lunedì 14 aprile 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Papa: Preghiera per le vocazioni missionarie e per il viaggio negli Stati Uniti
2) Tutta la campagna pazza minuto per minuto - Storia di una lista non programmata - Versione integrale
3) BENEDETTO XVI VERSO GLI USA - L’AZZARDO PAPALE DAVANTI A GROUND ZERO
4) LA GIORNATA DELLE VOCAZIONI CHE MANCANO - «Cristo chiama sempre» La certezza che ci sferza
5) "Grazie Gesù". Il prossimo libro di Magdi Cristiano Allam


13/04/2008 12:38
VATICANO
Papa: Preghiera per le vocazioni missionarie e per il viaggio negli Stati Uniti
Nella domenica del Buon Pastore, Benedetto XVI domanda preghiere perchè crescano le vocazioni di dedizione a vita e alla missione.
In tutte le lingue dei saluti si affida alle preghiere della Chiesa per il suo “pellegrinaggio apostolico” negli Stati Uniti dal 15 al 20 aprile.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Una preghiera per le vocazioni, soprattutto quelle missionarie, e una per il suo viaggio negli Stati Uniti: sono queste le due preoccupazioni espresse da Benedetto XVI nella riflessione prima del Regina Caeli, davanti a decine di migliaia di fedeli riuniti in piazza san Pietro.
La prima preoccupazione nasce dal fatto che la quarta domenica di Pasqua è detta “del Buon Pastore”. In tale domenica si celebra anche la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.
Ricordando che il 28 giugno comincerà l’anno Paolino, per celebrare i 2000 anni dalla nascita dell’apostolo Paolo, “missionario per eccellenza”, fra le vocazioni il papa ha anzitutto citato “i missionari ad vitam, cioè per quegli uomini e quelle donne che si dedicano totalmente ad annunciare Cristo a quanti ancora non l’hanno conosciuto: una vocazione, questa, che conserva tuttora la sua piena validità”. Benedetto XVI ha sottolineato che c’è bisogno soprattutto di sacerdoti missionari, che dispensano “Parola di Dio e i Sacramenti, e manifestando con la loro carità pastorale a tutti, soprattutto ai malati, ai piccoli, ai poveri, la presenza risanatrice di Gesù Cristo”.
Nella donazione della propria vita ai fratelli, essi trovano spesso il martirio. Il pontefice ha ricordato che ieri in Kenya e in Guinea sono morti due religiosi.
“Preghiamo pure – ha aggiunto il papa - perché sia sempre più nutrita la schiera di quanti decidono di vivere radicalmente il Vangelo mediante i voti di castità, povertà e obbedienza: sono uomini e donne che hanno un ruolo primario nell’evangelizzazione. Di essi, alcuni si dedicano alla contemplazione e alla preghiera, altri ad una multiforme azione educativa e caritativa, tutti però sono accomunati da un medesimo scopo: quello di testimoniare il primato di Dio su tutto e diffondere il suo Regno in ogni ambito della società”.
La missione è il cuore non solo delle vocazioni consacrate, ma anche di quelle al matrimonio: “:Gli sposi, infatti, sono chiamati a vivere il Vangelo nelle famiglie, negli ambienti di lavoro, nelle comunità parrocchiali e civili. In certi casi, inoltre, offrono la loro preziosa collaborazione nella missione ad gentes.
L’altra preoccupazione del papa è quella di una richiesta di preghiera per il suo imminente viaggio begli Stati Uniti, dal 15 al 20 di aprile.
Invocando “la materna protezione di Maria sulle molteplici vocazioni esistenti nella Chiesa, perché si sviluppino con una forte impronta missionaria”, Benedetto XVI ha affidato a Maria anche “la speciale esperienza missionaria” che vivrà nei prossimi giorni “con il viaggio apostolico negli Stati Uniti d’America e la visita all’ONU”. “Chiedo a voi tutti - ha concluso - di accompagnarmi con la vostra preghiera”.
Dopo la preghiera mariana, nei saluti in diverse lingue, egli ha esortato i giovani ad “ascoltare la chiamata del Buon Pastore” e a seguirlo in modo radicale, per essere “davvero felici”. A tutti ha chiesto di pregare per il suo “pellegrinaggio apostolico” negli Stati Uniti.


14 aprile 2008
Dal Foglio.it
Tutta la campagna pazza minuto per minuto - Storia di una lista non programmata - Versione integrale
Una telefonata nel pomeriggio del 19 dicembre, un editoriale, una dieta liquida, una valanga di lettere, un’intervista di Ruini, un pronuciamento del Papa, una lettera a BanKi-moon. E poi la pazzia in piazza
Direttore: “Allora che facciamo? Scrivo un appello per la moratoria sull’aborto?”.
Vicedirettore: “Sull’aborto?!?”.
Direttore: “Ma sì, sono tutti così soddisfatti per la moratoria sulla pena di morte, vediamo cosa dicono di questo”.

