Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI invita a vivere con fede il Triduo Pasquale
2) Carrón: vogliamo mostrare al mondo la pertinenza della fede con la vita di tutti
3) Predicatore del Papa: non si è cristiani se non si crede che Gesù è risorto
4) Il Consiglio d’Europa: l’aborto sia più facile
5) E' polemica in Inghilterra per il call center di “assistenza psicologica” della Marie Stopes International - Abortire per telefono
6) La primavera ci sorprende Lei sì maestra del nuovo
7) Giussani, l’anno liturgico come esperienza del Risorto
Benedetto XVI invita a vivere con fede il Triduo Pasquale
Intervento in occasione dell'udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 19 marzo 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole pronunciate da Benedetto XVI questo mercoledì in occasione dell'udienza generale, alla quale hanno assistito fedeli e pellegrini provenienti dall'Italia e dal mondo.
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Cari fratelli e sorelle,
siamo giunti alla vigilia del Triduo Pasquale. I prossimi tre giorni vengono comunemente chiamati "santi" perché ci fanno rivivere l'evento centrale della nostra Redenzione; ci riconducono infatti al nucleo essenziale della fede cristiana: la passione, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Sono giorni che potremmo considerare come un unico giorno: essi costituiscono il cuore ed il fulcro dell'intero anno liturgico come pure della vita della Chiesa. Al termine dell'itinerario quaresimale, ci apprestiamo anche noi ad entrare nel clima stesso che Gesù visse allora a Gerusalemme. Vogliamo ridestare in noi la viva memoria delle sofferenze che il Signore ha patito per noi e prepararci a celebrare con gioia, domenica prossima, "la vera Pasqua, che il Sangue di Cristo ha coperto di gloria, la Pasqua in cui la Chiesa celebra la Festa che è l'origine di tutte le feste", come dice il Prefazio per il giorno di Pasqua nel rito ambrosiano.
Domani, Giovedì Santo, la Chiesa fa memoria dell'Ultima Cena durante la quale il Signore, la vigilia della sua passione e morte, ha istituito il Sacramento dell'Eucaristia e quello del Sacerdozio ministeriale. In quella stessa notte Gesù ci ha lasciato il comandamento nuovo, "mandatum novum", il comandamento dell'amore fraterno. Prima di entrare nel Triduo Santo, ma già in stretto collegamento con esso, avrà luogo in ogni Comunità diocesana, domani mattina, la Messa Crismale, durante la quale il Vescovo e i sacerdoti del presbiterio diocesano rinnovano le promesse dell'Ordinazione. Vengono anche benedetti gli olii per la celebrazione dei Sacramenti: l'olio dei catecumeni, l'olio dei malati e il sacro crisma. E' un momento quanto mai importante per la vita di ogni comunità diocesana che, raccolta attorno al suo Pastore, rinsalda la propria unità e la propria fedeltà a Cristo, unico Sommo ed Eterno Sacerdote. Alla sera, nella Messa in Cena Domini si fa memoria dell'Ultima Cena quando Cristo si è dato a tutti noi come nutrimento di salvezza, come farmaco di immortalità: è il mistero dell'Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. In questo Sacramento di salvezza il Signore ha offerto e realizzato per tutti coloro che credono in Lui la più intima unione possibile tra la nostra e la sua vita. Col gesto umile e quanto mai espressivo della lavanda dei piedi, siamo invitati a ricordare quanto il Signore fece ai suoi Apostoli: lavando i loro piedi proclamò in maniera concreta il primato dell'amore, amore che si fa servizio fino al dono di se stessi, anticipando anche così il sacrificio supremo della sua vita che si consumerà il giorno dopo sul Calvario. Secondo una bella tradizione, i fedeli chiudono il Giovedì Santo con una veglia di preghiera e di adorazione eucaristica per rivivere più intimamente l'agonia di Gesù al Getsemani.
Il Venerdì Santo è la giornata che fa memoria della passione, crocifissione e morte di Gesù. In questo giorno la liturgia della Chiesa non prevede la celebrazione della Santa Messa, ma l'assemblea cristiana si raccoglie per meditare sul grande mistero del male e del peccato che opprimono l'umanità, per ripercorrere, alla luce della Parola di Dio e aiutata da commoventi gesti liturgici, le sofferenze del Signore che espiano questo male. Dopo aver ascoltato il racconto della passione di Cristo, la comunità prega per tutte le necessità della Chiesa e del mondo, adora la Croce e si accosta all'Eucaristia, consumando le specie conservate dalla Messa in Cena Domini del giorno precedente. Come ulteriore invito a meditare sulla passione e morte del Redentore e per esprimere l'amore e la partecipazione dei fedeli alle sofferenze di Cristo, la tradizione cristiana ha dato vita a varie manifestazioni di pietà popolare, processioni e sacre rappresentazioni, che mirano ad imprimere sempre più profondamente nell'animo dei fedeli sentimenti di vera partecipazione al sacrificio redentivo di Cristo. Fra queste spicca la Via Crucis, pio esercizio che nel corso degli anni si è arricchito di molteplici espressioni spirituali ed artistiche legate alla sensibilità delle diverse culture. Sono così sorti in molti Paesi santuari con il nome di "Calvaria", ai quali si giunge attraverso un'erta salita che richiama il cammino doloroso della Passione, consentendo ai fedeli di partecipare all'ascesa del Signore verso il Monte della Croce, il Monte dell'Amore spinto fino alla fine.
