mercoledì 26 marzo 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Omelia di Benedetto XVI per la Veglia pasquale
2) Il Papa: «La risurrezione è un evento d’amore»
3) Da Santoro l’aborto diventa come la prostata
4) La resurrezione di Cristo. In Inghilterra la studiano. Da noi se la dimenticano
5) Magdi Allam - La mia scelta - «Approdo di un lungo cammino - Decisivo l’incontro con il Papa»
6) IL VESCOVO PER IL DALAI LAMA, di Mons. Luigi Negri
7) Magdi Allam: "Non c'è un islam moderato"
8) LA CONVERSIONE NON È MAI UN FATTO POLITICO
9) Libertà religiosa e dialogo
10) Scioperi per la morte e scioperi per la vita - I disabili chiedono cure, Napolitano rompa la catena di indifferenza, di Giuliano Ferrara dal Foglio.it


Omelia di Benedetto XVI per la Veglia pasquale
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 marzo 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI durante la solenne Veglia nella Notte Santa di Pasqua da lui presieduta questo sabato nella Basilica Vaticana.

* * *
Cari fratelli e sorelle!
Nel suo discorso d’addio, Gesù ha annunciato ai discepoli la sua imminente morte e risurrezione con una frase misteriosa. Dice: "Vado e vengo da voi" (Gv 14, 28). Il morire è un andare via. Anche se il corpo del deceduto rimane ancora – egli personalmente è andato via verso l’ignoto e noi non possiamo seguirlo (cfr Gv 13, 36). Ma nel caso di Gesù c’è una novità unica che cambia il mondo. Nella nostra morte l’andare via è una cosa definitiva, non c’è ritorno. Gesù, invece, dice della sua morte: "Vado e vengo da voi". Proprio nell’andare via, Egli viene. Il suo andare inaugura un modo tutto nuovo e più grande della sua presenza. Col suo morire Egli entra nell’amore del Padre. Il suo morire è un atto d’amore. L’amore, però, è immortale. Per questo il suo andare via si trasforma in un nuovo venire, in una forma di presenza che giunge più nel profondo e non finisce più. Nella sua vita terrena Gesù, come tutti noi, era legato alle condizioni esterne dell’esistenza corporea: a un determinato luogo e a un determinato tempo. La corporeità pone dei limiti alla nostra esistenza. Non possiamo essere contemporaneamente in due luoghi diversi. Il nostro tempo è destinato a finire. E tra l’io e il tu c’è il muro dell’alterità. Certo, nell’amore possiamo in qualche modo entrare nell’esistenza dell’altro. Rimane, tuttavia, la barriera invalicabile dell’essere diversi. Gesù, invece, che ora mediante l’atto dell’amore è totalmente trasformato, è libero da tali barriere e limiti. Egli è in grado di passare non solo attraverso le porte esteriori chiuse, come ci raccontano i Vangeli (cfr Gv 20, 19). Può passare attraverso la porta interiore tra l’io e il tu, la porta chiusa tra l’ieri e l’oggi, tra il passato ed il domani. Quando, nel giorno del suo ingresso solenne in Gerusalemme, un gruppo di Greci aveva chiesto di vederLo, Gesù aveva risposto con la parabola del chicco di grano che, per portare molto frutto, deve passare attraverso la morte. Con ciò aveva predetto il proprio destino: Non voleva allora semplicemente parlare con questo o quell’altro Greco per qualche minuto. Attraverso la sua Croce, mediante il suo andare via, mediante il suo morire come il chicco di grano, sarebbe arrivato veramente presso i Greci, così che essi potessero vederLo e toccarLo nella fede. Il suo andare via diventa un venire nel modo universale della presenza del Risorto, in cui Egli è presente ieri, oggi ed in eterno; in cui abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. Ora può oltrepassare anche il muro dell’alterità che separa l’io dal tu. Questo è avvenuto con Paolo, il quale descrive il processo della sua conversione e del suo Battesimo con le parole: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Mediante la venuta del Risorto, Paolo ha ottenuto un’identità nuova. Il suo io chiuso si è aperto. Ora vive in comunione con Gesù Cristo, nel grande io dei credenti che sono divenuti – come egli definisce tutto ciò – "uno in Cristo" (Gal 3, 28).
Cari amici, così appare evidente, che le parole misteriose di Gesù nel Cenacolo ora – mediante il Battesimo – si rendono per voi di nuovo presenti. Nel Battesimo il Signore entra nella vostra vita per la porta del vostro cuore. Noi non stiamo più uno accanto all’altro o uno contro l’altro. Egli attraversa tutte queste porte. È questa la realtà del Battesimo: Egli, il Risorto, viene, viene a voi e congiunge la vita sua con quella vostra, tenendovi dentro al fuoco aperto del suo amore. Voi diventate un’unità, sì, una cosa sola con Lui, e così una cosa sola tra di voi. In un primo momento questo può sembrare assai teorico e poco realistico. Ma quanto più vivrete la vita da battezzati, tanto più potrete sperimentare la verità di questa parola. Le persone battezzate e credenti non sono mai veramente estranee l’una per l’altra. Possono separarci continenti, culture, strutture sociali o anche distanze storiche. Ma quando ci incontriamo, ci conosciamo in base allo stesso Signore, alla stessa fede, alla stessa speranza, allo stesso amore, che ci formano. Allora sperimentiamo che il fondamento delle nostre vite è lo stesso. Sperimentiamo che nel più profondo del nostro intimo siamo ancorati alla stessa identità, a partire dalla quale tutte le diversità esteriori, per quanto grandi possano anche essere, risultano secondarie. I credenti non sono mai totalmente estranei l’uno all’altro. Siamo in comunione a causa della nostra identità più profonda: Cristo in noi. Così la fede è una forza di pace e di riconciliazione nel mondo: è superata la lontananza, nel Signore siamo diventati vicini (cfr Ef 2, 13).
