Nella rassegna stampa di oggi:
1) 21/09/2008 12:29 – VATICANO - Papa: appelli per le vittime dei cicloni nei Carabi e ai leader mondiali per sconfiggere la povertà
2) L'esempio dell'apostolo indicato da Benedetto XVI ai nuovi vescovi nelle terre di missione - Come san Paolo di fronte a persecuzioni e violenze - "Non abbiate paura" davanti "ai venti della scristianizzazione, dell'indifferentismo, della secolarizzazione"; non temete "la persecuzione e gli attacchi violenti", ma "lasciatevi ispirare da san Paolo che ha sofferto per le stesse cause". È la raccomandazione di Benedetto XVI ai vescovi ordinati negli ultimi due anni, riuniti a Roma per il convegno organizzato dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo, nella mattina di sabato 20. Questo il discorso del Papa.
3) Il Papa ai partecipanti al congresso internazionale della Confederazione benedettina - Dall'esperienza monastica nuovi percorsi di evangelizzazione - "Custodi del patrimonio di una spiritualità radicalmente ancorata al Vangelo" i monasteri benedettini svolgono un'importante opera culturale e formativa "specialmente in favore delle giovani generazioni". Lo ha detto il Papa ai partecipanti al congresso internazionale della Confederazione benedettina, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Pontificio, sabato mattina, 20 settembre.
4) La Conferenza episcopale chiede una nuova regolamentazione in campo sanitario - I vescovi degli Stati Uniti e l'obiezione di coscienza, L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008
5) Oggi nelle piazze italiane Barbera contro la Sla - Quelli che non fanno finta di essere sani - Mario Melazzini e i cinquemila italiani che non smettono di aver voglia di vivere, dal Foglio.it
6) PERCHÉ L’EUROPA TACE ANCORA? - CRISTIANOFOBIA INGERENZA UMANITARIA. SUBITO - LUIGI GENINAZZI
7) UN INEDITO DI MARIO LUZI SUL POETA E SACERDOTE Una poesia religiosa intessuta di dolore. - Quasi una preghiera: così il grande poeta fiorentino legge i suoi ultimi versi. Aveva ragione Montale: sembrava una figura del Greco - Rebora Vera lirica anche dopo la conversione
21/09/2008 12:29 – VATICANO - Papa: appelli per le vittime dei cicloni nei Carabi e ai leader mondiali per sconfiggere la povertà
Prima dell’Angelus Benedetto XVI commenta il vangelo del giorno e sottolinea la felicità nell’essere “operai nella vigna del Signore”. E cita san Matteo, san Paolo e se stesso.
Castel Gandolfo (AsiaNews) – Benedetto XVI ha lanciato un appello e una preghiera per le vittime dei cicloni nei Caraibi perché “giungano prontamente i soccorsi nelle zone maggiormente danneggiate”. Dopo la preghiera dell’Angelus di oggi egli ha anche rivolto un invito ai leader mondiali perché si applichino a “sradicare la povertà estrema, la fame, l’ignoranza e il flagello delle pandemie, che colpiscono soprattutto i più vulnerabili”, in occasione dell’Assemblea dell’Onu il 25 settembre prossimo.
Ricordando i disastri portati dai cicloni Fay, Gustav , Hanna e Ike ai popoli di Haiti, Cuba, Repubblica Dominicana e Texas (Usa), egli ha detto “Vorrei nuovamente assicurare a tutte quelle care popolazioni il mio speciale ricordo nella preghiera. Auspico, inoltre, che giungano prontamente i soccorsi nelle zone maggiormente danneggiate. Voglia il Signore che, almeno in queste circostanze, solidarietà e fraternità prevalgano su ogni altra ragione”.
L’invito ai leader mondiali ad impegnarsi contro la povertà, avviene qualche giorno prima della 63.ma sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, il prossimo, 25 settembre a New York. L’incontro dovrebbe verificare il compimento degli obiettivi stabiliti nella Dichiarazione del Millennio, l’8 settembre 2000. Rivolgendosi ai “leaders di tutti i Paesi del mondo”, il pontefice ha chiesto che “si prendano e si applichino con coraggio le misure necessarie per sradicare la povertà estrema, la fame, l’ignoranza e il flagello delle pandemie, che colpiscono soprattutto i più vulnerabili. Un tale impegno, pur esigendo in questi momenti di difficoltà economiche mondiali particolari sacrifici, non mancherà di produrre importanti benefici sia per lo sviluppo delle Nazioni che hanno bisogno di aiuto dall’estero sia per la pace e il benessere dell’intero pianeta”.
La riflessione prima della preghiera mariana, nel cortile di Castel Gandolfo, era dedicata al commento del vangelo della domenica di oggi, XXV durante l’anno, che presenta “la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna” (Mt 20,1-16a).
“Un primo messaggio di questa parabola – ha spiegato il papa - sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione: vuole che tutti siano impegnati nella sua vigna. E in realtà l’essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore, mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Ma lo capisce solo chi ama il Signore e il suo Regno; chi invece lavora unicamente per la paga non si accorgerà mai del valore di questo inestimabile tesoro”.
Benedetto XVI elenca fra gli “operai della vigna” san Matteo, di cui oggi è la festa liturgica: “Prima che Gesù lo chiamasse – ha detto il pontefice - faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla ‘vigna del Signore’. Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: ‘Seguimi’. Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò immediatamente discepolo di Cristo. Da ‘ultimo’ si trovò ‘primo’, grazie alla logica di Dio, che – per nostra fortuna! – è diversa da quella del mondo”.
Un altro “operaio” è san Paolo: “Anche san Paolo, del quale stiamo celebrando un particolare Anno giubilare, ha sperimentato la gioia di sentirsi chiamato dal Signore a lavorare nella sua vigna. E quanto lavoro ha compiuto! Ma, come egli stesso confessa, è stata la grazia di Dio a operare in lui, quella grazia che da persecutore della Chiesa lo trasformò in apostolo delle genti. Tanto da fargli dire: ‘Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno’. Subito però aggiunge: ‘Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere’ (Fil 1,21-22). Paolo ha compreso bene che operare per il Signore è già su questa terra una ricompensa”.
Benedetto XVI non dimentica se stesso e ricorda che proprio alla messa del giorno della sua elezione, in san Pietro, “mi venne spontaneo presentarmi come un operaio della vigna del Signore”.
Alla fine del raduno il papa ha salutato i pellegrini in diverse lingue. I gruppi presenti lo hanno intrattenuto con canti in tedesco, spagnolo, italiano.
L'esempio dell'apostolo indicato da Benedetto XVI ai nuovi vescovi nelle terre di missione - Come san Paolo di fronte a persecuzioni e violenze - "Non abbiate paura" davanti "ai venti della scristianizzazione, dell'indifferentismo, della secolarizzazione"; non temete "la persecuzione e gli attacchi violenti", ma "lasciatevi ispirare da san Paolo che ha sofferto per le stesse cause". È la raccomandazione di Benedetto XVI ai vescovi ordinati negli ultimi due anni, riuniti a Roma per il convegno organizzato dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo, nella mattina di sabato 20. Questo il discorso del Papa.
Carissimi Fratelli nell'Episcopato!
Vi accolgo con gioia in occasione del Seminario di aggiornamento promosso dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Ringrazio sentitamente per il fraterno saluto che mi è stato rivolto dal Prefetto, il Signor Cardinale Ivan Dias, a nome di tutti voi. Il Convegno a cui partecipate si situa nel corso dell'Anno Paolino, che stiamo celebrando in tutta la Chiesa con l'intento di approfondire la conoscenza dello spirito missionario e della personalità carismatica di san Paolo, da tutti considerato il grande Apostolo delle genti.
Sono certo che lo spirito di questo "maestro delle genti nella fede e nella verità" (1 Tm 2, 7; cfr. 2 Tm 1, 11) si è fatto presente nella vostra preghiera, nelle vostre riflessioni e condivisioni, e non mancherà di illuminare e di arricchire il vostro ministero pastorale ed episcopale. Nell'omelia per l'inaugurazione dell'Anno Paolino, commentando l'espressione "maestro delle genti", osservavo come questa parola si apra sul futuro, proiettando l'animo dell'Apostolo verso tutti i popoli e tutte le generazioni. Paolo non è per noi semplicemente una figura del passato, che ricordiamo con venerazione. Egli è anche il nostro maestro, è l'apostolo e il banditore di Gesù Cristo anche per noi. Sì, egli è il nostro maestro e da lui dobbiamo imparare a guardare con simpatia i popoli ai quali siamo inviati. Da lui dobbiamo anche imparare a cercare in Cristo la luce e la grazia per annunciare oggi la Buona Novella; al suo esempio dobbiamo rifarci per essere instancabili nel percorrere i sentieri umani e geografici del mondo odierno, portando il Cristo a quelli che Gli hanno già aperto il cuore e a quelli che non Lo hanno ancora conosciuto.
