sua misura, cerchiamo di lasciarci plasmare da essa». Ne nascerà anche un impegno sociale non puramente umanitario, ma veramente ispirato dalla fede.

Come quarto pilastro della Chiesa san Luca, l'autore degli Atti degli Apostoli, «menziona “le preghiere”. Egli parla al plurale: preghiere. Che cosa vuol dire con questo? Probabilmente pensa alla partecipazione della prima Comunità di Gerusalemme alle preghiere nel tempio, agli ordinamenti comuni della preghiera. Così si mette in luce una cosa importante. La preghiera, da una parte, deve essere molto personale, un unirmi nel più profondo a Dio. Deve essere la mia lotta con Lui, la mia ricerca di Lui, il mio ringraziamento per Lui e la mia gioia in Lui. Tuttavia, non è mai soltanto una cosa privata del mio “io” individuale, che non riguarda gli altri. Pregare è essenzialmente anche sempre un pregare nel “noi” dei figli di Dio. Solo in questo “noi” siamo figli del nostro Padre, che il Signore ci ha insegnato a pregare. Solo questo “noi” ci apre l’accesso al Padre». Così, «pregare, in ultima analisi, non è un’attività tra le altre, un certo angolo del mio tempo. Pregare è la risposta all’imperativo che sta all’inizio del Canone nella Celebrazione eucaristica: Sursum corda – in alto i cuori! È l’ascendere della mia esistenza verso l’altezza di Dio».

Questo vale per i vescovi e i sacerdoti, chiamati a essere «pescatori di uomini nell’oceano del nostro tempo». Ma vale per tutti i cristiani. Nell'omelia del 5 febbraio il Papa ricorda l'immagine del Papa san Gregorio Magno (ca. 540-604), che paragona la preghiera alla luce.

Sulla luce Benedetto XVI è tornato nell'Angelus del 6 febbraio, commentando il Vangelo della domenica in cui il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13-14).
La luce, qui, è messa in una relazione con il sale che a noi può apparire piuttosto curiosa. Ma, spiega il Papa, «il sale, nella cultura mediorientale, evoca diversi valori quali l’alleanza, la solidarietà, la vita e la sapienza». Mentre «la luce è la prima opera di Dio Creatore ed è fonte della vita; la stessa Parola di Dio è paragonata alla luce, come proclama il salmista: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Sal 119,105). E sempre nella Liturgia odierna il profeta Isaia dice: "Se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio" (58,10)».

Alla fine le immagini del sale e della luce convergono nell'idea della sapienza cristiana. «La sapienza riassume in sé gli effetti benefici del sale e della luce: infatti, i discepoli del Signore sono chiamati a donare nuovo "sapore" al mondo, e a preservarlo dalla corruzione, con la sapienza di Dio, che risplende pienamente sul volto del Figlio, perché Egli è la "luce vera che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). Uniti a Lui, i cristiani possono diffondere in mezzo alle tenebre dell’indifferenza e dell’egoismo la luce dell’amore di Dio, vera sapienza che dona significato all’esistenza e all’agire degli uomini».


Imparare a leggere di Pigi Colognesi, lunedì 7 febbraio 2011, il sussidiario.net

Jean Leclercq - qualche giorno fa si è celebrato il centenario della sua nascita - era un monaco benedettino ed è stato uno dei massimi studiosi del pensiero e della spiritualità monastica del Medioevo.

A lui si deve un decisivo allargamento di prospettiva in questi studi; egli, infatti, ha dato un contributo fondamentale alla riscoperta della «teologia monastica», cioè di quella che non si faceva nelle università e nelle scuole - «scolastica» - bensì nei monasteri. Una teologia che non punta prioritariamente all’elaborazione teorica e sistematica, ma all’immedesimazione esistenziale, al cammino spirituale.

Nel suo capolavoro Cultura umanistica e desiderio di Dio (fortunatamente ripubblicato in Italia nel 2002) Leclercq ricorda che la molla che spingeva tanti uomini del medioevo a farsi monaci era, in sintonia con l’impostazione di san Benedetto, esattamente il «desiderio di Dio». A questo era finalizzato ogni aspetto della vita, compreso lo studio (l’originale francese del titolo non parla di «cultura umanistica», ma di un più chiaro amour des lettres, che potremmo leggere come «passione per la conoscenza»).

