domenica 20 aprile 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Fede e bioetica, temi da campagna elettorale
2) Quarto giorno del papa negli USA. Benedetto XVI spiega perchè i cristiani sono così divisi
3) SULLE FERITE CAUSATE DAGLI ABUSI - PAROLE AUDACI A GUARIRE LO SCANDALO
4) Preghiera a Ground Zero
5) Lombardia, dal buono alla «dote»


Fede e bioetica, temi da campagna elettorale
Aborto ed eutanasia furono al centro quattro anni fa del confronto fra George Bush e lo sfidante democratico, il cattolico pro aborto J. Kerry. I temi bioetici continueranno ad essere ancora uno dei punti focali della lotta per la Casa Bianca che vede impegnati i democratici Barack Obama, Hillary Clinton e il repubblicano John McCain…
Non si è ancora raggiunta la pregnanza (e la veemenza) della precedente corsa alla Casa Bianca, quando il cattolico John Kerry da posizioni liberal sfidò il metodista George Bush anche sui temi etici, ma in un paese come gli Stati Uniti, da sempre fieramente diviso fra "pro-life" e "pro-choice", aborto ed eutanasia sono da sempre argomenti chiave delle campagne elettorali, soprattutto di quelle presidenziali. La visita di Benedetto XVI, che cade a sette mesi dalle elezioni, a quattro dalle convention che dovranno eleggere i candidati presidenti e a pochi giorni da una sfida fondamentale per la nomination democratica (le primarie in Pennsylvania, nuova puntata della sfida fra Barack Obama e Hillary Clinton), potrebbe avere ricadute non solo sul versante culturale, ma anche su quello – assai più prosaico – delle urne.
Le parole del papa sul rispetto della vita e della dignità di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, hanno come sempre valenza generale, ma si inseriscono in un contesto quanto mai attento ad ogni riferimento a temi sensibili. Il presidente in carica, George Bush, ha caratterizzato da sempre la sua esperienza politica con il sostegno alle richieste dei pro-life: ha avversato aborto ed eutanasia, ha appoggiato la legge che ha messo al bando l'aborto "a nascita parziale", ha negato finanziamenti federali ai programmi di ricerca con cellule staminali embrionali, ha nominato alla Corte Suprema due giudici palesemente critici con la sentenza Roe-Wade, quella che all'inizio degli anni settanta ha legalizzato l'interruzione di gravidanza nel paese. Il suo aspirante successore per parte repubblicana, il senatore John McCain, già di fatto investito della nomination del partito, seppur meno profondamente inserito dell'attuale inquilino della Casa Bianca nei movimenti della destra cristiana - al punto da essere percepito da alcune frange come troppo tiepido e timido – ha un orientamento chiaramente pro-life, in piena continuità con la "legge" non scritta che vede il Partito Repubblicano schierarsi per la promozione della "cultura della vita". Un impegno che da parte del Vaticano – prima con Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI – è stato negli ultimi anni sempre apprezzato e sottolineato: una sintonia che è invece totalmente mancata su altri temi, ad iniziare da quelli della lotta al terrorismo e della guerra all'Iraq, profondamente e tenacemente avversata dalla Santa Sede.
Apparentemente piatta, sui temi etici, la lotta in casa democratica, dove i due grandi sfidanti Barack Obama e Hillary Clinton figurano stabilmente nell'elenco dei "pro-choice": è pubblico e dimostrato il loro appoggio al diritto di aborto e la loro intenzione, in caso di elezione, di compiere azioni e scelte conseguenti. In particolar modo, la posizione di Obama è sempre stata particolarmente coerente e più volte definita come "estremista": si ricorda in tal senso, ormai sette anni fa, una sua astensione sulla questione della protezione dei bambini nati vivi in seguito ad un aborto tardivo, giustificata in modo alquanto capzioso con la mancanza della definizione di prematuro nato vivo e con l'impossibilità dunque di stabilire giuridicamente se quei neonati fossero persone e dunque dovessero essere rianimati. Riserve che non ebbe la sua rivale Hillary Clinton che votò a favore di un simile provvedimento a New York in quanto non pregiudicava minimamente il diritto di scelta della donna. Entrambi i candidati democratici, nell'aprile dello scorso anno, hanno invece attaccato la sentenza della Corte Suprema che, rovesciando un suo precedente pronunciamento, ha confermato con lo scarto minimo di cinque voti a quattro la validità di una legge approvata dal Congresso nel 2003 che proibisce una specifica forma di aborto tardivo, praticato solo a gravidanza avanzata con un metodo definito di "nascita parziale" e che riguarda negli Usa poco più di 2mila casi l'anno. Un risultato frutto delle due nomine pro-life nel frattempo attuate dal presidente Bush.
