domenica 30 marzo 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Papa: Giovanni Paolo II e Faustina Kowalska, apostoli della Divina Misericordia
2) Le pagelle dei cattolici bocciano Veltroni
3) IL DURO ACCIAIO DI TOLEDO, Il pensiero forte del cardinale Antonio Cañizares. Tutta l'intervista sul Foglio in edicola
4) Quelle elette senza onori in quota all’Assoluto, DAVIDE RONDONI
5) La Divina Misericordia vocazione della Chiesa Il cardinale Schönborn: «Un grande evento a Roma»
6) LO SCONTRO IN TIBET - Il Dalai Lama: «Per favore, il mondo ci aiuti»
7) «Ue, un aborto ogni 25 secondi»
8) «Don Benzi è stato unico Adesso però tocca a noi»


30/03/2008 12:25
VATICANO
Papa: Giovanni Paolo II e Faustina Kowalska, apostoli della Divina Misericordia
A 3 anni dalla morte del papa polacco, Benedetto XVI annuncia il primo Congresso Mondiale della Divina Misericordia, un tema caro a Giovanni Paolo II per polarizzare la missione della Chiesa e far scaturire la pace nel mondo, “impossibile alle sole forze umane”.

Castel Gandolfo (AsiaNews) – A pochi giorni dall’anniversario della morte di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha annunciato al Regina Caeli di oggi che egli presiederà una messa in sua memoria proprio mercoledì 2 aprile, 3° anniversario della scomparsa del grande papa polacco. La messa aprirà il primo Congresso Apostolico Mondiale della Divina Misericordia, che si terrà a Roma, e vede fra i responsabili il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna.
“La misericordia – ha detto Benedetto XVI - è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore. Questo amore di misericordia illumina anche il volto della Chiesa, e si manifesta sia mediante i Sacramenti, in particolare quello della Riconciliazione, sia con le opere di carità, comunitarie e individuali. Tutto ciò che la Chiesa dice e compie, manifesta la misericordia che Dio nutre per l’uomo. Quando la Chiesa deve richiamare una verità misconosciuta, o un bene tradito, lo fa sempre spinta dall’amore misericordioso, perché gli uomini abbiano vita e l’abbiano in abbondanza (cfr Gv 10,10). Dalla misericordia divina, che pacifica i cuori, scaturisce poi l’autentica pace nel mondo, la pace tra popoli, culture e religioni diverse”.
Si deve proprio a Giovanni Paolo II la definizione di “Domenica della Divina Misericordia” data alla seconda domenica di Pasqua (domenica in Albis). “Questo avvenne – ricorda il papa - in concomitanza con la canonizzazione di Faustina Kowalska, umile Suora polacca, nata nel 1905 e morta nel 1938, zelante messaggera di Gesù Misericordioso”.
“Come Suor Faustina – ha aggiunto il papa - Giovanni Paolo II si è fatto a sua volta apostolo della Divina Misericordia. La sera dell’indimenticabile sabato 2 aprile 2005, quando chiuse gli occhi a questo mondo, era proprio la vigilia della seconda Domenica di Pasqua, e molti notarono la singolare coincidenza, che univa in sé la dimensione mariana – il primo sabato del mese – e quella della Divina Misericordia. In effetti, il suo lungo e multiforme pontificato ha qui il suo nucleo centrale; tutta la sua missione a servizio della verità su Dio e sull’uomo e della pace nel mondo si riassume in quest’annuncio, come egli stesso ebbe a dire a Cracovia-Łagiewniki nel 2002, inaugurando il grande Santuario della Divina Misericordia: ‘Al di fuori della misericordia di Dio non c’è nessun’altra fonte di speranza per gli esseri umani’. Il suo messaggio, come quello di Santa Faustina, riconduce dunque al volto di Cristo, suprema rivelazione della misericordia di Dio. Contemplare costantemente quel Volto: questa è l’eredità che egli ci ha lasciato, e che noi con gioia accogliamo e facciamo nostra”.
A conclusione della sua riflessione, Benedetto XVI ha invitato i fedeli a porre il Congresso che si terrà a Roma “sotto la celeste protezione di Maria santissima Mater Misericordiae. A Lei affidiamo la grande causa della pace nel mondo, perché la misericordia di Dio compia ciò che è impossibile alle sole forze umane, e infonda nei cuori il coraggio del dialogo e della riconciliazione”.