Nel crogiuolo di questi due elementi, presi nel giusto ordine gerarchico, è fiorita, la grande sapienza di san Bernardo di Chiaravalle, uno degli autori più studiati da Leclercq, e di molti altri da lui riscoperti.

Cultura umanistica e desiderio di Dio, spiegando formazione, fonti e frutti della cultura monastica, è ricchissimo di spunti d’insegnamento anche per noi oggi. Esemplifico riportando alcuni brani in cui Leclercq illustra che cosa significasse per i monaci medievali leggere e riflettere su quanto si è letto.
Per noi, quando non è una frettolosa ricerca di stimoli o di informazioni che subito svaniranno, la lettura è sostanzialmente il tentativo di immagazzinare dei concetti. Per i monaci, mossi dal «desiderio di Dio», era operazione del tutto differente; per loro «leggere un testo era impararlo a memoria nel senso più forte di questo atto, cioè con tutto il proprio essere: con il corpo poiché la bocca lo pronuncia, con la memoria che lo fissa, con l’intelligenza che ne comprende il senso, con la volontà che desidera metterlo in pratica».

Dunque, un atto che coinvolge tutto l’io e non solo i neuroni del suo cervello. Questo metodo, scrive più avanti Leclercq, «porta a riconoscere grande importanza al testo e alle singole parole». Tanto che i teologi monastici chiamavano la loro riflessione ruminatio, proprio come fa un bovino che ha appena pasturato.

Riflettere «significa aderire strettamente alla frase che si ripete, pensarne tutte le parole per giungere alla pienezza del loro senso». È un’azione che «assorbe e impegna tutta la persona» e si trasforma «necessariamente in una preghiera».

Mi pare una modalità da riscoprire nella nostra superficiale frenesia di lettori sbadati. Del resto, dice ancora Leclercq, i monaci avevano un compito, quello di «mostrare, con la loro stessa esistenza, la direzione in cui bisogna guardare». Non solo nel Medioevo.
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Libertà e Giustizia: contro Berlusca, ma viva il divorzio e l'aborto! - Di Caius - 06/02/2011 - Politica – da http://www.libertaepersona.org

Libertà e Giustizia, attraverso i volti di Eco e Saviano, con l'appoggio del purissimo e disinteressatissimo Carlo De Benedetti, patron di Repubblica,  ha realizzato una imponente manifestazione contro Berlusconi. Motivo principale? Le sudicerie del premier italiano.

Condivido la condanna, nettissima, di certi comportamenti, benchè sia ridicola l'accusa secondo cui il premier sarebbe nientemeno che un "dittatore". Difficile, però, accodarsi a questi improvvisi scopritori della moralità, che portano una sciarpa bianca, simbolo della purezza, e che, come ho già scritto, non hanno altro programma che il nichilismo -oggi da Nichi (Vendola) -per tutti, il divorzio e l'aborto come diritti. Tutte cosette che confliggono un po' con l'immagine di difensori del pubblico pudore che costoro cercano di dare di sè, dopo aver portato in parlamento Cicciolina e Luxuria (tra gli altri).

Ecco un articolo estratto dal sito della suddetta associazione, in cui divorzio ed aborto vengono presentati come grandi conquiste di laica civiltà. Strano che costoro non capiscano che la vita del premier è la coerente traduzione del modo di vedere la vita e l'amore propalato da decenni proprio dalla sinistra e dalle associazioni come Libertà e Giustizia; propalato da chi ogni due per tre spiega che la Chiesa non deve "entrare sotto le lenzuola" dei cittadini, quando questa odiosa espressione serve a difendere i matrimoni gay, le fecondazioni eterologhe, gli uteri in affitto e il "libero amore".