Questa intima natura del Battesimo come dono di una nuova identità viene rappresentata dalla Chiesa nel Sacramento mediante elementi sensibili. L’elemento fondamentale del Battesimo è l’acqua; accanto ad essa c’è in secondo luogo la luce che, nella Liturgia della Veglia Pasquale, emerge con grande efficacia. Gettiamo solo uno sguardo su questi due elementi. Nel capitolo conclusivo della Lettera agli Ebrei si trova un’affermazione su Cristo, nella quale l’acqua non compare direttamente, ma che, per il suo collegamento con l’Antico Testamento, lascia tuttavia trasparire il mistero dell’acqua e il suo significato simbolico. Là si legge: "Il Dio della pace ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore in virtù del sangue di un’alleanza eterna" (cfr 13, 20). In questa frase echeggia una parola del Libro di Isaia, nella quale Mosè viene qualificato come il pastore che il Signore ha fatto uscire dall’acqua, dal mare (cfr 63, 11). Gesù appare come il nuovo Pastore, quello definitivo che porta a compimento ciò che Mosè aveva fatto: Egli ci conduce fuori dalle acque mortifere del mare, fuori dalle acque della morte. Possiamo in questo contesto ricordarci che Mosè dalla madre era stato messo in un cestello e deposto nel Nilo. Poi, per la provvidenza di Dio, era stato tirato fuori dall’acqua, portato dalla morte alla vita, e così – salvato egli stesso dalle acque della morte – poteva condurre gli altri facendoli passare attraverso il mare della morte. Gesù è per noi disceso nelle acque oscure della morte. Ma in virtù del suo sangue, ci dice la Lettera agli Ebrei, è stato fatto tornare dalla morte: il suo amore si è unito a quello del Padre e così dalla profondità della morte Egli ha potuto salire alla vita. Ora eleva noi dalla morte alla vita vera. Sì, è ciò che avviene nel Battesimo: Egli ci tira su verso di sé, ci attira dentro la vera vita. Ci conduce attraverso il mare spesso così oscuro della storia, nelle cui confusioni e pericoli non di rado siamo minacciati di sprofondare. Nel Battesimo ci prende come per mano, ci conduce sulla via che passa attraverso il Mar Rosso di questo tempo e ci introduce nella vita duratura, in quella vera e giusta. Teniamo stretta la sua mano! Qualunque cosa succeda o ci venga incontro, non abbandoniamo la sua mano! Camminiamo allora sulla via che conduce alla vita.
In secondo luogo c’è il simbolo della luce e del fuoco. Gregorio di Tours racconta di un’usanza che qua e là si è conservata a lungo, di prendere per la celebrazione della Veglia Pasquale il fuoco nuovo per mezzo di un cristallo direttamente dal sole: si riceveva, per così dire, luce e fuoco nuovamente dal cielo per accendere poi da essi tutte le luci e i fuochi dell’anno. È questo un simbolo di ciò che celebriamo nella Veglia Pasquale. Con la radicalità del suo amore, nel quale il cuore di Dio e il cuore dell’uomo si sono toccati, Gesù Cristo ha veramente preso la luce dal cielo e l’ha portata sulla terra – la luce della verità e il fuoco dell’amore che trasforma l’essere dell’uomo. Egli ha portato la luce, ed ora sappiamo chi è Dio e come è Dio. Così sappiamo anche come stanno le cose riguardo all’uomo; che cosa siamo noi e per che scopo esistiamo. Venir battezzati significa che il fuoco di questa luce viene calato giù nel nostro intimo. Per questo, nella Chiesa antica il Battesimo veniva chiamato anche il Sacramento dell’illuminazione: la luce di Dio entra in noi; così diventiamo noi stessi figli della luce. Questa luce della verità che ci indica la via, non vogliamo lasciare che si spenga. Vogliamo proteggerla contro tutte le potenze che intendono estinguerla per rigettarci nel buio su Dio e su noi stessi. Il buio, di tanto in tanto, può sembrare comodo. Posso nascondermi e passare la mia vita dormendo. Noi però non siamo chiamati alle tenebre, ma alla luce. Nelle promesse battesimali accendiamo, per così dire, nuovamente anno dopo anno questa luce: sì, credo che il mondo e la mia vita non provengono dal caso, ma dalla Ragione eterna e dall’Amore eterno, sono creati dal Dio onnipotente. Sì, credo che in Gesù Cristo, nella sua incarnazione, nella sua croce e risurrezione si è manifestato il Volto di Dio; che in Lui Dio è presente in mezzo a noi, ci unisce e ci conduce verso la nostra meta, verso l’Amore eterno. Sì, credo che lo Spirito Santo ci dona la Parola di verità ed illumina il nostro cuore; credo che nella comunione della Chiesa diventiamo tutti un solo Corpo col Signore e così andiamo incontro alla risurrezione e alla vita eterna. Il Signore ci ha donato la luce della verità. Questa luce è insieme anche fuoco, forza da parte di Dio, una forza che non distrugge, ma vuole trasformare i nostri cuori, affinché noi diventiamo veramente uomini di Dio e affinché la sua pace diventi operante in questo mondo.
Nella Chiesa antica c’era la consuetudine, che il Vescovo o il sacerdote dopo l’omelia esortasse i credenti esclamando: "Conversi ad Dominum" – volgetevi ora verso il Signore. Ciò significava innanzitutto che essi si volgevano verso Est – nella direzione del sorgere del sole come segno del Cristo che torna, al quale andiamo incontro nella celebrazione dell’Eucaristia. Dove, per qualche ragione, ciò non era possibile, essi in ogni caso si volgevano verso l’immagine di Cristo nell’abside o verso la Croce, per orientarsi interiormente verso il Signore. Perché, in definitiva, si trattava di questo fatto interiore: della conversio, del volgersi della nostra anima verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente, verso la luce vera. Era collegata con ciò poi l’altra esclamazione che ancora oggi, prima del Canone, viene rivolta alla comunità credente: "Sursum corda" – in alto i cuori, fuori da tutti gli intrecci delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angosce, della nostra distrazione – in alto i vostri cuori, il vostro intimo! In ambedue le esclamazioni veniamo in qualche modo esortati ad un rinnovamento del nostro Battesimo: Conversi ad Dominum – sempre di nuovo dobbiamo distoglierci dalle direzioni sbagliate, nelle quali ci muoviamo così spesso con il nostro pensare ed agire. Sempre di nuovo dobbiamo volgerci verso di Lui, che è la Via, la Verità e la Vita. Sempre di nuovo dobbiamo diventare dei "convertiti", rivolti con tutta la vita verso il Signore. E sempre di nuovo dobbiamo lasciare che il nostro cuore sia sottratto alla forza di gravità, che lo tira giù, e sollevarlo interiormente in alto: nella verità e l’amore. In questa ora ringraziamo il Signore, perché in virtù della forza della sua parola e dei santi Sacramenti Egli ci orienta nella direzione giusta e attrae verso l’alto il nostro cuore. E lo preghiamo così: Sì, Signore, fa che diventiamo persone pasquali, uomini e donne della luce, ricolmi del fuoco del tuo amore. Amen.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


