Nella rassegna stampa di oggi:
1) Ignace de la Potterie. «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto». Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. Storia di una traduzione imprecisa.
2) Benedetto XVI: “Gesù è il Vivente e noi lo possiamo incontrare”
3) Il tour elettorale dell'Elefantino, Livorno e Firenze, apoteosi
4) Storia di un convertito dall'islam. Battezzato dal papa in San Pietro, di Sandro Magister
5) Per il Vaticano re Abdullah pesa più di 138 dotti musulmani, di Sandro Magister
6) E diventa difficile espellere persino i terroristi
Ignace de la Potterie. «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto»
Due aspetti ci preme mettere in rilievo: anche in questa versione riveduta, le parole di Gesù vengono tradotte con un’imprecisione, rispetto all’originale greco. E tale imprecisione viene di fatto utilizzata per confermare con l’autorità del Vangelo un’impostazione che sembra prevalente nella Chiesa di oggi: l’idea che la vera fede sia quella che prescinde totalmente dai segni visibili.
L’errore di traduzione a cui pensa di poter appoggiarsi tale interpretazione, che di fatto travisa il passo evangelico, consiste nel tradurre al presente il rimprovero di Gesù: «Beati coloro che credono, pur senza aver visto». In questo modo le parole vengono trasformate in una regola di metodo valida per tutti coloro che vivono nei tempi successivi alla morte e risurrezione di Gesù. E infatti la nota spiega che solo per i contemporanei di Gesù «visione e fede erano abbinate», mentre per tutti coloro che vengono dopo, «la normalità della fede poggia sull’ascolto, non sul vedere».
Secondo questa interpretazione sembra quasi che Gesù si opponga al naturale desiderio di vedere, chiedendo a noi una fede fondata solo sull’ascolto della Parola. In realtà, qui il verbo non è al presente, come viene tradotto. Nell’originale greco il verbo è all’aoristo (πιστεύσαντες), anche nella versione latina era messo al passato (crediderunt). «Tu hai creduto perché hai visto» - dice Gesù a Tommaso - «beati coloro che senza aver visto [ossia che senza aver visto me, direttamente] hanno creduto». E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero «credere senza vedere», ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano. In particolare il riferimento indica proprio Giovanni, che con Pietro era corso al sepolcro per primo dopo che le donne avevano raccontato l’incontro con gli angeli e il loro annuncio che Gesù Cristo era risorto.
Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, aveva visto la tomba vuota, e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte, e pur nell’esiguità di tali indizi aveva cominciato a credere. La frase di Gesù «beati quelli che pur senza aver visto [me] hanno creduto» rinvia proprio al «vidit et credidit» riferito a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esempio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole indicare che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. L’imprecisione introdotta dai traduttori riguardo al tempo dei verbi usati da Gesù è servita a cambiare il senso delle sue parole e a riferirle non più a Giovanni e agli altri discepoli, ma ai credenti futuri. E’ passata così inconsapevolmente l’interpretazione del teologo esegeta protestante Rudolf Bultmann,che traduceva i due verbi del passo al presente («Beati coloro che non vedono e credono») per presentarla «come una critica radicale dei segni e delle apparizioni pasquali e come un’apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore» (Donatien Mollat).
Mentre è esattamente il contrario. Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo.
Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede. Vi è un altro ricorrente errore di traduzione, ripetuto anche dalla nuova versione CEI. Quando Gesù sottopone le sue ferite alla «prova empirica» richiesta da Tommaso, accompagna questa offerta con un’esortazione: «E non diventare incredulo, ma diventa (γίνου) credente». Significa che Tommaso non è ancora né l’uno né l’altro. Non è ancora incredulo, ma non è nemmeno ancora un credente. La versione CEI, come molte altre, traduce invece: «E non essere incredulo, ma credente». Ora, nel testo originale, il verbo «diventare» suggerisce l’idea di dinamismo, di un cambiamento provocato dall’incontro col Signore vivo.
Senza l’incontro con una realtà vivente non si può cominciare a credere. Solo dopo che ha visto Gesù vivo Tommaso può cominciare a diventare «credente». Invece la versione inesatta, che va per la maggiore, sostituendo il verbo essere al verbo diventare, elimina la percezione di tale movimento, e sembra quasi sottintendere che la fede consiste in una decisione da prendere a priori, un moto originario dello spirito umano. E’ un totale rovesciamento. Tommaso, anche lui, vede Gesù e allora, sulla base di questa esperienza, è invitato a rompere gli indugi e a diventare credente.
Se al diventare si sostituisce l’essere, sembra quasi che a Tommaso sia richiesta una fede preliminare, che sola gli permetterebbe di «vedere» Gesù e accostarsi alle sue piaghe.
Come vuole l’idealismo per cui è la fede a creare la realtà da credere. Le spiegazioni della nota, basate su queste traduzioni inesatte, e che per fortuna, come ha premesso monsignor Antonelli, non possiedono «alcun carattere di ufficialità», sembrano comunque piegare le parole di Gesù alla nuova tendenza che vige oggi nella Chiesa, secondo cui una fede pura è quella che prescinde dal «vedere», ossia dall’appoggio e dallo stimolo dei segni sensibili.
E’ vero, come spiega la nota, che nel tempo attuale «la visione non può essere pretesa». Niente nell’esperienza cristiana può mai essere oggetto di «pretesa». Ma mettere in alternativa il vedere e l’ascoltare e sostenere che «la normalità della fede poggia sull’ascolto, e non sul vedere» ossia che basta ascoltare il «racconto» del cristianesimo per diventare cristiani, sembra essere in contraddizione con tutto ciò che insegnano le Scritture e la Tradizione della Chiesa.
Le apparizioni a Maria di Magdala, ai discepoli e a Tommaso sono l’immagine normativa di un’esperienza che ogni credente è chiamato a fare nella Chiesa; come l’apostolo Giovanni, anche per noi il «vedere» può essere una via d’accesso al «credere». Proprio per questo continuiamo a leggere i racconti del Vangelo: per rifare l’esperienza di coloro che dal «vedere» sono passati al «credere» (si pensi alla contemplazione delle scene evangeliche e all’applicazione dei sensi a esse, secondo una lunga tradizione spirituale).
Il Vangelo di Marco si conclude testimoniando che la predicazione degli apostoli non era solo un semplice racconto, ma era accompagnata da miracoli, affinché potessero confermare le loro parole con questi segni: «Allora essi partirono e annunciarono il vangelo dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20). Molti Padri della Chiesa, dall’occidentale Agostino fino all'orientale Atanasio, hanno insistito su questa permanenza dei segni visibili esteriori che accompagnano la predicazione e che non sono un di meno, una concessione alla debolezza umana, ma sono connessi con la realtà stessa dell’incarnazione. Se Dio si è fatto uomo, risorto col suo vero corpo, rimane uomo per sempre e continua ad agire.
Ora non vediamo il corpo glorioso del Risorto, ma possiamo vedere le opere e i segni che compie: «In manibus nostris codices, in oculis facta», dice Agostino: «nelle nostre mani i codici dei Vangeli, nei nostri occhi i fatti». Mentre leggiamo i Vangeli, vediamo di nuovo i fatti che accadono.
E Atanasio scrive nell’Incarnazione del Verbo: «Come, essendo invisibile, si conosce in base alle opere della creazione, così, una volta divenuto uomo, anche se non si vede nel corpo, dalle opere si può riconoscere che chi compie queste opere non è un uomo ma il Verbo di Dio.
Se una volta morti non si è più capaci di far nulla ma la gratitudine per il defunto giunge fino alla tomba e poi cessa – solo i vivi, infatti, agiscono e operano nei confronti degli altri uomini - veda chi vuole e giudichi confessando la verità in base a ciò che si vede».
Tutta la Tradizione conserva con fermezza il dato che la fede non si basa solo sull’ascolto, ma anche sull’esperienza di prove esteriori, come ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica al paragrafo 156, citando le definizioni dogmatiche del Concilio ecumenico Vaticano I: ««Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione».
Così i miracoli di Cristo e dei santi, le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità «sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti a ogni intelligenza», sono «motivi di credibilità» i quali mostrano che l’assenso della fede non è «affatto un cieco moto dello spirito»». In particolare, sono i santi che attualizzano per i loro contemporanei i racconti del Vangelo. Quando san Francesco parlava, per chi era lì presente era chiarissimo che i Vangeli non erano un racconto del passato, solo da leggere e ascoltare: in quel momento era evidente che in quell’uomo era presente e agiva Gesù stesso.
Non per niente anche Giovanni Paolo II ha proposto in chiave positiva proprio la figura dell’apostolo Tommaso, quando, in un suo discorso ai giovani di Roma, il 24 marzo del ’94, li ha invitati a prendere sul serio, rispettare e accogliere questa sete di prove esteriori, visibili, così viva tra i loro coetanei: «Noi li conosciamo [questi giovani empirici], sono tanti, e sono molto preziosi, perché questo voler toccare, voler vedere, tutto questo dice la serietà con cui si tratta la realtà, la conoscenza della realtà. E questi sono pronti, se un giorno Gesù viene e si presenta loro, se mostra le sue ferite, le sue mani, il suo costato, allora sono pronti a dire: Mio Signore e mio Dio!».
Fonte: liturgiadomenicale.blogspot.com -Pubblicato da Don Antonello Iapicca
Benedetto XVI: “Gesù è il Vivente e noi lo possiamo incontrare”
Intervento all'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 31 marzo 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi di Benedetto XVI durante l’Udienza generale del 26 marzo scorso, che si è svolta in Piazza San Pietro.
Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato della Pasqua.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
"Et resurrexit tertia die secundum Scripturas – il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture". Ogni domenica, con il Credo, rinnoviamo la nostra professione di fede nella risurrezione di Cristo, evento sorprendente che costituisce la chiave di volta del cristianesimo. Nella Chiesa tutto si comprende a partire da questo grande mistero, che ha cambiato il corso della storia e che si rende attuale in ogni celebrazione eucaristica. Esiste però un tempo liturgico in cui questa realtà centrale della fede cristiana, nella sua ricchezza dottrinale e inesauribile vitalità, viene proposta ai fedeli in modo più intenso, perché sempre più la riscoprano e più fedelmente la vivano: è il tempo pasquale. Ogni anno, nel "Santissimo Triduo del Cristo crocifisso, morto e risorto", come lo chiama sant’Agostino, la Chiesa ripercorre, in un clima di preghiera e di penitenza, le tappe conclusive della vita terrena di Gesù: la sua condanna a morte, la salita al Calvario portando la croce, il suo sacrificio per la nostra salvezza, la sua deposizione nel sepolcro. Il "terzo giorno", poi, la Chiesa rivive la sua risurrezione: è la Pasqua, passaggio di Gesù dalla morte alla vita, in cui si compiono in pienezza le antiche profezie. Tutta la liturgia del tempo pasquale canta la certezza e la gioia della risurrezione del Cristo.
Cari fratelli e sorelle, dobbiamo costantemente rinnovare la nostra adesione al Cristo morto e risorto per noi: la sua Pasqua è anche la nostra Pasqua, perché nel Cristo risorto ci è data la certezza della nostra risurrezione. La notizia della sua risurrezione dai morti non invecchia e Gesù è sempre vivo; e vivo è il suo Vangelo. "La fede dei cristiani – osserva sant’Agostino – è la risurrezione di Cristo". Gli Atti degli Apostoli lo spiegano chiaramente: "Dio ha dato a tutti gli uomini una prova sicura su Gesù risuscitandolo da morte" (17,31). Non era infatti sufficiente la morte per dimostrare che Gesù è veramente il Figlio di Dio, l’atteso Messia. Nel corso della storia quanti hanno consacrato la loro vita a una causa ritenuta giusta e sono morti! E morti sono rimasti. La morte del Signore dimostra l’immenso amore con cui Egli ci ha amati sino a sacrificarsi per noi; ma solo la sua risurrezione è "prova sicura", è certezza che quanto Egli afferma è verità che vale anche per noi, per tutti i tempi. Risuscitandolo, il Padre lo ha glorificato. San Paolo così scrive nella Lettera ai Romani: "Se confesserai con la bocca che Gesù è il Signore e crederai con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti sarai salvo" (10,9).
E’ importante ribadire questa verità fondamentale della nostra fede, la cui verità storica è ampiamente documentata, anche se oggi, come in passato, non manca chi in modi diversi la pone in dubbio o addirittura la nega. L’affievolirsi della fede nella risurrezione di Gesù rende di conseguenza debole la testimonianza dei credenti. Se infatti viene meno nella Chiesa la fede nella risurrezione, tutto si ferma, tutto si sfalda. Al contrario, l’adesione del cuore e della mente a Cristo morto e risuscitato cambia la vita e illumina l’intera esistenza delle persone e dei popoli. Non è forse la certezza che Cristo è risorto a imprimere coraggio, audacia profetica e perseveranza ai martiri di ogni epoca? Non è l’incontro con Gesù vivo a convertire e ad affascinare tanti uomini e donne, che fin dagli inizi del cristianesimo continuano a lasciare tutto per seguirlo e mettere la propria vita a servizio del Vangelo? "Se Cristo non è risuscitato, diceva l’apostolo Paolo, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede" (1 Cor 15, 14). Ma è risuscitato!
L’annuncio che in questi giorni riascoltiamo costantemente è proprio questo: Gesù è risorto, è il Vivente e noi lo possiamo incontrare. Come lo incontrarono le donne che, al mattino del terzo giorno, il giorno dopo il sabato, si erano recate al sepolcro; come lo incontrarono i discepoli, sorpresi e sconvolti da quanto avevano riferito loro le donne; come lo incontrarono tanti altri testimoni nei giorni che seguirono la sua risurrezione. E, anche dopo la sua Ascensione, Gesù ha continuato a restare presente tra i suoi amici come del resto aveva promesso: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Il Signore è con noi, con la sua Chiesa, fino alla fine dei tempi. Illuminati dallo Spirito Santo, i membri della Chiesa primitiva hanno incominciato a proclamare l’annuncio pasquale apertamente e senza paura. E quest’annuncio, tramandatosi di generazione in generazione, è giunto sino a noi e risuona ogni anno a Pasqua con potenza sempre nuova.
Specialmente in quest’Ottava di Pasqua la liturgia ci invita ad incontrare personalmente il Risorto e a riconoscerne l’azione vivificatrice negli eventi della storia e del nostro vivere quotidiano. Oggi mercoledì, ad esempio, ci viene riproposto l’episodio commovente dei due discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35). Dopo la crocifissione di Gesù, immersi nella tristezza e nella delusione, essi facevano ritorno a casa sconsolati. Durante il cammino discorrevano tra loro di ciò che era accaduto in quei giorni a Gerusalemme; fu allora che Gesù si avvicinò, si mise a discorrere con loro e ad ammaestrarli: "Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti… Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,25 -26). Cominciando poi da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. L’insegnamento di Cristo – la spiegazione delle profezie – fu per i discepoli di Emmaus come una rivelazione inaspettata, luminosa e confortante. Gesù dava una nuova chiave di lettura della Bibbia e tutto appariva adesso chiaro, orientato proprio verso questo momento. Conquistati dalle parole dello sconosciuto viandante, gli chiesero di fermarsi a cena con loro. Ed Egli accettò e si mise a tavola con loro. Riferisce l’evangelista Luca: "Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro" (Lc 24,29-30). E fu proprio in quel momento che si aprirono gli occhi dei due discepoli e lo riconobbero, "ma lui sparì dallo loro vista" (Lc 24,31). Ed essi, pieni di stupore e di gioia, commentarono: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?" (Lc 24,32).
In tutto l’anno liturgico, particolarmente nella Settimana Santa e nella Settimana di Pasqua, il Signore è in cammino con noi e ci spiega le Scritture, ci fa capire questo mistero: tutto parla di Lui. E questo dovrebbe far ardere anche i nostri cuori, così che possano aprirsi anche i nostri occhi. Il Signore è con noi, ci mostra la vera via. Come i due discepoli riconobbero Gesù nello spezzare il pane, così oggi, nello spezzare il pane, anche noi riconosciamo la sua presenza. I discepoli di Emmaus lo riconobbero e si ricordarono dei momenti in cui Gesù aveva spezzato il pane. E questo spezzare il pane ci fa pensare proprio alla prima Eucaristia celebrata nel contesto dell’Ultima Cena, dove Gesù spezzò il pane e così anticipò la sua morte e la sua risurrezione, dando se stesso ai discepoli. Gesù spezza il pane anche con noi e per noi, si fa presente con noi nella Santa Eucaristia, ci dona se stesso e apre i nostri cuori. Nella Santa Eucaristia, nell’incontro con la sua Parola, possiamo anche noi incontrare e conoscere Gesù, in questa duplice Mensa della Parola e del Pane e del Vino consacrati. Ogni domenica la comunità rivive così la Pasqua del Signore e raccoglie dal Salvatore il suo testamento di amore e di servizio fraterno. Cari fratelli e sorelle, la gioia di questi giorni renda ancor più salda la nostra fedele adesione a Cristo crocifisso e risorto. Soprattutto, lasciamoci conquistare dal fascino della sua risurrezione. Ci aiuti Maria ad essere messaggeri della luce e della gioia della Pasqua per tanti nostri fratelli. Ancora a tutti voi cordiali auguri di Buona Pasqua.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rinnovo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Grazie per la vostra gioia di Pasqua. In particolare, saluto i novelli Diaconi della Compagnia di Gesù con i loro Superiori e familiari, ed invoco su ognuno di essi una copiosa effusione di doni celesti, a conferma dei loro generosi propositi di fedeltà a Cristo. Saluto i fedeli della Parrocchia Maria Santissima Assunta e San Liberale in Castelfranco Veneto e quelli della Parrocchia Sacro Cuore di Gesù in Bellizzi. Un affettuoso saluto indirizzo ai fedeli della Parrocchia di Ognissanti, in Roma che ricordano quest’anno il centenario di fondazione della parrocchia, affidata a San Luigi Orione dal mio predecessore San Pio X. Auguro a tutti di essere sempre fedeli testimoni di Cristo e di contribuire a diffondere ovunque la gioia di seguire il suo Vangelo per costruire insieme una società più fraterna.
Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari giovani - e specialmente voi, ragazzi e ragazze che siete venuti così numerosi da parrocchie e oratori dell'Arcidiocesi di Milano, siate entusiasti protagonisti nella Chiesa e nella società. Voi, che fate quest'anno la "Professione di fede", impegnatevi a costruire la civiltà dell'amore, fondata su Cristo che è morto e risorto per tutti. Cari malati, la luce della Risurrezione illumini e sostenga la vostra quotidiana sofferenza, rendendola feconda a beneficio dell'intera umanità. E voi, cari sposi novelli, attingere ogni giorno dal Mistero pasquale la forza per un amore sincero ed inesauribile.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
1 aprile 2008
Il tour elettorale dell'Elefantino, Livorno e Firenze, apoteosi
Contestazioni durissime e insulti geniali, streghe e comizi riuscitissimi
Il tour elettorale va avanti imperterrito, mi trascino una prostata in fiamme di città in città. Grandioso flop a Torino, ma eroico, abissale. Pioggia e grandine in piazza Castello. Una ottantina di persone riunite sotto i portici della biblioteca reale, a palco abbandonato con le sue bandiere fradice. Altrettanti contestatori dei centri sociali lasciati lì nella pioggia nelle mani capaci della guardia regia, che ha evitato la carneficina. E andavano su e giù, davanti al Palazzo Reale, mentre noi parlavamo dai gradini della biblioteca, senza microfono. Calore e passione, che nel caso dei flop si moltiplicano. Poi iniezione di antibiotico e via a Biella, al museo del territorio: nuovo flop, ma confidenziale. Donne piene di ragionevole fiducia. Una ha detto: “Qualcosa si è smosso, vedrà Ferrara che raccoglieremo”. Baci, abbracci, e via a Vercelli. Meravigliosa serata, con il dottor Fossale e Marzio Grigolon, l’uno fiancheggiatore in quanto grande medico cattolico e l’altro capolista con la Agnese Pellegrini in Piemonte due. Vercelli è tosta, tradizionalista, una tappa decisiva sulla via francigena. Ha memoria, Vercelli. Erano entusiasti e tanti, ottima poi la panissa (riso maiale e fagioli, con la crosta nel fondo del tegame di rame smaltato, slurp). Poi in nottata, dopo il Tg3 (grazie, ma quanti spazi generosi mi vengono concessi, sono molto soddisfatto), rientro a Torino per partire l’indomani mattina per Oneglia, la patria di Scajola. Magnifica giornata di sole, di primo mattino, in piazza San Giovanni, sul sagrato della chiesa, con il viceparroco che osserva discreto e un sacco di gente attenta, più il passeggio. Ciangherotti, capolista giovane e volitivo, poi il sottoscritto. Viva il Papa e via per Savona, terra dura e impietosa, sala pessima, acustica orrida, contestazioni gentili, ho preso anche i volantini sul diritto di aborto. Poi a Genova, dove mi raggiunge il genovese Marcenaro, quello di Andrea’s Version, nella bella e piena sala Barabino. Movimento per la vita, gente varia, ragazzi e bambini: conferenza sulla vita perfettamente riuscita. Poi alla Spezia, di corsa, dove Marcenaro ha scritto il suo corsivo quotidiano in un bar, e chissà cosa si sarà bevuto, mentre in una vecchia e bella sala facevo il mio dovere sobrio davanti a molta gente contenta. Infine l’apoteosi di Livorno, così divertente e ribalda che mi è passato il dolore alla prostata. Contestazione furiosa, il sindaco che prima voleva assolutamente esserci (“Ma mi garantite che c’è Ferrara?”), si dà poi alla fuga all’ultimo minuto con clamorose polemiche locali, e rimaniamo in tre, con un sulfureo e simpatico uddiccino e il brillante-pedante Quagliariello, che si sente già supersenatore o superdeputato, non ricordo quale seggio ma beato lui, e dice cose regolari e severe sulla cultura del Sessantotto. In sala molti pazzi di Dio, comunisti della parrocchia del magnifico don Edoardo Medori, con il quale avevamo presentato in pompa magna due mesi fa il libro del Papa, e il Gran Guastalla, assessore alla cultura della comunità ebraica e prolifer, gallerista e connaisseur d’arte, casa magnifica e accogliente. Eravamo in stato di assedio, c’era una colonna sonora da sballo reggae fatta per impedirci di parlare, lì nella canonica, e quando sono comparso sul maxischermo posto fuori della canonica dove eravamo riuniti, un livornese geniale ha detto: “Ferrara, togliti quel maglione di merda!”. Poi, dopo un’ora e mezza di aborto sì aborto no, ecco che se ne sono andati proclamando di aver raggiunto l’obiettivo, i centri sociali e le femministe che ci volevano legnare e ci tiravano il prezzemolo. Nottata meravigliosa in un albergo modernissimo che a ogni finestra aveva un quadro di Sironi, poi di corsa a Firenze, pranzo con gli amici, arriva Duccio Trombadori con il sulfureo Lino Jannuzzi, padrino onorario della lista pazza in quanto liberale ma comunicato e cresimato, e dopo un’intervista a Canale 10 ecco la splendida piazza della Santissima Annunziata con il suo ospedale degli Innocenti e la sua ruota in cui fu deposto Zeffirelli. Parla la Cinzia Calusi, una appassionata ballerina generata da una bellissima madre poliomielitica alla quale era stato sconsigliato di figliare, e ne ha fatti quattro uno meglio dell’altro. Parla Lorenzo Schoepflin, un medaglione dell’Ottocento, giovanissimo capolista in Toscana. Poi io faccio un duro elogio del Medioevo, dò di ignoranti ai compagni socialisti che mi contestano rumorosamente e gli prometto che la prossima volta con il cavolo che li vado a salvare da Di Pietro, e mi confronto con un’orda di centri sociali e streghe orrende femministe, molto rumorose e violente, con le sirene della polizia collegate a un megafono per vietarci la parola. Ma non c’è trippa per gatti, il comizio riesce alla grande, la gente è entusiasta, arriveranno milioni di voti caldi e fervorosi, e se non arrivassero, ciccia. Poi Cagliari e il resto.
Storia di un convertito dall'islam. Battezzato dal papa in San Pietro
Si chiama Magdi Cristiano Allam. Da cinque anni vive sotto scorta, minacciato di morte. Ma il suo battesimo ha sollevato aspre critiche contro di lui e contro Benedetto XVI. Il testo integrale dell'atto di accusa scritto da Aref Ali Nayed, mente della lettera dei 138
di Sandro Magister
ROMA, 28 marzo 2008 – Tre giorni prima, in un messaggio audio diffuso via web, Osama bin Laden aveva accusato "il papa del Vaticano" d'avere "un ruolo rilevante" nel combattere contro l'slam una "nuova crociata".
Ma niente intimidisce Benedetto XVI. Nella veglia di Pasqua, sabato 22 marzo, il papa ha battezzato nella basilica di San Pietro, assieme ad altri sei uomini e donne di quattro continenti, un convertito dall'islam, Magdi Allam, 56 anni, egiziano di nascita, scrittore e giornalista di fama, vicedirettore del principale quotidiano italiano, il "Corriere della Sera", autore di libri importanti, l'ultimo dei quali intitolato: "Viva Israele".
Col battesimo – e subito dopo con la cresima e la comunione – Allam ha assunto come secondo nome quello di Cristiano. E in una lettera pubblicata sul suo giornale la domenica di Pasqua ha raccontato e spiegato la sua conversione.
La notizia ha fatto immediatamente il giro del mondo. I commenti sui media musulmani sono stati per la gran parte polemici, contro Allam e contro Benedetto XVI. Anche in campo ecclesiastico sono trapelate delle critiche alla pubblicità data alla conversione, che in realtà è rimasta segreta fino all'ultimo.
Da parte vaticana, un commento è apparso su "L'Osservatore Romano", in una breve nota del direttore Giovanni Maria Vian:
"Il gesto di Benedetto XVI afferma, in modo mite e chiaro, la libertà religiosa. Che è anche libertà di cambiare religione, come nel 1948 fu sottolineato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (anche se in seguito, purtroppo, la dichiarazione è stata proprio su questo punto ridimensionata). Così chiunque chieda senza costrizione il battesimo ha il diritto di riceverlo. E come non vi è stata enfatizzazione, così non vi è alcuna intenzione ostile nei confronti di una grande religione come quella islamica".
Per coincidenza, nello stesso numero del giornale del papa, un ampio servizio dedicato alla liturgia di Pasqua e all'antichissima tradizione di celebrarvi i sacramenti dell'iniziazione cristiana aveva come titolo: "L'intimo legame tra il battesimo e il martirio".
Un legame evidenziato da Benedetto XVI il lunedì di Pasqua, quando – al "Regina Coeli" di mezzogiorno – ha invitato i fedeli a pregare per i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i laici uccisi nel 2007 mentre svolgevano il loro servizio nei paesi di missione:
"Nella luce di Cristo risorto acquista particolare valore l’annuale giornata di preghiera per i missionari martiri, che ricorre proprio oggi".
Da musulmano, per le sue vigorose critiche a "un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale", Allam è stato fatto oggetto in passato di minacce di morte. Da cinque anni vive protetto da una scorta armata e abita in una località segreta a nord di Roma, con la moglie Valentina e il figlioletto Davide.
Come giornalista, fecero colpo due suoi servizi pubblicati nel 2003. Nel primo Allam riportò il sermone pronunciato il 6 giugno di quell'anno, venerdì, nella Grande Moschea di Roma dall'imam egiziano Abdel-Samie Mahmoud Ibrahim Moussa. Nel secondo tradusse dall'arabo i sermoni degli imam di altre sei moschee italiane. Quasi tutti esaltanti il terrorismo suicida e incitanti all'odio verso l'Occidente e Israele.
A seguito del primo servizio, il governo egiziano richiamò in patria l'imam autore del sermone.
Allam si distinse anche per i suoi commenti alla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, di totale consenso alle tesi del papa.
Le sue critiche non si appuntano solo contro l'islamismo. In varie occasioni egli ha denunciato "la resa morale, l'obnubilamento intellettuale, la collusione ideologica e la fattiva collaborazione dell'Occidente con gli estremismi islamici".
Per queste sue posizioni, Allam ha registrato forti ostilità da parte non solo di musulmani, ma anche di intellettuali d'Italia e d'Europa. Nell'estate del 2007 circa duecento professori di varie università, compresa la Cattolica di Milano, firmarono una lettera contro di lui, accusandolo d'intolleranza.
Anche in campo ecclesiastico molti diffidano. Dopo il suo articolo di denuncia del sermone dell'imam di Roma, l'allora presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, l'arcivescovo Michael L. Fitzgerald, lamentò che "così facendo si corre il rischio di compromettere il dialogo".
Ma Allam ha più volte denunciato anche un'altra paura diffusa nella Chiesa: quella per cui nei paesi musulmani – dove l'apostasia è talora punita con la morte – si rinuncia a battezzare e nei paesi cristiani si tengono nascosti i convertiti dall'islam.
Col battesimo a lui amministrato pubblicamente dal papa nella notte di Pasqua, Allam confida che si esca da queste "catacombe".
Ma non sarà facile. Tra le reazioni critiche da parte musulmana al suo battesimo, colpiscono quelle di due importanti firmatari della lettera dei 138, cioè la lettera simbolo del dialogo tra la Chiesa di Roma e l'islam: l'imam italiano Yahya Pallavicini e il teologo libico Aref Ali Nayed, direttore del Royal Islamic Strategic Studies Center di Amman, in Giordania.
