sabato 29 marzo 2008

Nella rassegna stampa di oggi:

1) Medjugorje: Messaggio della Madonna del 25 Marzo 2008 a Marija Pavlovic Lunetti
2) Sabato 5 aprile 2008 incontro di preghiera con Marija Pavlovic a Casale Monferrato
3) L’orgoglio della fede in Gesù da spirito libero: Basta con le infamie miranti a screditarmi con l’obiettivo di attaccare il Papa, di Magdi Cristiano Allam
4) Prematuri: Per la medicina ora contano come gli adulti
5) Lo sciopero della fame interrotto, il risveglio, l’appello, il sogno, l’ultimo messaggio, la lettera a Welby e quella a Napolitano. Storia di Salvatore Crisafulli. Catanese, 43 anni, stato vegetativo, intrappolato, felice
6) EUROPA, CRISTIANESIMO, ISLAM VITTIME DI UNA PREMURA UNILATERALE
7) Rifiuta di curarsi per non abortire: muore dopo il parto



Medjugorje: Messaggio della Madonna del 25 Marzo 2008 a Marija Pavlovic Lunetti
"Cari figli, vi invito a lavorare alla conversione personale. Siete ancora lontani dall'incontro con Dio nel vostro cuore, perciò trascorrete più tempo possibile nella preghiera e nell'adorazione a Gesù nel Santissimo Sacramento dell'altare, affinché Egli vi cambi e metta nei vostri cuori una fede viva e il desiderio della vita eterna. Tutto passa, figlioli, solo Dio rimane. Sono con voi e vi esorto con amore. Grazie per aver risposto alla mia chiamata. "

Sabato 5 aprile 2008 incontro di preghiera con Marija Pavlovic a Casale Monferrato
Dalle ore 15.00
Palazzetto dello sport
Organizzato dai gruppi di preghiera Regina della Pace di Casale Monferrato e Regina Pacis di Alessandria
Info: Narcisa Cell. 3488121815


L’orgoglio della fede in Gesù da spirito libero: Basta con le infamie miranti a screditarmi con l’obiettivo di attaccare il Papa
La mia replica ai cristiancomunistislamici, adoratori del relativismo e del politicamente corretto, che avrebbero voluto che mi convertissi al cattolicesimo mantenendo una valutazione positiva dell’islam

autore: Magdi Cristiano Allam
Cari amici,
Vi propongo la versione integrale della mia seconda e spero ultima lettera al Direttore Paolo Mieli, pubblicata oggi dal Corriere della Sera, in cui chiarisco il mio pensiero sulle critiche infondate, infamanti e strumentali sollevate da taluni dopo la mia conversione al cattolicesimo. Voglio precisare che da parte del Corriere della Sera non c’è stata alcuna censura ma che per ragioni di spazio non è stato possibile pubblicare la versione integrale della lettera.
Caro Direttore,
la mia conversione al cattolicesimo avvenuta nella solenne celebrazione della Veglia Pasquale nella Basilica di San Pietro per mano del Papa è stata da più parti strumentalizzata sia per screditarmi sia per accusare il Santo Padre. Ebbene voglio subito chiarire che sottoscrivo pienamente, in ogni sua virgola, la precisazione del portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, che distingue correttamente tra le mie idee personali, di cui mi si riconosce la libertà d’espressione, e le posizioni ufficiali della Chiesa, che ovviamente sono del tutto autonome dal mio pensiero. Ci mancherebbe altro! Mi auguro che a questo punto cessino le manovre più o meno occulte di tutti coloro che, pur facendo riferimento ad ambiti religiosi o ideologici differenti, si sono sostanzialmente ritrovati uniti nell’attacco a Benedetto XVI.