Martedì 18 dicembre 2007, due colonne d’apertura e titolo rosso su due righe, c’era ancora “Il manifesto politico di W”. Mercoledì 19 dicembre resisteva ancora in apertura un titolo rosso, ma su una riga sola, come già vergognoso di perdere tempo dietro alle quisquilie di un’incipiente campagna elettorale piccina e meschina. Ma al centro pagina c’era un bel titolo blu, in tondo minuscolo, come chi è sicuro delle proprie ragioni e non ha bisogno di strillare: “Appello, ora la moratoria per l’aborto”. Testo: “Questo è un appello alle buone coscienze che gioiscono per la moratoria sulla pena di morte nel mondo, votata ieri all’Onu da 104 paesi. Rallegriamoci, e facciamo una moratoria per gli aborti”. E poi un invito a riflettere “sulla strage eugenetica, razzista e sessista degli innocenti”. Un giorno ancora, e la “Grande Moratoria sulla vita negata dall’aborto, pena di morte legale e di massa” s’era già presa il Foglio. Un titolo rosso, dirimente come una lama di verità, “Obiezioni e adesioni”, riapriva nel cuore e nella pancia della società il dibattito per decenni negato sul grande scandalo del nostro tempo. La piccola, grande storia della campagna per la moratoria internazionale sull’aborto e della Lista Pazza comincia così, in fretta e senza premeditazione. Quasi dal nulla, ma non dal nulla. Nasce anzi da un pozzo profondo di ragioni, da un archivio di memorie e verità personali e collettive dentro e attorno a un piccolo giornale e al suo direttore. Nasce dalle lontane prese di posizione di Bretelle Rosse contro la Ru486, datate 1989; e da una lunga serie di fatti, di cose pensate dette scritte, da campagne contro la scienza di Frankenstein e la dittatura dei desideri come è stata quella contro il referendum sulla legge 40. Una scintilla. Tutto comincia con un “ragionamento di evidenza illuministica”, come scriverà pochi giorni dopo Paolo Viana sull’Avvenire. Già il primo giorno, suonano a favore le parole del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente di Giustizia e Pace, che ricorda all’Onu i “milioni di esecuzioni silenziose” dell’aborto.

La querelle con Sofri
Così il 21 dicembre, mentre il mondo (post)cristiano prepara brindisi e panettoni, scatta l’ora della dieta liquida: il non-sciopero della fame – mezzo abusato – per chiedere attenzione alla vita “contro l’ipocrisia e la bruttezza di un mondo in cui la morte viene bandita in nome del diritto universale alla vita e blandita, coccolata, come un dramma collettivo”. Poche righe sotto, è già iniziata anche la querelle con Adriano Sofri, che si compirà tre mesi dopo con un libro “Contro Giuliano” lanciato a bomba sulla campagna elettorale. Sofri sarà punto di riferimento dialettico mai banale. Pone il problema della legittimità stessa di parlare, con lingua maschile, di ciò che ritiene riguardare anzitutto le donne. Avanza subito il dubbio che la richiesta di moratoria possa portare alla “conservazione o al ripristino della ‘morte illegale’. Cioè della clandestinità dell’aborto e della persecuzione legale delle donne in carne e ossa. Che non è, finora, l’orizzonte dichiarato del redattore dell’appello, e mi auguro non lo diventi mai”. Non lo è diventato, ovviamente. Ma non c’è stato verso di convincerne Sofri.
Arrivano a valanga lettere, interventi, adesioni, commenti. Riempiranno pagine e pagine, addirittura quattro libri. Se ne accorgono presto anche gli altri giornali. Michele Brambilla sul Giornale scrive che un popolo sommerso, silenzioso, culturalmente subalterno per trent’anni, il popolo della vita, ha trovato finalmente una voce, un luogo per farsi sentire. Parlano anche le donne, le femministe o le ex. Molti dubbi, il rifiuto netto di chi si è sentita “culturalmente stuprata”, come scrive Franca Fossati. Ma anche coscienza di un cambiamento avvenuto, o necessario. La storica Anna Bravo dice: “Se l’utero è abitato, necessariamente non è più solo tuo”.
La moratoria decolla, scandita da interventi importanti.
Il 31 dicembre, a sorpresa al Tg5, è il cardinale vicario di Roma, Camillo Ruini, a rompere l’indugio di una chiesa che guarda quasi attonita: “Credo che dopo il risultato felice ottenuto riguardo alla pena di morte fosse molto logico richiamare il tema dell’aborto e chiedere una moratoria”. Dall’Onu Ruini ritorna all’Italia: “Si può sperare che da questa moratoria venga anche uno stimolo per l’Italia, quantomeno per applicare integralmente la legge sull’aborto”.
Cincin e buon anno, quello che inizia è il quarantesimo dell’enciclica scandalosa di Paolo VI sull’“Humanae vitae”. Aderisce Roger Scruton: “L’aborto è una disputa tra coloro che credono che dobbiamo sacrificare noi stessi per le future generazioni e coloro che invece pensano che le future generazioni possono essere sacrificate alla nostra utilità”.