13 maggio 2009

Trentacinque anni fa, in queste ore, lo spoglio delle schede referendarie dava un annuncio straordinario: era salva la legge che già da tre anni e mezzo consentiva alle coppie in crisi di liberarsi del fardello di un matrimonio fallito, e che la Dc (soprattutto Amintore Fanfani, che sulla partita si giocò presidenza del Consiglio e segreteria del partito) e l’Msi volevano abrogare.

Risultato esaltante: con quasi il 60% dei voti il popolo italiano confermava, il 12 e 13 maggio del 1974, una conquista di libertà e di civiltà...
Due anni dopo altra e ancor più imponente vittoria laica contro la nuova prova di forza della destra cattolico-fascista scatenata contro l’introduzione dell’aborto: quasi il 70% dice no all’abrogazione della legge, e non è un caso che anche e proprio il Mezzogiorno e le Isole reagiscano con grande forza al tentativo di mettere in discussione un’altra conquista di civiltà in favore delle donne, sin qui vittime delle mammane, e per la libertà da antichi pregiudizi. “Nessuno – parola del cardinal Biffi, un oltranzista – aveva mai osato prevedere nel suo pessimismo ciò che poi di fatto è accaduto”, cioè una vittoria così schiacciante. Altri tempi. http://www.libertaegiustizia.it/2009/05/13/35-anni-fa-il-divorziouna-battaglia-di-civilta/

Conclusione: quando Famiglia Cristiana ed altri organi cattolici condannano giustamente la vita del premier, hanno idea di cosa sia l'alternativa che propongono? Hanno idea di chi siano i componenti, non uno, ma pressochè tutti, dello schieramento di sinistra?


Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci  - Quando ci irridevano per la castità… di Antonio Socci da “Libero”, 6 febbraio 2011

Fummo una generazione irriverente, trasgressiva. Negli anni Settanta chi non ha fatto scioperi e okkupazioni? Il “vietato vietare”, il sei politico, poi gli spinelli, gli amorazzi usa e getta, il fanatismo ideologico, la violenza politica, i capetti intolleranti circondati di “compagne” adoranti.

Una generazione obbedientissima – come la giudicò Pasolini – ai padroni del pensiero dominante che la volevano rivoluzionaria.

Poi alcuni di noi hanno incontrato dei padri e hanno disobbedito ai padroni. Abbiamo sperimentato la vera libertà. Ci siamo avventurati in terre sconosciute, abitate da una bellezza mai immaginata, abbiamo sperimentato l’amicizia, l’autenticità, il gusto di una vita diversa.

Senza neanche metterlo a tema, seguendo il fascino di Gesù Cristo, ci siamo trovati a vivere lo splendore della castità, fra ragazzi e ragazze, e perfino a intuire la poesia rivoluzionaria della verginità. 

Meravigliati da quanto era bello il volto della propria ragazza non ridotta a preda, a oggetto su cui sfogare la propria violenta solitudine.

E’ la sovrana e lieta libertà dei figli di Dio per cui Francesco d’Assisi poteva dire: “dopo Dio e il firmamento: Chiara”. E nel Testamento di Chiara si legge: “Francesco, nostra unica consolazione e sostegno, dopo Dio”.

Avevamo incontrato uomini veri e per nulla al mondo volevamo perdere quella nuova vita e quel gusto dell’esistenza.

Così diventammo gli “odiati ciellini”. Odiati dal branco dei “compagni” che, al mercato libertario delle facili carni (limitrofo alla bancarella dell’eroina), sghignazzavano sui preti e il papa e – com’era facile per gli sciocchi – sulla castità dei ciellini. In tanti casi dal disprezzo si passò pure alle spranghe, ai pugni, agli insulti.

Eccoli là, oggi, i compagni di allora. Non hanno fatto la rivoluzione, però molti hanno fatto carriera e soldi. E l’arroganza è spesso rimasta identica. Sotto la canizie e la calvizie ruggisce ancora il giovanotto fanatico di allora.

L’unica rivoluzione che hanno fatto – o meglio: che hanno servito – è stata la rivoluzione sessuale. Ad uso e consumo della società dei consumi.

Oggi la panza, che ballonzola dietro la loro cravatta di facoltosi giornalisti, potenti politici, baroni universitari, ammonisce e rimprovera. E – toh! – su cosa?

