giovedì 24 aprile 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) La lista non è stato un flop, di Francesco Agnoli
2) cattolici e le elezioni del 13-14 aprile 2008, di Massimo Introvigne
3) Maria Luisa Di Pietro (Scienza & Vita): guardiamo all'efficacia delle cure palliative
4) Salta il vertice con Formigoni
5) Darfur, tragedia senza fine e senza ascolto


La lista non è stato un flop.
Di Francesco Agnoli (del 17/04/2008 @ 11:54:09, in Politica, linkato 215 volte)
Con la prontezza di parola che li contraddistingue, tra una imprecazione contro il loro avversario politico, Berlusconi, una contro il papa, ed una invettiva contro il loro “alleato” e salvatore Veltroni, i radicali hanno gioito per il flop della lista inventata in due mesi da Giuliano Ferrara. E lo stesso Ferrara, in fondo, a caldo, ha dichiarato il fallimento. Personalmente non sono affatto d’accordo. Occorre analizzare meglio il perché di un brutto risultato. Anzitutto, se è vero che la lista antiabortista ha preso pochi voti, è anche vero che per contrapposizione alla battaglia culturale di Ferrara un bel numero di liste e una immensa quantità di candidati hanno messo la difesa dell’aborto e talora della ru 486 tra le loro priorità: lo hanno fatto l’Arcobaleno, i socialisti, i radicali, i comunisti di Ferrando e quelli della sinistra critica, altre formazioni e candidati ancora….
E lo hanno fatto urlando e gridando ad alta voce. Eppure non sono stati votati neppure loro, anzi, hanno fatto veramente flop, trattandosi per lo più di partiti con una lunga storia, grande visibilità mediatica, e rappresentanti in Parlamento. Coloro che più in questi anni si sono battuti contro la vita, per i pesticidi umani, per l’eutanasia ecc., non sono stati certo premiati dagli elettori: questo è il primo vero dato su cui riflettere. Gli stessi radicali, prima di gioire degli insuccessi altrui, dovrebbero ricordare che se non si fossero intruppati con Veltroni, nascondendo accuratamente Panella e Silvio Viale, vero simbolo radicale della battaglia per la ru 486, mai sarebbero entrati nel parlamento italiano, e mai avrebbero racimolato quei milioni di euro che gli permetteranno di sopravvivere. Occorre anche ricordare che il mondo cattolico ufficiale ha preso diverse volte le distanze dalla lista, non senza insinuare un sospetto latente in molti praticanti: persino alla conferenza stampa su rai due alcuni giornalisti hanno appunto insistito con Ferrara su quella che era anche una loro giusta percezione. E’ successo che gli stessi vertici del Movimento per la Vita facessero più volte dei distinguo, gentili ma chiari, arrivando sostanzialmente a scoraggiare il voto della base, la quale poi si è divisa: alcuni hanno appoggiato, con la generosità e l’abnegazione di sempre, la lista, altri sono arrivati ad osteggiarla con una forza ed una virulenza che mi ha stupito. Anche questo ci dice che il flop della lista non è necessariamente dovuto al fatto che gli italiani siano tutti favorevoli all’aborto in generale, e all’aborto di massa, come avviene oggi, in particolare. Infine non bisogna trascurare il fatto che l’esigenza di un voto “utile” è stata sentita da tantissime persone come essenziale: nel mio piccolo il grosso problema, solitamente, non è stato far comprendere quanto sia ormai disprezzata la vita al suo nascere, ma spiegare che il voto alla lista non era politicamente inutile. Perché moltissimi, pur favorevoli all’idea, temevano, forse non a torto, che il loro voto avrebbe indebolito l’alleanza di centro destra, portando così al governo chi dell’aborto è stato sempre il promotore ed il paladino.