La vostra vita di Pastori per molti aspetti rassomiglia a quella dell'apostolo Paolo. Spesso il campo del vostro lavoro pastorale è molto vasto ed estremamente difficile e complesso. Geograficamente, le vostre Diocesi sono, per la maggior parte, molto estese e non di rado prive di vie e di mezzi di comunicazione. Ciò rende difficile il raggiungimento dei fedeli più lontani dal centro delle vostre comunità diocesane. Per di più, sulle vostre società, come altrove, si abbatte con sempre maggiore violenza il vento della scristianizzazione, dell'indifferentismo religioso, della secolarizzazione e della relativizzazione dei valori. Ciò crea un ambiente di fronte al quale le armi della predicazione possono apparire, come nel caso di Paolo ad Atene, prive della forza necessaria. In molte regioni i cattolici sono una minoranza, a volte anche esigua. Ciò vi impegna a confrontarvi con altre religioni ben più forti e non sempre accoglienti nei vostri confronti. Non mancano, infine, situazioni in cui, come Pastori, dovete difendere i vostri fedeli di fronte alla persecuzione e ad attacchi violenti.
Non abbiate paura e non vi scoraggiate per tutti questi inconvenienti, a volte anche pesanti, ma lasciatevi consigliare ed ispirare da san Paolo che dovette soffrire molto per le stesse cause, come apprendiamo dalla sua Seconda Lettera ai Corinzi. Nel percorrere i mari e le terre, egli subì persecuzioni, flagellazioni ed anche la lapidazione; affrontò i pericoli dei viaggi, la fame, la sete, frequenti digiuni, freddo e nudità, lavorò senza stancarsi vivendo fino in fondo la preoccupazione per tutte le Chiese (cfr. 2 Cor 11, 24ss). Egli non sfuggiva le difficoltà e le sofferenze, perché era ben conscio che esse fanno parte della croce che da cristiani bisogna portare ogni giorno. Capì fino in fondo la condizione a cui la chiamata di Cristo espone il discepolo: "Chi vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16, 24). Per tale motivo raccomandava al figlio spirituale e discepolo Timoteo: "Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo" (2 Tm 1, 8), indicando in questo modo che l'evangelizzazione ed il suo successo passano attraverso la croce e la sofferenza. Dice ad ognuno di noi: "Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo". La sofferenza unisce a Cristo ed ai fratelli ed esprime la pienezza dell'amore, la cui fonte e prova suprema è la stessa croce di Cristo.
Paolo era giunto a questa convinzione a seguito dell'esperienza delle persecuzioni che aveva dovuto affrontare nella predicazione del Vangelo; ma aveva scoperto per quella via la ricchezza dell'amore di Cristo e la verità della sua missione di Apostolo. Nell'omelia dell'inaugurazione dell'Anno Paolino dicevo in proposito: "La verità che aveva sperimentato nell'incontro con il Risorto ben meritava per lui la lotta, la persecuzione, la sofferenza. Ma ciò che lo motivava nel più profondo, era l'essere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore". Sì, Paolo fu un uomo "conquistato" (Fil 3, 12) dall'amore di Cristo e tutto il suo operare e soffrire si spiega solo a partire da questo centro.
Carissimi Fratelli nell'Episcopato! Siete all'inizio del vostro ministero episcopale. Non esitate a ricorrere a questo potente maestro dell'evangelizzazione, imparando da lui come amare Cristo, come sacrificarvi nel servizio degli altri, come identificarvi con i popoli in mezzo ai quali siete chiamati a predicare il Vangelo, come proclamare e testimoniare la sua presenza di Risorto. Sono lezioni per il cui apprendimento è indispensabile invocare con insistenza l'aiuto della grazia di Cristo. A tale grazia Paolo fa costantemente appello nelle sue Lettere. Voi che, come successori degli Apostoli, siete i continuatori della missione di Paolo nel portare il Vangelo alle genti, sappiate ispirarvi a lui nel comprendere la vostra vocazione in stretta dipendenza dalla luce dello Spirito di Cristo. Egli vi guiderà sulle strade spesso impervie, ma sempre appassionanti, della nuova evangelizzazione. Vi accompagno nella vostra missione pastorale con la mia preghiera e con un'affettuosa Benedizione Apostolica, che imparto ad ognuno di voi e a tutti i fedeli delle vostre Comunità cristiane.
(©L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008)
Il Papa ai partecipanti al congresso internazionale della Confederazione benedettina - Dall'esperienza monastica nuovi percorsi di evangelizzazione - "Custodi del patrimonio di una spiritualità radicalmente ancorata al Vangelo" i monasteri benedettini svolgono un'importante opera culturale e formativa "specialmente in favore delle giovani generazioni". Lo ha detto il Papa ai partecipanti al congresso internazionale della Confederazione benedettina, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Pontificio, sabato mattina, 20 settembre.
Cari Padri Abati, care sorelle Abbadesse,
con grande gioia vi accolgo e vi saluto in occasione del Congresso internazionale che ogni quattro anni vede riuniti a Roma tutti gli Abati della vostra Confederazione e i Superiori dei Priorati indipendenti, per riflettere e discutere sulle modalità con le quali incarnare il carisma benedettino nel presente contesto sociale e culturale e rispondere alle sfide sempre nuove che esso pone alla testimonianza del Vangelo. Saluto innanzitutto l'Abate Primate Dom Notker Wolf e lo ringrazio per quanto a nome di tutti ha espresso. Saluto altresì il gruppo di Abbadesse, venute in rappresentanza della Communio Internationalis Benedictinarum, come pure i Rappresentanti ortodossi.
In un mondo desacralizzato e in un'epoca segnata da una preoccupante cultura del vuoto e del "non senso", voi siete chiamati ad annunciare senza compromessi il primato di Dio e ad avanzare proposte di eventuali nuovi percorsi di evangelizzazione. L'impegno di santificazione, personale e comunitaria, che perseguite e la preghiera liturgica che coltivate vi abilitano ad una testimonianza di particolare efficacia. Nei vostri monasteri, voi per primi rinnovate e approfondite quotidianamente l'incontro con la persona del Cristo, che avete sempre con voi come ospite, amico e compagno. Per questo i vostri conventi sono luoghi dove uomini e donne, anche nella nostra epoca, accorrono per cercare Dio e imparare a riconoscere i segni della presenza di Cristo, della sua carità, della sua misericordia. Con umile fiducia non stancatevi di condividere, con quanti si rivolgono alle vostre sollecitudini spirituali, la ricchezza del messaggio evangelico, che si riassume nell'annuncio dell'amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Continuerete così ad offrire il vostro prezioso contributo alla vitalità e alla santificazione del Popolo di Dio, secondo il peculiare carisma di Benedetto da Norcia.
Cari Abati e Abbadesse, voi siete custodi del patrimonio di una spiritualità radicalmente ancorata al Vangelo, per ducatum evangelii pergamus itinera eius, dice san Benedetto nel Prologo della Regola. Proprio questo vi impegna a comunicare e donare agli altri i frutti della vostra esperienza interiore. Conosco ed apprezzo molto la generosa e competente opera culturale e formativa che tanti vostri monasteri svolgono, specialmente in favore delle giovani generazioni, creando un clima di accoglienza fraterna che favorisce una singolare esperienza di Chiesa. In effetti, è di primaria importanza preparare i giovani ad affrontare il loro avvenire e a misurarsi con le molteplici esigenze della società avendo un costante riferimento con il messaggio evangelico, che è sempre attuale, inesauribile e vivificante. Dedicatevi, pertanto, con rinnovato ardore apostolico ai giovani, che sono il futuro della Chiesa e dell'umanità. Per costruire un'Europa "nuova" occorre infatti incominciare dalle nuove generazioni, offrendo loro la possibilità di accostare intimamente le ricchezze spirituali della liturgia, della meditazione, della lectio divina.
Quest'azione pastorale e formativa, in realtà, è quanto mai necessaria per l'intera famiglia umana. In tante parti del mondo, specialmente dell'Asia e dell'Africa, vi è grande bisogno di spazi vitali d'incontro con il Signore, nei quali attraverso la preghiera e la contemplazione si ricuperino la serenità e la pace con se stessi e con gli altri. Pertanto, non mancate di venire incontro con cuore aperto alle attese di quanti, anche al di fuori dell'Europa, esprimono il vivo desiderio della vostra presenza e del vostro apostolato per poter attingere alle ricchezze della spiritualità benedettina. Lasciatevi guidare dall'intimo desiderio di servire con carità ogni uomo, senza distinzioni di razza e di religione. Con profetica libertà e saggio discernimento, siate presenze significative dovunque la Provvidenza vi chiami a stabilirvi, distinguendovi sempre per l'armonico equilibrio di preghiera e di lavoro che caratterizza il vostro stile di vita.