Il Sabato Santo è segnato da un profondo silenzio. Le Chiese sono spoglie e non sono previste particolari liturgie. Mentre attendono il grande evento della Risurrezione, i credenti perseverano con Maria nell'attesa pregando e meditando. C'è bisogno in effetti di un giorno di silenzio, per meditare sulla realtà della vita umana, sulle forze del male e sulla grande forza del bene scaturita dalla Passione e dalla Risurrezione del Signore. Grande importanza viene data in questo giorno alla partecipazione al Sacramento della riconciliazione, indispensabile via per purificare il cuore e predisporsi a celebrare intimamente rinnovati la Pasqua. Almeno una volta all'anno abbiamo bisogno di questa purificazione interiore di questo rinnovamento di noi stessi. Questo Sabato di silenzio, di meditazione, di perdono, di riconciliazione sfocia nella Veglia Pasquale, che introduce la domenica più importante della storia, la domenica della Pasqua di Cristo. Veglia la Chiesa accanto al nuovo fuoco benedetto e medita la grande promessa, contenuta nell'Antico e nel Nuovo Testamento, della liberazione definitiva dall'antica schiavitù del peccato e della morte. Nel buio della notte viene acceso dal fuoco nuovo il cero pasquale, simbolo di Cristo che risorge glorioso. Cristo luce dell'umanità disperde le tenebre del cuore e dello spirito ed illumina ogni uomo che viene nel mondo. Accanto al cero pasquale risuona nella Chiesa il grande annuncio pasquale: Cristo è veramente risorto, la morte non ha più alcun potere su di Lui. Con la sua morte Egli ha sconfitto il male per sempre ed ha fatto dono a tutti gli uomini della vita stessa di Dio. Per antica tradizione, durante la Veglia Pasquale, i catecumeni ricevono il Battesimo, per sottolineare la partecipazione dei cristiani al mistero della morte e della risurrezione di Cristo. Dalla splendente notte di Pasqua, la gioia, la luce e la pace di Cristo si espandono nella vita dei fedeli di ogni comunità cristiana e raggiungono ogni punto dello spazio e del tempo.
Cari fratelli e sorelle, in questi giorni singolari orientiamo decisamente la vita verso un'adesione generosa e convinta ai disegni del Padre celeste; rinnoviamo il nostro "sì" alla volontà divina come ha fatto Gesù con il sacrificio della croce. I suggestivi riti del Giovedì Santo, del Venerdì Santo, il silenzio ricco di preghiera del Sabato Santo e la solenne Veglia Pasquale ci offrono l'opportunità di approfondire il senso e il valore della nostra vocazione cristiana, che scaturisce dal Mistero Pasquale e di concretizzarla nella fedele sequela di Cristo in ogni circostanza, come ha fatto Lui, sino al dono generoso della nostra esistenza.
Far memoria dei misteri di Cristo significa anche vivere in profonda e solidale adesione all'oggi della storia, convinti che quanto celebriamo è realtà viva ed attuale. Portiamo dunque nella nostra preghiera la drammaticità di fatti e situazioni che in questi giorni affliggono tanti nostri fratelli in ogni parte del mondo. Noi sappiamo che l'odio, le divisioni, le violenze non hanno mai l'ultima parola negli eventi della storia. Questi giorni rianimano in noi la grande speranza: Cristo crocifisso è risorto e ha vinto il mondo. L'amore è più forte dell'odio, ha vinto e dobbiamo associarci a questa vittoria dell'amore. Dobbiamo quindi ripartire da Cristo e lavorare in comunione con Lui per un mondo fondato sulla pace, sulla giustizia e sull'amore. In quest'impegno, che tutti ci coinvolge, lasciamoci guidare da Maria, che ha accompagnato il Figlio divino sulla via della passione e della croce e ha partecipato, con la forza della fede, all'attuarsi del suo disegno salvifico. Con questi sentimenti, formulo fin d'ora i più cordiali auguri di lieta e santa Pasqua a tutti voi, ai vostri cari e alle vostre Comunità.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. Auguro a ciascuno di vivere con intensa partecipazione il Triduo Pasquale, per celebrare con più salda fede il mistero della morte e risurrezione di Cristo.
