Nella rassegna stampa di oggi:
1) «Maria protegga tutte le madri» - All’Angelus: «Possano tutte svolgere con dedizione e fedeltà il loro quotidiano servizio nella famiglia, nella Chiesa e nella società Per tutte la Madonna sia sostegno, conforto e speranza»». Pubblichiamo le parole pronunciate domenica scorsa dal Papa prima della preghiera mariana dell’Angelus.
2) L’abbraccio di Casale Monferrato a Catella
3) Ecco l’ultima idea di Zapatero:la "dolce morte" per tutti
4) “La mia patria è Cristo” - Presentato al Meeting di Rimini il libro di Giussani “Uomini senza Patria”
5) CHIESA/ Non precetti ma un diverso gusto del vivere, IlSussidiario.net, 9 settembre 2008
6) L’Europa ha riconosciuto la via italiana all’integrazione (di Mario Mauro), www.ilsussidiario.net- martedì 9 settembre 2008.
7) 9 settembre 2008, Armiamoci di tanta sapienza, Perché è condannabile la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma è lecito volere il testamento biologico, di Vito Mancuso, dal Foglio.it
8) AL DI LÀ DEI PROVINCIALISMI - LA DIFFERENZA DEI CATTOLICI IN POLITICA, di FRANCESCO D’AGOSTINO
9) DALL’ABORTO AL « SUICIDIO ASSISTITO » - La deriva di Zapatero. Alla faccia degli elettori, di LUIGI GENINAZZI, Avvenire, 9 settembre 2008
10) Digiuno e preghiera L’India si è fermata. DAL NOSTRO INVIATO A NEW DELHI, CLAUDIO MONICI, Avvenire, 9 settembre 2008
11) Scola: san Pio X praticò le virtù del Buon Pastore, DA CASTELFRANCO VENETO, FRANCESCO DAL MAS, Avvenire, 9 settembre 2008
«Maria protegga tutte le madri» - All’Angelus: «Possano tutte svolgere con dedizione e fedeltà il loro quotidiano servizio nella famiglia, nella Chiesa e nella società Per tutte la Madonna sia sostegno, conforto e speranza»». Pubblichiamo le parole pronunciate domenica scorsa dal Papa prima della preghiera mariana dell’Angelus.
Cari fratelli e sorelle!
Al termine di questa solenne celebrazione eucaristica volgiamo ancora il nostro sguardo verso la «dolce Regina dei Sardi», venerata su questo colle di Bonaria. Nel corso dei secoli, quanti personaggi illustri sono venuti a renderle omaggio! Quanti miei predecessori hanno voluto onorarla con particolare affetto! Il beato Pio IX ne decretò l’incoronazione; san Pio X, cent’anni or sono, la proclamò patrona di tutta la Sardegna; Pio XI attribuì alla nuova chiesa il titolo di Basilica Minore; Pio XII, 50 anni fa, si rese qui spiritualmente presente con uno speciale Messaggio trasmesso in diretta dalla Radio Vaticana e il beato Giovanni XXIII, nel 1960, inviò una lettera per la riapertura del Santuario al culto, dopo il restauro. Primo Papa a tornare nell’Isola dopo 1650 anni fu il Servo di Dio Paolo VI, che visitò il Santuario il 24 aprile del 1970. E davanti alla sacra effigie della Madonna, sostò in preghiera pure l’amato Giovanni Paolo II, il 20 ottobre 1985. Sulle orme dei Papi che mi hanno preceduto, anch’io ho scelto il Santuario di Bonaria per compiere una visita pastorale che vuole idealmente abbracciare l’intera Sardegna. A Maria vogliamo oggi rinnovare l’affidamento della città di Cagliari, della Sardegna e di ogni suo abitante. Continui la Vergine Santa a vegliare su tutti e su ciascuno, perché il patrimonio dei valori evangelici sia trasmesso integro alle nuove generazioni, e perché Cristo regni nelle famiglie, nelle comunità e nei vari ambiti della società. In particolare, protegga la Madonna quanti, in questo momento, più necessitano del suo materno intervento: i bambini e i giovani, gli anziani e le famiglie, gli ammalati e tutti i sofferenti. Consapevoli del ruolo importante che Maria svolge nell’esistenza di ciascuno di noi, quali figli devoti ne festeggiamo quest’oggi la nascita. Quest’evento costituisce una tappa fondamentale per la Famiglia di Nazareth, culla della nostra redenzione; un evento che tutti ci riguarda, perché ogni dono che Dio ha concesso a Lei, la Madre, lo ha concesso pensando anche a ciascuno di noi, suoi figli. Perciò, con immensa riconoscenza, domandiamo a Maria, Madre del Verbo incarnato e Madre nostra, di proteggere ogni mamma terrena: quelle che, insieme col marito, educano i figli in un contesto familiare armonioso, e quelle che, per tanti motivi, si trovano sole ad affrontare un compito così arduo. Possano tutte svolgere con dedizione e fedeltà il loro quotidiano servizio nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Per tutte la Madonna sia sostegno, conforto e speranza!
Sotto lo sguardo di Maria voglio ricordare le care popolazioni di Haiti, duramente provate nei giorni scorsi dal passaggio di ben tre uragani. Prego per le vittime, purtroppo numerose, e per i senza-tetto. Sono vicino all’intera Nazione ed auspico che ad essa giungano al più presto i necessari aiuti. Tutti affido alla materna protezione di Nostra Signora di Bonaria.
Benedetto XVI
L’abbraccio di Casale Monferrato a Catella
CASALE MONFERRATO. «Insieme per il bene comune». Lo ha sottolineato monsignor Alceste Catella ai numerosi amministratori e fedeli che lo hanno accolto, domenica pomeriggio, a Casale Monferrato nell’assolata piazza Mazzini nel giorno del suo ingresso ufficiale in diocesi. Il trentasettesimo vescovo di Casale Monferrato, dopo il saluto delle autorità, ha posto l’accento con poche ma incisive parole sul valore del bene comune e della solidarietà. Nel porgergli il pastorale, dono della diocesi, l’amministratore diocesano monsignor Antonio Gennaro ha così tratteggiato il nuovo vescovo: «Possiede il dono evangelico di un sorriso aperto e di una parola sempre incoraggiante». A dargli il benvenuto nella gremita Cattedrale dedicata a Sant’Evasio c’erano oltre ai moltissimi casalesi anche duecento biellesi per un sentito abbraccio al loro ex vicario generale. Insieme ad un centinaio di sacerdoti hanno partecipato alla solenne celebrazione eucaristica il vescovo di Biella, Gabriele Mana, l’arcivescovo di Vercelli, Enrico Masseroni che ha letto la lettera di nomina di Benedetto XVI e monsignor Benoit Alowonou della diocesi di Kpalimé in Togo.
Commentando le Letture del giorno, nella sua prima omelia in terra casalese, monsignor Catella ha sottolineato il ruolo e la missione del vescovo ed ha evidenziato che è un «ministero di servizio»; ha definito «fondamentale l’educazione della persona» e ha ricordato la fragilità l’umana e il valore della cittadinanza. Al termine della celebrazione ha manifestato la sua gioia ed il suo desiderio di incontrare tutti. «Ho bisogno di ascoltarvi – ha detto – che mi apriate il vostro cuore e che io lo apra a voi». E il primo appuntamento sarà tra pochi giorni, dal 23 al 25 settembre, al convegno pastorale su «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa». Prima di immergersi tra i fedeli desiderosi di accoglierlo con gioia, monsignor Catella ha sostato in preghiera nella Cripta in cui è sepolto il suo predecessore, monsignor Germano Zaccheo, morto improvvisamente a Fatima lo scorso novembre.
Chiara Genisio
Ecco l’ultima idea di Zapatero:la "dolce morte" per tutti
Il governo intende concedere il diritto all’eutanasia anche a chi non è malato terminale. Il ministro spagnolo della Salute anticipa le linee guida di una normativa che entrerà in vigore entro la fine della legislatura...
Madrid - L’ultimo affondo del governo Zapatero ai valori della Chiesa cattolica si chiama eutanasia e arriva con parole che evocano un’epoca che credevamo superata. «Il proprietario del tuo corpo sei tu e sei tu che decidi. Questo è socialista!». Sembra uno slogan del Sessantotto e in un certo senso lo è. Perché il terreno di coltura che lo ha prodotto è proprio quello, quello dell’autodeterminazione che, rifiutando le regole, assurge paradossalmente a regola essa stessa. L’unica differenza è che non siamo nel Sessantotto, ma quarant’anni dopo, oggi, e che a parlare non è un figlio dei fiori ma Bernat Soria, il cinquantasettenne ministro della Salute spagnolo.
È su questa libertà di decidere del proprio corpo, oltre che della propria vita e della propria morte, che la Spagna guidata dal socialista José Luis Zapatero si avvia a varare una legge che preveda il suicidio assistito. Con un deciso colpo di acceleratore e in barba a tutte le resistenze della società civile, in particolare di quella cattolica, tanto da puntare a realizzare l’obiettivo entro la fine di questa legislatura, vale a dire entro il 2012, e attraverso una modifica del Codice Penale.
In una intervista rilasciata al quotidiano El Paìs, Soria spiega che l’intervento, legislativo e normativo allo stesso tempo, rientrerà nell’ambito di un più ampio progetto che riguarda le norme a garanzia di una “morte degna“.
«La battaglia contro la morte non si può vincere, ma quella contro il dolore sì», ha detto Soria spiegando che la legge attualmente in vigore, voluta dal Partito Popolare, dà la possibilità ai malati di morire senza soffrire, ma la sua applicazione, di fatto, la annulla. «Per questo - dice Soria - abbiamo elaborato una strategia nazionale per le cure palliative, che include la formazione professionale, facilitazioni per l’assistenza domiciliare, regolare le fasi terminali della malattia, la “morte degna” e il diritto di ogni malato di poter decidere di interrompere le terapie». Che, in altre parole, significa che il governo Zapatero intende concedere a tutti, anche a chi non è un malato terminale, di porre fine alla propria vita. Con il placet e l’aiuto dello Stato.
A poco servono le rassicurazioni circa la “collegialità” e la serietà con la quale sarà definito il progetto, aprendo prima di tutto una riflessione in seno al governo: «Il ministero della Salute e quello della Giustizia - ha detto Soria - si apprestano a consultarsi con esperti del settore» per creare una commissione che offra elementi in base ai quali «prendere una decisione politica».
Politica, appunto, perché al di là della presunta difesa del malato e del suo diritto ad autodeterminarsi, questo progetto del governo Zapatero altro non è che l’ennesima mossa volta a smantellare la rete sociale e di diritto costruita dai precedenti governi guidati dal Partito Popolare. In Spagna l’eutanasia non è consentita ma la legge permette ai malati di rifiutare di essere curati. Un’eventuale legislazione sul suicidio assistito potrebbe riguardare le persone gravemente malate ma non in immediato pericolo di vita. Un distinguo fondamentale, che apre scenari inquietanti di arbitrarietà e intorno al quale non c’è alcun dubbio che si scateneranno le polemiche e gli attacchi politici, in primis da parte della Chiesa cattolica, come già avvenuto per le leggi sul matrimonio gay con possibilità di adozione e il divorzio breve. Oltre che sull’apertura di Zapatero verso la fecondazione assistita ai single e la revisione della legge sull’aborto. Ma la reazione della Chiesa cattolica spagnola pare non preoccupare affatto il governo: «Come ministro e deputato socialista - ha detto Soria - l’unico mandato di cui devo rispondere è quello conferitomi dai cittadini. Non so quali strategie terranno la Conferenza Episcopale, il Partito Popolare e altri gruppi, e comunque non è rilevante».
di Barbara Benini
Il Giornale n. 36 del 2008-09-08
“La mia patria è Cristo” - Presentato al Meeting di Rimini il libro di Giussani “Uomini senza Patria”
di Antonio Gaspari
RIMINI, martedì, 9 settembre 2008 (ZENIT.org).- E’ stato presentato al Meeting di Rimini il 30 agosto il libro “Uomini senza patria” (Rizzoli, 408 pagine, 11,00 Euro) che raccoglie i dialoghi di don Luigi Giussani con i responsabili degli universitari di Comunione e Liberazione e che spiega come l’unica patria di un cristiano non possa essere che Gesù.
“Non ha patria non chi semplicemente professa dei valori cristiani ma chi ha riconosciuto Cristo presente, oggetto di esperienza”, ha spiegato Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, alla presentazione del libro di Giussani.
Secondo la Presidente del Meeting, “questo incontro continuo ci rende appassionati a tutto e a tutti. La familiarità con Cristo ci rende consapevoli del nostro limite e allora degli altri, diversi da noi, abbiamo bisogno. La nostra apertura al reale non è una forma di tolleranza ma un riconoscimento della ricchezza altrui”.
Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle opere (Cdo), ha raccontato di essere uno degli studenti che partecipò agli incontri con don Giussani, rimanendo affascinato da come il fondatore di Comunione e Liberazione “metteva al centro la persona, ma non in un modo retorico”.
“Quello che mi stupì – ha continuato il Presidente della Cdo – è che Giussani non voleva vederci come esecutori di progetti ideologici sociali, lui voleva persone che fossero in grado dire ‘io’ e di mettersi in gioco in qualsiasi situazione”.
“Questo, per me, è una cosa affascinante, e tutto quello che è stato fatto dopo è scaturito da persone senza patria, che non partivano da ideologie, ma persone che partendo da sé si aprivano all’altro”, ha aggiunto.
“Dire ‘io’ significa dire noi – ha sottolineato Scholtz –, perché è impossibile concepire se stessi al di fuori di un processo sociale. La socialità nuova del progetto cristiano è aperta a chi si interessa degli altri, ma non per un dovere o un imposizione, ma per una realizzazione di sé”.
“Ad un certo punto – ha aggiunto il Presidente della Cdo – uno capisce per esperienza che non può realizzare se stesso senza un rapporto con l’altro. Certo la diversità provoca e può anche pesare ma è sempre un bene, perché permette alla persona di emergere”.
Per Scholtz, è “la realtà la sfida che fa emergere se stesso” e questo “è il contrario di tutte le comodità che vengono proposte” perché “non è semplice né banale assumersi la responsabilità; la vita in questo caso è molto più faticosa, ma molto più affascinante e bella, e per me questo incontro con don Giussani è stato sconvolgente da questo punto di vista”.
