mercoledì 5 marzo 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Tranquilli, indaga l’ispettore Clouseau
2) I rapitori del vescovo di Mosul alzano la posta in gioco
3) La perversione del gender, o dottrina del genere.
4) Paola, una da votare
5) SI AIUTA L’IRAQ AIUTANDO QUEI CRISTIANI
6) Relativismo e scetticismo minacciano il progetto educativo, Card. Carlo Caffarra

Tranquilli, indaga l’ispettore Clouseau
Oltre all’orrore, la prima reazione di tutti noi è stata di incredulità. Ma come caspita è possibile che per quasi due anni chi conduceva le indagini non si è accorto che Ciccio e Tore ce li aveva lì sotto il naso?

di Michele Brambilla

Tranquilli, indaga l’ispettore Clouseau
di Michele Brambilla
Oltre all’orrore, la prima reazione di tutti noi è stata di incredulità. Ma come caspita è possibile che per quasi due anni chi conduceva le indagini non si è accorto che Ciccio e Tore ce li aveva lì sotto il naso? Sono andati a cercarli dappertutto, perfino in Romania, e invece i due fratellini erano in pieno centro a Gravina, vicinissimi a casa loro, vicinissimi al punto dove erano stati visti giocare poco prima della scomparsa. Possibile che nessuno degli inquirenti abbia mai sentito dire che lì da quelle parti c’è un edificio abbandonato dove i bambini spesso entrano a cercare l’avventura? E che in quell’edificio c’è una cisterna? Ieri un’agenzia ha perfino diffuso la notizia che qualcuno era pure entrato in quel pozzo, ma non aveva visto i due corpicini. Se così fosse, sarebbe una perla da fare il paio con quella famigerata del covo delle Brigate rosse al tempo del sequestro Moro, quando alcuni agenti suonarono al campanello dell’appartamento dei rapitori - in via Gradoli - ma poi se ne andarono perché nessuno era venuto ad aprire la porta. Ma quella è una storia che forse cela chissà quali misteri, e quindi lasciamo perdere.
Però forse tanti misteri, tanti gialli, tanti enigmi che danno da lavorare a legioni di dietrologi, di complottologi e di pistaroli di professione, sono in realtà non dei misteri, non dei gialli, non degli enigmi ma solo la conseguenza della sciatteria con la quale spesso si lavora in Italia, preoccupati più di timbrare il cartellino e aspettare il 27 che di far bene il proprio mestiere.
A Garlasco dicono che un maresciallo scivolò su una chiazza di sangue sul pavimento della villetta della povera Chiara, mandando a carte quarantotto i rilevamenti della scientifica; e che un magistrato condusse le indagini part time dividendosi tra Roma e il paese del delitto. Non si sa se siano leggende metropolitane, è però un fatto che ci si dimenticò perfino di verificare se l’assassino aveva lasciato impronte sulla ragazza, e si dovette riesumare il cadavere dal camposanto per rimediare. A Cogne i Ris arrivarono con le loro attrezzature da Archimede Pitagorico quando ormai la frittata era fatta: prima di loro, era passato Paperoga.
E per stare in Puglia. Nel 1999 due rom furono arrestati per aver venduto per otto milioni la loro bambina - Mirabela, di 7 anni - a un’altra famiglia. Ma la piccola invece non solo non era stata venduta, ma era stata uccisa, e il cadavere era lì a 200 (duecento!) metri dal punto della scomparsa, e fu trovato cinque mesi e mezzo dopo. Gli assassini? Mai trovati, anche perché mai cercati.
E così, tra ispettori Clouseau e magistrati che non interrogano subito il principale indiziato perché devono allattare (è successo anche questo) vanno avanti tante indagini all’italiana, che alimentano speciali-tg e talk-show, e che invece starebbero a pennello in un film di Alberto Sordi.
Il Giornale n. 49 del 27 febbraio 2008

Il giudice paghi i suoi errori
di Michele Brambilla
È vero che siamo abituati a vederne di tutti i colori: ma certe decisioni della magistratura ci farebbero venire il dubbio, se non stessimo assistendo a delle tragedie, di essere su «Scherzi a parte».