Il mio pensiero va ora ai giovani, ai malati e agli sposi novelli, ai quali formulo uno speciale augurio pasquale. A voi, cari giovani, auguro di non avere paura a seguire Cristo, anche quando vi invita a percorrere con lui la via difficile della croce. A voi, cari malati, la meditazione della Passione di Gesù, mistero di sofferenza trasfigurata dall'amore, rechi conforto e consolazione. E in voi, cari sposi novelli, la morte e la risurrezione del Signore rinnovi la gioia e l'impegno del vostro patto nuziale.
Seguo con grande trepidazione le notizie, che in questi giorni giungono dal Tibet. Il mio cuore di Padre sente tristezza e dolore di fronte alla sofferenza di tante persone. Il mistero della passione e morte di Gesù, che riviviamo in questa Settimana Santa, ci aiuta ad essere particolarmente sensibili alla loro situazione.
Con la violenza non si risolvono i problemi, ma solo si aggravano. Vi invito ad unirvi a me nella preghiera. Chiediamo a Dio onnipotente, fonte di luce, che illumini le menti di tutti e dia a ciascuno il coraggio di scegliere la via del dialogo e della tolleranza.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
Cl, la sfida della missione
Carrón: vogliamo mostrare al mondo la pertinenza della fede con la vita di tutti
Avvenire, 20 marzo 2008
Pubblichiamo l’intervista a don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Cl, realizzata da un settimanale spagnolo.
Un anno fa, era il 24 marzo 2007, piazza San Pietro a Roma si riempì di ciellini provenienti da tutto il mondo per l’udienza con Benedetto XVI in occasione dei 25 anni del riconoscimento pontificio della Fraternità di Cl, della quale – nei giorni scorsi – lei è stato riconfermato presidente per i prossimi sei anni. Don Carrón, cosa rimane in lei di quell’udienza?
Roma è stata la conferma apostolica del valore del carisma dato a don Giussani per la vita della Chiesa. Benedetto XVI sottolineò l’origine personale del carisma e confermò la permanenza di esso nell’esperienza del movimento. E ci rilanciò nel compito missionario, che già ci aveva affidato Giovanni Paolo II. Quella sfida missionaria è oggi ancora più decisiva, se penso a quanto è accaduto in Brasile nelle settimane scorse. Durante un incontro a San Paolo con cinquantamila aderenti al movimento brasiliano dei Senza Terra, Cleuza Zerbini, l’iniziatrice insieme al marito Marcos, ha detto: «Carrón, qualche anno fa lei aveva un movimento, Nuova Terra. Quando conobbe don Giussani glielo affidò perché non aveva più nulla da cercare; tutto ciò che doveva trovare, lo aveva già trovato. La storia si ripete ancora una volta. Oggi non ci sono due strade: ne esiste una sola. Oggi, Nuova Terra e i Senza Terra si uniscono al movimento di Comunione e liberazione». Immagini la mia commozione, come quella che ho avvertito quando don Giussani mi ha chiamato accanto a sé dalla Spagna per guidare il movimento. E come allora mi sentii così piccolo, così niente, a San Paolo ho provato la stessa sensazione. Ma questo nuovo fatto che il Mistero ci mette davanti non mi fa paura, perché Colui che ha iniziato tra noi questa opera buona, la porterà a compimento.
Come ha accolto il rinnovato mandato di guidare il movimento per i prossimi anni? Che cosa rappresenta per lei?
Ho accettato la decisione con lo stesso spirito con cui accettai quella di don Giussani, cercando di obbedire alla modalità con cui il Mistero mi chiama a rispondere. Oggi sono molto più consapevole della sproporzione totale davanti al compito che mi viene affidato. E quello che voglio vivere è bene espresso nel brano di Solov’ev che don Giussani ci propose come manifesto permanente del nostro movimento: «Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità». Io desidero non avere altra cosa più cara nella mia vita che questo.
Tutto quello che ci ha appena detto che cosa significa per il futuro di Cl?
I fatti imponenti accaduti in questo anno mettono in luce una volta di più la nostra responsabilità, secondo il mandato del 24 marzo 2007: vivere una fede profonda e personalizzata, che ci permetta di stare nella realtà, come ci ha detto Benedetto XVI, con «una spontaneità e una libertà che permettono nuove e profetiche realizzazioni apostoliche e missionarie», per collaborare insieme ai pastori a «rendere presente il mistero e l’opera salvifica di Cristo nel mondo». Una fede matura si esprime in opere nelle quali il desiderio dell’uomo si incarna e in questo modo offre un contributo alla vita sociale. La fede cattolica non è solo un affare privato o limitato a qualche ambito particolare, ma ha un ruolo anche pubblico, poiché è un fattore che rende migliore, più umana e più positiva, la vita quotidiana e mette nelle condizioni ottimali per affrontare i problemi e le difficoltà, nei rapporti tra le persone, nell’educazione, nel lavoro, perfino nell’impegno civile e politico vissuto come carità.