Anche le posizioni bioetiche dei due aspiranti candidati democratici, avvertite ai più come coincidenti, potrebbero valere molto nel prossimo appuntamento con le primarie in Pennsylvania, dove alta è la percentuale dell'elettorato cattolico (3,8 milioni, pari a un terzo della popolazione statale) e dove grande successo sta avendo in queste settimane il film "Juno", storia di una teen-ager di provincia che decide di non abortire dando invece il suo bimbo in adozione. Qui anche il messaggio di Benedetto XVI potrebbe avere maggiore presa, nell'immediato, che in altre regioni degli Stati Uniti.
Due settimane fa una dichiarazione ha messo in seria difficoltà Obama, poco cauto nell'affermare che "se le mie figlie facessero un errore, non dovrebbero essere punite con un bimbo": una frase che ha appannato la sua immagine di uomo moderato, vero fulcro della sua campagna elettorale. Washington Post e Wall Street Journal hanno messo in rilievo le sue posizioni estreme, ricordando quanto egli sia "molto più liberal di quanto non sembri". Anche per rispondere a queste accuse, il senatore dell'Illinois ha nei giorni scorsi ammorbidito la sua posizione con alcune caute dichiarazioni proprio in tema di aborto: "La gran parte degli americani riconosce che ciò che dobbiamo fare è quello di evitare, o di aiutare le persone ad evitare che si debba mai ricorrere a questa scelta così difficile. Nessuno infatti è a favore dell'aborto, l'aborto non è mai una cosa buona". Una frase rafforzata poi con la considerazione che l'errore compiuto talvolta in passato dalle formazioni pro-choice è stato quello di sottovalutare i risvolti morali connessi all'aborto. Se a ciò si aggiunge la costituzione di un gruppo di supporto di area cattolica alla nomination di Obama (il Catholic Advisory Council, voluto da due parlamentari pro-life) e le stesse dichiarazioni del senatore che ha parlato dell'astinenza come di "una parte della battaglia contro l'Aids", appare chiaramente una strategia volta a strizzare l'occhio all'elettorato cattolico e democratico della Pennsylvania e – sul lungo periodo, in caso di designazione per la sfida alla Casa Bianca – a contrastare il candidato repubblicano John McCain, dato dagli ultimi sondaggi in netta ripresa (una ricerca condotta a livello nazionale da Associated Press e Ipsos suggerisce che in un eventuale scontro diretto con Obama, McCain otterrebbe il 45% delle preferenze, come il suo avversario: in febbraio lo stesso sondaggio aveva dato il senatore dell'Illinois un vantaggio di 10 punti, con il 51% delle preferenze contro il 41% di McCain). Un comportamento simile a quello attuato da Hillary Clinton, che avendo affermato che l'aborto deve rimanere legale e sicuro, anche se raro, ha poi sottolineato di essere "convinta che il potenziale per la vita inizia al concepimento".
Nel gioco elettorale, dunque, la conquista del voto cattolico rimane una delle mosse più importanti per la vittoria della Casa Bianca e ogni arma può essere giocata. Negli ultimi decenni, l'elettorato che si riconosce nella Chiesa di Roma si è allontanato dalla tradizione che lo voleva solidamente democratico, fino al risultato delle ultime elezioni, quando John Kerry, il primo candidato presidenziale cattolico dai tempi di John Kennedy, ha perse - anche se di misura - il voto dei cattolici, che gli preferirono il metodista George Bush. Quattro anni fa pesarono anche le prese di posizione di molti vescovi statunitensi che si schierarono apertamente contro Kerry per il suo sostegno all'aborto: si arrivò a parlare anche della necessità di negargli la Comunione, molti vescovi lo intimarono a "non presentarsi" nelle chiese delle loro diocesi perché non avrebbe ricevuto il Sacramento e da Roma anche il cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ribadì la possibilità per un sacerdote di rifiutare la comunione ad un politico dichiaratamente favorevole all'aborto. Vicende come queste non si ripeteranno nel corso di questa tornata elettorale (né Obama né la Clinton sono cattolici), ma i temi bioetici continueranno ad essere ancora uno dei punti focali della lotta per la Casa Bianca.
di Daniele Lorenzi/ 20/04/2008
http://www.korazym.org/news1.asp?Id=28569