Prendiamo ad esempio il caso di Gravina. Quando il giudice ha ordinato l’arresto del padre di Ciccio e Tore, per motivare la sua convinzione che i due piccoli non potevano essere spariti per disgrazia (ipotesi che invece ora appare la più probabile), ha scritto: «Resta il fatto insuperabile che Gravina di Puglia non è un comune di alta montagna, con crepacci, burroni e slavine pronti a seppellire per sempre i corpi dei malcapitati». Peccato che un luogo adatto a seppellire i corpi c’era, ed era lì a un palmo di naso. Ma non solo: basta aprire un vocabolario - o anche solo digitare su Internet, se proprio non si ha voglia di alzarsi dalla seggiola - per vedere che alla voce «gravina» si legge: «Profondo crepaccio eroso in terreni calcarei; ve ne sono in Puglia e in Lucania». Può un magistrato che lavora in Puglia non sapere che Gravina si chiama Gravina proprio perché pieno di gravine? Insomma era possibilissimo che i due fossero scomparsi per disgrazia. Eppure il magistrato l’ha escluso a priori e ha messo in galera il padre per omicidio. Per lui, c’era un fatto «insuperabile».
Di «insuperabile» sembra esserci invece la tranquillità con cui si possono prendere le decisioni più assurde senza timore di pagarne il dazio. Ieri, altro esempio, è stato scarcerato il figlio di Totò Riina, Salvuccio, condannato in appello a 8 anni e 10 mesi per mafia. «Scadenza dei termini di custodia cautelare», è stata la motivazione. «La Cassazione ha applicato la legge», ha commentato il presidente dell’Associazione Magistrati. Certo: i termini erano scaduti. Ma chi non ha chiuso il processo in tempo, se non i magistrati?
Anni fa un sostituto procuratore del tribunale dei minori di Milano accusò un povero papà di avere sodomizzato la figlia di due anni, che invece aveva un cancro al retto, del quale morì. Ma quel magistrato fu promosso per anzianità e, da sostituto che era, divenne capo del suo ufficio.
Certo: in tutti i lavori c’è gente che sbaglia, più o meno colpevolmente. Ma chi sbaglia di solito paga: ovunque, tranne che in magistratura, un mondo che vive di autocontrollo, un mondo dove non c’è distinzione di carriera tra persone meritevoli e incapaci. Qualche tempo fa il professor Pietro Ichino, che ora si candida con Veltroni, ha meritoriamente introdotto il tema dei «fannulloni» nella pubblica amministrazione. È tempo che la questione venga estesa alla magistratura. Difficile che il Pd riesca a convincere il suo alleato Di Pietro a seguirlo su questa strada. Ma è una strada che è indispensabile percorrere: non per un interesse di destra o di sinistra, ma per la sicurezza di tutti gli italiani.
Il Giornale 29 febbraio 2008


04/03/2008
IRAQ
I rapitori del vescovo di Mosul alzano la posta in gioco
Ieri sera, in una nuova telefonata, aumentano il prezzo del riscatto e indicano condizioni “che complicano il caso”. Della buona salute del vescovo, sequestrato il 29 febbario, continuano a non esserci garanzie. Il nuovo scenario fa pensare che non si tratti di semplici criminali interessati al denaro. Messaggio del premier iracheno al Patriarca caldeo.

Mosul (AsiaNews) – Alzano il prezzo del riscatto e dettano “condizioni politiche” gli uomini che hanno in mano, dallo scorso 29 febbraio, l’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho. Lo riferiscono ad AsiaNews fonti irachene vicine ai mediatori, che stanno trattando per il rilascio. Ieri nel tardo pomeriggio è arrivata una nuova telefonata. Il gruppo, che tiene ostaggio il vescovo, usa il cellulare di mons. Rahho per comunicare, ma del suo stato di salute non ha ancora dato prove. “Sembra quasi che la liberazione – dicono in forma anonima da Mosul – sia passata in secondo piano nelle loro richieste e le condizioni che hanno posto complicano molto il caso, facendoci pensare che non si tratti di semplici criminali interessati al denaro”. Aumenta l’apprensione per l’ostaggio, che a 67 anni soffre di diversi disturbi, che lo obbligano a cure mediche quotidiane.