Contro il sesso sfrenato (ovviamente non il proprio: quello di Berlusconi). Pontificano accigliati contro il sesso usa e getta, tessono orazioni morali sulla dignità della donna, ci insegnano il sacro rispetto del corpo femminile, predicano il rigore morale.

In certi casi dall’alto di una vita, di una generazione, che ha conosciuto – dopo l’anarchia sessuale della giovinezza – il susseguirsi di matrimoni e relazioni…

Lo spettacolo è sorprendente. Forse è perfino occasione di riflessione. Mi sono trattenuto finora dallo scrivere sulle miserie della cronaca e ho risposto no ad alcuni talk show politici che volevano invitarmi a “giudicare da cattolico” le “notti di Arcore”.

Tuttavia da settimane vedo e sento alcuni ex rivoluzionari, con aria ispirata e virgineo candore, alzare il loro alto grido contro chi profana con immagini discinte “il corpo delle donne”, contro chi ha costumi sessuali sfrenati e – incredulo – mi stropiccio gli occhi.

Non solo ricordando le stagioni giovanili. Mi chiedo: ma su quali giornali hanno scritto finora? Su quali settimanali? Cos’avevano in copertina? Donne col burka? E quali libri hanno lanciato? Quali film e quali registi hanno esaltato? Quali costumi hanno praticato e legittimato? Quale morale hanno affermato?

D’improvviso sembra siano diventati tutti castigatissimi censori. Era inevitabile che una tale schiera di puritani si trovasse a fianco Oscar Luigi Scalfaro essendo, lui sì, un bigotto della prima ora. Ricordate l’episodio che lo ha reso “immortale”?

E’ la scenata fatta negli anni Cinquanta a una signora, casualmente intravista al ristorante, rea di avere un vestito scollato. Alla manifestazione “per la dignità delle donne” dunque parteciperà questo Scalfaro.

E leggo su Repubblica che “parteciperà anche Nichi Vendola: ‘Un’altra storia italiana è possibile, c’è un’Italia migliore per cui le donne non sono carne da macello, corpi da mercimonio, protagoniste solo in un establishment da escort’ ”.

Sì, caro Nichi (nei panni del teologo morale), questa Italia esiste. Ma sei sicuro che sia proprio quella che voi volete da decenni?

E’ meraviglioso lo slogan di questa sinistra: “Sono uomo e dico basta”. Ma basta a cosa? Alla famosa “libertà sessuale”? Allo slogan “il corpo è mio e lo gestisco io”? A questa sessuomania di massa?

Parliamone. A maggio scorso partecipai a una puntata di “Annozero” su preti e pedofilia. Fu molto interessante, ma ricordo che quando tentai di ampliare l’orizzonte proponendo di analizzare la (spesso patologica) sessuomania di massa che caratterizza i nostri costumi e la nostra cultura, Santoro troncò il discorso passando ad altro. Non lo ritenne interessante. Eppure è questo il clima irrespirabile.

Sono un padre, ho figlie giovani e mi fa schifo una società in cui delle giovani donne – in qualunque ambiente ! – sono discriminate se non stanno al gioco o non accettano certi compromessi. Mi fa schifo una società dove delle ragazze o dei ragazzi sono marchiati come cretini se dicono di credere nella castità o nella verginità.

O dove sei considerato un soggetto pericoloso se affermi che il matrimonio è solo tra uomo e donna, se ti ostini ad affermare che il genere non è un’opinione (che la natura – essere maschi e femmine – non è opinabile), se consideri il divorzio un male, se condanni l’aborto, la pillola del giorno dopo e se osi mettere in discussione il “sacro preservativo” venerato dalla cultura dominante.

C’è chi cerca di strattonare i cristiani per strappare loro qualche scomunica del peccatore Berlusconi. Gad Lerner ha amplificato la voce della suorina che ha tuonato “Non ti è lecito!” contro il Cav come il Battista contro Erode.