Quarto giorno del papa negli USA. Benedetto XVI spiega perchè i cristiani sono così divisi
È perché si uniformano al mondo, dice. E invece che predicare la verità oggettiva della fede esortano a scegliere la comunità di proprio gusto. Il discorso chock letto dal papa ai rappresentanti dell'ecumenismo
di Sandro Magister

ROMA, 20 aprile 2008 – L'indiscutibile momento clou della quarta giornata di Benedetto XVI negli Stati Uniti è stato il suo discorso all'assemblea generale delle Nazioni Unite.
Www.chiesa l'ha immediatamente messo in rete, in quattro lingue, subito dopo che il papa l'aveva pronunciato.

Ma nel pomeriggio di quello stesso venerdì 18 aprile, a New York, il papa ha compiuto altri due gesti.

Il primo è stato una visita alla sinagoga di Park East, retta dal rabbino Arthur Schneier, alla vigilia della Pasqua ebraica (vedi foto).

Il secondo è stato un incontro ecumenico, nella chiesa di Saint Joseph, con 250 rappresentanti di una decina di confessioni cristiane.

Durante questo incontro, al termine della liturgia della Parola, Benedetto XVI ha rivolto ai presenti un discorso del tutto insolito in simili consessi. Anzi, molto nuovo anche rispetto a precedenti interventi di papa Joseph Ratzinger in tema di ecumenismo.

La tesi di Benedetto XVI è che la cristianità è così divisa sia per una reciproca rivalità fatta di "azioni profetiche" che tendono a distinguersi e a dividersi dalla "comunione con la Chiesa di tutti i tempi", sia per "un approccio relativistico alla dottrina cristiana simile a quello che troviamo nelle ideologie secolarizzate".

Così, invece di predicare Gesù Cristo e "questi crocifisso" (1 Cor 2, 2) – cioè "la verità oggettiva" della fede apostolica – molti cristiani delle diverse denominazioni preferiscono esortare a seguire la propria coscienza e a scegliere quella comunità che meglio incontra i propri gusti personali.

A giudizio di Benedetto XVI, tale riluttanza ad asserire la centralità della dottrina "per timore che essa possa soltanto esacerbare piuttosto che curare le ferite della divisione" è presente anche all'interno del movimento ecumenico.

Al contrario, questa è l'invocazione del papa.

"Soltanto 'restando saldi' all’insegnamento sicuro (cfr 2 Ts 2, 15) riusciremo a rispondere alle sfide con cui siamo chiamati a confrontarci in un mondo che cambia. Soltanto così daremo una testimonianza ferma alla verità del Vangelo e al suo insegnamento morale. Questo è il messaggio che il mondo si aspetta di sentire da noi".