Nella diocesi e in tutto l’Iraq si continua a pregare per la salvezza di mons. Rahho, mentre le tv locali trasmettono in continuo gli appelli dei leader cristiani e del Papa per il suo rilascio. Ampio spazio è dato pure alle condanne di esponenti sciiti e sunniti del sequestro, “contrario ad ogni principio dell’islam”. Oggi il primo ministro iracheno, Nuri al Maliki, ha specificato che “attaccare i cristiani significa attaccare gli iracheni stessi”. In un messaggio inviato al card. Emmanuel III Delly, patriarca dei caldei, il premier riferisce di aver dato istruzione “al ministero dell’Interno e alle agenzie di sicurezza nella provincia di Niniveh di lavorare duro per garantire il prima possibile la liberazione dell’arcivescovo di Mosul”. Il card. Delly è da poco rientrato a Baghdad da Amman.
L’arcivescovo è stato rapito venerdì scorso, dopo avere celebrato la Via Crucis nella chiesa dello Spirito Santo, nella parte orientale della città. Nell’agguato sono stati uccisi tre uomini che viaggiavano con lui in auto. Roccaforte sunnita nel nord del Paese, Mosul è praticamente sotto il controllo di terroristi e milizie religiose. Solo da poche settimane il governo di Baghdad e le forze Usa hanno deciso di lanciare un’operazione militare per “ripulire” la zona. Della situazione la gente soffre indipendentemente dall’appartenenza religiosa. Ma i cristiani vengono messi ancora davanti a scelte ben precise, oltre alla fuga: la conversione all’islam; il pagamento della jizya - la tassa di "compensazione" chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani - o la morte.


La perversione del gender, o dottrina del genere.
Di Rassegna Stampa
(del 02/03/2008)
Uomini sessualmente variabili e bambini allevati dagli asili nido di Stato. È il nuovo e spaventoso obiettivo delle "politiche familiari" teutoniche "Equiparazione", "gender mainstreaming", "Centro di competenza gender". Il sito internet del ministero per la Famiglia tedesco abbonda di termini che dicono poco ai non addetti ai lavori, ma che se analizzate tracciano fin troppo bene la rotta verso cui naviga a vele spiegate il ministero.
Gender mainstreaming significa letteralmente porre al centro dell'attenzione il genere sociale. In poche parole adoperarsi perché la distinzione sessuale tra uomo e donna e l'eterosessualità come norma siano rimosse; i modi di vita omosessuale, bisessuale e transessuale considerati equivalenti alla sessualità di uomo e donna. Una vera e propria nuova ideologia che viene trasformata in realtà sociale in Germania attraverso il dominio virtuoso dell'apparato politico, oltretutto senza che su di essa ci sia stato dibattito pubblico. La stanza dei bottoni è rappresentata dal Gruppo di lavoro interministeriale per il gender mainstreaming (Ima Gm), che dipende dal ministero per la Famiglia.
Lì vengono elaborate le strategie utili a far cambiare direzione alle finanze dello Stato e destinarle alla creazione dell'uomo sessualmente variabile. Il lavoro "scientifico" e l'attività di consulenza per la ristrutturazione della società è prestato dal Centro di competenza gender presso l'università Humboldt di Berlino, centro che viene finanziato in buona misura dal ministero per la Famiglia. In maggio il Governo ha approvato un incremento a tappeto degli asili nido, fortemente voluto dal ministro per la Famiglia Ursula von der Leyen. La "ministra gender" appartenente a un cosiddetto partito cristiano democratico si è battuta per una vera e propria statalizzazione dell'educazione dei bambini sostenendo che l'assistenza "professionale" ai piccolissimi sia meglio della crescita affidata alla custodia naturale della madre. Certo, gli asili nido possono essere gestiti in modo ottimo, certo ci sono genitori incapaci di essere tali, ma quel che colpisce è che la "professionalità" delle operatrici viene spesa tacitamente come garanzia per la "buona" educazione dei bambini. Ma quali sono gli obiettivi dell'educazione statale nell'asilo nido e nella scuola materna? Non esiste un'educazione "neutrale", la cui bontà dovrebbe essere assicurata dalla qualifica delle educatrici. Si trasmettono sempre "valori". Ebbene quali sono questi valori? Nella pagina internet del ministero per la Famiglia si legge: «Il miglioramento della compatibilità di famiglia e lavoro per donne e uomini è la domanda centrale dal punto di vista politico-sociale. Senza una rimozione delle responsabilità specificatamente legate al sesso all'interno della famiglia e nel lavoro e senza l'approntamento delle condizioni di contesto necessarie per conseguire ciò l'equiparazione non potrà imporsi». Ancora: «Il termine "gender" indica i ruoli socialmente e culturalmente definiti dalla sessualità di uomini e donne. Questi, diversamente dalla sessualità biologica, vengono appresi, dunque sono anche modificabili». Si tratta di social engeenering, della creazione di un nuovo uomo, sessualmente variabile.
