Nella rassegna stampa di oggi:
1) Elezioni 2008. "Il senso religioso, le opere, il potere"
2) La Via Crucis dell'arcivescovo di Mossul dei Caldei
3) «Educazione al centro del nostro impegno»
4) Svizzera: eutanasia con il gas
5) Scola: la tecnoscienza soffoca la «ratio»
Elezioni 2008. "Il senso religioso, le opere, il potere"
Curatore: Buggio, Nerella
domenica 16 marzo 2008
Riportiamo di seguito il testo dell’intervento di don Luigi Giussani all’assemblea della DC lombarda, 6 febbraio 1987 - Assago.
Perché è un richiamo oggi più che mai attuale, ad una politica a servizio del bene comune.
Il senso religioso, le opere, il potere
La politica, in quanto forma più compiuta di cultura, non può che trattenere come preoccupazione fondamentale l'uomo. Nel discorso all'Unesco (2 giugno 1980), Giovanni Paolo II ha detto: «La cultura si situa sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che è l'uomo».
1.
Ora, la cosa più interessante è che l'uomo è uno nella realtà del suo io. Ancora in quel discorso il Papa dice: «Occorre sempre, nella cultura, considerare l'uomo integrale, l'uomo tutto intero, in tutta la verità della sua soggettività spirituale e corporale. Occorre non sovrapporre alla cultura - sistema autenticamente umano, sintesi splendida dello spirito e del corpo - delle divisioni e delle opposizioni preconcette».
Che cosa determina, cioè dà forma a questa unità dell'uomo, dell'io? È quell'elemento dinamico che attraverso le domande, le esigenze fondamentali in cui si esprime, guida l'espressione personale e sociale dell'uomo. Brevemente chiamo senso religioso questo elemento dinamico che, attraverso le domande fondamentali, guida l'espressione personale e sociale dell'uomo; la forma della unità dell'uomo è il senso religioso.
Questo fattore fondamentale si esprime nell'uomo attraverso domande, istanze, sollecitazioni personali e sociali. Il XVII capitolo degli Atti degli Apostoli presenta S. Paolo che spiega la grande ed inarrestabile migrazione dei popoli come ricerca del Dio.
Il senso religioso appare, così, la radice da cui scaturiscono i valori. Un valore, ultimamente, è quella prospettiva del rapporto tra il contingente e la totalità, l'assoluto. La responsabilità dell'uomo, attraverso tutti i tipi di sollecitazioni che gli provengono dall'impatto con il reale, si impegna nella risposta a quelle domande che il senso religioso (o il «cuore», direbbe la Bibbia) esprime.
2.
Nel gioco di questa responsabilità di fronte ai valori, l'uomo ha a che fare con il potere. Intendo per potere quello che nel suo libro - così intitolato - Romano Guardini definiva come delineazione dello scopo comune e organizzazione delle cose per il suo raggiungimento.
Ora, o il potere è determinato dalla volontà di servire la creatura di Dio nel suo dinamico evolversi, servire cioè l'uomo, la cultura e la prassi che ne deriva, oppure il potere tende a ridurre la realtà umana al proprio scopo; e così uno Stato sorgenti; di tutti i diritti riconduce l'uomo a pezzo di materia o cittadino anonimo della città terrena, così come ne parla la Gaudium et Spes.
3.
Se il potere mira solo al suo scopo, esso deve cercare di governare i desideri dell'uomo. Il desiderio, infatti, è l'emblema della libertà perché apre all'orizzonte della categoria della possibilità; mentre il problema del potere inteso come ho accennato è quello di assicurarsi il massimo di consenso da una massa sempre più determinata nelle sue esigenze.
Così i desideri dell'uomo, e quindi i valori, sono essenzialmente ridotti. Una riduzione dei desideri dell'uomo, delle sue esigenze e, quindi, dei valori, viene perseguita sistematicamente.
I mass-media e la scolarizzazione diventano strumenti per l'induzione accanita di determinati desideri e per l'obliterazione o l'estromissione di altri. Nell'enciclica Dives in Misericordia, il Papa nota: «Questa è la tragedia del nostro tempo: la perdita della libertà di coscienza da parte di interi popoli ottenuta con l'uso cinico dei mezzi di comunicazione sociale da parte di chi detiene il potere».
4.
Il panorama della vita sociale diventa sempre più uniforme, grigio (pensiamo alla «grande omologazione» di cui parlava Pasolini), così che viene da descrivere la situazione con la formula che gioco qualche volta con i giovani: bisogna stare attenti che P (potere) non sia in proporzione diretta con I (impotenza), perché allora il potere diventerebbe pre-potenza di fronte ad un'impotenza perseguita, appunto, con la riduzione sistematica dei desideri, delle esigenze e dei valori.
Un brano dell'intervista concessa a L'altra Europa dal grande scrittore Vaclav Beloradskij (scrittore cecoslovacco, attualmente docente all'Università di Genova, autore de il mondo della vita: un problema politico, ed. Jaca Book) dice: «Tradizione europea significa non poter mai vivere al di là della coscienza riducendola ad un apparato anonimo come la legge o lo Stato. Questa fermezza della coscienza è una eredità della tradizione greca cristiana e borghese.
