mercoledì 9 aprile 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il tour in Sicilia della lista "Aborto? No, grazie", Uova, fumogeni e pomodori a Palermo. Cronaca di una giornata elettorale
2) Senza principi non negoziabili non c’è bene comune, Cardinale Van Thuân
3) Congregazione per la Dottrina della Fede: Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002
4) LE ULTIME DI AHMADINEJAD - L’EUROPA NON GLI FORNISCA ALTRE SPALLE
5) LA SCELTA ARDUA E GRANDE DI MAMMA PAOLA, MALATA DI CANCRO - A Pieve la nemica è arrivata e ha trovato vita, non resa


8 aprile 2008
Dal Foglio.it
Il tour in Sicilia della lista "Aborto? No, grazie", Uova, fumogeni e pomodori a Palermo. Cronaca di una giornata elettorale
"Un piano nazionale per la vita"

E’ cominciata senza proteste violente la seconda giornata del tour siciliano della lista “Aborto? No, grazie”. Poi, a Palermo, il lancio di uova e di ortaggi. “Non hanno voluto essere secondi a Bologna”, dirà poi il promotore della “lista pazza”. Giuliano Ferrara ha parlato a Messina all’ora di pranzo. A colloquio con i giornalisti ha parlato del suo progetto: “La mia non è una lista ideologica. E' una lista pratica che cerca di trovare finanziamenti perché nascano più bambini. In Italia non nascono più bambini a sufficienza per costruire il futuro. L'ideologia fa dell'aborto un feticcio ma, fatta salva la scelta libera delle donne, una volta liberi bisogna esercitare la responsabilità, battendosi senza quartiere contro il dilagare dell'aborto, inteso come controllo delle nascite che è contro la stessa legge 194 che invece è la legge di tutela sociale della maternità. Tutti fanno ideologia in questa campagna elettorale su cose banali come: 'Tu mi hai copiato il programma', 'Tu sei più vecchio di me', 'Le schede sono fatte male', io pongo una questione pratica: difendiamo e promuoviamo la vita umana in un'epoca in cui viene disumanizzata. Quando saremo eletti promuoveremo la cultura della vita con un piano nazionale per la vita" cui dovrebbe essere destinato lo 0,5 per cento del pil. "In occidente – ha continuato – un miliardo di aborti negli ultimi trent'anni, vuol dire un aborto al secondo, 50 milioni l'anno. Vuol dire che abiamo sostituito la cura della malattia con l'eliminazione del malato". Nel pomeriggio l’Elefantino si è spostato a Palermo, dove secondo programma avrebbe dovuto parlare presso l’auditorium della chiesa di S. Salvatore. La curia, però, dopo le minacce di proteste violente arrivate dai gruppi delle femministe e dei centri sociali del capoluogo siciliano, non ha più concesso i locali. Giuseppe Sottile, capolista sull’isola per la lista pro life, ha detto che "la chiesa era stata concessa regolarmente e fino a ieri mattina i funzionari della Questura avevano eseguito tutti i rilievi per garantire la sicurezza. Era tutto predisposto, tanto è vero che era stato perfino sistemato il palchetto. Poi, questa mattina, monsignor Cuttitta ha letto i giornali in cui si parlava delle annunciate contromanifestazioni e si è fatto intimidire da questi quattro straccioni. Così si è terrorizzato e ha disposto di sprangare la chiesa del Santissimo Salvatore. Un tempo la chiesa apriva le porte per dare rifugio agli inseguiti, ai perseguitati, a chiunque avesse fame e sete di giustizia e di verità”. L’incontro si è così spostato presso il teatro Nuovo Montevergini di Palermo, messo a disposizione dal sindaco Diego Cammarata. Appena giunto in città, Giuliano Ferrara ha detto che "sono cose che succedono, non è un fatto polemico. Il vescovo ha fatto bene. Voleva proteggere l'indipendenza dell'istituzione. Lo capisco, è successo anche a Mantova”. “Naturalmente – ha aggiunto – io ho una certa inclinazione verso il mio vescovo, che è il vescovo di Roma". L’arrivo al teatro del direttore del Foglio è stato salutato da un fitto lancio di uova e fumogeni da parte dei ragazzi dei centri sociali, tenuti però a distanza dalle forza dell’ordine, ringraziate da Ferrara durante il comizio: “Difendono la democrazia”. Quella subita all’ingresso del teatro, l’ennesima, “non è infatti stata una contestazione, ma un’aggressione”, ha aggiunto Ferrara. Al lancio di uova e pomodori proseguito quando il numeroso pubblico ha lasciato il teatro al termine dell’incontro, i sostenitori della “lista pazza” hanno risposto con fiori. Cori e striscioni già visti da parte dei contestatori: “Vergogna” e “La 194 non si tocca” in cima alla lista. Durante l’incontro Giuliano Ferrara ha detto che “mi aspetto di portare alla Camera 20-25 deputati che avranno come missione quella di lanciare un grande piano nazionale di aiuto alla vita. E penso di riuscirci”. Lista monotematica? Di fronte "a tante liste che sembrano un'insalata, la nostra ha un sapore chiaro", ha detto l’Elefantino prima di uscire da una porta laterale per evitare scontri con i lanciatori di uova.
Intanto i giornali stranieri continuano a parlare della lista pazza come dell'unica novità della campagna elettorale. Dopo il New York Times anche l'inglese Independent e il francese Liberation le dedicano lunghi articoli.
di Piero Vietti