Sono con voi, ma voterò altrimenti per fermare Veltroni, radicali e comunisti: questa frase la avrò sentita innumerevoli volte! Così come alla fine dei nostri incontri pubblici con Ferrara, sempre pieni di entusiasmo e di pubblico, ben più di molti altri, ho spesso percepito questa ulteriore perplessità: sono favorevole alla vostra idea contro l’aborto ma non vi voterò perché non so cosa pensate sulle altre questioni; è un po’ troppo monotematica. Infine non bisogna dimenticare che da una parte l’Udc, l’unico partito che ha tenuto botta, ha tirato fuori per l’occasione una grinta pro life un po’ insospettabile (almeno per il suo leader), e che, dall’altra, molti uomini della Lega hanno giurato solennemente di difendere la vita dal concepimento alla morte naturale. Lo stesso Berlusconi, pur avendo proclamato, in origine, l’anarchia etica, ha fatto poi in modo di rimediare schierandosi apertamente per il quoziente familiare, il bonus bebè ecc…Infine la Destra, che ha ottenuto un discreto risultato, ha assunto in diverse occasioni una posizione decisamente pro life. Queste ed altre considerazioni, tra cui il fatto che in intere regioni non si era riusciti a trovare, per mancanza di tempo, un solo candidato locale, mi sembrano dimostrare che il fallimento politico di una lista non equivale al fallimento ideale, culturale della stessa: un muro è stato sfondato, un messaggio di vita, di gioia, di accoglienza, è stato lanciato, e in tantissimi lo hanno colto, senza poi necessariamente trasformarlo in un segno grafico. Mentre il simbolo dei radicali scompariva dalle schede, un altro, ben diverso, vi compariva.
Mi sembra un gran segno dei tempi, nonostante tutto. Un segno che darà i suoi frutti, non in voti ma in cultura della vita: vedremo tra qualche anno, sul numero degli aborti annui nel nostro paese, la vera incidenza della battaglia appena condotta. Possiamo fare come in Croazia, dove una legge comunista, apertissima ad ogni disprezzo del concepito, è stata pian piano resa innocua da una cultura della vita che ha diminuito gli aborti dell’88%, senza nessuna modifica legislativa. Si può fare anche da noi, se solo qualche cattolico ritrova un po’ di coraggio da tempo smarrito e se alcuni dei laici che hanno capito cosa c’è i gioco non abbandonano la lotta, scoraggiati. La lista ha aperto una breccia: viva il capitano, e viva l’equipaggio….si continua….in altro modo.


cattolici e le elezioni del 13-14 aprile 2008
Le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 hanno determinato un’autentica rivoluzione nel panorama parlamentare italiano. Sono scomparse sigle storiche come i socialisti, i comunisti e i verdi. Le prime rilevazioni ci dicono che i cattolici praticanti non si sono distribuiti uniformemente tra tutti i partiti, come prevedeva qualche sociologo. Hanno privilegiato il Popolo della Libertà e la Lega, e in misura assai minore l’UDC…
di Massimo Introvigne

Le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 hanno determinato un’autentica rivoluzione nel panorama parlamentare italiano. Sono scomparse sigle storiche come i socialisti, i comunisti e i verdi. I gruppi parlamentari si sono ridotti da una ventina a tre al Senato (se PD e IDV faranno gruppo insieme) e quattro alla Camera (altri partiti, pure rappresentati, non potranno costituire un gruppo perché non raggiungono il numero minimo di deputati, venti, o senatori, dieci, necessari per tale costituzione, salvo deroghe degli Uffici di Presidenza che tuttavia al Senato possono essere concesse solo a gruppi di almeno cinque senatori eletti in almeno tre regioni diverse: quindi, per esempio, non all’UDC che di senatori ne ha tre tutti eletti in Sicilia).
Molto di più di quanto non fosse avvenuto nel 2006, la maggioranza degli elettori ha compreso i meccanismi della legge elettorale, e ha evitato il voto inutile. Molti italiani si sono resi conto che al Senato la montagna dell’otto per cento era difficilissima da scalare per i piccoli partiti e si sono comportati di conseguenza. Se il mio “vademecum” sulla legge elettorale – che moltissimi mi hanno chiesto di riprodurre e una diocesi della Calabria ha stampato come opuscolo a cura della Consulta diocesana per l’apostolato dei laici e diffuso ampiamente – ha avuto un ruolo in questo processo, non posso che esserne soddisfatto.