I due hanno fatto parte della delegazione di cinque rappresentanti musulmani che hanno concordato il 4 e 5 marzo con le autorità vaticane le prossime tappe del dialogo, che comprenderà un'udienza con Benedetto XVI.
Entrambi, però, nel criticare il battesimo di Allam, eludono la questione capitale della libertà di religione, che pure è stata posta al centro dell'agenda di dialogo tra la Chiesa di Roma e i firmatari della lettera dei 138.
Yayha Pallavicini si è detto "imbarazzato per la mancanza di sensibilità" dimostrata da chi ha voluto battezzzare Allam in San Pietro, "un gesto compiuto all'indomani dell'anniversario della nascita del Profeta, il Natale musulmano, che rischia di generare messaggi negativi e indica l'intenzione politica del Vaticano di far prevalere la supremazia della Chiesa cattolica sulle altre religioni".
Ma ancor più duro è stato il commento di Nayed, che è la vera mente della lettera dei 138, di cui è il sostanziale autore.
Duro nei confronti di Allam ma più ancora di Benedetto XVI, al quale lancia l'accusa di aver voluto riaffermare, col gesto del battesimo, la "famigerata" ("infamous" nell'originale inglese) lezione di Ratisbona.
Nayed arriva a giudicare "totalitaria" e "quasi manichea" la simbologia di tenebre e luce sviluppata dal papa nell'omelia della veglia pasquale.
Senza una presa di distanza vaticana – dice ancora Nayed – il battesimo amministrato da Benedetto XVI induce a concludere che il papa sottoscrive e appoggia i "discorsi di odio" di Allam contro l'islam.
Più sotto è riportato per intero il commento di Nayed. Seguito da una replica fatta alla Radio Vaticana il 27 marzo dal direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Ma, prima, ecco la versione integrale della lettera al direttore del "Corriere della Sera" con cui Allam ha raccontato la sua conversione, lettera pubblicata dal giornale solo in parte:
"Benedetto XVI ci dice che bisogna vincere la paura"
di Magdi Cristiano Allam
Caro direttore, ciò che ti sto per riferire concerne una mia scelta di fede religiosa e di vita personale che non vuole in alcun modo coinvolgere il "Corriere della Sera" di cui mi onoro di far parte dal 2003 con la qualifica di vicedirettore "ad personam". Ti scrivo pertanto da protagonista della vicenda come privato cittadino.
Ieri sera, vigilia di Pasqua, mi sono convertito alla religione cristiana cattolica, rinunciando alla mia precedente fede islamica.
Ha così finalmente visto la luce, per grazia divina, il frutto sano e maturo di una lunga gestazione vissuta nella sofferenza e nella gioia, tra la profonda e intima riflessione e la consapevole e manifesta esternazione.
Sono particolarmente grato a Sua Santità il papa Benedetto XVI che mi ha impartito i sacramenti dell’iniziazione cristiana, Battesimo, Cresima ed Eucarestia, nella basilica di San Pietro nel corso della solenne celebrazione della Veglia Pasquale. E ho assunto il nome cristiano più semplice ed esplicito: “Cristiano”. Da ieri sera dunque mi chiamo Magdi Cristiano Allam.
Per me è il giorno più bello della vita. Acquisire il dono della fede cristiana nella ricorrenza della Risurrezione di Cristo per mano del Santo Padre è, per un credente, un privilegio ineguagliabile e un bene inestimabile.
A quasi 56 anni, nel mio piccolo, è un fatto storico, eccezionale e indimenticabile, che segna una svolta radicale e definitiva rispetto al passato. Il miracolo della Risurrezione di Cristo si è riverberato sulla mia anima liberandola dalle tenebre di una predicazione dove l’odio e l’intolleranza nei confronti del “diverso”, condannato acriticamente quale “nemico”, primeggiano sull’amore e il rispetto del “prossimo” che è sempre e comunque “persona”; così come la mia mente si è affrancata dall’oscurantismo di un’ideologia che legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia, permettendomi di aderire all’autentica religione della Verità, della Vita e della Libertà. Nella mia prima Pasqua da cristiano io non ho scoperto solo Gesù, ho scoperto per la prima volta il vero e unico Dio, che è il Dio della Fede e Ragione.
La mia conversione al cattolicesimo è il punto d’approdo di una graduale e profonda meditazione interiore a cui non avrei potuto sottrarmi, visto che da cinque anni sono costretto a una vita blindata, con la vigilanza fissa a casa e la scorta dei carabinieri a ogni mio spostamento, a causa delle minacce e delle condanne a morte inflittemi dagli estremisti e dai terroristi islamici, sia quelli residenti in Italia sia quelli attivi all’estero.
Ho dovuto interrogarmi sull’atteggiamento di coloro che hanno pubblicamente emesso delle fatwe, dei responsi giuridici islamici, denunciandomi, io che ero musulmano, come “nemico dell’islam”, “ipocrita perché è un cristiano copto che finge di essere musulmano per danneggiare all’islam”, “bugiardo e diffamatore dell’islam”, legittimando in tal modo la mia condanna a morte.
Mi sono chiesto come fosse possibile che chi, come me, si è battuto convintamente e strenuamente per un “islam moderato”, assumendosi la responsabilità di esporsi in prima persona nella denuncia dell’estremismo e del terrorismo islamico, sia finito poi per essere condannato a morte nel nome dell’islam e sulla base di una legittimazione coranica.
Ho così dovuto prendere atto che, al di là della contingenza che registra il sopravvento del fenomeno degli estremisti e del terrorismo islamico a livello mondiale, la radice del male è insita in un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale.
Parallelamente, la Provvidenza mi ha fatto incontrare delle persone cattoliche praticanti di buona volontà che, in virtù della loro testimonianza e della loro amicizia, sono diventate man mano un punto di riferimento sul piano della certezza della verità e della solidità dei valori. A cominciare da tanti amici di Comunione e Liberazione con in testa don Juliàn Carròn; da religiosi semplici quali don Gabriele Mangiarotti, suor Maria Gloria Riva, don Carlo Maurizi e padre Yohannis Lahzi Gaid; dalla riscoperta dei salesiani grazie a don Angelo Tengattini e don Maurizio Verlezza culminata in una rinnovata amicizia con il rettore maggiore don Pascual Chavez Villanueva; fino all’abbraccio di alti prelati di grande umanità quali il cardinale Tarcisio Bertone, i monsignori Luigi Negri, Giancarlo Vecerrica, Gino Romanazzi e, soprattutto, monsignor Rino Fisichella, che mi ha personalmente seguito nel percorso spirituale di accettazione della fede cristiana.
Ma indubbiamente l’incontro più straordinario e significativo nella decisione di convertirmi è stato quello con il papa Benedetto XVI, che ho ammirato e difeso, da musulmano, per la sua maestria nel porre il legame indissolubile tra fede e ragione come fondamento dell’autentica religione e della civiltà umana, e a cui aderisco pienamente da cristiano per ispirarmi di nuova luce nel compimento della missione che Dio mi ha riservato.
Il mio è un percorso che inizia da quando, all’età di quattro anni, mia madre Safeya, musulmana credente e praticante – per il primo della serie di “casi” che si riveleranno essere tutt’altro che fortuiti bensì parte integrante di un destino divino a cui tutti noi siamo assegnati –, mi affidò alle cure amorevoli di suor Lavinia dell’ordine dei Comboniani, convinta della bontà dell’educazione che mi avrebbero impartito delle religiose italiane e cattoliche trapiantate al Cairo, la mia città natale, per testimoniare la loro fede cristiana tramite un’opera volta a realizzare il bene comune.
Ho così iniziato un’esperienza di vita in collegio, proseguita con i salesiani dell’Istituto Don Bosco alle scuole medie e al liceo, che mi ha complessivamente trasmesso non solo la scienza del sapere ma soprattutto la coscienza dei valori. È grazie ai religiosi cattolici che io ho acquisito una concezione profondamente e essenzialmente etica della vita, dove la persona creata a immagine e somiglianza di Dio è chiamata a svolgere una missione che s’inserisce nel quadro di un disegno universale ed eterno volto alla risurrezione interiore dei singoli su questa terra e dell’insieme dell’umanità nel Giorno del Giudizio, che si fonda nella fede in Dio e nel primato dei valori, che si basa sul senso della responsabilità individuale e sul senso del dovere nei confronti della collettività. È in virtù dell’educazione cristiana e della condivisione dell’esperienza della vita con dei religiosi cattolici che io ho sempre coltivato una profonda fede nella dimensione trascendente, così come ho sempre ricercato la certezza della verità nei valori assoluti e universali.
Ho avuto una stagione in cui la presenza amorevole e lo zelo religioso di mia madre mi hanno avvicinato all’islam, che ho periodicamente praticato sul piano cultuale e a cui ho creduto sul piano spirituale secondo un’interpretazione che all’epoca, erano gli anni Sessanta, corrispondeva sommariamente a una fede rispettosa della persona e tollerante nei confronti del prossimo, in un contesto – quello del regime di Nasser – dove prevaleva il principio laico della separazione della sfera religiosa da quella secolare.
Del tutto laico era mio padre Mahmoud, al pari di una maggioranza di egiziani che avevano l’Occidente come modello sul piano della libertà individuale, del costume sociale e delle mode culturali ed artistiche, anche se purtroppo il totalitarismo politico di Nasser e l’ideologia bellicosa del panarabismo che mirò all’eliminazione fisica di Israele portarono alla catastrofe l’Egitto e spianarono la strada alla riesumazione del panislamismo, all’ascesa al potere degli estremisti islamici e all’esplosione del terrorismo islamico globalizzato.
I lunghi anni in collegio mi hanno anche consentito di conoscere bene e da vicino la realtà del cattolicesimo e delle donne e degli uomini che hanno dedicato la loro vita per servire Dio in seno alla Chiesa. Già da allora leggevo la Bibbia e i Vangeli ed ero particolarmente affascinato dalla figura umana e divina di Gesù. Ho avuto modo di assistere alla santa messa ed è anche capitato che, una sola volta, mi avvicinai all’altare e ricevetti la comunione. Fu un gesto che evidentemente segnalava la mia attrazione per il cristianesimo e la mia voglia di sentirmi parte della comunità religiosa cattolica.