Senza principi non negoziabili non c’è bene comune
Spiega il Direttore dell'Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân”


di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 8 aprile 2008 (ZENIT.org).- Senza “principi non negoziabili non è possibile il bene comune, perché niente impedirebbe la discriminazione dell’uomo sull’uomo”. “La democrazia non richiede alcun compromesso al ribasso” perché “il bene comune non è il minor male “.
Sono queste le conclusioni raccolte in una nota dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina Sociale della Chiesa, in merito al discernimento dei cattolici circa le prossime elezioni politiche.
Stefano Fontana, Direttore dell’Osservatorio, spiega in dettaglio quali sono i principi cui fare riferimento per esprimere un voto giusto e per amministrare il bene comune, precisando quali sono i sofismi che deviano il voto e la coscienza cattolica.
Alla domanda se può esserci un compromesso sui “valori non negoziabili”, Fontana risponde che
“il diritto alla vita, ad essere concepito e non prodotto, a nascere in una famiglia, sono diritti indisponibili e non si capisce in questi casi in cosa possa consistere il compromesso”; mentre i “valori che non rispettano i principi fondamentali della legge morale naturale non sono valori”.
Rispettare e difendere i valori non è antidemocratico, continua la nota, perché “è proprio il valore assoluto della dignità della persona a garantire un dialogo pacifico e rispettoso”.
Al contrario: “lo scontro nasce proprio dalla rinuncia a dei valori assoluti per cui tutto diventa possibile, anche la violenza”.
In merito alla distinzione tra “comportamento personale” e “pubblico”, il comunicato dell’Osservatorio rileva che tale distinzione “vale per molte questioni, ma non per tutte”.
“Quando si tratta di azioni che feriscono profondamente la dignità della persona umana non si può distinguere tra convinzione personale e agire politico”, afferma Fontana.
Circa il luogo comune secondo cui chi svolge un ruolo istituzionale deve rinunciare alla propria coscienza, la nota dell’Osservatorio sottolinea che “i ruoli istituzionali rivestiti non possono essere alibi per tacitare la nostra coscienza”.
Secondo Fontana, “non è lecito fare il bene attraverso il male e le azioni assolutamente cattive non devono mai essere fatte. Inoltre un uomo politico cattolico deve anche mettere in bilancio la rinuncia alla carriera politica; ci sono momenti in cui la testimonianza è doverosa e può anche essere politicamente fruttuosa”.
A chi accusa di integralismo i principi non negoziabili, la nota dell’Osservatorio risponde che “i principi non negoziabili non sono solo convinzioni di fede, sono precetti della legge morale naturale, precetti della ragione, ulteriormente rafforzati, se si vuole, dalla fede. Non è quindi integralismo lottare pacificamente per la loro salvaguardia”.
Per questo, spiega il comunicato, “spetta ai laici impegnati in politica lavorare per permettere l’agibilità politica dei principi non negoziabili, liberandosi dal destino al compromesso”.
In conclusione Fontana sostiene che “urgono nuovi laici e nuovi cattolici, capaci di dialogare non per limitarsi ma per arricchirsi, non per adattarsi all’esistente ma per proporre mete ambiziose, per incontrarsi sulla vita, sulla famiglia, sulla libertà di educazione, sulla libertà religiosa e per una vita pienamente umana”.


L’impegno dei cattolici nella vita politica
Fonte: Libreria Editrice Vaticana ©
Dal sito CulturaCattolica.it
Congregazione per la Dottrina della Fede: Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica.