L'irriducibilità della coscienza alle istituzioni è minacciata nell'epoca dei mezzi di comunicazione di massa degli Stati totalitari e della generale computerizzazione della società. Infatti è molto facile per noi riuscire a immaginare istituzioni organizzate così perfettamente da imporre come legittima ogni loro azione (abbiamo avuto tragiche esperienze nella storia italiana degli ultimi dodici anni, ndr.).
Basta disporre di una efficiente organizzazione per legittimare qualunque cosa. Così potremmo sintetizzare l'essenza di ciò che ci minaccia: gli stati si programmano i cittadini, le industrie, i consumatori, le case editrici, i lettori, ecc. Tutta la società un po' alla volta diviene qualcosa che lo Stato si produce».
Nell'appiattimento del desiderio ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli adulti; e nella astenia generale l'alternativa qual'è? Un volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza genialità e senza spazio o un moralismo d'appoggio allo Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso umano.
5
Una cultura della responsabilità deve mantenere vivo quel desiderio originale dell'uomo da cui scaturiscono desideri e valori, il rapporto con l'infinito che rende la persona soggetto vero e attivo della storia. Una cultura della responsabilità non può non partire dal senso religioso. Tale partenza porta gli uomini a mettersi insieme.È impossibile che la partenza dal senso religioso non spinga gli uomini a mettersi insieme. E non nella provvisorietà di un tornaconto, ma sostanzialmente; a mettersi insieme nella società secondo una interezza e una libertà sorprendenti (la Chiesa ne è il caso più esemplare), così che l'insorgere di movimenti è segno di vivezza, di responsabilità e di cultura, che rendono dinamico tutto l'assetto sociale.
Occorre osservare che tali movimenti sono incapaci di rimanere nell'astratto. Nonostante l'inerzia o la mancanza di intelligenza di chi li rappresenta o di chi vi partecipa, i movimenti non riescono a rimanere nell'astratto, ma tendono a mostrare la loro verità attraverso l'affronto dei bisogni in cui si incarnano i desideri, immaginando e creando strutture operative capillari e tempestive che chiamiamo opere, «forme di vita nuova per l'uomo», come disse Giovanni Paolo II al Meeting di Rimini nel 1982, rilanciando la dottrina sociale della Chiesa. Le opere costituiscono vero apporto a una novità del tessuto e del volto sociale.
Le caratteristiche di opere generate da una responsabilità autentica devono essere: realismo e prudenza. Il realismo è connesso con l'importanza del fatto che il fondamento della verità è l'adeguazione dell'intelletto alla realtà; mentre laprudenza che nella Summa di San Tommaso è definita come un retto criterio nelle cose che si fanno, si misura sulla verità della cosa prima che sulla moralità, sull'aspetto etico di bontà. L'opera, proprio per questa necessità di realismo e prudenza, diventa segno di immaginazione, di sacrificio e di apertura.
Qualche conclusione. Un partito che soffocasse, che non favorisse o non difendesse questa ricca creatività sociale contribuirebbe a creare o a mantenere uno Stato prepotente sulla società. Tale Stato si ridurrebbe ad essere funzionale solo ai programmi di chi fosse al potere e la responsabilità sarebbe evocata semplicemente per suscitare consenso a cose già programmate; perfino la moralità sarebbe concepita e conclamata in funzione dello status quo.
Pasolini diceva amaramente che uno Stato di potere, così come tante volte ne abbiamo oggi, è immodificabile; lascia, al massimo, spazio all'utopia perché non dura o alla nostalgia individuale perché è impotente. Politica vera, al contrario, è quella che difende una novità di vita presente, capace di modificare anche l'assetto del potere.
Così concludo dicendo che la politica deve decidere se favorire la società esclusivamente come strumento, manipolazione di uno Stato e del suo potere oppure favorire uno Stato che sia veramente laico, cioè al servizio della vita sociale secondo il concetto tomistico di bene comune, ripreso vigorosamente dal grande e dimenticato magistero di Leone XIII.
Ho fatto quest'ultima osservazione pur ovvia a tutti per ricordare che è un cammino nient'affatto facile ma duro, come del resto il cammino di ogni verità nella vita. Ma bisogna non aver paura, anche qui, di quello che diceva il Santo Evangelo: chi si tiene strette le sue cose, la sua vita, le perderà e chi darà in nome mio la sua vita la guadagnerà.
La Via Crucis dell'arcivescovo di Mossul dei Caldei
Paulos Faraj Rahho è l'ultima delle vittime cristiane in Iraq. Il dialogo tra la Chiesa cattolica e l'islam ha come sfondo anche il suo martirio. Il cardinale Jean-Louis Tauran commenta i suoi recenti incontri con rappresentanti musulmani
di Sandro Magister
ROMA, 19 marzo 2008 – Al termine della messa della domenica delle palme con il canto del Vangelo della Passione, in piazza San Pietro, Benedetto XVI ha ricordato l'ultimo martire cristiano in Iraq, l'arcivescovo di Mossul dei Caldei, Paulos Faraj Rahho (nella foto), sequestrato il 29 febbraio all'uscita dalla chiesa dello Spirito Santo, dove aveva celebrato una Via Crucis, e poi barbaramente fatto morire.