Sai bene, e lo sanno anche i lettori del Corriere, che da musulmano sono stato uno spirito libero ed è proprio questa libertà intellettuale, a cui fa da sponda una radicata rigorosità etica, ciò che ha gradualmente fatto maturare in me il convincimento che la religione cattolica corrisponda pienamente al contesto ideale al cui interno possono naturalmente convivere dei valori inalienabili e inviolabili che per me sono da sempre irrinunciabili in quanto rappresentano l’essenza della nostra umanità, a cominciare dalla fede nella sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale, dal riconoscimento della dignità della persona quale fondamento della civile convivenza, dal rispetto della libertà di scelta tra cui spicca l’esercizio incondizionato della libertà religiosa. Ebbene voglio rassicurare tutti che continuerò ad essere ancor di più uno spirito libero da cattolico. E non potrebbe essere diversamente visto che proprio da questo Papa ho imparato che l’uso della ragione, l’adozione di parametri valutativi e critici, la verifica della verità scientifica e storica, costituiscono la condizione imprescindibile per accertare la fondatezza della bontà di una autentica religione e per perseguire quella Verità che coniughi l’oggettività, l’assolutezza e l’universalità del pensiero laico con la trascendenza propria della fede in Dio. Così come la libertà di spirito è stato il tratto saliente degli amici fraterni cattolici che mi hanno accompagnato nel percorso interiore culminato nella piena adesione alla fede in Gesù, a cominciare da monsignor Rino Fisichella, la mia guida spirituale, che forse non a caso riuscì a diventare il referente religioso di Oriana Fallaci, il vessillo della libertà incondizionata e irrefrenabile nella storia del giornalismo italiano contemporaneo.
Da spirito libero trovo del tutto infondate, pretestuose e maligne le critiche che mi sono state rivolte. Ci si è scandalizzati per il fatto che il mio battesimo sia avvenuto nella notte di Pasqua, a San Pietro, da parte del Papa. Forse i più non sanno che i catecumeni, gli adulti che si convertono, ricevono i sacramenti d’iniziazione al cristianesimo nel corso della cerimonia della Veglia Pasquale. Ciò avviene ovunque nel mondo. E che, avendo effettuato il percorso di conoscenza e di adesione alla nuova fede a Roma, non deve sorprendere che sia stato il Papa, nella sua veste di vescovo di Roma, a impartirmi il battesimo, la cresima e l’eucarestia. Sinceramente sono allibito e rammaricato quando perfino alcuni esponenti del clero cattolico arrivano a sostenere che sarebbe stato di gran lunga preferibile che il mio battesimo fosse stato impartito in una parrocchia di una remota cittadina, lontano da occhi discreti e dall’interesse dei mass media. Come se il mio battesimo fosse una vergogna da tenere il più possibile nascosta. Alla luce di questa interpretazione infamante, il ruolo di Benedetto XVI ha finito per essere equiparato a una “provocazione” se non un vero e proprio “complotto” contro l’islam. Ebbene io sono orgoglioso della mia conversione al cattolicesimo, sono orgoglioso che sia avvenuta in modo pubblico e che sia stata pubblicizzata, sono orgoglioso di poterla affermare a viva voce, sono orgoglioso di poter testimoniare la mia nuova fede ovunque nel mondo e considero il mio battesimo dalle mani del Papa come il dono più grande che la vita potesse accordarmi.
Sono stato criminalizzato, qualcuno mi ha paragonato agli estremisti islamici che mi hanno condannato a morte, per aver espresso un giudizio radicalmente negativo nei confronti dell’islam. Una folta schiera di cristiancomunistislamici, adoratori del relativismo etico, culturale e religioso nonché del politicamente corretto, avrebbe voluto che io limitassi la mia denuncia al terrorismo islamico ma che mantenessi una valutazione comunque positiva dell’islam. Perché, a loro avviso, tutte le religioni sono pari a prescindere dai loro contenuti e, in ogni caso, non bisogna dire alcunché che possa urtare la suscettibilità altrui. Ma scusatemi: se mi sono convertito al cattolicesimo è del tutto ovvio che l’ho fatto perché ho maturato una valutazione negativa nei confronti dell’islam. Se io veramente credessi che l’islam sia una religione vera e buona, perché mai l’avrei abbandonata? A questo punto emerge il sospetto, usando un eufemismo, che si vorrebbe che io pur nutrendo una valutazione negativa dell’islam, non la debba però esternare rendendola pubblica. Sempre per la paura della reazione di condanna nelle sue varie sfumature, dalla deplorazione fino alla minaccia se non all’uso della violenza. Ebbene mi spiace per costoro: ciò che dentro di me è vero e giusto lo dirò e lo scriverò sinceramente e integralmente. Se loro sono già sottomessi al terrorismo dei taglia-lingua e già praticano l’auto-censura per prevenire la violenza degli estremisti islamici, io intendo affrontare questa guerra di libertà e di civiltà a testa alta e con la schiena dritta, fino alla fine.