Il Papa: «La risurrezione è un evento d’amore»

«Resurrexi, et adhuc tecum sum. Alleluia! – Sono risorto, sono sempre con te. Alleluia!». Cari fratelli e sorelle, Gesù crocifisso e risorto ci ripete oggi quest’annuncio di gioia: è l’annuncio pasquale. Accogliamolo con intimo stupore e gratitudine!
«Resurrexi et adhuc tecum sum – Sono risorto e sono ancora e sempre con te». Queste parole, tratte da un’antica versione del Salmo 138 (v. 18b), risuonano all’inizio dell’odierna Santa Messa. In esse, al sorgere del sole di Pasqua, la Chiesa riconosce la voce stessa di Gesù che, risorgendo da morte, si rivolge al Padre colmo di felicità e d’amore ed esclama: Padre mio, eccomi! Sono risorto, sono ancora con te e lo sarò per sempre; il tuo Spirito non mi ha mai abbandonato. Possiamo così comprendere in modo nuovo anche altre espressioni del Salmo: «Se salgo in cielo, là tu sei, / se scendo negli inferi, eccoti. / ... / Nemmeno le tenebre per te sono oscure, / e la notte è chiara come il giorno; / per te le tenebre sono come luce» ( Sal 138, 8.12).
È vero: nella solenne veglia di Pasqua le tenebre diventano luce, la notte cede il passo al giorno che non conosce tramonto. La morte e risurrezione del Verbo di Dio incarnato è un evento di amore insuperabile, è la vittoria dell’Amore che ci ha liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. Ha cambiato il corso della storia, infondendo un indelebile e rinnovato senso e valore alla vita dell’uomo.
«Sono risorto e sono ancora e sempre con te». Queste parole ci invitano a contemplare Cristo risorto, facendone risuonare nel nostro cuore la voce. Con il suo sacrificio redentore Gesù di Nazareth ci ha resi figli adottivi di Dio, così che ora possiamo inserirci anche noi nel dialogo misterioso tra Lui e il Padre. Ritorna alla mente quanto un giorno Egli ebbe a dire ai suoi ascoltatori: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).
In questa prospettiva, avvertiamo che l’affermazione rivolta oggi da Gesù risorto al Padre, – «Sono ancora e sempre con te» – riguarda come di riflesso anche noi, «figli di Dio e coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare alla sua gloria » (cfr Rm 8,17).
Grazie alla morte e risurrezione di Cristo, pure noi quest’oggi risorgiamo a vita nuova, ed unendo la nostra alla sua voce proclamiamo di voler restare per sempre con Dio, Padre nostro infinitamente buono e misericordioso. Entriamo così nella profondità del mistero pasquale.
L’evento sorprendente della risurrezione di Gesù è essenzialmente un evento d’amore: amore del Padre che consegna il Figlio per la salvezza del mondo; amore del Figlio che si abbandona al volere del Padre per tutti noi; amore dello Spirito che risuscita Gesù dai morti nel suo corpo trasfigurato. Ed ancora: amore del Padre che «riabbraccia» il Figlio avvolgendolo nella sua gloria; amore del Figlio che con la forza dello Spirito ritorna al Padre rivestito della nostra umanità trasfigurata.
Dall’odierna solennità, che ci fa rivivere l’esperienza assoluta e singolare della risurrezione di Gesù, ci viene dunque un appello a convertirci all’amore; ci viene un invito a vivere rifiutando l’odio e l’egoismo e a seguire docilmente le orme dell’agnello immolato per la nostra salvezza, a imitare il Redentore «mite e umile di cuore», che è «ristoro per le nostre anime» (cfr Mt 11,29).
Fratelli e sorelle cristiani di ogni parte del mondo, uomini e donne di animo sinceramente aperto alla verità! Che nessuno chiuda il cuore all’onnipotenza di questo amore che redime! Gesù Cristo è morto e risorto per tutti: Egli è la nostra speranza! Speranza vera per ogni essere umano. Oggi, come fece con i suoi discepoli in Galilea prima di tornare al Padre, Gesù risorto invia anche noi dappertutto come testimoni della sua speranza e ci rassicura: Io sono con voi sempre, tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20).
Fissando lo sguardo dell’animo nelle piaghe gloriose del suo corpo trasfigurato, possiamo capire il senso e il valore della sofferenza, possiamo lenire le tante ferite che continuano ad insanguinare l’umanità anche ai nostri giorni. Nelle sue piaghe gloriose riconosciamo i segni indelebili della misericordia infinita del Dio di cui parla il profeta: Egli è colui che risana le ferite dei cuori spezzati, che difende i deboli e proclama la libertà degli schiavi, che consola tutti gli afflitti e dispensa loro olio di letizia invece dell’abito da lutto, un canto di lode invece di un cuore mesto (cfr Is 61,1.2.3). Se con umile confidenza ci accostiamo a Lui, incontriamo nel suo sguardo la risposta all’anelito più profondo del nostro cuore: conoscere Dio e stringere con Lui una relazione vitale, che colmi del suo stesso amore la nostra esistenza e le nostre relazioni interpersonali e sociali.
Per questo l’umanità ha bisogno di Cristo: in Lui, nostra speranza, «noi siamo stati salvati» (cfr Rm 8,24). Quante volte le relazioni tra persona e persona, tra gruppo e gruppo, tra popolo e popolo, invece che dall’a-more, sono segnate dall’egoismo, dall’ingiustizia, dall’odio, dalla violenza! Sono le piaghe dell’umanità, aperte e doloranti in ogni angolo del pianeta, anche se spesso ignorate e talvolta volutamente nascoste; piaghe che straziano anime e corpi di innumerevoli nostri fratelli e sorelle.
Esse attendono di essere lenite e guarite dalle piaghe gloriose del Signore risorto (cfr 1 Pt 2,24-25) e dalla solidarietà di quanti, sulle sue orme e in suo nome, pongono gesti d’amore, si impegnano fattivamente per la
giustizia e spargono intorno a sé segni luminosi di speranza nei luoghi insanguinati dai conflitti e dovunque la dignità della persona umana continua ad essere vilipesa e conculcata. L’auspicio è che proprio là si moltiplichino le testimonianze di mitezza e di perdono!
Cari fratelli e sorelle, lasciamoci illuminare dalla luce sfolgorante di questo giorno solenne; apriamoci con sincera fiducia a Cristo risorto, perché la forza rinnovatrice del Mistero pasquale si manifesti in ciascuno di noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre città e nelle nostre Nazioni. Si manifesti in ogni parte del mondo. Come non pensare in questo momento, in particolare, ad alcune regioni africane, quali il Darfur e la Somalia, al martoriato Medio Oriente, e specialmente alla Terra Santa, all’Iraq, al Libano, e infine al Tibet, regioni per le quali incoraggio la ricerca di soluzioni che salvaguardino il bene e la pace! Invochiamo la pienezza dei doni pasquali, per intercessione di Maria che, dopo aver condiviso le sofferenze della passione e cro-cifissione del suo Figlio innocente, ha sperimentato anche la gioia inesprimibile della sua risurrezione. Associata alla gloria di Cristo, sia Lei a proteggerci e a guidarci sulla via della fraterna solidarietà e della pace. Sono questi i miei auguri pasquali, che rivolgo a voi qui presenti e agli uomini e alle donne di ogni nazione e continente a noi uniti attraverso la radio e la televisione. Buona Pasqua!
Benedetto XVI


Da Santoro l’aborto diventa come la prostata
La Bonino, capolista del Pd, paragona la gravidanza a una malattia e processa chi vuole tutelare la maternità…
di Renato Farina

Questo articolo è un tardivo omaggio alla fantasia perversa di una donna che stimavo. Emma Bonino (ma ho capito giusto? mi pare impossibile) mentre si parlava di quella strana cosa che a un certo punto cresce nel ventre di una donna e alla quale dopo un po' di tempo si mette un golfino, mentre insomma si discuteva di bambini non ancora nati ha detto: prostata. Levarsi di dosso una creatura, buttarla nell'immondezzaio, è tale e quale che occuparsi di una prostata. Mi è tornato in mente Marco Pannella. In una discussione pubblica, cui mi aveva invitato a Rimini, sostenne che un feto, uno zigote (lui chiama così i bambini quando non si sentono piangere perché immersi nelle acque materne) è meno di un foruncolo. La 194 si intitola: "Norme per la tutela della maternità e l'interruzione volontaria della gravidanza". Perché usare parole così? Perché non inserire in questa legge la parola prostata e foruncolo? Si potrebbe utilmente cambiare il nome alla legge e renderla più realistica. Così: "Norme per la tutela della prostata e dei foruncoli e per la loro volontaria eliminazione". I bambini come ghiandole, la gravidanza come malattia. Per questo poi la società muore, diventa vecchia, si isterilisce. Fa impressione che accada sotto Pasqua. E stupisce come questa cultura di tipo prostatico e foruncolare oggi sia il nerbo - al di là di discorsi e distinguo - del Partito democratico e della sinistra in generale. La Bonino è capolista del Partito democratico. Non una presenza generica, un ospite con cui si stabilisce un patto di reciproca convenienza, ma una bandiera preziosa. Capolista, olè, avanti prostata. Il tutto è avvenuto ad "Anno zero" di Michele Santoro e Marco Travaglio. Santoro è stato eurodeputato dell'Ulivo. La sua trasmissione è la punta di lancia della sinistra. Travaglio ne è il bazooka cattolico. La trasmissione di giovedì ha mostrato in azione quale sia l'idea di che cosa sia il nascere e quali siano i nemici della vita e del bene di questo popolo che ha in Santoro e Travaglio i suoi campioni. Di solito si dice: i temi etici. Io rifuggo dalla parola "etica". L'etica è la filosofia morale, detta le norme dei comportamenti, del dover essere. Qui siamo prima. Siamo alla concezione dell'essere uomini, al valore stesso dell'esistenza, del nostro e altrui respirare. Santoro e Travaglio dovevano occuparsi di aborto. Hanno invece fatto un processo a chi cerca di applicare la legge nel suo punto essenziale: la tutela della maternità. Con livelli di ignoranza che denotano l'ideologizzazione del tema: Santoro non sa la differenza tra pillola del giorno dopo e Ru486, ma allora di che parla? Il cattolico Travaglio nella puntata sull'aborto se l'è presa con i ciellini e la sanità lombarda. Nessuna pietà per i bambini abortiti, ma solita copiatura di sentenze per screditare chi, povero ingenuo, ritiene che la vita vada tutelata sin dal primo istante di concepimento. Questa è la Rai in tempo elettorale. Formigoni è intervenuto al telefono dopo che si è cercato di affondare la sanità della Lombardia che è la migliore d'Europa (chiedere pure a Umberto Veronesi), e Santoro irritato lo ha zittito. Intanto Franca Rame ha spiegato che il Papa e Ferrara devono tacere, l'aborto è una faccenda solo delle donne. Un po' - direbbe Emma Bonino - come la prostata per gli uomini. Mi domando ancora se ho capito giusto. Amici mi confermano. Sul sito internet di "Anno zero" ho cercato di rivedere la puntata. Non c'è ancora. In compenso in questo sito pagato dalla Rai la prima notizia in grande è questa, ma a caratteri maiuscoli: "Intervento della Corte dei Conti. Dirigenti Rai richiamati per la vicenda Santoro". Testo: «I dirigenti della Rai Antonio Marano e Agostino Saccà hanno ricevuto dal Sostituto Procuratore Regionale della Corte dei Conti Angelo Canale un "invito a dedurre" sul mancato impiego, nel periodo dal 2002 al 2005, dei giornalisti Michele Santoro e Sandro Ruotolo». Come dire: provate a toccarci, la pagherete, la magistratura è con noi. Ma sapete, cari Santoro e Travaglio, che l'avevamo sospettato?
LIBERO 22 marzo 2008