Con ancor più commozione il papa ha ricordato l'uccisione dell'arcivescovo iracheno celebrando per lui la messa, la mattina di lunedì 17 marzo, nella cappella Redemptoris Mater:
"Ha preso la sua croce e ha seguito il Signore Gesù fino all’agonia e alla morte. E così, come il Servo del Signore, ha contribuito a 'portare il diritto' nel suo martoriato paese e nel mondo intero, rendendo testimonianza alla verità".
Si è calcolato che in Iraq, nell'ultimo anno, siano 47 i cristiani uccisi, dei quali 13 a Mossul.
Anche molti musulmani iracheni si sono uniti al compianto per l'arcivescovo Rahho, che era persona largamente stimata, promotore di iniziative congiunte tra cristiani e islamici, come la “Fraternità della carità e gioia” per l’assistenza ai portatori di handicap. Dalla città santa degli sciiti, Karbala, il grande ayatollah Ali al-Sistani ha reclamato la cattura dei colpevoli, unanimemente indicati in al Qaeda e nei gruppi dell'islamismo radicale.
Sta di fatto che i cristiani dell'Iraq e di altri paesi musulmani, sempre più accerchiati e aggrediti, "rischiano di scomparire", ha denunciato il 15 marzo il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della congregazione per le Chiese orientali. Chi non emigra e resiste, in alcuni luoghi letteralmente rischia la vita.
È su questo sfondo drammatico che procede il dialogo tra la Chiesa cattolica e l'islam, di cui è stato un passo importante l'incontro svoltosi a Roma il 4 e 5 marzo tra il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e una delegazione dei 138 saggi musulmani firmatari della lettera aperta "A Common Word" indirizzata al papa e ad altri leader cristiani.
Come www.chiesa aveva anticipato, la delegazione musulmana era composta da
Abd al-Hakim Murad Winter, inglese, direttore del Muslim Academic Trust del Regno Unito; Aref Ali Nayed, libico, direttore del Royal Islamic Strategic Studies Center di Amman in Giordania; Ibrahim Kalin, turco, direttore della fondazione SETA di Ankara; Yahya Pallavicini, italiano, vicepresidente della Comunità Religiosa Islamica d'Italia; Sohail Nakhooda, giordano, direttore di "Islamica Magazine".
Per la Chiesa cattolica i partecipanti all'incontro erano il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso; l'arcivescovo Pier Luigi Celata, segretario dello stesso organismo; monsignor Khaled Akasheh capoufficio per l'islam; padre Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica; padre Christian Troll, professore di islamologia alla Pontificia Università Gragoriana.
In un comunicato congiunto sottoscritto dal cardinale Tauran e dal professor Murad, le due delegazioni hanno annunciato la creazione di un "Forum cattolico-musulmano" che promuoverà incontri a scadenza annuale, alternativamente a Roma e in altre città.
Il primo appuntamento del Forum sarà a Roma dal 4 al 6 novembre 2008. Vi parteciperanno ventiquattro religiosi e studiosi di entrambe le religioni. Il tema sarà "Amore di Dio, amore del prossimo", articolato in due sottotemi: il primo giorno "Fondamenti teologici e spirituali"; il secondo giorno "Dignitià umana e rispetto reciproco". Il terzo giorno il seminario si concluderà con una sessione pubblica. I partecipanti saranno ricevuti da Benedetto XVI.
Più sotto, in un'intervista riportata in questa pagina, il cardinale Tauran commenta l'andamento dell'incontro.
Ma gli sviluppi della lettera dei 138 sono solo un capitolo dell'agenda tra la Chiesa cattolica e l'islam.
Il 25 e 26 febbraio, ad esempio, il cardinale Tauran ha preso parte al Cairo a un incontro del comitato misto per il dialogo tra la Santa Sede e al-Azhar, istituzione teologica di riferimento per l'islam sunnita.
Incontri di questo tipo si svolgono annualmente da dieci anni nell'ultima settimana di febbraio. L'anno venturo l'incontro si terrà a Roma. Questa volta il tema era "Fede in Dio e amore del prossimo come fondamenti del dialogo interreligioso", con contributi del padre René-Vincent de Grandlaunay e del professor Abdallah Mabrouk al-Naggar.
Nel comunicato finale dell'incontro – che porta le firme del cardinale Tauran e dello sceicco Abd al-Fattah Muhammad Alaam, presidente della commissione permanente di al-Azhar per il dialogo con le religioni monoteiste – si ribadisce il "rispetto per la persona umana indipendentemente dalla razza, dalla religione o dalle idee" e si auspica un rafforzamento del "rispetto per le religioni, i credi, i simboli religiosi, i sacri libri e qualsiasi cosa sia considerata sacra".
Ma non ci si è limitati a riaffermare dei principi. Durante l'incontro, quando degli esponenti musulmani hanno insistito sul fatto che, secondo il Corano, in materia di religione non c'è costrizione, Tauran ha fatto notare che vi sono però dei paesi in cui questo principio non viene applicato e i cristiani non hanno nemmeno la possibilità di avere una chiesa per praticare il loro culto. Da parte musulmana hanno riconosciuto che si tratta di un problema reale, che va risolto.