Per ottenere ciò lo Stato deve impossessarsi dei bambini, "sessualizzandoli" il prima possibile. A questo provvede la BZgA, la Centrale federale per l'istruzione sanitaria [da noi: "educazione alla salute" ndr]. La sezione che si occupa dell'istruzione sessuale sottostà al ministero per la Famiglia mentre tutto il resto è subordinato al ministero dell'Istruzione. La BZgA distribuisce gratuitamente i propri scritti a genitori, insegnanti, educatori, scuole e studenti. Chiunque può ordinarli gratuitamente attraverso internet e lì può anche consultarli. Eccone alcuni esempi: Il Vademecum per genitori circa l'educazione sessuale infantile da uno a tre anni d'età invita madri e padri a «unire il necessario al piacevole, solleticando, accarezzando, coccolando il bambino, quando lo si lava, nei più diversi punti del corpo». «La vagina, e soprattutto il clitoride, vanno scoperti evitando il più possibile di concentrarvi l'attenzione, nominandoli e attraverso amorevole contatto». L'esplorazione infantile dei genitali degli adulti può «destare stati d'eccitazione negli adulti». «Si tratta di un segno di sviluppo salutare di suo figlio, se usa generosamente la possibilità di procurarsi piacere e soddisfazione». Se accade che ci siano bambine (comprese tra uno a tre anni!) che «afferrano anzitutto oggetti che le aiutano» non si deve «usare questo come scusa per impedire la masturbazione». Il Vademecum troverebbe «incoraggiante il fatto che anche padri, nonne, zii o baby-sitter gettino uno sguardo su questo scritto informativo e si lascino intrigare - per favore, sentitevi tutti coinvolti!». Naso, pancia e culetto Si prosegue con la scuola materna. Con il quaderno di canti e di note Naso, pancia e culetto i bambini cantano canzoni come questa: «Se guardo il mio corpo e lo tocco scopro sempre che cosa è mio. abbiamo una vagina, perché siamo bambine. È qui sotto la pancia, tra le mie gambe. Non è solo per fare pipì e se la tocco, sì, sì formicola graziosamente. Puoi dire "no", puoi dire "sì", puoi dire "ferma", oppure "ancora una volta così", "così non posso", "così mi piace molto", "oh, avanti così"». Dalla scuola materna alle elementari. Se la pornografia non fa ancora parte dell'intrattenimento familiare, i bambini hanno la possibilità di vedere videoclip con il cellulare. A nove anni inizia la lezione sulla contraccezione, chiamata "educazione sessuale", perché ormai prossimi all'età nella quale gli innocenti giochi da bambini potrebbero avere una conseguenza altamente indesiderata: la gravidanza. I bambini di nove anni a scuola si esercitano a infilare preservativi in peni di plastica, così, per poter ottenere la «patente per l'uso del preservativo». Nella brochure Questione (i) di femmina si dice: «Così come la maggior parte della gente è curiosa circa il sesso, molti si chiedono anche che cosa facciano le lesbiche a letto (o altrove.). Per ragazze che siano insieme ad altre ragazze accade ciò che accade con le altre coppie: fanno tutto ciò che può dare piacere: baciare, accarezzare, con la bocca, con la lingua o con i piedi. Così come nel sesso tra uomo e donna, dipende dalla fantasia, dalle esperienze, dalla fiducia reciproca, da fino a che punto la coppia intenda spingersi. "Quantomeno le lesbiche non hanno problemi con l'Aids", possono pensare alcuni. Chiaro, se vanno solo con donne non devono pensare alla difesa dalla gravidanza».