L’astensionismo, contrariamente a un vecchio luogo comune, ha danneggiato soprattutto l’estrema sinistra, ed è del resto in quell’area che militano i più convinti teorici dell’astensione.
Le prime rilevazioni – che confermano quelle dei sondaggi, e che dovranno essere peraltro verificate tramite analisi più sistematiche – ci dicono che i cattolici praticanti non si sono distribuiti uniformemente tra tutti i partiti, come prevedeva qualche sociologo. Hanno privilegiato il Popolo della Libertà e la Lega, e in misura assai minore l’UDC. Il popolo che va a Messa non ha dunque seguito quella stampa cattolica che faceva il tifo, spesso neppure troppo velatamente, per il PD e l’UDC. Significativo il commento di Rosy Bindi: “Una parte del voto cattolico è finito alla Lega e non si capisce perché” (cfr. Fabio Martini, “Walter, la grande delusione”, La Stampa, 15-4-2008).
Contrariamente a quanto pensa Rosy Bindi, si capisce benissimo. A parte una minoranza sempre più ridotta – ancorché ben rappresentata nei centri di potere della cultura e dell’economia – di “cattolici adulti”, il mondo cattolico italiano è stato sistematicamente educato da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e dai cardinali Ruini e Bagnasco a privilegiare i “valori non negoziabili” – vita, famiglia e libertà di educazione – e a mettere le altre questioni, pure importanti, in secondo piano rispetto a questi tre valori fondamentali. Nelle parrocchie, nei movimenti e su Internet per la prima volta circolavano ampiamente studi – simili a quelli che i cattolici e i protestanti evangelical diffondono negli Stati Uniti a ogni elezione – dove, con dovizia di dettagli e con analisi che si spingevano fino al singolo parlamentare, si mostrava come su applicazione della legge sull’aborto, eutanasia, riconoscimento delle unioni omosessuali, tentativi di modificare la legge sulla fecondazione assistita, scuole non statali l’unico modo di bloccare proposte di legge incompatibili con i valori non negoziabili fosse un saldo successo della coalizione Berlusconi (all’interno della quale i parlamentari della Lega avevano votato e promettevano di votare “bene”, su questi problemi, in modo talora ancor più omogeneo di quelli del PDL). Vi è stata, sul punto, un’illusione ottica. La scelta (che si può certo discutere) dell’onorevole Silvio Berlusconi di non mettere all’ordine del giorno nella campagna elettorale i temi relativi ai valori non negoziabili è stata scambiata da alcuni per una “equivalenza” delle coalizioni Berlusconi e Veltroni su questi temi. Mentre la coalizione Veltroni aveva nelle sue liste candidati simbolo dell’opposizione ai valori non negoziabili come il professor Umberto Veronesi e l’onorevole Emma Bonino e dichiarava programmaticamente di volere fare approvare il testamento biologico e le leggi sulle unioni di fatto, gli studi su come avevano votato i parlamentari confluiti nel PDL e quelli della Lega nella precedente legislatura mostravano che, con eccezioni individuali, questo blocco – ove avesse chiaramente prevalso – sarebbe stato in grado di respingere le proposte di legge inaccettabili per i cattolici. Rosy Bindi se ne faccia una ragione: i cattolici italiani hanno ormai interiorizzato il tema dei “valori non negoziabili” e non considerano sullo stesso piano le questioni sindacali o socio-economiche (su cui peraltro la presunta maggiore vicinanza alla dottrina della Chiesa del PD rimane tutta da dimostrare) rispetto alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione.