La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito anche il parere del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ritenuto opportuno pubblicare la presente "Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica". La Nota è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle società democratiche.
I. Un insegnamento costante
1. L'impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia si è espresso seguendo percorsi diversi. Uno è stato attuato nella partecipazione all'azione politica: i cristiani, affermava uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli, «partecipano alla vita pubblica come cittadini». [1] La Chiesa venera tra i suoi Santi numerosi uomini e donne che hanno servito Dio mediante il loro generoso impegno nelle attività politiche e di governo. Tra di essi, S. Tommaso Moro, proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici, seppe testimoniare fino al martirio la «dignità inalienabile della coscienza». [2] Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica, rifiutò ogni compromesso, e senza abbandonare «la costante fedeltà all'autorità e alle istituzioni legittime» che lo distinse, affermò con la sua vita e con la sua morte che «l'uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale». [3]
Le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà, [4] richiedono nuove e più ampie forme di partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini, cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono contribuire attraverso il voto all'elezione dei legislatori e dei governanti e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti politici e delle scelte legislative che a loro avviso giovano maggiormente al bene comune. [5] La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi proficuamente senza l'attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti, «sia pure con diversità e complementarità di forme, livelli, compiti e responsabilità». [6]
Mediante l'adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla coscienza cristiana», [7] in conformità ai valori che con essa sono congruenti, i fedeli laici svolgono anche il compito loro proprio di animare cristianamente l'ordine temporale, rispettandone la natura e la legittima autonomia, [8] e cooperando con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità. [9] Conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è che «i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla "politica", ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune», [10] che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l'ordine pubblico e la pace, la libertà e l'uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell'ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc.
La presente Nota non ha la pretesa di riproporre l'intero insegnamento della Chiesa in materia, riassunto peraltro nelle sue linee essenziali nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ma intende soltanto richiamare alcuni principi propri della coscienza cristiana che ispirano l'impegno sociale e politico dei cattolici nelle società democratiche. [11] E ciò perché in questi ultimi tempi, spesso per l'incalzare degli eventi, sono emersi orientamenti ambigui e posizioni discutibili, che rendono opportuna la chiarificazione di aspetti e dimensioni importanti della tematica in questione.

