Nella rassegna stampa di oggi:
1) Ecco il testo del discorso che Giuliano Ferrara ha pronunciato nell’Aula Magna dell’Università San Paolo di Madrid
2) Le piroette disinvolte di Walter Veltroni: è laico "ma anche" cattolico...
3) L'aborto clandestino rimane, eccome...
4) La pillola che ancora non c’è negli ospedali fa già male
5) Lo sterminio rosa in India
6) Un santo profeta: Giovanni Bosco
7) «Fare figli? Un lusso possibile solo grazie all’aiuto dei nonni»
8) Un’altra giornata in piazza per un fisco più equo «Ora dalle parole ai fatti»
4 marzo 2008
Oración madrileña sobre la moratoria
Ecco il testo del discorso che Giuliano Ferrara ha pronunciato nell’Aula Magna dell’Università San Paolo di Madrid
Cari amici, signore e signori. Molti anni fa noi occidentali abbiamo deciso che nessuna donna può essere legalmente obbligata a partorire e che nessuna donna deve essere incarcerata per avere abortito. Fu una soluzione obbligata e decente, che non è possibile e non è giusto oggi rovesciare, e che fu presa per combattere l’aborto clandestino. Ma da quel tempo ad oggi il mondo è stato sfregiato da oltre un miliardo di aborti, e una cappa di muta disperazione è calata sull’umanità. Gli aborti continuano al ritmo di cinquanta milioni l’anno. Nessun contraccettivo ha limitato il numero degli aborti, perché l’aborto chirurgico e farmacologico è diventato il metodo anticoncezionale più diffuso. Il nostro mondo è invecchiato precocemente e la vita è stata maltrattata e disumanizzata. Da quel tempo ad oggi l’aborto si è anche trasferito dal seno materno alla provetta della fecondazione artificiale. E’ diventato sempre di più aborto selettivo, dispotismo genetico, nuova schiavitù in cui una cultura forte, dominante, fiera del suo patto faustiano con il diavolo dello scientismo, decide per conto dei più deboli e indifesi tra gli esseri umani. Decide sulla pelle delle donne e dei bambini in un naufragio universale in cui nessuno ha più il coraggio di gridare il grido della salvezza che è sempre stato orgoglio dei navigatori e dei soccorritori: prima le donne e i bambini!
Questa cultura di radicale scristianizzazione decide come si decideva sul monte Taigeto che domina Sparta: la cura del malato, l’accoglienza del diverso, sono state dichiarate anticaglie, arcaismi, ed è stato giudicato moderno e postmoderno l’annientamento all’origine della vita considerata non degna di essere vissuta. Non è degna di essere vissuta la vita di milioni di bambine in Asia, vittime di politiche pubbliche antinataliste fondate sull’esclusione sessista di chi è considerato un ingombro per la linearità dell’asse ereditario o un carico inutile nel mondo del lavoro agricolo. Non è degna di essere vissuta la vita dei bambini affetti da sindromi con le quali si può condurre una vita ordinaria o straordinaria, alla ricerca della felicità e nel riconoscimento della comune natura umana. In un ospedale di Napoli due settimane fa è stato eliminato, in condizioni infernali, un bambino di ventuno settimane che aveva la sindrome di Klinefelter, una anomalia cromosomica che tocca a un piccolo su cinquecento e che si cura con metodi ordinari e consente una vita sostanzialmente regolare. Nessun giornale, nessun telegiornale se ne è accorto. Ai rifiuti urbani che preoccupano la comunità italiana mentre montagne di spazzatura si accumulano nelle strade di quella città, un tempo capitale di una grande cultura umanistica, si è aggiunto nell’indifferenza generale un altro rifiuto umano considerato indegno perfino di sepoltura.
In Italia si è arrivati alla follia di discutere se si debbano o no accogliere e curare i neonati vitali che sono il frutto di aborti terapeutici alla ventiduesima o ventitreesima settimana di gestazione. Il nostro ministro della Salute, una cattolica disperata che ha consegnato la sua cultura e la sua sensibilità alla prigione dell’ideologia, ha considerato “una crudeltà” che questi bambini vengano presi in cura senza prima chiedere l’autorizzazione dei genitori. La logica dell’aborto facile, che la pillola abortiva Ru486 è destinata a rilanciare, riconsegnando all’antica solitudine femminile la pratica abortiva, insegue la sua preda, il bambino nascituro, fin dentro l’aria che tutti respiriamo, fin dentro il mondo in cui tutti dovremmo essere stati creati eguali ed egualmente titolari della libertà di vivere.
Una cultura mortifera di cui tutti siamo più o meno complici condanna le donne a una logica di paura e di rigetto violento e innaturale della maternità, di ignoranza e di abitudine al disamore e all’infelicità. Questa cultura spaccia per diritto di autodeterminazione e per libertà o sovranità procreativa la nichilistica tendenza a disporre della libertà altrui di nascere, si accanisce sul corpo femminile imponendo come costume sociale libertario l’atto più contrario alle elementari considerazioni di umanità e di pietà che tutti gli esseri razionali, credenti e non credenti, condividono nel fondo del proprio animo e della propria coscienza: le donne e i bambini nascituri subiscono l’inganno e la pratica dell’omicidio perfetto. Un potere ideologico storicamente maschile conduce alla totale negazione del futuro per creature umane concepite nell’amore e strappate con violenza e con dolore dal riparo naturale in cui hanno ricevuto la promessa sacra della vita e dell’amore. Tutto questo avviene ormai nella più totale indifferenza morale e filosofica, e solo la chiesa cattolica e le altre denominazioni cristiane levano la loro voce inascoltata contro l’abitudine alla morte e il suo miserabile significato di schiavitù e di demenza civile.