Il voto alla Lega non è soltanto né principalmente un voto di protesta contro gli sprechi dello statalismo e del centralismo, né un voto per le infrastrutture al Nord, per quanto questi temi entrino nel successo del partito di Umberto Bossi. Chi ha seguito la campagna della Lega – l’unica tra quelle dei partiti approdati in Parlamento affidata più agli strumenti tradizionali del contatto personale, delle riunioni e dei comizi che a Internet o alla televisione – si è reso conto del costante appello a valori che si possono riassumere – correndo il centenario della nascita del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), che peraltro non presumo sia specificamente noto al leghista medio – nel suo motto “tradizione, famiglia, proprietà”, con una speciale attenzione all’identità, alle radici e alla consapevolezza del pericolo rappresentato dall’islam. I cattolici possono soltanto augurarsi che nella Lega si affermi una classe dirigente capace di difendere questi valori in modo non solo istintivo ma consapevole e meditato. Ma questo non avverrà senza un dialogo più serrato e continuo fra chi, quanto a consapevolezza e meditazione di questi valori, nel mondo cattolico ha qualche cosa da offrire e il popolo della Lega.
L’UDC è sparita dal Senato. L’eccezione siciliana conferma la regola, ed è un voto più all’onorevole Salvatore Cuffaro (che molti siciliani considerano, a torto o a ragione, sia vittima di accuse ingiuste sia protagonista di una stagione di governo regionale non priva di aspetti positivi) che all’onorevole Pier Ferdinando Casini. Se in Sicilia si fosse presentata una “Lista Cuffaro” nulla sarebbe cambiato se non, forse, in meglio per l’esito della medesima. La scommessa politica dell’UDC, fondata sulla sua possibilità di condizionare la formazione di qualunque futuro governo con una significativa presenza al Senato, è dunque fallita. All’UDC restano due milioni di elettori, che certamente non coincidono con i cattolici praticanti italiani (che, per quanto le statistiche sul punto siano oggetto di controversie senza fine, considerando chi va a Messa almeno una volta al mese sono un terzo degli italiani, sei volte di più del 5,5% raccolto dall’onorevole Casini) ma non sono irrilevanti. Un certo numero di questi voti proviene da sinistra, cioè da quei cattolici che non apprezzano l’onorevole Berlusconi ma che non se la sono sentita di votare un PD che presentava l’onorevole Bonino e il professor Veronesi. Altri hanno dato credito a una campagna elettorale molto centrata sull’identità cristiana e sulla difesa della famiglia, che alcuni parlamentari uscenti dell’UDC (come l’onorevole Luca Volontè o il senatore Luca Marconi) avevano rappresentato nella precedente legislatura in modo coerente e continuo. Dopo il sostanziale insuccesso del suo progetto politico, il futuro dell’UDC è molto incerto. I suoi due milioni di elettori rappresentano però, insieme al successo della Lega, un monito al partito di maggioranza relativa quanto all’esistenza non di poche migliaia ma di milioni di italiani sensibili al tema dell’identità cristiana, a prescindere dalla stessa credibilità e coerenza del personale politico che lo agita. Mutatis mutandis, vanno a comporre questo promemoria per il PDL vittorioso anche gli oltre ottocentomila elettori de La Destra, un partito che aveva peraltro coltivato illusioni quanto all’effettiva possibilità di approdare in Parlamento con il sistema delineato dalla legge elettorale vigente.
Un cenno merita infine la “catastrofe”, come l’ha definita il suo promotore Giuliano Ferrara, della lista “Aborto? No grazie” che puntava al quattro per cento e che si è fermata esattamente allo 0,4. Purtroppo la catastrofe, figlia – come altri insuccessi – di un’incomprensione del sistema elettorale vigente e del fatto che l’Italia non ha una tradizione di “liste di scopo”, era facilmente prevedibile ed era stata da molti (compreso chi scrive) prevista. Era anche prevedibile che all’indomani delle elezioni si sarebbe diffuso nei media, come sta puntualmente avvenendo, il giudizio secondo cui la problematica dell’aborto interessa solo allo 0,4% degli italiani: giudizio falso, ma che l’errore di presentare la lista Ferrara alle elezioni riveste di una certa ingannevole parvenza di credibilità. Come si temeva, la lista ha compromesso la sacrosanta e meritevole battaglia di Giuliano Ferrara per la moratoria. Con grande difficoltà, si tratta ora di ripartire da prima della campagna elettorale e riprendere la parola d’ordine della moratoria. Se i 135.000 italiani che hanno votato per una causa politicamente persa in partenza, superata la delusione, si trasformeranno in militanti per i valori non negoziabili forse non tutto sarà perduto.