“La vita non è un gioco confortevole – ha concluso il Presidente della Cdo – c’è la realtà che ti mette in gioco con i rischi di tutta la tua libertà. Non ce la fai da solo e quindi scopri il grande valore dell’amicizia”.
Eugenia Roccella, Sottosegretario di Stato al lavoro e alle politiche sociali, ha precisato di provenire da una esperienza culturale diversa, ma di aver scoperto l’appartenenza a questo mondo, ed una profonda affinità con l’impostazione di don Giussani incentrata sulla centralità della persona.
Il Sottosegretario al Welfare ha detto di condividere la scelta di don Giussani di parlare dell’umano e di diffidare della parola etica perché troppo limitante.
Il termine “umano è più corretto – ha precisato- perché non solo indica la difesa della vita ma ne dà il motivo: difendiamo la vita perché essa ha un significato. Non dare ma cercare il senso della vita; il significato dell’esistenza Giussani lo situa nell’incontro con Cristo”.
La Roccella si è detta in totale sintonia con l’analisi di don Giussani quando ha scritto: “Per questo la lotta di oggi è tra due concezioni dell’uomo, fra l’uomo che appartiene a qualcosa di più grande o dell’uomo che appartiene a se stesso”.
A questo proposito il Sottosegretario al Welfare ha spiegato che “paradossalmente l’uomo che pensa di trovare la libertà nell’assoluta autodeterminazione è in una condizione di assoluta eterodeterminazione” e che quindi “l’autodeterminazione si rovescia drammaticamente e praticamente spesso nel suo contrario”.
Nelle difficili condizioni degli anni Settanta, don Giussani ha scritto parole vere anche oggi: “Fino a quando il cristianesimo è sostenere dialetticamente e anche praticamente valori cristiani, esso trova spazio e accoglienza dovunque”.
“Ma là dove il cristiano è l’uomo che annuncia nella realtà umana, storica, la presenza permanente di Dio fatto Uno tra noi, oggetto di esperienza […], la presenza di Cristo centro del modo di vedere, di concepire e di affrontare la vita, senso di ogni azione, sorgente di tutta l’attività dell’uomo intero, vale a dire dell’attività culturale dell’uomo, questo uomo non ha patria”, aggiungeva.
CHIESA/ Non precetti ma un diverso gusto del vivere, IlSussidiario.net, 9 settembre 2008
Michele Lenoci
martedì 9 settembre 2008
Il fondo di Ezio Mauro su Repubblica solleva una questione di grande rilievo, ma perde un’occasione preziosa. Quasi tracciando un sommario bilancio dell’opera del cardinale Ruini alla Presidenza della CEI, la vede caratterizzata da un predominio della precettistica, della dottrina sociale e del richiamo al diritto naturale, allo scopo di immettere nella legislazione italiana regole sostanzialmente conformi all’insegnamento della Chiesa e impedirne di contrarie. Tale successo sarebbe stato conseguito anche grazie al sostegno degli atei devoti e dei politici di destra, ai quali sarebbe stata anche offerta una base ideologica, altrimenti carente; tuttavia, esso sarebbe avvenuto a costo di dimenticare il “fatto” cristiano, il messaggio della Rivelazione e il Credo, l’importanza dell’avvenimento cristiano. E Don Giussani, parlando di “prevalenza dell’etica rispetto all’ontologia”, avrebbe, in tempi non sospetti, anticipato e preparato questa stagione, nemica del politicamente corretto e ostile a una difesa ed estensione dei diritti. Ma ora, secondo Mauro, le cose starebbero cambiando, grazie al nuovo Presidente della CEI, Cardinale Bagnasco, e all’impronta data dal nuovo Segretario di Stato, che ha voluto riprendere in mano il rapporto con le istituzioni e la politica italiana. Segno di tale mutamento sarebbero le bacchettate all’Osservatore Romano, che ha recentemente pubblicato un articolo di Lucetta Scaraffia, autorevole rappresentante di Scienza e Vita e componente del Comitato nazionale di Bioetica, nel quale si rimettevano in discussione i criteri di accertamento del decesso, attraverso la morte cerebrale. Piccolo sintomo di significativi mutamenti.
Non so se l’episodio vada enfatizzato in questa misura e, soprattutto, se gli vada attribuito tanto recondito significato. Ma il punto centrale non è questo, e neppure le riflessioni in merito all’attuale e passata “politica ecclesiastica”. Più rilevante, e decisiva, è un’altra questione, che Mauro afferra, ma si limita poi a sfiorare e a lasciar subito sfiorire. Su quali registri si è sviluppata in Italia l’azione della Chiesa in questi anni, sul piano pastorale, educativo, ecclesiale, sociale, nonché su quello della legittima, e doverosa, presenza pubblica? Ci si è veramente limitati alla precettistica e al moralismo, quasi che l’accettazione di qualche regola trasformata in legge sarebbe stata pagata con gravi compromessi o dimenticanze al livello dell’unum necessarium? Non credo proprio: e per convincersi di questo basta rileggere gli interventi degli ultimi due Pontefici, del Cardinale Ruini e, visto che è stato citato, anche il costante e coerente insegnamento di Don Giussani su questo punto.
Se c’è un punto su cui la sottolineatura è chiarissima e insistita è proprio questo: il Cristianesimo non nasce da una teoria, da una dottrina particolarmente originale, coerente o avvincente; non deriva da una proposta astratta e articolata meramente al livello concettuale, ma da un incontro reale con una persona vivente, Cristo; da un coinvolgimento, esistenziale e globale, in un avvenimento che trasforma tutta la persona, anche sul piano ontologico. Ancora mercoledì scorso, durante l’udienza generale, Benedetto XVI, commentando la conversione di San Paolo, ha esplicitamente insistito su questo richiamo all’avvenimento fondante il Cristianesimo. E Don Giussani ha ripetutamente polemizzato contro il moralismo di quanti fanno dipendere il valore dell’annuncio cristiano solo e semplicemente dal comportamento retto di chi lo propone. Non che anche la coerenza non sia importante, ma non è il fattore decisivo.
Di qui non segue, però, che allora il Cristianesimo si riduca a vaghi echi sentimentalistici e intimistici, tutti da giocare nel privato della propria vita, senza alcun rilievo pubblico. Giacché l’ipotesi cristiana si verifica nella misura in cui risponde alle elementari e obiettive esigenze di ogni uomo, essa può sostenere un confronto fatto di onestà intellettuale, apertura d’animo e grandezza di cuore con quanti sono interessati alle domande fondamentali dell’esistenza, allo scopo di far riacquistare quel “gusto della vita”, che oggi sembra aver perso molto del suo originario sapore. Sicché, anche i rifiuti e i “no” sono detti non allo scopo di vietare o reprimere, ma per consentire la miglior fioritura di ciò che fa bella la vita, proprio come la potatura permette che un albero vigoreggi ed espanda le sue fronde. E quella verifica e quelle esigenze toccano l’esistenza in tutte le sue dimensioni, a tutti i livelli, anche quelli rilevanti per l’etica; ma all’origine non sta – questo è importante – il rispetto di astratti, ancorché nobili, precetti, bensì un cambiamento globale (ontologico), un avvenimento frutto di un incontro, che mobilita la persona, ne sorregge le azioni, la fa crescere e continuamente la migliora, nonostante le infinite cadute e incoerenze, la apre al paragone con la realtà e con le altre persone in un incessante, pubblico e amorevole dialogo: in cui non si dimenticano certo le doverose e legittime distinzioni, ma neppure si perpetuano indebite e schizofreniche separazioni.
L’Europa ha riconosciuto la via italiana all’integrazione (di Mario Mauro), www.ilsussidiario.net- martedì 9 settembre 2008.
La risoluzione promossa dalla sinistra italiana al Parlamento europeo che aveva fatto gridare allo scandalo, dipingendo il Ministro Maroni come xenofobo e discriminante, volta a sollecitare la Commissione europea a sanzionare l'operato del Governo, è stata rispedita al mittente dal Commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot. Inequivocabili infatti le parole del portavoce del Commissario, Michele Cercone: «Le misure prese dal governo italiano per far fronte all'emergenza dei nomadi non violano le norme dell'Unione europea».
Anche la raccolta delle impronte digitali «viene fatta solo al fine di identificare persone che non è possibile identificare in altro modo» ha aggiunto il portavoce di Barrot. Un sistema «valido in particolare per i minori nei confronti dei quali questi rilievi vengono effettuati solo nei casi strettamente necessari e come ultima possibilità di identificazione». La "buona cooperazione" tra le autorità italiane e Bruxelles, ha osservato ancora Cercone, ha consentito di verificare le linee dei provvedimenti presi e di «correggere tutte le misure che potevano dare luogo a contestazioni». Barrot continuerà a seguire il dossier prestando attenzione alle ulteriori informazioni che saranno fornite dall'Italia sull'applicazione delle misure prese e chiede di essere informato sullo svolgimento del censimento e dei suoi risultati.
Chi in Italia si è affrettato a gridare nei mesi scorsi “l'Europa boccia il decreto Maroni” prenda atto quindi che l'inutile gazzarra sollevata al Parlamento europeo nei mesi scorsi altro esito non ha ottenuto che arrivare a far considerare un esempio da imitare i provvedimenti posti in essere dal Governo italiano sulla questione Rom.
Il Parlamento europeo invierà il prossimo 18 settembre una missione a Roma per valutare sul campo le misure prese dal governo per affrontare l'emergenza nomadi.
Massima è quindi la collaborazione tra Governo italiano e Unione europea su un tema che ha da sempre grandissimo impatto sull'opinione pubblica. Il censimento di Maroni ha già dato importanti indicazioni, a cominciare dal preoccupante dato sulla dispersione scolastica all'interno dei campi Rom, che raggiunge anche l'80%. In questo senso sono arrivati commenti positivi addirittura dall'Unicef, in particolare per quanto riguarda i piani di scolarizzazione confermati da Maroni, che ambiscono ad aumentare considerevolmente la percentuale dei bambini in età scolare che frequenta la scuola dell'obbligo, ferma al 30%.
Restano allarmanti anche le condizioni sanitarie dei campi. Bruxelles ha apprezzato la cooperazione tra le autorità italiane da una parte, la Croce Rossa e l’Unicef dall’altra, per l’attuazione delle linee guida assegnate ai prefetti commissari delle regioni Lombardia, Lazio e Campania.
Solo prendendo coscienza della reale situazione di questi popoli, agevolando la massima inclusione nel sistema e soprattutto solo conoscendo chi sono e quanti sono potremo aiutarli a migliorare le loro condizioni di vita. L'Europa ha riconosciuto che le possibilità di integrazione nella civiltà europea delle popolazioni nomadi sono molto basse, e non solo per la resistenza degli stessi Rom all'integrazione, ma per le difficoltà concrete, essendo nomadi, di trovare lavoro, casa, di essere ammessi a scuola. Ha riconosciuto quindi che il censimento voluto dal Ministro Maroni è l'unica via possibile, così come le impronte digitali diventano indispensabili nei casi più estremi. Ha riconosciuto che l'urgenza di alzare l'aspettativa di vita media di un nomade, ferma a 45 anni, contro gli oltre 79 anni del resto della popolazione.
Ho parlato pocanzi addirittura di esempio da imitare. Ma come è possibile, che in due mesi, il Governo italiano sia stato un po' fascista, poi molto razzista e infine sia diventato un esempio da imitare?
È stato possibile grazie ad una nemmeno troppo abile macchinazione ideologica della sinistra al Parlamento europeo che ha costruito una Risoluzione ad hoc basata sull'equivoco e sulla disinformazione dei cittadini. Campagna disinformativa che è stata alimentata anche dai principali giornali italiani, che hanno promosso a “Europa” quello che è soltanto una parte dell'organo legislativo, il Parlamento, a cui non spetta trarre conclusioni sull'operato di un Governo. L'Italia è un esempio da imitare perchè è il pioniere di una reale volontà di integrazione delle popolazioni Rom, siamo i primi ad usare tali misure censitorie, siamo i primi a non avere avuto paura di confrontarci concretamente con una realtà problematica e soprattutto gli unici che abbiano il reale desiderio di cambiarla senza rinunciare a coniugare accoglienza e legalità.
9 settembre 2008, Armiamoci di tanta sapienza, Perché è condannabile la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma è lecito volere il testamento biologico, di Vito Mancuso, dal Foglio.it
La partecipazione al Festival della Mente di Sarzana, in un pubblico dibattito con Remo Bodei e Armando Massarenti sulla ricerca scientifica e il ruolo del pensiero (con particolare riferimento alle cellule staminali alla luce del nuovo libro di Massarenti, Staminalia. Le cellule “etiche” e i nemici della ricerca, Guanda 2008), mi ha condotto ad alcune riflessioni che hanno dato origine a questo articolo le cui tesi sono tre: 1) la più alta produzione della mente è la sapienza; 2) la sapienza si esprime al meglio come rispetto per la vita; 3) gli embrioni, in quanto forma di vita umana, vanno tutelati e protetti, e la loro soppressione al fine di prelevarne le cellule staminali non può che risultare eticamente condannabile.
Inizio col dire che, essendo stato invitato a “festeggiare la mente”, mi sono chiesto anzitutto qual è la più alta produzione della mente. Preciso che io condivido l’assunto di molte filosofie e di molte religioni secondo cui la vita della mente è il livello più alto di ciò che chiamiamo vita umana. Tutto parte e tutto torna lì, alla mente. Vi sono filosofi che hanno consacrato la loro intera attività al compito di indagare la mente, a quel fenomeno che porta l’essere umano a poter dire “io”, non solo avendo coscienza di sé come corpo (proprietà che posseggono anche gli animali) ma avendo autocoscienza di sé come spirito libero.