Successivamente, al mio arrivo in Italia all’inizio degli anni Settanta tra i fumi delle rivolte studentesche e le difficoltà all’integrazione, ho vissuto la stagione dell’ateismo sventolato come fede, che tuttavia si fondava anch’esso sul primato dei valori assoluti e universali. Non sono mai stato indifferente alla presenza di Dio anche se solo ora sento che il Dio dell’Amore, della Fede e della Ragione si concilia pienamente con il patrimonio di valori che si radicano in me.
Caro direttore, mi hai chiesto se io non tema per la mia vita, nella consapevolezza che la conversione al cristianesimo mi procurerà certamente un’ennesima, e ben più grave, condanna a morte per apostasia.
Hai perfettamente ragione. So a cosa vado incontro, ma affronterò la mia sorte a testa alta, con la schiena dritta e con la solidità interiore di chi ha la certezza della propria fede. E lo sarò ancor di più dopo il gesto storico e coraggioso del papa che – sin dal primo istante in cui è venuto a conoscenza del mio desiderio – ha subito accettato di impartirmi di persona i sacramenti d’iniziazione al cristianesimo.
Sua Santità ha lanciato un messaggio esplicito e rivoluzionario a una Chiesa che finora è stata fin troppo prudente nella conversione dei musulmani, astenendosi dal fare proselitismo nei paesi a maggioranza islamica e tacendo sulla realtà dei convertiti nei paesi cristiani. Per paura. La paura di non poter tutelare i convertiti di fronte alla loro condanna a morte per apostasia e la paura delle rappresaglie nei confronti dei cristiani residenti nei paesi islamici.
Ebbene, oggi Benedetto XVI, con la sua testimonianza, ci dice che bisogna vincere la paura e non avere alcun timore nell’affermare la verità di Gesù anche con i musulmani.
Dal canto mio, dico che è ora di porre fine all’arbitrio e alla violenza dei musulmani che non rispettano la libertà di scelta religiosa.
In Italia ci sono migliaia di convertiti all’islam che vivono serenamente la loro nuova fede. Ma ci sono anche migliaia di musulmani convertiti al cristianesimo che sono costretti a celare la loro nuova fede per paura di essere assassinati dagli estremisti islamici che si annidano tra noi. Per uno di quei “casi” che evocano la mano discreta del Signore, il mio primo articolo scritto sul "Corriere della Sera" il 3 settembre 2003 si intitolava: “Le nuove catacombe degli islamici convertiti”. Era un’inchiesta su alcuni neo-cristiani in Italia che denunciano la loro profonda solitudine spirituale ed umana, di fronte alla latitanza delle istituzioni dello Stato che non tutelano la loro sicurezza e al silenzio della stessa Chiesa.
Ebbene, mi auguro che dal gesto storico del papa e dalla mia testimonianza essi traggano il convincimento che è arrivato il momento di uscire dalle tenebre delle catacombe e di affermare pubblicamente la loro volontà di essere pienamente se stessi.
Se non saremo in grado qui in Italia, culla del cattolicesimo, di garantire a tutti la piena libertà religiosa, come potremmo mai essere credibili quando denunciamo la violazione di tale libertà in altri paesi del mondo? Prego Dio affinché questa Pasqua speciale doni la risurrezione dello spirito a tutti i fedeli in Cristo che sono stati finora soggiogati dalla paura. Buona Pasqua a tutti.
23 marzo 2008
"Un infelice episodio che riafferma la famigerata lezione di Ratisbona"
di Aref Ali Nayed
In quanto fede, l'islam è un dono divino. In quanto dono, è dato da Dio per grazia. Come una persona risponde a questo dono è materia profondamente intima tra questa persona e Dio.
L'anima di Magdi Allam è conosciuta nel massimo grado, e giudicata, dal suo Creatore. È Dio che lo giudicherà su come ha risposto al dono della fede. Egli è responsabile davanti al suo Creatore nei limiti della sua libertà e capacità. Il fatto che Allam abbia ricevuto la comunione cattolica in giovane età sotto l'influenza dei suoi primi maestri cattolici sembra indicare che egli fu cristianizzato da quando era bambino. Per effetto di questa sua iniziale educazione cattolica, risulta che egli non ha mai sostenuto o praticato le dottrine dell'islam.
Il caso di Allam ci richiama, una volta di più, la legittima preoccupazione di molti esperti musulmani circa l'abuso di fiducia che talvolta si ha quando dei genitori musulmani, a motivo di fattori economici o d'altro genere, mandano i loro figli in scuole cattoliche. Ciò che accade ai bambini, inclusi i musulmani, nelle scuole cattoliche è una materia che deve essere discussa ogni volta che si affronta la "dignità umana" nelle discussioni che verranno. L'uso delle scuole per far proselitismo è una delle questioni importanti da discutere.
Quanto alla deliberata e provocatoria decisione del Vaticano di battezzare Allam in un'occasione tanto speciale e in un modo così spettacolare, è sufficiente dire quanto segue:
1. È triste che l'atto intimo e personale di una conversione religiosa sia trasformato in un mezzo trionfalistico per marcare punti di vantaggio. Una simile strumentalizzazione di una persona e della sua conversione è contraria ai principi base di affermazione della dignità umana. In più, arriva nel momento più infelice. quando onesti esponenti musulmani e cattolici stanno lavorando con molto impegno per sanare le fratture tra le due comunità.
2. È triste che la particolare persona scelta per tale gesto altamente pubblico abbia una storia che ha generato, e continua a generare, discorsi di odio. Il messaggio base dell'ultimo articolo di Allam è identico al messaggio dell'imperatore bizantino citato dal papa nella sua famigerata lezione di Ratisbona. Non si va lontano dal vero nel vedere ciò come un altro modo di riaffermare il messaggio di Ratisbona (che il Vaticano insiste a dire che non fu capito). È ora importante per il Vaticano prendere le distanze dalle posizioni di Allam. O forse i musulmani devono assumere il battesimo di alta visibilità amministrato dal papa come un appoggio papale alle posizioni di Allam riguardo la natura dell'islam (che non a caso coincidono con il messaggio di Ratisbona)?
3. È triste che Benedetto XVI scelga di porre come messaggio fondamentale del suo discorso religioso durante la speciale celebrazione della Pasqua una contrapposizione quasi manichea tra i simboli delle "tenebre" e della "luce", dove le "tenebre" sono assegnate agli "altri" e la luce a "sé". Ed è pure triste che l'idea di "pace" espressa in tale discorso si riduca a portare gli "altri" nell'ovile attraverso il battesimo. Da parte di Roma, un discorso così totalitario è tutto tranne che d'aiuto.
L'intero spettacolo con la sua coreografia, il personaggio e i messaggi provoca sinceri interrogativi circa i motivi, le intenzioni e i piani di qualcuno dei consulenti del papa sull'islam. Ciò nondimeno, non lasceremo che questo infelice episodio ci distolga dal nostro sforzo di perseguire "Una Parola Comune" per il bene dell'umanità e della pace mondiale. La nostra base di dialogo non è una logica di reciprocità "occhio per occhio". È piuttosto una teologia compassionevole per "riparare i ponti tra noi", per favorire l’amore di Dio e del prossimo.
24 marzo 2008
"Ci sia permesso di manifestare a nostra volta dispiacere..."
di Federico Lombardi S.I.
Anzitutto, l’affermazione più significativa è senza dubbio la conferma della volontà del professor Aref Ali Nayed di continuare il dialogo di approfondimento e conoscenza reciproca fra musulmani e cristiani, e non mettere assolutamente in questione il cammino iniziato con la corrispondenza e i contatti stabiliti nell’ultimo anno e mezzo fra i saggi musulmani firmatari delle note lettere e il Vaticano, in particolare tramite il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Questo itinerario deve continuare, è di estrema importanza, non va interrotto, ed è prioritario rispetto ad episodi che possono essere oggetto di malintesi.
In secondo luogo, amministrare il battesimo ad una persona implica riconoscere che ha accolto la fede cristiana liberamente e sinceramente, nei suoi articoli fondamentali, espressi nella “professione di fede”. Questa viene pubblicamente proclamata in occasione del battesimo. Naturalmente ogni credente è libero di conservare le proprie idee su una vastissima gamma di questioni e di problemi in cui vi è fra i cristiani un legittimo pluralismo. Accogliere nella Chiesa un nuovo credente non significa evidentemente sposarne tutte le idee e le posizioni, in particolare su temi politici o sociali.
Il battesimo di Magdi Cristiano Allam è una buona occasione per ribadire espressamente questo principio fondamentale. Egli ha diritto di esprimere le proprie idee, che rimangono idee personali, senza evidentemente diventare in alcun modo espressione ufficiale delle posizioni del papa o della Santa Sede.
Quanto al dibattito sulla lezione del papa a Ratisbona, le spiegazioni sulla sua corretta interpretazione nelle intenzioni del papa sono state date da tempo e non vi è motivo di rimetterle in questione. Allo stesso tempo alcuni dei temi allora toccati, come il rapporto fra fede e ragione, fra religione e violenza, rimangono naturalmente oggetto di riflessione e dibattito e di posizioni diverse, dato che si riferiscono a problemi che non possono venire risolti una volta per tutte.
In terzo luogo, la liturgia della Veglia Pasquale è stata celebrata come ogni anno, e la simbologia della luce e dell’oscurità ne fa parte da sempre. Certamente è una liturgia solenne e la celebrazione in San Pietro da parte del papa è una occasione molto particolare. Ma accusare di “manicheismo” la spiegazione dei simboli liturgici da parte del papa – che egli compie ogni volta e in cui è maestro – manifesta forse piuttosto una non comprensione della liturgia cattolica che una critica pertinente al discorso di Benedetto XVI.