E che dire della celebre ospitalità benedettina? Essa è una vostra peculiare vocazione, un'esperienza pienamente spirituale, umana e culturale. Anche qui vi sia equilibrio: il cuore della comunità sia spalancato, ma i tempi e i modi dell'accoglienza siano ben proporzionati. Così potrete offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo la possibilità di approfondire il senso dell'esistenza nell'orizzonte infinito della speranza cristiana, coltivando il silenzio interiore nella comunione della Parola di salvezza. Una comunità capace di autentica vita fraterna, fervente nella preghiera liturgica, nello studio, nel lavoro, nella disponibilità cordiale al prossimo assetato di Dio, costituisce il migliore impulso per far sorgere nei cuori, specialmente dei giovani, la vocazione monastica e, in generale, un fecondo cammino di fede.
Vorrei dirigere una parola speciale alle rappresentanti delle monache e suore benedettine. Care sorelle, anche voi come altre famiglie religiose soffrite, soprattutto in alcuni Paesi, della scarsità di nuove vocazioni. Non lasciatevi scoraggiare, ma affrontate queste dolorose situazioni di crisi con serenità e con la consapevolezza che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l'impegno della fedeltà. Ciò che si deve assolutamente evitare è il venir meno dell'adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione. Perseverando fedelmente in essa si confessa invece, con grande efficacia anche di fronte al mondo, la propria ferma fiducia nel Signore della storia, nelle cui mani sono i tempi e i destini delle persone, delle istituzioni, dei popoli, e a Lui ci si affida anche per quanto attiene le attuazioni storiche dei suoi doni. Fate vostro l'atteggiamento spirituale della Vergine Maria, contenta di essere "ancilla Domini", totalmente disponibile alla volontà del Padre celeste.
Cari monaci, monache e suore, grazie di questa gradita visita! Vi accompagno con la mia preghiera, affinché nei vostri incontri di queste giornate congressuali possiate discernere le modalità più opportune per testimoniare visibilmente e chiaramente nello stile di vita, nel lavoro e nella preghiera l'impegno di una imitazione radicale del Signore. Maria Santissima sostenga ogni vostro progetto di bene, vi aiuti ad avere sempre dinanzi agli occhi, prima di ogni altra cosa, Dio e vi accompagni maternamente nel vostro cammino. Mentre invoco copiosi doni celesti a sostegno di ogni vostro generoso proposito, imparto di cuore a voi e all'intera Famiglia benedettina una speciale Benedizione Apostolica.
(©L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008)
La Conferenza episcopale chiede una nuova regolamentazione in campo sanitario - I vescovi degli Stati Uniti e l'obiezione di coscienza, L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008
di Marco Bellizi
Il diritto all'obiezione di coscienza degli operatori sanitari di fronte alle pratiche abortive ha bisogno di una nuova regolamentazione. Perché la nuova disciplina sia efficace occorre però arrivare a una nuova definizione dello stesso aborto, alla luce dei nuovi quesiti posti dallo sviluppo delle tecnologie mediche. I vescovi degli Stati Uniti ritornano sulla questione con una lettera inviata al segretario del Department of Health and Human Service (Hhs), Brenda Destro. L'ufficio ha proposto una nuova regolamentazione a difesa del diritto all'obiezione di coscienza, delle linee interpretative di leggi federali in qualche caso vecchie di 30 anni. "Ci congratuliamo vivamente - scrivono i vescovi - con il segretario per aver reso pubbliche queste proposte di regolamentazione. Per più di tre decadi, il Congresso ha cercato di far sì che gli operatori e gli istituti sanitari non siano obbligati a scegliere fra abbandonare la medicina o violare la propria coscienza", una sorta di Hobson's choice, che nel mondo anglosassone sta a indicare una scelta la cui libertà è solo apparente.
L'iniziativa dell'Hhs è quanto mai opportuna, affermano i vescovi, se si nota la crescente ostilità da parte di organizzazioni professionali e legali sul diritto all'obiezione di coscienza in campo sanitario. I vescovi hanno anche ricordato come qualche amministrazione statale negli anni recenti abbia fatto pressioni presso le organizzazioni di settore affinché venissero assicurate pratiche abortive nonostante l'obiezione di coscienza. Per questo la conferenza episcopale fa appello all'Hhs perché renda la difesa dell'obiezione di coscienza la più robusta possibile. A questo fine i vescovi suggeriscono anche delle modifiche terminologiche alle proposte di regolamento illustrate dal dipartimento. Andrebbe in particolare rafforzata la tutela dell'obiezione di coscienza attraverso una precisa definizione di aborto nella quale si affermi che questo comprende "ogni farmaco, procedura o altro atto che l'obiettore possa ragionevolmente credere possa portare alla morte di un essere umano in utero in ogni momento del periodo che va dal concepimento alla nascita naturale".
La libertà religiosa e il diritto all'obiezione di coscienza sono tra i valori che la Chiesa cattolica cerca di promuovere e proteggere, si legge nella lettera che i vescovi hanno inviato a Brenda Destro. Singoli professionisti o anche istituzioni sanitarie non dovrebbero perciò poter essere obbligati a sopprimere la stessa vita umana che essi sono chiamati a difendere. La necessità di una regolamentazione in questo campo è testimoniata, secondo i vescovi, anche dalle recenti negative reazioni a precedenti tentativi di intervento nel settore. A giudicare da alcune reazioni pubbliche si potrebbe pensare che il diritto all'obiezione di coscienza sia un'invenzione recente. A questo proposito i vescovi citano quanto accaduto nel novembre dello scorso anno, quando l'American College of Obstetricians and Gynecologists ha rilasciato una dichiarazione nella quale si asserisce che non è etico per un ostetrico-ginecologo rifiutarsi di praticare l'aborto o la sterilizzazione; ancora, l'American Civil Liberties Union ha realizzato una relazione sanitaria-legale nella quale si sostiene che la legge non dovrebbe permettere che le restrizioni religiose di un'istituzione quale quella ospedaliera possano interferire con il pubblico accesso all'assistenza sanitaria in campo riproduttivo; il Naral Pro-Choice America sostiene che la clausola di coscienza, che dispregiativamente definisce la "clausola del rifiuto" è pericolosa per la salute della donna; i Physicians for Reproductive Choice and Health affermano che "il diritto del paziente a una tempestiva e comprensiva assistenza nel campo della riproduzione deve sempre prevalere sul diritto all'obiezione di coscienza dei medici e che molte altre associazioni sanitarie sono dello stesso avviso.
L'ostilità al diritto all'obiezione di coscienza non è comunque confinata alle sole organizzazioni professionali. Come si accennava, alcuni Stati e amministrazioni locali hanno esercitato pressioni su operatori e istituzioni sanitarie affinché assicurino gli aborti nonostante l'obiezione di coscienza. In un recente contenzioso che ha avuto come oggetto il cosiddetto "emendamento Weldon", che vietava agli Stati la richiesta di risarcimento alle strutture sanitarie che si rifiutavano di praticare l'aborto, l'Attorney General della California ha affermato che gli ospedali in certe circostanze avevano l'obbligo previsto dalla legge statale, appunto di assicurare tale "servizio".
È in considerazione di questo clima che i vescovi ritengono sia necessaria la nuova definizione di aborto. Questo, secondo la definizione fornita dall'Associazione medica americana, è la "cessazione volontaria di una gravidanza". Per gravidanza, a sua volta, si intende il "processo di conduzione di un embrione in sviluppo o di un feto nell'utero dal momento del concepimento in poi". Il concepimento, ancora, è definito come la "fertilizzazione di un ovulo con uno spermatozoo che dà inizio alla gravidanza". Basandosi su queste definizioni, molti operatori sanitari considerano aborto la distruzione di un embrione, indifferentemente che questa avvenga "prima o dopo il suo impianto". È quest'ultima anche la posizione della Chiesa cattolica: "L'aborto - che è la cessazione volontaria della gravidanza prima dell'autosufficienza o la distruzione volontaria di un feto autosufficiente - non è mai permesso. Qualsiasi procedura il cui solo immediato effetto è la cessazione della gravidanza prima dell'autosufficienza - dicono i vescovi - è un aborto, il quale, nel suo contesto morale, include l'intervallo fra il concepimento e l'impianto dell'embrione". Le strutture sanitarie cattoliche non possono fornire servizi abortivi, anche se basati sul principio della mera cooperazione materiale. La dottrina cattolica non stabilisce quali farmaci o dispositivi agiscono interferendo con l'impianto dell'embrione: questo è un problema scientifico nel quale entrano diversi contraddittori elementi. Ma è importante, per i vescovi degli Stati Uniti, difendere il principio che il diritto all'obiezione di coscienza debba essere protetto in ogni fase, specialmente dal momento che nuovi farmaci e nuovi strumenti potranno essere utilizzati in futuro per eliminare l'impianto dell'embrione, ponendo così nuove dirette sfide alle coscienze.