Capodanno silenzioso per la politica; non si riesce a stanare un cattolico della Margherita che si prenda il rischio di rispondere. Il 3 gennaio si scrive direttamente al segretario del costituendo Partito democratico: “Caro Veltroni, ti chiedo, se la cosa vi interessi, di consentirmi di esporre le mie ragioni in favore della moratoria sull’aborto”. Nelle retrovie dell’ideologia qualche deputata retrograda del Prc inizia a caricare il fucile dell’odio. Per Emma Bonino, Ferrara è un “teocretino” e il suo un “trappolone”.
Pazienza, il gran giorno è il 6 gennaio, quando Papa Benedetto riceve il corpo diplomatico: “Mi rallegro che lo scorso 18 dicembre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia adottato una risoluzione chiamando gli stati ad istituire una moratoria sull’applicazione della pena di morte ed io faccio voti che tale iniziativa stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana”.
Veltroni risponde: si può fare. E un piovigginoso sabato di gennaio, a Sant’Andrea delle Fratte, le “anime del Pd” scoprono che sarà dura, oggi e in futuro, parlare di etica e di valori, tenere insieme una visione ispirata al cristianesimo della vita e le pulsioni radical-faustiane, nascondendosi dietro allo slogan corto e miope che “la legge 194 non si tocca”. La laicità è solo una chimera, se rifiuta di prendere atto che il diritto della donna di scegliere l’interruzione di una gravidanza a tutela della propria salute si è trasformato nell’arbitrio di negare la vita punto e basta.
***
Il 14 gennaio la moratoria sbarca in Lombardia per il lancio ufficiale al Teatro dal Verme di Milano. Intanto va messa a punto la lettera da inviare al segretario dell’Onu, Ban Ki-Moon. Pochi concetti chiari: “Chiediamo ai rappresentanti dei governi nazionali che si esprimano a favore di un emendamento significativo al testo della Dichiarazione: dopo la prima virgola, inserire ‘dal concepimento fino alla morte naturale’”. Cosa c’è di difficile? Basta un’ora alla Trattoria Santa Marta di Milano, davanti a risotto e nervetti, per farsi dare una mano da don Roberto Colombo, scienziato bioetico dell’Università Cattolica, per limare i concetti. C’è il tempo per andare a conoscere Paola Bonzi, nella sua casa distante dal centro. E sentire condensato nel suo entusiasmo, nel suo affetto per le donne, per tutti i novemila bambini che ha aiutato a nascere la forza piena di ragioni che ha permesso di tenere duro a migliaia e migliaia di operatori dei consultori, di volontari del Movimento per la vita. Uomini e donne che nel silenzio, nella derisione, spesso subendo violenza da trent’anni resistono all’aborto e alla sua indifferenza sociale. La storia della moratoria e della Lista Pazza è anche, se non soprattutto, l’incontro con persone così.
Fatti e parole accadono a raffica. Come se fosse bastato evocare il nome, aborto, e formulare l’idea, la moratoria, per liberare ciò che da trent’anni era occultato. La Lombardia e i suoi medici fissano un protocollo che accorcia il termine delle settimane entro cui è consentito abortire. L’India vara i primi provvedimenti per incentivare le famiglie a far nascere le bambine, i milioni di bambine che mancano all’appello demografico, come ha denunciato Amartya Sen. Il segretario dell’Onu prende la parola per condannare le pratiche di aborto selettivo e sessista in Asia. In Gran Bretagna un manipolo di parlamentari rifiuta a Gordon Brown di votare secondo disciplina di partito, e non secondo coscienza, sulle leggi faustiane in discussione ai Comuni. In Italia il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, mette la difesa della vita maltrattata al centro del suo discorso ai vescovi. A un discorso che guarda lontano, risponde solo la miopia di chi ci vede la longa manus “dei teocon”. E’ l’Italia di quella “minoranza laicista e ignorante, intollerante, violenta” che di lì a poco toglierà al Papa il diritto di parola all’Università La Sapienza di Roma. Un brutto film di intolleranza che anche la Lista Pazza dovrà presto vedere, anche se nella versione sgangherata di super8 amatoriale.
E’ passato un mese soltanto, “ma la pausa merenda invocata da Andrea Marcenaro è rinviata di anni”. L’inizio è stato un’altalena di silenzio imbarazzato e di fracasso per coprire le buone ragioni. Ma ora se ne parla, si sveglia anche la politica. Una mozione all’Onu firmata da sessantasette deputati e venti senatori del centrodestra, Roberto Formigoni è uno dei primi a fare il suo endorsement. Ma ci sono anche storici esponenti della cultura radicale, come Angiolo Bandinelli e Lorenzo Strik Lievers, pronti a dire la loro, e a riconoscere il diritto a discutere. E il dibattito si infiamma, tra le ragioni profonde della storica Emma Fattorini, e il pensiero assassino di Umberto Veronesi. Repubblica ospita una sua lettera sul diritto del medico e dei genitori di scegliere il figlio perfetto, il bambino sano. Ma il 28 gennaio, è la première fois del cardinal Ruini a Otto e Mezzo. A ragionare di moratoria, mentre piovono dal mondo adesioni su adesioni.
Finisce qui, se si volesse tirare una linea sul calendario, la prima parte della storia della Grande Moratoria contro l’aborto. Il 24 gennaio infatti Clemente Mastella se ne va, e con lui l’illusione che esista un governo.