Tra i problemi che dovrà affrontare il nuovo governo ci sarà quello del passaggio alla dimensione extraparlamentare di una sinistra radicale che, fuori dei Parlamenti, è spesso stata brodo di cultura della violenza di piazza e del terrorismo. Naturalmente l’eredità comunista non è scomparsa dal Parlamento italiano: l’onorevole Massimo D’Alema, tanto per fare un nome non casuale, può vantare una militanza nel vecchio Partito Comunista Italiano – del cui Comitato centrale ha fatto parte a suo tempo anche lo stesso onorevole Walter Veltroni – non meno distinta e convinta di quella dell’onorevole Fausto Bertinotti. Ma queste metamorfosi del comunismo non sono sempre facilmente comprensibili per il militante di base, che rischia dunque seriamente di farsi attrarre dalle sirene della violenza extraparlamentare. Alla soddisfazione per non vedere più in Parlamento gli onorevoli Alfonso Pecorario Scanio o Wladimiro Guadagno detto Vladimir Luxuria non può non accompagnarsi la consapevolezza dei rischi per l’ordine pubblico, soprattutto in caso di saldatura di progetti eversivi comunisti con altri di matrice ultra-fondamentalista islamica secondo la “dottrina Carlos”, incessantemente elaborata dal suo carcere francese dal terrorista marxista venezuelano convertito all’islam Ilich Ramírez Sánchez, “Carlos”, con l’appoggio esplicito del presidente della Repubblica del Venezuela Hugo Chávez. Una corretta valutazione di questo rischio implica una vigilanza – in base a criteri di prudenza, e senza criminalizzare preventivamente nessuno – non solo sugli ambienti dell’ultra-sinistra più tentati dall’eversione ma anche su chi ha contatti politici ambigui e inquietanti con i governi di Paesi come Cuba, la Corea del Nord e lo stesso Venezuela (o ancora con movimenti che hanno insieme una dimensione politica e una terroristica, come gli Hezbollah o Hamas), sulle “moschee inquiete” e su tutto il mondo dell’immigrazione clandestina. Un compito cui il prossimo Ministro dell’Interno farà bene a dedicarsi seriamente.
CESNUR


Maria Luisa Di Pietro (Scienza & Vita): guardiamo all'efficacia delle cure palliative
IlSussidiario.net
Redazione24/04/2008
Autore(i): Redazione. Pubblicato il 24/04/2008 - Letto 21
Entra oggi in vigore la legge spagnola che dice sì alla cosiddetta "morte dignitosa": si tratta di un vero e proprio testamento biologico, o è qualcosa di diverso? E qual è il suo giudizio su questa legge?