Nel suo discorso al corpo diplomatico dello scorso 6 gennaio Benedetto XVI ha chiesto di riaprire la discussione sul valore sacro della vita umana dopo il voto delle Nazioni Unite che chiede la sospensione, la moratoria, dell’esecuzione delle pene di morte legali in tutto il mondo. Quando era un teologo e un cardinale, il Papa aveva messo in guardia il mondo affermando che con questa selta di “curare” la vita negandola “abbiamo dichiarato eretici l’amore e il buonumore”. Infatti, come possiamo rallegrarci di un gesto umanitario come la moratoria sulla pena di morte se non siamo capaci di favorire una moratoria sulla pena d’aborto?
Il segretario delle Nazioni Unite ha recentemente dichiarato che le donne sono oggetto di violenza e di esclusione nel mondo, e che in molte nazioni “non hanno nemmeno il diritto alla vita”, e ha giudicato “un flagello” questa pratica criminale. Un grande giurista italiano, il compianto Norberto Bobbio, un socialista liberale che viene considerato un esempio perfetto di laicità, disse nel 1981 che tra tutti i diritti “il diritto di nascere deve essere difeso con intransigenza, e per lo stesso motivo per cui si è contrari alla pena di morte”. Un grande e compianto poeta italiano, il marxista e cattolico Pier Paolo Pasolini, affermò di ricordare la sua propria vitalità di bambino nascituro, di sentire fisicamente sul suo corpo il segno di una vita cominciata nel senso di sua madre, e definì omicidio ogni tipo di aborto.
Ma queste affermazioni, questi sentimenti, questi pensieri che accomunano la speranza e il voto di credenti e non credenti sono stati messi in archivio dal pensiero dominante. Queste certezze ed evidenze della mente e del cuore vengono regolarmente censurate come espressioni di oscurantismo illiberale dalla comunità della tecnoscienza, dai guru in camice bianco che teorizzano il diritto di morire, e sostengono perfino la pratica dell’eutanasia infantile secondo le regole del protocollo olandese di Groningen. Ideologi in buona fede, fanatizzati dalla presunzione di essere nel giusto e di lavorare per il progresso della storia, si arrogano il diritto di definire con pretese scientifiche i confini della libertà di esistere. Non importa che nelle sale di concerto si possa ascoltare la grande musica divinamente orchestrata da un direttore con la spina bifida: i malati di spina bifida devono morire per decisione legale. Questi guru postmoderni vogliono entrare nei Parlamenti, come accade oggi in Italia con la candidatura del professor Umberto Veronesi nelle file del Partito democratico. Occupano le prime pagine dei giornali, le riviste specializzate che vendono il miraggio di una vita indefettibilmente sana e confortevole, predicano il diritto di fabbricare bambini à la carte secondo i desideri e i gusti soggettivi, diffondono una cultura della salute che esclude ogni salvezza e ogni speranza per i deboli, per gli anomali, per gli indifesi di ogni genere. E questo nel nome della loro stessa felicità, che il nulla realizzerebbe meglio dell’esistenza. E questo in nome della libertà e autodeterminazione delle donne, quando il femminismo alle sue origini faceva della lotta contro l’aborto, di cui le donne sono vittime, la sua bandiera. Dice Paolo ai Romani che “nella speranza siamo stati salvati”. E ora nella negazione di ogni speranza, predicata da una medicina fattasi pura tecnica che ha tradito anche il giuramento di Ippocrate, siamo inevitabilmente perduti.
La battaglia contro l’aborto e l’eugenetica, contro il gesto più antifemminile che sia concepibile e contro il programma di miglioramento della razza, è la frontiera decisiva del nostro secolo. Non è una contesa etica, non è una disputa intorno ai valori morali. Quella intorno alla famiglia, all’amore, al matrimonio, al legame tra il piacere unitivo e il dono di sé, tra l’eros e l’agape, è la grande battaglia sul futuro dell’umanità, sul potere del buonumore e della pace cristiana contro la logica di guerra superomista e transumanista della civiltà occidentale nell’ora della sua fragilità e della sua rassegnazione al nulla. Niente è più importante sul fronte culturale, civile e politico. Non esiste salvezza per l’incanto della vita moderna, per l’ironia e la gioia nei rapporti personali, per le grandi possibilità che la scienza apre alla vita, se questa battaglia non viene data con il rumore e il fragore che sono necessari. Non esiste salvezza del nostro modo di vita liberale se non si restaura l’antica alleanza di vita e libertà, life and liberty, proclamata nella dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Tra la mentalità abortista e l’idea binladenista che si debba amare la morte più della vita c’è un sottile ma visibile elemento di continuità. L’aborto maschio, moralmente indifferente, condanna le donne alla stessa sottomissione e solitudine a cui sono condannate dal natalismo forzato e dall’obbligo a partorire praticato nella umma islamica. Noi abbiamo conquistato, contro l’aborto clandestino, la possibilità di scegliere, il pro choice; e vinceremo la battaglia di civiltà solo se riusciremo a scegliere per la vita, a mettere in grado ogni donna di essere libera di non abortire. Questa è la frontiera di una modernità libera dalla schiavitù femminile e dalla schiavitù infantile, e capace di riprodurre senza fanatismo e senza cinismo il futuro del nostro mondo e del nostro modo di vivere nel rispetto assoluto degli innocenti e nella messa al bando di ogni relativismo e soggettivismo nichilista.
Cari amici, io ho molto rispetto per il vostro primo ministro José Luis Rodríguez Zapatero. Non solo perché sono uno straniero. Quando ho visto il vostro sovrano rispondere a un dittatorello sudamericano con la frase ormai celebre: “Perché non stai zitto?”, ho applaudito davanti al mio televisore. Ma le idee di Zapatero sul matrimonio e sulla famiglia, la sua concezione di ciò che è l’identità di genere, e la sua filosofia di un potere democratico procedurale fondato sui numeri e sui soli numeri, tutto questo lo considero la negazione di un razionalismo laico e moderno, tutto questo lo considero una sorta di superstizione democratica capace di mettere capo a orrori come la riforma del codice civile che ha cancellato il concetto di madre e di padre dal diritto di famiglia. Per i liberali, l’eguaglianza si realizza nel riconoscimento delle diversità. Sono i giacobini e poi i totalitari del Novecento a tagliare la testa del diritto liberale per portare in terra quel paradiso dell’eguaglianza come omologazione che è stata l’inferno del XX secolo.