Infine, ci sia permesso di manifestare a nostra volta dispiacere per quanto il prof. Nayed dice circa l’educazione nelle scuole cristiane nei paesi a maggioranza musulmana, obiettando sul rischio di proselitismo. Ci sembra che la grandissima tradizione di impegno educativo della Chiesa cattolica anche nei paesi a maggioranza non cristiana (non solo in Egitto, ma anche in India, in Giappone, ecc.), dove da moltissimo tempo la gran maggioranza degli studenti delle scuole e università cattoliche sono non cristiani e lo sono tranquillamente rimasti, pur con vera stima per la educazione ricevuta, meriti ben altro apprezzamento. Non pensiamo che l’accusa di mancanza di rispetto per la dignità e la libertà della persona umana sia meritata oggi da parte della Chiesa. Ben altre sono le violazioni di essa a cui dare attenzione prioritaria. E forse anche per questo il papa si è assunto il rischio di questo battesimo: affermare la libertà di scelta religiosa conseguente alla dignità della persona umana.
In ogni caso, il professor Aref Ali Nayed è un interlocutore per il quale conserviamo altissima stima e con cui vale sempre la pena di confrontarsi lealmente. Ciò permette di aver fiducia nella prosecuzione del dialogo.
Radio Vaticana, 27 marzo 2008
Per il Vaticano re Abdullah pesa più di 138 dotti musulmani
Lo fa capire "L'Osservatore Romano", che dialoga con il sovrano saudita proprio mentre infuriano le critiche al papa per aver battezzato un celebre convertito dall'islam. La replica di Pietro De Marco ad Aref Ali Nayed
di Sandro Magister
ROMA, 31 marzo 2008 – Alle accuse che hanno colpito Benedetto XVI per aver battezzato nella veglia di Pasqua il convertito dall'islam Magdi Cristiano Allam – di cui www.chiesa ha riferito in un servizio di tre giorni fa – la Santa Sede ha risposto in due modi, diretto e indiretto.
In modo diretto la Santa Sede ha espresso il suo punto di vista su "L'Osservatore Romano" del 25-26 marzo con una nota del suo direttore Giovanni Maria Vian. E poi con una dichiarazione alla Radio Vaticana, il 27 marzo, del suo direttore padre Federico Lombardi.
Ma ancor più interessanti sono i modi indiretti con cui la Santa Sede, all'incirca negli stessi giorni, ha ribattuto alle critiche.
La palestra di queste risposte indirette è stata di nuovo "L'Osservatore Romano".
Giovedì 27 marzo il giornale del papa ha dedicato un ampio servizio alla figura di Ramón Lull – noto in Italia come Raimondo Lullo – vissuto tra i secoli XIII e XIV, francescano, grande conoscitore della lingua e della letteratura araba, ardente promotore di una predicazione missionaria mirata a convertire e battezzare le popolazioni musulmane nei paesi mediterranei dominati dall'islam.
Il titolo dell'articolo – firmato da una specialista del tema, Sara Muzzi – era di per sé eloquente: "Raimondo Lullo e il dialogo tra le religioni. Se ti mostro la verità finirai con l'abbracciarla".
In effetti, come risulta anche dai suoi libri, Lullo si battè per promuovere una predicazione missionaria pacifica, tutta fondata sulla conoscenza delle due fedi, sulla forza del convincimento e sull'argomentazione razionale della verità.
Due giorni dopo, sabato 29 marzo, "L'Osservatore Romano" ha dedicato due servizi a due momenti di dialogo tra la Chiesa cattolica e l'islam, mostrando come tale dialogo registri promettenti sviluppi proprio nei giorni delle polemiche contro il battesimo di Allam amministrato dal papa.
Il primo segno promettente evidenziato riguarda l'Indonesia, il più popoloso paese musulmano del mondo. L'8 e il 9 marzo si è tenuto a Yogyakarta un incontro tra rappresentanti cristiani e musulmani, con la presenza di buddisti e induisti, su come le religioni possono collaborare nel rispondere alle sfide portate dalla globalizzazione. Inoltre, nei giorni di Pasqua, nella capitale Jakarta trentacinque autorevoli ulema di altrettante scuole islamiche hanno lanciato un appello perché l'istruzione data ai giovani musulmani sia svolta in forma corretta e rispettosa, libera da qualsiasi giustificazione della violenza. Titolo del servizio: "In Indonesia prove di dialogo tra cristiani e musulmani"
Ma con ancor più evidenza "L'Osservatore Romano" ha dato notizia, nella stessa pagina, di alcuni fatti recenti dell'Arabia Saudita, sotto il titolo: "Il re saudita per un incontro 'con i fratelli di fede'. Abdullah, davanti alla crisi dei valori etici, apre al diaìogo con cristiani ed ebrei".
In apertura del servizio il giornale vaticano ha riportato queste parole di Abdullah:
"C'è un pensiero che mi ossessiona da due anni. Il mondo soffre e questa crisi ha causato uno squilibrio della religione, dell'etica e dell'umanità intera. [...] Abbiamo perso la fede nella religione e il rispetto per l'umanità. La disintegrazione della famiglia e l'ateismo diffuso nel mondo sono fenomeni spaventosi con cui tutte le religioni devono fare i conti e che devono sconfiggere. [...] Per questo ho pensato di invitare le autorità religiose a esprimere un parere su ciò che accade nel mondo e, se Dio vuole, cominceremo a organizzare incontri con i fratelli appartenenti alle religioni monoteistiche, tra rappresentanti dei credenti del Corano, del Vangelo e della Bibbia".
Il giornale vaticano ha aggiunto che la proposta di re Abdullah ha avuto il consenso dei principali dotti musulmani del regno.
Ma i rilievi più interessanti che "L'Osservatore Romano" ha aggiunto sono questi altri due.
Il primo riguarda la data della dichiarazione fatta da Abdullah: il 24 marzo, cioè per i cristiani il lunedì di Pasqua.
Come dire: proprio mentre esplodevano le accuse contro Benedetto XVI per il battesimo di Allam, il re saudita non solo ha ignorato tali accuse, ma si è pronunciato con accenti diametralmente opposti.
Il secondo rilievo fatto dal giornale del papa è testualmente il seguente:
"Dialogo interculturale e interreligioso; collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei per la promozione della pace. Sono gli stessi temi che, il 6 novembre 2007, sono stati al centro del colloquio in Vaticano tra Benedetto XVI e Abdullah, ricevuto in udienza con il seguito. Nel corso dello storico incontro – è stata la prima visita di un sovrano saudita al papa – si è fatto anche riferimento alla positiva presenza nel paese della comunità cristiana (che rappresenta circa il 3 per cento di una popolazione quasi totalmente di religione musulmana). Giorni fa il governo di Riyadh ha deciso di avviare corsi di aggiornamento per quarantamila imam, nel tentativo di favorire un'interpretazione più moderata dell'islam e scoraggiare gli estremisti".
Chi ha orecchi per intendere intenda. A giudizio della Chiesa di Roma il dialogo con l'islam non si riduce soltanto al seguito della lettera dei 138 – un cui esponente di punta, Aref Ali Nayed, ha rivolto accuse durissime al papa per aver battezzato Allam – ma si sviluppa su più terreni, alcuni dei quali ritenuti più promettenti.
Quanto a Benedetto XVI, è sempre più evidente che sia la sua lezione di Ratisbona, sia la sua decisione di battezzare un convertito dall'islam nella notte di Pasqua in San Pietro, non sono gesti di rottura ma, al contrario, sono proprio ciò che rende intelligibile e inequivoca – ai musulmani come ai cristiani – la sua volontà di dialogo, espressa ad esempio nella preghiera silenziosa nella Moschea Blu di Istanbul e nella calorosa udienza al re d'Arabia Saudita.
Tornando alle critiche al papa per il battesimo di Allam – sia da parte di cattolici, sia da parte del dotto musulmano Aref Ali Nayed – ecco qui di seguito una replica ragionata agli uni e all'altro, scritta per www.chiesa da Pietro De Marco, professore di sociologia della religione all'Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale:
Doppia risposta. Ai cattolici e ad Aref Ali Nayed
di Pietro De Marco
I. – A leggere certe reazioni al battesimo di Magdi Cristiano Allam amministrato dal papa nella veglia di Pasqua nella basilica di San Pietro – ad esempio quando si sostiene che “il battesimo dovrebbe essere atto privato” – si ha l’impressione che non si sappia più cosa sia conversione e cosa sia battesimo.
Né, per la verità, ce lo insegnano i battesimi ritualmente leggeri e quasi vergognosi di sé celebrati nelle nostre parrocchie.
Anche lo scrittore Claudio Magris, cattolico, ha espresso la sua insoddisfazione, sul "Corriere della Sera" di cui Allam è vicedirettore "ad personam". Scrive Magris che “il battesimo è un atto di vita interiore” e che, eventualmente, la sua “dimensione politica viene dopo, quale frutto della conversione, e non nel momento in cui si riceve l’acqua di vita”.
Ora, certamente il battesimo non è un atto privato né "di vita interiore". Magris stesso riconosce che è “trasformazione radicale dell’esistenza”. Un rito è azione e segno “per molti”, manifestazione ordinata di simboli, in particolare quelli della luce nel battesimo: "lumina neophitorum splendida". È come un’icona del mistero della Salvezza. Nelle azioni sacramentali la Chiesa trascende la Sacra Scrittura, ne attualizza l’origine stessa, l’Incarnazione.
Se interiore è la scelta personale, il battesimo fa di tale scelta un evento solidale di intere comunità. Così è stato per secoli. L’evento battesimale non appartiene più alla singola persona, quasi possa nasconderlo in sé. Paolo descrisse il suo battesimo con le parole: "Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Nella traversata segnata dalla conversione l'io è già non-più-io.
Altri commentatori cattolici sono caduti ancor più di Magris nei tic della immediata censura alla "esibizione" mediatica di Magdi Cristiano non meno che del pontefice. Sembra questo il residuo di infelici decenni che hanno cercato di sciupare, di estinguere in noi la gioia per una conversione alla Chiesa cattolica, persino la gioia più grande per un nuovo battezzato. Le due cose possono infatti non corrispondere. Per un battezzato di altra confessione cristiana o per un ritorno alla fede di un battezzato non credente resta decisivo l’"unum baptismum" già ricevuto, il segno incancellabile, la cui unicità proclamiamo nel Credo.