A questo punto è doveroso chiarire che io non sono affatto un apologeta e un fautore di una “guerra di religione” o di una “guerra di civiltà”. Ciò che l’Occidente non ha o non vuole capire che è in già in atto una guerra scatenata dal terrorismo e dall’estremismo islamico globalizzato, i cui protagonisti sono i taglia-gola e i taglia-lingua che massacrano e sottomettono nel nome di Allah tutti coloro che non sono a loro immagine e somiglianza, a cominciare dagli stessi musulmani nei paesi a maggioranza islamica. Io sono un ex musulmano che ha subito e continua a subire questo terrorismo e che ora, da cattolico, intende essere testimone di una verità storica e promotore del riscatto di valori e di un’identità senza cui l’Occidente, che affonda la sue radici nella fede e nella cultura giudaico-cristiana, non potrà affrancarsi e confrontarsi costruttivamente anche con i musulmani. Pur prendendo radicalmente e definitivamente le distanze dall’islam in quanto religione, sono assolutamente convinto che si possa e si debba dialogare con tutti i musulmani che, in partenza, condividono i diritti fondamentali della persona senza se e senza ma e perseguono il traguardo di una comune civiltà dell’uomo. L’errore in cui si incorre è di immaginare che i musulmani, quali persone, sarebbero dei cloni che incarnano in modo automatico e acritico i dogmi dell’islam. Sono, come tutte le persone, una realtà singolare e complessa in cui la dimensione religiosa, che assume dei connotati diversi, si confronta con quella che è l’esperienza personale frutto di uno specifico contesto familiare, psicologico, sociale, culturale, economico e politico.
Caro direttore, tu sai bene che il Corriere si è sempre speso per valorizzare la posizione dei musulmani moderati. Io stesso sono orgoglioso di essere stato nell’ultimo decennio il musulmano che più di altri si è speso per affermare in Italia un islam della fede e della ragione. Ricordo con orgoglio come il 10 settembre 2004 fui l’artefice della prima visita nella storia d’Italia di una delegazione di musulmani moderati al Quirinale, accolti dal presidente Carlo Azeglio Ciampi, dopo la pubblicazione, il 2 settembre 2004 sul Corriere, di un “Manifesto contro il terrorismo e per la vita” da me redatto e fatto sottoscrivere a una trentina di musulmani che presumevo fossero moderati. Poi mi sono dovuto ricredere. Perché nel momento in cui devono confrontarsi con i dogmi e con i precetti dell’islam, qual è il caso della mia conversione al cattolicesimo, la loro moderazione viene del tutto meno. Non è forse singolare che i più accaniti critici della mia conversione siano proprio i cosiddetti moderati, a cominciare dai sedicenti 138 “saggi” dell’islam che hanno proposto un dialogo con il Vaticano sulla base di versetti coranici, estrapolati dal loro contesto, sull’unicità di Dio e l’amore per il prossimo? Ormai la millenaria esperienza con l’islam deve insegnarci che il dialogo è possibile solo con quei musulmani che accettano di assumere incondizionatamente, a prescindere da ciò che dice o non dice il Corano, rivolgendosi nella propria lingua alla loro gente, una chiara e ferma posizione sulle questioni concrete, tra cui oggi certamente figurano il massacro e la persecuzione dei cristiani, la negazione del diritto all’esistenza di Israele, la condanna a morte dei musulmani convertiti in quanto apostati, la legittimazione del terrorismo palestinese ed islamico, la discriminazione e la violenza nei confronti della donna e, più in generale, la violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.