(©L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008)
21 settembre 2008
Oggi nelle piazze italiane Barbera contro la Sla - Quelli che non fanno finta di essere sani - Mario Melazzini e i cinquemila italiani che non smettono di aver voglia di vivere, dal Foglio.it
Una giornata come tante per una malattia come nessuna. Giovedì, giusto due anni dopo il sit-in alla Bocca della Verità in cui un manipolo di marziani in carrozzella sfilava per il centro di Roma gridando la propria voglia di vivere, era la prima giornata nazionale della Sla, sclerosi laterale amiotrofica, una patologia bastarda: difficile individuarla quando è in incubazione, impossibile guarirne (per ora). L’impazzimento dei motoneuroni, le cellule che trasmettono i comandi del cervello alla muscolatura, porta a una lenta e inesorabile paralisi mentre la testa e i sensi continuano a funzionare regolarmente. Muori soffocato e lucido. E' capitato al campione di baseball Lou Gehrig, all’attore David Niven, al jazzista Charles Mingus, allo scienziato Stephen Hawking, al leader radicale Luca Coscioni e a molti ex calciatori tra cui Stefano Borgonovo che ha annunciato la sua malattia pochi giorni fa.
I cinquemila cittadini italiani colpiti dalla Sla da qualche tempo hanno trovato un portavoce d’eccezione: Mario Melazzini, cinquant’anni appena compiuti, primario di Oncologia a Pavia, malato di Sla dal 2002 e attuale presidente dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica. Non è SuperMario, anche se il modo in cui smaltisce un’agenda gonfia di appuntamenti è degna di un commesso viaggiatore, non fa Meslazzini di cognome, anche se ha sposato la causa con dedizione assoluta.
All’inizio, in realtà, voleva farla finita, poi ci ha ripensato e ha deciso di spendersi per una battaglia civile che in poco tempo ha messo a segno diversi risultati: fondi per l’assistenza e la ricerca, presenza nei media e pressing sulle istituzioni fino all’appello al presidente della Repubblica cui si può ancora aderire (www.liberidivivere.it). C’è ancora molto da fare, anzitutto assicurare a tutti i pazienti i comunicatori vocali, computer speciali che consentono di parlare quando non si ha più un filo di voce. Soprattutto, c’è da scuotere un’opinione pubblica piuttosto sorda. Magari prendendola per la gola. Oggi, 21 settembre, complice la vendemmia, si potrà acquistare una bottiglia di Barbera, di quello buono, nelle piazze di molte città (info su www.aisla.it) e brindare alla salute dei nostri amici che, come cantava Gaber, non fanno finta di essere sani.
PERCHÉ L’EUROPA TACE ANCORA? - CRISTIANOFOBIA INGERENZA UMANITARIA. SUBITO - LUIGI GENINAZZI, Avvenire, 21 settembre 2008
Oggi tocca ai cattolici in India. Fino a quest’estate era l’Iraq a guidare la classifica dei Paesi più a rischio per la comunità cristiana. Un anno fa nel mirino degli estremisti violenti c’erano i missionari in Turchia. È la sequenza temporale dell’odio anti-cristiano che sembra colpire in ondate successive vari Paesi nel mondo. Ma è un’impressione superficiale e sbagliata.
La realtà è molto più tragica: le persecuzioni s’allargano a macchia d’olio, il numero dei martiri continua a crescere in Medio Oriente, in Asia ed in Africa, la caccia al cristiano è una folle e sanguinaria idea che trova sempre più seguaci. Le cronache di questi giorni ci rimandano ai saccheggi, alle distruzioni e alle violenze contro le comunità cristiane in varie regioni dell’India. Ma non dobbiamo dimenticare che in Iraq i credenti caldei sono sotto costante minaccia, a Mosul continua lo spargimento di sangue e anche se in generale gli attentati terroristici sono diminuiti la situazione per i cristiani non è certo migliorata, come ci ricorda l’ultimo rapporto diffuso dall’associazione 'Chiesa che soffre'. In Turchia le istituzioni della Chiesa ortodossa e cattolica continuano ad essere oggetto di pesanti discriminazioni e nel Paese che ha visto l’assassinio di don Andrea Santoro c’è chi incita all’odio contro i preti cattolici. Da Istanbul a Gaza, dall’Iraq all’Indonesia, nei Paesi islamici le cui leggi s’ispirano alla 'sharia' come il Pakistan ma anche in un Paese 'tollerante' come l’Algeria, i cristiani vengono processati, condannati a morte da tribunali statali o uccisi da fanatici estremisti.
Siamo di fronte a una sorta di globalizzazione dell’odio anti-cristiano. Perché quest’accanimento? Oggi, in gran parte del mondo non occidentale, colui che professa la fede cristiana pur essendo d’origine medio-orientale, africana o asiatica, è percepito come un 'diverso' difficilmente catalogabile, un soggetto che suscita diffidenza e sospetto. Non può essere considerato un estraneo (come invece un credente europeo); è uno che per lingua e colore della pelle potresti scambiare per musulmano o per induista. E questo rompe gli schemi prestabiliti, irrita la mentalità comune e dà fiato ai gruppi integralisti che mirano alla pulizia etnico-religiosa. Dopo duemila anni torna di drammatica attualità quel che veniva indicato come modello ai cristiani nella 'Lettera a Diogneto': «Ogni patria straniera è patria per loro, e ogni loro patria è sentita come straniera».
Nella terra di Madre Teresa di Calcutta dove è nata una carità senza confini, così come nel Medio Oriente dove i credenti caldei c’erano ancor prima che arrivasse Maometto, il cristiano è una pietra d’inciampo, uno scandalo. È il 'diverso' troppo simile a chi lo disprezza, come lo era l’ebreo della Mitteleuropa per i teorici della purezza ariana.
C’è un nuovo anti-semitismo oggi, ed è l’odio anti-cristiano. Giusto combattere i rigurgiti anti-ebraici, doveroso combattere quella che i musulmani chiamano ' islamofobia'. Ci sono organismi internazionali come l’Antidiffamation League ebraica e, recentemente, anche islamica per monitorare discriminazioni e violenze nei riguardi delle proprie comunità religiose. Allo stesso scopo in Europa stanno sorgendo vari centri pubblici d’osservazione. Ma chi, a parte la Chiesa, si preoccupa della 'cristianofobia' dilagante in varie parti del mondo? Chi si prende a cuore la sorte di milioni di cristiani indifesi? Ieri, l’amministrazione Usa ha finalmente battuto un colpo, rivolgendo un appello diretto al governo e al mondo politico indiano. Ma è urgente che anche la vecchia Europa applichi il diritto d’ingerenza umanitaria nei confronti delle nuove e vecchie democrazie. L’occasione è a portata di mano: tra pochi giorni si terrà il vertice bilaterale Unione Europea-India. E’ troppo sperare che in agenda ci sia anche la questione delle violenze contro i cristiani?
UN INEDITO DI MARIO LUZI SUL POETA E SACERDOTE Una poesia religiosa intessuta di dolore. - Quasi una preghiera: così il grande poeta fiorentino legge i suoi ultimi versi. Aveva ragione Montale: sembrava una figura del Greco - Rebora Vera lirica anche dopo la conversione
di Mario Luzi
Avverto la poesia religiosa di Rebora piuttosto come una preghiera, però intessuta di dolore. C’è il senso della consolazione, che è sempre presente: la consolazione di un dolore che è stato forte, acuto, e che si identifica, si immerge in quello di Cristo. In questa cristologia dolorosa si fondono la preghiera e la ricerca di consolazione dal dolore che è presupposto, implicito.
Cantando « ma santità soltanto compie il canto » , Rebora propone veramente una sfida al tempo nostro, e non solo: ai suoi costumi e alle sue occorrenze. E’ anche una sfida alla mente moderna, alla mens. Solo santità... è davvero un’eccezione rarissima, sublimante, dove il canto è visto come compimento, un segno di sommità alla vicenda del cuore umano. Solo santità: quindi solo un processo di purificazione e di elevazione tale da portare la santità a compiere il canto, che è dunque un privilegio altissimo, accordato però a queste condizioni.
Non sono dunque parole inappropriate quelle di Montale, che lo definì « una figura del Greco, un uomo torchiato da Dio » ; benché forse ci sia più compostezza nel tormento di Rebora di quanta non ne appaia nella figure del Greco; tuttavia è un po’ della stessa natura la tensione interiore.
In altri poeti d’ispirazione religiosa, come Claudel e Péguy si trova una sorta di trionfalismo, una lode remota che risale attraverso le epoche; movenze poetiche e attitudini spirituali abbastanza difformi da Rebora. Io avvicino la sua poesia, come temperie e climax, con la poesia dei primi decenni del Novecento, sebbene poi abbia avuto sviluppi tutti suoi. Mi sembra dunque da considerare non tanto vicina a Péguy che, come già accennato, ha questa intonazione di carme di lode, quanto ai poeti francesi attorno ad Apollinaire. Avendo poi sviluppi più personali, anche perché in Rebora non c’è solo la conversione, ma essa è seguita dalla vocazione sacerdotale.
Troviamo in quest’opera la faticosa luminosità della Grazia, che però poi arriva ed abbaglia. Il mistero è invece a monte, in Rebora, nell’esperienza, nell’ufficio sacerdotale che lui ha pensato anche come conoscenza poetica oltre che teologica. Prevale questo senso di incontro, doloroso, con la luce e con la Grazia. E infatti c’è gratitudine in Rebora: a significare che l’incontro con la Grazia c’è stato.