II. Alcuni punti nodali nell'attuale dibattito culturale e politico
2. La società civile si trova oggi all'interno di un complesso processo culturale che mostra la fine di un'epoca e l'incertezza per la nuova che emerge all'orizzonte. Le grandi conquiste di cui si è spettatori provocano a verificare il positivo cammino che l'umanità ha compiuto nel progresso e nell'acquisizione di condizioni di vita più umane. La crescita di responsabilità nei confronti di Paesi ancora in via di sviluppo è certamente un segno di grande rilievo, che mostra la crescente sensibilità per il bene comune. Insieme a questo, comunque, non è possibile sottacere i gravi pericoli a cui alcune tendenze culturali vorrebbero orientare le legislazioni e, di conseguenza, i comportamenti delle future generazioni.
È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale. A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia. [12] Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall'altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell'etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, [13] come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore. Nel contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l'ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità politica. La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell'essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell'uomo, del bene comune e dello Stato.
3. Questa concezione relativista del pluralismo nulla ha a che vedere con la legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune. La libertà politica non è né può essere fondata sull'idea relativista che tutte le concezioni sul bene dell'uomo hanno la stessa verità e lo stesso valore, ma sul fatto che le attività politiche mirano volta per volta alla realizzazione estremamente concreta del vero bene umano e sociale in un contesto storico, geografico, economico, tecnologico e culturale ben determinato. Dalla concretezza della realizzazione e dalla diversità delle circostanze scaturisce generalmente la pluralità di orientamenti e di soluzioni che debbono però essere moralmente accettabili. Non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete — e meno ancora soluzioni uniche — per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge morale. [14] Se il cristiano è tenuto ad «ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali», [15] egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono "negoziabili".
Sul piano della militanza politica concreta, occorre notare che il carattere contingente di alcune scelte in materia sociale, il fatto che spesso siano moralmente possibili diverse strategie per realizzare o garantire uno stesso valore sostanziale di fondo, la possibilità di interpretare in maniera diversa alcuni principi basilari della teoria politica, nonché la complessità tecnica di buona parte dei problemi politici, spiegano il fatto che generalmente vi possa essere una pluralità di partiti all'interno dei quali i cattolici possono scegliere di militare per esercitare — particolarmente attraverso la rappresentanza parlamentare — il loro diritto-dovere nella costruzione della vita civile del loro Paese. [16] Questa ovvia constatazione non può essere confusa però con un indistinto pluralismo nella scelta dei principi morali e dei valori sostanziali a cui si fa riferimento. La legittima pluralità di opzioni temporali mantiene integra la matrice da cui proviene l'impegno dei cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana. È su questo insegnamento che i laici cattolici sono tenuti a confrontarsi sempre per poter avere certezza che la propria partecipazione alla vita politica sia segnata da una coerente responsabilità per le realtà temporali.
La Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una parte, esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, dall'altra si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona. [17] Su questo principio l'impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la partecipazione democratica. Come insegna il Concilio Vaticano II, la tutela «dei diritti della persona umana è condizione perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica». [18]
4. A partire da qui si estende la complessa rete di problematiche attuali che non hanno avuto confronti con le tematiche dei secoli passati. La conquista scientifica, infatti, ha permesso di raggiungere obiettivi che scuotono la coscienza e impongono di trovare soluzioni capaci di rispettare in maniera coerente e solida i principi etici. Si assiste invece a tentativi legislativi che, incuranti delle conseguenze che derivano per l'esistenza e l'avvenire dei popoli nella formazione della cultura e dei comportamenti sociali, intendono frantumare l'intangibilità della vita umana. I cattolici, in questo frangente, hanno il diritto e il dovere di intervenire per richiamare al senso più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono dinanzi ad essa. Giovanni Paolo II, continuando il costante insegnamento della Chiesa, ha più volte ribadito che quanti sono impegnati direttamente nelle rappresentanze legislative hanno il «preciso obbligo di opporsi» ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi, come per ogni cattolico, vige l'impossibilità di partecipare a campagne di opinione in favore di simili leggi né ad alcuno è consentito dare ad esse il suo appoggio con il proprio voto. [19] Ciò non impedisce, come ha insegnato Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Evangelium vitae a proposito del caso in cui non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista già in vigore o messa al voto, che «un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica». [20]
In questo contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l'attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un'unità inscindibile, non è logico l'isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L'impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l'impegno che gli proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull'uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta.
Quando l'azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l'impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l'essenza dell'ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. E' questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all'accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale. Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell'embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l'altro nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve pensare alla tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (si pensi ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un'economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà, secondo il quale «i diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti». [21] Come non vedere, infine, in questa esemplificazione il grande tema della pace. Una visione irenica e ideologica tende, a volte, a secolarizzare il valore della pace mentre, in altri casi, si cede a un sommario giudizio etico dimenticando la complessità delle ragioni in questione. La pace è sempre «frutto della giustizia ed effetto della carità»; [22] esige il rifiuto radicale e assoluto della violenza e del terrorismo e richiede un impegno costante e vigile da parte di chi ha la responsabilità politica.