***

Sabato 28 gennaio a Monza è una mattina uggiosa. Giuliano Ferrara è atteso per l’ennesimo incontro in giro per l’Italia. Prima c’è tempo per fare colazione ai tavolini stretti del Gran Prix, davanti al Teatro Manzoni. Si bevono caffè e si sgranocchiano biscotti con il direttore del Cittadino Luigi Losa, che ha fatto l’invito, il direttore di Tempi Gigi Amicone e qualche altro amico. Si aspetta Giancarlo Cesana, leader di Cl. Ferrara fa il resoconto dei pensieri della notte, tazze e pasticcini restano a mezz’aria: “Perché non lanciare una lista ‘single iussue’ per sostenere la moratoria?”. Poi fuori, sul marciapiede sotto la pioggia, tra fumo di toscani e sigarette, è tutto un confabulare fitto: sì, no, vediamo. Precauzione, battute su chi potrebbe prendersi l’onere e l’onore, ragionamenti sulla sensatezza di una politica “single iussue” in un paese che detesta gli aut-aut. E sulla chiesa cattolica che è tutto il contrario di un’organizzazione “single iussue”. Eppure, perché no? Il giorno dopo, saltando i dubbi, il Foglio ha un articolo in prima pagina siglato dall’elefantino: “Una lista per la moratoria”. Centralino e cellulari dei redattori che impazziscono, flusso di sms che sembra l’Autosole a ferragosto. Tutte le varianti eufoniche ed eufemistiche della frase “ma no, è solo un’ipotesi” vengono date in pasto ad amici, nemici e conoscenti. Ma non ci crede nessuno, sappiamo tutti che il dado è tratto. La campagna elettorale della Lista Pazza è incominciata.
Giorni frenetici di consultazioni telefoniche. Ipotesi. E una ridda di articoli-ballon d’essai: se si facesse, e come la si farebbe. Sono più i “non so” che i “sì” convinti, piovono i primi no, cominciano a pesare le logiche elettorali. E poi serve un nome. Pezzotta? Sta pensando ad altro. Carlo Casini? E’ europarlamentare. Così tra un caffè da Friends, il bar tabacchi di piazza Trilussa, e due chiacchiere in redazione, spunta il nome: certo, se lo facesse Formigoni… Tempi di reazione da centometristi, Ferrara è al cellulare. Sarebbe l’idea giusta, Formigoni ha appena aderito alla moratoria, l’entusiasmo non manca. Ma bisogna valutare, non è che si possa tirare in mezzo Cl, e poi bisogna sentire lui: nel senso di Berlusconi. Ma intanto si discute del nuovo totem di queste elezioni anticipate: l’apparentamento.
Questa è la storia così come è cominciata. Un’altra volta senza calcolo preventivo e con una dose di improvvisata allegria. Da questo punto di vista, la storia della lista “Aborto? No, grazie. Per la moratoria” è forse ancora più trasparente delle sue stesse motivazioni culturali e politiche. Del resto è andata quasi in diretta su tutti i giornali, senza finzioni. La scommessa che una piccola lista, naturalmente collocata nel centrodestra, nell’universo valoriale del Partito popolare europeo, si potrebbe fare. Non ruberebbe voti, sarebbe anzi un tassello aggiunto al disegno un po’ asfittico, un po’ senz’anima del nuovo partito unico. Ma è sintomatica la fatica che s’è fatta per far accettare, nel paese dei retropensieri e dei secondi fini, che sia andata così. Che sia possibile decidere di mettere su una lista per il solo fatto di avere qualcosa di importante da dire e da fare.
Si raccolgono le firme, l’ipotesi è il Senato. Si fa anche un sondaggio, l’unico: “Alle prossime elezioni voterebbe per una lista che proponga unicamente la difesa della vita dal suo concepimento?”. “Certamente sì: 3,5 per cento. Probabilmente sì: 6,1 per cento”. Si può fare, ma Berlusconi non si farà convincere. Sull’altro piatto di bilancia c’è un voto utile, il timore di perdere consensi. Ma forse anche un’intima convinzione: “Su queste materie la regola del nostro schieramento politico è la libertà di coscienza”, dice. Poi la sua diventerà semplicemente “anarchia etica”.
A guardar bene, a non farsi prendere dalla cronaca, lo spartiacque vero della storia coincide forse con un altro titolo rosso del Foglio, a tutta pagina, il 5 febbraio: “No al panico e alla cultura della morte”. Di che si tratta? Di una presa d’atto: “Facciamo un appello contro il panico. Contro la violenza culturale. Contro la disumanizzazione della discussione civile e politica. Contro l’impersonale ideologia di morte che ha conquistato un posto funesto e ingombrante nella mentalità corrente di tanti uomini, di tante donne, di tanti tecnoscienziati che predicano l’assurdo: considerare violento e barbarico l’amore, trasformare la cura del vivente in selezione volontaria. Contro quella particolare frustrazione che sta imbarbarendo il confronto e lo scontro di idee, portandolo sul terreno così italiano della guerra alle persone, della riduzione di chi dissente a simbolo del male”. Forse è anche la presa di coscienza di ciò che è iniziato e del suo valore in qualche modo esemplare per un dibattito civile e culturale, giocoforza politico, di cui c’è bisogno sul valore della vita: “Non torniamo indietro. Non lo potremmo neanche se lo volessimo. La moratoria sull’aborto è nata come il grido isolato di un gruppo intellettuale ispirato dal disgusto per l’ipocrisia del falso umanitarismo vista all’opera in occasione della moratoria sulla pena di morte legale. Ma quel grido era nulla, era un’opinione. Sono seguiti fatti che contano e che spiegano il panico di oggi, la follia di oggi, la sensazione diffusa nella cultura laicista e femminista”. Manca invece lo scontro pulito delle idee: “Nessuno contesta, nessuno, l’acquisizione di base che portò in tutto il mondo alle sentenze o alle legislazioni di contrasto all’aborto clandestino: non si può imporre un parto, non si può perseguire penalmente una donna in gravidanza, nessuno chiede che venga ripristinato l’aborto clandestino. Ma tutto il resto è lecito, moralmente e civilmente legittimo, politicamente saggio ridiscuterlo. E’ lecito assalire la deriva eugenetica dei tempi moderni. Nella libertà di scelta, la scelta deve poter essere per la vita, contro la cultura della morte in pancia o in vitro”.