Dall'età di dieci anni vengono adottati nelle scuole gli strumenti di propaganda e addestramento all'omosessualità (con l'aggiunta della bisessualità e della transessualità), non dappertutto in maniera così virulenta come a Berlino, Amburgo e Monaco, ma in Germania c'è una tendenza unitaria. Una Guida per le scuole di 198 pagine del Senato di Berlino sul tema Il modo di vita omosessuale offre un forbito avviamento alla omosessualizzazione degli studenti, da promuovere in «biologia, tedesco, inglese, etica, storia/educazione sociale, latino, psicologia». Materiale informativo, collegamento in internet con la scena omosessuale locale, invito a "rappresentanti" di progetti omosessuali a prendere parte alle lezioni, proiezioni cinematografiche e giornate di studio sul tema, tutto questo dev'essere proposto ed eseguito. Per i giochi di ruolo durante la lezione vengono fornite le seguenti sollecitazioni: «Siedi al banco di un bar di omosessuali e oggi potresti avere bisogno un uomo carino da portare a letto. Entra uno che fa al caso tuo. Come cogli la tua chance?». O ancora: «Tu sei Peter, 29 anni. Vuoi contrarre un patto civile di solidarietà con il tuo amico Kemal. Oggi volete raccontarlo a sua madre». «Tu sei Evelyn Meier, 19 anni. Vuoi contrarre un patto civile di solidarietà con la tua amica Katrin. Andate dal pastore evangelico, la signora Schulz, perché lei volentieri vi vuole sposare in chiesa». Cosa dicono i cristiani? Questi sono solo assaggi. Tutti i testi del BZgA, destinati a tutti i gruppi sociali, propagandano la sessualizzazione dei bambini e dei giovanissimi a partire da un anno. Essi minano l'autorità dei genitori. Seducono bambini e giovanissimi a una sessualità ridotta a soddisfazione del piacere senza legame coniugale. In tutto questo passa l'insinuazione dell'equivalenza di ciascuna forma di prassi sessuale - omosessuale, transessuale, bisessuale - con l'eterosessualità. I bambini a scuola vengono addestrati, a partire da nove anni, a diventare esperti di contraccezione. L'aborto viene loro proposto come un'innocua opzione da sottoporre alla libera scelta. Questa è la "politica della famiglia" di uno Stato la cui esistenza è insidiata dalla crisi demografica.
Poiché il gender mainstreaming è tra le massime priorità mondiali e nazionali, il problema dello sfascio della famiglia, quello dell'assassinio di massa di bambini non nati e quello delle decrescenti nascite possono rimanere irrisolti. Il logoramento morale prodotto dallo Stato e dai media è la radice di questa piaga. Il 60 per cento dei cristiani battezzati è d'accordo con la sessualizzazione forzata messa in atto da Stato e media? Lo sono i musulmani? La maggioranza dei genitori è senza vincolo religioso? Certamente no, tuttavia nel paese domina un grande silenzio, segno di una condizione pre-totalitaria della società. Tacciano gli omofobi Negli ambiti della politica, dei media e delle università l'opposizione ai Gender subisce denigrazione, emarginazione professionale: è ininfluente. Un nuovo epiteto si è trasformato in evidenza giuridica al fine di criminalizzare l'opposizione: omofobia. Il concetto insinua che sono fanatici della paura morbosa tutti coloro che tengono duro sul fatto che la sessualità serve il bene dell'uomo e della società, quando essa è espressione dell'unione amorosa di uomo e donna chiaramente finalizzata alla riproduzione. Il Parlamento europeo, con la risoluzione B6-0025/2006 del 18 gennaio 2006, ha annunciato che vuole "sradicare" l'omofobia. In Polonia la Ue nella primavera del 2007 è passata all'azione.