Per tutto questo tempo, mentre molti di noi hanno voltato la faccia dall’altra parte, milioni di volontari nel mondo hanno dato e vinto la buona battaglia, hanno espugnato uno dopo l’altro i mulini a vento della Mancha universale. Non c’è solo la grande lezione di solidarietà, di soccorso e di santità che arriva dagli operatori di pace e di vita del mondo cattolico e cristiano. In una moderna e ricca città europea come Milano, in un ospedale che è diventato il simbolo e il tempio della lotta fra l’abitudine all’aborto e la libertà di non abortire, una donna straordinaria, Paola Bonzi, ha risalito con tutte le sue forze la corrente dell’indifferenza. Paola ha fondato un Centro di aiuto alla vita e si è messa in ascolto di migliaia di donne. Paola non ha la facoltà della vista, ma vede più lontano di ciascuno di noi e conosce più di ogni altro le vere ragioni delle donne che si sentono in obbligo di eliminare i loro bambini: le difficoltà materiali, la solitudine, il condizionamento sociale, la paura di non farcela di fronte al compito educativo in una società che svaluta come un ingombro la presenza dei piccoli e li emargina dalle sue preoccupazioni sociali, una vena di utilitarismo e di illusione personale. Piano piano, con tenacia, senza moralismi ricattatori, dedicandosi con infinita pazienza a quell’essere dimenticato che è la donna in maternità, Paola è diventata la madre di migliaia di bambini e di migliaia di madri.
Paola è una persona reale, e io spero di portarla in Parlamento in una lista per la vita e contro l’aborto che si presenta alle prossime elezioni politiche in Italia. Ma se potessi, porterei in Parlamento anche Juno, la protagonista di una clamorosa e bellissima fiaba hollywoodiana che sta per uscire nelle sale di cinema d’Europa. Juno è una ragazzina modernissima, parla il linguaggio colorito e sboccato delle nostre strade, e arriva per istinto a capire che il rifiuto della maternità non deve coincidere con la rassegnazione alla morte. Juno è piena di amore e buonumore, fa ridere e piangere il pubblico come nelle migliori commedie, ma non è una sulfurea eroina di Pedro Almodóvar. La sua è un’altra logica poetica. Juno scappa da una clinica abortista, partorisce un bel bambino e lo consegna in adozione a una donna che desidera la maternità, e così riconquista la bellezza dell’esistere. Un mondo che si considera libero e moderno ha tutto da imparare dall’antica istituzione medievale della ruota dei conventi.
Cari amici, signore e signori. Tutto ciò in cui crediamo, noi liberali e laici alleati ai cristiani ferventi e consapevoli, si riassume in una splendida frase del vostro Hidalgo: “Io sono nato per vivere morendo”. Cervantes doveva avere in mente la “vita morente” predicata da Agostino di Ippona. La vita umana è limitata e desiderosa di infinito, per questo deve essere tenuta per sacra e definita dalla speranza. La ragione umana è limitata dal mistero, per questo deve essere usata in armonia con il diritto naturale e con la ricostruzione razionale, nello spazio pubblico, di principi che non sono negoziabili per nessun motivo al mondo. E queste cose l’Hidalgo le diceva al suo scudiero Sancho Panza, quando l’amore e il buonumore non erano ancora stati dichiarati eretici, per deridere affettuosamente il suo realismo mangione, il suo meraviglioso cinismo popolare: “Tu, Sancho, sei nato per vivere mangiando”. Guardate il mio corpo e capirete che ho tutta l’autorità necessaria per dirvi quel che ho detto. Grazie
Le piroette disinvolte di Walter Veltroni: è laico "ma anche" cattolico...
Veltroni in un'intervista al quotidiano spagnolo "El Paìs", vicino ai socialisti, esalta Zapatero e si fa alfiere di norme per i gay. E nello stesso giorno cerca di rassicurare il direttore di "Famiglia cristiana" don Sciortino: "Sui temi etici non dovete temerci"...
Tutto il mondo è País. E Walter Veltroni, coerentissimo almeno in questo, esporta il ma-anchismo anche all’estero. Anzi, se possibile, ne firma una versione spagnola elevata a potenza. Roba da aumentare l’export di qualche punto percentuale in un sol giorno, «un nuovo miracolo italiano». Anche se questa l’aveva già detta qualcuno. Ma questo, per Walter, si sa, non è un problema. Funziona così. Lo stesso giorno, Veltroni firma due dichiarazioni. Nella prima, vergata appositamente per Famiglia cristiana che l’aveva accusato di deriva laicista per la presenza dei radicali e di Veronesi nelle liste del Partito democratico, Walter spiega che in realtà lui è cattolicissimo. Nella seconda, rilasciata al quotidiano spagnolo El País, vicino ai socialisti iberici, Walter spiega che lui ammira molto l’opera di Zapatero e che in realtà lui è laicissimo. Insomma, cattolicissimo, «ma anche», contemporaneamente, laicissimo. Crozza, così in alto, non ci sarebbe mai arrivato.
Non ci credete? Silenzio, parla Walter. A Famiglia cristiana, in una lettera indirizzata al direttore don Sciortino, spiega che «non c’è ragione di temere che nel Pd i cattolici siano mortificati. Al contrario, è di tutta evidenza come essi rappresentino una delle colonne portanti del partito: non solo sul piano quantitativo, ma anche (questo è testuale ndr) sul piano della qualità e dell’autorevolezza delle idee, così come delle donne e degli uomini che le portano avanti». Per le agenzie di stampa è una dichiarazione epocale, di quelle da fare con i «flash» urgenti, con tanto di crocette apposite che segnalano le dichiarazioni importanti: «Veltroni a Famiglia cristiana: cattolici colonna portante Pd». Per don Sciortino è una dichiarazione di fronte alla quale non resta che attendere: «Verificheremo nei fatti quale peso avrà la componente cattolica del partito; come e quando verrà realizzato "un fisco più a misura di famiglia"; infine, se l’accordo del Pd con i radicali renderà più agevole la realizzazione di questo programma». Della serie: San Tommaso aveva più fiducia.