Un'invocazione che è tanto più attuale "proprio nel momento il cui il mondo ha smarrito l’orientamento ed ha bisogno di testimonianze comuni e convincenti del potere salvifico del Vangelo (cfr Rm 1, 18-23)".

Ecco qui di seguito i passaggi salienti del discorso del papa:
Sulla frammentazione delle comunità cristiane
di Benedetto XVI
New York, incontro ecumenico nella chiesa di Saint Joseph, venerdì 18 aprile 2008



[...] Troppo spesso i non cristiani, che osservano la frammentazione delle comunità cristiane, restano a ragione confusi circa lo stesso messaggio del Vangelo. Credenze e comportamenti cristiani fondamentali vengono a volte modificati in seno alle comunità da cosiddette "azioni profetiche" fondate su un’ermeneutica non sempre in consonanza con il dato della Scrittura e della Tradizione. Di conseguenza le comunità rinunciano ad agire come un corpo unito, e preferiscono invece operare secondo il principio delle "opzioni locali". In tale processo, si smarrisce da qualche parte il bisogno di una koinonia diacronica – la comunione con la Chiesa di tutti i tempi – proprio nel momento il cui il mondo ha smarrito l’orientamento ed ha bisogno di testimonianze comuni e convincenti del potere salvifico del Vangelo (cfr Rm 1, 18-23).

Di fronte a queste difficoltà, dobbiamo in primo luogo ricordarci che l’unità della Chiesa deriva dalla perfetta unità della Trinità. Il Vangelo di Giovanni ci dice che Gesù ha pregato il Padre perché i suoi discepoli possano essere una cosa sola, "come tu sei in me e io in te" (cfr Gv 17, 21). Questo passo riflette la ferma convinzione della comunità cristiana delle origini che la sua unità era frutto e riflesso dell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ciò, a sua volta, mostra che la coesione reciproca dei credenti era fondata sulla piena integrità della confessione del loro credo (cfr 1 Tm 1, 3-11). In tutto il Nuovo Testamento noi troviamo che gli Apostoli furono ripetutamente chiamati a rendere ragione della loro fede sia ai Gentili (cfr At 17, 16-34) che ai Giudei (cfr At 4, 5-22; 5, 27-42). Il nucleo centrale della loro argomentazione fu sempre il fatto storico della risurrezione corporea del Signore dalla tomba (At 2, 24,32; 3, 15; 4,10; 5,30; 10,40; 13,30). L’efficacia ultima della loro predicazione non dipendeva da "parole ricercate" o da "sapienza umana" (1 Cor 2, 13), ma piuttosto dall’azione dello Spirito (Ef 3, 5) che confermava l’autorevole testimonianza degli Apostoli (cfr 1 Cor 15, 1-11). Il nucleo della predicazione di Paolo e della Chiesa delle origini non era altro che Gesù Cristo, e "questi crocifisso" (1 Cor 2, 2). E questa proclamazione doveva essere garantita dalla purezza della dottrina normativa espressa nelle formule di fede – i simboli – che articolavano l’essenza della fede cristiana e costituivano il fondamento dell’unità dei battezzati (cfr 1 Cor 15,3-5; Gal 1,6-9; Unitatis redintegratio, 2).

Miei cari amici, la forza del kerygma non ha perso nulla del suo interiore dinamismo. Pur tuttavia dobbiamo chiederci se il suo pieno vigore non sia stato attenuato da un approccio relativistico alla dottrina cristiana simile a quello che troviamo nelle ideologie secolarizzate, che, con il sostenere che solo la scienza è "oggettiva", relegano completamente la religione nella sfera soggettiva del sentimento dell’individuo. Le scoperte scientifiche e le loro realizzazioni attraverso l’ingegno umano offrono senza dubbio all’umanità nuove possibilità di miglioramento. Questo non significa, tuttavia, che il "conoscibile" sia limitato a ciò che è empiricamente verificabile, né che la religione sia confinata al regno mutevole della "esperienza personale".