Poiché la Polonia non vuole «propaganda sessuale nella scuola», secondo il volere della maggioranza del Parlamento Europeo (26 aprile 2007) dev'essere eseguita una fact-finding mission a causa della «crescente tendenza all'intolleranza razzista, ostile agli stranieri e omofobica», al fine di poter accusare il paese davanti alla corte di giustizia europea. Troppo a lungo abbiamo abboccato a frasi ideologiche piene di parole come libertà, tolleranza, antidiscriminazione. Queste servono in primo luogo a discriminare ed emarginare i cristiani e i conservatori ed ad abrogare le libertà d'opinione e di religione. Svegliamoci. di Gabriele [Gabriella] Kuby, autrice di Die Gender Revolution - Relativismus in Aktion, dic 2006 Tempi num.35 del 30/08/2007


Paola, una da votare

Il Foglio, 5 marzo 2008
Eugenia Roccella ci scrive
Al direttore- Leggo su Liberazione di ieri che alcune senatrici di Rifondazione comunista hanno presentato un’interrogazione sull’attività del Centro di aiuto alla vita della Mangiagalli. Paola Bonzi, che da oltre vent’anni lo dirige, pare abbia raccontato, in un’intervista, alcuni episodi che le parlamentari hanno trovato scandalosi, come l’essersi “precipitata alle 6 del mattino da una ragazza che si trovava già nell’anticamera della sala operatoria”. Un vero e proprio attentato al “diritto” di aborto e alla libertà di quella donna: chi sarà stata l’anima nera, l’antiabortista che ha avvisato la Bonzi? Il ministro Turco, dicono le senatrici, deve indagare. Non ha importanza se la donna in questione sia felice di aver evitato l’aborto, non ha importanza se in quell’anticamera alle 6 del mattino fosse sola, dubbiosa, spaventata, e se qualcuno abbia avvertito il suo tormento e le abbia offerto ascolto e condivisione. Non ha nemmeno importanza che la Bonzi abbia operato per anni in piena sintonia e amicizia con un ginecologo pro choice come il prof. Pardi, e nemmeno importa sapere che Paola è una “natural born feminist”, una donna piena di amore e di rispetto verso le donne, dotata di un intuito delicato (tra l’altro è non vedente), e della felice capacità di entrare in contatto immediato con le altre. Per Liberazione, se la Bonzi lavora nei Cav, sicuramente “adotta ogni mezzo”, tra cui “l’esibizione di immagini di feti”, pur di “ledere il diritto delle donne ad esercitare le facoltà loro riconosciute” dalla 194. Qui non si tratta di essere pro choice, ma di essere abortiste e basta, convinte cioè che l’aborto sia in sé un’affermazione di autonomia e libertà, e non un momento ambiguo, doloroso e contraddittorio, che nessuna si augura di vivere.
Eugenia Roccella


SILENZIO SUL VESCOVO RAPITO
SI AIUTA L’IRAQ AIUTANDO QUEI CRISTIANI

Avvenire, 5.3.2008
FULVIO SCAGLIONE
«La comunità cristiana è parte essen­ziale della società irachena e ogni aggressione ai suoi membri è un’aggressio­ne a tutti gli iracheni». Così il premier ira­cheno Nur al-Maliki si è impegnato, davanti al patriarca caldeo Emmanuel III Delly, a li­berare «il prima possibile» monsignor Pau­los Faraj Rahho, arcivescovo di Mosul. Le sue parole confermano che gli esponenti più intelligenti, o anche solo politicamen­te più avvertiti, dei Paesi a maggioranza i­slamica del Medio Oriente capiscono che la tragedia dei cristiani può ripercuotersi in modo drammatico sulle loro nazioni e sul­la stabilità dell’intera regione.
Pensiamo alla visita in Vaticano di Abd Al­lah al Saud, re dell’Arabia Saudita. Alle pre­cauzioni con cui persino Hezbollah, in Li­bano, si accosta a una comunità cristiana minoritaria nei numeri ma decisiva per il Paese. Alla prudenza della Siria verso la Chiesa e all’accoglienza offerta ai profughi cristiani iracheni. Alle dichiarazioni del re di Giordania. Ai 2 ministri cristiani su 16 nel governo dell’Autorità Palestinese, anche se i cristiani sono il 2% della popolazione. E al­lo stesso al-Maliki, che non per la prima vol­ta si pronuncia in tal modo.