Giunta a metà della sua avventura, la moratoria ha raggiunto il cuore della questione. L’ha toccato quasi con spavento, perché è il cuore della civiltà contemporanea e dalla coscienza che ha (o non ha) di se stessa. Il silenzio, l’imbarazzo, e poi l’astio e la violenza nascono dal rifiuto di prendere atto che le cose stanno così.
Per fortuna c’è la realtà dei fatti che si incarica di rompere il guscio. Ai primi di febbraio sono i neonatologi romani a produrre un documento in cui si parla di rianimazione del feto, seguito dalla folle dichiarazione del ministro della Salute Livia Turco: “E’ disumano rianimare i feti senza l’autorizzazione dei genitori”. E poi soprattutto c’è Napoli. Napoli non dei rifiuti, quelli di cui è bello e facile, riempire i giornali. Ma Napoli del rifiuto della verità su un bimbo malato. “Napoli, ucciso bimbo perché malato” dice il Foglio il 15 febbraio. E’ la buona cronaca a fare giustizia di una menzognera costruzione mediatica e a svelare la realtà: da una parte c’è la banalità eugenetica dell’aborto comminato per una malattia curabile, la sindrome di Klinefelter. Dall’altra si evoca un’inesistente “caccia alle streghe”, mettendola sul conto della moratoria. Poi è la volta di Genova e di un bambino abortito illegalmente per un reality show, infrazione sanabile con multa di euro 51. Ma “la 194 non si tocca”, è l’unico refrain ufficialmente ammesso. Ma c’è anche John McCain che dice “che il diritto alla vita è autoevidente”, di contro al suo sfidante Obama, quello preoccupato che sua figlia “non sia punita da una gravidanza”. E poi c’è la splendida Pasqua di Pordenone, una teeneger che sfida il pozzo nero del luogo comune dell’aborto e decide di tenersi suo figlio. Anche se è giovane e i genitori non vogliono, anticipazione in cronaca della commedia strepitosa di “Juno”, che arriverà ad aprile a svelare i pensieri segreti di molti cuori.
I fatti continuano a fioccare sull’indifferenza, ma l’indifferenza tiene duro. Salvatore Crisafulli è un malato come Welby ma, a differenza di lui, non vuole morire: “Io non sono un carciofo”. Non l’ha ascoltato nessuno.
Il 21 febbraio si cambia obiettivo: niente Senato, per non disturbare, si va tutti alla Camera. Si spera ancora in un centrodestra “non micragnoso”, ma è chiaro che non se ne farà niente. Nel passaggio tra il Senato e la Camera si perde per strada Gigi Amicone. E’ un piccolo caso di scuola. Convinto dalla logica del voto utile cui aderisce il movimento di cui è autorevole esponente, decide di desistere. Ma Luigino è generoso, darà una mano a presentare la lista a Milano, in Piazza Farnese sarà in prima fila con il figlio piccolo in spalla. Poi una girandola di lettere, controlettere e precisazioni per dire insomma che alla fine il suo voto per la Lista Pazza ci sarà.
Cose che capitano ai vivi. Ma la verità è più ampia e articolata. Ed è che la Lista Pazza ha posto qualche problema – e non poi così piccolo – al rapporto della chiesa italiana con la politica, e più in generale a tutta la cultura politica dei cattolici. Eugenio Scalfari, alla discesa in campo di Ferrara, ha gridato all’assalto della Cei contro lo stato laico. Una Porta Pia al contrario, ha detto. Previsione comica, tanto si è rivelata sbagliata. E’ invece sotto gli occhi di tutti che alla lista pro moratoria non è venuto alcun appoggio esplicito delle gerarchie – che naturalmente e correttamente non fanno politica – che secondo l’aureo teorema di Ruini guardano con rispetto e interesse alla presenza di cattolici in ogni partito. La lista di ispirazione laica promossa da Giuliano Ferrara non ha ricevuto endorsement espliciti né impliciti neanche da altri movimenti o associazioni ecclesiali: era logico che fosse così. Ma allo stesso tempo, l’esperienza di una lista pro life laica ha posto con una certa evidenza la domanda su come organizzare, in futuro, un’azione politica di qualche prospettiva dei cattolici sui temi bioetici. Qualcuno dovrà pensarci, e magari raccogliere il sasso nello stagno della politica cattolica lanciato dal professor Adriano Pessina, capo del dipartimento di Bioetica della Cattolica: “Personalmente penso che sia proprio l’iniziativa politica di Ferrara a essere assolutamente indispensabile e corretta, molto meno provinciale ed ambigua di quelle proposte che, in nome della libertà di coscienza, vorrebbero ottenere dai cittadini una delega in bianco su temi che riguardano il presente e il futuro del paese… Questa è l’unica vera novità nel panorama della politica italiana”.
L’8 marzo è il giorno della festa per il lancio della lista a Piazza Farnese: “Prima le donne e i bambini”. C’è lo splendido comizio-canzone di Ferretti Lindo Giovanni, che spiega meglio di tutto il resto le ragioni della lista e della campagna. E’ anche il giorno in cui Napolitano si dimentica di invitare al Quirinale Paola Bonzi e le altre donne che aiutano le donne, e rende omaggio all’ipocrisia anziché alla virtù.
Ci sono finalmente i candidati. La storia della Lista Pazza è in fondo anche la storia di persone che si sono cercate e trovate, con generosità, venendo dai mondi più diversi. Dal volontariato nei consultori e dal Movimento per la vita, dal giornalismo e dalla professione medica. Senza conoscersi prima, senza conti a tavolino, scommettendo sull’idea. E una buona idea genera sempre simpatia umana, e la simpatia impegno generoso. Che supplisce alla mancanza di mezzi: due telefoni e due portatili nello stanzino accanto al direttore, col “manuale di come si fa a partecipare alle elezioni” sul tavolo, mescolando la frenesia di chi fa un giornale e quella di chi cerca un candidato, fissa appuntamenti, riceve e smista offerte di disponibilità a dare una mano. Insomma, la lista è anche la storia non proprio frequente per l’Italia di umanità diverse e tutte molto buone, non prestate alla politica ma che alla politica credono. Nomi scelti “per aprire una strada e tenere viva una cosa morta da trent’anni: la strana idea, e molto sexy, che le cose tristi si combattono e quelle allegre si preparano, anche con la grintaccia della battaglia politica ed elettorale. Perché no?”.