La resurrezione di Cristo. In Inghilterra la studiano. Da noi se la dimenticano
La Bbc riapre il dibattito sulla data del lenzuolo sacro. Raiuno invece dice che Gesù morì ateo. E Gad Lerner lo tratta peggio di Colaninno…
di Antonio Socci

Oggi, in Gran Bretagna, la Bbc trasmetterà l'an nunciatissimo film-inchiesta sulla Sindone intitolato "Shroud of Turin. A conflict of evidence" con cui si riaprirà tutto il dossier relativo all'ana lisi al C14 fatta nel 1988. Tali e tante sono le scoperte e gli studi che, grazie ai più elaborati mezzi tecnico-scientifici, hanno dimostrato la fallacia di quella datazione medievale e la provenienza del Lenzuolo, con certezza, dalla Giudea e dal I secolo d.C., che pure il professor Christopher Ramsey, direttore del laboratorio di Oxford che fece quelle analisi, dichiara: «i miei colleghi potrebbero essersi sbagliati». E ora intende riaprire la questione per capire quali elementi possano aver falsato i risultati. Siamo solo agli inizi di un clamoroso ristabilimento della verità. Ma intanto sui mass media italiani dilagano ignoranza e pregiudizio. Un certo anticristianesimo si taglia a fette. Mercoledì puntata dell'Infedele dedicata alla Resurrezione di Cristo (senza la presenza di alcun cattolico convinto che spiegasse i motivi razionali per cui i cristiani sono certi di essa). Mi sono chiesto se sarebbe mai possibile fare una cosa simile contro altri gruppi religiosi. Ovviamente no: solo contro la Chiesa si può. Cosa si crede, questo Gesù? Mica è il figlio di Colaninno! Lerner, che pure ha sempre avuto importanti supporter nel mondo clericale, troverà mai il coraggio per dedicare una puntata - poniamo - alla credibilità di Maometto e del Corano, con lo stesso approccio? Non credo, i musulmani vanno trattati in guanti bianchi (un po' come Colaninno). I cristiani no. Eppure chiederebbero solo di essere ascoltati. Con lealtà e desiderio di capire. Come tutti. Forse il mio collega Gad, prima di mettersi ad attaccare la religione degli altri (il cattolicesimo che non conosce e che è cosa complessa e profonda), dovrebbe almeno studiare bene la propria. Lo dico perché tempo fa, parlando proprio con lui di questi temi, evocai distrattamente un libro di Elia Benamozegh e mi sentii dire: «E chi è?». Mi stupii. Un importante giornalista che si propone come intellettuale di cultura ebraica e tratta questioni religiose, ma non conosce neanche l'esistenza di Benamozegh - uno dei grandi maestri dell'ebraismo italiano, biblista, cabbalista e filosofo della religione - è come un intellettuale cattolico che si occupasse di cose religiose, ma non avesse mai sentito parlare di Antonio Rosmini o di Jacques Maritain o di Karl Rahner. Chissà perché sul cattolicesimo (o meglio: contro) tutti sentono di poter pontificare. Un tizio, che non nomino perché cerca pubblicità facendo l'ateo di professione, in un importante programma di Rai 1, giorni fa disse ridacchiando che Gesù morì ateo come lui dal momento che sulla croce gridò «Padre, perché mi hai abbandonato?». Che dire? Superficialità? Rozzezza? Fate voi. Ieri un giornalista che stimo, Francesco Merlo, firmando sulla Repubblica un editoriale sull'eutanasia (dove citava i casi di Chantal Sébire e di Hugo Claus), ha concluso così: «"Padre, perché mi hai abbandonato?", chiese Cristo che troppo soffriva sulla croce e che perciò, come Claus e come la signora Sébire, voleva morire. Fu così elegante e discreta la risposta del Padre che nessuno l'ha mai saputa». A dire il vero la risposta del Padre fu la Resurrezione di suo Figlio e ancora oggi, dopo 2000 anni, ne stiamo parlando come l'avvenimento centrale della storia umana. La notizia delle notizie. L'unica speranza. Ma una frase che Merlo ha scritto è profondamente vera, in modo diverso da come lui la intendeva. È vero: Gesù voleva morire. Anzi, desiderava ardentemente morire: per noi, per me e te, al posto nostro. Era venuto per questo. Per riscattarci dalla schiavitù del male dando se stesso in pasto alla belva. Lo ha detto lui stesso ai suoi amici (Lc 22, 15-18). Desiderava con tutto il cuore donarsi, non chiedere l'eutanasia durante il supplizio: ha desiderato soffrire (per noi), non abbreviare le sofferenze con l'eutanasia. Ha dato il suo corpo ai macellai di Satana per mostrarci il suo amore smisurato, folle, senza eguali e prendere su di sé i nostri pesi e le nostre colpe. Per espiare al posto mio e tuo. Infatti poteva benissimo sfuggire all'arresto e invece restò nel Getsemani dove si consegnò docilmente e volontariamente ai suoi macellai. Inoltre poteva benissimo abbandonarsi alla morte durante uno dei tanti supplizi a cui fu sottoposto per abbreviare le sofferenze. Per esempio, da quella bestiale flagellazione che devastò il 70 per cento della sua carne (come rivela la Sindone), nessuno usciva vivo. Invece lui, con una forza sovrumana, volle resistere per bere fino in fondo tutto il calice. Per portare tutto l'insopportabile. E le parole citate da Merlo, («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato»), che certo mostrano come abbia preso su di sé anche tutto il senso di abbandono che tanti esseri umani soffrono nell'esistenza, sono l'inizio di una preghiera: Gesù stava cercando di recitare il Salmo 21, un salmo dove era stato profetizzato, secoli prima degli eventi, precisamente tutto quello che fu fatto a lui quel 7 aprile dell'anno 30. Oggi possiamo leggerlo ed è stupefacente vedere come la profezia messianica lì contenuta si sia realizzata alla lettera: si parla del Messia che sarà ridotto a «obbrobrio», sarà «disprezzato», schernito, non avrà aiuti mentre sarà circondato da un branco di cani, gli grideranno insulti, slogando le sue ossa. Addirittura il Salmo profetizza esattamente che tipo di supplizio avrebbe subito il Messia: «hanno trafitto le mie mani e i miei piedi». Crocifisso. Vi si legge perfino: «si sono divisi le mie vesti, tirandole a sorte». Pregando con quel Salmo, Gesù tentò fino all'ultimo di aprire gli occhi ai presenti: si stava compiendo tutto quello che era stato profetizzato. Come tutte le altre 300 profezie della Scrittura si erano tutte adempiute alla lettera nella sua vita. Inoltre quel Salmo si conclude preannunciando la resurrezione e il Regno di Dio che, da Israele, si estenderà «fino ai confini della terra». Precisamente ciò che si sta compiendo da duemila anni. Grazie alla testimonianza di coloro che lo hanno visto risorto e hanno anche toccato con mano quelle ferite. E che sono stati pronti a testimoniare queste fatti anche a costo del martirio (per una balla non ci si fa ammazzare). Ma anche noi possiamo continuare a toccare con mano come l'incredulo Tommaso. Non abbiamo avuto forse davanti agli occhi per 50 anni le stigmate di padre Pio, studiatissime da fior di medici e giudicate scientificamente inspiegabili? E non abbiamo visto la quantità enorme di prodigi e grazie che da quelle stigmate del santo sono piovute su migliaia di persone? E potremmo aggiungere altri stigmatizzati del nostro tempo come Gemma Galgani o Marthe Robin per dirne solo alcune. Del resto di Gesù vivo e operante è possibile fare esperienza, per grazia, nella quotidiana vita della Chiesa. Come diceva don Giussani: «vieni e vedi». La proposta della Chiesa è tutta qui: toccate con mano come Tommaso. Anche certi segni straordinari, come la Sindone, ci parlano. La scienza ci dà alcune certezze su di essa che solo oggi è stato possibile acquisire con i moderni mezzi di indagine:
1) quel telo ha sicuramente avvolto un corpo morto;
2) quel corpo non è stato dentro al telo per più di 40 ore perché non c'è traccia di putrefazione;
3) dal telo non è stato tolto, ma è come se lo avesse trapassato non essendovi alterazione alcuna delle macchie di sangue (è esattamente la caratteristica che aveva il corpo di Gesù risorto che secondo i Vangeli entrò nel cenacolo nonostante le porte fossero sbarrate).
Infine resta da spiegare quell'immagine impressa sul telo. È un enigma. Si parla di un lampo misterioso, una fonte di energia sconosciuta proveniente dal corpo stesso: la Resurrezione!
www.antoniosocci.it
LIBERO 22 marzo 2008