Non posso dimenticare l’istintiva reazione di un amico con cui, parecchi anni fa, progettavamo una raccolta di studi sulla Firenze religiosa del Novecento. Alla mia proposta di includere la conversione di Giovanni Papini e di altri, rispose: “Perché, ti paiono cose belle?”. A lui non parevano tali, e non si trattava di antipatia per Papini; lo scandalo era la conversione. Si è sostenuto da molti, negli anni Settanta e oltre, che la comunità cristiana non ha motivo di volersi come istituzione specifica, con una sua identità. Premuta dalla secolarizzzazione, la nuova apologetica della fede nella storia si fondava proprio sul presupposto che ovunque la fede attecchisce lì sono all’opera i fondamentali valori umani. E quindi la Chiesa, segnando confini e volendosi come istituzione, distruggerebbe il terreno sul quale il cristianesimo può esistere e rigenerarsi, ossia l’unità del genere umano sancita dalla coscienza morale, realizzata nelle rivoluzioni dei poveri e rivelata religiosamente, alla persona, solo dall’universalità della via mistica, che brucia ogni particolarità.
Così si manifestava anche nella Chiesa cattolica il processo di rovesciamento del rapporto tra Rivelazione e umanità che segna la modernità recente. Solo l’umano, secondo tale ragione, è l’universalmente costituito; mentre ogni Rivelazione non può essere che particolaristicamente data o fondata. Da qui deriva che il passaggio, o il ritorno, a una religione possa essere visto come un atto indesiderabile, incomprensibile, a maggior ragione quando proprio le élites di questa religione cercano di emanciparsi dalla sua particolarità.
Fortunatamente i termini attuali della riflessione cattolica non sono più quelli ora detti, ma spiritualità transreligiose e vaghe religioni filosofiche la tentano ancora. E neppure oggi la conversione è amata. Magdi Cristiano Allam avrà modo di accorgersene: nelle pieghe dello splendore della Città di Dio apprenderà l’amaro della "complexio oppositorum" cattolica.
In effetti la conversione è sempre un passaggio di soglia. Essa disegna tale soglia, la mostra là dove prima non appariva, la rende visibile a chi per abitudine o per opacità di visione non la riconosceva più, oppure a chi, conoscendola, la nega per ideologia, nihilisticamente. Contro teologie, letterature e “mistiche” che intendono la Salvezza come immobile autocontemplazione e regno dell'indifferenza, la conversione religiosa dichiara decisiva la differenza. La soglia nega l’indifferenza dei punti del percorso, come fossero tutti di eguale valore.
La soglia implica l’umano-divino della ricerca che vuole trascendimento. Lo stesso agostiniano "ritorna in te stesso" è per eccellenza un percorso e un passaggio ad Altro, poiché l’anima è aperta, teocentrica. La differenza attribuisce alla Speranza l’unico suo possibile significato.
Diceva il convertito Paul Claudel che la soglia rivelata dalla conversione si attraversa per lenti, piccoli successi. È una traversata, spesso penosa, di terre incognite, dopo il fulgore di una chiamata, dopo l'apparire di una "certezza d'una Presenza pura" (Louis Massignon) che giudica e brucia il cuore. È l'uscita da un Egitto spirituale, per un viaggio il cui approdo trascende la ricerca, e rivela una terra che non è quella di partenza.
Che l’approdo non sia garantito, che debba essere sempre desiderato come non fosse posseduto, come dono che resta sotto la sovranità del Donatore, tutto ciò non nega, anzi conferma la realtà della soglia. La precarietà del dono, infatti, è tale per l’uomo solo. Ma, dall’attraversamento della soglia, sappiamo che Egli, l’Amante divino (come i veri mistici lo conoscono, oltre l’ineffabilità) “ci prende come per mano, ci introduce nella vita duratura, in quella vera e giusta”. E quindi: “Teniamo stretta la sua mano!”. Suonano tenere, perfette, queste parole dedicate al battesimo da Benedetto XVI nell’omelia della veglia pasquale in cui Allam è stato battezzato.
Il tema della conversione alla Chiesa cattolica mi ha fatto riaprire un libretto, "Il Mistero della Chiesa" di padre Humbert Clérissac, chiave di volta della geografia spirituale delle “grandi amicizie” di Raïssa e Jacques Maritain, anch'essi dei convertiti. “Fuori della Chiesa – scriveva Clérissac in quest'opera uscita postuma a cura di Jacques nel 1918 – l’errore individualista trascina anche a una specie di fatalismo morale. Non si crede veramente al passaggio dal male al bene, alla trasformazione del peccato in santità: mutamento che si opera solo attraverso quella solitudine che è peculiare alla Chiesa. Solamente la Chiesa sa coniugare il percorso nel deserto e i bisogni della persona".
È nella “maternità e sovranità” della Chiesa quella “perfetta pace e tranquillità” che John Henry Newman attestava dopo la sua conversione al cattolicesimo romano, tranquillità insopportabile per i sempiterni inquieti. “Al momento della conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mente. Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della Rivelazione, né una maggiore padronanza di me; ma avevo l’impressione di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora, è rimasta inalterata”. E ciò nonostante che la sua penetrante intelligenza cogliesse le infinite difficoltà di “ogni articolo del Credo cristiano”. Appare in questa evocazione della gioia dell’approdo la celebre formula dell’"Apologia": “Diecimila difficoltà, secondo me, non costituiscono un solo dubbio”.
Se questo è il profilo – tratto da pochissime testimonianze tra le infinite – dell’approdo spirituale al porto, alla maternità della Chiesa cattolica, si capisce la passione rivelativa con cui il convertito comunica agli altri l’uscita dall’incertezza itinerante, dalla incompiutezza di un edificio non voltato, dal pungolo dell’insignificanza di sé e del mondo.
Tanto più se l’attraversamento del Mar Rosso spirituale è segnato e attuato nella sua figura cristiana eminente, il battesimo. Che è evento dell’intera Città di Dio, pubblico per eccellenza, esteso dalla comunità particolare alla Città celeste, dai presenti alla intera comunione dei santi. Si cita spesso un brano di Origene: “Quando il sacramento della fede ti è stato dato le virtù celesti, i ministeri degli angeli, la Chiesa dei primogeniti erano presenti”. Vi è gioia tra gli angeli... È questo che si avvertiva in San Pietro nella notte pasquale.
In tale ordine di bellezza, l’intensità della interpretazione che Magdi Cristiano ha poi dato del proprio battesimo non è fuori luogo. Allam ha attraversato una vera soglia, da un ordinamento di senso a un altro, da un’appartenenza a un’altra. La Casa a cui è giunto, l’abbraccio del Padre in cui si è lasciato serrare, lo segnano e lo confermano nella novità, non utopica né evolutiva, ma antichissima della “Chiesa dei primogeniti” in Cristo risorto. E non è facile riconoscere e accettare al termine di un percorso di libertà un Padre, un amore sovrano. L’atto decisivo di accoglimento della fede fu, in Louis Massignon, il suo riuscire ad inginocchiarsi di fronte al suo direttore spirituale e tramite lui a Dio. Quando Allam vede questa Casa, universalmente destinata all’uomo, come luogo di libertà e verità rispetto al proprio passato, si muove all’altezza del significato essenziale del suo battesimo.
Anche lo scrittore cattolico Vittorio Messori, in un articolo sul "Corriere" parallelo a quello di Magris, ha espresso riserve rispetto all’asprezza di qualche enunciato di Allam sull’islam. Osservo che oggi in Magdi Cristiano l’esperienza della soglia attraversata, dell’uscita da una “servitù di peccato” (non solo individuale e interiore, tanto meno metaforica) è troppo forte perché egli non parli per opposizioni. Quella sua anteriorità musulmana resta troppo protesa a colpire la sua vita stessa per non avere per lui i nomi e le forme del radicalismo, del fanatismo, del terrorismo. Forse la felicità del suo oggi cristiano, la stessa maternità della Chiesa che lo aveva attratto già negli anni d’infanzia, gli permetteranno col tempo di pensare all’oceano attraversato non solo nei termini (realissimi, ma non esclusivi) di pericolo e di abisso.
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II. – Mi rivolgo ora agli ufficiosi commenti – datati Amman, 24 marzo – del professor Aref Ali Nayed, che hanno la paradossale caratteristica di usare in contesto musulmano toni e argomenti “occidentali” e “laici”, assieme a un minaccioso cenno al "proselitismo" delle scuole cattoliche che, purtroppo, sembra fatto per confermare le ragioni di Allam. Mi rivolgo al suo testo e a lui, come a un uomo religioso.
Dopo aver ricordato un fondamento dell’islam che per la verità ci accomuna, cristiani ed islamici, cioè la fede come dono di Dio, Nayed ritiene di interpretare il racconto che Magdi Allam ha fatto della sua giovinezza religiosa, fino all’occasionale seguire la messa e, una volta, accostarsi alla comunione, come l’effetto di una deliberata pressione cristianizzante da parte dei suoi insegnanti.
Ora, chi conosce un poco i comportamenti religiosi sa che l'attrazione della comunione eucaristica è molto forte, anche nei credenti esterni alla pratica cattolica, ed è facilitata dalla accessibilità di chiunque al rito. Invece, da quelle memorie di adolescenza il professor Nayed prende spunto per un cenno spiacevole a quanto accadrebbe nelle scuole cattoliche a scapito della "dignità umana", includendo tra le questioni da discutere con la Chiesa di Roma la pratica designata col termine deteriore di "proselitismo", pratica evidentemente illegittima e perseguibile.