***

Il resto è storia. Storia di una lista che cerca di bucare la cappa del silenzio, e il nulla di una campagna elettorale banale fino al grottesco. Di pazzi tour di incontri nei weekend. Entusiasmanti o flop, pieni di gente e di storie sconosciute. In Veneto e in Liguria, nelle Marche e in Lombardia. E poi è la storia di Bologna, di uova e pomodori presi (ma non solo, chiedere alla costola di Matilde Leopardi), anche di lancio di sedie e bottiglie di vetro piene. Di un isolamento politico e mediatico che chiama i lupi, di una violenza verbale e ideologica crescente, fino a farsi fisica, contro la possibilità stessa di parlare. Storia di forze dell’ordine che collaborano a difendere la democrazia e la libertà di parola, ma anche di qualche solidarietà postuma e pelosa. Dimostrazione di una chiusura culturale e mentale, che non ha tolto a nessuno di noi certezza né buonumore.
Perché tanto c’è Benedetto XVI, sabato 6 aprile nella Sala Clementina, a ripetere un’altra volta, e meglio di quanto possa fare una Lista Pazza, le ragioni dell’amore e della difesa a oltranza della vita, contro la “congiura del silenzio”. Senza tentennamenti ma anche senza opportunismi guardinghi. Chiede “attenzione al dramma dell’aborto procurato, che lascia segni profondi, talvolta indelebili nella donna che lo compie e nelle persone che la circondano, e che produce conseguenze devastanti sulla famiglia e sulla società, anche per la mentalità materialistica di disprezzo della vita, che favorisce”. Ma offre anche speranza a tutte le donne: “Benché quanto compiuto rimanga una grave ingiustizia e non sia in sé rimediabile, faccio mia l’esortazione rivolta, nell’enciclica ‘Evangelium vitae’, alle donne che hanno fatto ricorso all’aborto: ‘Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità’”. E tanto basta. E tanto speriamo che basterà.
di Maurizio Crippa



BENEDETTO XVI VERSO GLI USA - L’AZZARDO PAPALE DAVANTI A GROUND ZERO
Avvenire, 13 aprile 2008
DAVIDE RONDONI
Nel gesto di inginocchiarsi compirà an­che il grande azzardo. Nell’atto di u­miltà alzerà anche il più grande azzardo. Nel gesto di aderire per come si può uma­namente, cristianamente al dolore di quel­l’immenso fosso al centro di New York, e at­traverso quel fosso, a tutte le altre cavità di guerra e pena aperte nel mondo, compirà anche il gesto inaudito: chiederà la con­versione dei terroristi. Nel punto che è em­blema dell’oscuramento dell’odio, invo­cherà Dio perché le persone che l’hanno compiuto o che ne vogliono compiere di analoghi si convertano. Al mostruoso az­zardo dell’odio risponderà con l’azzardo della preghiera.
Ecco cosa farà Benedetto. Ecco cosa fa il papa che fa il papa e non l’uomo pubbli­co, che non fa 'solo' l’uomo di pace. Al ge­sto più spavaldo e furioso compiuto dal­l’odio risponde con l’umiltà più sfrontata, se così si potesse dire. All’eccesso di odio, risponde con l’eccesso di preghiera. Con u­na domanda che ci suona eccessiva. Che sembra fuori luogo. Impossibile, così come ci sembrarono impossibili le immagini del­le torri colpite, in fiamme e poi del crollo. Alla morte inflitta dai terroristi, risponde chiedendo non la lo­ro morte, non la loro punizione, ma la conversione dei loro cuori. All’azzardo dei loro gesti assurdi, al­la ferocia di chi compì quel feroce mestiere di morte, oppone l’azzardo di chiedere a Dio di fa­re fino in fondo il suo mestiere di Dio. Co­me se non bastasse chiedere più pace. Come se non bastas­se, in quel buco che si è aperto nel centro della città che mai dorme e che pensava d’esser potente, chiedere un po’ di sicu­rezza. O un po’ di giustizia. Come se in quell’abisso provocato dall’odio, occor­resse domandare qualcosa d’altrettanto a­bissale: la conversione del terrorista.
Non so come gli sia venuto in mente. Ma non è la prima volta che la Chiesa aggiun­ge alle normali richieste di maggiore giu­stizia, di più equo rapporto tra i popoli, an­che una sua speciale domanda. Questa preghiera per la conversione è stata alza­ta di fronte a tremendi fatti di mafia. In oc­casione di delitti ciechi, efferati in tanti luo­ghi della nostra Italia ferita. Non è la pri­ma volta che la Chiesa aggiunge qualcosa a quel che possono dire tutti. A quel che giustamente si soffermano a chiedere i po­­litici, le istituzioni, gli uomini pubblici. Un po’ più di pace, un po’ più di giustizia. Lei aggiunge una domanda in più.
La Chiesa ragazza di Dio fa una domanda fuori luogo. Impertinente. Un azzardo. Chiede la conversione dei peggiori. Dei col­pevoli. Non solo la loro condanna, la loro messa in situazione di non colpire. Ma la loro conversione. L’addolcimento, l’aper­tura del cuore a Dio.
Lo chiede per loro, quasi guardando Dio negli occhi, con amore e dignità infiniti. Lo chiede per loro, perché lo chiede per tutti. Anche per noi che osserviamo quei fossi del sangue, quei buchi della storia e magari pensiamo di essere i giusti, i già a posto. La chiede per i peggiori, così che anche coloro che si sentono migliori ab­biano l’inquietudine di non essere a po­sto, e di avere un cuore che solo Dio può colmare.
Inginocchiato in uno dei luoghi più bui di questi decenni, Papa Benedetto chiederà quello che chiedono tutti. Che non si ri­peta, che gli uomini e i governi facciano di tutto perché da orrore non nasca altro or­rore. Lo chiederà sapendo di essere suc­cessore del Papa che si oppose alla logica di rispondere con le armi alle armi.
Ma non farà solo richieste politiche, non farà solo le preghiere 'normali'. Farà que­sta domanda incredibile, altrettanto forte e memorabile del gesto che creò quell’or­rendo fosso. Farà la domanda che certifi­ca più di ogni altra cosa, più di ogni mo­numento, più di ogni cerimonia, che la speranza è più forte e la vita chiede la vita.