Magdi Allam - La mia scelta - «Approdo di un lungo cammino - Decisivo l’incontro con il Papa»Corriere della sera, 23 marzo 2008

Caro Direttore, ciò che ti sto per riferire concerne una mia scelta di fede religiosa e di vita personale che non vuole in alcun modo coinvolgere il Corriere della Sera di cui mi onoro di far parte dal 2003 con la qualifica di vice-direttore ad personam. Ti scrivo pertanto da protagonista della vicenda come privato cittadino. Ieri sera mi sono convertito alla religione cristiana cattolica, rinunciando alla mia precedente fede islamica. Ha così finalmente visto la luce, per grazia divina, il frutto sano e maturo di una lunga gestazione vissuta nella sofferenza e nella gioia, tra la profonda e intima riflessione e la consapevole e manifesta esternazione. Sono particolarmente grato a Sua Santità il Papa Benedetto XVI che mi ha impartito i sacramenti dell’iniziazione cristiana, Battesimo, Cresima ed Eucarestia, nella Basilica di San Pietro nel corso della solenne celebrazione della Veglia Pasquale. E ho assunto il nome cristiano più semplice ed esplicito: «Cristiano».
Da ieri dunque mi chiamo «Magdi Cristiano Allam». Per me è il giorno più bello della vita. Acquisire il dono della fede cristiana nella ricorrenza della Risurrezione di Cristo per mano del Santo Padre è, per un credente, un privilegio ineguagliabile e un bene inestimabile. A quasi 56 anni, nel mio piccolo, è un fatto storico, eccezionale e indimenticabile, che segna una svolta radicale e definitiva rispetto al passato. Il miracolo della Risurrezione di Cristo si è riverberato sulla mia anima liberandola dalle tenebre di una predicazione dove l’odio e l’intolleranza nei confronti del «diverso», condannato acriticamente quale «nemico», primeggiano sull’amore e il rispetto del «prossimo » che è sempre e comunque «persona»; così come la mia mente si è affrancata dall’oscurantismo di un’ideologia che legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia, permettendomi di aderire all’autentica religione della Verità, della Vita e della Libertà. Nella mia prima Pasqua da cristiano io non ho scoperto solo Gesù, ho scoperto per la prima volta il vero e unico Dio, che è il Dio della Fede e Ragione.
Il punto d’approdo
La mia conversione al cattolicesimo è il punto d’approdo di una graduale e profonda meditazione interiore a cui non avrei potuto sottrarmi, visto che da cinque anni sono costretto a una vita blindata, con la vigilanza fissa a casa e la scorta dei carabinieri a ogni mio spostamento, a causa delle minacce e delle condanne a morte inflittemi dagli estremisti e dai terroristi islamici, sia quelli residenti in Italia sia quelli attivi all’estero. Ho dovuto interrogarmi sull’atteggiamento di coloro che hanno pubblicamente emesso delle fatwe, dei responsi giuridici islamici, denunciandomi, io che ero musulmano, come «nemico dell’islam», «ipocrita perché è un cristiano copto che finge di essere musulmano per danneggiare l’islam», «bugiardo e diffamatore dell’islam », legittimando in tal modo la mia condanna a morte. Mi sono chiesto come fosse possibile che chi, come me, si è battuto convintamente e strenuamente per un «islam moderato », assumendosi la responsabilità di esporsi in prima persona nella denuncia dell’estremismo e del terrorismo islamico, sia finito poi per essere condannato a morte nel nome dell’islam e sulla base di una legittimazione coranica. Ho così dovuto prendere atto che, al di là della contingenza che registra il sopravvento del fenomeno degli estremisti e del terrorismo islamico a livello mondiale, la radice del male è insita in un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale.
Parallelamente la Provvidenza mi ha fatto incontrare delle persone cattoliche praticanti di buona volontà che, in virtù della loro testimonianza e della loro amicizia, sono diventate man mano un punto di riferimento sul piano della certezza della verità e della solidità dei valori. A cominciare da tanti amici di Comunione e Liberazione con in testa don Juliàn Carròn; a religiosi semplici quali don Gabriele Mangiarotti, suor Maria Gloria Riva, don Carlo Maurizi e padre Yohannis Lahzi Gaid; alla riscoperta dei salesiani grazie a don Angelo Tengattini e don Maurizio Verlezza culminata in una rinnovata amicizia con il Rettore maggiore Don Pascual Chavez Villanueva; fino all’abbraccio di alti prelati di grande umanità quali il cardinale Tarcisio Bertone, monsignor Luigi Negri, Giancarlo Vecerrica, Gino Romanazzi e, soprattutto, monsignor Rino Fisichella che mi ha personalmente seguito nel percorso spirituale di accettazione della fede cristiana. Ma indubbiamente l’incontro più straordinario e significativo nella decisione di convertirmi è stato quello con il Papa Benedetto XVI, che ho ammirato e difeso da musulmano per la sua maestria nel porre il legame indissolubile tra fede e ragione come fondamento dell’autentica religione e della civiltà umana, e a cui aderisco pienamente da cristiano per ispirarmi di nuova luce nel compimento della missione che Dio mi ha riservato.
La scelta e le minacce
Caro Direttore, mi hai chiesto se io non tema per la mia vita, nella consapevolezza che la conversione al cristianesimo mi procurerà certamente un’ennesima, e ben più grave, condanna a morte per apostasia. Hai perfettamente ragione. So a cosa vado incontro ma affronterò la mia sorte a testa alta, con la schiena dritta e con la solidità interiore di chi ha la certezza della propria fede. E lo sarò ancor di più dopo il gesto storico e coraggioso del Papa che, sin dal primo istante in cui è venuto a conoscenza del mio desiderio, ha subito accettato di impartirmi di persona i sacramenti d’iniziazione al cristianesimo. Sua Santità ha lanciato un messaggio esplicito e rivoluzionario a una Chiesa che finora è stata fin troppo prudente nella conversione dei musulmani, astenendosi dal fare proselitismo nei Paesi a maggioranza islamica e tacendo sulla realtà dei convertiti nei Paesi cristiani. Per paura. La paura di non poter tutelare i convertiti di fronte alla loro condanna a morte per apostasia e la paura delle rappresaglie nei confronti dei cristiani residenti nei Paesi islamici. Ebbene oggi Benedetto XVI, con la sua testimonianza, ci dice che bisogna vincere la paura e non avere alcun timore nell’affermare la verità di Gesù anche con i musulmani.
Basta con la violenza
Dal canto mio dico che è ora di porre fine all’arbitrio e alla violenza dei musulmani che non rispettano la libertà di scelta religiosa. In Italia ci sono migliaia di convertiti all’islam che vivono serenamente la loro nuova fede. Ma ci sono anche migliaia di musulmani convertiti al cristianesimo che sono costretti a celare la loro nuova fede per paura di essere assassinati dagli estremisti islamici che si annidano tra noi. Per uno di quei «casi» che evocano la mano discreta del Signore, il mio primo articolo scritto sul Corriere il 3 settembre 2003 si intitolava «Le nuove catacombe degli islamici convertiti». Era un’inchiesta su alcuni neo-cristiani che in Italia denunciavano la loro profonda solitudine spirituale ed umana, di fronte alla latitanza delle istituzioni dello Stato che non tutelano la loro sicurezza e al silenzio della stessa Chiesa. Ebbene mi auguro che dal gesto storico del Papa e dalla mia testimonianza traggano il convincimento che è arrivato il momento di uscire dalle tenebre dalle catacombe e di affermare pubblicamente la loro volontà di essere pienamente se stessi. Se non saremo in grado qui in Italia, nella culla del cattolicesimo, a casa nostra, di garantire a tutti la piena libertà religiosa, come potremmo mai essere credibili quando denunciamo la violazione di tale libertà altrove nel mondo? Prego Dio affinché questa Pasqua speciale doni la risurrezione dello spirito a tutti i fedeli in Cristo che sono stati finora soggiogati dalla paura.