Il paradosso sta, semmai, nel relativo si­lenzio con cui la comunità internazionale ha accolto il massacro di altri tre cristiani (autista e guardie del corpo) e il rapimento di un arcivescovo, dopo anni di guerra costati alla comunità la vita di tre sacerdo­ti e di decine di fede­li, la distruzione di 50 chiese, una serie infi­nita di violenze e so­prusi e un’emigrazio­ne che l’ha dimezza­ta. Paradosso che si spiega con l’imba­razzo politico che il dramma diffonde e che nessuno ha il co­raggio di affrontare.
La persecuzione delle minoranze irachene (compresi turkmeni e yazidi ma con i cri­stiani martoriati da rapine e rapimenti per­ché attivi e industriosi, considerati quindi ricchi e sfruttabili) mostra il riflesso esclu­sivista del mondo islamico, ancora incapa­ce di convivere con le diversità e di accet­tarle con pari dignità. In Iraq il cristianesi­mo arrivò sette secoli prima dell’islam, ma i cristiani ancora sono trattati da estranei in una terra che è loro, per cui hanno lavora­to e sofferto, combattuto e pregato. Come può l’islam pensare di vivere in pace in que­sto mondo globalizzato senza guarire da u­na simile piaga?
Ma non solo ai musulmani tocca un esame di coscienza. La spedizione anglo-ameri­cana non ha mai capito che, proprio per quanto appena detto, la comunità cristia­na poteva essere un prezioso tramite per meglio capire l’Iraq e i suoi problemi. Anzi: i cristiani sono stati spesso trattati con suf­ficienza. Perché pochi, non ostili e inoffen­sivi. Ma anche perché una dilettantesca co­noscenza della storia irachena proiettava su di loro il marchio della presunta 'tolle­ranza' di Saddam e del suo vice Tarek Aziz, cristiano di nascita ma carrierista nella pra­tica, come testimonia il nome islamico scel­to al posto dell’originale Michail Yuanna. Gli americani, poi, hanno cercato di favo­rire l’insediamento in Iraq di comunità e­vangeliche che, non riuscendo a converti­re i musulmani, si sono date al recluta­mento dei cristiani locali, resi così ancor più deboli e, agli occhi dei fanatici, ancor più sospetti di 'intelligenza col nemico'.
Non è tardi per dare una mano ai cristiani e, tramite loro, all’Iraq. Aiutiamoli, per e­sempio, a ripopolare Baghdad, diventata per la prima volta nella storia quasi solo sciita. Aiutiamoli a superare la frammenta­zione comunitaria e a costruire una rap­presentanza politica degna di tal nome. E i politici Usa smettano di baloccarsi con l’i­dea dell’enclave cristiana da costruire nel­l’area di Ninive-Mosul, dove è stato rapito monsignor Rahho. Usare i cristiani come cuscinetto tra le ambizioni curde e i ranco­ri sunniti serve solo ad accelerare la fine del­la comunità e allontana la stabilizzazione del Paese.


Relativismo e scetticismo minacciano il progetto educativo
Il Cardinal Caffarra propone famiglia e parrocchia per dare senso alla formazione

di Antonio Gaspari
BOLOGNA, martedì, 4 marzo 2008 (ZENIT.org).- Il Cardinale Carlo Caffarra ha incontrato questo lunedì i giovani e gli educatori del Vicariato di Bazzano per discutere sul tema "Educare: come e perché?".
L'Arcivescovo di Bologna ha spiegato che il relativismo e lo scetticismo distruggono il progetto culturale, ma ha anche indicato come famiglia e parrocchia possano e debbano ricostituire il contesto umano e religioso che dà senso all'educazione.
Il porporato, che ha insegnato per anni, ha sottolineato che "educare una persona umana, generarla nella pienezza della sua umanità, è l'impresa più grande".
Primo compito dell'educatore è quello di dare "la risposta vera alle domande più profonde del cuore, per far capire qual è il vero senso della vita", ha spiegato, e per far questo non basta raccontare: è necessario testimoniare e mettersi in gioco fino in fondo, bisogna convertirsi continuamente.