Il contesto culturale e politico della Spagna e dell’Italia, fatte le dovute distinzioni, che cosa rappresenta, secondo lei, per i cristiani?
Un intervento di don Giussani nel 1972, mi pare di grande attualità. Giudicando un momento altrettanto drammatico della nostra storia – la crisi del Sessantotto, di cui certi fenomeni attuali sono l’ultima conseguenza – disse: «Dio non permette mai che accada qualche cosa, se non per una nostra maturazione. Anzi, è proprio dalla capacità che ognuno di noi e che ogni realtà ecclesiale ha (famiglia, comunità, parrocchia, Chiesa in genere) di valorizzare come strada maturante ciò che appare come obiezione, che si dimostra la verità della fede». Ma è soprattutto la frase successiva che mi interessa sottolineare: «È questo il sintomo della verità, della autenticità o meno della nostra fede: se in primo piano è veramente la fede o in primo piano è un altro tipo di preoccupazione, se ci aspettiamo veramente tutto dal fatto di Cristo, oppure se dal fatto di Cristo ci aspettiamo quello che decidiamo di aspettarci, ultimamente rendendolo spunto e sostegno a nostri progetti o a nostri programmi». Perciò la situazione problematica che i nostri Paesi stanno attraversando è una circostanza che il Signore permette per la nostra educazione, per una verifica di ciò che ognuno di noi ama e anche per smascherare l’ambiguità che può esserci in ogni iniziativa umana, per sua natura limitata.
Per quanto concerne la presenza pubblica dei cristiani, che cosa implica questo suo giudizio?
Nella situazione attuale, in cui – come abbiamo visto – non basta una reattività alle provocazioni degli altri, siamo spinti a riscoprire l’originalità del cristianesimo. Occorre una presenza originale, non reattiva. «Una presenza è originale quando scaturisce dalla coscienza della propria identità e dall’affezione a essa, e in ciò trova la sua consistenza» (don Giussani). Come cristiani non siamo stati scelti per dare prova delle nostre capacità dialettiche o strategiche, ma per testimoniare la novità che la fede ha introdotto nel mondo e che ha «conquistato» noi per primi. La sfida che abbiamo davanti è quella di sempre: educare adulti nella fede, secondo un metodo che renda ragionevole l’adesione a Cristo. Come disse don Giussani al Sinodo del 1987, «ciò che manca non è tanto la ripetizione verbale o culturale dell’annuncio. L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi». L’incontro, dunque, con qualcosa che corrisponda alle esigenze del cuore, che scuota la ragione dal torpore in cui è caduta e costituisca una risposta che nessun moralismo può sognarsi.
Sinteticamente, il carisma di Cl che cosa può offrire di originale?
Quello che abbiamo ricevuto dalla grande tradizione della Chiesa e che la genialità umana e cristiana di don Giussani ha reso esperienza presente, attraente per l’oggi: nella fede la solitudine e lo scetticismo sono sconfitti e la vita diventa un’immensa certezza proprio perché un Altro è all’opera nella storia; in qualunque circostanza e dentro qualunque prova, si può vivere così. Questo è il contributo che sentiamo di poter dare alla vita della nostra gente: mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita – esigenze di verità, di bellezza, di giustizia, di felicità – e quindi l’utilità della fede per la vita degli uomini del nostro tempo. Questa fede è speranza per la vita di tutti.
Questo basta per affrontare l’urto di un mondo che si è progressivamente allontanato dalla Chiesa e dalla fede e che si vuole costruire a prescindere, quando non esplicitamente contro, il cristianesimo?
Le rispondo con le parole che don Giussani pronunciò dopo la sconfitta dei cattolici italiani nel referendum sull’aborto del 1981: «Ecco, questo è un momento in cui sarebbe bello essere solo in dodici in tutto il mondo. Vale a dire, è proprio un momento in cui si ritorna da capo, perché mai è stato così dimostrato che la mentalità non è più cristiana. Il cristianesimo come presenza stabile, consistente, e perciò capace di tradere, di tradizione, di comunicazione, di creare tradizione, adesso non c’è più: deve rinascere. Deve rinascere come sollecitazione alla problematica quotidiana, vale a dire alla vita quotidiana». C’è qualcosa di più originale e di più entusiasmante di questo?