Denunciare tutto ciò nella mia lettera che il Corriere ha pubblicato nel Giorno di Pasqua e della mia conversione al cattolicesimo, non significa in alcun modo voler “dettare la linea” al Papa o politicizzare il mio battesimo. Sono cose che io ho sempre detto da lunghi anni e sarebbe stato veramente singolare che, di punto in bianco, le avessi ignorate. Magdi Cristiano resterà sempre il Magdi che ha difeso dei valori inalienabili e inviolabili, con la sostanziale differenza che oggi questi valori convivono in modo del tutto armonico nel contesto della religione e della cultura cattolica. Ti ringrazio per l’attenzione e la correttezza con cui hai seguito questa mia vicenda personale di fede e di vita e ti comunico che con questo mio intervento ritengo di aver detto tutto ciò che ho ritenuto opportuno che i nostri lettori sapessero. Cordiali saluti e i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Cristiano Allam



Prematuri: Per la medicina ora contano come gli adulti.
Un prematuro di 24 settimane ha le stesse possibilità di morire o rimanere disabile di quelle che ha un adulto colpito da un ictus, ma nessuno si azzarderebbe a negare le cure al secondo…
di Carlo Bellieni

Il Ministro Turco ha appena mandato una circolare ai vari presidi ospedalieri che raccomanda di attenersi alle conclusioni del Consiglio Superiore della Sanità per quanto riguarda la rianimazione dei prematuri. Ci congratuliamo col ministro e con tutti coloro che in questi anni hanno capito che le scelte etiche non si fanno a partire dai “massimi sistemi”, ma dalla realtà. Quanto c’è stato da combattere per far passare questo criterio nel discorso sui prematuri, contro pregiudizi, disinformazione, paure personali, criteri economicisti! Ma alla fine è prevalso il sano criterio della realtà: un bambino conta come un adulto. Un prematuro di 24 settimane ha le stesse possibilità di morire o rimanere disabile di quelle che ha un adulto colpito da un ictus, ma nessuno si azzarderebbe a negare le cure al secondo. “Cosa ha un bambino di meno di un adulto?” abbiamo chiesto, e siccome era impossibile trovare una risposta che avesse un senso per sostenere che un neonato si può lasciar morire e un adulto no, abbiamo vinto. Solo in nome della ragione.
E’ un metodo da seguire, cui ci sembra che la politica finalmente stia interessandosi, per prendere decisioni. Consiste nel non domandarsi più qual è il parere dei media che fanno tendenza… o quello del cantante, della star –ricordiamo le prime pagine di certi giornali durante la discussione sulla legge 40, piene dei sorrisi di “testimonial televisivi” in una campagna invece profonda e decisiva- . Non domandarsi neanche qual è il parere di una confusa maggioranza, dato che di certi temi scientifici e tecnici la maggioranza (che può essere orientata facilmente dai media e dai testimonial) sa ben poco.
Invece il metodo corretto sta nel partire da una semplice domanda: “fa bene o fa male alla persona?” prima ancora di approfondire le implicazioni morali. Già: perché così potremo capire che la droga, prima ancora di essere un fatto morale, è un rischio per la salute, dallo spinello al crack; e che prima di parlare di liberalizzarla bisogna attaccare l’immagine “positiva” che gli è stata appiccicata dalla moda. Capiremo che l’aborto è un dolore per la donna perché ogni donna sa –e la scienza con lei - che è la morte del figlio; e allora invece di discutere se sia un diritto, sarà bene capire come aiutare le mamme e le famiglie. Capiremo che l’eutanasia la chiede chi è solo, e che le politiche sociali non bastano se non sono accompagnate da una politica culturale verso la valorizzazione della terza età; così come capiremo che la fobia verso la disabilità che porta a preferire la morte alla malattia, nasce perché nessuno ha fatto capire che la malattia non è la fine della vita, che il mondo non è proprietà di chi è sano… e che in fondo volendo far sparire i disabili cerchiamo di celare al mondo le nostre nascoste disabilità.
Più si studia la letteratura scientifica, più si capisce che la scienza è amica di una visione etica della vita, e non certo nel senso necrologico in cui viene intesa oggi l’etica, della quale si parla quasi solo per decidere chi far vivere o far morire. Esistono infatti Paesi in cui si selezionano i figli in base al sesso; in cui lo Stato fa regali a chi si fa sterilizzare, o in cui si procura un medico per far morire… come se non fosse abbastanza facile –immensamente facile- eliminarsi da soli. Assistiamo alla creazione e distruzione di chimere semi-umane o a tentativi di clonazione, o a studi su embrioni che non hanno mai portato nessun aiuto alla scienza, ma hanno dirottato miliardi dalle cure su malattie “non di moda”: tubercolosi, malaria… La scienza non è amica di questa “etica”.