III. Principi della dottrina cattolica su laicità e pluralismo
5. Di fronte a queste problematiche, se è lecito pensare all'utilizzo di una pluralità di metodologie, che rispecchiano sensibilità e culture differenti, nessun fedele tuttavia può appellarsi al principio del pluralismo e dell'autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società. Non si tratta di per sé di «valori confessionali», poiché tali esigenze etiche sono radicate nell'essere umano e appartengono alla legge morale naturale. Esse non esigono in chi le difende la professione di fede cristiana, anche se la dottrina della Chiesa le conferma e le tutela sempre e dovunque come servizio disinteressato alla verità sull'uomo e al bene comune delle società civili. D'altronde, non si può negare che la politica debba anche riferirsi a principi che sono dotati di valore assoluto proprio perché sono al servizio della dignità della persona e del vero progresso umano.
6. Il richiamo che spesso viene fatto in riferimento alla "laicità" che dovrebbe guidare l'impegno dei cattolici, richiede una chiarificazione non solo terminologica. La promozione secondo coscienza del bene comune della società politica nulla ha a che vedere con il "confessionalismo" o l'intolleranza religiosa. Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica - ma non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto. [23] Giovanni Paolo II ha più volte messo in guardia contro i pericoli derivanti da qualsiasi confusione tra la sfera religiosa e la sfera politica. «Assai delicate sono le situazioni in cui una norma specificamente religiosa diventa, o tende a diventare, legge dello Stato, senza che si tenga in debito conto la distinzione tra le competenze della religione e quelle della società politica. Identificare la legge religiosa con quella civile può effettivamente soffocare la libertà religiosa e, persino, limitare o negare altri inalienabili diritti umani». [24] Tutti i fedeli sono ben consapevoli che gli atti specificamente religiosi (professione della fede, adempimento degli atti di culto e dei Sacramenti, dottrine teologiche, comunicazioni reciproche tra le autorità religiose e i fedeli, ecc.) restano fuori dalle competenze dello Stato, il quale né deve intromettersi né può in modo alcuno esigerli o impedirli, salve esigenze fondate di ordine pubblico. Il riconoscimento dei diritti civili e politici e l'erogazione dei pubblici servizi non possono restare condizionati a convinzioni o prestazioni di natura religiosa da parte dei cittadini.
Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona. Il fatto che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la "laicità" dell'impegno di coloro che in esse si riconoscono, indipendentemente dal ruolo che la ricerca razionale e la conferma procedente dalla fede abbiano svolto nel loro riconoscimento da parte di ogni singolo cittadino. La "laicità", infatti, indica in primo luogo l'atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull'uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una. Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall'insegnamento morale e sociale della Chiesa.
Con il suo intervento in questo ambito, il Magistero della Chiesa non vuole esercitare un potere politico né eliminare la libertà d'opinione dei cattolici su questioni contingenti. Esso intende invece — come è suo proprio compito — istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto di quanti si dedicano all'impegno nella vita politica, perché il loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene comune. L'insegnamento sociale della Chiesa non è un'intromissione nel governo dei singoli Paesi. Pone certamente un dovere morale di coerenza per i fedeli laici, interiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria. «Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta "spirituale", con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta "secolare", ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come "luogo storico" del rivelarsi e del realizzarsi dell'amore di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto — come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della cultura — sono occasioni provvidenziali per un "continuo esercizio della fede, della speranza e della carità"». [25] Vivere ed agire politicamente in conformità alla propria coscienza non è un succube adagiarsi su posizioni estranee all'impegno politico o su una forma di confessionalismo, ma l'espressione con cui i cristiani offrono il loro coerente apporto perché attraverso la politica si instauri un ordinamento sociale più giusto e coerente con la dignità della persona umana.
Nelle società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate liberamente. Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità di agire in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo. In questa prospettiva, infatti, si vuole negare non solo ogni rilevanza politica e culturale della fede cristiana, ma perfino la stessa possibilità di un'etica naturale. Se così fosse, si aprirebbe la strada ad un'anarchia morale che non potrebbe mai identificarsi con nessuna forma di legittimo pluralismo. La sopraffazione del più forte sul debole sarebbe la conseguenza ovvia di questa impostazione. La marginalizzazione del Cristianesimo, d'altronde, non potrebbe giovare al futuro progettuale di una società e alla concordia tra i popoli, ed anzi insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e culturali della civiltà. [26]

IV. Considerazioni su aspetti particolari
7. È avvenuto in recenti circostanze che anche all'interno di alcune associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all'insegnamento morale e sociale della Chiesa. Tali scelte e condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari della coscienza cristiana, non sono compatibili con l'appartenenza ad associazioni o organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente, è da rilevare che alcune Riviste e Periodici cattolici in certi Paesi hanno orientato i lettori in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente, equivocando sul senso dell'autonomia dei cattolici in politica e senza tenere in considerazione i principi a cui si è fatto riferimento.
La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità di presentare in termini culturali moderni il frutto dell'eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un'urgenza non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei cattolici. Del resto lo spessore culturale raggiunto e la matura esperienza di impegno politico che i cattolici in diversi paesi hanno saputo sviluppare, specialmente nei decenni posteriori alla seconda guerra mondiale, non possono porli in alcun complesso di inferiorità nei confronti di altre proposte che la storia recente ha mostrato deboli o radicalmente fallimentari. È insufficiente e riduttivo pensare che l'impegno sociale dei cattolici possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché se alla base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni poggeranno sempre su fragili fondamenta.
La fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica in cui l'uomo vive impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli. Sotto questo aspetto sono da respingere quelle posizioni politiche e quei comportamenti che si ispirano a una visione utopistica la quale, capovolgendo la tradizione della fede biblica in una specie di profetismo senza Dio, strumentalizza il messaggio religioso, indirizzando la coscienza verso una speranza solo terrena che annulla o ridimensiona la tensione cristiana verso la vita eterna.
Nello stesso tempo, la Chiesa insegna che non esiste autentica libertà senza la verità. «Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono», ha scritto Giovanni Paolo II. [27] In una società dove la verità non viene prospettata e non si cerca di raggiungerla, viene debilitata anche ogni forma di esercizio autentico di libertà, aprendo la via ad un libertinismo e individualismo, dannosi alla tutela del bene della persona e della società intera.
8. A questo proposito è bene ricordare una verità che non sempre oggi viene percepita o formulata esattamente nell'opinione pubblica corrente: il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza tra le religioni e tra i sistemi culturali umani. [28] In questa linea il Papa Paolo VI ha affermato che «il Concilio, in nessun modo, fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono ad opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e nell'adesione ad essa». [29] L'affermazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa non contraddice quindi affatto la condanna dell'indifferentismo e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica, [30] anzi con essa è pienamente coerente.