Bene. Con quella suorina però – a proposito di Erode – tuoniamo “non ti è lecito” pure contro una cultura dominante che a livello planetario ha legalizzato la pratica dell’aborto arrivando in cinquant’anni a totalizzarne un miliardo, una cultura che abbassa sempre di più il livello di difesa della vita umana.

E vorrei ricordare a quella suorina che Giovanni Battista tuonava soprattutto contro l’ipocrisia di scribi e farisei che chiamava: “Razza di vipere!”.

Anche Gesù tuonerà contro di loro. Lui mostra compassione per i peccatori, i pubblicani e le prostitute, ma non per i “sepolcri imbiancati” che puntano il dito sul peccato altrui: “essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume”.

E’ di tutti noi che parla. Perché di un gran peccatore, come Zaccheo, Gesù può fare un santo, anche un grande santo come Paolo o Agostino. Ma di chi presume di giudicare gli altri, dei sepolcri imbiancati? Del resto loro saranno col dito puntato contro di Gesù fin sotto la croce.

Dicevamo della manifestazione per la dignità delle donne. Difenderanno anche la dignità calpestata delle donne nel continente islamico?

E la dignità delle donne cristiane in Pakistan, la dignità di Asia Bibi, giovane madre condannata a morte, tuttora detenuta e sottoposta a ogni umiliazione, perché cristiana?

E’ il cristianesimo che ha imposto di riconoscere alle donne la loro dignità.

Lo stesso Roberto Benigni, commentando la “preghiera alla Vergine” di Dante, ebbe a dirlo: “è da quando Dio stesso ha chiesto a Maria il suo sì o il suo no che le donne hanno acquisito il diritto di dire sì o no”.

Proprio ieri si festeggiava sant’Agata, vergine e martire. La storia di questa giovane del III secolo ci mostra l’unica vera rivoluzione che ha ridato dignità alle donne. Non certo la cultura di Repubblica e dell’Espresso o quella comunista (né, ovviamente, la cultura televisiva). Ma solo Gesù Cristo.


IDEE/ Barcellona: la vera sfida politica è salvare il nostro io interiore di Pietro Barcellona, domenica 6 febbraio 2011, il sussidiario.net

È veramente paradossale che mentre da un lato si afferma la necessità di ridare corpo e anima all’idea di “cittadinanza”, invocando il ripristino della tutela dei diritti di libertà, dall’altro lato la stessa idea di “città” viene sottoposta ad un’erosione continua fino a perdere qualsiasi riferimento ai significati storici tradizionali.

In verità sembra difficile immaginare una cittadinanza attiva e consapevole, come invocato ad esempio da Zagrebelsky nella lezione magistrale al convegno di Giustizia e Libertà, e poi constatare che la città non esiste più e che i suoi abitanti sono monadi fluttuanti in una rete globale fatta di flussi informatici e di manipolazioni mediatiche.

Senza i tradizionali caratteri spazio-temporali, che davano alla città il ruolo del luogo pubblico per eccellenza, non si riesce infatti ad immaginare in che modo e in quali forme il cittadino possa esercitare i propri diritti e rispetto a cosa possa misurare le proprie aspettative e i propri desideri. È invece proprio sul terreno del rapporto fra cittadinanza e spazio pubblico che si misura una diagnosi del presente non superficiale e retorica.

Sotto questo profilo, è davvero sorprendente che siano i documenti della conferenza episcopale, più che le analisi degli scienziati sociali e dei politologi, a richiamare l’attenzione sul vero tema sul quale si dovrebbe concentrare l’attenzione e la riflessione di tutti. I documenti episcopali insistono infatti con toni di crescente drammaticità sul mutamento antropologico che sta caratterizzando questo passaggio d’epoca che si affaccia minaccioso sulla vita quotidiana di tutti gli abitanti del pianeta.

Che vuol dire mutamento antropologico? Forse è opportuno accennare brevemente all’origine dell’antropologia come scienza specificamente umana che nasce nel momento in cui nell’area del Mediterraneo le società hanno cominciato a guardare se stesse e a porsi la domanda su che cosa è l’uomo rispetto a tutti gli altri esseri viventi.