Il caso dei “grandi prematuri” è invece un modello di uso della ragione e di considerazione politica di questo; continui la politica in questo cammino moralmente e scientificamente virtuoso.
AVVENIRE 27 marzo 2008



28 marzo 2008 , dal Foglio.it
Anticipazione dal Foglio di sabato 29 marzo. Tutta la storia sul numero in edicola
Io non sono un carciofo
Lo sciopero della fame interrotto, il risveglio, l’appello, il sogno, l’ultimo messaggio, la lettera a Welby e quella a Napolitano. Storia di Salvatore Crisafulli. Catanese, 43 anni, stato vegetativo, intrappolato, felice
“Le marce, i girotondi, le veglie, le fiaccolate siano fatte per invocare la vita e non per sentenziare la morte, per potenziare e sensibilizzare la sanità e la ricerca scientifica, per rendere sopportabile la sofferenza, anche quella terminale, non per giustificare i più disperati e soli con il macabro inganno in una morte dolce, dietro a cui si nasconde solo cinismo e utilitarismo”. Salvatore Crisafulli, settembre 2006. Oggi meglio. Andare. Fuori. Gelato. Pietà. Piango. Disperato. Bello. Rido. Notte. Basta. Sciopero. Vivo. Contatta. Mare. Catania. Mascara. Stadio. Mandorla. “Mam-ma”. Salvatore sorride scrivendo con gli occhi su un piccolo schermo a cristalli liquidi, sceglie le parole su una tastiera bianca nella sua camera da letto, sfiora con la mandibola un bottone nero poggiato pochi centimetri sopra la spalla e sposta un cursore giallo con un oscillazione morbida del collo che trasforma in voce scritta il suo corpo immobile: un corpo che tre anni fa doveva essere finito e che oggi respira, tossisce, piange, mangia, russa, sciopera, la domenica va allo stadio, a ferragosto va ad Augusta e ogni tanto balbetta in catanese quando la mamma si avvicina e di nascosto gli passa un goccio di caffè. Salvatore Crisafulli si è risvegliato tre anni fa su un lettino dell ospedale di Arezzo, respirando con un tubo infilato nel collo, una piaga profonda sei centimetri sul sacrale, le braccia ricostruite in sala operatoria, un coma di quarto grado, un'insufficienza respiratoria, una frattura alla colonna vertebrale, un'emorragia cerebrale e i medici che dicevano di non toccarlo, perché suo figlio è in coma, signora: questo è uno stato vegetativo permanente; lui non può capire, non può sentire non può parlare; se alza la testa, se abbassa le palpebre e se muove gli occhi le assicuro che, purtroppo, sono gesti non volontari. Non lo fa apposta; signora, suo figlio non è cosciente. Salvatore si è risvegliato dopo due anni di coma, dopo due anni di uno stato vegetativo che doveva essere permanente. Oggi vive a Catania con la madre, con due fratelli, con due sorelle, con quattro figli e con una moglie che però si è allontanata. Tre giorni fa ha interrotto uno sciopero della fame cominciato il 15 marzo insieme con altri cinque disabili in stato vegetativo; che in pochi giorni sono diventati 28 e che infine sono diventati poco più di 40. E stato Salvatore stesso a chiedere lo sciopero; lo ha chiesto al fratello Pietro – “Pe-trù” come provò a sibilare la mattina di un anno fa; l’ha chiesto balbettando sul suo computer a scansione ottica quel comunicato che Petrù ha inviato a tutti gli indirizzi importanti che gli venivano in mente – il presidente della Repubblica, il sindaco di Catania, il presidente del Consiglio, gli assessori comunali, gli assessori regionali, i ministri, i sottosegretari e i candidati premier – per chiedere non di interrompere una sofferenza, non di staccare una spina, non di ricevere il diritto a morire. No. Ha scritto per vivere, Salvatore.