Oggi fioriscono sempre più studi e pubblicazioni su ciò che ormai in modo consolidato si chiama “filosofia della mente”, il cui compito consiste nel mettere a fuoco il nesso centralissimo, e tutt’altro che chiaro, di cervello-mente-coscienza, decisivo per il problema del libero arbitrio e dell’anima spirituale. Ma anche per la religione, non solo per la filosofia, la disciplina e il controllo della mente giocano un ruolo di primo piano. Il buddhismo si basa praticamente su questo, visto che la sua pratica per eccellenza, la meditazione, altro non è che un raffinatissimo esercizio della mente per aprirla verso la dimensione integrale dell’essere. E che altro è lo yoga indù se non una terapia della mente mediante il corpo? Anche nella tradizione cristiana la disciplina e il controllo della mente assumono un’importanza straordinaria, si pensi, per fare solo un nome, agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola. Sarebbe un errore ritenere che, siccome il valore più alto del cristianesimo è l’amore, il centro del cristianesimo abbia a che fare non con la mente ma col cuore, visto che dicendo “cuore” non si intende certo l’anonimo muscolo cardiaco ma una particolare e delicatissima disposizione della mente.
Alla luce di ciò, ritorna la domanda su quale sia la più alta produzione della mente, ovvero, vista la centralità della mente per l’integralità della vita, su quale sia il valore più alto verso cui l’azione dell’uomo debba tendere. Di solito si associa la mente alla conoscenza, così che la risposta dei più consiste nel dire che è la conoscenza il più grande valore della mente, e quindi della vita dell’uomo. Io, al contrario, ritengo che la più alta produzione della mente non sia la conoscenza. E ciò almeno per due motivi: 1) perché l’utilizzo della conoscenza richiede un valore più alto della conoscenza stessa, una luce che l’indirizzi, altrimenti la conoscenza può diventare pericolosa, persino nociva; 2) perché la conoscenza è senza fondo, e nessuno che conosca davvero qualcosa sente di poter dire di conoscere fino in fondo, non dico il tutto, ma anche solo la materia di sua competenza; anzi quanto più si avanza lungo il sentiero della conoscenza, tanto più ci si rende conto di “sapere di non sapere” (Socrate), di finire in una specie di zona grigia denominata “dotta ignoranza” (Nicolò Cusano). La vera conoscenza, quindi, rimanda oltre se stessa.
Da ciò consegue che la produzione più alta della mente non è la conoscenza. Qual è? Io ritengo che sia la sapienza, la quale presuppone la conoscenza, ma la supera. La sapienza è ciò che consente l’utilizzo virtuoso del potere della conoscenza. Il valore più alto non è la gnosis, ma è la phronesis, da intendersi come sapienza ordinatrice, in grado di creare armonia, dove la dimensione cognitiva si unisce alla dimensione volitiva, dove l’intelletto si sposa con la volontà, producendo l’atto integrale di chi sa come indirizzare il suo sapere, e che la filosofia greca chiama anche sophia. Non è un caso che il greco antico (la lingua del popolo che più di ogni altro in occidente ha coltivato la vita della mente, e a cui noi dobbiamo ancora tantissimo) colleghi in modo diretto la mente (phren) alla sapienza (phronesis). Il più alto prodotto della mente, a mio avviso, non è la conoscenza, non è la “gaia scienza”, non è la gnosi, ma è la sapienza, cioè l’uso armonico, ordinato, giusto, della conoscenza acquisita, e la forma più alta di tale uso si chiama “amore”.
Ora una citazione: “Dovremmo stare attenti a non fare dell’intelletto il nostro dio; esso ha, naturalmente, muscoli possenti, ma non è dotato di alcuna personalità. Non può guidare, può solo servire; e non è esigente nella sua scelta di un capo. Questa caratteristica si riflette nella qualità dei suoi sacerdoti, gli intellettuali. L’intelletto ha la vista lunga in fatto di metodi e strumenti, ma è cieco rispetto a fini e valori… Il fattore più importante nel dare forma alla nostra esistenza umana è individuare e fissare una meta”. Quale? Il testo risponde: “Una società di esseri umani liberi e felici che si prodighino con costante sforzo interiore per liberarsi dal retaggio degli istinti antisociali e distruttivi”. L’autore è Albert Einstein, con parole tratte da un breve testo intitolato “Il fine dell’esistenza umana” e scritto per una trasmissione radiofonica dell’11 aprile 1943 (ora in Pensieri, idee, opinioni, tr. it. di Lucio Angelici, Newton, Roma 2006, pag. 221). Il più grande scienziato del ’900 afferma (attenzione, nel 1943!) il primato della sapienza rispetto alla conoscenza, il primato di quella dimensione della mente che sa guidare l’intelletto nel darsi una meta e lavorare per essa, il primato dell’eghemonikòn, come Marco Aurelio chiamava tale dimensione della vita della mente. Einstein indica anche quale deve essere tale meta: la liberazione dagli istinti antisociali e distruttivi (è chiaro, siamo nel 1943; ma chiedo a chi sappia guardare il mondo in modo non superficiale: quando non siamo nel 1943?). La nostra mente conseguirà la più alta realizzazione quando metterà la sua conoscenza, piccola o grande che sia a seconda del quoziente intellettivo con cui siamo nati (e che non è merito nostro) e della possibilità di sfruttarlo al meglio mediante l’educazione ricevuta (che neppure è merito nostro), a servizio dell’armonia con gli altri esseri umani. Qui si gioca il merito e il valore di un uomo.
Tale primato della sapienza rispetto alla conoscenza io lo riscontro negli incontri che faccio. Gli uomini migliori che conosco non sono gli eruditi, non sono nemmeno gli ignoranti: sono i sapienti, gli uomini equilibrati, in pace con se stessi e col mondo, ai quali senti che ti puoi appoggiare perché sanno stare in piedi da sé, sono giunti a dominare la propria solitudine. Un uomo così può essere tanto, o poco, o per nulla colto, ma comunque “sa”, nel senso che possiede l’arte del vivere, sa che essa consiste nell’equilibrio. La mente è chiamata a raggiungere l’equilibrio e l’armonia, di cui l’amore per gli altri e per il creato è il punto più alto. Questa è, a mio avviso, la più alta produzione della vita della mente.
Ora provo a concretizzare il discorso condotto finora per giungere a qualche considerazione sulle cellule staminali. Ovviamente non c’è sapienza finalizzata alla vita, senza conoscenza della vita. Occorre conoscere la vita, per avere una sapienza della vita. E la domanda è: che cos’è la vita? Dato che la conoscenza completa di un oggetto corrisponde alla conoscenza delle sue cause, e dato che nessuno conosce in pienezza la causa della vita (non solo nel senso di origine, ma anche nel senso di fine), dobbiamo dire che non conosciamo in pienezza la vita. Ovvero non conosciamo in pienezza noi stessi. Sia come sia, però, ciò che tutti sono chiamati a riconoscere è che la vita è un fenomeno incredibilmente complesso, così improbabile che ha dello stupefacente non appena lo si consideri con un po’ di attenzione. Sapendo questo, si giunge a mio avviso a ciò che costituisce il punto fondamentale della vera sapienza, che io designo come “rispetto per la vita”. Si tratta di un dato che, più o meno accentuato, si ritrova in tutte le tradizioni spirituali dell’umanità, sia in quanto religioni sia in quanto filosofie.
Mi sembra quindi lecito ricavare una massima morale universale, innata in ogni natura umana in quanto natura pensante: “Non uccidere l’innocente”. Non semplicemente “non uccidere”, perché al riguardo sappiamo bene quante eccezioni vi possano essere, dalla legittima difesa, alla guerra, al diritto penale. Ma piuttosto: non uccidere l’innocente. Qui mi sembra di poter individuare un fondamento morale universale, nella linea di quanto suggerisce Marc Hauser, neuroscienziato, docente a Harvard di biologia evolutiva, che è giunto alla conclusione che gli uomini condividono gli stessi istinti morali e che l’etica è in noi come una specie di grammatica universale. La norma “non uccidere l’innocente” traduce infatti la cosiddetta regola d’oro presente a sua volta in tutte le grandi tradizioni spirituali dell’umanità e che recita “non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te”. E che cosa vuole prima di tutto un essere vivente se non vivere? E quindi che cosa non vuole prima di tutto se non evitare di morire? Quindi il non uccidere si riallaccia a questa tensione etica presente nell’umanità in quanto, appunto, umanità, e non semplice animalità (per quanto anche gli animali, a quanto ne so io, non uccidono gli innocenti, ma solo le loro fonti di sussistenza). E la cosa è logica, perché gli istinti morali non sono altro che l’espressione conscia della realtà primordiale a livello fisico, governata dalla logica della relazione armoniosa. Hauser non fa che confermare sperimentalmente quanto l’umanità nei suoi vertici spirituali ha sempre saputo.
In questa prospettiva l’ideale è la non-violenza integrale, il vivere senza uccidere, senza sopprimere altra vita. Purtroppo, però, non è possibile: anche chi diventa vegetariano, non può impedire che per avere i prodotti agricoli si uccidano altre forme di vita animale e vegetale che li minacciano, né che il suo sistema immunitario sia all’opera ogni momento per uccidere intrusioni pericolose. Ciononostante è lì, nella non-violenza integrale, che possiamo e dobbiamo tendere, favorendo sempre più il rispetto per la vita. Perché? Perché la logica intrinseca al nostro organismo è la relazione armoniosa, sia tra le diverse componenti dell’essere (dalle particelle subatomiche agli organi) sia tra noi e le forme di vita non umane che vivono nel nostro organismo, senza le quali l’organismo sarebbe in grossa difficoltà (è noto che solamente nel nostro intestino vi sono microrganismi per un numero dieci volte superiore al totale delle cellule del nostro corpo).
Da qui, alla luce del principio base “non uccidere l’innocente”, è possibile giungere all’elencazione di alcuni contenuti minimi a livello di bioetica su cui la ragione che opera in una società plurale e frammentata si può ritrovare. Li presento secondo la formulazione che risale a un gruppo di filosofi, cattolici e laici, in un documento datato 20 settembre 2007: 1) il diritto all’integrità; 2) il diritto alle cure; 3) il diritto di rifiutare le cure (secondo l’art. 32 della Costituzione italiana e l’art. 5 della Convenzione europea di bioetica di Oviedo).
Questi tre principi mi sembra siano attraversati da una distinzione fondamentale tra vita propria e vita altrui. Per essere più concreto. Io dico sì al testamento biologico, al fatto cioè che un uomo liberamente disponga del suo morire rifiutando le cure che gli appaiono lesive della sua libertà; dico invece no alla manipolazione degli embrioni per estrarne cellule staminali, anche se si tratta di intervenire sul blastocisti che, secondo alcuni, non è ancora embrione (ma che embrione diventerà se lo si lascia tranquillo solo qualche giorno). Il diritto all’integrità non è altro che la versione positiva della norma universale “non uccidere l’innocente”.
Ma forse, a soli dieci anni dall’isolamento delle cellule staminali, questo problema si può considerare per fortuna già sulla via del tramonto, grazie al fatto che uno scienziato giapponese, Shinya Yamanaka, ha scoperto ormai più di un anno fa come far regredire alcune cellule della pelle allo stato di staminali multipotenti, del tutto simili, dicono, a quelle embrionali. Le grandi possibilità terapeutiche delle staminali embrionali nel campo delle malattie degenerative potrebbero essere così ottenute senza il sacrificio di nessun embrione umano. C’è chi parla di un Premio Nobel a Yamanaka se le sue scoperte dovessero essere definitivamente confermate. Viste le problematiche etiche al riguardo, io di Nobel gliene darei due, uno per la Medicina e uno per la Pace.
di Vito Mancuso
AL DI LÀ DEI PROVINCIALISMI - LA DIFFERENZA DEI CATTOLICI IN POLITICA, di FRANCESCO D’AGOSTINO, Avvenire, 9 settembre 2008
Le reazioni che hanno suscitato le dense ed intense esortazioni pronunciate dal Papa in Sardegna sono un’ennesima conferma del provincialismo che purtroppo caratterizza l’orizzonte del dibattito politico italiano, per il quale ogni parola del Pontefice deve essere intesa in prima battuta come un monito, una sferzata, un incoraggiamento, insomma come un 'messaggio' indiretto ai politici cattolici italiani che militano (a seconda di chi le interpreta) nel centrodestra o nel centrosinistra.
Le cose non stanno così. Il Papa, rivolgendosi ai fedeli che ascoltavano la sua omelia, ha messo a fuoco due punti, la cui valenza va ben oltre quella dei confini del nostro Paese. Egli ha portato l’attenzione su problemi che concernono il mondo intero, come quelli del lavoro, dell’economia, della politica ed ha auspicato l’avvento di una nuova generazione di «laici cristiani impegnati», capaci di attivare una nuova spinta evangelizzatrice. Il contesto in cui queste parole sono state pronunciate è quello di una celebrazione eucaristica e, conseguentemente, queste parole vanno interpretate in un solo modo, cioè come esplicitamente e specificamente riferite a ciò che deve caratterizzare l’impegno dei cristiani nel mondo.
Ora, che cosa propriamente qualifica i cristiani che 'fanno politica'? Forse la particolare attenzione ad alcuni specifici ambiti di intervento, la predilezione nei confronti di alcune particolari pratiche sociali? No: non esiste campo di azione politica che non abbia assoluto rilievo per il cristiano, perché il suo compito è quello della promozione del bene umano in tutte le sue diverse estrinsecazioni. Sbagliano perciò, a mio avviso, coloro che pensano che il Papa, riferendosi al mondo del lavoro e dell’economia, volesse far riferimento a nuovi campi materiali di impegno politico per i cristiani. Il cuore della questione è un altro: è quello dello spirito che deve animare i cristiani che operano nel mondo del sociale. Se infatti, per quel che riguarda la materialità delle questioni politiche, può non esserci differenza alcuna tra l’impegno dei cristiani e quello dei non cristiani (e questo rende ragione di un fatto che sta sotto gli occhi di tutti, cioè della legittima presenza dei cristiani in diversi raggruppamenti politici), sul piano delle ragioni ultime di questo impegno la differenza tra cristiani e non cristiani non può non esserci e deve essere rilevata. Per i cristiani infatti l’impegno nella politica non si giustifica a partire dalla difesa di interessi ideologico-economici individualistici (come nel liberalismo) o di classe (come nel marxismo) e nemmeno dalla (pur legittima) tutela di tradizioni etniche e storiche (come nelle diverse forme del conservatorismo politico). Per il cristiano la comunità politica va tutelata, difesa e promossa, perché è l’immagine inadeguata, ma non irrilevante, di quella comunione fraterna, la cui pienezza si rivelerà e si manifesterà compiutamente solo alla fine dei tempi e della quale già fin da ora il cristiano, in fede, speranza e carità, è chiamato a dare testimonianza. Ecco perché al centro dell’appello del Papa non sta solo l’auspicio a che emerga nella società odierna una «nuova generazione di laici cristiani impegnati», ma quello per il quale questa «nuova generazione» sappia trovare le forze intellettuali e morali per «evangelizzare» il mondo del lavoro, dell’economia, della politica. Con queste parole il Papa non è tornato ad evocare «divisioni e steccati», come ha ritenuto a torto Aldo Schiavone, che pur si mostra consapevole della necessità che nel nostro mondo si costruisca una nuova «etica della cittadinanza ». In qualsiasi modo si voglia pensare una nuova etica della cittadinanza, essa di principio non potrà avere un carattere escludente.