Anche perché, per «verificare» immediatamente basta cambiare Paìs. Nel senso della Spagna e del giornale più vicino a Zapatero, che riserva a Veltroni reportage entusiastici e un’intervista in cui Walter tocca tutti i temi etici. A modo suo, cioè spiegando che l’etica assoluta in campagna elettorale è meglio lasciarla un po’ da parte: «Non voglio introdurre in campagna elettorale temi che dividano gli italiani, faremo una cosa con più sfumature». E quindi, per quanto riguarda gli omosessuali, «abbiamo proposto una legge che tuteli garanzie e diritti e dobbiamo trovare un punto di sintesi come si fece con la legge 194, che è buona per tutti». E così è sistemato anche l’aborto. E le campagne di Zapatero che ne hanno fatto un’iconcina da portare in processione per tutti i laicisti di casa nostra, quasi una madonna pellegrina dei diritti civili? «Ha fatto molto bene, l’ho detto in tutta Italia». Poi, già che c’è, Walter condisce tutto con una spruzzata di veltronismo doc: «Siamo riformisti, non siamo di sinistra». Frase necessaria e sufficiente a guadagnarsi l’ironia degli Arcobaleno. Fausto Bertinotti ironizza: «Se l’ha detto davvero è reo confesso»; Titti Di Salvo rincara: «È vero, non hanno nulla di sinistra».
Parole che contagiano anche El País. Perché, per i giornali, davvero tutto il mondo è Paés. Cito fior da fiore: «Veltroni ringiovanisce la politica italiana»; «uno stile ragionevole, convincente»; «Veltroni comunica con tutti»; «lancia un messaggio di rinnovamento totale» e «dopo 15 anni di caos, urla corruzione e politichese, quando l’Italia sembrava rassegnata a un incerto ritorno di Berlusconi, ecco Walter con i suoi modi educati, il suo aspetto di italiano comune, la cultura laicista ma anche accorta con i cattolici».
In spagnolo, ma anche si dice pero también.
di Massimiliano Lussana
Il Giornale n. 53 del 2008-03-02
L'aborto clandestino rimane, eccome...
Di Francesco Agnoli
(del 29/02/2008)
Parlando di legge 194, tra le tante cose che si potrebbero fare, ve n’è una che appare condivisibile per tutti: combattere l’aborto clandestino. Sì, perché se la 194 è nata in buona parte con quella scusa, è tragicamente vero che tale legge ha depenalizzato proprio l’aborto clandestino! Addirittura nella 194 le pene per chi cagiona l’aborto di una donna contro la sua volontà sono risibili, inferiori a quelle previste dal codice penale abrogato. Ma quanti erano gli aborti clandestini in Italia? In un precedente articolo ho cercato di dimostrare che le cifre su tale fenomeno sono state volutamente gonfiate, in tutto il mondo, dal fronte abortista, come ebbe a dire il dottor Nathanson: «Sapevamo che negli Stati Uniti ogni anno non si effettuavano più di centomila aborti clandestini, ma noi alla stampa dicevamo che erano un milione».
La stessa strategia venne usata in Inghilterra, dove la stampa pro choice sosteneva l’esistenza di 50.000, massimo 100.000 aborti clandestini annui, mentre l’unico lavoro scientifico in materia, del dott. C. B. Goodhart, apparso nel 1964 sulla Eugenics Review, proponeva come attendibile la cifra di 10.000. Ebbene, in Italia si arrivò a proporre come cifra veridica quella di 3 milioni di aborti clandestini: il triplo della cifra già gonfiata diffusa negli Usa, e 30 volte di più che in Gran Bretagna. Loris Fortuna, promotore della legge, si spinse sino a lanciare l’allarme: l’aborto può salvarci anche dalla terrificante esplosione demografica imminente! In verità Pier Giorgio Liverani, nel suo «Aborto, anno uno», uscito nel 1979, ci fornisce alcuni dati interessanti: dopo aver ricordato che il trend degli aborti è salito già nel corso del 1978, mese dopo mese, scrive che «nel novembre del 1978 si è tenuto a Milano il congresso delle Associazione ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi), il cui presidente, prof. Corrado Colonfalonieri, ha rivelato che con ‘l’entrata in vigore della 194 è aumentato in modo impressionante il numero degli incidenti connessi con le interruzioni di gravidanza’ ». Liverani aggiunge poi che alla fine 1978 «per la prima volta nella nostra storia le regioni settentrionali d’Italia, nel loro complesso, registrano un saldo naturale negativo: cioè il numero dei nati è inferiore a quello dei morti».
