venerdì 7 marzo 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) La storia inequivoca di una ragazzina moderna che decide di non abortire letta con occhi foderati di prosciutto, di Giuliano Ferrara, il Foglio
2) I rapitori del vescovo di Mosul alzano la posta in gioco
3) La proposta cristiana per far fronte alla crisi educativa
4) LA MORTE DI ANGELA, INCINTA, 23 ANNI - SE IL MEDICO NON IDENTIFICA IL LAMENTO
5) Pechino incarcera chi osa chiedere al governo di fare giustizia


Ehi, Natalia Aspesi, stavolta hai toppato forte: Juno siamo noi
La storia inequivoca di una ragazzina moderna che decide di non abortire letta con occhi foderati di prosciutto
, di Giuliano Ferrara, il Foglio
Alla fine del film Juno suggerisce: “Bisognerebbe innamorarsi prima di riprodursi”, ed è una frase fantastica. Bisognerebbe anche pensare prima di scrivere, cara Aspesi. Il suo tentativo di salvare dalla crociata contro l’aborto il film hollywoodiano che sta per invadere i nostri schermi dopo un clamoroso successo internazionale è destinato a un grottesco fallimento, e mi dispiace perché solo uno strano panico può indurre a un’impresa ideologica e giornalistica tanto disperata. La gente che ha letto il suo articolo infatti vedrà il film, ai primi di aprile. Vedrà una ragazzina con la sua lingua di strada e i suoi deliziosi capricci pieni di buonumore e di amore. La vedrà che resta incinta. Che decide di abortire. Che va verso l’ingresso di una clinica femminista per aborti. Vedrà che incontra una ragazzina bruttacchiona e sensibile, come bruttacchioni e sensibili siamo tutti noi pro life e pro family day, tutti noi che godiamo del suo accanito disprezzo antropologico, la quale le comunicherà bruscamente che il suo fagiolino ha già le unghie. Vedrà che nella clinica a Juno viene offerto un preservativo al lampone e un numeretto per mettersi in fila davanti alla stanza in cui avverrà il raschiamento, a proposito del nesso tra contraccezione e aborto. La vedrà fuggire dalla clinica denunciando un “odore da anticamera del dentista”. La vedrà decidere di non abortire, idest partorire il gamberetto ed essere libera dalle convenzioni che indicano la strada opposta. La vedrà cercare su un giornale coppie che intendono adottare bambini, spiritualmente aiutata da suo padre e dalla sua matrigna, mentre il suo maschietto inebetito da sport e vita se ne lava un po’ le manine. Il pubblico riderà e piangerà durante la sua gravidanza, i suoi giochi, la sua gestazione moderna del pisellino. Moderna nel senso di non veterofemminista, moderna nel senso che tutto è possibile, anche il rifiuto della maternità quando si sia incinte in un’età precoce, ma non è giusto sopprimere una vita umana. Almeno, non in un mondo che si dice civile e che giudica incivile il medioevo. Meglio la modernità sublime della ruota del convento medievale, meglio darlo in adozione dopo averlo fatto, il pesciolino. E alla fine del film c’è una donna con bambino, la madre adottiva, che se ne sta lì nel suo presepe contemporaneo; e Juno e il suo maschietto che suonano la chitarra e, quando sarà il momento, ne faranno un altro, di pesciolino. Contenti del fatto che il suo fratellino maggiore non è stato raschiato via e gettato in una discarica. Il tutto sembrerà al pubblico più ragionevole, più naturale, più salutare, più bello: per le donne e per i bambini. Un film è un film, non è un messaggio culturale. Ma se c’è, il messaggio, meglio saperlo leggere. E se è lieve, indiretto ma chiaro, non saperlo leggere, cara Aspesi, vuol dire avere gli occhi foderati di prosciutto. Vi era già successo, a voi di Repubblica, con il film rumeno premiato a Cannes. Era un film che denunciava gli orrori dell’aborto clandestino sotto Ceausescu, ma denunciava anche l’aborto, facendo vedere un bambino nella pancia della madre, quel bambino poi abortito, per lunghi eterni istanti. Ne eravate scossi, e avete fatto finta di niente. Anche per un miliardo di aborti in trent’anni avete fatto finta di niente. E ora provate sacro orrore per noi che vi diciamo: tutto si può fare, nel tempo in cui si è liberi di scegliere, tranne uccidere i bambini nel seno delle loro madri. Un punto del nostro programma dice: date in adozione i bambini, siate libere di non abortire. Juno c’est nous.