Il cristianesimo, proprio perché sa che ogni uomo, ogni singolo uomo, è figlio del medesimo Dio e destinatario della medesima misericordia, non è certo una religione che possa predicare l’esclusione di alcuno: al contrario è l’unica forza che nella storia è stata capace di attivare (pur tra tanti errori e tanti peccati) autentiche forme di impegno, generose e gratuite, a favore di tutti, per la costruzione di un mondo misurato sui bisogni di ogni singolo uomo.
Il Papa, parlando sul sagrato del santuario di Nostra Signora di Bonaria, non ha dato ai cristiani direttive o precetti, ma li ha esortati a ricordare il fondamento evangelico dell’azione politica, cioè che la nostra fraternità dipende dal fatto che abbiamo un Padre comune.
DALL’ABORTO AL « SUICIDIO ASSISTITO » - La deriva di Zapatero. Alla faccia degli elettori, di LUIGI GENINAZZI, Avvenire, 9 settembre 2008
L’ ultimo colpo d’acceleratore di José Luis Zapatero supera la barriera della decenza, travolge con noncuranza obiezioni di carattere etico e resistenze della società civile e punta dritto ad un traguardo-choc: la proclamazione del diritto al suicidio, purché avvenga con il placet e l’aiuto dello Stato. Finora, anche in quei Paesi come l’Olanda ed il Belgio dove sono in vigore leggi sull’eutanasia, il dibattito su un tema così cruciale e delicato era sempre stato affrontato con un certo pudore, usando espressioni come 'dolce morte' e invocando la necessità di alleviare le sofferenze di un malato in fase terminale. In Spagna invece un esponente del governo socialista, per la prima volta, ne parla con cinica brutalità usando il termine scabroso di «suicidio assistito». Lo ha fatto il ministro della Sanità, Bernat Soria, un 'tecnico' del tutto in linea con l’ultra-laicismo imposto in questi anni da Zapatero. In un’intervista al quotidiano fiancheggiatore El Paìs
ha annunciato che molto presto verranno tolti gli ostacoli giuridici che impediscono il suicidio assistito. In questo modo un cittadino avrà il diritto di mettere fine alla propria vita anche se non si trova in una situazione terminale. «Il proprietario del tuo corpo sei tu, sei tu che prendi le decisioni: questo significa socialismo!», spiega l’ideologo Soria con buona pace dei padri fondatori di una dottrina politica finita nel solipsismo radicaleggiante degli epigoni spagnoli. Sei socialista? Prendi le decisioni che vuoi!
Così in effetti si comporta il governo socialista di Zapatero che con sommo disprezzo dei cittadini, a cominciare da chi l’ha votato, preannuncia provvedimenti legislativi riguardanti la vita e la morte che non apparivano nel programma elettorale del Psoe del marzo scorso. Incoerenza ed arroganza, che sia questa l’essenza del socialismo stile Zapatero? La macabra trovata del «suicidio assistito», prima di ogni considerazione etica, si rivela un vergognoso voltafaccia politico.
Lo stesso è successo per quanto riguarda l’aborto. Prima delle elezioni di marzo il premier socialista aveva promesso che non avrebbe cambiato la legge nel corso della futura legislatura. Ed invece giovedì scorso la vicepremier De la Vega ha annunciato che già nei prossimi mesi entrerà in vigore una nuova legislazione che permetterà alle donne di abortire entro le prime 16 settimane senza bisogno di alcuna giustificazione. Va di fretta Zapatero con i suoi provvedimenti ultrapermissivi, dal matrimonio omosessuale al divorzio express, dalla ricerca sulle staminali embrionali alla clonazione terapeutica che hanno segnato i suoi primi quattro anni di governo. Ed ora l’attacco decisivo sul fronte della vita, con la banalizzazione dell’aborto e la legalizzazione del suicidio assistito. Un nuovo, pesante affronto ai cattolici, hanno scritto molti commentatori. Ma qui c’è in gioco ben più di un contrasto tra Stato e Chiesa. Se i cattolici alzano la voce non è per difendere chissà quali privilegi ma per denunciare la deriva sociale e civile verso cui si muove la Spagna di Zapatero. È un’operazione col marchio del nichilismo, dove alla fine contano solo il desiderio del singolo e l’interesse di lobby agguerrite. La Spagna vive una pesante crisi economica, i sogni di gloria del primato iberico stanno rapidamente svanendo ed il governo socialista, come manovra diversiva, agita di nuovo la bandiera del laicismo. Ed incapace di garantire una vita più decente promette a tutti una 'buona' morte.
Digiuno e preghiera L’India si è fermata. DAL NOSTRO INVIATO A NEW DELHI, CLAUDIO MONICI, Avvenire, 9 settembre 2008
Q uaranta ore consecutive di preghiera per i cristiani perseguitati nello Stato indiano di Orissa. Quaranta ore di adorazione in tre lingue diverse, indi, malayalam e inglese, e digiuno «per i fratelli sotto attacco », di una Chiesa cattolica che contempla 22 riti, di cui 21 orientali. L’iniziativa è stata promossa da un gruppo di preghiera, il “Delhi charismatic renewal services”, che ha raccolto circa 300 fedeli delle quasi quaranta parrocchie di New Delhi che si sono radunati da venerdì sera a domenica mattina, nella sala delle assemblee della cattedrale del Sacro Cuore.
Poi, il “testimone”, come un’onda silenziosa, idealmente, è stato consegnato ai fratelli che nella speranza della pace e nel ricordo delle vittime, si sono inginocchiati in tutte le chiese cristiane del continente India. Da quelle bruciate del martoriato distretto di Kahandamal, nello Stato di Orissa, alla grande cattedrale rossa del «Santissimo Cuore di Gesù» a Delhi. Dove, come di consueto, si sono tenute sette messe domenicali: «Non c’è stato nulla di particolare, il rito domenicale non si cambia. Ma certo, le preghiere per i nostri cari fratelli che soffrono e che sono stati uccisi sono state molte di più del solito – racconta il parroco della cattedrale, padre Jannario Rebello –. C’era tanta e tanta gente. Ai fedeli abbiamo solo rivolto l’invito alla preghiera e soprattutto al digiuno. Gesti semplici, di partecipazione alla sofferenza. Non c’è bisogno di gridare».
Erano numerosi i fedeli in ginocchio, indifferenti al caldo torrido che sfiorava i quaranta gradi, accompagnato da un faticoso tasso di umidità che soffocava il respiro e inzuppava gli abiti, nonostante i ventilatori al soffitto girassero a pieno regime. L’iniziativa è stata promossa dalla Conferenza episcopale indiana, per volontà del cardinale Varkey Vithayathil, arcivescovo maggiore dell’arcidiocesi di Ernakulam-Angamaly, di rito siro-malabarese. La frase che più è riecheggiata, sotto le volte delle chiese indiane, è stata: «Solidarietà e giustizia per le vittime». E per «questo il cardinale Varkey Vithayathil ha voluto invitate di nuovo i fedeli alla preghiera e al digiuno – ci spiega padre George Manimala, vicario episcopale delle Chiese Orientali –.
I cristiani in Orissa hanno tanta paura e la situazione resta difficile. I fondamentalisti hanno creato questa condizione di violenza per impedire la libera scelta nella fede. Contro ogni dignità e i diritti dell’uomo. Uccidendo e distruggendo. Certo, dietro quanto accade in Orissa ci sono anche ragioni economiche, sociali e politiche. Ma il principio è andare contro la fede cristiana, perché, dicono i fondamentalisti, è contro la nazione indù, è contro l’India».
«Ovunque hanno potuto, i cristiani di tutte le confessioni, hanno pregato e digiunato, invocando la pace in Orissa. Abbiamo avuto conferma di una grande partecipazione – racconta invece il portavoce della Conferenza episcopale indiana, padre Babu –. Le chiese sono sta affollate per tutto il giorno e in qualche caso, in alcune città, ci sono stati anche dei momenti di preghiera per le strade e cortei del silenzio». L’attenzione era tutta rivolta in Orissa, per il timore di incidenti e provocazioni: «Tutto è andato per il verso giusto, non ci sono state violenze. Anche grazie al dispiegamento di polizia a protezione degli edifici religiosi. A Bhubaneswar, nella capitale dell’Orissa – spiega ancora padre Babu –. c’è stato anche un meeting interreligioso, tra cristiani e indù, organizzato per rilanciare la volontà di dire no alla violenza contro l’essere umano, nel rispetto delle fedi. Nel distretto di Kahandamal, dove la situazione è più grave, non abbiamo avuto notizie di disordini, ma la situazione rimane molto tesa e grave. Migliaia di cristiani soffrono nei campi profughi allestiti dalle autorità. In certi casi subiscono minacce o intimidazioni. Ma la Chiesa non li abbandonerà, anche se le missioni di solidarietà non sono ancora possibili, perché quelle zone restano insicure e gli attacchi dei gruppi estremisti possono avvenire in ogni momento».
Anche nello Stato dell’Orissa c’è stata una massiccia adesione e non si sono registrati scontri. «La situazione resta tesa, soprattutto nei campi profughi»
Scola: san Pio X praticò le virtù del Buon Pastore, DA CASTELFRANCO VENETO, FRANCESCO DAL MAS, Avvenire, 9 settembre 2008
Il compito del cristiano? Comunicare, «in modo convincente », il «bell’amore». È l’impegno richiamato ancora una volta dal cardinale Angelo Scola attualizzando il messaggio di san Pio X, che nel 150° anniversario di ordinazione sacerdotale «continua a parlarci, a chiamarci in causa, a pro-vocarci». Solenne la concelebrazione presieduta, domenica scorsa, dal patriarca di Venezia, nel Duomo di Castelfranco Veneto ( Treviso), con il vescovo di Treviso Andrea Bruno Mazzocato e numerosi sacerdoti.
Alla liturgia è seguita una cerimonia al Teatro Accademico. EI videnziando le peculiarità della figura e dell’opera pastorale di Giuseppe Sarto, Scola ha sottolineato che «il cristiano deve stare nella realtà abbracciandola tutta intera con umile positività». «Le questioni scottanti che agitano la nostra società post-secolare, la verità dell’amore, del matrimonio e della famiglia, la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, la giustizia, la pace, la fame, la miseria, le strabilianti scoperte scientifiche, la custodia della terra, i problemi dell’immigrazione e quelli della giusta istanza di sicurezza debbono incontrare un cristiano protagonista non perché teso all’affermazione di sé, e tantomeno a quella della Chiesa, ma perché, abbandonandosi all’amore del Buon Pastore, comunica, in modo convincente, il bell’amore – ha rilevato Scola –. Infatti Cristo ci ha amati per primo e questo ci fa testimoni, umili ma coraggiosi e tenaci. A tutti i nostri fratelli uomini, nessuno escluso, noi offriamo l’intensa esperienza umana che la vita della comunità cristiana ci regala».
La celebrazione presieduta a Castelfranco da Scola, rinnova cent’anni dopo il gesto analogo compiuto dal beato vescovo Andrea Giacinto Longhin e ripreso dal beato Giovanni XXIII nel 1958, per far memoria di un santo che «ancor oggi ci muove e ci commuove» perché «la sorgente della sua carità pastorale sta nel primato di Dio come supremo inter-esse della propria vita». «Se Dio è ciò che mi inter-essa – ha proseguito il cardinale – allora il nesso intrinseco tra l’annuncio del Vangelo ed il dono totale di sé diventa per l’uomo l’esaltante strada della riuscita, della santità. Ed il pastore, quale fu san Pio X, diventa padre». Scola, dopo aver ricordato che «nella sua poliedrica azione pastorale il Sarto praticò alla lettera le virtù del Buon Pastore, che passa in rassegna le sue pecore una ad una avendo per ciascuna una cura particolare», ha osservato che «in san Pio X l’essere padre, pastore e maestro si fonda nell’Eucaristia, autentico fulcro dell’azione pastorale e magisteriale». Ed è proprio da qui, dalla progressiva e paziente immedesimazione del discepolo col maestro, che – ha concluso il patriarca – viene la santità di ogni cristiano. «San Pio X è nel cuore della Chiesa e della popolazione trevigiana – aveva detto monsignor Mazzocato dando il benvenuto al patriarca –. La sua figura di pastore ci è familiare perché ha incarnato a livelli di santità la tradizione pastorale che ha caratterizzato e tuttora caratterizza l’azione sacerdoti e di tutta la diocesi di Treviso. Le radici della sua spiritualità, che ha animato la Chiesa universale, le ritroviamo tra noi, nelle nostre parrocchie e famiglie. Per questi motivi, papa Sarto è per noi un esempio vivo e vicino che ci orienta e un intercessore a cui siamo legati da un particolare rapporto di amore ». Dopo la concelebrazione, il Teatro Accademico ha ospitato un momento culturale durante il quale sono intervenuti, oltre al patriarca Scola e al vescovo Mazzocato, i sindaci di Castelfranco Maria Gomierato e di Riese, terra natale di Pio X, Gianluigi Contarin. Domani una delegazione di Riese Pio X e Castelfranco parteciperà all’udienza generale del Papa, mentre il 19 settembre, a Riese, è in programma una celebrazione presieduta dal vescovo di Città di Castello monsignor Domenico Cancian, per ricordare la prima messa di don Sarto.