«Come cristiani non siamo stati scelti per dare prova delle nostre capacità dialettiche o strategiche, ma per testimoniare la novità che la fede ha introdotto nel mondo» «La situazione problematica che Italia e Spagna stanno attraversando è una circostanza che Dio permette per la nostra educazione, per una verifica di ciò che ognuno di noi ama»
Predicatore del Papa: non si è cristiani se non si crede che Gesù è risorto
Commento al Vangelo della domenica di Pasqua
ROMA, giovedì, 20 marzo 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. - predicatore della Casa Pontificia -, alla liturgia di domenica prossima, Pasqua di Resurrezione del Signore.
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Domenica di Pasqua
Atti 10,34a.37-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20, 1-9
È RISORTO!
Alle donne recatesi al sepolcro, il mattino di Pasqua, l'angelo disse: "Non abbiate paura. Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto!". Ma è veramente risorto, Gesù? Quali garanzie abbiamo che si tratta di un fatto realmente accaduto, e non di una invenzione o di una suggestione? San Paolo, scrivendo a non più di venticinque anni di distanza dai fatti, elenca tutte le persone che lo hanno visto dopo la sua risurrezione, la maggioranza dei quali era ancora in vita (1 Cor 15,8). Di quale fatto dell'antichità abbiamo testimonianze così forti come di questo?
Ma a convincerci della verità del fatto è anche un'osservazione generale. Al momento della morte di Gesù i discepoli si sono dispersi; il suo caso è dato per chiuso: "Noi speravamo che fosse lui...", dicono i discepoli di Emmaus. Evidentemente, non lo sperano più. Ed ecco che, improvvisamente, vediamo questi stessi uomini proclamare unanimi che Gesù è vivo, affrontare, per questa testimonianza, processi, persecuzioni e infine, uno dopo l'altro, il martirio e la morte. Che cosa ha potuto determinare un cambiamento così totale, se non la certezza che egli era veramente risorto?
Non possono essersi ingannati, perché hanno parlato e mangiato con lui dopo la sua risurrezione; e poi erano uomini pratici, tutt'altro che facili a esaltarsi. Essi stessi sulle prime dubitano e oppongono non poca resistenza a credere. Neppure possono aver voluto ingannare gli altri, perché, se Gesù non era risorto, i primi ad essere stati traditi e a rimetterci (la stessa vita!) erano proprio loro. Senza il fatto della risurrezione, la nascita del cristianesimo e della Chiesa diventa un mistero ancora più difficile da spiegare che la risurrezione stessa.
Questi sono alcuni argomenti storici, oggettivi, ma la prova più forte che Cristo è risorto, è che è vivo! Vivo, non perché noi lo teniamo in vita parlandone, ma perché lui tiene in vita noi, ci comunica il senso della sua presenza, ci fa sperare. "Tocca Cristo chi crede in Cristo", diceva sant'Agostino e i veri credenti fanno l'esperienza della verità di questa affermazione.
Quelli che non credono nella realtà della risurrezione hanno sempre avanzato l'ipotesi che si sia trattato di fenomeni di autosuggestione; gli apostoli hanno creduto di vedere. Ma questo, se fosse vero, costituirebbe, alla fine, un miracolo non meno grande di quello che si vuole evitare di ammettere. Suppone infatti che persone diverse, in situazioni e luoghi diversi, abbiano avuto tutte la stessa allucinazione. Le visioni immaginarie arrivano di solito a chi le aspetta e le desidera intensamente, ma gli apostoli, dopo i fatti del venerdì santo, non aspettavano più nulla.
La risurrezione di Cristo è, per l'universo spirituale, quello che fu per l'universo fisico, secondo una teoria moderna, il Big-bang iniziale: un'esplosione tale di energia da imprimere al cosmo quel movimento di espansione che dura ancora oggi, a distanza di miliardi di anni. Togli alla Chiesa la fede nella risurrezione e tutto si ferma e si spegne, come quando in una casa cade la corrente elettrica. San Paolo scrive: "Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" (Rom 10,9). "La fede dei cristiani è la risurrezione di Cristo", diceva sant'Agostino. Tutti credono che Gesù sia morto, anche i pagani, gli agnostici lo credono. Ma solo i cristiani credono che è anche risorto e non si è cristiani se non lo si crede. Risuscitandolo da morte, è come se Dio avallasse l'operato di Cristo, vi imprimesse il suo sigillo. "Dio ha dato a tutti gli uomini una prova sicura su Gesú, risuscitandolo da morte" (Atti 17,31).