IL VESCOVO PER IL DALAI LAMA
Il Vescovo di San Marino e Montefeltro, Mons. Luigi Negri: "Il Dalai Lama mi ha confidato più volte che due posti ha nel cuore in Italia: la Sede di Pietro e la Chiesa di Pennabilli, e noi vorremmo poter sostenere questo cammino terribile a cui viene sottoposto un popolo straordinariamente colto e pacifico"


Pennabilli è assai vicina al Tibet ed al Dalai Lama Tenzin Gyatso che è venuto fin quassù per ben due volte a visitare la casa natale del Padre Cappuccino P.Orazio Olivieri della Penna, il 15 giugno 1994, in occasione dei 250 anni della sua morte e il 30 luglio 2005 per l’inaugurazione della Campana di Lhasa. Padre Orazio fu a lungo missionario in Tibet, figura assai amata in quella terra; nato a Pennabilli nel 1680, il Cappuccino si fermò nella terra dei Lama, e precisamente, a Lhasa dal 1712 al 1745; oltre ad una grande attività missionaria, apprezzata e non ostacolata dalle autorità religiose tibetane, P.Orazio al quale era stato dato il nome di 'Lama testa bianca', compose anche il primo vocabolario tibetano-italiano con ben 33.000 caratteri.

"Il Dalai Lama mi ha confidato più volte che due posti ha nel cuore in Italia: la Sede di Pietro e la Chiesa di Pennabilli - esordisce il Vescovo di San Marino e Montefeltro Mons. Luigi Negri - e noi vorremmo poter sostenere questo cammino terribile a cui viene sottoposto un popolo straordinariamente colto e pacifico, sottoposto da decenni ad una dominazione da una potenza che non aveva nessun diritto di occupare il Tibet e che lo occupa e lo impoverisce in dispregio delle norme del diritto internazionale".

Accanto a molti che sostengono la necessità di boicottare le Olimpiadi, sono tanti anche quelli che dicono il contrario: "Torno a ripetere che noi ci auguriamo, anche se le speranze sono poche, data la povertà delle classi politiche in occidente, che le Olimpiadi di Pechino vengano boicottate dai popoli civili. Le Olimpiadi di Pechino grondano sangue e non solo del sangue dei monaci e dei civili tibetani che sono stati uccisi in queste ultime 48 ore e che sono infinitamente più vaste di quelle che l’ipocrisia del regime di Pechino dice. C’è da noi l’abitudine di leggere soltanto quotidiani laicisti che si guardano bene dal dire quello che succede in Tibet. Se venisse letto, qualche volta, anche il quotidiano cattolico Avvenire si avrebbe la possibilità di conoscere straordinarie testimonianze del più intelligente sinologo che abbiamo in Italia, Padre Bernardo Cervellera che documenta, puntualmente, di questa cosa abominevole che è questo regime che unisce tecnologia e barbarie".

Monsignor Luigi Negri torna, infine, sul tema delle prossime Olimpiadi di Pechino aggiungendo che queste "Grondano del sangue di migliaia e migliaia di operai che hanno costruito, in situazioni di assoluta insicurezza, queste enormi costruzioni che debbono gridare al mondo il dominio del capitale comunista; delle migliaia e migliaia di cittadini espulsi dalle loro case abbattute per creare stadi, alberghi e strade e che hanno trovato la morte di fame e di stenti nella periferia di Pechino".


Magdi Allam: "Non c'è un islam moderato"
Di Eleonora Barbieri
Il Giornale
25 Marzo 2008
Ora è Magdi Cristiano Allam, ed è una svolta «radicale e definitiva». La conversione è rottura dei ponti con il passato: «Quando credevo che potesse esistere un islam moderato». Scrittore e giornalista, vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, Magdi Allam è diventato cattolico la notte di Pasqua, quando Benedetto XVI l’ha battezzato con le sue mani in san Pietro.
Come è cambiata la sua vita da sabato? «È cambiata la gioia interiore che provo dentro di me, il senso di assoluta sintonia fra i valori in cui ho sempre creduto e il contesto spirituale, culturale e sociale del cattolicesimo a cui ho aderito. Mi sento forte e determinato nel mio percorso per affermare la verità, la vita e la libertà».
A quali valori si riferisce? «Quelli assoluti, universali, che rappresentano l’essenza della nostra umanità e che devono essere la base inconfutabile del dialogo».
Un esempio? «Se il dialogo si limita a una dissertazione su ciò che dicono il Corano, il Vangelo o l’Antico Testamento, o a una verifica se il Dio di una religione corrisponda a quello delle altre, allora non si potrà realizzare alcuna civiltà comune dell’uomo. La grandezza di Benedetto XVI è quella di aver affermato che, se parti dai valori inconfutabili che sono l’essenza della nostra umanità e ti accerti che su tali principi ci sia piena sintonia, allora è possibile avviare un percorso di vero riavvicinamento fra culture e religioni diverse». Nella lettera al Corriere parla di una svolta radicale e definitiva.
Rispetto a che cosa? «Rispetto a un passato dove ho immaginato che ci potesse essere un islam moderato. E in cui credevo si dovesse difendere a tutti i costi una realtà nella sua essenza dottrinale e teologica. Ma ora ho definitivamente rotto i ponti con l’islam e con ciò che costituisce».
In che senso? «Oggi estremismo e terrorismo rappresentano la prima emergenza internazionale e la più grave minaccia alla sicurezza nazionale. Ma penso che l’estremismo si alimenti di una sostanziale ambiguità insita nel Corano e nell’azione concreta svolta da Maometto».
Perciò ha scritto che l’islam è «fisiologicamente violento»? «Il fatto che le efferatezze e le nefandezze dei terroristi trovino una legittimità islamica e coranica obbliga ad approfondire il discorso sulla radice del male. Così ho toccato con mano una realtà incompatibile con quei valori che considero non negoziabili».
Quando è cominciato il percorso di avvicinamento al cattolicesimo? «Sul piano della conoscenza quando avevo 4 anni, al Cairo. Mia madre decise di affidare la mia educazione alle suore comboniane: lì frequentai asilo ed elementari. Alle medie e al liceo studiai dai salesiani dell’istituto Don Bosco. Ho vissuto in collegio: non ho soltanto studiato la Bibbia, ho sperimentato la convivenza con religiosi cattolici e con ragazzi italiani cattolici. E ho apprezzato la testimonianza di chi, attraverso le opere che mirano al bene comune, attesta la propria fede».
Sua madre era religiosa? «Sì, musulmana praticante. Scelse le suore perché credeva che i valori fossero fondamentali. Poi se ne pentì un po’. Perché non ho mai condiviso un certo zelo nel praticare l’islam, ho sempre avuto molta autonomia. È così che mi sono reso conto che il cattolicesimo corrisponde perfettamente ai valori che albergano in me».
Quando è arrivata la svolta? «Cinque anni fa, quando mi sono ritrovato costretto a vivere con la scorta per le minacce degli estremisti. E questo nonostante il mio impegno per diffondere in Italia un islam moderato. Ma questa azione si è rivelata sterile e quelle stesse persone che ritenevo moderate non lo erano affatto: mi sono dovuto ricredere».
La sua conversione è una sconfitta dell’islam moderato? «Non si può parlare di islam moderato ma, piuttosto, di musulmani moderati. Il dialogo è possibile solo con chi, in partenza, aderisce ai valori assoluti. Primo fra tutti la sacralità della vita. È il principio fondamentale: ma la vita è oltraggiata e vilipesa al punto che, per alcuni, come i terroristi suicidi, la massima spiritualità cui ambire è la morte».
Che altro ha influito sulla sua conversione? «Negli ultimi anni ho incontrato molte persone cattoliche di buona volontà. In Comunione e liberazione, in religiosi semplici di grande spiritualità, come suor Maria Gloria Riva e don Gabriele Mangiarotti. Ma il ruolo primario l’ha avuto il Papa, Benedetto XVI».
Perché? «Mi ha convinto della bontà di una religione fondata sull’indissolubilità di fede e ragione. Ha detto che la base per accreditare una religione come vera è l’accettazione dei diritti fondamentali della persona, la sacralità della vita, la libertà di scelta, la parità fra uomo e donna».
Difese il Papa già dopo il discorso di Ratisbona nel 2006. «Sono orgoglioso di averlo difeso, da musulmano. E non l’ho fatto solo per il diritto formale alla libertà di espressione: l’ho sostenuto anche nel merito della sua analisi sull’espansione dell’islam».
Il cammino è stato lungo, ma a un certo punto si sarà detto: «Mi converto». Quando? «Circa un anno fa. Mi sono confidato con monsignor Rino Fisichella, che mi ha seguito nel mio percorso. Un lungo tragitto che ha trovato il culmine sabato sera».
Essere battezzato dal Papa non è da tutti. Che cosa si prova? «Un’emozione fortissima. Sono rimasto teso per tutta la cerimonia. Lo considero il dono più grande che la vita potesse riservarmi».
E le polemiche? «In Italia esistono alcune migliaia di convertiti dal cristianesimo all’islam, e nessuno li ha mai condannati o minacciati. Viceversa, se un musulmano si converte succede il finimondo ed è condannato a morte per apostasia. In Italia ci sono migliaia di convertiti che vivono la loro fede in segreto, per paura di non essere tutelati. Mi sono convertito pubblicamente per dire a queste persone: uscite dalle catacombe, vivete in modo chiaro la vostra fede. Non abbiate paura».
Ha detto che la Chiesa ha paura ad accogliere pubblicamente i convertiti: perché? «La Chiesa teme di non poterli tutelare. E per le rappresaglie che possono subire i cristiani nei Paesi musulmani. Ma è sbagliato: l’estremismo e il terrorismo sono fenomeni di natura aggressiva, non reattiva. Giovanni Paolo II condannò la guerra in Irak: e in Irak i cristiani sono massacrati».
Andrà a Messa. Ha paura? «Purtroppo vivo sotto scorta da 5 anni: andrò blindato anche in chiesa. Ho intitolato un mio libro Vincere la paura: perché l’obiettivo dei terroristi islamici è raggiunto se ci lasciamo sopraffare dalla paura. È questa la loro arma».
Si aspettava critiche? «Ho messo in conto reazioni violente da parte di alcuni, ma non mi lascio intimidire. È una battaglia di civiltà, che va combattuta e vinta tutti insieme. Altrimenti sarà la fine della nostra civiltà occidentale e dell’Italia come nazione. Ma sono confortato da un fiume di telefonate, messaggini ed email di tantissimi italiani. La maggior parte della gente perbene ha condiviso il mio gesto. È questo che conta».