4/03/2008
IRAQ
I rapitori del vescovo di Mosul alzano la posta in gioco
Ieri sera, in una nuova telefonata, aumentano il prezzo del riscatto e indicano condizioni “che complicano il caso”. Della buona salute del vescovo, sequestrato il 29 febbario, continuano a non esserci garanzie. Il nuovo scenario fa pensare che non si tratti di semplici criminali interessati al denaro. Messaggio del premier iracheno al Patriarca caldeo.

Mosul (AsiaNews) – Alzano il prezzo del riscatto e dettano “condizioni politiche” gli uomini che hanno in mano, dallo scorso 29 febbraio, l’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho. Lo riferiscono ad AsiaNews fonti irachene vicine ai mediatori, che stanno trattando per il rilascio. Ieri nel tardo pomeriggio è arrivata una nuova telefonata. Il gruppo, che tiene ostaggio il vescovo, usa il cellulare di mons. Rahho per comunicare, ma del suo stato di salute non ha ancora dato prove. “Sembra quasi che la liberazione – dicono in forma anonima da Mosul – sia passata in secondo piano nelle loro richieste e le condizioni che hanno posto complicano molto il caso, facendoci pensare che non si tratti di semplici criminali interessati al denaro”. Aumenta l’apprensione per l’ostaggio, che a 67 anni soffre di diversi disturbi, che lo obbligano a cure mediche quotidiane.
Nella diocesi e in tutto l’Iraq si continua a pregare per la salvezza di mons. Rahho, mentre le tv locali trasmettono in continuo gli appelli dei leader cristiani e del Papa per il suo rilascio. Ampio spazio è dato pure alle condanne di esponenti sciiti e sunniti del sequestro, “contrario ad ogni principio dell’islam”. Oggi il primo ministro iracheno, Nuri al Maliki, ha specificato che “attaccare i cristiani significa attaccare gli iracheni stessi”. In un messaggio inviato al card. Emmanuel III Delly, patriarca dei caldei, il premier riferisce di aver dato istruzione “al ministero dell’Interno e alle agenzie di sicurezza nella provincia di Niniveh di lavorare duro per garantire il prima possibile la liberazione dell’arcivescovo di Mosul”. Il card. Delly è da poco rientrato a Baghdad da Amman.
L’arcivescovo è stato rapito venerdì scorso, dopo avere celebrato la Via Crucis nella chiesa dello Spirito Santo, nella parte orientale della città. Nell’agguato sono stati uccisi tre uomini che viaggiavano con lui in auto. Roccaforte sunnita nel nord del Paese, Mosul è praticamente sotto il controllo di terroristi e milizie religiose. Solo da poche settimane il governo di Baghdad e le forze Usa hanno deciso di lanciare un’operazione militare per “ripulire” la zona. Della situazione la gente soffre indipendentemente dall’appartenenza religiosa. Ma i cristiani vengono messi ancora davanti a scelte ben precise, oltre alla fuga: la conversione all’islam; il pagamento della jizya - la tassa di "compensazione" chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani - o la morte.


La proposta cristiana per far fronte alla crisi educativa
di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 6 marzo 2008 (ZENIT.org).- Dopo aver confrontato la crisi morale che ha stravolto la dimensione antropologica della persona e della famiglia, il Pontefice Benedetto XVI ha invitato la comunità dei credenti e la società a riflettere sulla crisi del progetto educativo e a rinnovare il compito urgente dell’educazione.