Il Consiglio d’Europa: l’aborto sia più facile
Proposta-choc da Strasburgo: gli Stati membri devono garantire alle donne l'effettivo esercizio del diritto ad abortire
ROMA. Come se non bastasse la strage di innocenti che annualmente si consuma nel Vecchio continente, tra meno di un mese il Consiglio d’Europa si pronuncerà su un un rapporto della Commissione pari opportunità dell’assemblea (Pace), per promuovere un’ulteriore diffusione dell’aborto, consentendolo nei Paesi in cui non è possibile, e facilitandolo in quelli dove è legale, ma in cui le condizioni non sarebbero tali da garantire alle donne l’effettivo esercizio di questo diritto.
Una bozza di risoluzione approvata ad ampia maggioranza dalla commissione si pronuncia infatti in tal senso. «Proibire l’aborto – si legge nel documento – non ne comporta una riduzione nel numero, ma al contrario spinge a utilizzare metodi clandestini, che sono più traumatici e più pericolosi». La proposta di risoluzione invita i Paesi membri a garantire alle donne l’esercizio effettivo del loro diritto ad abortire, eliminando tutte quelle restrizione che non permetterebbero un’interruzione clinica della gravidanza in appropriate condizioni mediche e psicologiche. «L’aborto su richiesta – è scritto nel documento – in teoria è possibile in tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa, con le sole eccezioni di Irlanda, Malta, Andorra e Polonia; tuttavia anche nei Paesi dove l’aborto è legale, le condizioni non sono tali da garantire alle donne l’effettivo esercizio di questo diritto».
Secondo il testo della commissione pari opportunità numerosi sarebbero gli ostacoli che si frappongono tra le donne e la loro scelta: la mancanza di dottori disposti a praticare l’aborto, i ripetuti consulti medici richiesti, i lunghi tempi di attesa, il periodo di tempo concesso per poter cambiare idea o la mancanza di un’adeguata copertura finanziaria. Il documento sottolinea, infine, bontà sua, che l’aborto non è «un metodo di pianificazione familiare» e deve essere evitato nei limiti del possibile attraverso la prevenzione: ridurre i prezzi dei contraccettivi e introdurre l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole. Il rapporto sarà discusso in seno alla plenaria dall’assemblea a Strasburgo dal 14 al 18 aprile.
Avvenire del 19 marzo 2008
Dal Foglio.it
20 marzo 2008
E' polemica in Inghilterra per il call center di “assistenza psicologica” della Marie Stopes International - Abortire per telefono
Una nostra redattrice ha telefonato: cinque minuti, 1.600 sterline e il “trattamento” prenotato per il 25 marzo
Londra. Ci sono voluti cinque minuti. E’ bastata una telefonata, il tempo di raccontare del mio ritardo lungo ventitré settimane e di assicurare che ero in possesso di una carta di credito. Così la data del mio aborto è stata fissata: sarà il 25 marzo. Prima ci vorrà semplicemente un incontro con un medico, che verificherà le informazioni sullo stadio della mia gravidanza fornite per telefono all’operatore e darà un’occhiata al feto che porto in grembo. Ho detto che sono convinta della mia decisione e mi hanno assicurato che non sarà necessaria alcuna consulenza psicologica. Sono italiana, sì, ma questo non importa. Importa che dia subito per telefono i dati della mia Visa, che sia pronta a sborsare milleseicento sterline. Poi tutto sarà finito. E’ andata così la mia esperienza con la hotline della Marie Stopes International, l’organizzazione privata di Londra che nasce sull’esempio dell’omonima eugenista scozzese e che dal 1976 si occupa di sessualità e aborti (solo nel 2006 ha praticato quattrocentomila interruzioni di gravidanza in trentasette paesi del mondo, escluso il Regno Unito). Da due settimane la Marie Stopes ha inaugurato una linea di consulenza telefonica per l’aborto, dopo una fase sperimentale di sei mesi in cui seicentocinquanta donne in attesa si erano rivolte ai centralini dell’associazione. Da qualche giorno anch’io, inventandomi l’identità di una fantomatica Clara Bartolomeo, classe ’78, incinta, sono diventata una loro paziente, o meglio, una loro cliente. Perché del mio stato psicologico, della responsabilità enorme della mia decisione, si è parlato poco. “Se è indecisa, le offriamo un appuntamento telefonico con i nostri esperti per settantacinque sterline, altrimenti può prenotare subito l’incontro col medico e fissare la data del trattamento”, cioè dell’aborto. “Ha una carta di credito attiva? Ce l’ha?”, mi sono sentita chiedere con insistenza. Sui giornali avevo letto le dichiarazioni del responsabile delle agenzie inglesi e dell’Europa occidentale di Marie Stopes, Liz Davies: “Molte donne trovano più facile esplorare le proprie emozioni al telefono piuttosto che faccia a faccia, specie se si trovano in un ambiente familiare come la propria casa”. Io le mie emozioni non le ho esplorate per niente. Sì, è vero, mi sono detta decisa ad abortire. Ma dall’altra parte non ho sentito grande partecipazione. E’ bastata una