1) «Maria protegga tutte le madri» - All’Angelus: «Possano tutte svolgere con dedizione e fedeltà il loro quotidiano servizio nella famiglia, nella Chiesa e nella società Per tutte la Madonna sia sostegno, conforto e speranza»». Pubblichiamo le parole pronunciate domenica scorsa dal Papa prima della preghiera mariana dell’Angelus.
2) L’abbraccio di Casale Monferrato a Catella
3) Ecco l’ultima idea di Zapatero:la "dolce morte" per tutti
4) “La mia patria è Cristo” - Presentato al Meeting di Rimini il libro di Giussani “Uomini senza Patria”
5) CHIESA/ Non precetti ma un diverso gusto del vivere, IlSussidiario.net, 9 settembre 2008
6) L’Europa ha riconosciuto la via italiana all’integrazione (di Mario Mauro), www.ilsussidiario.net- martedì 9 settembre 2008.
7) 9 settembre 2008, Armiamoci di tanta sapienza, Perché è condannabile la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma è lecito volere il testamento biologico, di Vito Mancuso, dal Foglio.it
8) AL DI LÀ DEI PROVINCIALISMI - LA DIFFERENZA DEI CATTOLICI IN POLITICA, di FRANCESCO D’AGOSTINO
9) DALL’ABORTO AL « SUICIDIO ASSISTITO » - La deriva di Zapatero. Alla faccia degli elettori, di LUIGI GENINAZZI, Avvenire, 9 settembre 2008
10) Digiuno e preghiera L’India si è fermata. DAL NOSTRO INVIATO A NEW DELHI, CLAUDIO MONICI, Avvenire, 9 settembre 2008
11) Scola: san Pio X praticò le virtù del Buon Pastore, DA CASTELFRANCO VENETO, FRANCESCO DAL MAS, Avvenire, 9 settembre 2008
«Maria protegga tutte le madri» - All’Angelus: «Possano tutte svolgere con dedizione e fedeltà il loro quotidiano servizio nella famiglia, nella Chiesa e nella società Per tutte la Madonna sia sostegno, conforto e speranza»». Pubblichiamo le parole pronunciate domenica scorsa dal Papa prima della preghiera mariana dell’Angelus.
Cari fratelli e sorelle!
Al termine di questa solenne celebrazione eucaristica volgiamo ancora il nostro sguardo verso la «dolce Regina dei Sardi», venerata su questo colle di Bonaria. Nel corso dei secoli, quanti personaggi illustri sono venuti a renderle omaggio! Quanti miei predecessori hanno voluto onorarla con particolare affetto! Il beato Pio IX ne decretò l’incoronazione; san Pio X, cent’anni or sono, la proclamò patrona di tutta la Sardegna; Pio XI attribuì alla nuova chiesa il titolo di Basilica Minore; Pio XII, 50 anni fa, si rese qui spiritualmente presente con uno speciale Messaggio trasmesso in diretta dalla Radio Vaticana e il beato Giovanni XXIII, nel 1960, inviò una lettera per la riapertura del Santuario al culto, dopo il restauro. Primo Papa a tornare nell’Isola dopo 1650 anni fu il Servo di Dio Paolo VI, che visitò il Santuario il 24 aprile del 1970. E davanti alla sacra effigie della Madonna, sostò in preghiera pure l’amato Giovanni Paolo II, il 20 ottobre 1985. Sulle orme dei Papi che mi hanno preceduto, anch’io ho scelto il Santuario di Bonaria per compiere una visita pastorale che vuole idealmente abbracciare l’intera Sardegna. A Maria vogliamo oggi rinnovare l’affidamento della città di Cagliari, della Sardegna e di ogni suo abitante. Continui la Vergine Santa a vegliare su tutti e su ciascuno, perché il patrimonio dei valori evangelici sia trasmesso integro alle nuove generazioni, e perché Cristo regni nelle famiglie, nelle comunità e nei vari ambiti della società. In particolare, protegga la Madonna quanti, in questo momento, più necessitano del suo materno intervento: i bambini e i giovani, gli anziani e le famiglie, gli ammalati e tutti i sofferenti. Consapevoli del ruolo importante che Maria svolge nell’esistenza di ciascuno di noi, quali figli devoti ne festeggiamo quest’oggi la nascita. Quest’evento costituisce una tappa fondamentale per la Famiglia di Nazareth, culla della nostra redenzione; un evento che tutti ci riguarda, perché ogni dono che Dio ha concesso a Lei, la Madre, lo ha concesso pensando anche a ciascuno di noi, suoi figli. Perciò, con immensa riconoscenza, domandiamo a Maria, Madre del Verbo incarnato e Madre nostra, di proteggere ogni mamma terrena: quelle che, insieme col marito, educano i figli in un contesto familiare armonioso, e quelle che, per tanti motivi, si trovano sole ad affrontare un compito così arduo. Possano tutte svolgere con dedizione e fedeltà il loro quotidiano servizio nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Per tutte la Madonna sia sostegno, conforto e speranza!
Sotto lo sguardo di Maria voglio ricordare le care popolazioni di Haiti, duramente provate nei giorni scorsi dal passaggio di ben tre uragani. Prego per le vittime, purtroppo numerose, e per i senza-tetto. Sono vicino all’intera Nazione ed auspico che ad essa giungano al più presto i necessari aiuti. Tutti affido alla materna protezione di Nostra Signora di Bonaria.
Benedetto XVI
L’abbraccio di Casale Monferrato a Catella
CASALE MONFERRATO. «Insieme per il bene comune». Lo ha sottolineato monsignor Alceste Catella ai numerosi amministratori e fedeli che lo hanno accolto, domenica pomeriggio, a Casale Monferrato nell’assolata piazza Mazzini nel giorno del suo ingresso ufficiale in diocesi. Il trentasettesimo vescovo di Casale Monferrato, dopo il saluto delle autorità, ha posto l’accento con poche ma incisive parole sul valore del bene comune e della solidarietà. Nel porgergli il pastorale, dono della diocesi, l’amministratore diocesano monsignor Antonio Gennaro ha così tratteggiato il nuovo vescovo: «Possiede il dono evangelico di un sorriso aperto e di una parola sempre incoraggiante». A dargli il benvenuto nella gremita Cattedrale dedicata a Sant’Evasio c’erano oltre ai moltissimi casalesi anche duecento biellesi per un sentito abbraccio al loro ex vicario generale. Insieme ad un centinaio di sacerdoti hanno partecipato alla solenne celebrazione eucaristica il vescovo di Biella, Gabriele Mana, l’arcivescovo di Vercelli, Enrico Masseroni che ha letto la lettera di nomina di Benedetto XVI e monsignor Benoit Alowonou della diocesi di Kpalimé in Togo.
Commentando le Letture del giorno, nella sua prima omelia in terra casalese, monsignor Catella ha sottolineato il ruolo e la missione del vescovo ed ha evidenziato che è un «ministero di servizio»; ha definito «fondamentale l’educazione della persona» e ha ricordato la fragilità l’umana e il valore della cittadinanza. Al termine della celebrazione ha manifestato la sua gioia ed il suo desiderio di incontrare tutti. «Ho bisogno di ascoltarvi – ha detto – che mi apriate il vostro cuore e che io lo apra a voi». E il primo appuntamento sarà tra pochi giorni, dal 23 al 25 settembre, al convegno pastorale su «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa». Prima di immergersi tra i fedeli desiderosi di accoglierlo con gioia, monsignor Catella ha sostato in preghiera nella Cripta in cui è sepolto il suo predecessore, monsignor Germano Zaccheo, morto improvvisamente a Fatima lo scorso novembre.
Chiara Genisio
Ecco l’ultima idea di Zapatero:la "dolce morte" per tutti
Il governo intende concedere il diritto all’eutanasia anche a chi non è malato terminale. Il ministro spagnolo della Salute anticipa le linee guida di una normativa che entrerà in vigore entro la fine della legislatura...
Madrid - L’ultimo affondo del governo Zapatero ai valori della Chiesa cattolica si chiama eutanasia e arriva con parole che evocano un’epoca che credevamo superata. «Il proprietario del tuo corpo sei tu e sei tu che decidi. Questo è socialista!». Sembra uno slogan del Sessantotto e in un certo senso lo è. Perché il terreno di coltura che lo ha prodotto è proprio quello, quello dell’autodeterminazione che, rifiutando le regole, assurge paradossalmente a regola essa stessa. L’unica differenza è che non siamo nel Sessantotto, ma quarant’anni dopo, oggi, e che a parlare non è un figlio dei fiori ma Bernat Soria, il cinquantasettenne ministro della Salute spagnolo.
È su questa libertà di decidere del proprio corpo, oltre che della propria vita e della propria morte, che la Spagna guidata dal socialista José Luis Zapatero si avvia a varare una legge che preveda il suicidio assistito. Con un deciso colpo di acceleratore e in barba a tutte le resistenze della società civile, in particolare di quella cattolica, tanto da puntare a realizzare l’obiettivo entro la fine di questa legislatura, vale a dire entro il 2012, e attraverso una modifica del Codice Penale.
In una intervista rilasciata al quotidiano El Paìs, Soria spiega che l’intervento, legislativo e normativo allo stesso tempo, rientrerà nell’ambito di un più ampio progetto che riguarda le norme a garanzia di una “morte degna“.
«La battaglia contro la morte non si può vincere, ma quella contro il dolore sì», ha detto Soria spiegando che la legge attualmente in vigore, voluta dal Partito Popolare, dà la possibilità ai malati di morire senza soffrire, ma la sua applicazione, di fatto, la annulla. «Per questo - dice Soria - abbiamo elaborato una strategia nazionale per le cure palliative, che include la formazione professionale, facilitazioni per l’assistenza domiciliare, regolare le fasi terminali della malattia, la “morte degna” e il diritto di ogni malato di poter decidere di interrompere le terapie». Che, in altre parole, significa che il governo Zapatero intende concedere a tutti, anche a chi non è un malato terminale, di porre fine alla propria vita. Con il placet e l’aiuto dello Stato.
A poco servono le rassicurazioni circa la “collegialità” e la serietà con la quale sarà definito il progetto, aprendo prima di tutto una riflessione in seno al governo: «Il ministero della Salute e quello della Giustizia - ha detto Soria - si apprestano a consultarsi con esperti del settore» per creare una commissione che offra elementi in base ai quali «prendere una decisione politica».
Politica, appunto, perché al di là della presunta difesa del malato e del suo diritto ad autodeterminarsi, questo progetto del governo Zapatero altro non è che l’ennesima mossa volta a smantellare la rete sociale e di diritto costruita dai precedenti governi guidati dal Partito Popolare. In Spagna l’eutanasia non è consentita ma la legge permette ai malati di rifiutare di essere curati. Un’eventuale legislazione sul suicidio assistito potrebbe riguardare le persone gravemente malate ma non in immediato pericolo di vita. Un distinguo fondamentale, che apre scenari inquietanti di arbitrarietà e intorno al quale non c’è alcun dubbio che si scateneranno le polemiche e gli attacchi politici, in primis da parte della Chiesa cattolica, come già avvenuto per le leggi sul matrimonio gay con possibilità di adozione e il divorzio breve. Oltre che sull’apertura di Zapatero verso la fecondazione assistita ai single e la revisione della legge sull’aborto. Ma la reazione della Chiesa cattolica spagnola pare non preoccupare affatto il governo: «Come ministro e deputato socialista - ha detto Soria - l’unico mandato di cui devo rispondere è quello conferitomi dai cittadini. Non so quali strategie terranno la Conferenza Episcopale, il Partito Popolare e altri gruppi, e comunque non è rilevante».
di Barbara Benini
Il Giornale n. 36 del 2008-09-08
“La mia patria è Cristo” - Presentato al Meeting di Rimini il libro di Giussani “Uomini senza Patria”
di Antonio Gaspari
RIMINI, martedì, 9 settembre 2008 (ZENIT.org).- E’ stato presentato al Meeting di Rimini il 30 agosto il libro “Uomini senza patria” (Rizzoli, 408 pagine, 11,00 Euro) che raccoglie i dialoghi di don Luigi Giussani con i responsabili degli universitari di Comunione e Liberazione e che spiega come l’unica patria di un cristiano non possa essere che Gesù.
“Non ha patria non chi semplicemente professa dei valori cristiani ma chi ha riconosciuto Cristo presente, oggetto di esperienza”, ha spiegato Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, alla presentazione del libro di Giussani.
Secondo la Presidente del Meeting, “questo incontro continuo ci rende appassionati a tutto e a tutti. La familiarità con Cristo ci rende consapevoli del nostro limite e allora degli altri, diversi da noi, abbiamo bisogno. La nostra apertura al reale non è una forma di tolleranza ma un riconoscimento della ricchezza altrui”.
Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle opere (Cdo), ha raccontato di essere uno degli studenti che partecipò agli incontri con don Giussani, rimanendo affascinato da come il fondatore di Comunione e Liberazione “metteva al centro la persona, ma non in un modo retorico”.
“Quello che mi stupì – ha continuato il Presidente della Cdo – è che Giussani non voleva vederci come esecutori di progetti ideologici sociali, lui voleva persone che fossero in grado dire ‘io’ e di mettersi in gioco in qualsiasi situazione”.
“Questo, per me, è una cosa affascinante, e tutto quello che è stato fatto dopo è scaturito da persone senza patria, che non partivano da ideologie, ma persone che partendo da sé si aprivano all’altro”, ha aggiunto.
“Dire ‘io’ significa dire noi – ha sottolineato Scholtz –, perché è impossibile concepire se stessi al di fuori di un processo sociale. La socialità nuova del progetto cristiano è aperta a chi si interessa degli altri, ma non per un dovere o un imposizione, ma per una realizzazione di sé”.
“Ad un certo punto – ha aggiunto il Presidente della Cdo – uno capisce per esperienza che non può realizzare se stesso senza un rapporto con l’altro. Certo la diversità provoca e può anche pesare ma è sempre un bene, perché permette alla persona di emergere”.
Per Scholtz, è “la realtà la sfida che fa emergere se stesso” e questo “è il contrario di tutte le comodità che vengono proposte” perché “non è semplice né banale assumersi la responsabilità; la vita in questo caso è molto più faticosa, ma molto più affascinante e bella, e per me questo incontro con don Giussani è stato sconvolgente da questo punto di vista”.