Eppure la legge 194 è in vigore da solo 6 mesi, e il numero di aborti è ancora assai minore di quello che ci sarà negli anni successivi. Inoltre «nel 1978 l’indice di fecondità è sceso a 1,85 figli per ciascuna donna», dato che ha allarmato i demografi, e li allarma tuttora, se è vero che il tasso di abortività (aborti ogni 100 nati vivi) è oggi assai più alto che nel 1978, ed è tornato da pochi anni ai livelli di quello del 1979. In un modo o nell’altro, all’indomani della 194, nessuno più si occupò degli aborti clandestini, sebbene i procedimenti penali per delitti di cui alla legge 194 siano andati aumentando: 84 nel 1980, 125 nel 2001, 181 nel 2006! Ma vediamo qualche notizia interessante, lungo gli anni, su questo fenomeno. «Nei consultori pubblici troppe donne vengono convinte dai medici ad abortire in studio privatamente»: così denunciava il ministro Conso, nel 1993, nella relazione ministeriale sull’applicazione della legge 194 (Avvenire, 18/3/1993); «Rivincita dell’aborto clandestino. Dal 1992 ad oggi un vero boom delle inchieste penali... negli ultimi quattro anni i procedimenti della magistratura sono più che triplicati, passando da 15-25 all’anno a 75-80. Tra i 240 indagati ben 90 sono medici, nessuno dei quali risulta obiettore, e undici paramedici» (Avvenire, 21/7/1996); «Aborti e minacce: la carriera lampo della dottoressa obbiettrice», che pratica aborti clandestini nel più grande ospedale del Molise: «c’erano le donne che a lei si affidavano per l’interruzione. Che veniva fatta passare per aborto spontaneo. Ottanta aborti spontanei negli ultimi sei sette mesi del 2005» (Corriere della sera, 4/2/2006); «Aborto anno zero. Per la prima volta aumentano le interruzioni di gravidanza. Mentre torna la piaga dell’aborto clandestino», e in cliniche compiacenti l’ivg viene «fatta passare per aborto spontaneo» (Espresso, 10 novembre 2005)... Che l’aborto clandestino proliferasse anche dopo la legalizzazione, era facile prevederlo. In Inghilterra nel 1974 uscì «Babies for burning. The abortion business»: un libro sulla crescita dell’aborto clandestino nelle cliniche private, nell’epoca dell’aborto legale. Vi si raccontavano storie raccapriccianti di aborti oltre il limite legale, con una precisazione: «chi potrà mai esercitare controlli su qualcosa che è stato bruciato in un inceneritore?».
Chi potrà impedire, una volta che l’aborto è banalizzato, di retrodatare qualche gravidanza, eliminando così feti di 7 o 8 mesi? Situazioni di questo genere sono avvenute anche in Italia. Un solo esempio. Nel 2000 vi fu il caso della "clinica degli orrori" di Roma, Villa Gina, convenzionata con la Regione. In essa «i pezzi più grandi del feto venivano bruciati, mentre il resto veniva gettato nel water o nel lavabo». I dottori della Villa pretendevano anche 8-10 milioni per aborto, «in contanti»; e il prezzo era alto perché si uccidevano anche bimbi di 6-7-8 mesi. "Cento casi circa ogni anno". Non tutte le interruzioni erano «volontarie». Una donna, ad esempio, «era contraria, e quando arrivò in sala operatoria scoppiò a piangere gridando che non voleva abortire: Ilio Spallone (il medico ndr.) urlava e la colpiva sulle gambe, un altro la tratteneva, finchè l’anestesista non riuscì ad addormentarla…».
La pillola che ancora non c’è negli ospedali fa già male
Avvenire, 4.3.2008
ASSUNTINA MORRESI
D a tempo questo giornale ha lanciato la proposta di 'fare un tagliando' alla legge 194, cioè di rivedere le modalità con cui quella normativa è applicata nel nostro Paese. L’idea è stata raccolta in modo bipartisan dalla classe politica, sia con la mozione presentata da Sandro Bondi, nel centrodestra, sia nel recente documento del centrosinistra, firmato da donne di diverso orientamento politico e culturale come Paola Binetti e Anna Finocchiaro. Un buon inizio, si direbbe: un’iniziativa concreta e condivisa in modo trasversale all’interno dei partiti, su un problema tanto importante, grave e sentito come quello delle maternità rifiutate. Peccato però che, a volte, sul territorio le cose vadano diversamente rispetto a quanto auspicato, per esempio per quanto riguarda l’aborto praticato con la pillola Ru486. In Italia finora non c’è stato alcun divieto della pillola abortiva, che non era in commercio semplicemente perché l’azienda che la produce, la francese Exelgyn, fino allo scorso novembre non ne ha fatto richiesta. In diversi ospedali italiani, comunque, negli ultimi due anni l’aborto chimico è stato offerto alle donne, e il farmaco è stato importato direttamente dalla Francia, a volte con l’avallo di entusiasti consigli regionali, improvvisamente interessati ai protocolli abortivi. La Ru486, che uccide l’embrione in pancia, è il primo dei due farmaci che si assumono per abortire. Il secondo è una prostaglandina, il misoprostol, che induce le contrazioni e provoca l’espulsione dell’embrione. In Italia è commercializzato come Cytotec, ed è registrato come antiulcera. La casa farmaceutica che lo produce non l’ha mai registrato come abortivo in nessun Paese al mondo, e non solo non ha alcuna intenzione di farlo in futuro, ma ha ufficialmente diffidato da questo uso, viste alcune gravi complicanze che potrebbero causare contenziosi legali. Sarebbe interessante sapere se le donne che l’hanno utilizzato per questa procedura abortiva sono state regolarmente informate di tutto questo. Inoltre, per abortire con la Ru486 nell’80 per cento dei casi si impiegano mediamente tre giorni, ed è impossibile conoscere, alla sua assunzione, il momento dell’espulsione dell’embrione. Nel rispetto della legge 194, che prevede che l’aborto avvenga entro strutture sanitarie pubbliche, le donne dovrebbero quindi essere ricoverate almeno per tre giorni, e comunque fino alla fase espulsiva, che nel 12-15% dei casi avviene successivamente.
Sappiamo che Silvio Viale, il ginecologo radicale responsabile della sperimentazione torinese della Ru486, potrebbe essere rinviato a giudizio per violazione della legge 194, proprio perché 38 donne coinvolte nella sperimentazione hanno abortito al di fuori dell’ospedale. Ma nel frattempo cosa è successo e cosa sta succedendo nei vari ospedali in cui si abortisce con questo metodo? Quante donne hanno abortito nel rispetto della legge? Per quante l’espulsione è avvenuta al di fuori delle strutture ospedaliere? Due anni fa, ad esempio, i lettori di Avvenire sono stati informati di una donna che, dopo aver assunto la Ru486 in un ospedale della Toscana, si è ricoverata con urgenza per emorragia al Policlinico Gemelli a Roma, ed è stata sottoposta ad un intervento chirurgico.