Le pagelle dei cattolici bocciano Veltroni
L'associazione Nuove Onde ha preparato un interessante dossier “Verso le elezioni politiche 2008″ che studia i partiti sui temi eticamente sensibili per i credenti.
Le coalizioni e i partiti che si presentano all'esame delle urne tra due settimane hanno già al loro attivo un lungo curriculum. Sono stati monitorati strettamente alla Camera e in Senato durante l'ultima legislatura. Sono state passate al microscopio le loro proposte di legge e i voti espressi dagli schieramenti anche nei consigli comunali e al Parlamento europeo.
Dopo la lettura le conclusioni sono ovvie



Per vescovi e parroci dalla memoria corta, oltre che per i cattolici smarriti ma sensibili ai valori non negoziabili, arriva una guida al voto. Più che altro, un avvertimento sui temi eticamente sensibili, per non giudicare soltanto in base ai programmi elettorali, che già di per sé sono eloquenti. Le coalizioni e i partiti che si presentano all'esame delle urne tra due settimane hanno già al loro attivo un lungo curriculum.
LE TAPPE DELL'ATTACCO
Sono stati monitorati strettamente alla Camera e in Senato durante l'ultima legislatura. Sono state passate al microscopio le loro proposte di legge e i voti espressi dagli schieramenti anche nei consigli comunali e al Parlamento europeo. Poi l'associazione Nuove Onde ha rielaborato tutti i dati, come aveva già fatto in occasione delle consultazioni del 2006, condensandoli in un dossier che smaschera il corteggiamento del mondo cattolico da parte del Partito Democratico e della Sinistra L'Arcobaleno. Ripercorrere le fasi dell'attacco (quasi sempre fallite) del centrosinistra alla vita e alla famiglia è l'introduzione necessaria per il vademecum. Ripassare la lezione della storia recente è utile per non farsi fregare. Dopo appena due settimane dalla nascita dell'esecutivo Prodi, nel maggio 2006, il ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi (ora candidato nella Sinistra L'Arco baleno), ritirava l'adesione italiana alla moratoria europea sull'uso di embrioni come cavie da laboratorio. Appena un mese dopo, il 27 giugno, il senatore Ignazio Marino e la capogruppo dell'Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro (ora candidati nel Pd), presentavano un disegno di legge sul testamento biologico, anticamera dell'eutanasia. Progetto andato a monte soltanto per la caduta del governo, come per altro verso i Dico (diritti dei conviventi), che sdoganavano le unioni civili tra omosessuali, promossi dal ministro della Famiglia (sic!), Rosy Bindi, insieme alla collega delle Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, nel febbraio 2007. Cinque mesi dopo li avevano trasformati in Cus (Contratti di unione solidale). Anche in quel caso l'iter del provvedimento si è interrotto soltanto grazie allo scioglimento anticipato delle Camere. Quei tre ministri, più la responsabile della Salute, Livia Turco, che aveva emanato un decreto sulle droghe che innalzava da 500 a 1.000 milligrammi il quantitativo massimo di cannabis che può essere detenuto per uso personale, si meritano una bocciatura in tronco, senza appello. Anzi, la Turco è doppiamente respinta da Nuove Onde per l'inerzia dimostrata davanti all'introduzione della pillola abortiva Ru486, il farmaco omicida. Nessun provvedimento, da parte sua, per bloccarne la commercializzazione in Italia. COSA ACCADREBBE SE...
Imparata la lezione, il dossier di Nuove Onde (scaricabile dal sito www.nuoveonde.com) passa poi alle prospettive, con tre diverse proiezioni su ipotetiche votazioni. Un disegno di legge sul testamento biologico avrebbe la certezza di essere approvato se la maggioranza andasse alla coalizione Partito democratico-Italia dei Valori. Lo stesso varrebbe per le unioni di fatto anche omosessuali e sulla revisione della legge 40 sulla fecondazione assistita, considerando anche il tasso di radicalismo interno al Pdl. Ma se fosse il centrodestra, cioè Pdl, Lega Nord e Movimento dell'Autonomia, il risultato si ribalterebbe: bocciate tutte e tre le proposte, nonostante qualche defezione, anche significativa. Lo stesso esito, molto probabilmente, si riprodurrebbe anche riguardo alle minacce contro la libertà di educazione, che nella passata legislatura avevano fatto balenare la norma cosiddetta anti-omofobia, che avrebbe reso illegale l'insegna mento della religione cattolica e passibile di condanna chi ne insegnasse la dottrina. In un quadro del genere, aggiungono i curatori del vademecum, Giovanni Fenizia e Fabio Luoni, le liste minori produrrebbero soltanto danni: «Per intenderci, si potrebbe avere il paradosso che il mio voto a Ferrara porti la Bonino e i radicali al ministero della Sanità». È il realismo del sistema maggioritario. Il che rende superflua, se non dannosa, la Lista per la Moratoria tanto quanto la presenza dei teodem nel Pd. Inutile, infine, la presenza dell'Udc-Rosa bianca. Anche senza partitini - anzi, proprio grazie alla loro assenza - si difendono vita, famiglia e libertà di educazione.