“La vita non è un gioco confortevole – ha concluso il Presidente della Cdo – c’è la realtà che ti mette in gioco con i rischi di tutta la tua libertà. Non ce la fai da solo e quindi scopri il grande valore dell’amicizia”.
Eugenia Roccella, Sottosegretario di Stato al lavoro e alle politiche sociali, ha precisato di provenire da una esperienza culturale diversa, ma di aver scoperto l’appartenenza a questo mondo, ed una profonda affinità con l’impostazione di don Giussani incentrata sulla centralità della persona.
Il Sottosegretario al Welfare ha detto di condividere la scelta di don Giussani di parlare dell’umano e di diffidare della parola etica perché troppo limitante.
Il termine “umano è più corretto – ha precisato- perché non solo indica la difesa della vita ma ne dà il motivo: difendiamo la vita perché essa ha un significato. Non dare ma cercare il senso della vita; il significato dell’esistenza Giussani lo situa nell’incontro con Cristo”.
La Roccella si è detta in totale sintonia con l’analisi di don Giussani quando ha scritto: “Per questo la lotta di oggi è tra due concezioni dell’uomo, fra l’uomo che appartiene a qualcosa di più grande o dell’uomo che appartiene a se stesso”.
A questo proposito il Sottosegretario al Welfare ha spiegato che “paradossalmente l’uomo che pensa di trovare la libertà nell’assoluta autodeterminazione è in una condizione di assoluta eterodeterminazione” e che quindi “l’autodeterminazione si rovescia drammaticamente e praticamente spesso nel suo contrario”.
Nelle difficili condizioni degli anni Settanta, don Giussani ha scritto parole vere anche oggi: “Fino a quando il cristianesimo è sostenere dialetticamente e anche praticamente valori cristiani, esso trova spazio e accoglienza dovunque”.
“Ma là dove il cristiano è l’uomo che annuncia nella realtà umana, storica, la presenza permanente di Dio fatto Uno tra noi, oggetto di esperienza […], la presenza di Cristo centro del modo di vedere, di concepire e di affrontare la vita, senso di ogni azione, sorgente di tutta l’attività dell’uomo intero, vale a dire dell’attività culturale dell’uomo, questo uomo non ha patria”, aggiungeva.
CHIESA/ Non precetti ma un diverso gusto del vivere, IlSussidiario.net, 9 settembre 2008
Michele Lenoci
martedì 9 settembre 2008
Il fondo di Ezio Mauro su Repubblica solleva una questione di grande rilievo, ma perde un’occasione preziosa. Quasi tracciando un sommario bilancio dell’opera del cardinale Ruini alla Presidenza della CEI, la vede caratterizzata da un predominio della precettistica, della dottrina sociale e del richiamo al diritto naturale, allo scopo di immettere nella legislazione italiana regole sostanzialmente conformi all’insegnamento della Chiesa e impedirne di contrarie. Tale successo sarebbe stato conseguito anche grazie al sostegno degli atei devoti e dei politici di destra, ai quali sarebbe stata anche offerta una base ideologica, altrimenti carente; tuttavia, esso sarebbe avvenuto a costo di dimenticare il “fatto” cristiano, il messaggio della Rivelazione e il Credo, l’importanza dell’avvenimento cristiano. E Don Giussani, parlando di “prevalenza dell’etica rispetto all’ontologia”, avrebbe, in tempi non sospetti, anticipato e preparato questa stagione, nemica del politicamente corretto e ostile a una difesa ed estensione dei diritti. Ma ora, secondo Mauro, le cose starebbero cambiando, grazie al nuovo Presidente della CEI, Cardinale Bagnasco, e all’impronta data dal nuovo Segretario di Stato, che ha voluto riprendere in mano il rapporto con le istituzioni e la politica italiana. Segno di tale mutamento sarebbero le bacchettate all’Osservatore Romano, che ha recentemente pubblicato un articolo di Lucetta Scaraffia, autorevole rappresentante di Scienza e Vita e componente del Comitato nazionale di Bioetica, nel quale si rimettevano in discussione i criteri di accertamento del decesso, attraverso la morte cerebrale. Piccolo sintomo di significativi mutamenti.
Non so se l’episodio vada enfatizzato in questa misura e, soprattutto, se gli vada attribuito tanto recondito significato. Ma il punto centrale non è questo, e neppure le riflessioni in merito all’attuale e passata “politica ecclesiastica”. Più rilevante, e decisiva, è un’altra questione, che Mauro afferra, ma si limita poi a sfiorare e a lasciar subito sfiorire. Su quali registri si è sviluppata in Italia l’azione della Chiesa in questi anni, sul piano pastorale, educativo, ecclesiale, sociale, nonché su quello della legittima, e doverosa, presenza pubblica? Ci si è veramente limitati alla precettistica e al moralismo, quasi che l’accettazione di qualche regola trasformata in legge sarebbe stata pagata con gravi compromessi o dimenticanze al livello dell’unum necessarium? Non credo proprio: e per convincersi di questo basta rileggere gli interventi degli ultimi due Pontefici, del Cardinale Ruini e, visto che è stato citato, anche il costante e coerente insegnamento di Don Giussani su questo punto.
Se c’è un punto su cui la sottolineatura è chiarissima e insistita è proprio questo: il Cristianesimo non nasce da una teoria, da una dottrina particolarmente originale, coerente o avvincente; non deriva da una proposta astratta e articolata meramente al livello concettuale, ma da un incontro reale con una persona vivente, Cristo; da un coinvolgimento, esistenziale e globale, in un avvenimento che trasforma tutta la persona, anche sul piano ontologico. Ancora mercoledì scorso, durante l’udienza generale, Benedetto XVI, commentando la conversione di San Paolo, ha esplicitamente insistito su questo richiamo all’avvenimento fondante il Cristianesimo. E Don Giussani ha ripetutamente polemizzato contro il moralismo di quanti fanno dipendere il valore dell’annuncio cristiano solo e semplicemente dal comportamento retto di chi lo propone. Non che anche la coerenza non sia importante, ma non è il fattore decisivo.
Di qui non segue, però, che allora il Cristianesimo si riduca a vaghi echi sentimentalistici e intimistici, tutti da giocare nel privato della propria vita, senza alcun rilievo pubblico. Giacché l’ipotesi cristiana si verifica nella misura in cui risponde alle elementari e obiettive esigenze di ogni uomo, essa può sostenere un confronto fatto di onestà intellettuale, apertura d’animo e grandezza di cuore con quanti sono interessati alle domande fondamentali dell’esistenza, allo scopo di far riacquistare quel “gusto della vita”, che oggi sembra aver perso molto del suo originario sapore. Sicché, anche i rifiuti e i “no” sono detti non allo scopo di vietare o reprimere, ma per consentire la miglior fioritura di ciò che fa bella la vita, proprio come la potatura permette che un albero vigoreggi ed espanda le sue fronde. E quella verifica e quelle esigenze toccano l’esistenza in tutte le sue dimensioni, a tutti i livelli, anche quelli rilevanti per l’etica; ma all’origine non sta – questo è importante – il rispetto di astratti, ancorché nobili, precetti, bensì un cambiamento globale (ontologico), un avvenimento frutto di un incontro, che mobilita la persona, ne sorregge le azioni, la fa crescere e continuamente la migliora, nonostante le infinite cadute e incoerenze, la apre al paragone con la realtà e con le altre persone in un incessante, pubblico e amorevole dialogo: in cui non si dimenticano certo le doverose e legittime distinzioni, ma neppure si perpetuano indebite e schizofreniche separazioni.
L’Europa ha riconosciuto la via italiana all’integrazione (di Mario Mauro), www.ilsussidiario.net- martedì 9 settembre 2008.
La risoluzione promossa dalla sinistra italiana al Parlamento europeo che aveva fatto gridare allo scandalo, dipingendo il Ministro Maroni come xenofobo e discriminante, volta a sollecitare la Commissione europea a sanzionare l'operato del Governo, è stata rispedita al mittente dal Commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot. Inequivocabili infatti le parole del portavoce del Commissario, Michele Cercone: «Le misure prese dal governo italiano per far fronte all'emergenza dei nomadi non violano le norme dell'Unione europea».
Anche la raccolta delle impronte digitali «viene fatta solo al fine di identificare persone che non è possibile identificare in altro modo» ha aggiunto il portavoce di Barrot. Un sistema «valido in particolare per i minori nei confronti dei quali questi rilievi vengono effettuati solo nei casi strettamente necessari e come ultima possibilità di identificazione». La "buona cooperazione" tra le autorità italiane e Bruxelles, ha osservato ancora Cercone, ha consentito di verificare le linee dei provvedimenti presi e di «correggere tutte le misure che potevano dare luogo a contestazioni». Barrot continuerà a seguire il dossier prestando attenzione alle ulteriori informazioni che saranno fornite dall'Italia sull'applicazione delle misure prese e chiede di essere informato sullo svolgimento del censimento e dei suoi risultati.
Chi in Italia si è affrettato a gridare nei mesi scorsi “l'Europa boccia il decreto Maroni” prenda atto quindi che l'inutile gazzarra sollevata al Parlamento europeo nei mesi scorsi altro esito non ha ottenuto che arrivare a far considerare un esempio da imitare i provvedimenti posti in essere dal Governo italiano sulla questione Rom.
Il Parlamento europeo invierà il prossimo 18 settembre una missione a Roma per valutare sul campo le misure prese dal governo per affrontare l'emergenza nomadi.
Massima è quindi la collaborazione tra Governo italiano e Unione europea su un tema che ha da sempre grandissimo impatto sull'opinione pubblica. Il censimento di Maroni ha già dato importanti indicazioni, a cominciare dal preoccupante dato sulla dispersione scolastica all'interno dei campi Rom, che raggiunge anche l'80%. In questo senso sono arrivati commenti positivi addirittura dall'Unicef, in particolare per quanto riguarda i piani di scolarizzazione confermati da Maroni, che ambiscono ad aumentare considerevolmente la percentuale dei bambini in età scolare che frequenta la scuola dell'obbligo, ferma al 30%.
Restano allarmanti anche le condizioni sanitarie dei campi. Bruxelles ha apprezzato la cooperazione tra le autorità italiane da una parte, la Croce Rossa e l’Unicef dall’altra, per l’attuazione delle linee guida assegnate ai prefetti commissari delle regioni Lombardia, Lazio e Campania.
Solo prendendo coscienza della reale situazione di questi popoli, agevolando la massima inclusione nel sistema e soprattutto solo conoscendo chi sono e quanti sono potremo aiutarli a migliorare le loro condizioni di vita. L'Europa ha riconosciuto che le possibilità di integrazione nella civiltà europea delle popolazioni nomadi sono molto basse, e non solo per la resistenza degli stessi Rom all'integrazione, ma per le difficoltà concrete, essendo nomadi, di trovare lavoro, casa, di essere ammessi a scuola. Ha riconosciuto quindi che il censimento voluto dal Ministro Maroni è l'unica via possibile, così come le impronte digitali diventano indispensabili nei casi più estremi. Ha riconosciuto che l'urgenza di alzare l'aspettativa di vita media di un nomade, ferma a 45 anni, contro gli oltre 79 anni del resto della popolazione.
Ho parlato pocanzi addirittura di esempio da imitare. Ma come è possibile, che in due mesi, il Governo italiano sia stato un po' fascista, poi molto razzista e infine sia diventato un esempio da imitare?
È stato possibile grazie ad una nemmeno troppo abile macchinazione ideologica della sinistra al Parlamento europeo che ha costruito una Risoluzione ad hoc basata sull'equivoco e sulla disinformazione dei cittadini. Campagna disinformativa che è stata alimentata anche dai principali giornali italiani, che hanno promosso a “Europa” quello che è soltanto una parte dell'organo legislativo, il Parlamento, a cui non spetta trarre conclusioni sull'operato di un Governo. L'Italia è un esempio da imitare perchè è il pioniere di una reale volontà di integrazione delle popolazioni Rom, siamo i primi ad usare tali misure censitorie, siamo i primi a non avere avuto paura di confrontarci concretamente con una realtà problematica e soprattutto gli unici che abbiano il reale desiderio di cambiarla senza rinunciare a coniugare accoglienza e legalità.
9 settembre 2008, Armiamoci di tanta sapienza, Perché è condannabile la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma è lecito volere il testamento biologico, di Vito Mancuso, dal Foglio.it
La partecipazione al Festival della Mente di Sarzana, in un pubblico dibattito con Remo Bodei e Armando Massarenti sulla ricerca scientifica e il ruolo del pensiero (con particolare riferimento alle cellule staminali alla luce del nuovo libro di Massarenti, Staminalia. Le cellule “etiche” e i nemici della ricerca, Guanda 2008), mi ha condotto ad alcune riflessioni che hanno dato origine a questo articolo le cui tesi sono tre: 1) la più alta produzione della mente è la sapienza; 2) la sapienza si esprime al meglio come rispetto per la vita; 3) gli embrioni, in quanto forma di vita umana, vanno tutelati e protetti, e la loro soppressione al fine di prelevarne le cellule staminali non può che risultare eticamente condannabile.
Inizio col dire che, essendo stato invitato a “festeggiare la mente”, mi sono chiesto anzitutto qual è la più alta produzione della mente. Preciso che io condivido l’assunto di molte filosofie e di molte religioni secondo cui la vita della mente è il livello più alto di ciò che chiamiamo vita umana. Tutto parte e tutto torna lì, alla mente. Vi sono filosofi che hanno consacrato la loro intera attività al compito di indagare la mente, a quel fenomeno che porta l’essere umano a poter dire “io”, non solo avendo coscienza di sé come corpo (proprietà che posseggono anche gli animali) ma avendo autocoscienza di sé come spirito libero.