Poiché, d’altronde, sarebbe stato vittima di una educazione scolastica cristianizzante, Magdi Allam non può dirsi formato all’islam. Con ciò il professor Nayed ritiene, ad un tempo, di svalutare la sua conversione dall'islam (in quanto era già cristiano) e di attribuire la responsabilità prevalente della conversione e del battesimo alla Chiesa di Roma e al pontefice. Poiché per Nayed la libertà morale di Allam non conta, vi è stata solo l’iniziativa politica di Roma, che avrebbe queste caratteristiche:
1. Roma ha strumentalizzato una persona per “segnare punti” contro l’islam, e questo è "contro la dignità umana" (singolare questo argomento, che suona ritorsione artificiosa dell’accusa di attentato ai diritti umani che l’Occidente porta al fondamentalismo islamico).
2. Allam è stato scelto per questo atto pubblico perché è un generatore di odio (ma il professor Nayed non ritiene di fare cenno alle minacce di morte di cui Allam è fatto oggetto). In particolare – argomenta Nayed – nel suo articolo-confessione sul "Corriere della Sera" Allam sembra confermare il "famigerato" argomento della lezione di Ratisbona sulla natura violenta dell’islam. Per evitare questa deduzione la Santa Sede deve prendere le distanze dal neobattezzato.
3. Benedetto XVI ha dato una caratterizzazione "quasi manichea" al suo messaggio pasquale, introducendo le categorie di luce e tenebre e attribuendo a sé la luce e all’altro la tenebra. La pace offerta da Roma consiste, quindi, nel sottomettere l’altro a sé, attraverso il battesimo.
Nayed si domanda poi chi tra i consiglieri del papa su questioni islamiche abbia la responsabilità dello "spettacolo" pasquale. E termina confermando, comunque, la ricerca di un mondo comune di pace, attraverso "una teologia compassionevole che ripara i collegamenti, i ponti, per favorire l’amore di Dio e del prossimo".
A mio avviso il professor Nayed, come spesso gli uomini di dialogo delle diverse tradizioni, si mostra poco sensibile al dato teologico e storico-religioso. Come è possibile, iniziando dal punto 3, evocare il manicheismo per la splendida pagina di Benedetto XVI sulla luce nella liturgia battesimale? Papa Benedetto ci parla di "potenze" (che nel linguaggio del Nuovo Testamento comprendono uomini ed angeli) che vogliono spingerci in un buio che riguarda Dio e noi stessi, ossia nella sostanziale negazione di Dio e nella falsificazione dell’essenza dell’uomo. Questo allarme, così profondamente posto (col simbolismo luce-tenebra che anche la tradizione islamica conosce e usa), non si vede come non debba essere condiviso da ogni uomo religioso di ogni tradizione.
E Benedetto prosegue: “Questa Luce è insieme anche fuoco [presente dall’antichità nella liturgia pasquale], forza da parte di Dio, forza che non distrugge ma vuole trasformare i nostri cuori”. Il papa aveva appena parlato in questo contesto del battesimo, come mistero, ovvero come rivelazione e segno efficace dell’attirarci a Sé di Dio (sia benedetto il Suo nome). In questo mistero dell’amore di Dio sono immersi anche coloro che sono stati battezzati nella notte di Pasqua. È davvero così difficile per un islamico, un uomo religioso di tradizione biblica, intendere che nel collocare il battesimo di Allam nel suo orizzonte teologico il papa lo sottrae a ogni piccola politica?
Sul punto 2 ribadisco quanto ho già scritto a proposito di Ratisbona. Benedetto XVI apprezza il dialogo tra le religioni senza fingere di ignorare il peso della realtà storico-politica. Si tratta di una dialettica che coglie ciò che spinge alla fraternità tra credenti in Dio, ma cerca di affrontare criticamente anche ciò che, nei comportamenti, si oppone a questa fraternità.
È il realismo teologico-politico cristiano contro il moralismo di chi solo parla emotivamente di pace e sottovaluta la forza dei fatti. Come l’imperatore Manuele stendeva il suo pacato dialogo dottrinale mentre l’esercito ottomano assediava Costantinopoli, e non poteva ignorarlo, così papa Benedetto parla con la mente e il cuore all’islam, non potendo ignorare che esso ha, in alcune forze e rappresentanti, un volto aggressivo. Che si esercita contro la vita stessa di Magdi Allam, che è da anni in pericolo.
Un uomo religioso dovrebbe cogliere che Magdi Allam, nel denunciare ciò che lo minaccia da parte dell’estremismo islamico e nel chiamare il mondo musulmano a corresponsabilità (il professor Nayed ha forse una sola parola che renda giustizia a Magdi Cristiano?), fa tuttavia una scelta religiosa col suo battesimo.
Diversamente da altri che, come Salman Rushdie, ritengono di approdare alla condanna di tutte le fedi, Allam sceglie per la fede in Dio, nel Dio di Gesù. Dal cattolicesimo, che ora egli oppone alla sua tradizione di origine, gli sarà possibile testimoniare all’uomo contemporaneo come uomo di fede. Entro la profondità del dialogo promosso da Roma, prendere la conversione di Magdi Cristiano sotto la propria diretta protezione non è da parte di Benedetto XVI una sfida all’islam, ma l'offerta di un impegnativo promemoria.
Gli intellettuali musulmani, gli uomini di fede islamica che hanno accettato di dialogare con Roma potranno, solo che lo vogliano, leggere nell'alta e paterna protezione offerta da Benedetto XVI allo scrittore egiziano (che considera il papa suo maestro) il segno di una possibilità offerta all’uomo islamico contemporaneo. L’islam può cogliere nel confronto col cristianesimo – con la grande Chiesa cattolica, anzitutto – l’opportunità di uscire criticamente da sé, di aprirsi alla dimensione dell’universale e tornare su di sé come islam riflessivamente rinnovato (non dico né moderno né liberale, poiché non sono queste le categorie veramente rilevanti per una tradizione religiosa).
A questo punto non è utile discutere il punto 1 di Nayed, che è solo polemico. L’apertura di Magdi Allam alla fede cattolica è stato un atto libero che scaturisce dalla ricchezza spirituale di un uomo musulmano. Nessuno poteva costringerlo. Come nessuno può trasformare in puro strumento di parte tale potenziale ricchezza di incontro.
Vorremmo che il professor Nayed riflettesse sull’evidenza che le sue critiche rischiano di assomigliare nel loro oltranzismo a quelle di un occidentale secolarizzato e anticlericale, per il quale i comportamenti di un’istituzione religiosa sono sempre cinicamente strumentali al suo potere sulle coscienze.
Questa incomprensione ostile – e perdente – non può essere adottata da un intellettuale e uomo religioso islamico. Negando veracità alla Chiesa cattolica egli nega anche se stesso. E, in effetti, sotto l'attacco della negazione anticlericale, anzi irreligiosa, cattolicesimo romano e islam si trovano spesso accomunati.
E diventa difficile espellere persino i terroristi
Una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo rende più difficili espulsioni ed estradizioni di stranieri dall’Italia, a incominciare dai terroristi internazionali...
Una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo rende più difficili espulsioni ed estradizioni di stranieri dall’Italia, a incominciare dai terroristi internazionali.
Al ministero della Giustizia e a quello dell’Interno c’è molta preoccupazione per le conseguenze della pronuncia del 28 febbraio: di fatto, si blocca il rimpatrio di persone che nel loro Paese potrebbero rischiare, proprio come terroristi, la tortura e trattamenti disumani, sulla base di tesi di Organizzazioni non governative.
È il caso del tunisino Saadi Nassim, condannato a 20 anni per terrorismo internazionale in patria e ad 8 anni e 10 mesi a Milano per lo stesso reato. Strasburgo si è opposta all’unanimità alla sua espulsione dall’Italia, convinta dai rapporti di Amnesty e di un'altra Ong, l’Human Right Watch. Non dà credito alle assicurazioni delle autorità tunisine, né si fida delle Nazioni Unite che non denunciano rischi simili in Tunisia e rigetta gli argomenti del governo italiano e della Gran Bretagna, secondo i quali il rischio corso da una persona dev’essere «controbilanciato» dal rischio posto da questa. «Gli Stati non possono combattere il terrorismo internazionale a tutti i costi», afferma l'unico rappresentante italiano alla Corte Vladimiro Zagrebelsky, che con l’olandese Egbert Myjer sottoscrive un’opinione rafforzativa della sentenza.
L’Italia, così, viene condannata a pagare 8mila euro a Nassim Saadi e ora non solo il nostro Paese ma ogni Stato Ue incorrerà in condanne di Strasburgo per espulsioni o estradizioni verso la Tunisia e Paesi dove per i detenuti potrebbero esserci pericoli di gravi maltrattamenti. Da noi ci sono 10 casi pendenti come quello di Saadi e già si pensa alla revoca dell'espulsione e ad un accordo amichevole, con l’offerta di una somma attorno ai 1000 euro, per bloccare i ricorsi.
Saadi, 34 anni, è arrivato in Italia tra il ’96 e il ’99. Aveva un permesso di soggiorno per motivi familiari, scaduto nel 2002. A Milano ha sposato con rito islamico un’italiana da cui ha avuto un figlio (che ha 8 anni) e poi una seconda, ma risulta vivere separato da entrambe. Sospettato di essere un integralista islamico, fratello di un kamikaze, viene arrestato nel 2002 con altre 5 persone e portato davanti alla Corte d’assise meneghina con l’accusa di aver organizzato attentati terroristici in altri Paesi. Nel 2005 viene condannato a 4 anni e 6 mesi, ma per associazione per delinquere e non per terrorismo internazionale. Nello stesso anno arriva anche la condanna in contumacia del tribunale militare di Tunisi a 20 anni, per appartenenza ad organizzazione terroristica internazionale. La Procura ricorre in appello, ma nel 2006 Nassim torna in libertà. Il Viminale, sulla base della legge Pisanu, ordina la sua espulsione e lo fa rinchiudere nel Centro di permanenza temporanea di Milano. La sua richiesta di asilo politico viene respinta. Nassim ricorre a Strasburgo e l’espulsione viene sospesa. Il 7 febbraio la condanna in appello è ad 8 anni e 10 mesi per associazione terroristica internazionale, 20 giorni dopo il tunisino viene di nuovo arrestato. E rimarrà nelle nostre carceri.
di Anna Maria Greco
Il Giornale n. 13 del 2008-03-31