domanda sulla mia scelta (“E’ convinta? Sì o no?”) e la data del mio “trattamento” è stata fissata. Quando mi sono finta indecisa è scattata la fatidica frase: per settantacinque euro avrà una consulenza psicologica, se vuole semplicemente telefonica. Sì perché le conversazioni tra me il call center a un certo punto sono diventate numerose e qualcuna è durata persino meno di cinque minuti. Quando alla seconda telefonata ho capito che il centralino era foltissimo, che ogni volta avrei parlato con un operatore diverso, ho provato insistentemente a chiamare, fingendo sempre situazioni diverse. Così ho scoperto che milleseicento sterline sono la cifra per un aborto tra la diciannovesima e la ventitreesima settimana, ma che sotto quel limite posso spendere molto meno: settecentotrenta sterline sono sufficienti. Nessuno mi farà delle domande sulla mia scelta se non vorrò. Tutto avverrà nel massimo della privacy. Ma ai centralinisti interessa una cosa soprattutto: il mio conto in banca. Posso pagare in contanti, con assegno o con carta di credito. Poi tutto sarà risolto. Sono bastate due settimane e la polemica è esplosa nel Regno Unito, segnato dal record di qualche settimana fa, quando i dati sulle interruzioni di gravidanza in Inghilterra e Galles hanno provato che gli aborti tardivi, cioè quelli oltre la ventesima settimana, sono stati tremila nel 2006, con un’impennata del 44 per cento in un decennio. La Lawyers’ Christian Fellowship (Lcf), organizzazione che raggruppa gli avvocati di fede cattolica, ha definito il sistema di consulenza telefonica di Marie Stopes come “irresponsabile, un disservizio per le donne”. Un caso drammatico ha infatti segnato l’attività dell’organizzazione: Emma Beck, artista trentenne di Cornwall (vedi anche il Foglio del 18 marzo), descritta dal suo medico di base come una persona “estremamente vulnerabile”, con un passato di ansia e depressione, si era rivolta ai consulenti telefonici di Marie Stopes e aveva poi deciso di abortire i due gemelli che portava in grembo. Dopo l’interruzione di gravidanza la donna si è impiccata e ha lasciato un biglietto alla famiglia: “La mia vita è diventata un inferno. Non avrei mai dovuto abortire”. Ora la madre si chiede perché non le sia stata data sufficiente assistenza. Andrea Minichiello Williams, della Lcf, attacca: “La consulenza psicologica telefonica non è adeguata per donne che vivono una delle crisi più rilevanti della propria vita. Parlare con qualcuno al telefono di questi temi non è mai sufficiente e non può sostituirsi agli incontri faccia a faccia”.
La primavera ci sorprende Lei sì maestra del nuovo
Avvenire, 20 marzo 2008
DAVIDE RONDONI
E comunque la si metta, sta di fatto che il 21 inizia la primavera. San Benedetto la rondine sotto il tetto, ecc ecc. Rondine o non rondine, il calendario dice che la primavera inizia quel giorno. E visto che tra cambiamenti del clima, caldi che si susseguono a ghiacci, venti gelidi a mattini tiepidi, e nel bailamme di notizie, tra climatologi d’opposte scuole, non si capisce più quasi niente, teniamoci a quel che è certo: la data sul calendario, e i segni nella natura. In questi giorni poi, la retorica elettorale abbonda dei soliti vecchi richiami al fatto d’esser 'nuovi'. E a sentir parlar di 'nuovo' in quella maniera vien voglia di portare i signori candidati all’aperto, farli inginocchiare con le mani legate dietro la schiena, e compiere la stramba allegra esecuzione: abbassare il loro viso fino alla terra, a sentire il profumo d’erba, il lieve odore speziato di un fiore. Quelli sì, nuovi. Insomma, la data è quella, e i fiori, il fermento delle semine, le dolci allegrie del sangue, le luci chiare in cielo, ci sono. Dunque, se pure come capita per tante altre faccende nella vita di oggi, pare più difficile riconoscerla e chiamarla con il suo nome, ecco: la primavera sta iniziando. Indizi intorno, segni addosso. C’è un rinnovarsi di energie, un erompere di nuovi colori. Il fortissimo e commovente Giacomo Leopardi si rivolge così alla luna: «Tu sai, tu certo a qual suo dolce amore/ rida la primavera?». Questo sorridere della natura, dei fossi, delle cime degli alberi, ma anche in noi, l’aprirsi di sensibilità, di gusti, è rivolto a un 'dolce amore'? O è un sorriso scemo, un ridere a vanvera? Una specie di sorriso demente? Se lo chiede il grande poeta dando voce alla domanda di ogni persona che non sia sfigurata dai colpi di rasoio della superficialità. Questo promettersi di vita, irrefrenabile corsa a sbocciare, a offrire frutti è solo un’inutile generosità momentanea della natura ? Un’illusione ? Oppure la luna sa, anche se i nostri occhi non vedono, che c’è un dolce amore che è destinatario di questo sorriso... Non è per spegnersi nel niente. Da sempre gli uomini hanno atteso e propiziato l’arrivo della primavera. L’hanno chiamata. Con riti di ogni genere, e con opere di parole, di ritmo. Riconoscendo che la vita desidera la vita, non la morte. Diciamo di saperlo, che è ovvio.