SU UN DIBATTITO IN CORSO
LA CONVERSIONE NON È MAI UN FATTO POLITICO

Avvenire, 26 marzo 2008
CARLO CARDIA
Al battesimo, e al cristianesimo, si arriva e si torna in tanti modi e per tante ragioni. Ci si arriva accompagnati dalla scelta dei genitori, acquisendo dolcemente i principi dell’amore, della protezione divina, del coraggio per af­frontare le sofferenze. Chi ha una famiglia cri­stiana conosce quell’atmosfera di serenità, quel legame interiore che unisce i genitori ai figli, e aiuta nelle prove della vita. Chi ha avuto una ma­dre profondamente cristiana sa che essa rima­ne nel tempo un riferimento affettivo insosti­tuibile, ma anche un sostegno antropologico, u­na struttura portante, non separabili dalla fede trasmessa ai figli.
In Occidente la secolarizzazione ha portato mol­ti ad allontanarsi dal cristianesimo, e ciò ha fat­to gridare sociologi e filosofi alla morte della re­ligione, al declino del sacro. Ma i sociologi han­no dovuto ricredersi, e i filosofi continuano a cercare ancora oggi il senso della vita, come i lo­ro predecessori. Vuol dire che le domande del cri­stianesimo sono tutte lì che attendono risposta da ogni uomo. E mentre trionfa, ma passa, l’or­goglio della ragione, mentre la tecnica offre me­raviglie che appassiscono presto, restano nel cuore dell’uomo gli interrogativi di sempre, re­sta quell’ansia di completezza che chi approda al cristianesimo conosce bene.
Tanti giovani si allontana­no dalla fede, ma la vita spesso ve li riconduce, perché nella memoria re­sta quasi il senso di una perdita, una nostalgia per ciò che si aveva e si gusta­va. Tornare al cristianesi­mo è quasi come un tor­nare alla propria casa, con gioia, senza iattanza, co­me un ritrovare se stesso, in un rapporto con il Van­gelo, con Gesù, che stupi­sce, riempie, fa riprende­re il cammino. A volte, so­lo i genitori e gli amici più stretti capiscono que­sto travaglio e comprendono questo ritorno co­me frutto di un dono che si rinnova.
Nell’adulto l’incontro con il cristianesimo può avvenire in tanti modi. Può avvenire perché la vita offre grandi gioie che si affievoliscono, e sof­ferenze che segnano e parlano all’animo. Perché studiando si scorge il cammino e la fatica del­l’umanità per elevarsi da uno stato di solitudine e di oppressione a una vita ricca di dignità e u­nita alla trascendenza. Perché nella esperienza di tutti i giorni si incontrano cristiani, e uomini di fede, che dimostrano nei fatti come si possa vivere diversamente, con l’attenzione verso gli altri, con il governo delle passioni, con una gioia che dall’esterno non si capisce appieno.
Ci sono ancora nuove strade per la conversione. Il confronto con altre religioni, con filosofie che danno solo pezzetti di verità, con ideologie che inoculano veleni, tutto ciò può portare a scopri­re nei Vangeli e nella Chiesa qualcosa di diverso, più completo, e totalmente vero, che provoca u­na rigenerazione, un modo di leggere nel miste­ro della vita che riempie il cuore e la mente. Ma il punto di illuminazione è sempre lo stesso, quel Gesù di Nazareth che parla a chiunque con un linguaggio personale, spirituale, in una espe­rienza che entro certi limiti è incomunicabile. Quando viene, il momento della conversione non è quasi mai improvviso. È il punto di arrivo di passaggi interiori che a un certo momento tro­vano un coagulo, una risposta che illumina il re­sto. Per questo si usa dire che la fede è un dono, ma è un dono per il quale la ricerca è essenzia­le, perché la ricerca già indica volontà di supe­rare se stesso, ansia della trascendenza, deside­rio di ricomporre una esperienza umana dispersa che cerca armonia e pienezza interiore.
Non c’è da avere paura se il cristiano dice che possiede la verità. Perché questa verità parla di amore per gli altri, di rispetto per gli uomini, le loro idee e religioni, dunque è una fede che av­vicina, non allontana, arricchisce e non impo­verisce, è un bene prezioso per chi la professa e per chi ne è lontano. Ogni conversione confer­ma la sostanza di quella verità, perché suggeri­sce un cammino spirituale che dà più di quan­to l’uomo già non abbia per natura. Per questo motivo, guardare alle conversioni al cristianesi­mo con gli occhi della politica, dell’ideologia, della sociologia, non ha alcun senso. È come sa­lire su una montagna e guardare in terra invece che l’infinito che si apre davanti a noi. L’adesio­ne alla fede cristiana resta un fatto unico per chi la sceglie ma anche per tutti gli altri.