1) 21/09/2008 12:29 – VATICANO - Papa: appelli per le vittime dei cicloni nei Carabi e ai leader mondiali per sconfiggere la povertà
2) L'esempio dell'apostolo indicato da Benedetto XVI ai nuovi vescovi nelle terre di missione - Come san Paolo di fronte a persecuzioni e violenze - "Non abbiate paura" davanti "ai venti della scristianizzazione, dell'indifferentismo, della secolarizzazione"; non temete "la persecuzione e gli attacchi violenti", ma "lasciatevi ispirare da san Paolo che ha sofferto per le stesse cause". È la raccomandazione di Benedetto XVI ai vescovi ordinati negli ultimi due anni, riuniti a Roma per il convegno organizzato dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo, nella mattina di sabato 20. Questo il discorso del Papa.
3) Il Papa ai partecipanti al congresso internazionale della Confederazione benedettina - Dall'esperienza monastica nuovi percorsi di evangelizzazione - "Custodi del patrimonio di una spiritualità radicalmente ancorata al Vangelo" i monasteri benedettini svolgono un'importante opera culturale e formativa "specialmente in favore delle giovani generazioni". Lo ha detto il Papa ai partecipanti al congresso internazionale della Confederazione benedettina, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Pontificio, sabato mattina, 20 settembre.
4) La Conferenza episcopale chiede una nuova regolamentazione in campo sanitario - I vescovi degli Stati Uniti e l'obiezione di coscienza, L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008
5) Oggi nelle piazze italiane Barbera contro la Sla - Quelli che non fanno finta di essere sani - Mario Melazzini e i cinquemila italiani che non smettono di aver voglia di vivere, dal Foglio.it
6) PERCHÉ L’EUROPA TACE ANCORA? - CRISTIANOFOBIA INGERENZA UMANITARIA. SUBITO - LUIGI GENINAZZI
7) UN INEDITO DI MARIO LUZI SUL POETA E SACERDOTE Una poesia religiosa intessuta di dolore. - Quasi una preghiera: così il grande poeta fiorentino legge i suoi ultimi versi. Aveva ragione Montale: sembrava una figura del Greco - Rebora Vera lirica anche dopo la conversione
21/09/2008 12:29 – VATICANO - Papa: appelli per le vittime dei cicloni nei Carabi e ai leader mondiali per sconfiggere la povertà
Prima dell’Angelus Benedetto XVI commenta il vangelo del giorno e sottolinea la felicità nell’essere “operai nella vigna del Signore”. E cita san Matteo, san Paolo e se stesso.
Castel Gandolfo (AsiaNews) – Benedetto XVI ha lanciato un appello e una preghiera per le vittime dei cicloni nei Caraibi perché “giungano prontamente i soccorsi nelle zone maggiormente danneggiate”. Dopo la preghiera dell’Angelus di oggi egli ha anche rivolto un invito ai leader mondiali perché si applichino a “sradicare la povertà estrema, la fame, l’ignoranza e il flagello delle pandemie, che colpiscono soprattutto i più vulnerabili”, in occasione dell’Assemblea dell’Onu il 25 settembre prossimo.
Ricordando i disastri portati dai cicloni Fay, Gustav , Hanna e Ike ai popoli di Haiti, Cuba, Repubblica Dominicana e Texas (Usa), egli ha detto “Vorrei nuovamente assicurare a tutte quelle care popolazioni il mio speciale ricordo nella preghiera. Auspico, inoltre, che giungano prontamente i soccorsi nelle zone maggiormente danneggiate. Voglia il Signore che, almeno in queste circostanze, solidarietà e fraternità prevalgano su ogni altra ragione”.
L’invito ai leader mondiali ad impegnarsi contro la povertà, avviene qualche giorno prima della 63.ma sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, il prossimo, 25 settembre a New York. L’incontro dovrebbe verificare il compimento degli obiettivi stabiliti nella Dichiarazione del Millennio, l’8 settembre 2000. Rivolgendosi ai “leaders di tutti i Paesi del mondo”, il pontefice ha chiesto che “si prendano e si applichino con coraggio le misure necessarie per sradicare la povertà estrema, la fame, l’ignoranza e il flagello delle pandemie, che colpiscono soprattutto i più vulnerabili. Un tale impegno, pur esigendo in questi momenti di difficoltà economiche mondiali particolari sacrifici, non mancherà di produrre importanti benefici sia per lo sviluppo delle Nazioni che hanno bisogno di aiuto dall’estero sia per la pace e il benessere dell’intero pianeta”.
La riflessione prima della preghiera mariana, nel cortile di Castel Gandolfo, era dedicata al commento del vangelo della domenica di oggi, XXV durante l’anno, che presenta “la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna” (Mt 20,1-16a).
“Un primo messaggio di questa parabola – ha spiegato il papa - sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione: vuole che tutti siano impegnati nella sua vigna. E in realtà l’essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore, mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Ma lo capisce solo chi ama il Signore e il suo Regno; chi invece lavora unicamente per la paga non si accorgerà mai del valore di questo inestimabile tesoro”.
Benedetto XVI elenca fra gli “operai della vigna” san Matteo, di cui oggi è la festa liturgica: “Prima che Gesù lo chiamasse – ha detto il pontefice - faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla ‘vigna del Signore’. Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: ‘Seguimi’. Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò immediatamente discepolo di Cristo. Da ‘ultimo’ si trovò ‘primo’, grazie alla logica di Dio, che – per nostra fortuna! – è diversa da quella del mondo”.
Un altro “operaio” è san Paolo: “Anche san Paolo, del quale stiamo celebrando un particolare Anno giubilare, ha sperimentato la gioia di sentirsi chiamato dal Signore a lavorare nella sua vigna. E quanto lavoro ha compiuto! Ma, come egli stesso confessa, è stata la grazia di Dio a operare in lui, quella grazia che da persecutore della Chiesa lo trasformò in apostolo delle genti. Tanto da fargli dire: ‘Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno’. Subito però aggiunge: ‘Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere’ (Fil 1,21-22). Paolo ha compreso bene che operare per il Signore è già su questa terra una ricompensa”.
Benedetto XVI non dimentica se stesso e ricorda che proprio alla messa del giorno della sua elezione, in san Pietro, “mi venne spontaneo presentarmi come un operaio della vigna del Signore”.
Alla fine del raduno il papa ha salutato i pellegrini in diverse lingue. I gruppi presenti lo hanno intrattenuto con canti in tedesco, spagnolo, italiano.
L'esempio dell'apostolo indicato da Benedetto XVI ai nuovi vescovi nelle terre di missione - Come san Paolo di fronte a persecuzioni e violenze - "Non abbiate paura" davanti "ai venti della scristianizzazione, dell'indifferentismo, della secolarizzazione"; non temete "la persecuzione e gli attacchi violenti", ma "lasciatevi ispirare da san Paolo che ha sofferto per le stesse cause". È la raccomandazione di Benedetto XVI ai vescovi ordinati negli ultimi due anni, riuniti a Roma per il convegno organizzato dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo, nella mattina di sabato 20. Questo il discorso del Papa.
Carissimi Fratelli nell'Episcopato!
Vi accolgo con gioia in occasione del Seminario di aggiornamento promosso dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Ringrazio sentitamente per il fraterno saluto che mi è stato rivolto dal Prefetto, il Signor Cardinale Ivan Dias, a nome di tutti voi. Il Convegno a cui partecipate si situa nel corso dell'Anno Paolino, che stiamo celebrando in tutta la Chiesa con l'intento di approfondire la conoscenza dello spirito missionario e della personalità carismatica di san Paolo, da tutti considerato il grande Apostolo delle genti.
Sono certo che lo spirito di questo "maestro delle genti nella fede e nella verità" (1 Tm 2, 7; cfr. 2 Tm 1, 11) si è fatto presente nella vostra preghiera, nelle vostre riflessioni e condivisioni, e non mancherà di illuminare e di arricchire il vostro ministero pastorale ed episcopale. Nell'omelia per l'inaugurazione dell'Anno Paolino, commentando l'espressione "maestro delle genti", osservavo come questa parola si apra sul futuro, proiettando l'animo dell'Apostolo verso tutti i popoli e tutte le generazioni. Paolo non è per noi semplicemente una figura del passato, che ricordiamo con venerazione. Egli è anche il nostro maestro, è l'apostolo e il banditore di Gesù Cristo anche per noi. Sì, egli è il nostro maestro e da lui dobbiamo imparare a guardare con simpatia i popoli ai quali siamo inviati. Da lui dobbiamo anche imparare a cercare in Cristo la luce e la grazia per annunciare oggi la Buona Novella; al suo esempio dobbiamo rifarci per essere instancabili nel percorrere i sentieri umani e geografici del mondo odierno, portando il Cristo a quelli che Gli hanno già aperto il cuore e a quelli che non Lo hanno ancora conosciuto.