L’accettazione di questa erronea linea di pensiero porterebbe i cristiani a concludere che nella presentazione della fede cristiana non è necessario sottolineare la verità oggettiva, perché non si deve che seguire la propria coscienza e scegliere quella comunità che meglio incontra i propri gusti personali. Il risultato è riscontrabile nella continua proliferazione di comunità che sovente evitano strutture istituzionali e minimizzano l’importanza per la vita cristiana del contenuto dottrinale.

Anche all’interno del movimento ecumenico i cristiani possono mostrarsi riluttanti ad asserire il ruolo della dottrina per timore che esso possa soltanto esacerbare piuttosto che curare le ferite della divisione. Malgrado ciò, una chiara e convincente testimonianza resa alla salvezza operata per noi in Cristo Gesù deve basarsi sulla nozione di un insegnamento apostolico normativo – un insegnamento che davvero sottolinea la parola ispirata di Dio e sostiene la vita sacramentale dei cristiani di oggi.

Soltanto "restando saldi" all’insegnamento sicuro (cfr 2 Ts 2, 15) riusciremo a rispondere alle sfide con cui siamo chiamati a confrontarci in un mondo che cambia. Soltanto così daremo una testimonianza ferma alla verità del Vangelo e al suo insegnamento morale. Questo è il messaggio che il mondo si aspetta di sentire da noi. Così come i primi cristiani, abbiamo la responsabilità di dare una testimonianza trasparente delle "ragioni della nostra speranza", così che gli occhi di tutti gli uomini di buona volontà possano aprirsi per vedere che Dio ha manifestato il suo volto (cfr 2 Cor 3,12-18) e ci ha permesso di accedere alla sua vita divina attraverso Gesù Cristo. Lui solo è la nostra speranza! Dio ha rivelato il suo amore per tutti i popoli attraverso il mistero della passione e morte del suo Figlio, e ci ha chiamati a proclamare che è veramente risorto, si è seduto alla destra del Padre e "di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti" (Credo niceno). [...]