di ANDREA MORIGI
LIBERO 30 marzo 2008


29 marzo 2008
Il pensiero forte del cardinale Antonio Cañizares. Tutta l'intervista sul Foglio in edicola
Dal Foglio.it
IL DURO ACCIAIO DI TOLEDO
L’aborto, la cultura e le legislazioni abortiste, l’ideologia del genere e la sua deriva nichilista, l’autonomia dell’uomo contemporaneo e il nuovo concetto di diritto
Nell’intervista da Lei rilasciata al Corriere della Sera l’11 marzo scorso abbiamo letto – con entusiasmo – la sua adesione alla campagna per la moratoria sull’aborto. Lei ha anche detto che l’aborto “è il peggior degrado della storia dell’umanità”. Perché ritiene che il tema dell’aborto sia oggi così decisivo, più importante rispetto ad altri problemi? L’aborto è la violazione del diritto più fondamentale e sacrosanto di tutti i diritti umani: il diritto alla vita, intimamente connesso a ciò che c’è di più essenziale della dignità inviolabile di ogni essere umano, base della convivenza tra gli uomini, base della società. Nell’aborto si viola il “non uccidere”, un assoluto inscritto nella natura umana e che appartiene alla “grammatica comune” dell’essere umano. Si tratta di un crimine contro la persona e la società, perpetrato, inoltre, contro esseri umani innocenti, deboli e indifesi. Legittimare la morte di un innocente per mezzo dell’aborto mina e distrugge, dunque, il fondamento stesso della società. La generalizzazione tanto massiccia ai nostri giorni dell’aborto legale – sono molti milioni all’anno – in base a legislazioni permissive, nell’una o nell’altra maniera a favore dell’aborto, costituisce una grandissima sconfitta dell’umanità: sono stati sconfitti, in realtà, l’uomo e la donna. E’ stata sconfitta la società basata sul bene comune, giacché con l’aborto si sacrifica la vita di un essere umano a beni di valore inferiore e si sottomette il bene comune all’eliminazione della vita a favore il più delle volte di un benessere. E’ stato sconfitto il medico che ha rinnegato il giuramento e il titolo più nobile della medicina: quello di difendere e salvare la vita umana. Sono stati sconfitti i legislatori e coloro che devono applicare il diritto, chiamati tutti costoro a realizzare la giustizia e difendere il debole. Viene pure sconfitto lo stato di diritto, che ha rinunciato alla protezione fondamentale che deve al sacrosanto diritto della persona alla vita; lo stato invece di intervenire, secondo la sua missione, per difendere l’innocente in pericolo, impedendo la sua morte e assicurando, con mezzi adeguati, la sua esistenza e la sua crescita, con le sue leggi permissive contro la vita umana, come è l’aborto legale, sta autorizzando, di fatto, la violazione di un diritto fondamentale e l’esecuzione di “sentenze di morte” ingiuste, senza che, per giunta, il morituro possa difendersi; cosí non si sostiene lo stato di diritto. Possiamo approfondire ancora. Le legislazioni favorevoli all’aborto pongono in questione il carattere di “umano” di questo nuovo essere vivo dal momento in cui è concepito o portato in grembo. In queste legislazioni, questo essere vivo è una cosa, un qualcosa, non un qualcuno, un chi, a cui non si possa sottrarre la condizione di essere personale, inerente a ogni essere umano. Con ciò, non solo viene gravemente posto in questione il diritto fondamentale dell’uomo alla vita, ma anche la persona stessa. A partire da qui già non si sa più chi è il soggetto del diritto fondamentale alla vita: l’essere umano simpliciter ut talis, in quanto tale o quello che decidono di considerare come tale i legislatori, le maggioranze parlamentari, il potere, insomma? Qui c’è una questione di fondo gravissima: chi, quando e come si è uomo. Chi lo decide? O sta nelle mani dell’uomo – del potere – decidere quando si è persona? Tutto ciò ha conseguenze enormi, per esempio, nel campo della concezione dei diritti umani, della creazione o dell’allargamento di “nuovi” diritti eccetera. Per questo il tema dell’aborto è tanto decisivo, più importante di altri problemi. Così si comprende come sia il problema più grave che si è avuto nella storia dell’umanità e quello che segna una frattura tra l’uomo e la società mai accaduta prima. Presto l’umanità se ne vergognerà, come si vergogna della schiavitù o di genocidi ancora a noi tanto vicini.