LA GIORNATA DELLE VOCAZIONI CHE MANCANO - «Cristo chiama sempre» La certezza che ci sferza
Avvenire, 13.4.2008
MARINA CORRADI
I l Concilio Vaticano II affermò che «Cristo chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, perché siano con lui e per inviarli a predicare alle genti». Lo ha ricordato Benedetto XVI nel messaggio per questa Giornata mondiale per le vocazioni. Un duplice accento di richiamo: in un tempo che di vocazioni sacerdotali è povero, quel «Cristo chiama sempre». E: «per inviarli a predicare alle genti», che dice come per la Chiesa la missione, l’annuncio, sia struttura costitutiva e originaria – in un tempo che la pretenderebbe silenziosamente dedita a una fede privata.
Cristo chiama sempre. Ma allora, perché le vocazioni, fatta eccezione per alcuni ordini femminili e claustrali, sono così poche? Già un principio di risposta potrebbe stare in questa parola, 'vocazione'. Parola antica, ma di cui il significato sembra cambiato. Se oggi si dice di un ragazzo che ha una vocazione per il giornalismo, si intende che è portato, ha una capacità o anche solo un’attrazione verso questo lavoro.
'Vocazione', comunemente parlando, è inclinazione verso qualcosa. Nel linguaggio cristiano invece è ben altro: è essere chiamati – che significa che qualcuno ti chiama. Dunque, che un Dio che ti conosce, e addirittura ha un disegno su di te. Ipotesi sbalorditiva, in un tempo che predica che 'Dio, se c’è, non c’entra' con gli uomini. Ipotesi scandalosa e vessatoria, nell’epoca del culto dell’Io, di ogni sua voglia, del mito della autorealizzazione. Oggi è difficile parlare di vocazione in senso cristiano. Questa parola presuppone il riconoscimento di un Altro e di una sua volontà su di noi: seguendo la quale si realizza la pienezza del proprio destino. Questo è quanto ti dice la giovane novizia trappista a Vitorchiano, con una pace in faccia che ti sbalordisce. O quei giovani preti, ostinati navigatori controvento, che abbandonando studio o lavoro arrivano all’ordinazione. Uomini, e donne, che hanno individuato una chiamata interiore spesso occultata in un mazzo di apparentemente più allettanti ipotesi. Come, dentro al rumore, riconoscendo, fra le tante, una voce diversa. E seguendola, certi che quella è la strada.
«Dio chiama sempre», assicura la Chiesa, ma nel rumore gli uomini faticano a sentire. Occorre, per riconoscere quella chiamata, stare attenti. Occorre che qualcuno ti abbia educato a ascoltare. Ma gli uomini certi di bastare a se stessi, non ascoltano niente. Un’altra cosa che ti dicono i giovani preti è: potevo avere un lavoro, dei soldi, una donna, ma, «io volevo tutto». La radicalità della domanda, così come della donazione di sé, è assoluta, e urta fragorosamente contro la forma mentale del mondo di oggi. Negli anni del precariato affettivo e lavorativo, del finché dura, dei progetti a breve termine, andare prete o suora è un volere e promettere tutto, e per sempre. Trovando, in questa adesione, il compimento della propria attesa. Che scandalo: la felicità, in un’obbedienza.
Anacronistico, quasi provocatorio. Accade che le famiglie di questi ragazzi ne osteggino la scelta, come se i figli fossero stati rapiti. Per seguire chi?
Per obbedire a che cosa? domandano smarrite.
Eppure quel Dio dato per morto, o sideralmente indifferente nel suo cielo, chiama ancora «quelli che egli vuole». Discretamente, a bassa voce.
Occorre tendere l’orecchio. E, se un figlio o una figlia mostra l’audacia di chi vuole 'tutto', non voler ridurre quella radicale domanda ad una saggia, triste, 'ragionevole' misura.
È un dono, e sta alla libertà riconoscerlo. Come quel ragazzo lombardo ora missionario a Taiwan, che appena arrivato si sentì dare, come usa laggiù, un altro nome in cinese, riecheggiante il suono di quello italiano. «Ma che vuol dire questo nome?» domandò. Vuol dire «grato per il dono ricevuto», gli risposero. Prete, dall’altra parte del mondo, per riconoscere finalmente il suo destino.


"Grazie Gesù". Il prossimo libro di Magdi Cristiano Allam

Autore: Magdi Cristiano, Allam Curatore: Buggio, Nerella
domenica 13 aprile 2008
"Grazie Gesù" è il titolo del mio prossimo libro. Il racconto della mia conversione dall'islam al cattolicesimo
L'annuncio da Luca Giurato a UnoMattina. L'esordio avverrà l'11 maggio alla Fiera del Libro di Torino
Non poteva che essere così, Magdi Allam non è certo uno che si preoccupa di ciò che gli altri penseranno di lui, alle critiche feroci e alle cattiverie del mondo, ci è abituato. Ma, chi scopre la fede, chi incontra Cristo e con lui scopre occhi nuovi con cui guardare il mondo, non può che desiderare che gli altri siano partecipi di questa scoperta, di questa felicità, è stato così sin dagli inizi, accadde lo stesso con i primi discepoli.

Cari Amici,
qui di seguito vi propongo la trascrizione dell'intervista che mi ha fatto stamattina Luca Giurato durante la quale annuncio il titolo del mio nuovo libro che uscirà il prossimo maggio.