Oggi fioriscono sempre più studi e pubblicazioni su ciò che ormai in modo consolidato si chiama “filosofia della mente”, il cui compito consiste nel mettere a fuoco il nesso centralissimo, e tutt’altro che chiaro, di cervello-mente-coscienza, decisivo per il problema del libero arbitrio e dell’anima spirituale. Ma anche per la religione, non solo per la filosofia, la disciplina e il controllo della mente giocano un ruolo di primo piano. Il buddhismo si basa praticamente su questo, visto che la sua pratica per eccellenza, la meditazione, altro non è che un raffinatissimo esercizio della mente per aprirla verso la dimensione integrale dell’essere. E che altro è lo yoga indù se non una terapia della mente mediante il corpo? Anche nella tradizione cristiana la disciplina e il controllo della mente assumono un’importanza straordinaria, si pensi, per fare solo un nome, agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola. Sarebbe un errore ritenere che, siccome il valore più alto del cristianesimo è l’amore, il centro del cristianesimo abbia a che fare non con la mente ma col cuore, visto che dicendo “cuore” non si intende certo l’anonimo muscolo cardiaco ma una particolare e delicatissima disposizione della mente.
Alla luce di ciò, ritorna la domanda su quale sia la più alta produzione della mente, ovvero, vista la centralità della mente per l’integralità della vita, su quale sia il valore più alto verso cui l’azione dell’uomo debba tendere. Di solito si associa la mente alla conoscenza, così che la risposta dei più consiste nel dire che è la conoscenza il più grande valore della mente, e quindi della vita dell’uomo. Io, al contrario, ritengo che la più alta produzione della mente non sia la conoscenza. E ciò almeno per due motivi: 1) perché l’utilizzo della conoscenza richiede un valore più alto della conoscenza stessa, una luce che l’indirizzi, altrimenti la conoscenza può diventare pericolosa, persino nociva; 2) perché la conoscenza è senza fondo, e nessuno che conosca davvero qualcosa sente di poter dire di conoscere fino in fondo, non dico il tutto, ma anche solo la materia di sua competenza; anzi quanto più si avanza lungo il sentiero della conoscenza, tanto più ci si rende conto di “sapere di non sapere” (Socrate), di finire in una specie di zona grigia denominata “dotta ignoranza” (Nicolò Cusano). La vera conoscenza, quindi, rimanda oltre se stessa.
Da ciò consegue che la produzione più alta della mente non è la conoscenza. Qual è? Io ritengo che sia la sapienza, la quale presuppone la conoscenza, ma la supera. La sapienza è ciò che consente l’utilizzo virtuoso del potere della conoscenza. Il valore più alto non è la gnosis, ma è la phronesis, da intendersi come sapienza ordinatrice, in grado di creare armonia, dove la dimensione cognitiva si unisce alla dimensione volitiva, dove l’intelletto si sposa con la volontà, producendo l’atto integrale di chi sa come indirizzare il suo sapere, e che la filosofia greca chiama anche sophia. Non è un caso che il greco antico (la lingua del popolo che più di ogni altro in occidente ha coltivato la vita della mente, e a cui noi dobbiamo ancora tantissimo) colleghi in modo diretto la mente (phren) alla sapienza (phronesis). Il più alto prodotto della mente, a mio avviso, non è la conoscenza, non è la “gaia scienza”, non è la gnosi, ma è la sapienza, cioè l’uso armonico, ordinato, giusto, della conoscenza acquisita, e la forma più alta di tale uso si chiama “amore”.
Ora una citazione: “Dovremmo stare attenti a non fare dell’intelletto il nostro dio; esso ha, naturalmente, muscoli possenti, ma non è dotato di alcuna personalità. Non può guidare, può solo servire; e non è esigente nella sua scelta di un capo. Questa caratteristica si riflette nella qualità dei suoi sacerdoti, gli intellettuali. L’intelletto ha la vista lunga in fatto di metodi e strumenti, ma è cieco rispetto a fini e valori… Il fattore più importante nel dare forma alla nostra esistenza umana è individuare e fissare una meta”. Quale? Il testo risponde: “Una società di esseri umani liberi e felici che si prodighino con costante sforzo interiore per liberarsi dal retaggio degli istinti antisociali e distruttivi”. L’autore è Albert Einstein, con parole tratte da un breve testo intitolato “Il fine dell’esistenza umana” e scritto per una trasmissione radiofonica dell’11 aprile 1943 (ora in Pensieri, idee, opinioni, tr. it. di Lucio Angelici, Newton, Roma 2006, pag. 221). Il più grande scienziato del ’900 afferma (attenzione, nel 1943!) il primato della sapienza rispetto alla conoscenza, il primato di quella dimensione della mente che sa guidare l’intelletto nel darsi una meta e lavorare per essa, il primato dell’eghemonikòn, come Marco Aurelio chiamava tale dimensione della vita della mente. Einstein indica anche quale deve essere tale meta: la liberazione dagli istinti antisociali e distruttivi (è chiaro, siamo nel 1943; ma chiedo a chi sappia guardare il mondo in modo non superficiale: quando non siamo nel 1943?). La nostra mente conseguirà la più alta realizzazione quando metterà la sua conoscenza, piccola o grande che sia a seconda del quoziente intellettivo con cui siamo nati (e che non è merito nostro) e della possibilità di sfruttarlo al meglio mediante l’educazione ricevuta (che neppure è merito nostro), a servizio dell’armonia con gli altri esseri umani. Qui si gioca il merito e il valore di un uomo.
Tale primato della sapienza rispetto alla conoscenza io lo riscontro negli incontri che faccio. Gli uomini migliori che conosco non sono gli eruditi, non sono nemmeno gli ignoranti: sono i sapienti, gli uomini equilibrati, in pace con se stessi e col mondo, ai quali senti che ti puoi appoggiare perché sanno stare in piedi da sé, sono giunti a dominare la propria solitudine. Un uomo così può essere tanto, o poco, o per nulla colto, ma comunque “sa”, nel senso che possiede l’arte del vivere, sa che essa consiste nell’equilibrio. La mente è chiamata a raggiungere l’equilibrio e l’armonia, di cui l’amore per gli altri e per il creato è il punto più alto. Questa è, a mio avviso, la più alta produzione della vita della mente.
Ora provo a concretizzare il discorso condotto finora per giungere a qualche considerazione sulle cellule staminali. Ovviamente non c’è sapienza finalizzata alla vita, senza conoscenza della vita. Occorre conoscere la vita, per avere una sapienza della vita. E la domanda è: che cos’è la vita? Dato che la conoscenza completa di un oggetto corrisponde alla conoscenza delle sue cause, e dato che nessuno conosce in pienezza la causa della vita (non solo nel senso di origine, ma anche nel senso di fine), dobbiamo dire che non conosciamo in pienezza la vita. Ovvero non conosciamo in pienezza noi stessi. Sia come sia, però, ciò che tutti sono chiamati a riconoscere è che la vita è un fenomeno incredibilmente complesso, così improbabile che ha dello stupefacente non appena lo si consideri con un po’ di attenzione. Sapendo questo, si giunge a mio avviso a ciò che costituisce il punto fondamentale della vera sapienza, che io designo come “rispetto per la vita”. Si tratta di un dato che, più o meno accentuato, si ritrova in tutte le tradizioni spirituali dell’umanità, sia in quanto religioni sia in quanto filosofie.
Mi sembra quindi lecito ricavare una massima morale universale, innata in ogni natura umana in quanto natura pensante: “Non uccidere l’innocente”. Non semplicemente “non uccidere”, perché al riguardo sappiamo bene quante eccezioni vi possano essere, dalla legittima difesa, alla guerra, al diritto penale. Ma piuttosto: non uccidere l’innocente. Qui mi sembra di poter individuare un fondamento morale universale, nella linea di quanto suggerisce Marc Hauser, neuroscienziato, docente a Harvard di biologia evolutiva, che è giunto alla conclusione che gli uomini condividono gli stessi istinti morali e che l’etica è in noi come una specie di grammatica universale. La norma “non uccidere l’innocente” traduce infatti la cosiddetta regola d’oro presente a sua volta in tutte le grandi tradizioni spirituali dell’umanità e che recita “non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te”. E che cosa vuole prima di tutto un essere vivente se non vivere? E quindi che cosa non vuole prima di tutto se non evitare di morire? Quindi il non uccidere si riallaccia a questa tensione etica presente nell’umanità in quanto, appunto, umanità, e non semplice animalità (per quanto anche gli animali, a quanto ne so io, non uccidono gli innocenti, ma solo le loro fonti di sussistenza). E la cosa è logica, perché gli istinti morali non sono altro che l’espressione conscia della realtà primordiale a livello fisico, governata dalla logica della relazione armoniosa. Hauser non fa che confermare sperimentalmente quanto l’umanità nei suoi vertici spirituali ha sempre saputo.
In questa prospettiva l’ideale è la non-violenza integrale, il vivere senza uccidere, senza sopprimere altra vita. Purtroppo, però, non è possibile: anche chi diventa vegetariano, non può impedire che per avere i prodotti agricoli si uccidano altre forme di vita animale e vegetale che li minacciano, né che il suo sistema immunitario sia all’opera ogni momento per uccidere intrusioni pericolose. Ciononostante è lì, nella non-violenza integrale, che possiamo e dobbiamo tendere, favorendo sempre più il rispetto per la vita. Perché? Perché la logica intrinseca al nostro organismo è la relazione armoniosa, sia tra le diverse componenti dell’essere (dalle particelle subatomiche agli organi) sia tra noi e le forme di vita non umane che vivono nel nostro organismo, senza le quali l’organismo sarebbe in grossa difficoltà (è noto che solamente nel nostro intestino vi sono microrganismi per un numero dieci volte superiore al totale delle cellule del nostro corpo).
Da qui, alla luce del principio base “non uccidere l’innocente”, è possibile giungere all’elencazione di alcuni contenuti minimi a livello di bioetica su cui la ragione che opera in una società plurale e frammentata si può ritrovare. Li presento secondo la formulazione che risale a un gruppo di filosofi, cattolici e laici, in un documento datato 20 settembre 2007: 1) il diritto all’integrità; 2) il diritto alle cure; 3) il diritto di rifiutare le cure (secondo l’art. 32 della Costituzione italiana e l’art. 5 della Convenzione europea di bioetica di Oviedo).
Questi tre principi mi sembra siano attraversati da una distinzione fondamentale tra vita propria e vita altrui. Per essere più concreto. Io dico sì al testamento biologico, al fatto cioè che un uomo liberamente disponga del suo morire rifiutando le cure che gli appaiono lesive della sua libertà; dico invece no alla manipolazione degli embrioni per estrarne cellule staminali, anche se si tratta di intervenire sul blastocisti che, secondo alcuni, non è ancora embrione (ma che embrione diventerà se lo si lascia tranquillo solo qualche giorno). Il diritto all’integrità non è altro che la versione positiva della norma universale “non uccidere l’innocente”.
Ma forse, a soli dieci anni dall’isolamento delle cellule staminali, questo problema si può considerare per fortuna già sulla via del tramonto, grazie al fatto che uno scienziato giapponese, Shinya Yamanaka, ha scoperto ormai più di un anno fa come far regredire alcune cellule della pelle allo stato di staminali multipotenti, del tutto simili, dicono, a quelle embrionali. Le grandi possibilità terapeutiche delle staminali embrionali nel campo delle malattie degenerative potrebbero essere così ottenute senza il sacrificio di nessun embrione umano. C’è chi parla di un Premio Nobel a Yamanaka se le sue scoperte dovessero essere definitivamente confermate. Viste le problematiche etiche al riguardo, io di Nobel gliene darei due, uno per la Medicina e uno per la Pace.
di Vito Mancuso
AL DI LÀ DEI PROVINCIALISMI - LA DIFFERENZA DEI CATTOLICI IN POLITICA, di FRANCESCO D’AGOSTINO, Avvenire, 9 settembre 2008
Le reazioni che hanno suscitato le dense ed intense esortazioni pronunciate dal Papa in Sardegna sono un’ennesima conferma del provincialismo che purtroppo caratterizza l’orizzonte del dibattito politico italiano, per il quale ogni parola del Pontefice deve essere intesa in prima battuta come un monito, una sferzata, un incoraggiamento, insomma come un 'messaggio' indiretto ai politici cattolici italiani che militano (a seconda di chi le interpreta) nel centrodestra o nel centrosinistra.
Le cose non stanno così. Il Papa, rivolgendosi ai fedeli che ascoltavano la sua omelia, ha messo a fuoco due punti, la cui valenza va ben oltre quella dei confini del nostro Paese. Egli ha portato l’attenzione su problemi che concernono il mondo intero, come quelli del lavoro, dell’economia, della politica ed ha auspicato l’avvento di una nuova generazione di «laici cristiani impegnati», capaci di attivare una nuova spinta evangelizzatrice. Il contesto in cui queste parole sono state pronunciate è quello di una celebrazione eucaristica e, conseguentemente, queste parole vanno interpretate in un solo modo, cioè come esplicitamente e specificamente riferite a ciò che deve caratterizzare l’impegno dei cristiani nel mondo.
Ora, che cosa propriamente qualifica i cristiani che 'fanno politica'? Forse la particolare attenzione ad alcuni specifici ambiti di intervento, la predilezione nei confronti di alcune particolari pratiche sociali? No: non esiste campo di azione politica che non abbia assoluto rilievo per il cristiano, perché il suo compito è quello della promozione del bene umano in tutte le sue diverse estrinsecazioni. Sbagliano perciò, a mio avviso, coloro che pensano che il Papa, riferendosi al mondo del lavoro e dell’economia, volesse far riferimento a nuovi campi materiali di impegno politico per i cristiani. Il cuore della questione è un altro: è quello dello spirito che deve animare i cristiani che operano nel mondo del sociale. Se infatti, per quel che riguarda la materialità delle questioni politiche, può non esserci differenza alcuna tra l’impegno dei cristiani e quello dei non cristiani (e questo rende ragione di un fatto che sta sotto gli occhi di tutti, cioè della legittima presenza dei cristiani in diversi raggruppamenti politici), sul piano delle ragioni ultime di questo impegno la differenza tra cristiani e non cristiani non può non esserci e deve essere rilevata. Per i cristiani infatti l’impegno nella politica non si giustifica a partire dalla difesa di interessi ideologico-economici individualistici (come nel liberalismo) o di classe (come nel marxismo) e nemmeno dalla (pur legittima) tutela di tradizioni etniche e storiche (come nelle diverse forme del conservatorismo politico). Per il cristiano la comunità politica va tutelata, difesa e promossa, perché è l’immagine inadeguata, ma non irrilevante, di quella comunione fraterna, la cui pienezza si rivelerà e si manifesterà compiutamente solo alla fine dei tempi e della quale già fin da ora il cristiano, in fede, speranza e carità, è chiamato a dare testimonianza. Ecco perché al centro dell’appello del Papa non sta solo l’auspicio a che emerga nella società odierna una «nuova generazione di laici cristiani impegnati», ma quello per il quale questa «nuova generazione» sappia trovare le forze intellettuali e morali per «evangelizzare» il mondo del lavoro, dell’economia, della politica. Con queste parole il Papa non è tornato ad evocare «divisioni e steccati», come ha ritenuto a torto Aldo Schiavone, che pur si mostra consapevole della necessità che nel nostro mondo si costruisca una nuova «etica della cittadinanza ». In qualsiasi modo si voglia pensare una nuova etica della cittadinanza, essa di principio non potrà avere un carattere escludente.