di Claudio Cerasa


EUROPA, CRISTIANESIMO, ISLAM VITTIME DI UNA PREMURA UNILATERALE
Avvenire, 29 marzo 2008
ANDREA LAVAZZA
Difficile negare che, in Italia e in Occiden­te, vi sia una palese differenza di tratta­mento verso le manifestazioni pubbliche del pensiero ritenute offensive dagli esponenti delle maggiori religioni. Il caso del cortome­traggio
Fitna, realizzato e diffuso del deputa­to olandese Geert Wilders, pare un caso e­semplare.
Per 16 minuti immagini raccapriccianti d’at­tentati di matrice islamica si alternano ai ver­setti più controversi del Corano che, presi alla lettera, suonano come espliciti inviti alla vio­lenza contro gli infedeli. Associazione arbitra­ria, mentre va giudicata inaccettabile l’equi­parazione del testo sacro musulmano al Mein Kampf hitleriano o il suo appiattimento su in­terpretazioni illiberali e repressive, che pure sono note e anche oggi ben visibili. In 14 secoli, chi ha detto di ispirarsi alle parole del Corano è stato capace di produrre santità di vita e ca­polavori d’arte, saggezza e scienza, così come conflitti e intolleranza, arretratezza e sotto­missione delle donne. Né sembra possibile o sensato improvvisare un bilancio tra esiti po­sitivi e conseguenze negative.
Ciò che preme qui sot­tolineare è la reazione di sdegno che imme­diatamente
Fitna ha su­scitato a livello ufficiale. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha condannato «nei ter­mini più forti possibili» la messa in Rete del fil­mato. La presidenza dell’Unione europea ha parlato di «incitamen­to all’odio» e ricordato che la «libertà d’espres­sione deve essere eser­citata in uno spirito di rispetto per le convin­zioni altrui». Il numero uno del Parlamento di Strasburgo, il popolare Hans Gert Pöttering, ha detto di «respingere in modo assoluto l’inter­pretazione dell’islam come una religione vio­lenta ». Il governo olandese, prima ancora che si conoscesse il contenuto del video, aveva pre­so le distanze e fortemente auspicato che l’au­tore facesse marcia indietro.
Considerando che le reazioni del mondo mu­sulmano sono state – per ora – più contenute e moderate di quelle suscitate dalle vignette su Maometto pubblicate in Danimarca, la corsa all’esecrazione e alle scuse implicite richiama
la tirannia della penitenza, titolo di un recen­te pamphlet dello scrittore francese Pascal Bruckner, a parere del quale saremmo vittime di un masochismo che ci fa deboli e vergognosi della nostra identità.
Si può infatti leggere il rincorrersi di dichiara­zioni concilianti come un tentativo di preve­nire esplosioni di violenza nelle comunità di immigrati, azioni terroristiche o ritorsioni e­conomiche, ammettendo la sostanziale inca­pacità di limitare o di sostenere una massic­cia protesta musulmana. (Non saremo co­munque noi, dalle colonne di questo giorna­le, a non apprezzare il riguardo riservato all’i­slam). Eppure, non appare fuori luogo ricon­durre almeno una parte delle prese di posi­zione a una sincera adesione al politicamen­te corretto, attento a non offendere persone o idee che si ritengono più vulnerabili o degne di qualche forma di compensazione per pas­sate ingiustizie.
Non si rammenta infatti tale mobilitazione per episodi in cui sono stati il cristianesimo, la Chiesa o il papa oggetto di insulto, vilipendio, scherno, falsificazione storica o letture distor­te. Certo, in quei casi la reazione degli interes­sati e dei credenti è, in genere, lungi dall’esse­re intollerante o bellicosa. Tende però ad ave­re preminenza e prevalenza, nelle reazioni e nei giudizi comuni, la libertà di espressione e di critica, giustamente considerate un bene da custodire della nostra civiltà. Civiltà che però è nata proprio dalle radici cristiane, che han­no fatto crescere la pianta dei diritti inviolabi­li della persona.