La legge spagnola è una legge sul testamento biologico. Si dà, infatti, al cittadino la possibilità di raccogliere le volontà anticipate in merito al proprio morire, affinché esse vengano applicate in caso di perdita della capacità di intendere e di volere. Chi compila il testamento biologico è, però, una persona in buona salute e ignaro della malattia che potrà colpirlo e delle terapie alle quali dovrà sottoporsi. Inoltre, il medico - presente alla firma del testamento biologico - non è lo stesso che ne applicherà i contenuti. Si tratta, allora, di un documento che per sua natura è generico, ambiguo e pertanto inaffidabile. Per queste ragioni, ma non solo, non condivido l’ipotesi stessa di una legge sul testamento biologico e ritengo che sia del tutto inutile se pensato come “lo strumento” per evitare l’accanimento terapeutico, ovvero il perseverare in terapie sproporzionate rispetto alle condizioni del paziente. Non accanirsi sul paziente è un dovere del medico, contemplato anche nei Codici di deontologia medica. E’ evidente che il concetto di “accanimento terapeutico” che si vuol fare passare con il testamento biologico è un altro. E, infatti, nel dibattito attuale l’accanimento terapeutico viene equiparato a una generica “sospensione delle cure”, che comprende non solo le terapie sproporzionate ma anche i mezzi di sostegno vitale (ossigenazione, alimentazione, idratazione) e le cosiddette “cure palliative”. In questo modo, con un testamento biologico, non si evita l’accanimento terapeutico ma si scivola in modo inesorabile verso l’eutanasia per omissione, sottraendo al paziente l’unica possibilità di dare vera dignità al morire ovvero l’assistenza e l’alleviamento del dolore non solo fisico, ma anche psicologico, spirituale e sociale. Tanto è vero che la legge spagnola vieta l’eutanasia attiva, ma si guarda bene dal fare riferimento all’eutanasia per omissione.
È sempre difficile, per chi non è esperto in questa materia, distinguere tra le diverse definizioni: qual è sostanzialmente, a suo modo di vedere, la differenza tra testamento biologico e programmazione delle cure?
Ben diversa dal testamento biologico è la cosiddetta “programmazione anticipata delle terapie”, quando già il soggetto è malato, le opzioni terapeutiche sono note e le decisioni vengono prese nell’ambito della relazione medico-paziente. D’altra parte nella relazione medico-paziente basata sull’alleanza terapeutica - che è, invece, inesistente nel momento della redazione del testamento biologico - l’obiettivo comune delle parti in causa è di agire l'uno nel migliore interesse dell'altro e il dialogo e la comunicazione diventano gli elementi indispensabili perché questa alleanza si crei. E’, allora, fondamentale che il paziente esprima le proprie aspettative in relazione alla malattia e, nel caso in cui sia in condizioni irreversibili, alla dignità del proprio morire. Anzi, il coinvolgimento del paziente nella gestione della malattia e la personalizzazione (laddove possibile) degli schemi di trattamento e dei protocolli assistenziali divengono gli obiettivi da perseguire. Se è, però, fondamentale il coinvolgimento del paziente e il rispetto delle sue scelte, è altrettanto fondamentale il rispetto della libertà del medico di agire in scienza e coscienza e nella tutela di quel bene che gli è stato affidato: la vita del paziente.
Un ruolo fondamentale, riguardo al modo in cui accompagnare i malati terminali, è giocato dalle "cure palliative": qual è l’importanza di queste cure, e a che punto sono gli studi e gli investimenti in questo campo?
L’eutanasia per omissione o l’eutanasia attiva non sono l’alternativa all’accanimento terapeutico: tra queste due situazioni estreme vi è la strada della cura che comprende l’accompagnamento del malato, il sollievo dal dolore fisico e il sostegno umano nell’esperienza della malattia e del morire. Le cure - tra cui anche quelle palliative, il cui scopo è di alleviare i sintomi (primo tra tutti il dolore) - sono sempre efficaci e sono la risposta non solo alla possibile inefficacia delle terapie ma anche alla richiesta di eutanasia, invocata come via d’uscita per una situazione considerata troppo gravosa e dolorosa. Dove non si può più guarire, si deve continuare a curare. Ed è proprio l’attenzione alla cura a non essere sufficientemente sviluppata in Italia, ove mancano efficaci reti di assistenza domiciliare, interventi a sostegno delle famiglie dei malati, hospice e strutture per la lungodegenza, personale sanitario adeguato.
Ci può spiegare che cos'è l' "abbandono terapeutico"? Perchè e in quali casi i malati incorrono in questo rischio?