È quanto è accaduto a Doha, nel Qatar, lo scorso 16 marzo, con l'inaugurazione di una nuova chiesa cattolica, la prima dopo 14 secoli di assenza di ogni edificio cristiano in quel paese del Golfo. Alla messa sono accorsi in 6 mila, quasi tutti immigrati, specie dall'India e dalle Filippine. Il rito è stato celebrato in inglese, ma sono state pronunciate preghiere anche in arabo, urdu, indi, tagalog, spagnolo e francese,
Nel 2002 il governo del Qatar ha stretto relazioni diplomatiche con la Santa Sede e tre anni dopo l’emiro Hamad bin Khalifa Al Thani ha donato alla Chiesa cattolica un terreno per la costruzione di un edificio di culto. L'emiro ha promesso che farà costruire altri edifici di culto per anglicani, copti, ortodossi e induisti.
La consacrazione della nuova chiesa a Doha è stata officiata dal cardinale Ivan Dias, indiano, prefetto della congregazione vaticana per l'evangelizzazione dei popoli. Il nunzio pontificio in Kuwait, Bahrein, Yemen e Qatar. Paul Mounged el-Hachem, presente al rito, ha auspicato che anche l'Arabia Saudita e l'Oman possano presto stabilire rapporti diplomatici con la Santa Sede. E che anche in questi paesi possano essere edificate chiese cristiane.
Un altro segnale incoraggiante per i rapporti tra la Chiesa cattolica e l'islam è venuto dall'Azerbaigian, dove il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone si è recato tra il 7 e il 9 marzo.
L'Azerbaigian è un paese la cui popolazione è nella quasi totalità musulmana sciita. I cattolici sono meno di 400, quasi tutti nella capitale Baku, sul Mar Caspio. Ma Bertone ha fatto notare – in un'intervista a "L'Osservatore Romano" al ritorno dal viaggio – che lì vige "una tolleranza positiva che aiuta le altre religioni ad esprimersi anche pubblicamente", al punto da offrire ad altri paesi "un modello imitabile" di pacifica convivenza.
Ne è una conferma, ha detto Bertone, la stima che il capo dei musulmani dell'Azerbaigian e del Caucaso, Sheik ul-Islam Allah Shukur Pasha Zade, manifesta pubblicamente verso la Chiesa cattolica e il papa.
Da altri paesi musulmani giungono tuttavia segnali opposti.
In Algeria è stata emanata nel 2006 una nuova legge che limita fortemente l’esercizio della libertà religiosa e consente preghiere comuni esclusivamente negli edifici ufficialmente autorizzati dallo stato. Lo scorso febbraio un prete cattolico, Pierre Wallez, è stato condannato a un anno di prigione per aver incontrato nella baraccopoli di Maghnia dei cristiani immigrati dal Camerun ed aver pregato con loro.
Ecco dunque qui di seguito l'intervista del cardinale Tauran al quotidiano "Avvenire" del 13 marzo 2008, raccolta da Gianni Cardinale.
Là dove l'intervista fa cenno a un "pensatore islamico che scriverà prossimamente su L'Osservatore Romano", l'allusione è a Khaled Fouad Allam, di cui www.chiesa ha pubblicato vari scritti. L'inizio della sua collaborazione al giornale del papa è previsto dopo l'estate.
"Dialogo senza tabù. Anche sulla libertà religiosa"
Intervista con il cardinale Jean-Louis Tauran
"Indubbiamente è stato un dialogo che si è svolto in un clima di franchezza, di grande cordialità, di ascolto benevolo, che fa ben sperare per il futuro...".
Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, si dice soddisfatto del primo incontro incontro avuto il 4 e 5 marzo a Roma con una delegazione dei firmatari dell’ormai celebre lettera aperta "A common word" sottoscritta originariamente da 138 saggi islamici.
D. – Eminenza, nel linguaggio diplomatico che lei ben conosce, dire che un dialogo è stato "franco" significa che si è trattato di un confronto vero, dialettico...
R. – Il dialogo si fa tra chi la pensa in modo diverso, o no? Comunque i toni sono stati sempre civili e cordiali.
D. – In questo primo appuntamento è stato preso l’impegno di creare un Catholic-muslim Forum. Quali saranno i criteri per designare i partecipanti?
R. – Da parte nostra sceglieremo personalità ecclesiastiche e accademiche che hanno una conoscenza diretta, e anche maturata sul campo, dell’islam e dei musulmani.
D. – Qual è il livello di rappresentatività del mondo musulmano degli interlocutori incontrati nei giorno scorsi?
R. – Sono personalità qualificate e ben rappresentative dei firmatari della lettera "A common word", i quali, a loro volta, rappresentano una fetta importante, anche se non esaustiva, dell’intellighenzia islamica.
D. – La creazione di questo Catholicmuslim Forum sostituisce le altre forme di dialogo con altre realtà organizzate del mondo musulmano già in atto da tempo?
R. – Non vorrei che si dia l’impressione che il dialogo islamo-cristiano sia iniziato con la lettera dei 138, né che si esaurisca con esso. Non è così. È da dopo il Concilio Vaticano II che c’è questo dialogo istituzionalizzato, che si articola anche con dei colloqui regolari con altre realtà islamiche. Due settimane fa, ad esempio, sono stato in Egitto ad al-Azhar, la più autorevole istituzione islamica sunnita. A fine marzo qui a Roma avremo un incontro con la World Islamic Call Society della Libia. In aprile avrà luogo sempre qui a Roma un colloquio con rappresentanti iraniani. E a maggio saremo ad Amman, per un incontro con il Royal Institute for Inter-Faith Studies.