Libertà religiosa e dialogo
Cuore dell'anno cristiano, la Pasqua richiama ogni donna e uomo - siano essi già battezzati o semplicemente in cerca della verità - alla conversione. Per questo da tempi antichissimi la liturgia della Chiesa prevede nella veglia pasquale il battesimo dei neofiti e il rinnovamento delle promesse battesimali per quanti già lo hanno ricevuto.
Sulla morte e risurrezione del Verbo incarnato - avvenimento che davvero "ha cambiato il corso della storia" - ha meditato profondamente Benedetto XVI durante le celebrazioni, battezzando a San Pietro sette adulti provenienti da ogni parte del mondo, ai quali ha poi amministrato la cresima e la comunione, come ogni anno avviene nella liturgia papale.
Tra loro vi è un giornalista di origine egiziana, Magdi Allam, vicedirettore ad personam del "Corriere della Sera", il più importante quotidiano italiano. Questi, dopo una lunga ricerca personale e la preparazione necessaria a questo passo, ha chiesto liberamente di essere battezzato, con il nome di Cristiano.
L'avvenimento, che è tanto singolare quanto solenne e gioioso, non è stato enfatizzato, come dimostra la riservatezza che sino all'ultimo ha accompagnato la notizia e conferma il pertinente commento del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi: il Papa non fa "differenza di persone", tutte importanti davanti a Dio e benvenute nella comunità della Chiesa. Il gesto di Benedetto XVI ha nello stesso tempo un importante significato perché afferma, in modo mite e chiaro, la libertà religiosa. Che è anche libertà di cambiare religione, come nel 1948 fu sottolineato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (anche se in seguito, purtroppo, la dichiarazione è stata proprio su questo punto ridimensionata). Così chiunque chieda senza costrizione il battesimo ha il diritto di riceverlo.
E come non vi è stata enfatizzazione, così non vi è alcuna intenzione ostile nei confronti di una grande religione come quella islamica. Da molti decenni ormai la Chiesa cattolica ha dimostrato una volontà di confronto e di dialogo con il mondo musulmano, nonostante mille difficoltà e ostacoli. Ma difficoltà e ostacoli non devono oscurare quanto vi è in comune e quanto può venire dal futuro, come si legge nella dichiarazione conciliare Nostra aetate e da allora hanno più volte ripetuto i Romani Pontefici.
Con il battesimo - ha detto Benedetto XVI durante la grande veglia e poi nel tradizionale messaggio alla città e al mondo - la luce di Dio entra in noi trasformando le stesse tenebre, e la Pasqua significa che Cristo è la "speranza vera per ogni essere umano". Chiamando ognuno alla conversione, cioè "a vivere rifiutando l'odio e l'egoismo". Perché davvero nell'amore di Cristo "il cuore di Dio e il cuore dell'uomo si sono toccati".
g. m. v.
(©L'Osservatore Romano - 25-26 marzo 2008)


Dietrofront di Gordon Brown: libertà di voto sugli embrioni
Avvenire, 26 marzo 2008
DA LONDRA ELISABETTA DEL SOLDATO
l primo ministro britannico Gordon Brown fa marcia indietro e finisce con il cedere, almeno in parte, alle pressioni di chi si oppone in Gran Bretagna alla crea­zione di embrioni ibridi, formati da mate­riale genetico umano e animale. I deputati della maggioranza laburista, legati da fedeltà al partito, potranno in via eccezionale go­dere di libertà di voto su tre aspetti distinti della controversa legge di iniziativa gover­nativa dal titolo Human Fertlisation and Em­bryology Parlando durante l’inaugurazione della cam­pagna elettorale locale laburista, Brown ha ammesso di tenere particolarmente a que­sta legge perché «promuove la ricerca nelle cellule staminali e offre la speranza di poter curare alcune delle malattie che hanno af­flitto l’umanità da secoli». Ma questo non significa, ha proseguito Brown, «che non ri­spettiamo la co­scienza di ogni membro del Parla­mento quando si tratta di essere chia­mati a votare». Le ri­cerche sugli “em­brioni ibridi” sono uno dei tre campi dove i deputati del­la maggioranza la­burista avranno li­bertà di voto quan­do, tra qualche settimana, la legge sarà discussa in fa­se finale ai Comuni.
Brown ha poi specificato che i deputati laburisti po­tranno votare liberamente sui tre aspetti «ma non quando si tratterà di votare nel complesso la nuo­va legge». Questo significa che potranno avere li­bertà di voto alla prima lettura della legge, ma non alla seconda e terza. Per disciplina di partito, quin­di, tutti i parlamentari laburisti dovranno appro­varla al voto finale.
Fino a oggi la libertà di voto era stata garantita ai membri di governo e ai deputati del partito solo su questioni che riguardano l’aborto e la pena di mor­te. Nei giorni scorsi Brown sembrava ancora mol­to determinato a mantenere un atteggiamento ri­gido contro tre dei suoi ministri, quello dei Tra­sporti Ruth Kelly, quello del Galles Paul Murphy e quello della Difesa Des Browne, che essendo cat­tolici avevano protestato perché messi di fronte a dilemmi morali. La settimana scorsa i tre ministri cattolici dell’esecutivo avevano minacciato di di­mettersi se a loro non fosse stata garantita la libertà di voto. Durante il weekend pasquale diversi ve­scovi cattolici del Regno Unito avevano cercato di convincere il premier a cambiare rotta e avevano lanciato un appello affinché fosse garantita ai de­putati e ministri cattolici la libertà di coscienza.
Le tre aree in cui Brown ha dato il via libera ai suoi colleghi sono la ricerca embrionale; la creazione di fratelli salvatori e la creazione di embrioni ibridi. «La legge in sé – ha spiegato Brown – non può essere soggetta a libertà di voto perché ci sono troppi cam­biamenti coinvolti che riteniamo necessari come parte dello sviluppo della ricerca nel nostro Pae­se ».
Anche con la libertà di voto concessa ai deputati le speranze di bloccare la ricerca rimangono molto basse. I deputati dichiaratamente cattolici alla Ca­mera dei Comuni sono sessantaquattro e non ba­stano per arrestare il cammino di una legge voluta dalla maggioranza, conservatori e liberaldemocra­tici compresi.
Bill.
I laburisti potranno esprimersi secondo coscienza su tre parti della legge sulla fecondazione Ma soltanto in prima lettura


25 marzo 2008
Scioperi per la morte e scioperi per la vita - I disabili chiedono cure, Napolitano rompa la catena di indifferenza
Di Giuliano Ferrara dal Foglio.it
Non molto tempo fa Piergiorgio Welby, un uomo molto malato e sofferente, scrisse una lettera a Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, in cui chiedeva il diritto di essere aiutato a morire con la desistenza terapeutica, contro ogni accanimento. Il presidente Napolitano si rivolse immediatamente al Parlamento e all’opinione pubblica, esigendo attenzione e riguardo per il diritto di morire. Giornali e televisioni rilanciarono con estrema forza il doppio messaggio, di Welby e di Napolitano, e l’Italia fu inchiodata per mesi a una storia dolente incentrata sul desiderio di buona morte.
Oggi numerosi ammalati in gravissime condizioni sono arrivati al gesto estremo dello sciopero della fame per il motivo opposto. Chiedono aiuto per vivere, cure più adeguate e continuative, un impegno di solidarietà in nome di comuni valori umani e di una comune cultura della vita. Non risultano gesti pubblici di attenzione e iniziative del Capo dello Stato. Non conosciamo il testo di sue lettere. Non sappiamo se abbia intrapreso almeno un’indagine conoscitiva sulla situazione di questi cittadini che vogliono essere curati e assistiti meglio nel loro dolore e nella loro speranza di vita, per piccola che sia la speranza e per dura che si prospetti la sopravvivenza. E giornali e televisioni trattano la cosa sbrigativamente, di passaggio, senza che agli italiani arrivino immagini di un dramma, il dramma della vita che si difende, almeno altrettanto importante dell’altro dramma, il dramma di una vita che si arrende.
Spero che il presidente interrompa questa catena di indifferenza. E che tutti comprendano quale rovesciamento di senso si è prodotto nel mondo del totalitarismo culturale, che insegna a rispettare, riverire, corteggiare compassionevolmente il desiderio di morte, ma si volta dall’altra parte quando al suo psoto c’è il desiderio di vita.