V. Conclusione
9. Gli orientamenti contenuti nella presenta Nota intendono illuminare uno dei più importanti aspetti dell'unità di vita del cristiano: la coerenza tra fede e vita, tra vangelo e cultura, richiamata dal Concilio Vaticano II. Esso esorta i fedeli a «compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno». Siano desiderosi i fedeli «di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio». [31]
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nell'Udienza del 21 novembre 2002 ha approvato la presente Nota, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 novembre 2002, Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell'Universo.

JOSEPH CARD. RATZINGER
Prefetto

TARCISIO BERTONE, S.D.B.
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario


Note

[1] LETTERA A DIOGNETO, 5, 5. Cfr. anche Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2240.


[2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Motu Proprio data per la proclamazione di San Tommaso Moro Patrono dei Governanti e dei Politici, n. 1, AAS 93 (2001) 76-80.


[3] Ibid, n. 4.


[4] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 31; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1915.


[5] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75.


[6] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42, AAS 81 (1989) 393-521. Questa nota dottrinale si riferisce ovviamente all'impegno politico dei fedeli laici. I Pastori hanno il diritto e il dovere di proporre i principi morali anche sull'ordine sociale; "tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici è riservata ai laici" (GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 60). Cfr. anche CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 31-III-1994, n. 33.


[7] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.


[8] Cfr. ibid, n. 36.


[9] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 7; Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 36 e Cost. Past. Gaudium et spes, nn. 31 e 43.


[10] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42.


[11] Negli ultimi due secoli, più volte il Magistero pontificio si è occupato delle principali questioni riguardanti l'ordine sociale e politico. Cfr. LEONE XIII, Lett. Enc. Diuturnum illud, ASS 14 (1881/82) 4ss; Lett. Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885/86) 162ss; Lett. Enc. Libertas praestantissimum, ASS 20 (1887/88) 593ss; Lett. Enc. Rerum novarum, ASS 23 (1890/91) 643ss; BENEDETTO XV, Lett. Enc. Pacem Dei munus pulcherrimum, AAS 12 (1920) 209ss; PIO XI, Lett. Enc. Quadragesimo anno, AAS 23 (1931) 190ss; Lett. Enc. Mit brennender Sorge, AAS 29 (1937) 145-167; Lett. Enc. Divini Redemptoris, AAS 29 (1937) 78ss; PIO XII, Lett. Enc. Summi Pontificatus, AAS 31 (1939) 423ss; Radiomessaggi natalizi 1941-1944; GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et magistra, AAS 53 (1961) 401-464; Lett. Enc. Pacem in terris AAS 55 (1963) 257-304; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum progressio, AAS 59 (1967) 257-299; Lett. Apost. Octogesima adveniens, AAS 63 (1971) 401-441.


[12] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Centesimus annus, n. 46, AAS 83 (1991) 793-867; Lett. Enc. Veritatis splendor, n. 101, AAS 85 (1993) 1133-1228; Discorso al Parlamento Italiano in seduta pubblica comune, n. 5, in: L'Osservatore Romano, 15-XI-2002.


[13] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium vitae, n. 22, AAS 87 (1995) 401-522.


[14] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.


[15] Ibid, n. 75.


[16] Cfr. ibid, nn. 43 e 75.


[17] Cfr. ibid, n. 25.


[18] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 73.


[19] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium vitae, n. 73.


[20] Ibid.


[21] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75.


[22] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2304.


[23] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.


[24] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1991: "Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo", IV, AAS 83 (1991) 410-421.


[25] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59. La citazione interna è del Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam actuositatem, n. 4.


[26] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in: L'Osservatore Romano, 11/I/2002.


[27] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 90, AAS 91 (1999) 5-88.


[28] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1: "Il Sacro Concilio anzitutto professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via, attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo divenire salvi e beati. Crediamo che questa unica vera religione sussista nella Chiesa cattolica". Ciò non toglie che la Chiesa consideri con sincero rispetto le varie tradizioni religiose, anzi riconosce presenti in esse "elementi di verità e di bontà". Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 16; Decr. Ad gentes, n. 11; Dich. Nostra aetate, n. 2; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 55, AAS 83 (1991) 249-340; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, nn. 2; 8; 21, AAS 92 (2000) 742-765.