D. – Lei è stato criticato per aver sostenuto che un dialogo teologico sia impossibile tra cristiani e musulmani. Queste critiche le hanno fatto cambiare idea?
R. – Faccio notare che il primo dei due sottotemi che verranno discussi nel primo seminario su "Amore di Dio, amore del prossimo" del Catholic-muslim Forum che si terrà a novembre qui a Roma sarà dedicato proprio ai "Fondamenti teologici e spirituali" di questo amore. Nessuna preclusione quindi.
D. – Ha notato tra gli interlocutori islamici una intenzione seria di discutere anche temi riguardanti la libertà religiosa, compresa la libertà di cambiare religione?
R. – Anche in questo caso faccio notare che il secondo sottotema del prossimo incontro di novembre sarà "La dignità umana e il rispetto reciproco". E mi sembra ovvio che la libertà religiosa, compresa la libertà di cambiare religione, faccia parte della dignità umana. Ma, anche se le sensibiltà su questo punto sono ancora diverse, mi sembra importante che nessun tema rimanga tabù, in un dialogo aperto e rispettoso dell’altro. Speriamo con frutto e con ricadute pratiche.
D. – Come valuta l’inaugurazione di una chiesa, la prima, in Qatar?
R. – È un gran bel segnale. Un gesto di rispetto da parte dell’emiro di questo stato del Golfo, che ha già manifestato la sua buona predisposizione verso i cristiani e i cattolici in particolare, anche allacciando i rapporti diplomatici con la Santa Sede. Il suo è anche un esempio da seguire per quei paesi che ancora non permettono ai cristiani, e ad altri credenti, di poter avere un proprio luogo di culto. Anche se sono centinaia di migliaia.
D. – Si riferisce all’Arabia Saudita?
R. – "Intelligenti pauca". I diritti umani, nella loro totalità, sono per tutti, dappertutto.
D. – Recentemente in Olanda è esploso il caso di un film che paragona il Corano al "Mein Kampf" di Hitler. Cosa pensa a riguardo di ciò?
R. – Non ho visto il film. Ma se vien fatto questo paragone, lo giudico un paragone di grande volgarità. Un conto è poter valutare in maniera razionale, obiettiva e critica alcuni aspetti di una religione o alcune dichiarazioni di esponenti di questa religione, il che è ovviamente ammissibile. Un conto però è offendere e irridere la sensibilità religiosa di un popolo con accuse generali o che toccano gli aspetti più sacri di una religione. Questo è inammissibile. Lo abbiamo ribadito anche nel comunicato finale rilasciato dopo l’incontro avuto a al-Azhar, dove è stato citato quanto detto da papa Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Marocco nel 2006, e cioè: '"Al fine di favorire la pace e la comprensione tra i popoli e gli esseri umani, è necessario che le loro religioni e i simboli siano rispettati, e che i credenti non siano oggetto di provocazioni che causano danno al loro impegno e ai loro sentimenti religiosi".
D. – Nella conferenza stampa seguita agli incontri del 4 e 5 marzo uno dei partecipanti di parte islamica ha criticato di nuovo il discorso del papa a Ratisbona.
R. – Ma questa nuova fase del colloquio con i musulmani è dovuta proprio al discorso di Ratisbona! Non tutti i musulmani hanno recepito il discorso del papa a Ratisbona in maniera negativa. Il rapporto tra fede e ragione sarà prossimamente oggetto di approfondimento con alcuni partner musulmani del nostro dicastero. Poi Benedetto XVI ha spiegato molto bene quale fosse una corretta interpretazione di quel discorso. Durante l’incontro di al-Azhar, per dare un esempio, nessuno vi ha fatto il minimo cenno.
D. – Quale può essere l'effetto di questa nuova fase del dialogo islamo- cristiano per le comunità cristiane del Medio Oriente?
R. – Il problema è quello di sapere se questo nuovo clima di dialogo passerà dal livello teorico-intellettuale a quello pratico, se cioè avrà delle ricadute sul piano sociale e politico. Spero che ciò sarà un impegno comune.
D. – Cosa pensa della notizia che un pensatore islamico scriverà prossimamente su "L'Osservatore Romano"?
R. – Mi sembra di aver capito che l’ipotesi potrebbe essere realtà tra pochi mesi. Ciò farebbe onore a "L'Osservatore Romano" e allo scrittore che accetterebbe di far comparire la sua firma sul quotidiano della Santa Sede. E sarebbe anche uno stimolo, un invito alla reciprocità, in modo tale che anche autori cristiani possano scrivere per pubblicazioni islamiche.
D. – A proposito del principio della reciprocità. Ne avete discusso con i rappresentanti dei 138?
R. – Certamente. Ne abbiamo parlato anche nel corso dell’incontro avuto in Egitto ad al-Azhar. Abbiamo fatto presente che finora questo principio, nonostante alcune frasi del Corano che ne giustificherebbero l’applicazione, non viene sempre rispettato nei fatti. Speriamo bene per il futuro.