A commento della Lettera di Benedetto XVI alla Diocesi di Roma e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, ZENIT ha intervistato monsignor Lorenzo Leuzzi, Direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma e Segretario della Commissione Università del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE).
“Per un rinnovamento dell’impegno educativo fondato, non su indicazioni sociologiche o fenomenologiche” è necessario “partire dalla comprensione delle radici proprie del cristianesimo” ha premesso monsignor Leuzzi.
Secondo il responsabile della pastorale universitaria di Roma, a fronte “della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza” la comunità cristiana “deve proporre l’esperienza della fede, aiutando le nuove generazioni ad incontrare Cristo e a stabilire con Lui un rapporto profondo e stabile”.
Per monsignor Leuzzi “non bisogna lasciarsi prendere dall’ottimismo della cosiddetta “rinascita del religioso”, che oggi più che mai deve essere intesa come una affermazione puramente sociologica e che, pertanto, va interpretata in sede metafisica per essere decifrata e compresa”.
“Bisogna invece guardare al realismo della fede – ha aggiunto – alla consapevolezza cioè che il Vangelo non appartiene al mondo dei miti o dei simboli religiosi, ma al mondo della realtà storica, perché il Dio di Gesù Cristo è entrato nella storia per dare all’uomo un nuovo fondamento, quello cioè di essere un uomo nuovo, la cui esistenza è storico-ecclesiale”.
Alla domanda sul perché la comunità cristiana fatica oggi a rispondere alle nuove attese educative della società contemporanea, il prelato ha risposto che spesso “l’incontro con Cristo è svuotato del suo impatto con la dimensione storica ed esistenziale del credente” e si riduce ad una “semplice esperienza mistico-spirituale o umanistico-valoriale”, mentre l’appartenenza ecclesiale si limita ad “una formale adesione socio-culturale”.
Il Segretario della Commissione Università del CCEE è convinto che “per approfondire le vere cause della crisi dell’impegno educativo è necessario riflettere sulla trasmissione della fede che costituisce la sorgente e lo specifico dell’impegno educativo della comunità cristiana”.
“La Chiesa non è una semplice agenzia comunicativa o educativa religiosa, ma è la comunità dove l’uomo incontra il Signore e con Lui cammina e costruisce la storia”, ha sottolineato monsignor Leuzzi.
“Educare – ha continuato – significa rendere l’uomo capace di scoprire e di assumere la verità profonda di sé: quella di essere l’unica realtà del creato che ha la possibilità di arricchirsi ontologicamente attraverso la partecipazione alla costruzione della comunità”.
“Solo l’uomo è persona perché è costruttore, e non solo in senso etico-morale, ma anche ontologico”, ha sottolineato.
Il Direttore della pastorale universitaria ha sostenuto che “è la vita della comunità cristiana che deve rivelare e favorire il riappropriarsi da parte di ogni battezzato della sua verità antropologica, evitando tentazioni spiritualistiche o forme di solidarietà meramente sociologiche”.
In merito alla pastorale giovanile, che è il settore dove maggiormente si avverte la crisi della capacità educativa della comunità cristiana, monsignor Leuzzi ha criticato “la formazione culturale della società fondata sull’antirealismo” e “la perdita del senso della realtà”.
“I giovani ­– ha spiegato – non sono disponibili ad accogliere proposte formative cristiane ambigue I giovani aspettano qualcosa di più dalla Chiesa: e cioè la verità sul mistero di Dio e sulla situazione storica dell’uomo”.
Per monsignor Leuzzi, “i giovani devono essere educati a costruire la famiglia, la scuola, l’Università, l’azienda” perché “è Cristo che li spinge a costruire, affinché costruendo imparino e sperimentino che Lui è il centro del cosmo e della storia”.