La vostra vita di Pastori per molti aspetti rassomiglia a quella dell'apostolo Paolo. Spesso il campo del vostro lavoro pastorale è molto vasto ed estremamente difficile e complesso. Geograficamente, le vostre Diocesi sono, per la maggior parte, molto estese e non di rado prive di vie e di mezzi di comunicazione. Ciò rende difficile il raggiungimento dei fedeli più lontani dal centro delle vostre comunità diocesane. Per di più, sulle vostre società, come altrove, si abbatte con sempre maggiore violenza il vento della scristianizzazione, dell'indifferentismo religioso, della secolarizzazione e della relativizzazione dei valori. Ciò crea un ambiente di fronte al quale le armi della predicazione possono apparire, come nel caso di Paolo ad Atene, prive della forza necessaria. In molte regioni i cattolici sono una minoranza, a volte anche esigua. Ciò vi impegna a confrontarvi con altre religioni ben più forti e non sempre accoglienti nei vostri confronti. Non mancano, infine, situazioni in cui, come Pastori, dovete difendere i vostri fedeli di fronte alla persecuzione e ad attacchi violenti.
Non abbiate paura e non vi scoraggiate per tutti questi inconvenienti, a volte anche pesanti, ma lasciatevi consigliare ed ispirare da san Paolo che dovette soffrire molto per le stesse cause, come apprendiamo dalla sua Seconda Lettera ai Corinzi. Nel percorrere i mari e le terre, egli subì persecuzioni, flagellazioni ed anche la lapidazione; affrontò i pericoli dei viaggi, la fame, la sete, frequenti digiuni, freddo e nudità, lavorò senza stancarsi vivendo fino in fondo la preoccupazione per tutte le Chiese (cfr. 2 Cor 11, 24ss). Egli non sfuggiva le difficoltà e le sofferenze, perché era ben conscio che esse fanno parte della croce che da cristiani bisogna portare ogni giorno. Capì fino in fondo la condizione a cui la chiamata di Cristo espone il discepolo: "Chi vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16, 24). Per tale motivo raccomandava al figlio spirituale e discepolo Timoteo: "Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo" (2 Tm 1, 8), indicando in questo modo che l'evangelizzazione ed il suo successo passano attraverso la croce e la sofferenza. Dice ad ognuno di noi: "Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo". La sofferenza unisce a Cristo ed ai fratelli ed esprime la pienezza dell'amore, la cui fonte e prova suprema è la stessa croce di Cristo.
Paolo era giunto a questa convinzione a seguito dell'esperienza delle persecuzioni che aveva dovuto affrontare nella predicazione del Vangelo; ma aveva scoperto per quella via la ricchezza dell'amore di Cristo e la verità della sua missione di Apostolo. Nell'omelia dell'inaugurazione dell'Anno Paolino dicevo in proposito: "La verità che aveva sperimentato nell'incontro con il Risorto ben meritava per lui la lotta, la persecuzione, la sofferenza. Ma ciò che lo motivava nel più profondo, era l'essere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore". Sì, Paolo fu un uomo "conquistato" (Fil 3, 12) dall'amore di Cristo e tutto il suo operare e soffrire si spiega solo a partire da questo centro.
Carissimi Fratelli nell'Episcopato! Siete all'inizio del vostro ministero episcopale. Non esitate a ricorrere a questo potente maestro dell'evangelizzazione, imparando da lui come amare Cristo, come sacrificarvi nel servizio degli altri, come identificarvi con i popoli in mezzo ai quali siete chiamati a predicare il Vangelo, come proclamare e testimoniare la sua presenza di Risorto. Sono lezioni per il cui apprendimento è indispensabile invocare con insistenza l'aiuto della grazia di Cristo. A tale grazia Paolo fa costantemente appello nelle sue Lettere. Voi che, come successori degli Apostoli, siete i continuatori della missione di Paolo nel portare il Vangelo alle genti, sappiate ispirarvi a lui nel comprendere la vostra vocazione in stretta dipendenza dalla luce dello Spirito di Cristo. Egli vi guiderà sulle strade spesso impervie, ma sempre appassionanti, della nuova evangelizzazione. Vi accompagno nella vostra missione pastorale con la mia preghiera e con un'affettuosa Benedizione Apostolica, che imparto ad ognuno di voi e a tutti i fedeli delle vostre Comunità cristiane.
(©L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008)
Il Papa ai partecipanti al congresso internazionale della Confederazione benedettina - Dall'esperienza monastica nuovi percorsi di evangelizzazione - "Custodi del patrimonio di una spiritualità radicalmente ancorata al Vangelo" i monasteri benedettini svolgono un'importante opera culturale e formativa "specialmente in favore delle giovani generazioni". Lo ha detto il Papa ai partecipanti al congresso internazionale della Confederazione benedettina, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Pontificio, sabato mattina, 20 settembre.
Cari Padri Abati, care sorelle Abbadesse,
con grande gioia vi accolgo e vi saluto in occasione del Congresso internazionale che ogni quattro anni vede riuniti a Roma tutti gli Abati della vostra Confederazione e i Superiori dei Priorati indipendenti, per riflettere e discutere sulle modalità con le quali incarnare il carisma benedettino nel presente contesto sociale e culturale e rispondere alle sfide sempre nuove che esso pone alla testimonianza del Vangelo. Saluto innanzitutto l'Abate Primate Dom Notker Wolf e lo ringrazio per quanto a nome di tutti ha espresso. Saluto altresì il gruppo di Abbadesse, venute in rappresentanza della Communio Internationalis Benedictinarum, come pure i Rappresentanti ortodossi.
In un mondo desacralizzato e in un'epoca segnata da una preoccupante cultura del vuoto e del "non senso", voi siete chiamati ad annunciare senza compromessi il primato di Dio e ad avanzare proposte di eventuali nuovi percorsi di evangelizzazione. L'impegno di santificazione, personale e comunitaria, che perseguite e la preghiera liturgica che coltivate vi abilitano ad una testimonianza di particolare efficacia. Nei vostri monasteri, voi per primi rinnovate e approfondite quotidianamente l'incontro con la persona del Cristo, che avete sempre con voi come ospite, amico e compagno. Per questo i vostri conventi sono luoghi dove uomini e donne, anche nella nostra epoca, accorrono per cercare Dio e imparare a riconoscere i segni della presenza di Cristo, della sua carità, della sua misericordia. Con umile fiducia non stancatevi di condividere, con quanti si rivolgono alle vostre sollecitudini spirituali, la ricchezza del messaggio evangelico, che si riassume nell'annuncio dell'amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Continuerete così ad offrire il vostro prezioso contributo alla vitalità e alla santificazione del Popolo di Dio, secondo il peculiare carisma di Benedetto da Norcia.
Cari Abati e Abbadesse, voi siete custodi del patrimonio di una spiritualità radicalmente ancorata al Vangelo, per ducatum evangelii pergamus itinera eius, dice san Benedetto nel Prologo della Regola. Proprio questo vi impegna a comunicare e donare agli altri i frutti della vostra esperienza interiore. Conosco ed apprezzo molto la generosa e competente opera culturale e formativa che tanti vostri monasteri svolgono, specialmente in favore delle giovani generazioni, creando un clima di accoglienza fraterna che favorisce una singolare esperienza di Chiesa. In effetti, è di primaria importanza preparare i giovani ad affrontare il loro avvenire e a misurarsi con le molteplici esigenze della società avendo un costante riferimento con il messaggio evangelico, che è sempre attuale, inesauribile e vivificante. Dedicatevi, pertanto, con rinnovato ardore apostolico ai giovani, che sono il futuro della Chiesa e dell'umanità. Per costruire un'Europa "nuova" occorre infatti incominciare dalle nuove generazioni, offrendo loro la possibilità di accostare intimamente le ricchezze spirituali della liturgia, della meditazione, della lectio divina.
Quest'azione pastorale e formativa, in realtà, è quanto mai necessaria per l'intera famiglia umana. In tante parti del mondo, specialmente dell'Asia e dell'Africa, vi è grande bisogno di spazi vitali d'incontro con il Signore, nei quali attraverso la preghiera e la contemplazione si ricuperino la serenità e la pace con se stessi e con gli altri. Pertanto, non mancate di venire incontro con cuore aperto alle attese di quanti, anche al di fuori dell'Europa, esprimono il vivo desiderio della vostra presenza e del vostro apostolato per poter attingere alle ricchezze della spiritualità benedettina. Lasciatevi guidare dall'intimo desiderio di servire con carità ogni uomo, senza distinzioni di razza e di religione. Con profetica libertà e saggio discernimento, siate presenze significative dovunque la Provvidenza vi chiami a stabilirvi, distinguendovi sempre per l'armonico equilibrio di preghiera e di lavoro che caratterizza il vostro stile di vita.
E che dire della celebre ospitalità benedettina? Essa è una vostra peculiare vocazione, un'esperienza pienamente spirituale, umana e culturale. Anche qui vi sia equilibrio: il cuore della comunità sia spalancato, ma i tempi e i modi dell'accoglienza siano ben proporzionati. Così potrete offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo la possibilità di approfondire il senso dell'esistenza nell'orizzonte infinito della speranza cristiana, coltivando il silenzio interiore nella comunione della Parola di salvezza. Una comunità capace di autentica vita fraterna, fervente nella preghiera liturgica, nello studio, nel lavoro, nella disponibilità cordiale al prossimo assetato di Dio, costituisce il migliore impulso per far sorgere nei cuori, specialmente dei giovani, la vocazione monastica e, in generale, un fecondo cammino di fede.