«Educazione al centro del nostro impegno»DA ROMA MIMMO MUOLO
Avvenire, 19 marzo 2008
Non dimenticare la scuola e la questione educativa più in generale. Una questione che rientra a pieno titolo tra «quei valori fondamentali che costituiscono punti di riferimento irrinunciabili» e che sono stati sottolineati ieri da monsignor Giuseppe Betori, nella conferenza stampa in cui il segretario generale della Cei ha presentato ai giornalisti il comunicato finale dei lavori del Consiglio permanente svoltosi la settimana scorsa (che pubblichiamo alle pagine 24 e 25). I vescovi italiani, ha riferito il presule, sono sempre più convinti che l’educazione sia un tema centrale per il futuro della Chiesa e della stessa società. Al punto che stanno pensando di farne l’argomento principale degli Orientamenti pastorali per il prossimo decennio. Al momento si tratta solo di un’ipotesi, ha precisato Betori, «poiché la decisione finale spetta all’Assemblea generale», ma le sue parole fanno comprendere quanto la problematica stia a cuore alla comunità ecclesiale.
Invece, ha fatto notare il vescovo, rispondendo ad una specifica domanda e precisando di esprimersi in questo caso a titolo personale, «l’assenza del tema della scuola, e in genere di tutto la questione della formazione, nel dibattito preelettorale è uno degli aspetti più preoccupanti dello scadimento di un certo confronto politico». Betori ha anche tenuto a sottolineare il servizio offerto dalla Chiesa alla scuola italiana attraverso l’Irc. L’auspicio, dunque, è che l’Irc «si inserisca sempre più nella scuola, interagendo con tutte le altre discipline». Il vescovo si è anche augurato che «si rafforzi la presenza da cattolici nella scuola pubblica», attraverso le «diverse forme aggregative», al fine di «condividere con tutti la visione di un’antropologia, come quella cri- stiana, razionalmente fondata»; e infine che si possa attuare «la ricerca di uno spazio specifico per le scuole di ispirazione cristiana» in un’ottica di «pluralismo educativo». Tutto ciò, ha puntualizzato, «non per frantumare la scuola pubblica », ma per una scuola «offerta, da cattolici, a tutti».
Tra i valori irrinunciabili vi sono naturalmente anche la difesa della vita e la promozione della famiglia, temi che hanno trovato ampio spazio nel botta e risposta con i giornalisti. Proprio in risposta ad una esplicita domanda il segretario della Cei ha fatto notare: «Il no netto all’aborto non è un fatto nuovo, ma da sempre ha fatto la differenza, per i cristiani, rispetto alla società. Questo no è stato vissuto diversamente nei secoli fino alle cosiddette 'ruote', che erano un modo per aiutare le donne e che forse potrebbero esprimere, con gli opportuni cambiamenti, anche oggi la loro utilità». Ad ogni modo «il problema dell’aborto non può essere risolto solo in chiave sociale: tutto può convergere per affermare il principio della tutela della vita, e tutto può essere d’aiuto per pronunciare il rifiuto di questo male». Riferendosi poi al modo in cui alcuni media hanno interpretato recenti tragiche vicende di cronaca legate al problema, Betori ha commentato: «Mi ha fatto molto male leggere che alcuni pensano di attribuire al no all’aborto certi comportamenti, che sono invece proprio l’esito di una mentalità abortista senza confini. Infatti è questa mentalità a ritenere che le modalità della legge possano essere travalicate».
Numerosi anche i quesiti sul voto ormai sempre più vicino. Specie in merito alle scelte dei cattolici. A tal proposito, il segretario generale della Cei, dopo aver ribadito la volontà della Chiesa di non coinvolgersi in scelte di schieramento o di partito, ha aggiunto: «I vescovi non vogliono e non possono esprimere pareri sulle indicazioni di voto da parte degli elettori che si dicono cattolici, riportate nei sondaggi dei giorni scorsi. A tutti però ricordano e intendono richiamare i valori fondamentali che costituiscono dei punti di riferimento irrinunciabili». E auspicano, inoltre, «che i cattolici presenti nei vari schieramenti sappiano testimoniare con coerenza i valori che li animano».
Betori ha poi colto l’occasione per correggere l’erronea interpretazione di un passaggio della prolusione del cardinale Bagnasco. «Il presidente della Cei – ha detto – non ha mai parlato di larghe intese. Nelle sue intenzioni c’era invece l’auspicio che ciascuno, secondo il ruolo che gli verrà assegnato dagli elettori, collabori alla costruzione del bene comune». Un bene che deve necessariamente tener conto dei problemi veri della gente. «Se una urgenza immediata può essere il cosiddetto 'problema della spesa'– ha ricordato Betori – è chiaro che questi temi vanno proiettati su un orizzonte più vasto».
Infine il vescovo ha risposto ad alcune domande specifiche. Sistema elettorale: «Auspico che il prossimo Parlamento attui al più presto una riforma per ridare il reale potere di scelta ai cittadini », così che si possano «collegare i programmi con l’indicazione delle persone chiamate ad attuarli». Tibet: «Lasciamo al Santo Padre il modo e i tempi con cui intervenire in una situazione estremamente delicata in cui non può essere la comunicazione a dettare la logica del bene per il Tibet». Candidatura di Cuffaro: «Questione sulla quale non abbiamo competenza a esprimerci». Da ultimo, in merito a un sondaggio di opinione sugli scout e i temi della morale: «La proposta educativa degli scout cattolici è molto chiara, ma i ragazzi vivono nella società, non in paradiso».