Nonostante un’interrogazione parlamentare, non c’è stato alcun chiarimento a proposito. È inutile quindi parlare di piena applicazione della legge 194, quando in molte regioni italiane la si viola sistematicamente ormai da tempo: praticamente dove si somministra la Ru486, spesso con l’appoggio di politici, un gran numero di aborti avviene a domicilio, in palese contrasto con la legge. Non è questo il tagliando che volevamo.
3 marzo 2008
Lo sterminio rosa in India
I demografi hanno analizzato gli aborti in uno dei più grandi distretti indiani, Salem. Il risultato è questo: “Il sessanta per cento delle bambine viene abortito o ucciso entro il terzo giorno dalla nascita”. Ne ha parlato il quotidiano americano Christian Science Monitor, fra i più quotati nel racconto delle “missing girls” del Nobel Amartya Sen, denunciate pochi giorni fa dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. “La violenza contro le donne è una questione che non può attendere” ha detto Ban Ki-moon alla Commissione sullo status della donna. “Attraverso la pratica della selezione sessuale prenatale, un numero imprecisato non ha neppure diritto alla vita”.
La tecnologia neonatale in India è talmente finalizzata all’identificazione sessuale e all’aborto che la dottoressa Puneet Bedi, ginecologa dell’Apollo Hospitals di Nuova Delhi, ha spiegato che “nessuna donna incinta ne soffrirebbe se il test degli ultrasuoni venisse bandito. Oggi è usato per salvare un bambino su 20 mila e per ucciderne 20 su 100 se sono del sesso sbagliato”. “Paga 500 rupie oggi per risparmiarne 50 mila in futuro” è uno degli slogan più diffusi nello stato di Salem, dove il 60 per cento delle bambine è sistematicamente eliminato. Cinquecento rupie, nove euro, è il costo di un’ecografia oggi in India. The Hindu, grande quotidiano in lingua inglese, ha spiegato che si può acquistare on line un kit (formalmente illegale) che consente di determinare il sesso a casa propria dopo sei settimane con la semplice analisi di poche gocce di sangue.
Il governo ha avviato il programma “Girl Protection”, con il quale alla nascita di una bambina si apre un conto a suo nome dove vengono immediatamente depositati 20 mila rupie. “Ogni tipo di carestia, epidemia e guerra è niente in confronto a questo” ha detto la dottoressa Bedi. “In alcune parti dell’India, una bambina su cinque viene eliminata nella fase fetale. E’ una situazione da genocidio”. Quando nel Punjab venne introdotta la prima macchina per il test, nel 1979, c’erano 925 femmine ogni 1.000 maschi. Nel 1991 erano scese a 875 e nel 2001 a 793. La situazione va ogni giorno peggiorando. Times of India ha scritto più volte che “la Cina elimina ogni anno un milione di bambine, ma il trend attuale vede l’India in testa”. Renuka Chowdhury, ministro per lo Sviluppo delle donne e del bambino, si batte da anni contro l’aborto selettivo. “E’ una questione internazionale di vergogna, la maggior parte delle bambine viene uccisa prima della nascita, non dopo” dice il professor Sabu George, che studia il fenomeno da vent’anni al Center for Women’s Development Studies di New Delhi.
di Giulio Meotti
Un santo profeta: Giovanni Bosco
Di Angela Pellicciari
(del 29/02/2008)
Il cattolico Piemonte assiste costernato al montare della persecuzione anticattolica. Cavour va dicendo che la legge contro i conventi gode del pieno sostegno dell’opinione pubblica, ma in Senato il cattolico maresciallo Vittorio Della Torre lo smentisce platealmente: «Quando passate davanti a una chiesa stracolma di gente, cercate di entrarvi e chiedete che cosa si sta facendo; tutti quelli che interrogherete vi risponderanno che si sta pregando per il progetto di legge. Questo succede a Torino, ed è ancora più vistoso nelle province e soprattutto a Genova e in Savoia, ovunque l’opinione pubblica è contraria alla legge che discutiamo». Cavour può affermare che il provvedimento anticattolico del governo è pienamente condiviso dall’opinione pubblica perché ritiene che l’opinione dei cattolici non vada nemmeno presa in considerazione. Per sincerarsene basta leggere cosa rispondere a Della Torre: «L’onorevole maresciallo ha detto che gran parte della popolazione era avversa a questa legge. Io in verità non mi sarei aspettato di vedere invocata dall’onorevole maresciallo l’opinione di persone, di masse, che non sono e non possono essere legalmente rappresentate». Quando Cavour sostiene che l’opinione pubblica è tutta col governo, Cavour ha ragione: l’1% della popolazione, di fede liberale, appoggia con convinzione i provvedimenti anticattolici. L’opinione del 99% della popolazione, di fede cattolica, non conta. Le masse devono limitarsi ad obbedire alle decisioni dei «governi illuminati». Quando si dice «opinione pubblica» ci si riferisce, per definizione, a quella dei liberali. Ci si può chiedere come mai i cattolici piemontesi non si siano mobilitati contro la politica anticattolica del proprio governo. Perché, oltre a pregare, non hanno organizzato pubbliche proteste? La risposta è chiara: perché non è abitudine della chiesa comportarsi in questo modo. Meno che mai è abitudine della chiesa di Pio IX. Prova ne sia il manifesto che il papa vuole sia affisso nelle strade di Roma mentre sta per fuggire alla volta di Gaeta, all’epoca della Repubblica Romana. Scrive Pio IX: «Comandiamo ai nostri buoni e fedeli sudditi di non resistere, per non moltiplicare quegli odi civili, ad estinguere i quali daremmo volentieri la vita in olocausto. Quando a Dio piaccia, ben potrà Egli senz’alcuna forza umana riedificare mediante l’amore dei popoli questo temporale dominio della Santa Sede, che dall’amore dei popoli ebbe origine». Nel Parlamento subalpino l’atteggiamento della chiesa è ribadito dal cattolico Clemente Solaro della Margarita, per ben 11 anni ministro degli esteri di Carlo Alberto. La Chiesa, dice Solaro, «non discende colle schiere in campo in difesa dei suoi diritti, non minaccia incendi