di Maurizio Crippa


Quelle elette senza onori in quota all’Assoluto, DAVIDE RONDONI
Avvenire, 30 marzo 2008
I eri un importante quotidiano sbeffeggiava un uomo politico e l’assemblea di donne che lo applaudiva perché venivano dipinte come padrone della casa, più intuitive dell’uomo e più capaci di custodire. Volti nuovi o seminuovi di donni sono stati sbandierati dalle forze politiche di ogni colore, magari per un attimo solo. Come spot, come truppe d’assalto, come leader ferree o come tocco gentile. In questa campagna elettorale molte chiacchiere (e pochi fatti) si sono sentite intorno alle donne, alle cosiddette 'quote rosa', espressione linguistica infelice, che ricorda le 'quote latte' e altre cose del genere, pur se afferma un principio di pari opportunità sacrosanto. Insomma, nobili intenzioni, ma anche tanta ipocrisia fatta slogans, da ogni parte.
Allora io voglio girare lo sguardo ad un’altra assemblea di donne.
Un’assemblea non politica. Di donne già elette, in un certo senso. Già scelte. Un’assemblea di gente che con zero onori e poca immagine su giornali e tv sta però offrendo un servizio reale al Paese. Forse più di tante ministre passate o future. Non viaggiano su auto blu, anzi spesso le vedi trotterellare tra il timore degli altri automobilisti, su austere utilitarie, senza autista. Anche a loro, dal momento della elezione cambia spesso la vita. Ma invece di aggiungere un suffisso nel biglietto da visita, che so: 'sen' o 'on', semplicemente, e più radicalmente, cambiano nome. Insomma, dico delle suore italiane, che hanno tenuto un loro convegno. O meglio il convegno delle loro 'cape', delle Superiori di circa 600 congregazioni femminili. Donne di ogni genere, che svolgono mansioni diverse, da quelle invisibili, segrete ma non per questo meno efficaci, a quelle familiari a tanti italiani che le incontrano negli asili, negli ospedali, nelle mense per i poveri e spesso là dove c’è un lavoro che altri non farebbero. Sono donne che si trovano a metter le mani nei luoghi più delicati e feriti della nostra vita. E che alla continua, spesso simpatica ma a volte anche acida e cattiva consuetudine a denigrarle – sui media e anche in campo culturale – oppongono la disponibilità a farsi carico di tanti pesi, e la semplicità della fede.
Le suore italiane sono consapevoli della «crisi delle vocazioni» che però è da leggere insieme alla ripresa di nuove forme di vita consacrata. È una crisi di fede e di speranza. Sono state autorevolmente invitate, con parole quasi poetiche da monsignor Castellani, a non lasciare rovinare l’anima delle loro comunità dalla «brezza dell’ormai», vale a dire da una strana rassegnazione. Nella storia del monachesimo femminile si trovano esempi straordinari di forza, di cultura e di apertura al futuro.
Donne che hanno in molti casi segnato la storia del Paese, o dei luoghi dove si trovavano. E che hanno segnato, soprattutto, la vita di tanta gente che nella loro presenza vedeva, anche senza ammetterlo, la traccia di un destino buono che ama gli uomini.
Non sono in lista, non sono candidate se non a seguire il carisma che li ha conquistate. Non ambiscono a luoghi di potere. Di certo, rispetto a tante altre donne infinitamente replicate sui media, continuamente illustrate dalla fama, ognuna di loro è, se così si potesse dire, più insostituibile. Ormai sono le uniche donne che possono dare vero scandalo. Di fronte alle quali ci si ferma un istante e si dice: 'ma come è possibile…'. E mentre in tante si agitano per farsi notare, loro, nella appena percettibile ma efficace presenza, possono ancora farci sentire lo scandalo e la dolcezza di non sentirci abbandonati dal cielo. E aiutarci a fare l’Italia, facendoci alzare il viso da tutto ciò che sembra importante o definitivo per guardare il fuoco più profondo e desiderato della vita: la gratuità, il vergine, la dedizione.