«Cambiare la legge elettorale è un dovere del prossimo Parlamento, per ridare più democrazia al Paese e la possibilità ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti L’attuale sistema è un potere dell’oligarchia» Il vescovo Betori: «Questione fondamentale, potrebbe essere il tema principale del prossimo decennio pastorale». In questa prospettiva anche l’auspicio che l’insegnamento della religione cattolica «si inserisca nella scuola come momento non estraneo» «La Chiesa italiana non si schiera con nessun partito ma ricorda i valori irrinunciabili Dovere dei cattolici è il discernimento che deve riguardare sia il programma proposto, sia le persone presenti nelle varie liste»
Svizzera: eutanasia con il gas
Sacchetti di plastica riempiti con l’elio per morire Filmata l’agonia dei malati. Indaga la Procura
Avvenire, 19 marzo 2008
DA ZURIGO FEDERICA MAURI
Il primo episodio risale al 18 febbraio. Poi sono seguiti altri tre decessi. La Chiesa elvetica: «In gioco la dignità umana»
Suicidarsi con un sacchetto di plastica in testa riempito di gas elio. È l’ultimo episodio della saga degli orrori in atto in Svizzera che vede protagonista la discussa associazione di aiuto al suicidio Dignitas.
Quattro i casi finora accertati dalla Procura del Cantone di Zurigo che non solo si dice choccata ma decisa ad intervenire. «Le immagini sono al limite del sopportabile » confessa turbato il procuratore generale Andreas Brunner, che ha visionato le videocassette fornite dagli stessi responsabili di Dignitas come prove a loro discarico. Persone che infilano la testa in un sacchetto di plastica contenente elio e che esalano l’ultimo respiro solo dopo diverse decine di minuti di sussulti ed agonia. E continuano a definirla «morte dignitosa». Dignitas è ricorsa a questo nuovo metodo per evitare di dover trovare un medico (“merce” sempre più rara dopo le critiche legate alla morte di due cittadini tedeschi aiutati a suicidarsi in un’auto) disposto a prescrivere i fatidici 15 mg di pentobarbitale sodico, la sostanza anestetica finora usata nei suicidi assistiti.
Il primo caso di suicidio all’elio risale allo scorso 18 febbraio ed è avvenuto alla periferia di Zurigo, dove da alcuni mesi l’organizzazione opera indisturbata e con il consenso delle autorità. Questo è però soltanto l’ultimo, tragico, episodio di una drammatica vicenda, fatta di persone che per motivi che non conosciamo hanno chiesto di essere aiutate a morire e sono finite nelle grinfie di individui senza scrupoli e disposti a tutto.
Complice una zona grigia nel diritto in vigore, l’aiuto al suicidio non è punibile a patto che non vi siano «motivi egoistici» (come stabilisce l’articolo 115 del Codice penale svizzero) da parte di chi assiste il candidato suicida. Sono così oltre un centinaio, ogni anno, i disperati che, giunti dall’estero (in particolare dalla Germania), si rivolgono ad associazioni come Dignitas per mettere fine ai propri giorni. Zurigo, e più in generale la stessa Confederazione, hanno finora tollerato la presenza sul proprio territorio di organizzazioni che offrono assistenza al suicidio, ma ora si trovano a dover fare i conti con una situazione che sembra ormai fuori controllo. Una situazione giudicata allarmante perfino dalla Commissione nazionale di etica per la medicina, che vede accresciuto il rischio di abusi.
Secondo il procuratore Brunner è perciò giunto il momento di fissare regole chiare; una richiesta formulata da più parti. Anche il Parlamento svizzero aveva accolto l’anno scorso una mozione in questo senso, che invitata il ministro di Giustizia a indagare sulla vicenda. A livello nazionale non vi è però alcuna intenzione di legiferare sull’eutanasia e sull’aiuto al suicidio. Il Consiglio federale, sollecitato più volte in merito, dopo aver analizzato a fondo la questione, ha deciso di non intervenire: una legge ad hoc sarebbe troppo rischiosa e di fatto legittimerebbe l’operato delle organizzazioni di aiuto al suicidio. Secondo il governo svizzero in simili casi lo Stato non deve intromettersi, ma lasciare che ogni decisione scaturisca da uno stretto dialogo fra il paziente, i suoi familiari e il medico curante.
Anche la Conferenza dei vescovi svizzeri, preoccupata dagli eventi verificatisi a Zurigo, è tornata di recente a occuparsi della vicenda, giudicando l’aiuto al suicidio un atto ingiustificabile. In gioco, è stato spiegato, vi è la dignità della vita umana e il significato dell’approccio alla morte nella società.
Scola: la tecnoscienza soffoca la «ratio»
Avvenire, 19 marzo 2008
DI ANGELO SCOLA
È decisamente positivo il fatto che oggi siamo usciti dall’epoca in cui le scienze vietavano di «porre la domanda delle domande». Esse stesse non temono ormai di parlare, in qualche modo, di verità.