Secondo l'Arcivescovo, "se il rapporto educativo non ha la natura della testimonianza, assume la forma o dell'autoritarismo egemone o del permissivismo cinico", mentre il rapporto educativo "nasce dalla testimonianza di un incontro fatto dall'educatore, resa all'educando perché si converta e viva".
Il Cardinal Caffarra ha quindi spiegato che il rapporto educativo si realizza, prima che nella scuola, in due luoghi: in famiglia e nella Chiesa.
In famiglia, ha osservato, perché educa all'amore, spiega e testimonia che "è l'amore del Creatore che dà origine a tutto ciò che esiste".
"Un Creatore - ha aggiunto l'Arcivescovo - sapiente e buono, che sostiene ogni sua creatura, ciascuna di esse, anche la più piccola, perché raggiunga la sua felicità, sia pure attraverso prove e sofferenze".
Per il Cardinal Caffarra, "a questa visione si contrappone una spiegazione che sta entrando semprepiù pervasivamente nella nostra vita e che indica il caso come origine di tutto".
"Dante parla dell'Amor che muove il sole e l'altre stelle; oggi parliamo del caso e/o necessità che fa essere tutto ciò che è", ha commentato l'Arcivescovo di Bologna.
Se si crede al Caso, ha spiegato il porporato, "non è possibile nessuna educazione", perché manca "l'ipotesi positiva che genera senso" ed è solo questa ipotesi positiva che "è capace di generare una profonda affezione alla vita".
In termini più espliciti, "non è possibile educare, se si esclude in linea di principio la presenza di Dio nella vita. Chi educa, non può farlo se non vivendo almeno come se Dio ci fosse".
Il porporato ha precisato che non si tratta di mera "educazione religiosa", ma di qualcosa di molto più profondo, perché solo una vera "attitudine religiosa è capace di generare una proposta educativa pienamente sensata".
Da questo punto di vista, la grande testimonianza in cui consiste l'educazione in famiglia sta proprio nella testimonianza alla positività della vita, alla presenza dell'amore di Dio in essa.
In questo contesto si inserisce l'importanza della Chiesa nel progetto educativo. Per il Cardinale, questo compito si realizza "nella comunicazione della verità circa il destino dell'uomo"; per questo, "il referente essenziale della realtà e della vita parrocchiale è la presenza reale della persona di Cristo in essa".
La parrocchia educa comunicando la bella notizia attraverso la catechesi e anche celebrando il Mistero della salvezza dell'uomo attraverso la modalità liturgica.
"La celebrazione liturgica - ha sostenuto l'Arcivescovo - rende possibile, anzi realizza l'incontro fra due grandezze incommensurabili: la vita di Dio e la mortalità dell'uomo".
"È il vertice in cui si compie l'opera educativa della Chiesa - ha aggiunto -. Perché Dio è amore e l'incontro con lui in Cristo è la sola risposta piena all'inquietudine del cuore umano".
"Che cosa fa la Chiesa? - si è chiesto il presule - Avvicina Cristo alla miseria umana e la miseria umana a Cristo. E questo incontro è la carità cristiana".
In merito alle insidie gravi che minacciano l'attività educativa, il Cardinal Caffarra ha indicato il relativismo e la convinzione che l'educazione sia impossibile.
Il relativismo ritiene che non sia possibile per l'uomo conoscere una verità incondizionata circa il bene della persona, e questo sul piano educativo significa l'impossibilità di fare una proposta autorevole di vita a colui che stiamo educando, cioè semplicemente l'impossibilità di educare.
La seconda insidia è la progressiva convinzione che l'educazione sia impossibile. È una sorta di abdicazione all'educazione.
"Vi confesso una grave preoccupazione - ha rivelato l'Arcivescovo -. Che le nostre comunità si rassegnino all'afasia educativa riguardo ai giovani. Si fanno, e lodevolmente e doverosamente, sforzi gravi per 'tenere' fino alla Cresima; dopo, si è tentati di rassegnarsi alla sconfitta".
Di fronte a queste insidie, l'Arcivescovo di Bologna ha ribadito che "c'è un solo modo di far fiorire questa umanità: mostrare in sé la bellezza di una umanità riuscita e amare l'altro fino al punto da voler condividere con lui questo bene".