Come Avvenire ha già avuto modo di dire, la li­bertà di religione sembra implicare anche u­na tutela del nucleo delle credenze fondanti dagli attacchi immotivati. Una ragione, quin­di, per non avallare in alcun modo il film o­landese, ma pure per chiedere che la difesa i­stituzionale scatti per tutte le religioni. Anche quando non vi sono minacce di attacchi e di boicottaggi.


Rifiuta di curarsi per non abortire: muore dopo il parto
Avvenire, 29 marzo 2008
DA MILANO PAOLO FERRARIO
H a scelto la vita senza esitare, fe­lice di diventare madre anco­ra una volta. Nemmeno per un istante ha pensato di sacrificare la nuo­va creatura che le stava crescendo in grembo per salvare se stessa. Così, nel giorno del Venerdì Santo, è morta Ste­fania Dal Cer, 36 anni di Saronno, uc­cisa da un melanoma maligno scoper­to tre giorni dopo aver saputo di esse­re incinta di Misael, nato l’8 febbraio. Per suo amore ha rifiutato le cure che i medici le avevano consigliato, ma che avrebbero irrimediabilmente com­promesso la vita del bambino.
«Ha affrontato tutto con determina­zione e coraggio, sempre con il sorriso sulle labbra», ricorda la sorella Simona, che con la famiglia ha accompagna­to gli ultimi sei mesi di Stefania, educatrice di scuola materna e già mamma di Gloria, una bimba di tre anni. Dopo la morte della madre, sarà proprio Simona a pren­dersi cura della piccola, mentre Misael starà col padre e con la nonna. «Naturalmente – aggiunge – la speranza di Stefania e di noi tutti era che, alla fine, le cose an­dassero bene, che tutto si risolvesse positivamente. Ed è stata proprio que­sta speranza, questa voglia di vedere che cosa sarebbe successo dopo, che l’ha sostenuta, dandole forza e corag­gio, aiutandola anche quando il dolo­re fisico sembrava avere il sopravven­to ».
Quando, a poco a poco, le forze l’han­no abbandonata e la stanchezza era sempre più grande, Stefania si è affi­data con ancora più convinzione alla preghiera, continuando a combattere così la propria battaglia con la malat­tia. «Gli ultimi giorni accanto a lei – di­ce ancora la sorella – sono stati una ve- ra esperienza spirituale. Stefania spe­rava e pregava, senza un lamento, sen­za una parola di rimpianto, ma, anzi, felice della scelta compiuta. Fin dal pri­mo istante sapeva che cosa rischiava e ha affrontato anche questa prova da vera combattente qual era».
Un esempio che ha lasciato il segno nella comunità della Sacra Famiglia di Saronno, che sabato mattina ha gre­mito la parrocchiale per l’ultimo saluto a Stefania. Nell’omelia, il parroco don Alberto Corti ha par­lato del «sepolcro che si apre alla Resurrezione», sottolinendo così l’ap­prodo definitivo che at­tende questa giovane ma­dre coraggiosa. «Come la santa Gianna Beretta Molla – aggiunge il vicario episcopale di Zona, monsignor Ange­lo Brizzolari – anche questa giovane madre, illuminata dalla Grazia di Dio, ha messo al primo posto il rispetto as­soluto per la vita. È un altro esempio di testimonianza di fede, silenziosa e di­screta, senza clamore ma molto con­vinta e convincente, dalla quale la co­munità può trarre insegnamento».
Anche gli amici dell’associazione “Pe ’no chao”, che si occupa di bambini di strada a Recife, in Brasile, di cui Stefa­nia era volontaria molto attiva, hanno voluto leggere una lettera per testimo­niare a tutti il suo grande impegno ac­canto ai deboli, agli ultimi della Terra. «Ho conosciuto Stefania durante il suo soggiorno a Recife – dice Paolo Cre­monesi, che in Brasile ha trascorso quattro anni – e ricordo una persona molto aperta e desiderosa di mettere al servizio degli altri le proprie capacità. Era felice di stare coi ragazzi e di poter conoscere, da vicino, i progetti che, con gli altri volontari del gruppo, aveva contribuito a sostenere attraverso le i­niziative che solitamente promuovia­mo sul territorio durante l’anno».