SULLE FERITE CAUSATE DAGLI ABUSI - PAROLE AUDACI A GUARIRE LO SCANDALO
Avvenire, 20 aprile 2008
MARINA CORRADI
L’aereo era appena decollato da Fiumicino, e già parlando con i giornalisti il Papa aveva pronunciato quelle parole, direttamente in inglese, perché arrivassero senza mediazioni al grande popolo che lo aspettava al di là dell’Oceano: 'I am ashamed', 'io mi vergogno'. Poi, nel Nationals Stadium di Washington gremito di folla: 'Nessu­na mia parola potrebbe descrivere il dolore e il danno recati dagli abusi pe­dofili'. E ieri, nella cattedrale di San Pa­trizio, ancora è tornato a parlare dello scandalo che ha investito la Chiesa cat­tolica americana.
Chi si aspettava parole diplomatiche o minimizzanti, ha dovuto ricredersi. Che cosa può dire di più forte un uo­mo? Non ha detto, il Papa, 'è' una ver­gogna ; ma 'mi vergogno', assumen­dosi come sulle spalle l’umiliazione di quei fatti terribili.
È una espressione che è come uscita dal linguaggio quotidiano, quella usata dal Papa. Quando ci rammarichiamo di qualcosa diciamo 'mi dispiace', o, spes­so, traduciamo il disagio in quel 'sentir­si in colpa' che è ben diverso dal vergo­gnarsi. Che trasforma l’oggettività del male fatto in una sensazione soggettiva. In quanti, in casa nostra o in un’assem­blea politica, esaminando il proprio o­perato, avremmo il coraggio di dire: io mi vergogno?
La sincerità e l’umiltà di Benedetto XVI hanno avuto su chi ascoltava un effetto disarmante. Olan Horne, una delle vitti­me degli abusi incontrate dal Papa a Wa­shington, aveva dichiarato animosa­mente alle radio che lui e i suoi compa­gni 'non si sarebbero accontentati di pa­role'. Ma uscito da quel colloquio lo stes­so Horne ha detto: 'La mia speranza og­gi è stata rigenerata'. Poche parole, for­se sfuggite nel mare delle cronache di questo viaggio, eppure fondamentali.
Perché la stessa 'vergogna' confessata audacemente dal Papa non potrebbe niente, circa il male fatto, se non dentro la speranza che questo viaggio ha volu­to testimoniare. 'È nel contesto della speranza nata dall’amore e dalla fedeltà di Dio che io prendo atto del dolore del­la Chiesa in America', ha annunciato Benedetto XVI alla folla dello stadio di Washington. Qualsiasi ammissione di colpa o di impotenza infatti si apre a u­na prospettiva diversa solo dentro una grande speranza. Che è, nella sua es­senza, la possibilità che il male compiu­to non sia l’ultima parola, ma che perfi­no dai mali peggiori possa venire un be­ne più grande. Il che in termini pura­mente umani appare impossibile, e scandaloso. Ma, come disse Giovanni Paolo II, 'la forza di trasformare il male in bene, questo è Gesù Cristo'.
Quel 'mi vergogno' di Benedetto XVI sta dentro una logica profondamente, radi­calmente cristiana. Cristiano è l’oriz­zonte di un male che non chiude defini­tivamente come una condanna il cielo degli uomini. Per Freud, il perdono era un atto rischioso per le forze di soppor­tazione dell’Io, e chiedere perdono era letto fondamentalmente come un atto di sottomissione al più forte. Per Nietz­sche, anche il chiedere perdono era se­gno della 'religione da schiavi'. Dentro la speranza cristiana, invece, l’ammis­sione della 'vergogna' del Papa è l’ini­zio di quella rivoluzione di Cristo che, come ha detto Benedetto XVI in San Pa­trizio, crea 'vita dalla morte'. È lo stupore dell’uomo uscito dall’incontro di Wa­shington: 'Sono stato rigenerato nella speranza'.
Che vuol dire riprendere a vivere e a guardare alla propria storia, nonostante tutto ciò che è stato, come a una storia buona. Ciò che, magari senza saperlo, la maggioranza degli uomini desidera. Es­sere certi che, anche nell’ingiustizia co­cente e nel dolore, l’uomo non è, come diceva Sartre, una 'passione inutile', un vano, impotente, continuamente so­praffatto sforzo verso la felicità. Ma è at­teso invece da un destino buono che già in germe si mostra, per chi lo voglia ri­conoscere: in mezzo a noi, nel presente.


Preghiera a Ground Zero
Autore: Pelizzari, Daniele Curatore: Leonardi, Enrico
Fonte: CulturaCattolica.it
sabato 19 aprile 2008
C’è una foto non ancora scattata di cui già parlano i media perché diventerà senza dubbio una tra le più famose del secolo, e una preghiera non ancora recitata ma che già si conosce e che sconcerterà molti.
L’immagine è quella di Papa Benedetto che domenica mattina pregherà a Ground Zero, luogo dove la libertà umana di compiere il male ha lasciato un segno indelebile.
Le parole del Papa non saranno solo invocazioni per chiedere conforto e consolazione e per “rafforzarci nella speranza”, ma andranno oltre: si sa che pregherà per il perdono ai terroristi ma soprattutto per chiedere a Dio la loro conversione.
E’ questa la cosa strana un po’ scandalosa che non va giù: passi per il perdono, in fondo lui è proprio per antonomasia uomo di perdono e di pace, ma la conversione!
“ Alla morte inflitta dai terroristi, risponde chiedendo non la loro morte, non la loro punizione, ma la conversione dei loro cuori. All’azzardo dei loro gesti assurdi, alla ferocia di chi compì quel feroce mestiere di morte, oppone l’azzardo di chiedere a Dio di fare fino in fondo il suo mestiere di Dio. Come se non bastasse chiedere più pace.”
Così il poeta Davide Rondoni in un toccante articolo dalle pagine di “Avvenire” spiega il gesto di Benedetto, usando proprio quel termine “azzardo” che suona così inadeguato per un pontefice, per giunta riferito a colui che viene definito come il Papa della ragione!
“Non è la prima volta che la Chiesa aggiunge qualcosa a quel che possono dire tutti… La Chiesa ragazza di Dio fa una domanda fuori luogo. Impertinente. Un azzardo. Chiede la conversione dei peggiori”, insiste Rondoni (è proprio un poeta perché vede di là di quello che normalmente si vede).
Non è la prima volta infatti che la Chiesa va oltre quelle che sono le giuste, necessarie ed inevitabili richieste di ogni uomo - la memoria richiama i tanti esempi di Giovanni Paolo II - non lo fa per il compito di cercare di salvare tutti, cosa giustissima e doverosissima, ma implora Dio per chiedere la conversione “per i peggiori, così che anche coloro che si sentono migliori abbiano l’inquietudine di non essere a posto, e di avere un cuore che solo Dio può colmare”.