e stragi, facile è resistere a lei, fossero anche pusillanimi, deboli i suoi avversari. Inerme ho detto la Chiesa, e lo è; soffre e non si vendica». Sulla docilità dei cattolici piemontesi fa pieno affidamento il presidente del Consiglio Cavour: «da alcuni oratori -afferma- viene additata come conseguenza necessaria, inevitabile di questo progetto di legge una grande agitazione nel paese, da taluno con parole minacciose». Il conte così continua: «Io nutro fiducia, ed una fiducia ferma, che quando la legge avrà ricevuto la sanzione del parlamento e del Re, questa agitazione scomparirà all’istante». L’eccezione conferma la regola. A dire le cose come stanno in Piemonte c’è un cattolico di tutto rispetto che combatte una dura battaglia contro la politica governativa. Si tratta di don Giovanni Bosco. Personaggio d’eccezione, Bosco è noto per un legame confidenziale col Padreterno che gli permette di leggere nel futuro. Per dissuadere il re dalla firma della legge eversiva il prete di Valdocco racconta a Vittorio Emanuele II i sogni che fa. Non si tratta di sogni rassicuranti e Bosco è noto per essere profeta. Ecco i sogni: un valletto in uniforme rossa grida: «Annunzia: gran funerale in Corte!». Cinque giorni dopo il sogno si ripete con una variante significativa. Il valletto grida: «Annunzia: non gran funerale in Corte, ma grandi funerali in Corte!». Cavour vince le comprensibili perplessità del re, terrorizzato, facendo intervenire i preti favorevoli alla politica liberale. I teologi governativi tranquillizzano Vittorio Emanuele con queste considerazioni: «Maestà, non si spaventi di ciò che ha scritto D. Bosco. Il tempo delle rivelazioni è passato». Come sia come non sia, mentre la legge contro i conventi è in discussione al Parlamento la Corona sarda è colpita da lutti gravissimi. Il 12 gennaio muore a 54 anni la regina madre Maria Teresa; il 20 a 33 anni la regina Maria Adelaide; il 10 febbraio a 33 anni Ferdinando duca di Genova, fratello del re; il 17 maggio a 4 mesi Vittorio Emanuele duca del Genevese, ultimogenito del re. Bosco non si ferma qui. Immediatamente prima della firma del provvedimento ricorda a Vittorio Emanuele: «La famiglia di chi ruba a Dio non giunge alla quarta generazione! Se V. S. segna quel decreto segnerà la fine dei reali di Savoia». Come sia come non sia, i Savoia re d’Italia non sono arrivati alla quarta generazione.
Milano
«Fare figli? Un lusso possibile solo grazie all’aiuto dei nonni» Avvenire, 4.3.2008
DA MILANO DAVIDE RE
Un fisco a misura di famiglia. E non basta. Il popolo del Family Day, che domenica a Milano ha assaltato i banchetti (in tutto 15) messi in piazza dal Forum delle associazioni familiari, ha chiesto di più. Non solo interventi strutturali, ma una volontà diversa, una capacità di scommettere sulla famiglia. Così come si era fatto nel primo dopoguerra. E come si sta facendo in Francia, dove i tassi di natalità sono fra i più alti dell’intera Unione europea. In Lombardia sono state raccolte 30mila firme, anche se i dati sono ancora parziali.
«L’Italia può ripartire solo dalla famiglia e dai figli», ci dice convinta Anna, una nonna, con due nipoti in età da matrimonio. «Oggi a Milano non ci si sposa più – dice ancora Anna –. Gli stipendi sono bassi e i costi delle case alle stelle. Per questo firmo. Non è il non voler fare sacrifici come facevamo noi una volta, è che proprio oggi non ce la si fa. A Milano fare un figlio è un lusso per pochi».
E le proteste contro il carovita, che a Milano ha raggiunto livelli insostenibili, è il tema principale che guida i commenti dei cittadini ai gazebo del Family Day. Discussioni che molto spesso si trasformano in proposte e in piccole soluzioni da condividere con altre famiglie.
«Noi siamo venuti a firmare – spiegano Andrea e Manuela, sposati da due anni e genitori di un bimbo di un anno appena – perché con il carovita si sta esagerando. Se non ci fossero i nostri genitori ad aiutarci. Ma i politici sanno quanto costa mantenere un figlio a Milano?».
Problemi certo, dicevamo, ma anche ricette. Così come ci capita di sentire in via Pisacane, davanti alla parrocchia San Vincenzo, dove c’è Carla, assieme al marito e ai figli, a raccogliere firme. Carla con altre persone è impegnata in una associazione familiare. Un modo per fare 'rete' e affrontare i tanti problemi della quotidianità. Centrale il ruolo della parrocchia, dove c’è don Franco. Così come è centrale l’abitudine a condividere idee e soluzioni: dalla piscina per i figli (chiusa quella presente nel quartiere), al problema baby sitter, fino ad arrivare al cineforum per i bambini alla domenica pomeriggio. Tuttavia il problema principale resta sempre quello: «Dare centralità alla famiglia nella politica italiana e fare una riforma fiscale che consenta di ridurre l’imponibile per chiunque abbia figli indipendentemente dal reddito», ha spiega Ernesto Mainardi, presidente lombardo del Forum delle associazioni familiari, presente al gazebo allestito in via Dante. E anche i politici, in via Dante, hanno fatto passerella. Daniela Santanché, candidato premier per la La Destra, il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato, il capogruppo comunale di An Carlo Fidanza, Silvia Ferretto sempre di An, Valentina Aprea di Fi, l’assessore milanese alle politiche sociali Mariolina Moioli, il vice presidente del Consiglio comunale Andrea Fanzago, esponente milanese del Partito democratico. «Il ruolo della famiglia – ha detto Fanzago – deve essere messo al centro della società perché è il futuro del Paese». La raccolta di firme andrà avanti fino a metà aprile. «Non è una firma simbolica – ha spiegato invece De Corato – noi l’attenzione per la famiglia la dimostriamo concretamente con le politiche sociali. Per esempio con il bonus bebè per il quale abbiamo stanziato un milione e mezzo di euro e i libri gratis per 10mila famiglie con il finanziamento di un milione». Ma la strada è ancora lunga.