Però la primavera ci sorprende. Questo suo sorriso in cerca di un dolce amore ci stupisce, anche solo per un istante. E un poco inquieta. La natura stessa provvede a non farci sembrare tutto, letteralmente, solo 'rosa e fiori'. Già nel fiorire dei giardini avvengono tante lotte. In questo slancio di desiderio vitale si incontrano contrasti, difficoltà, e contraddizioni. Come quella da molti patita: le allergie. Strana contraddizione nel momento in cui i sensi si accendono. E soprattutto, proprio nei giorni dell’inizio della primavera arriva la festa cristiana della Pasqua.
Che è passaggio dalla morte alla vita. Ma non si tratta semplicemente di un passaggio da morte a vita. Insomma, la croce non è 'solo' la morte. Non è 'solo' un inverno, come quello che attende tutto e tutti. No, è sacrificio, morte accettata e fatta sacra per l’amore con cui è abbracciata. Sembra strano, ma il dolce amore a cui ride la primavera è quello che brucia nelle ferite di Cristo sulla croce. Quel sorriso che inizia straziato, segretamente, nell’uomo reso orribile sul Golgota. E poi visibile, lieto, arde nel Risorto, nella presenza che offre alla natura e agli uomini la promessa della vita che si compie nella vita.
Giussani, l’anno liturgico come esperienza del Risorto
Avvenire, 20 marzo 2008
S’intitola «La familiarità con Cristo» il libro che raccoglie due anni di scritti sul mensile «Tracce» del fondatore di Cl dedicati ai tempi della liturgia
MILANO. Dio non lascia mai solo l’uomo. Si rende presente nel mondo attraverso la compagnia di coloro che da duemila anni continuano a seguire la proposta di vita testimoniata da Gesù: la Chiesa. E c’è una modalità con cui questa compagnia si ripropone quotidianamente, con una sapienza che sorprende chi, partecipando alla Messa quotidiana, ne misura la pertinenza con l’ordinarietà dell’esistenza: è la liturgia. Ad essa è dedicato il libro di Luigi Giussani «La familiarità con Cristo» (edizioni San Paolo), dove vengono riproposte alcune sue meditazioni sui tempi liturgici presentati non come riti sterili, ma come occasione di conversione e trasformazione della persona.
Nella prefazione don Julián Carrón – che dopo la morte di Giussani guida Comunione e liberazione – sottolinea che «la Chiesa fa un’opera pedagogica non indifferente nel riproporre il mistero della vita liturgica come paradigma dell’esistenza, occasione d’incontro con la Presenza che salva il mondo, vincendo la perenne tentazione di ciascuno di ridurre, in modo devozionale o moralista, il rapporto con il Mistero ai propri pensieri e alle proprie misure. Così la Chiesa ci educa, col realismo che le è proprio, a non erigerci presuntuosamente a creatori del Mistero, ma a essere testimoni stupefatti di un avvenimento». In una serie di interventi pubblicati nell’arco di due anni sul mensile «Tracce» e raccolti in questo volume, Giussani accompagna il lettore in una rivisitazione dei tempi liturgici provocatoria e tutta immersa nella vita reale, come è tipico del suo approccio. Il cristianesimo viene riproposto come avvenimento, fatto decisivo della storia e risposta alle attese dell’uomo.
Ad esso l’autore ci introduce non con un discorso, ma testimoniandoci la sua personale esperienza della familiarità con Cristo. Nel dipanarsi dei mesi l’Avvento è l’incombenza della manifestazione del Mistero, Natale viene proposto come l’immedesimarsi di Dio con la nostra carne, la Quaresima è il tempo in cui preghiera, digiuno e opere di carità segnano l’esistenza dell’uomo richiamandolo all’originale dipendenza che lo costituisce. La resurrezione pasquale è la vittoria della vita sul nulla, Ascensione e Pentecoste ci educano a entrare nella profondità delle cose. E in quello che la liturgia definisce «tempo ordinario», dentro il grande mare della vita solita, siamo invitati a incontrare l’esperienza cristiana come una continua novità che muove l’esistenza.
Giorgio Paolucci