La Divina Misericordia vocazione della Chiesa Il cardinale Schönborn: «Un grande evento a Roma»Avvenire, 30 marzo 2008
DA ROMA SALVATORE MAZZA
U n grande evento di Chiesa. Sullo stile 'dei Congressi eu­caristici' piuttosto che di un convegno teologico, e non per «pro­porre una specifica forma di devo­zione », ma piuttosto per «sentire le testimonianze di come il mondo vi­ve la misericordia di Dio». Al di fuo­ri della quale, come disse Giovanni Paolo II, inaugurando nel 2002, a Cracovia-Lagiewniki, il santuario della divina misericordia, «non c’è nessun’altra fonte di speranza per gli esseri umani».
È il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, a introdurre con queste parole il il primo Con­gresso apostolico mondiale della mi­sericordia che si svolgerà a Roma dal 2 aprile, terzo anniversario della morte di papa Wojtyla, fino alla do­menica successiva. «Io credo – affer­ma il porporato in questa intervista ad Avvenire – che sia veramente que­sta la chiamata per la Chiesa nel ter­zo millennio».
Quando, e perché, è nata l’idea di questo Congresso dedicato alla Di­vina Misericordia?
È stato il giorno stesso della morte di papa Giovanni Paolo. Il fatto che sia avvenuta proprio alla vigilia della do­menica della misericor­dia è stato un tale segno della provvidenza divi­na che era impossibile da non vedere. È lui che aveva introdotto questa festa nell’anno 2000, è lui che aveva canoniz­zato suor Faustina, e il Signore l’ha richiamato proprio questo giorno.
E poi, devo aggiungere, abbiamo anche pensa­to al messaggio che ci ha lasciato con la sua o­pera. Egli stesso ha det­to che, se si volesse rias­sumere in un concetto il suo pontificato, è pro­prio quello che Dio è ricco di misericordia.
Quanto è sentita, nella Chiesa, questa perce­zione?
Quel che abbiano potu­to sentire e vedere è che, in tutto il mondo, c’è davvero una grande attenzione a questo aspetto della mi­sericordia di Dio, che è tanto forte nel Vangelo. Credo che sia veramen­te questa la chiamata per la fede, e per la Chiesa, nel nuovo millennio. Ed è da tutto questo insieme di cose, alla fine, che è nata l’iniziativa di in­vitare persone, credenti, da tutto il mondo, per un primo Congresso sul­la divina misericordia.
Papa Wojtyla volle che la festività della misericordia cadesse la prima domenica dopo Pasqua. Perché?
Per capirlo dobbiamo chiederci: co­sa significa dire che Dio è misericor­dia? Vuol dire che Dio ci salva dalla nostra miseria, misericordia vuol di­re 'avere a cuore' le miserie, che so­no tante, economiche, di salute, di vita interiore, e la più grande mise­ria umana è quella del peccato, del­l’allontanamento da Dio e da noi stessi. E dunque che cosa ci ha dato Cristo nel suo mistero pasquale, nel­la sua morte e risurrezione? Ci ha da­to Dio che ci salva dalle nostre mise­rie, Dio che è misericordioso. La do­menica dopo Pasqua è la domenica di Tommaso, che ha messo in dubbio che Cristo sia risorto, e dunque ha messo in dubbio che ciò che Gesù ha predicato sia vero. Tommaso ha poi incontrato Gesù, e ha potuto vedere che ciò che Gesù ha detto sulla sal­vezza, sulla misericordia, non è una favola, non è una promessa, ma una realtà, un presente. Ed è proprio per questo, credo, che Gesù ha suscitato in questa povera suora polacca l’ini­ziativa di chiamare la domenica in albis, la domenica dopo Pasqua, 'do­menica della misericordia'.
Prima, a proposito del Congresso, ha parlato di un invito rivolto a tut­to il mondo. Chi sono i promotori, e chi ci sarà?