L’antropologia nasce quando ci si comincia a porre il problema di che cosa è l’uomo e a tentare di dare una risposta a partire dalle realtà concrete nelle quali si sviluppa la vita e la sopravvivenza degli esseri umani. Solo gli uomini sono stati capaci di porre questa domanda a se stessi e di farne oggetto di una riflessione e di una consapevolezza che ha messo in evidenza prima di ogni altra cosa il fatto che gli uomini, a differenza degli altri esseri viventi del mondo animale che ripetono da secoli gli stessi comportamenti, non hanno un codice di comportamento precostituito. L’assenza di determinazioni normative e di regole di condotta eterne costringe perciò l’uomo a darsi regole e a costruire “immagini influenti” e rappresentazioni di se stessi che si proiettano nello spazio e nel tempo per configurarne i modi e le forme di utilizzazione.

Fino a qualche decennio fa la civiltà umana si sviluppava attorno a due categorie fondative dell’esperienza individuale e sociale: lo spazio e il tempo. Lo spazio del lavoro, della produzione, dell’abitare; il tempo della vita, del lavoro, del succedersi delle generazioni. Spazio e tempo sono state le costanti dell’evoluzione del modello di uomo che ha presieduto alla nascita e alla evoluzione della civiltà occidentale. Artemide, dea del confine, ha segnato fin dai tempi dell’antica Grecia la differenza fra la selvatichezza della vita delle campagne e dei boschi e la domestichezza della vita urbana con le case e le piazze che delimitano lo spazio pubblico e lo spazio privato in un’armoniosa configurazione. Il tempo ha scandito i rapporti fra passato e futuro attraverso la celebrazione delle feste e degli eventi che richiamano alla memoria l’intera storia di un gruppo umano.

Non ci vuole molto a costatare come oggi queste categorie essenziali che strutturano la vita umana, lo spazio e il tempo, sono radicalmente modificate fino al punto da rendere insignificanti tutte le derivazioni  implicate in questa terminologia tradizionale. Il tempo, come si suol dire, è ormai il tempo “reale” dell’immediato presente, in cui tutta la temporalità si concentra senza articolazioni in una sorta di presenza infinita senza rimandi al prima né al dopo. Paradossalmente, il tempo reale è un non tempo.

Se si pensa a quanto scriveva Norbert Elias sul carattere normativo e sociale dell’immagine del tempo che caratterizza una società determinata, organizzandone le forme di vita, ci si rende conto di quanto oggi il tempo reale abbia smesso di svolgere qualsiasi funzione regolativa, eliminando dalla percezione del tempo ogni riferimento al contesto reale della vita. L’operaio associava tradizionalmente il luogo del lavoro al tempo della sua prestazione e si rappresentava l’immagine della fabbrica e quella dello spazio della città divise tra l’abitare e il produrre. Oggi, nell’epoca del lavoro digitale, sempre più diffuso e sempre e più pervasivo, il lavoratore si trova a navigare in un flusso di informazioni che lo rende praticamente un semplice punto di intersezione di coordinate che si svolgono e si sviluppano al di là di ogni sua possibile comprensione. Allo stesso modo, lo spazio si è dilatato, eliminando ogni riferimento a luoghi determinati e gettando ogni uomo nella “corsa” avanti e indietro nelle autostrade informatiche che coprono l’intero pianeta. La distinzione fra il prossimo e il lontano, tra il vicino di casa e l’abitante di un altro emisfero del globo è annullata nella nuova comunicazione informatica che attraversa i nostri corpi rendendoci disponibili a inauditi viaggi senza avere veri e propri movimenti fisici.