L’abbandono terapeutico, ovvero non essere più soggetti di terapie o - laddove queste non sono più efficaci - di cure, è il vero rischio che oggi corrono tanti malati anche in Italia. Anzi, il modo in cui è stato condotto, in questi ultimi anni, il dibattito sul fine vita sta ipertrofizzando ancora di più la logica della resa e dell’abbandono, della rimozione della sofferenza e della morte. La sofferenza, la mancanza di senso, la disperazione, non si combattono eliminando il sofferente o chiedendogli di farsi da parte. La vera risposta è la rimozione del dolore, il sollievo della sofferenza e la lotta alla solitudine.
(Maria Luisa Di Pietro Associato Di Bioetica – Università Cattolica S. Cuore Presidente Associazione Scienza & Vita)


Salta il vertice con Formigoni
Avvenire, 24 aprile 2008
DA MILANO DAVIDE RE
È stato rinviato l’incontro fra Silvio Berlusconi e il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, previsto per ieri sera a Roma. Il futuro premier e il governatore lombardo, che si erano visti martedì ad Arcore, hanno avuto un colloquio telefonico e hanno deciso di rinviare forse ad oggi o ai prossimi giorni l’incontro in cui doveva essere definita ancora una volta la posizione di Formigoni: se cioè avrà un incarico di governo o istituzionale qualora, come sembra dalle intenzioni di Berlusconi, resterà alla guida della Regione Lombardia fino alla scadenza naturale del mandato, nel 2010. Ieri per ore le diplomazie di Berlusconi e Formigoni hanno avuto contatti, anche perché i rapporti tra il governatore lombardo e il Cavaliere sembrano più che mai sfilacciati. L’unica proposta sul tavolo per Formigoni è il ruolo di coordinatore del Pdl e forse un dicastero nel 2010. Poi la svolta: Berlusconi va al Quirinale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’agenda del Cavaliere si riaggiorna e l’incontro con Formigoni slitta. Insomma si vedrà. Anche se ieri tutte le forze politiche presenti al Consiglio regionale della Lombardia danno ormai per tramontata la possibilità di andare al voto anticipato. Formigoni viene dato per sicuro alle guida della Regione, almeno fino al 2010.
Calma apparente anche dal fronte Lega Nord che da giorni reclama la poltrona da governatore, nel caso in cui Formigoni vada a Roma.
Ma altri lombardi ieri, comunque, sono andati a colloquio con Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ha infatti incontrato il sindaco di Milano Letizia Moratti in un clima di grande cordialità. In agenda il futuro di Alitalia e Malpensa e il dossier Expo 2015, che la Moratti è riuscita a strappare per Milano, dopo una gara internazionale senza esclusione di colpi. «Abbiamo parlato del progetto dell’Expo 2015 e quindi dei prossimi passi da fare», ha detto la Moratti. Non solo il primo cittadino del capoluogo lombardo ha chiarito che «ci sarà un decreto legge, che sarà varato in uno dei primi Consigli dei ministri». Il provvedimento, ha sottolineato la Moratti «prevede una struttura organica dell’Expo, composta da un commissario, che avrà ruoli di impulso e di vigilanza, oltre che di proposta dell’amministratore delegato della società di gestione». La struttura prevederà anche un «comitato di coordinamento, proposto dalla presidenza del Consiglio, dalla Regione Lombardia, dalla Provincia e dal Comune di Milano, dall’Ente fiera e dalla Camera di commercio», ha aggiunto la Moratti. «Il presidente Berlusconi – ha detto il primo cittadino milanese – ha stabilito che io avrò il ruolo di commissario e di presidente del comitato coordinatore e abbiamo stabilito la proposta dell’amministratore delegato della società di gestione che, come ho anticipato, sarà Paolo Glisenti».
Più articolato il discorso su Alitalia e su Malpensa. «Abbiamo concordato – ha spiegato il sindaco di Milano – sul fatto che vanno separati i ruoli di Malpensa e Sea dai destini di Alitalia». Sea (la società milanese che gestisce gli scali milanesi) e Malpensa, ha aggiunto ancora la Moratti «non sono un problema, lo sono diventati per la politica del governo Prodi». E sempre su Sea: «In questo momento il ricorso contro Alitalia c’è e si mantiene, ma vedremo se col tempo verranno meno le condizioni per cui il ricorso è stato deciso, perché se verranno meno verrà meno anche il ricorso», ha concluso Letizia Moratti.