Vorrei dirigere una parola speciale alle rappresentanti delle monache e suore benedettine. Care sorelle, anche voi come altre famiglie religiose soffrite, soprattutto in alcuni Paesi, della scarsità di nuove vocazioni. Non lasciatevi scoraggiare, ma affrontate queste dolorose situazioni di crisi con serenità e con la consapevolezza che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l'impegno della fedeltà. Ciò che si deve assolutamente evitare è il venir meno dell'adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione. Perseverando fedelmente in essa si confessa invece, con grande efficacia anche di fronte al mondo, la propria ferma fiducia nel Signore della storia, nelle cui mani sono i tempi e i destini delle persone, delle istituzioni, dei popoli, e a Lui ci si affida anche per quanto attiene le attuazioni storiche dei suoi doni. Fate vostro l'atteggiamento spirituale della Vergine Maria, contenta di essere "ancilla Domini", totalmente disponibile alla volontà del Padre celeste.
Cari monaci, monache e suore, grazie di questa gradita visita! Vi accompagno con la mia preghiera, affinché nei vostri incontri di queste giornate congressuali possiate discernere le modalità più opportune per testimoniare visibilmente e chiaramente nello stile di vita, nel lavoro e nella preghiera l'impegno di una imitazione radicale del Signore. Maria Santissima sostenga ogni vostro progetto di bene, vi aiuti ad avere sempre dinanzi agli occhi, prima di ogni altra cosa, Dio e vi accompagni maternamente nel vostro cammino. Mentre invoco copiosi doni celesti a sostegno di ogni vostro generoso proposito, imparto di cuore a voi e all'intera Famiglia benedettina una speciale Benedizione Apostolica.
(©L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008)
La Conferenza episcopale chiede una nuova regolamentazione in campo sanitario - I vescovi degli Stati Uniti e l'obiezione di coscienza, L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008
di Marco Bellizi
Il diritto all'obiezione di coscienza degli operatori sanitari di fronte alle pratiche abortive ha bisogno di una nuova regolamentazione. Perché la nuova disciplina sia efficace occorre però arrivare a una nuova definizione dello stesso aborto, alla luce dei nuovi quesiti posti dallo sviluppo delle tecnologie mediche. I vescovi degli Stati Uniti ritornano sulla questione con una lettera inviata al segretario del Department of Health and Human Service (Hhs), Brenda Destro. L'ufficio ha proposto una nuova regolamentazione a difesa del diritto all'obiezione di coscienza, delle linee interpretative di leggi federali in qualche caso vecchie di 30 anni. "Ci congratuliamo vivamente - scrivono i vescovi - con il segretario per aver reso pubbliche queste proposte di regolamentazione. Per più di tre decadi, il Congresso ha cercato di far sì che gli operatori e gli istituti sanitari non siano obbligati a scegliere fra abbandonare la medicina o violare la propria coscienza", una sorta di Hobson's choice, che nel mondo anglosassone sta a indicare una scelta la cui libertà è solo apparente.
L'iniziativa dell'Hhs è quanto mai opportuna, affermano i vescovi, se si nota la crescente ostilità da parte di organizzazioni professionali e legali sul diritto all'obiezione di coscienza in campo sanitario. I vescovi hanno anche ricordato come qualche amministrazione statale negli anni recenti abbia fatto pressioni presso le organizzazioni di settore affinché venissero assicurate pratiche abortive nonostante l'obiezione di coscienza. Per questo la conferenza episcopale fa appello all'Hhs perché renda la difesa dell'obiezione di coscienza la più robusta possibile. A questo fine i vescovi suggeriscono anche delle modifiche terminologiche alle proposte di regolamento illustrate dal dipartimento. Andrebbe in particolare rafforzata la tutela dell'obiezione di coscienza attraverso una precisa definizione di aborto nella quale si affermi che questo comprende "ogni farmaco, procedura o altro atto che l'obiettore possa ragionevolmente credere possa portare alla morte di un essere umano in utero in ogni momento del periodo che va dal concepimento alla nascita naturale".
La libertà religiosa e il diritto all'obiezione di coscienza sono tra i valori che la Chiesa cattolica cerca di promuovere e proteggere, si legge nella lettera che i vescovi hanno inviato a Brenda Destro. Singoli professionisti o anche istituzioni sanitarie non dovrebbero perciò poter essere obbligati a sopprimere la stessa vita umana che essi sono chiamati a difendere. La necessità di una regolamentazione in questo campo è testimoniata, secondo i vescovi, anche dalle recenti negative reazioni a precedenti tentativi di intervento nel settore. A giudicare da alcune reazioni pubbliche si potrebbe pensare che il diritto all'obiezione di coscienza sia un'invenzione recente. A questo proposito i vescovi citano quanto accaduto nel novembre dello scorso anno, quando l'American College of Obstetricians and Gynecologists ha rilasciato una dichiarazione nella quale si asserisce che non è etico per un ostetrico-ginecologo rifiutarsi di praticare l'aborto o la sterilizzazione; ancora, l'American Civil Liberties Union ha realizzato una relazione sanitaria-legale nella quale si sostiene che la legge non dovrebbe permettere che le restrizioni religiose di un'istituzione quale quella ospedaliera possano interferire con il pubblico accesso all'assistenza sanitaria in campo riproduttivo; il Naral Pro-Choice America sostiene che la clausola di coscienza, che dispregiativamente definisce la "clausola del rifiuto" è pericolosa per la salute della donna; i Physicians for Reproductive Choice and Health affermano che "il diritto del paziente a una tempestiva e comprensiva assistenza nel campo della riproduzione deve sempre prevalere sul diritto all'obiezione di coscienza dei medici e che molte altre associazioni sanitarie sono dello stesso avviso.
L'ostilità al diritto all'obiezione di coscienza non è comunque confinata alle sole organizzazioni professionali. Come si accennava, alcuni Stati e amministrazioni locali hanno esercitato pressioni su operatori e istituzioni sanitarie affinché assicurino gli aborti nonostante l'obiezione di coscienza. In un recente contenzioso che ha avuto come oggetto il cosiddetto "emendamento Weldon", che vietava agli Stati la richiesta di risarcimento alle strutture sanitarie che si rifiutavano di praticare l'aborto, l'Attorney General della California ha affermato che gli ospedali in certe circostanze avevano l'obbligo previsto dalla legge statale, appunto di assicurare tale "servizio".
È in considerazione di questo clima che i vescovi ritengono sia necessaria la nuova definizione di aborto. Questo, secondo la definizione fornita dall'Associazione medica americana, è la "cessazione volontaria di una gravidanza". Per gravidanza, a sua volta, si intende il "processo di conduzione di un embrione in sviluppo o di un feto nell'utero dal momento del concepimento in poi". Il concepimento, ancora, è definito come la "fertilizzazione di un ovulo con uno spermatozoo che dà inizio alla gravidanza". Basandosi su queste definizioni, molti operatori sanitari considerano aborto la distruzione di un embrione, indifferentemente che questa avvenga "prima o dopo il suo impianto". È quest'ultima anche la posizione della Chiesa cattolica: "L'aborto - che è la cessazione volontaria della gravidanza prima dell'autosufficienza o la distruzione volontaria di un feto autosufficiente - non è mai permesso. Qualsiasi procedura il cui solo immediato effetto è la cessazione della gravidanza prima dell'autosufficienza - dicono i vescovi - è un aborto, il quale, nel suo contesto morale, include l'intervallo fra il concepimento e l'impianto dell'embrione". Le strutture sanitarie cattoliche non possono fornire servizi abortivi, anche se basati sul principio della mera cooperazione materiale. La dottrina cattolica non stabilisce quali farmaci o dispositivi agiscono interferendo con l'impianto dell'embrione: questo è un problema scientifico nel quale entrano diversi contraddittori elementi. Ma è importante, per i vescovi degli Stati Uniti, difendere il principio che il diritto all'obiezione di coscienza debba essere protetto in ogni fase, specialmente dal momento che nuovi farmaci e nuovi strumenti potranno essere utilizzati in futuro per eliminare l'impianto dell'embrione, ponendo così nuove dirette sfide alle coscienze.