Il Direttore della pastorale universitaria ha quindi fatto riferimento all’Enciclica Spe salvi concludendo che “educare significa aiutare le nuove generazioni ad essere protagoniste della storia”.


LA MORTE DI ANGELA, INCINTA, 23 ANNI - SE IL MEDICO NON IDENTIFICA IL LAMENTO
Avvenire, 7 marzo 2008
MARINA CORRADI
La storia di Angela Scibilia, la ragazza calabrese incinta morta all’ospedale di Polistena dopo che per giorni, prima a casa e poi in una clinica privata, i me­dici non si erano accorti che aveva una forma acuta di diabete, è una di quelle tragedie di malasanità che con sinistra frequenza si ripetono, soprattutto al Sud. Ma è una storia che nella sua gravità pa­re fatta apposta per infrangere quell’in­dignazione di breve durata, quella sorta di addolorata rassegnazione con cui leg­giamo di queste vicende di bambini che escono morti dalla sala operatoria in cui erano entrati per togliere le tonsille – con la promessa di un bel gelato, il mattino dopo. E certo, casi statisticamente rari, zero virgola zero uno per centomila, sen­nonché quello zero virgola zero uno per centomila è un figlio, e quell’errore ci ag­ghiaccia, perché tutti abbiamo dei figli.
Forse che la medicina ha promesso di es­sere infallibile? No, ma l’errore di Villa E­lisa a Cinque Frondi sembra incredibi­le: per giorni Angela, al secondo mese di gravidanza, si è lamentata di stare sem­pre peggio, e il ginecologo a dire: è de­pressione, o addirittura: fa i capricci. Ri­coverata in casa di cura, l’hanno quindi trasportata in ospedale, dove finalmen­te le hanno trovato un tasso di glicemia altissima. È morta poco dopo. Un esame elementare, un errore strabiliante – di quelli, per intenderci, che nei vecchi compiti di scuola un professore avrebbe segnato con un solco di matita blu da bu­care la carta. Ma non era un compito in classe, e una ragazza di 23 anni è morta insieme alla creatura di due mesi che le cresceva nel ventre.
Cinque medici di quella clinica ora sono indagati per omicidio colposo. Ci imma­giniamo già il faldone del processo, le carte delle perizie che si aggiungono e col tempo vanno ingiallendo in un ar­madio di un tribunale del Sud. Se colpe­voli, verranno condannati? Dovranno pa­gare un risarcimento? Non sarà niente, comunque, in quella casa nuova di gio­vani sposi rimasta silenziosa e vuota.
Ma, oltre al privato dolore, c’è una di­mensione pubblica in fatti come questo. C’è un urto, come un pugno in chi ap­prende una simile storia. Il trauma ri­guarda il rapporto fra paziente e medico, legame antico e fondamentale. Nelle re­lazioni dei medici con questa donna qualcosa è accaduto: lei soffriva e si la­mentava, e i medici non riconoscevano l’oggettività del suo dolore. Parlavano di depressione o addirittura di capricci. L’antica, eterna domanda del malato al medico in quella stanza è rimasta ina­scoltata, fino alla corsa affannata in o­spedale, fino a quando è stato tardi.
Un errore che ha dell’incredibile. Ma colpisce, soprattutto, il non avere, quei medici, ascoltato, 'creduto' la paziente. Lei ripeteva 'sto male' e quelli, sordi. Che molti medici 'non ascoltino', o che ascoltino distrattamente, o che ascoltino solo ciò che compete all’area ristretta della loro specializzazione, è ben noto lamento tra pazienti nelle corsie d’ospedale, e nelle sale d’aspetto. Ed è un lamento che cresce. È un portato, anche, della tecnologia: «Guardano la Tac, e non chiedono nulla». Il rapporto medico-paziente da anni è al centro di una forte conflittualità. Il numero delle cause per malpractice in dieci anni in Italia è aumentato del 184 %. I premi delle polizze assicurative contro gli infortuni professionali sono aumentati del 230%. Le cifre di un rapporto entra­to in crisi. Pazienti diffidenti con la carta da bollo in tasca. Medici ridotti alla 'me­dicina difensiva': cioè il paziente è sano, ma, a scanso di guai, faccia venti esami.