La realtà, con la sua pesantezza e con la sua forza di gravità, si è liquefatta in una virtualità che non è puro immaginario ma nuova organizzazione della vita quotidiana. La virtualizzazione della presenza fisica del corpo non è una pura fantasticheria ma la nuova forma in cui si esprimono le istanze vitali di ciascuno. Nella rete e nella connessione globale ciascuno di noi esiste perché è sempre presente, disponibile e raggiungibile. Il luogo in cui si trova il nostro corpo non ha alcun significato. Le amicizie, i contatti, le relazioni sono tutte immerse nella rete e tracciano linee di incontri che sostituiscono interamente la realtà tradizionale dello stare insieme nello stesso luogo, in uno spazio specifico e determinato. Non c’è ancora una vera e propria spiegazione del significato dello “stare” nella dimensione ormai totalmente virtuale dei contatti informatici. Certo è che questa radicale metamorfosi del tempo e dello spazio sta rendendo le vite individuali e quelle collettive una sorta di eterno errare senza mete precise. In una dimensione rarefatta che produce soltanto una sensazione inaudita di sradicamento totale e di assenza di peso corporeo,  ci troviamo sempre più fluttuanti e confusi rispetto alle direzioni di marcia.

Come alcuni studiosi hanno notato, l’unico contesto globale, veramente normativo è quello del movimento del Capitale nelle sue diverse forme di merce, denaro e informazione. L’unica possibilità di rappresentazione dell’essere umano, come hanno sottolineato i vescovi nel loro documento, è quella di un consumatore che affida soltanto al mercato ogni risposta alle proprie attese e ai propri desideri. Ogni essere vivente è soltanto un punto dell’universo mercificato e la sua vita è totalmente eterodiretta dall’imperativo universale di produrre merce, ricchezza e consumo.

La mutazione della percezione del tempo e dello spazio non è soltanto la fenomenologia di una diversa organizzazione dell’apparato sensoriale, che si esaurisce nel vedere e nel toccare, ma la cancellazione nella rappresentazione umana del binomio che ha costituito lo statuto antropologico dell’essere umano nella civiltà occidentale: la distinzione fra dentro e fuori, fra interno ed esterno, fra vita interiore e vita pubblica. Nella confusione e continua intersezione degli spazi virtuali del mondo globale e della temporalità istantanea dell’eterno presente, gli uomini non riescono più a distanziarsi come persone concrete e particolari dalla superficie liscia dei flussi informatici che trasmettono di volta in volta imperativi di azione e immagini attraenti. L’uomo si identifica totalmente con la esteriorità della sua condotta e con la sua “navigazione” senza centro e senza periferia. La vita interiore, che è stata per secoli l’oggetto della riflessione della filosofia, della religione e della psicoanalisi, si è prosciugata fino a coincidere con il puro apparire nella scena mediatica.

Senza vita interiore, come scrive Hillmann, comparando religione e psicoanalisi, non c’è più memoria, né relazione affettiva, né bisogno di esprimersi dando forma e figura alle proprie emozioni. Le emozioni coincidono con le sensazioni e non c’è più alcuno scarto tra ciò che si muove nello spazio tradizionale della mente e del cuore e ciò che si pone di fronte agli occhi come realtà esterna, oggetto del desiderio duraturo, alterità con la quale entrare in rapporto di consonanza affettiva.

Già nel Novecento alcuni studiosi profetici avevano immaginato un nuovo tipo d’uomo senza qualità, partecipe di folle solitarie e totalmente diretto e manipolabile da centri di potere invisibile. Ma oggi queste profetiche anticipazioni, come molti racconti fantascientifici, sono diventati paradossalmente effettivi, giacché la virtualità sembra coincidere con l’effettività di un accadere senza residui e senza rimandi.

Il mutamento antropologico, sul quale bisogna dunque lavorare con urgenza, è questa scomparsa della vita interiore che da sempre si è espressa attraverso la rappresentazione di se stessi che gli uomini hanno dato ponendo il proprio Io in rapporto con la spazio e con il tempo. Senza vita interiore l’Io diventa una semplice pellicola permeabile, priva di autonoma consistenza.

La città dei monumenti e dei quartieri, della archeologia depositata nelle tracce materiali, si sta liquefacendo in un’architettura priva di ogni rapporto con il territorio e le nostre giornate trascorrono senza alcuna scansione temporale in un continuo stato di sonnolenza ottusa. Resistere a questo mutamento antropologico, trasformarlo nella ricerca di un nuovo spazio umano, progettare nuove forme di città e di abitazione, ridare senso al proprio bisogno di affetti e di comunità è il tema politico di questo passaggio d’epoca. 
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