(©L'Osservatore Romano - 21 settembre 2008)
21 settembre 2008
Oggi nelle piazze italiane Barbera contro la Sla - Quelli che non fanno finta di essere sani - Mario Melazzini e i cinquemila italiani che non smettono di aver voglia di vivere, dal Foglio.it
Una giornata come tante per una malattia come nessuna. Giovedì, giusto due anni dopo il sit-in alla Bocca della Verità in cui un manipolo di marziani in carrozzella sfilava per il centro di Roma gridando la propria voglia di vivere, era la prima giornata nazionale della Sla, sclerosi laterale amiotrofica, una patologia bastarda: difficile individuarla quando è in incubazione, impossibile guarirne (per ora). L’impazzimento dei motoneuroni, le cellule che trasmettono i comandi del cervello alla muscolatura, porta a una lenta e inesorabile paralisi mentre la testa e i sensi continuano a funzionare regolarmente. Muori soffocato e lucido. E' capitato al campione di baseball Lou Gehrig, all’attore David Niven, al jazzista Charles Mingus, allo scienziato Stephen Hawking, al leader radicale Luca Coscioni e a molti ex calciatori tra cui Stefano Borgonovo che ha annunciato la sua malattia pochi giorni fa.
I cinquemila cittadini italiani colpiti dalla Sla da qualche tempo hanno trovato un portavoce d’eccezione: Mario Melazzini, cinquant’anni appena compiuti, primario di Oncologia a Pavia, malato di Sla dal 2002 e attuale presidente dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica. Non è SuperMario, anche se il modo in cui smaltisce un’agenda gonfia di appuntamenti è degna di un commesso viaggiatore, non fa Meslazzini di cognome, anche se ha sposato la causa con dedizione assoluta.
All’inizio, in realtà, voleva farla finita, poi ci ha ripensato e ha deciso di spendersi per una battaglia civile che in poco tempo ha messo a segno diversi risultati: fondi per l’assistenza e la ricerca, presenza nei media e pressing sulle istituzioni fino all’appello al presidente della Repubblica cui si può ancora aderire (www.liberidivivere.it). C’è ancora molto da fare, anzitutto assicurare a tutti i pazienti i comunicatori vocali, computer speciali che consentono di parlare quando non si ha più un filo di voce. Soprattutto, c’è da scuotere un’opinione pubblica piuttosto sorda. Magari prendendola per la gola. Oggi, 21 settembre, complice la vendemmia, si potrà acquistare una bottiglia di Barbera, di quello buono, nelle piazze di molte città (info su www.aisla.it) e brindare alla salute dei nostri amici che, come cantava Gaber, non fanno finta di essere sani.
PERCHÉ L’EUROPA TACE ANCORA? - CRISTIANOFOBIA INGERENZA UMANITARIA. SUBITO - LUIGI GENINAZZI, Avvenire, 21 settembre 2008
Oggi tocca ai cattolici in India. Fino a quest’estate era l’Iraq a guidare la classifica dei Paesi più a rischio per la comunità cristiana. Un anno fa nel mirino degli estremisti violenti c’erano i missionari in Turchia. È la sequenza temporale dell’odio anti-cristiano che sembra colpire in ondate successive vari Paesi nel mondo. Ma è un’impressione superficiale e sbagliata.
La realtà è molto più tragica: le persecuzioni s’allargano a macchia d’olio, il numero dei martiri continua a crescere in Medio Oriente, in Asia ed in Africa, la caccia al cristiano è una folle e sanguinaria idea che trova sempre più seguaci. Le cronache di questi giorni ci rimandano ai saccheggi, alle distruzioni e alle violenze contro le comunità cristiane in varie regioni dell’India. Ma non dobbiamo dimenticare che in Iraq i credenti caldei sono sotto costante minaccia, a Mosul continua lo spargimento di sangue e anche se in generale gli attentati terroristici sono diminuiti la situazione per i cristiani non è certo migliorata, come ci ricorda l’ultimo rapporto diffuso dall’associazione 'Chiesa che soffre'. In Turchia le istituzioni della Chiesa ortodossa e cattolica continuano ad essere oggetto di pesanti discriminazioni e nel Paese che ha visto l’assassinio di don Andrea Santoro c’è chi incita all’odio contro i preti cattolici. Da Istanbul a Gaza, dall’Iraq all’Indonesia, nei Paesi islamici le cui leggi s’ispirano alla 'sharia' come il Pakistan ma anche in un Paese 'tollerante' come l’Algeria, i cristiani vengono processati, condannati a morte da tribunali statali o uccisi da fanatici estremisti.
Siamo di fronte a una sorta di globalizzazione dell’odio anti-cristiano. Perché quest’accanimento? Oggi, in gran parte del mondo non occidentale, colui che professa la fede cristiana pur essendo d’origine medio-orientale, africana o asiatica, è percepito come un 'diverso' difficilmente catalogabile, un soggetto che suscita diffidenza e sospetto. Non può essere considerato un estraneo (come invece un credente europeo); è uno che per lingua e colore della pelle potresti scambiare per musulmano o per induista. E questo rompe gli schemi prestabiliti, irrita la mentalità comune e dà fiato ai gruppi integralisti che mirano alla pulizia etnico-religiosa. Dopo duemila anni torna di drammatica attualità quel che veniva indicato come modello ai cristiani nella 'Lettera a Diogneto': «Ogni patria straniera è patria per loro, e ogni loro patria è sentita come straniera».
Nella terra di Madre Teresa di Calcutta dove è nata una carità senza confini, così come nel Medio Oriente dove i credenti caldei c’erano ancor prima che arrivasse Maometto, il cristiano è una pietra d’inciampo, uno scandalo. È il 'diverso' troppo simile a chi lo disprezza, come lo era l’ebreo della Mitteleuropa per i teorici della purezza ariana.
C’è un nuovo anti-semitismo oggi, ed è l’odio anti-cristiano. Giusto combattere i rigurgiti anti-ebraici, doveroso combattere quella che i musulmani chiamano ' islamofobia'. Ci sono organismi internazionali come l’Antidiffamation League ebraica e, recentemente, anche islamica per monitorare discriminazioni e violenze nei riguardi delle proprie comunità religiose. Allo stesso scopo in Europa stanno sorgendo vari centri pubblici d’osservazione. Ma chi, a parte la Chiesa, si preoccupa della 'cristianofobia' dilagante in varie parti del mondo? Chi si prende a cuore la sorte di milioni di cristiani indifesi? Ieri, l’amministrazione Usa ha finalmente battuto un colpo, rivolgendo un appello diretto al governo e al mondo politico indiano. Ma è urgente che anche la vecchia Europa applichi il diritto d’ingerenza umanitaria nei confronti delle nuove e vecchie democrazie. L’occasione è a portata di mano: tra pochi giorni si terrà il vertice bilaterale Unione Europea-India. E’ troppo sperare che in agenda ci sia anche la questione delle violenze contro i cristiani?
UN INEDITO DI MARIO LUZI SUL POETA E SACERDOTE Una poesia religiosa intessuta di dolore. - Quasi una preghiera: così il grande poeta fiorentino legge i suoi ultimi versi. Aveva ragione Montale: sembrava una figura del Greco - Rebora Vera lirica anche dopo la conversione
di Mario Luzi
Avverto la poesia religiosa di Rebora piuttosto come una preghiera, però intessuta di dolore. C’è il senso della consolazione, che è sempre presente: la consolazione di un dolore che è stato forte, acuto, e che si identifica, si immerge in quello di Cristo. In questa cristologia dolorosa si fondono la preghiera e la ricerca di consolazione dal dolore che è presupposto, implicito.
Cantando « ma santità soltanto compie il canto » , Rebora propone veramente una sfida al tempo nostro, e non solo: ai suoi costumi e alle sue occorrenze. E’ anche una sfida alla mente moderna, alla mens. Solo santità... è davvero un’eccezione rarissima, sublimante, dove il canto è visto come compimento, un segno di sommità alla vicenda del cuore umano. Solo santità: quindi solo un processo di purificazione e di elevazione tale da portare la santità a compiere il canto, che è dunque un privilegio altissimo, accordato però a queste condizioni.
Non sono dunque parole inappropriate quelle di Montale, che lo definì « una figura del Greco, un uomo torchiato da Dio » ; benché forse ci sia più compostezza nel tormento di Rebora di quanta non ne appaia nella figure del Greco; tuttavia è un po’ della stessa natura la tensione interiore.
In altri poeti d’ispirazione religiosa, come Claudel e Péguy si trova una sorta di trionfalismo, una lode remota che risale attraverso le epoche; movenze poetiche e attitudini spirituali abbastanza difformi da Rebora. Io avvicino la sua poesia, come temperie e climax, con la poesia dei primi decenni del Novecento, sebbene poi abbia avuto sviluppi tutti suoi. Mi sembra dunque da considerare non tanto vicina a Péguy che, come già accennato, ha questa intonazione di carme di lode, quanto ai poeti francesi attorno ad Apollinaire. Avendo poi sviluppi più personali, anche perché in Rebora non c’è solo la conversione, ma essa è seguita dalla vocazione sacerdotale.
Troviamo in quest’opera la faticosa luminosità della Grazia, che però poi arriva ed abbaglia. Il mistero è invece a monte, in Rebora, nell’esperienza, nell’ufficio sacerdotale che lui ha pensato anche come conoscenza poetica oltre che teologica. Prevale questo senso di incontro, doloroso, con la luce e con la Grazia. E infatti c’è gratitudine in Rebora: a significare che l’incontro con la Grazia c’è stato.