Il leader Pdl cambia l’agenda, slitta il faccia a faccia col governatore lombardo Riunione con la Moratti per parlare di Alitalia ed Expo: il sindaco sarà commissario


Secondo l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite il conflitto ha già provocato oltre trecentomila morti
Darfur, tragedia senza fine e senza ascolto

New York, 23. Sono oltre trecentomila, secondo le stime delle Nazioni Unite, i morti provocati dal conflitto civile che si protrae da oltre cinque anni nella regione occidentale sudanese del Darfur. Lo ha detto ieri il vice Segretario generale dell'Onu responsabile degli affari umanitari, John Holmes, in un rapporto al Consiglio di sicurezza. Le precedenti stime delle Nazioni Unite, basate su uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), indicavano che le vittime degli scontri e degli stenti causati dalle razzie dei villaggi erano centomila in meno.
Holmes ha spiegato che gli scontri armati, i bombardamenti aerei e le violenze sistematiche contro le donne non si sono mai interrotti nel Darfur, neppure negli ultimi mesi, nonostante le crescenti pressioni internazionali e l'avvio del dispiegamento dell'Unamid, la missione congiunta dell'Onu e dell'Unione africana. "Particolarmente preoccupante - ha precisato Holmes - è l'alto livello di violenza sessuale, verificatosi durante gli ultimi due mesi, nel corridoio settentrionale del Darfur dell'ovest".
Holmes ha aggiunto che negli ultimi mesi si è ulteriormente aggravata l'emergenza umanitaria, in particolare per quanto riguarda la spaventosa condizione dei profughi. Dall'inizio dell'anno, almeno altre centomila persone sono state costrette a lasciare le loro case per sfuggire alle sistematiche violenze. Quella dei profughi del Darfur - stimati dai rapporti dell'Onu a oltre trecentomila rifugiati all'estero, in particolare nel confinante Ciad, e a più di due milioni di sfollati interni - è considerata dalle Nazioni Unite la maggiore emergenza umanitaria oggi in atto nel mondo.
Holmes ha concluso il suo intervento ricordando che dall'inizio dell'anno sei addetti agli aiuti umanitari sono stati uccisi, le loro basi sono state attaccate 42 volte, mentre 106 veicoli, alcuni dell'Onu e alcuni delle Organizzazioni non governative, sono finiti in mano ai gruppi armati, in qualche caso ritenuti appoggiati dal Governo di Khartoum.
Da parte sua, Rodolphe Adada, il rappresentante speciale dell'Onu e dell'Unione africana per il Darfur, ha indicato che la capacità dell'Unamid "non è aumentata di molto (...) e rimane sotto il 40 per cento dell'obiettivo previsto, cioè 19.555 uomini". Negli ultimi mesi, più volte il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha reiterato gli appelli a fornire uomini e soprattutto mezzi (in particolare elicotteri) alla missione Unamid, ma finora senza esito. Al tempo stesso, la ripresa nei mesi scorsi degli scontri nel confinante Ciad tra forze governative e milizie ribelli ha ritardato, se non compromesso, anche il dispiegamento della parallela missione Eufor dell'Unione europea, decisa per fornire protezione ai rifugiati del Darfur nello stesso Ciad e nella Repubblica Centroafricana.
La relazione presentata ieri da Holmes al Consiglio di sicurezza è stata contestata dall'ambasciatore del Sudan all'Onu, Abdalmahmoud Abdalhaleem, secondo il quale i dati "non sono corretti, non sono credibili" e i morti provocati dal conflitto non sarebbero più di diecimila. La posizione del Governo di Khartoum non è nuova. Da oltre cinque anni le autorità sudanesi negano la veridicità dei rapporti internazionali sul Darfur.
(©L'Osservatore Romano - 24 aprile 2008)