C’è un comitato di cardinali che s’è riunito, di cui evidentemente fa par­te il cardinale Stanislaw Dziwisz, che è il testimone privilegiato di Gio­vanni Paolo II e poi è l’arcivescovo di Cracovia, dove il Papa ha vissuto fin dalla sua gioventù questo miste­ro della misericordia. Poi c’è anche il cardinale Audrys Backis, di Vilnius, per­ché suor Faustina è sta­ta a Vilnius e qui si tro­va la prima immagine della divina misericor­dia, e poi altri porpo­rati, come il cardinale Camillo Ruini, vicario di Roma, che si è as­sunto gran parte del­l’onere organizzativo. Quanto ai partecipan­ti, sappiamo che ci sa­ranno un gran numero di vescovi, di preti, di religiosi e di laici.
Che cosa vi aspettate da questo Congresso?
L’intenzione primaria è anzitutto di sentire le testimonianze da tutto il mondo su come si vive il mistero della misericordia. Il Congresso, in altre parole, non vuole proporre una specifica forma di devozione, perché tutte le varie forme di devozione per la divina misericordia sono legittime. Neppure è un Convegno teologico, non sono stati invitati specialisti perché sarebbe stata, alla fine, una cosa ristretta. Lo stile è piuttosto quello dei Congressi eucaristici, cioè con Delegati da tutta la Chiesa cattolica del mondo, ma aperto anche a chiunque volesse essere parte di questo momento.


LO SCONTRO IN TIBET
«Non abbiamo potere a parte la giustizia, la verità e la sincerità», ha detto il capo religioso. «Sì al digiuno per esprimere il proprio dissenso». Nuova manifestazione in Nepal: 84 le persone arrestate
Il Dalai Lama: «Per favore, il mondo ci aiuti»
Il governo in esilio: «Riprese le proteste a Lhasa»
Avvenire, 30 marzo 2008
DI LUCA MIELE
L’ ennesimo disperato appello: «Il mondo ci aiuti». Dal suo esilio in India, il Dalai Lama – costretto a fronteggiare la valanga di accuse cinesi, pressato da una “fronda” interna sempre più distante dalle sue posizioni pacifiste, consapevole che per il “suo” Tibet si consuma forse con i Giochi olimpici l’ultima possibilità di sciogliersi dall’abbraccio di Pechino – è costretto a quella che sembra un’ammissione di impotenza: «Non abbiamo potere a parte la giustizia, la verità e la sincerità. Per questo motivo mi rivolgo alla comunità internazionale perché per favore ci aiuti». Ma nelle sue parole – «non posso fare altro che pregare» – è racchiusa al tempo stesso la sua forza e l’irriducibilità di un intero popolo ai dettami dell’Impero di Mezzo.
Un’irriducibilità che può esprimersi con il digiuno, una maniera «efficace» per «esprimere il proprio risentimento in modo non violento, come già fece Gandhi». Un’irriducibilità che ieri è tornata ad “esplodere”: secondo il governo tibetano in esilio, nuove proteste sono divampate nei pressi del monastero di Ramoche e di fronte al tempio di Jokhang. E la Cina? Risponde con un’offensiva diplomatica che suona anche provocatoria. Pechino ha “aperto” Lhasa, la capitale tibetana, ad una delegazione di 15 diplomatici, in rappresentanza tra gli altri di Usa, Francia, Italia, Commissione Europea e Slovenia, l’attuale presidente dell’Unione europea. Quella dei diplomatici ha tutto il sapore di una visita “guidata”. Il suo scopo: mostrare le devastazioni subiti dai cinesi. Nessuna possibilità di incontrare i monaci “ribelli” che pure erano riusciti clamorosamente a rompere l’isolamento e a parlare con i diplomatici in tour. «La visita è un buon primo passo, ma ancora non risponde alla nostra richiesta di un accesso incondizionato», ha detto uno dei diplomatici occidentali, che ha voluto mantenere l’anonimato. «Ovviamente si tratta di una visita minuziosamente pre-organizzata», ha concluso.