La fiducia incrinata, la solidarietà interrotta. A un convegno a Milano un famoso anziano oncologo semiparalizzato da un ictus ha detto ai colleghi: 'Solo ora che sono malato ho capito quanto è necessario ascoltare i malati'. Lo ha detto con la poca voce che la sua malattia gli lasciava. I suoi allievi hanno applaudito. Ma chissà, ci siamo chiesti guardando le loro giovani facce di uomini sani sulla via di una brillante carriera, se avevano capito davvero.


07/03/2008 10:49
CINA
Pechino incarcera chi osa chiedere al governo di fare giustizia
Prima dell’inizio dell’Assemblea nazionale del popolo, oltre mille autori di petizioni al governo sono stati arrestati e rimandati indietro. Storia di chi ha presentato 15 richieste di giustizia e ha avuto solo un anno di carcere. Intanto Pechino organizza “l’assistenza religiosa” per atleti olimpici e turisti stranieri.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Oltre mille cinesi sono stati arrestati nei giorni scorsi per avere cercato di sottoporre al governo denunce di torti subiti. In vista dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp), iniziata il 5 marzo, da tutto il Paese arrivano cittadini per presentare petizioni e chiedere giustizia, ma la polizia li arresta appena arrivano a Pechino e li trattiene, in attesa di rimandarli a casa.
Tra loro c’è Huang Caipiao del Fujian, allevatore di gamberi che chiede un indennizzo per l’esproprio forzato della sua attività: è stato fermato dalla polizia il 3 marzo e portato a un centro di detenzione “non ufficiale” a Majialou, nella parte sud della Capitale. “Mi hanno detto – racconta all’agenzia Radio Free Asia – che lì c’erano più di 1.000 autori di petizioni, [provenienti] da tutto il Paese”. Mentre era sotto custodia ha anche parlato con il giornalista Han Qing, pure “trattenuto” in attesa di essere rimandato nella città di Lianjiang. Huang dice che “ormai ho perso ogni speranza”: è venuto 15 volte a Pechino per chiedere giustizia, ma ha ottenuto solo un anno di carcere.
Una donna, Lin Xiuli, racconta che nel 2003 è stata buttata giù dal sesto piano di un edificio, ma gli aggressori sono stati assolti. Così è venuta a presentare una petizione alla Corte suprema a Pechino, ma la polizia l’ha fermata e rimandata indietro a Qingdao, dove ora è detenuta in un “gruppo di studio per autori di petizioni”.
I cinesi chiedono spesso giustizia al governo centrale contro poteri locali corrotti, ma la polizia – spiega l’attivista per i diritti umani Huang Qi – li intercetta appena arrivano e li rimanda indietro. La statale Xinhua dice che il solo 5 marzo ha ricevuto sul suo sito web circa 1,5 milioni di messaggi internet con richieste, domande, commenti all’Anp.
Intanto Pechino sta predisponendo luoghi di preghiera temporanei e l’assistenza religiosa per le squadre olimpiche, all’interno del Villaggio olimpico. Fonti ufficiali spiegano che saranno a disposizione 10 imam che parlano arabo o inglese, come pure sacerdoti e suore cristiani che conoscono l’inglese e il francese. Liu Bainian, presidente dell’Associazione patriottica (la Chiesa ufficiale, controllta dal governo) si dilunga a spiegare che tutte le chiese cattoliche saranno aperte ai turisti cattolici e che “è allo studio” la possibilità di “dotare” gli alberghi di Bibbie per i visitatori esteri.
Esperti commentano che appare significativo che organi ufficiali debbano intervenire per assicurare il diritto dei turisti cattolici di recarsi in chiesa a pregare.