Ci siamo visti prima di Pasqua e ti chiamavi Magdi Allam. Ora ti chiami Magdi Cristiano Allam. Che cosa e’ successo? Come vivi la tua nuova vita da cristiano di nome e di fatto?
La vivo come una gioia immensa per me è stata una scelta ponderata, è stato l’epilogo di un percorso che, per un destino, perché in qualche modo c’è la mano di Dio, è iniziato quando avevo quattro anni quando ho frequentato delle scuole cattoliche al Cairo. Ora ritengo di avere ritrovato un contesto religioso e valoriale appropriato dove potere collocare ideali e valori in cui ho sempre creduto.

Ti aspettavi tante polemiche giunte perfino dai cosiddetti musulmani moderati?
Sono rimasto molto rammaricato e ho avuto la netta sensazione che ci sia stato un tentativo di screditarmi per attaccare il Papa e questo io lo considero un grave errore. Sono orgoglioso di essermi convertito, di essere cattolico, sono orgoglioso che questo sia avvenuto pubblicamente perché la fede è una realtà interiore di cui dobbiamo essere orgogliosi e non dobbiamo vergognarci di annunciarla pubblicamente.

Questo Papa è un personaggio straordinario, anche lui tanto amato e tanto contestato, come è ovvio e come è stato per tutti i grandissimi personaggi. Questo suo attacco ai divorziati come lo vedi tu da nuovo cristiano?
Il matrimonio nel cattolicesimo, nella cristianità è un sacramento quindi il Papa giustamente esprime una posizione dogmatica della Chiesa. Io credo che sia un grande Papa non solo e non tanto per la sua capacità di esprimere al meglio la fede cristiana cattolica , ma soprattutto per la sua grande capacità di essere convincente sul piano della ragione, Benedetto XVI è il Papa della fede e della ragione.

So che stai dando alle stampe un tuo nuovo libro che parlerà proprio della tua esperienza religiosa. Puoi anticiparci in esclusiva il titolo e il contenuto?
E’ un libro in cui parlerò della mia conversione, del mio rapporto con Dio e ho il piacere, da amico, di anticiparvene in esclusiva il titolo che sarà “Grazie Gesù” e il sottotitolo sarà molto semplice “La mia conversione dall’islam al cattolicesimo”.

Lo scorso anno hai scritto “Viva Israele” e quest’anno Israele sarà l’ospite d’onore alla Fiera del libro di Torino il prossimo maggio. Tu ci sarai? Pensi che potrebbe essere veramente l’anno della pace con i palestinesi che tutti noi auspichiamo?
Intanto sarò alla Fiera del libro di Torino e proprio lì presenterò in anteprima il nuovo libro “Grazie Gesù”. Mi auguro ovviamente, come ci auguriamo tutti, che il 2008 possa essere veramente l’anno della pace così come i leaders israeliani e palestinesi si sono ripromessi ad Annapolis. Ci rendiamo conto che ci sono delle difficoltà in alcune zone e a Gaza, ma il mio auspicio è che la nuova amministrazione americana ed europea si impegnino a fondo per sciogliere i nodi principali, innanzitutto la questione economica. Migliorando la condizione economica dei palestinesi si incentiverà e si creerà un nesso tra la loro condizione di vita e la pace.

C’è il grande enigma dell’Iran, del presidente Ahmadinejad. Obama durante la sua campagna elettorale ha detto che se vincerà incontrerà tutti, anche Ahmadinejad. Secondo te ci potrà essere un’apertura anche su questo fronte delicatissimo con le minacce dell’Iran a Israele?
Oggi ovviamente il regime iraniano è la principale minaccia alla sicurezza internazionale perché come hai detto è un regime che minaccia di distruggere Israele e, al tempo stesso, violando le risoluzioni delle Nazioni Unite persegue l’obiettivo di dotarsi dell’arma atomica. Credo che sia sbagliato accreditare questo regime fintanto che non rispetti la legalità internazionale, non ci si può sedere al tavolo con chi viola la legalità internazionale e ignora i diritti fondamentali della persona.

Hilary Clinton ha detto che Bush fa male ad andare a Pechino e che dovrebbe boicottare i Giochi olimpici. In questa drammatica situazione la fiaccola sta per arrivare a San Francisco dopo gli incidenti di Londra e di Parigi. A tuo giudizio, bisogna andare o non andare?
Certo ci saremmo dovuti arrivare molto prima a questo interrogativo che vede la Cina, da un lato come un gigante sul piano dell’economia e dall’altro come un paese che viola in modo flagrante i diritti fondamentali della persona. Sollevare questo caso in occasione delle Olimpiadi mi sembra riduttivo e mi auguro che il tema diventi parte integrante di un intervento delle Nazioni Unite.

Ti sembra possibile che Bush che ha un paese in crisi e che dipende interamente dalla Cina possa non partecipare ai Giochi? A me sembra assurdo.
Il boicottaggio sarebbe un errore, mentre dobbiamo tutti quanti insieme porre all’ordine del giorno delle relazioni bilaterali con la Cina e con tutti quei regimi che violano i diritti fondamentali della persona, il rispetto di questi ultimi.

Ti sei sempre occupato di immigrazione. Tu stesso sei un immigrato di successo in Italia. Oggi sia Berlusconi sia Veltroni si dicono d’accordo sul voto degli immigrati alle amministrative. Tu sei favorevole o contrario?
Noi dobbiamo domandarci a che cosa serve il voto alle amministrative. Se l’obiettivo è quello di mettere la cittadinanza nella condizione di partecipare al miglioramento della situazione sul terreno, allora io credo che il voto debba restare prerogativa dei cittadini e questo mi rendo conto che da parte di chi è momentaneamente presente per migliorare le proprie condizioni di vita non esiste in lui questa istanza. Quindi agevoliamo magari il percorso che porta gli immigrati a diventare cittadini ma il voto deve restare prerogativa dei cittadini.


Voterai?
E’ un vero dilemma.