È emergenza giovani coppie a rischio povertà Sotto accusa i costi delle case e gli stipendi
Un’altra giornata in piazza per un fisco più equo «Ora dalle parole ai fatti» Avvenire, 4.3.2008
DA ROMA GIANNI SANTAMARIA
F isco a misura di famiglia? Sì grazie. L’Italia domenica si è mobilitata per il Family Day 2. E in 1.420 località, ci ha messo davvero tante firme. Erano molti i luoghi dove si firmava per una proposta semplice: tener conto nell’imponibile, sul quale si pagano le tasse, non solo del reddito percepito, ma anche del numero dei figli.
Una prima stima della consistenza numerica arriva dalla vicepresidente del Forum Paola Soave. Alle 500mila sottoscrizioni raccolte prima di domenica, se ne dovrebbero aggiungere almeno altrettante. Oltre a tanti cittadini comuni, hanno aderito personalità dello spettacolo e dello sport come il regista Giulio Base e gli olimpionici Sara Simeoni e Carmine Abbagnale. Attenzione bipartisan è venuta anche dal mondo della politica. Con Walter Veltroni che, pur non firmando, ha espresso solidarietà e si è impegnato «nell’eventuale azione di governo, a tener conto di quelle richieste che, dice, sono già in parte contenute nel programma», ha fatto sapere l’organizzazione del Family Day. «A differenza di altri protagonisti della campagna elettorale – sostengono dal canto loro gli azzurri Sandro Bondi e Gaetano Quagliariello – il nostro impegno per la famiglie è di ieri, di oggi e per domani». Attacca, invece, il Pdl l’esponente dell’Udc Maurizio Eufemi: «Berlusconi ha la memoria corta, la vera vergogna è non aver organizzato la riforma fiscale per la famiglia». La difesa della cellula base della società è nel programma del Pdl, ha assicurato ieri, incontrando il Forum, il leghista Roberto Maroni. Il quale ha rivelato che la proposta di un fisco family-friendly è risultata tra le più votate in assoluto nei gazebo organizzati dal Pdl per richiedere il giudizio degli italiani sul programma. Anche sulla parità scolastica, Maroni ha rassicurato le associazioni familiari: il programma del Pdl prevede l’introduzione di un buono scuola destinato a sostenere la libera ed effettiva scelta educativa delle famiglie.
Il presidente del Forum Toscana, Mario Macaluso, il giorno dopo si dice «molto soddisfatto » per come si è svolta l’iniziativa domenicale «sia per quantità che per qualità». Soprattutto a Firenze a Lucca, ma anche in paesi come Poggibonsi e San Gimignano. Nei due capoluoghi gli stand erano in luoghi strategici. Rispettivamente il piazzale della Stazione e piazza Orsammichele: un luogo di grande transito e il 'salotto buono' cittadino. A Genova, racconta la presidente del Forum ligure Anna Maria Panfili, complice la bella giornata di sole, hanno avuto molto successo le iniziative organizzate sulla passeggiata di Nervi. «Il lavoro è stato impegnativo, perché i mass-media locali non ci avevano dato molto spazio e la gente non era informata ». Ma la Panfili si dice fiduciosa, perché il messaggio comunque è passato. «Molti hanno mostrato interesse per il fatto che la questione non è individuale. Ma riguarda la possibilità di ripartire per l’intera società italiana. Ed è quello su cui noi puntiamo: la famiglia come motore della società».
Alla proposta sul fisco domenica hanno aderito leader nazionali come Gianfranco Fini (An) e Pier Ferdinando Casini (Udc). Con loro anche il segretario nazionale della stessa Udc, Lorenzo Cesa, ed esponenti di entrambi gli schieramenti candidati alle elezioni. Da Giuliano Ferrara agli aennini Altero Matteoli e Maurizio Gasparri. E poi, l’ex presidente del Senato Marcello Pera, la candidata premier de «La Destra», Daniela Santanché, il segretario del partito Francesco Storace, i forzisti Maurizio Lupi e Valentina Aprea. Anche due volti nuovi che si presentano per il PdL e il Pd: la giornalista Eugenia Roccella – già portavoce del Family day del 12 maggio 2007 in piazza San Giovanni – e il conduttore televisivo Andrea Sarubbi. Numerosi i rappresentanti di giunte e consigli di enti locali.
Rispetto alla scadenza elettorale il Forum si pone con realismo. Il prossimo governo «non potrà ignorare questo nuovo segnale che arriva dalle famiglie italiane», sottolinea Giovanni Giacobbe, presidente nazionale dell’associazione. «Ci aspettiamo che si presti attenzione ai problemi della famiglia e soprattutto che vengano mantenute le promesse contenute nei programmi». Infine, negli auspici c’è «un’adesione, sia pure graduale, alle richieste formulate nella nostra petizione. Almeno un inizio che segni la svolta nelle politiche per la famiglia».
Adesioni da tanti cittadini comuni. Ma anche da personalità dello spettacolo e dello sport. Ai gazebo sottoscrivono candidati di entrambi gli schieramenti