La tecnoscienza, che non esclude di poter fornire spiegazioni per tutto il processo evolutivo, macro e micro – dal Big Bang fino all’insorgere della prima cellula di vivente – sembra voler farsi carico di quelli che una volta erano i contenuti dell’etica filosofica e della religio cui, già dalla modernità, erano per altro state ridotte le religioni, spogliate da tutti i loro misteri e riti per essere considerate nei limiti della sola ragione. Taluni cultori delle neuroscienze affermano addirittura che «il nostro cervello vuole credere» e quindi si apre uno spazio per una religiosità riconosciuta come fenomeno di una qualche rilevanza sociale. Essi dicono: pur sapendo che «di fronte ad un conflitto morale reagiamo di fatto in modi molto simili guidati da reti neurali o da sistemi di rinforzo comuni al nostro cervello» , non si può evitare di confrontarsi col fatto che, almeno fino a oggi, le persone, quotidianamente, vivono e muoiono in nome delle loro credenze religiose. Ci dividono le nostre teorie religiose e morali, ma la 'mente etica' ci unirà e ci salverà!
La concezione tecnoscientifica della vita umana e della sua storia è divenuta assai rilevante nelle democrazie avanzate soprattutto dell’Occidente. Se la democrazia plurale si costruisce autonomamente solo su procedure, è però la tecnoscienza (non più le religioni e le filosofie) a volerci dire che cos’è la vita nella sua origine, nel suo svolgimento e nel suo termine. A ben vedere il fenomeno stesso della globalizzazione è strettamente dipendente dal fatto che l’Occidente sta imponendo a tutto il mondo una concezione della felicità come puro prodotto progressivo della tecnoscienza. In questa visione delle cose non v’è più posto per l’anima, la risurrezione della carne, la vita eterna.
Ci si può anzitutto porre una domanda. Una simile visione della realtà è per l’autentico profitto della stessa tecnoscienza?
Conviene anzitutto rilevare che la tecnoscienza fa leva su una visione del reale che consente la progressiva scoperta solo di ulteriori stati di cose, ma non quella di ulteriorità di senso rispetto a quello definito dall’impresa scientifica. Riaffiora qui obiettivamente il rischio che ogni autentica impresa scientifica deve invece scongiurare, di una nuova forma di riduzionismo (non di corretta 'riduzione') che finisce per produrre inedite, potenti varianti di scientismo, che in ogni sua forma, da quelle più rozze a quelle più raffinate, è fondato su una triplice ingiustificata identificazione: 'ciò che è' è 'ciò che è conoscibile'; 'ciò che è conoscibile' è 'ciò che è conoscibile scientificamente'; 'ciò che è conoscibile scientificamente' è 'ciò che è conoscibile mediante la scienza empirica'. Così che, in definitiva, solo le scienze, e in specie quelle empiricosperimentali, ci danno la conoscenza di ciò che è.
Non la scienza astrattamente intesa, che giustamente non accetta regolazioni estrinseche, ma l’uomo di scienza non può però eludere la domanda: l’orizzonte della ragione umana oltrepassa o no l’orizzonte della ragione scientifica?
Esistono almeno due buoni motivi per rispondere positivamente. Anzitutto i processi umani, gli stati e le operazioni della mente quali intenzionalità, comportamento, cognizione, libero arbitrio non sono come tali oggetto possibile dell’indagine scientifica, che al più può analizzare solo le loro condizioni fisiche o psichiche. Non mancano conferme a questa affermazione da parte dei più recenti studi legati alle scienze cognitive. Inoltre vi è il problema dell’organismo che tiene in collegamento tali strutture, del perché esse svolgano la loro funzione, del come si siano formate.
Emerge con forza già a questo livello la questione dell’Io ( Self), che dovrà nella sua complessa articolazione (continuità, unità, corporeità, azione volontaria) trovare spiegazione. E i cultori delle neuroscienze sono ben lungi dall’aver dimostrato che questa sia correlabile con una qualche funzione neuronale o area cerebrale.
In secondo luogo esistono forme di razionalità differenti dalla razionalità scientifica. Il logos umano, infatti, pur essendo uno, si esercita ed è produttivo secondo plurime forme teoriche, pratiche ed espressive – come già affermava Aristotele – che oggi possiamo identificare in almeno cinque forme differenziate e irriducibili di razionalità (cfr. i diversi gradi del sapere di Maritain e le diverse forme della conoscenza secondo Lonergan): teorico-scientifica (scienza), teorico-speculativa (filosofia/teologia), pratico-tecnica (tecnologia), pratico-morale (etica) e teorico-pratico-espressiva (poetica). Per questo Benedetto XVI molto opportunamente non cessa di invocare il rispetto dell’'ampiezza' della ragione, articolata nella pluralità delle sue capacità e funzioni, e quindi né arbitraria, né indifferenziata, pena la caduta nella frammentazione del senso.
La ragione, accolta in tutta la sua ampiezza, impone di fare spazio a ogni 'fenomeno' che si propone all’orizzonte dell’umana esperienza. Nessuno negherà in proposito il peso del senso religioso, della religione in generale e, in modo particolare per l’Occidente, della Rivelazione cristiana.
«Il fenomeno stesso della globalizzazione è strettamente dipendente dal fatto che l’Occidente sta imponendo a tutto il mondo una concezione della felicità come puro prodotto progressivo della scienza»