Lombardia, dal buono alla «dote»
Avvenire, 20 aprile 2008
DA MILANO
Si chiama “dote” e ac­compagna lo studente in tutto il suo percorso scolastico, sostenendo la sua libertà di scelta educativa e il diritto allo studio. Farà il suo debutto in Lombardia con il prossimo anno scola­stico 2008-2009. La Giunta regionale ha già stanziato 65 milioni di euro (a fronte dei 52 milioni erogati nello scor­so anno, oltre il 20% in più). La novità è stata presentata dal presidente della Regio­ne, Roberto Formigoni e dal­l’assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro, Gian- ni Rossoni. I contributi an­nuali per studente sono di vario tipo e per la prima vol­ta possono essere richiesti con una sola domanda o at­traverso i Comuni o in in­ternet. Lo si può fare all’ini­zio del percorso e valgono, se permangono le condizio­ni di reddito e di merito, si­no al termine.
Un primo tipo è la dote “per la libera scelta” (ex buono scuola) che può arrivare fino a un massimo di 1050 euro all’anno per studente. Con due importanti novità. Una riguarda i portatori di han­dicap, per i quali è previsto un contributo aggiuntivo di 3mila euro all’anno. L’altra riguarda le famiglie meno abbienti, cioè con reddito I­see (Indicatore della situa­zione economica equiva­lente) al di sotto dei 15.458 euro. Per ciascun figlio è pre­vista un’integrazione tra i 500 e i 1000 euro.
C’è poi la dote “per la per­manenza nel sistema edu­cativo”, destinata all’acqui­sto di servizi (come libri, mensa, trasporti) per gli a­lunni delle scuole elemen­tari, medie e superiori stata­li (da 120 a 320 euro) per chi ha reddito Isee inferiore a 15.540 euro (prima il limite era di 10mila euro). Infine, c’è la dote “per merito” (ex borse di studio), valida per scuole statali e non, da 500 a 1000 euro.
«Con questo pacchetto di misure – ha spiegato Formi­goni – rafforziamo la vici­nanza alle famiglie, il soste­gno alla libertà di scelta, l’at­tenzione alle situazioni bi­sognose, ma anche agli a­lunni meritevoli. Il metodo è quello di sostenere l’indivi­duo, appunto con una dote personale che lo accompa­gna qualunque percorso de­cida di seguire e non le varie agenzie formative».
«Le oltre 100mila famiglie lombarde interessate a que­sto pacchetto di provvedi­mento – ha sottolineato Ros­soni – avranno due vantag­gi: l’innalzamento della so­glia di reddito da 10 a oltre 15mila euro di reddito an­nuo Isee e il raddoppio in al­cuni casi delle borse di stu­dio, da 500 e 1000 euro».