Gruppi tibetani in esilio raccontano di una realtà sempre più drammatica. I monasteri sono circondati dalle forze di sicurezza cinesi. I monaci non possono uscire. Il cibo scarseggia, la corrente elettrica sarebbe stata tagliata. Ma non basta: Pechino ha offerto ai parenti delle 18 vittime ufficiali degli scontri di Lhasa di pagare 200mila yuan, pari a circa 18mila euro a titolo di risarcimento. Ma non è difficile immaginare che i risarcimenti andranno solo alle vittime cinesi della rivolta. I feriti nelle manifestazioni del 14 marzo saranno curati gratuitamente negli ospedali. «Ulteriori misure – ha annunciato l’agenzia Nuova Cina – saranno prese anche per aiutare la gente a riparare le case e i negozi danneggiati durante gli sconti o a costruirne di nuove». La posizione di Pechino rimane immutata: la responsabilità degli scontri è da attribuire alla volontà secessionista del Dalai Lama e alla sua «cricca». E mentre in Nepal si è consumata l’ennesima dimostrazione pro-Tibet (conclusasi con l’arresto di 84 manifestanti), la massima autorità spirituale tibetana ha rilanciato l’ennesima offerta al dialogo alla Cina, chiedendo non l’indipendenza ma «una significativa autonomia». E ancora una volta ha parlato di un suo possibile «ritiro» per prepararsi «alla prossima vita». Tra i leader che potrebbero succedergli alla testa della comunità tibetana in esilio ha indicato il Karmapa, il giovane Buddha reincarnato fuggito rocambolescamente dalla Cina nel 2000 e che oggi ha 24 anni. Il bilancio della rivolta tibetana rimane di 20 morti secondo la Cina (19 a Lhasa ed un poliziotto nella provincia del Sichuan) e di circa 140 vittime secondo il governo tibetano in esilio.


«Ue, un aborto ogni 25 secondi» Avvenire, 30 marzo 2008
ROMA. Popolazione, natalità, aborto, spese sociali, povertà, adozione, distruzione del matrimonio sono alcuni dei capitoli del dossier sulla «crisi della famiglia in Europa» diffuso dall’agenzia Fides. Particolarmente allarmante il capitolo dedicato all’aborto. Infatti Fides riferisce che «ogni 25 secondi si consuma un aborto nell’Europa a 27 Paesi, dove ogni giorno vengono chiuse tre scuole per mancanza di bambini. Nel 2004, la cifra di aborti è stata di 1.235.517, pari a una media di 3,385 al giorno. Sono state abortite il 19,4 % delle gravidanze, un nascituro su cinque. La Spagna è il paese nel quale è aumentato di più il numero di aborti negli ultimi dieci anni, con un incremento del 75%, seguita dal Belgio, con il 50% e dall’Olanda, con il 45%». Se non bastassero i numeri assoluti e le percentuali, viene ricordato che «l’aborto è la prima causa di mortalità in Europa e ha fatto più vittime delle malattie di cuore, delle malattie cardiovascolari, degli incidenti stradali, droga, alcool, suicidi. Il numero degli aborti è anche superiore del numero dei decessi per malattia». Eppure la legislazione pro aborto continua a diffondersi: «Con la decisione del Portogallo dell’aprile 2007, di rendere possibile l’aborto entro la decima settimana di gravidanza, sono solo tre i Paesi europei dove l’aborto è tuttora illegale: Irlanda, Malta e Polonia». Le cose non vanno meglio sul piano delle istituzioni europee, che continuano a promuovere e favorire l’aborto, considerato un «diritto europeo»: «È stata una risoluzione approvata dal Parlamento europeo nel 2002 sui “diritti sessuali e riproduttivi” – ricorda Fides – a sancire che ”l’interruzione di gravidanza deve essere legale, sicura e accessibile a tutti”, chiedendo ai governi di “astenersi in qualunque caso dal perseguire le donne che si sono sottoposte ad aborto illegale”, sollecitando la distribuzione di contraccettivi e servizi per la salute sessuale “a titolo gratuito o a un costo molto basso per i gruppi meno abbienti”, pronunciandosi per un accesso ai metodi contraccettivi d’emergenza come la pillola del giorno dopo “a prezzi accessibili”, garantendo educazione sessuale e disponibilità di contraccettivi anche ai bambini, senza il consenso dei genitori».


«Don Benzi è stato unico Adesso però tocca a noi» DAL NOSTRO INVIATO IN EMILIA ROMAGNA
PINO CIOCIOLA
Avvenire, 30.3.2008
Mani sporche di dolori e sofferenze, le loro.