[29] PAOLO VI, Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana, in: "Insegnamenti di Paolo VI" 14 (1976), 1088-1089.


[30] Cfr. PIO IX, Lett. Enc. Quanta cura, ASS 3 (1867) 162; LEONE XIII, Lett. Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885) 170-171; PIO XI, Lett. Enc. Quas primas, AAS 17 (1925) 604-605; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2108; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 22.


[31] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 43. Cfr. anche GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59.



LE ULTIME DI AHMADINEJAD - L’EUROPA NON GLI FORNISCA ALTRE SPALLE
Avvenire, 9 aprile 2008
VITTORIO E. PARSI
Un Ahmadinejad in crescente difficoltà in­terna, ha annunciato ieri l’inizio dell’in­stallazione nella centrale nucleare di Natanz di 6mila nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Si tratta, in realtà, di un lotto di 3mila che vanno ad aggiungersi alle 3mila già presenti e che han dato fin qui prova di scar­sa affidabilità tecnica. L’annuncio appare det­tato principalmente da motivi di politica in­terna. Il gruppo di potere che sostiene il pre­sidente è infatti sotto un attacco concentrico. Da una parte, i politici conservatori e le gerar­chie del clero sciita criticano in maniera sem­pre più aperta la politica interna del presidente, e in particolare la sua dissennata politica eco­nomica che, secondo fonti vicine al regime, sta causando più danni delle stesse sanzioni in­ternazionali. Dall’altra parte, l’opinione pub­blica è sempre più insofferente di fronte al ca­lo del tenore di vita, dopo un inverno tra i più freddi degli ultimi cinquant’anni trascorso per intere giornate letteralmente al gelo, e con il ri­schio del progressivo saldarsi di un fronte com­posito che va dalla borghesia liberale (da sem­pre ostile all’ex sindaco di Teheran) a quei ce­ti popolari tra i quali invece Ahmadinejad a­veva fin qui trovato sostegno.
Ancora una volta, per cercare di uscire dal cul de sac in cui lui stesso si è andato a cacciare, il presidente gioca la carta del nazionalismo e della provocazione sulla scena politica inter­nazionale, nella speranza che la sua rischiosa strategia seguiti a funzionare. Per prima cosa, il presidente sollecita il nazionalismo del suo popolo, e rivendica il di­ritto dell’Iran a dotarsi di capacità nucleari civili, declinandolo però nella formula più aggressiva, machista e ambigua del «dovere del mondo a ri­conoscere l’Iran come Paese nucleare». Ahma­dinejad sa benissimo che su questo punto specifico, oltretutto dif­ficilmente controverti­bile in termini logici, l’opinione pubblica interna è dalla sua parte. In maniera più precisa, andrebbe detto che il presidente afferma quello che gli iraniani pen­sano a prescindere dal fatto che questa sia an­che la posizione agitata con tanta enfasi dal loro presidente. In secondo luogo, il presiden­te spera che i toni che utilizza e le modalità con cui enfatizza ogni singolo piccolo passo verso il conseguimento della tanto agognata capacità nucleare, sospinga la comunità in­ternazionale a riprendere il defatigante per­corso del possibile ulteriore inasprimento del­le sanzioni. Ennesime e più pesanti sanzioni chissà se e quando arriveranno per davvero.
Ma l’importante è che se ne parli, così da ot­tenere un duplice risultato. Da un alto poter far credere all’opinione pubblica che il continuo devastante peggioramento delle condizioni di vita sia colpa delle 'inique sanzioni' e non del­le corbellerie di politica economica realizzate e perseguite dal governo presidenziale. Dal­l’altro continuare ad alimentare la psicosi del­la 'rivoluzione assediata', così da costringere il dibattito politico interno nei limiti angusti di un fittizio stato di emergenza, di una union sa­cré, che impedisca ai suoi nemici dentro le i­stituzioni del regime di scatenare l’offensiva finale contro di lui.
Perché questo piano (semplice e già visto al­l’opera tante altre volte) riesca, Ahmadinejad ha bisogno della cooperazione dei suoi nemi­ci esterni, cioè le potenze occidentali, com­presa l’Unione Europea. Sta quindi anche a noi decidere se vogliamo fornirgli l’ennesima spalla di cui ha disperatamente bisogno. O se, nella convinzione che manchi ancora tempo affinché l’Iran possa costituire una seria mi­naccia per la pace in Medio Oriente, non sia possibile lasciare cadere la provocazione, e chiarire al regime degli ayatollah, con fermez­za e discrezione, che prima Ahmadinejad si le­va di torno prima si potranno discutere con le autorità iraniane le modalità con le quali sarà possibile allontanarsi da questa condizione di pericolosissima crisi permanente. Ovvero, consentire all’Iran di perseguire il suo legitti­mo diritto a dotarsi di capacità nucleari civili e fornire alla comunità internazionale soddi­sfacenti garanzie rispetto alle verificabile per­manenza della finalità esclusivamente pacifi­che di tali capacità.