Il cristianesimo, proprio perché sa che ogni uomo, ogni singolo uomo, è figlio del medesimo Dio e destinatario della medesima misericordia, non è certo una religione che possa predicare l’esclusione di alcuno: al contrario è l’unica forza che nella storia è stata capace di attivare (pur tra tanti errori e tanti peccati) autentiche forme di impegno, generose e gratuite, a favore di tutti, per la costruzione di un mondo misurato sui bisogni di ogni singolo uomo.
Il Papa, parlando sul sagrato del santuario di Nostra Signora di Bonaria, non ha dato ai cristiani direttive o precetti, ma li ha esortati a ricordare il fondamento evangelico dell’azione politica, cioè che la nostra fraternità dipende dal fatto che abbiamo un Padre comune.
DALL’ABORTO AL « SUICIDIO ASSISTITO » - La deriva di Zapatero. Alla faccia degli elettori, di LUIGI GENINAZZI, Avvenire, 9 settembre 2008
L’ ultimo colpo d’acceleratore di José Luis Zapatero supera la barriera della decenza, travolge con noncuranza obiezioni di carattere etico e resistenze della società civile e punta dritto ad un traguardo-choc: la proclamazione del diritto al suicidio, purché avvenga con il placet e l’aiuto dello Stato. Finora, anche in quei Paesi come l’Olanda ed il Belgio dove sono in vigore leggi sull’eutanasia, il dibattito su un tema così cruciale e delicato era sempre stato affrontato con un certo pudore, usando espressioni come 'dolce morte' e invocando la necessità di alleviare le sofferenze di un malato in fase terminale. In Spagna invece un esponente del governo socialista, per la prima volta, ne parla con cinica brutalità usando il termine scabroso di «suicidio assistito». Lo ha fatto il ministro della Sanità, Bernat Soria, un 'tecnico' del tutto in linea con l’ultra-laicismo imposto in questi anni da Zapatero. In un’intervista al quotidiano fiancheggiatore El Paìs
ha annunciato che molto presto verranno tolti gli ostacoli giuridici che impediscono il suicidio assistito. In questo modo un cittadino avrà il diritto di mettere fine alla propria vita anche se non si trova in una situazione terminale. «Il proprietario del tuo corpo sei tu, sei tu che prendi le decisioni: questo significa socialismo!», spiega l’ideologo Soria con buona pace dei padri fondatori di una dottrina politica finita nel solipsismo radicaleggiante degli epigoni spagnoli. Sei socialista? Prendi le decisioni che vuoi!
Così in effetti si comporta il governo socialista di Zapatero che con sommo disprezzo dei cittadini, a cominciare da chi l’ha votato, preannuncia provvedimenti legislativi riguardanti la vita e la morte che non apparivano nel programma elettorale del Psoe del marzo scorso. Incoerenza ed arroganza, che sia questa l’essenza del socialismo stile Zapatero? La macabra trovata del «suicidio assistito», prima di ogni considerazione etica, si rivela un vergognoso voltafaccia politico.
Lo stesso è successo per quanto riguarda l’aborto. Prima delle elezioni di marzo il premier socialista aveva promesso che non avrebbe cambiato la legge nel corso della futura legislatura. Ed invece giovedì scorso la vicepremier De la Vega ha annunciato che già nei prossimi mesi entrerà in vigore una nuova legislazione che permetterà alle donne di abortire entro le prime 16 settimane senza bisogno di alcuna giustificazione. Va di fretta Zapatero con i suoi provvedimenti ultrapermissivi, dal matrimonio omosessuale al divorzio express, dalla ricerca sulle staminali embrionali alla clonazione terapeutica che hanno segnato i suoi primi quattro anni di governo. Ed ora l’attacco decisivo sul fronte della vita, con la banalizzazione dell’aborto e la legalizzazione del suicidio assistito. Un nuovo, pesante affronto ai cattolici, hanno scritto molti commentatori. Ma qui c’è in gioco ben più di un contrasto tra Stato e Chiesa. Se i cattolici alzano la voce non è per difendere chissà quali privilegi ma per denunciare la deriva sociale e civile verso cui si muove la Spagna di Zapatero. È un’operazione col marchio del nichilismo, dove alla fine contano solo il desiderio del singolo e l’interesse di lobby agguerrite. La Spagna vive una pesante crisi economica, i sogni di gloria del primato iberico stanno rapidamente svanendo ed il governo socialista, come manovra diversiva, agita di nuovo la bandiera del laicismo. Ed incapace di garantire una vita più decente promette a tutti una 'buona' morte.
Digiuno e preghiera L’India si è fermata. DAL NOSTRO INVIATO A NEW DELHI, CLAUDIO MONICI, Avvenire, 9 settembre 2008
Q uaranta ore consecutive di preghiera per i cristiani perseguitati nello Stato indiano di Orissa. Quaranta ore di adorazione in tre lingue diverse, indi, malayalam e inglese, e digiuno «per i fratelli sotto attacco », di una Chiesa cattolica che contempla 22 riti, di cui 21 orientali. L’iniziativa è stata promossa da un gruppo di preghiera, il “Delhi charismatic renewal services”, che ha raccolto circa 300 fedeli delle quasi quaranta parrocchie di New Delhi che si sono radunati da venerdì sera a domenica mattina, nella sala delle assemblee della cattedrale del Sacro Cuore.
Poi, il “testimone”, come un’onda silenziosa, idealmente, è stato consegnato ai fratelli che nella speranza della pace e nel ricordo delle vittime, si sono inginocchiati in tutte le chiese cristiane del continente India. Da quelle bruciate del martoriato distretto di Kahandamal, nello Stato di Orissa, alla grande cattedrale rossa del «Santissimo Cuore di Gesù» a Delhi. Dove, come di consueto, si sono tenute sette messe domenicali: «Non c’è stato nulla di particolare, il rito domenicale non si cambia. Ma certo, le preghiere per i nostri cari fratelli che soffrono e che sono stati uccisi sono state molte di più del solito – racconta il parroco della cattedrale, padre Jannario Rebello –. C’era tanta e tanta gente. Ai fedeli abbiamo solo rivolto l’invito alla preghiera e soprattutto al digiuno. Gesti semplici, di partecipazione alla sofferenza. Non c’è bisogno di gridare».
Erano numerosi i fedeli in ginocchio, indifferenti al caldo torrido che sfiorava i quaranta gradi, accompagnato da un faticoso tasso di umidità che soffocava il respiro e inzuppava gli abiti, nonostante i ventilatori al soffitto girassero a pieno regime. L’iniziativa è stata promossa dalla Conferenza episcopale indiana, per volontà del cardinale Varkey Vithayathil, arcivescovo maggiore dell’arcidiocesi di Ernakulam-Angamaly, di rito siro-malabarese. La frase che più è riecheggiata, sotto le volte delle chiese indiane, è stata: «Solidarietà e giustizia per le vittime». E per «questo il cardinale Varkey Vithayathil ha voluto invitate di nuovo i fedeli alla preghiera e al digiuno – ci spiega padre George Manimala, vicario episcopale delle Chiese Orientali –.
I cristiani in Orissa hanno tanta paura e la situazione resta difficile. I fondamentalisti hanno creato questa condizione di violenza per impedire la libera scelta nella fede. Contro ogni dignità e i diritti dell’uomo. Uccidendo e distruggendo. Certo, dietro quanto accade in Orissa ci sono anche ragioni economiche, sociali e politiche. Ma il principio è andare contro la fede cristiana, perché, dicono i fondamentalisti, è contro la nazione indù, è contro l’India».
«Ovunque hanno potuto, i cristiani di tutte le confessioni, hanno pregato e digiunato, invocando la pace in Orissa. Abbiamo avuto conferma di una grande partecipazione – racconta invece il portavoce della Conferenza episcopale indiana, padre Babu –. Le chiese sono sta affollate per tutto il giorno e in qualche caso, in alcune città, ci sono stati anche dei momenti di preghiera per le strade e cortei del silenzio». L’attenzione era tutta rivolta in Orissa, per il timore di incidenti e provocazioni: «Tutto è andato per il verso giusto, non ci sono state violenze. Anche grazie al dispiegamento di polizia a protezione degli edifici religiosi. A Bhubaneswar, nella capitale dell’Orissa – spiega ancora padre Babu –. c’è stato anche un meeting interreligioso, tra cristiani e indù, organizzato per rilanciare la volontà di dire no alla violenza contro l’essere umano, nel rispetto delle fedi. Nel distretto di Kahandamal, dove la situazione è più grave, non abbiamo avuto notizie di disordini, ma la situazione rimane molto tesa e grave. Migliaia di cristiani soffrono nei campi profughi allestiti dalle autorità. In certi casi subiscono minacce o intimidazioni. Ma la Chiesa non li abbandonerà, anche se le missioni di solidarietà non sono ancora possibili, perché quelle zone restano insicure e gli attacchi dei gruppi estremisti possono avvenire in ogni momento».
Anche nello Stato dell’Orissa c’è stata una massiccia adesione e non si sono registrati scontri. «La situazione resta tesa, soprattutto nei campi profughi»
Scola: san Pio X praticò le virtù del Buon Pastore, DA CASTELFRANCO VENETO, FRANCESCO DAL MAS, Avvenire, 9 settembre 2008
Il compito del cristiano? Comunicare, «in modo convincente », il «bell’amore». È l’impegno richiamato ancora una volta dal cardinale Angelo Scola attualizzando il messaggio di san Pio X, che nel 150° anniversario di ordinazione sacerdotale «continua a parlarci, a chiamarci in causa, a pro-vocarci». Solenne la concelebrazione presieduta, domenica scorsa, dal patriarca di Venezia, nel Duomo di Castelfranco Veneto ( Treviso), con il vescovo di Treviso Andrea Bruno Mazzocato e numerosi sacerdoti.
Alla liturgia è seguita una cerimonia al Teatro Accademico. EI videnziando le peculiarità della figura e dell’opera pastorale di Giuseppe Sarto, Scola ha sottolineato che «il cristiano deve stare nella realtà abbracciandola tutta intera con umile positività». «Le questioni scottanti che agitano la nostra società post-secolare, la verità dell’amore, del matrimonio e della famiglia, la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, la giustizia, la pace, la fame, la miseria, le strabilianti scoperte scientifiche, la custodia della terra, i problemi dell’immigrazione e quelli della giusta istanza di sicurezza debbono incontrare un cristiano protagonista non perché teso all’affermazione di sé, e tantomeno a quella della Chiesa, ma perché, abbandonandosi all’amore del Buon Pastore, comunica, in modo convincente, il bell’amore – ha rilevato Scola –. Infatti Cristo ci ha amati per primo e questo ci fa testimoni, umili ma coraggiosi e tenaci. A tutti i nostri fratelli uomini, nessuno escluso, noi offriamo l’intensa esperienza umana che la vita della comunità cristiana ci regala».
La celebrazione presieduta a Castelfranco da Scola, rinnova cent’anni dopo il gesto analogo compiuto dal beato vescovo Andrea Giacinto Longhin e ripreso dal beato Giovanni XXIII nel 1958, per far memoria di un santo che «ancor oggi ci muove e ci commuove» perché «la sorgente della sua carità pastorale sta nel primato di Dio come supremo inter-esse della propria vita». «Se Dio è ciò che mi inter-essa – ha proseguito il cardinale – allora il nesso intrinseco tra l’annuncio del Vangelo ed il dono totale di sé diventa per l’uomo l’esaltante strada della riuscita, della santità. Ed il pastore, quale fu san Pio X, diventa padre». Scola, dopo aver ricordato che «nella sua poliedrica azione pastorale il Sarto praticò alla lettera le virtù del Buon Pastore, che passa in rassegna le sue pecore una ad una avendo per ciascuna una cura particolare», ha osservato che «in san Pio X l’essere padre, pastore e maestro si fonda nell’Eucaristia, autentico fulcro dell’azione pastorale e magisteriale». Ed è proprio da qui, dalla progressiva e paziente immedesimazione del discepolo col maestro, che – ha concluso il patriarca – viene la santità di ogni cristiano. «San Pio X è nel cuore della Chiesa e della popolazione trevigiana – aveva detto monsignor Mazzocato dando il benvenuto al patriarca –. La sua figura di pastore ci è familiare perché ha incarnato a livelli di santità la tradizione pastorale che ha caratterizzato e tuttora caratterizza l’azione sacerdoti e di tutta la diocesi di Treviso. Le radici della sua spiritualità, che ha animato la Chiesa universale, le ritroviamo tra noi, nelle nostre parrocchie e famiglie. Per questi motivi, papa Sarto è per noi un esempio vivo e vicino che ci orienta e un intercessore a cui siamo legati da un particolare rapporto di amore ». Dopo la concelebrazione, il Teatro Accademico ha ospitato un momento culturale durante il quale sono intervenuti, oltre al patriarca Scola e al vescovo Mazzocato, i sindaci di Castelfranco Maria Gomierato e di Riese, terra natale di Pio X, Gianluigi Contarin. Domani una delegazione di Riese Pio X e Castelfranco parteciperà all’udienza generale del Papa, mentre il 19 settembre, a Riese, è in programma una celebrazione presieduta dal vescovo di Città di Castello monsignor Domenico Cancian, per ricordare la prima messa di don Sarto.