Difficile scoprirsele diverse se si sceglie di non restare affacciati da una finestra a guardare chi soffre. Ed è quasi un paradosso quel che è successo: la gente dell’Associazione Papa Giovanni XXIII si è rimboccata le maniche dopo la morte di don Oreste Benzi. «Tutti ci siamo sentiti ancor più responsabilizzati. Cerchiamo di andare avanti come prima e più di prima nell’impegno e nella radicalità della scelta», dice Giovanni Paolo Ramonda, successore del 'don' alla guida dell’Associazione. Nelle loro case famiglia i dolori e le sofferenze vi entrano realmente. Come quelli di Liliana, «sfruttata per 10 anni in Romania da alcuni zingari, poi venduta ad altri zingari», che ha partorito due bimbi «a loro volta venduti a zingari», che si è ammalata di tubercolosi e anche così veniva costretta ad andare sul marciapiede. Come quelli di Iona, abbandonata in ospedale dalla mamma a 1 anno e 8 mesi, cresciuta dalla nonna e poi in istituto, con un padre che quando aveva 5 anni voleva approfittare di lei, rapita da sei uomini, stuprata a ripetizione e poi costretta a battere, che partorisce due volte e due volte i suoi
magnaccia la costringono ad abbandonare i suoi bimbi in strada. Come i dolori e le sofferenze di Dorina, nata nell’Europa dell’est: 15 anni, forse 16, magra, bella e biondissima, occhi azzurri.
Caricata su un furgone all’uscita dalla scuola e poi tre anni in Italia fatti di botte, marciapiedi e sesso animale sul sedile reclinato di una macchina.
«Pensavo alla mamma, volevo morire». Una sera si ferma un’auto come mille altre ogni notte, ma stavolta qualcuno ne scende anziché contrattare dal finestrino abbassato per far salire lei. Un uomo che indossa una tonaca vecchia e consumata ed ha un gran sorriso. «Vuoi venire via con noi? Ti aiuteremo». Lei ribatte: «Ma mi ammazzeranno». E lui, ancora: «Non aver paura, vieni via con noi». Dorina scappa dalla strada e dalla luce tetra dei fanali che le si avvicinano, denuncia i suoi carcerieri, entra in una casa famiglia dell’Associazione «dove resterò tutto il tempo di cui ci sarà bisogno». Telefona alla mamma, le dice tutto, la mamma piange e piange anche Dorina, che ora ha un sogno: «Avere un lavoro qui in Italia e andare a trovare la mamma». L’Associazione è già in venticinque Paesi del mondo, ma presto diventeranno di più: «Abbiamo richieste per aprire case famiglia dall’Argentina e dal Ciad, dall’Uruguay e dal Ruanda», spiega Ramonda. E il futuro dell’Associazione secondo lui? «È nei giovani e in coloro che sentono dentro la freschezza del Vangelo per il bene della società e a partire dagli ultimi. Il tempo di don Oreste è stato unico ed è insostituibile, adesso tocca a noi». Ed il futuro è in parte anche nelle offerte sul conto corrente postale n. 12148417 intestato ad 'Associazione Papa Giovanni XXIII' (magari scrivendo nella causale « Sostegno accoglienza »).
Perché servono anche i soldi per strappare alla tragedia ragazze come Liliana, Iona, Dorina o Adelina, che ha vent’anni ed è albanese: «Non sono nata per prostituirmi, né per lasciarmi spegnere le sigarette sul petto e neanche per contrattare sul marciapiede venti minuti di sesso». Bisogna non avere paura per liberare queste ragazze (bambine, spesso) e salvarle poi da vendette e ritorsioni, eppure l’Associazione c’è già riuscita con 6/7mila di loro solo in Italia.
Come pure ha già accolto migliaia di ragazzi tossicodipendenti portandoli via alla droga, piccoli e grandi con disabilità fisiche e mentali, senza fissa dimora.
Combattendo poi anche e con ogni mezzo le sette sataniche.
Cercando intanto di testimoniare e raccontare quanta bontà esista e di quanta bontà chiunque possa essere capace: «Non si può vincere il male denunciando solo il bene che manca, ma facendo conoscere il bene che c’è», diceva don Benzi. Che andava, di persona, da chiunque avesse bisogno. Ad abbracciarlo, se necessario. Perché non si sentisse solo, mai. Su una lavagna dell’ufficio che è il cuore dell’Associazione, a Rimini, rimane ancora oggi una scritta col pennarello. Forse perché nessuno troverà mai il coraggio per cancellarla o forse perché è giusto lasciarla per sempre lì e ricordare: «Se chiamano donne e uomini che chiedono di uscire dalla strada dire che don Oreste lo vuole aiutare e dare il numero del telefonino di don Oreste».
I «suoi» ragazzi: «Ora ci sentiamo ancor più responsabilizzati». Il futuro dell’Associazione «è nei giovani che sentono la freschezza del Vangelo a partire da chi soffre»