LA SCELTA ARDUA E GRANDE DI MAMMA PAOLA, MALATA DI CANCRO - A Pieve la nemica è arrivata e ha trovato vita, non resa
Avvenire, 9 aprile 2008
MARINA CORRADI
L a notizia rilanciata sulle agenzie è scarna: Paola Breda, da Pieve di Solìgo in provincia di Treviso, 38 anni, è morta ieri di un cancro che le era stato diagnosticato diciannove mesi fa. Ma lei, incinta, prossima al sesto mese, aveva deciso di non fare la chemioterapia per non danneggiare il bambino. Il figlio è nato, sano. Si chiama Nicola, oggi ha 17 mesi. La donna lascia lui, un’altra figlia e il marito. È stata una scelta, libera, e tale, nel suo coraggio, che non ci sentiremmo di dire a un’altra, nelle stesse condizioni, di fare lo stesso.
Certo coraggio, non lo si può imporre a nessuno. Qualcuno ce l’ha.
Qualcuno, non sapendo di averlo, lo trova nei momenti estremi. La storia di Treviso è rara nelle cronache, ma non unica. Accade qualche volta che una donna incinta alla notizia di una malattia mortale scelga, fra sé e il figlio, la vita del figlio. È una scelta che oggi a molti appare incomprensibile. Addirittura provocatoria; e inopportuno il parlarne, quasi che in tempo di 'diritto alla salute' rinunciare a curarsi per una gravidanza fosse roba da integralisti, o da matti. In tempi in cui un esame dubbio basta a consigliare l’aborto, sfidare un cancro per un figlio appare un pericoloso estremismo. Ma proviamo a guardare a questa storia senza ideologia. C’è una donna che aspetta un bambino.
Ne ha già avuto una, dunque sa cos’è un figlio. Ne ha già anche perso uno in grembo, aggiunge fuggevolmente la cronaca, e dunque sa cos’è aspettare, chiamare per nome un bambino che poi non arriva. Con queste due memorie addosso, al sesto mese si sente dire: hai un cancro, curati o morirai. Deve essere stata una notte lunghissima. (Le notti, davanti a certe scelte, sono eterne).
Con il ricordo di quella figlia già avuta: bella, ridente. Con il lutto ancora tagliente dell’altro, che non era arrivato. E sentendosi addosso, ora riconoscibile, un nemico mortale. Quanto vantaggio aveva il cancro?
Certo, tre mesi persi gli avrebbero assicurato la vittoria. Ma, la memoria del parto, della bambina, dei suoi occhi infine decidono. Non può rinunciare a uno che avrà quegli occhi, a nessun costo. Farà solo le cure che non nuocciono a lui. Lui, quel figlio, la morte e la malattia non lo devono toccare. Lui, sua madre vuole metterlo in salvo. Il buio che la insegue, non lo prenderà. Fino al parto, che lunghi giorni in quel piccolo paese del Trevigiano. La vita che prosegue quieta con le parole di sempre, attorno: e lei, con la morte e la vita addosso, insieme. La vita che nel ventre già scalcia. La morte che si annuncia coi suoi sordi avvertimenti ( Temeva a tratti, la madre, che la morte potesse essere più veloce?).
Poi, è nato. «Tre chili!» le avranno detto sorridendole. L’avrà preso fra le braccia, in una tacita premurosa verifica: la morte, bambino, proprio non ti ha toccato. Poi, di corsa, alla sua guerra. Una estenuante guerra durata 17 mesi. Sperando di farcela ancora. Combattendo di più, per quegli occhi fiduciosi addosso. Poi, la nemica ha vinto. Terrea, è arrivata. E forse lei lo sapeva, dall’inizio, che così sarebbe andata. Ma aveva scelto. Il bambino, non sarebbe stato preso.
Morire così, senza che in molti, in questi tempi di anime arrese, capiscano. Morire non del tutto, lasciandosi indietro un figlio coi tuoi occhi, e il tuo sorriso.