venerdì 5 settembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Preghiera e digiuno: non siete soli - Oggi solidarietà della Chiesa italiana ai cristiani d’India perseguitati, Avvenire, 5 settembre 2008
2) CRISTIANI/ Socci: continuano le stragi che l'Occidente non vuole vedere
3) P. Edward, scampato al rogo in Orissa: I radicali indù sono terroristi
4) La vergogna dell’India e quella dell’Europa e del mondo
5) D’Agostino: testamento biologico, no alla burocrazia del vivere e del morire
6) Trapianti e morte cerebrale. "L'Osservatore Romano" ha rotto il tabù, di Sandro Magister
7) Essere veri discepoli di Cristo per vincere la violenza in India - Propone la superiora generale delle Missionarie della Carità
8) Uniti e collaborando si realizza la venuta del Regno di Dio: l’esempio di San Riccardo
9) Tra pochi giorni un esperimento sull'universo mostrerà anche a noi nichilisti l'origine del mondo, il Foglio.it, 4 settembre 2008
10) «Fatta prevalere la logica della vita», Avvenire 5 settembre 2008
11) Europarlamento choc: aborto-diritto, Avvenire, 5 settembre 2008

Preghiera e digiuno: non siete soli - Oggi solidarietà della Chiesa italiana ai cristiani d’India perseguitati, Avvenire, 5 settembre 2008
DA ROMA MIMMO MUOLO
È il momento della preghiera e del digiuno in segno di solida­rietà verso i cristiani dell’India. Un raccoglimento orante che acco­muna tutte le regioni d’Italia e che è i­dealmente guidato dalla beata Madre Teresa di Calcutta, di cui proprio og­gi, nel giorno in cui si ricorda l’undi­cesimo anniversario della morte, ri­corre la memoria liturgica. Le diocesi italiane, gruppi associazioni e movi­menti hanno raccolto prontamente l’invito della Presidenza della Cei. E questo 5 settembre è diventata una data a suo modo memorabile nel ca­lendario ecclesiale del 2008. Un segno di vicinanza spirituale e materiale in­sieme, un messaggio lanciato attra­verso i continenti, oltre che una ri­sposta all’appello formulato a suo tempo da Benedetto XVI. In sostanza, il messaggio dice ai cristiani del gran­de Paese asiatico: «Non siete soli». E condannando «con fermezza ogni at­tacco alla vita umana», esorta tutta­via «alla ricerca della concordia e del­la pace», come ribadiva anche il co­municato della Cei, diffuso lo scorso 1° settembre.
Per tutta la giornata di ieri si sono mol­tiplicate le adesioni alla preghiera e al digiuno odierni. Molte le diocesi che hanno diffuso avvisi e comunicati stampa. Da Bergamo a Taranto, da Termoli-Larino nel Molise, a Piazza Armerina in Sicilia. Monsignor Beni­gno Papa, arcivescovo della città ioni­ca pugliese ha espressamente invita­to i parroci a organizzare «momenti di preghiera e di adorazione eucaristica per sostenere questi nostri fratelli du­ramente provati». «La preghiera – ha scritto monsignor Gianfranco De Lu­ca in un messaggio alla sua diocesi di Termoli-Larino – è il luogo in cui i cri­stiani offrono al Signore le gioie e le sofferenze, le serenità e le fatiche del­la vita quotidiana. Pregare, inoltre, al­larga l’orizzonte del cuore, regalan­doci una visione pacifica della vita». Piena adesione anche da parte di monsignor Roberto Amadei, vescovo di Bergamo, e di monsignor Michele Pennisi (Piazza Armerina). Adesioni che vanno ad aggiungersi alla lista del­le diocesi che già nei giorni precedenti avevano raccolto l’invito della Presi­denza della Cei. «Dalla Chiesa di Ro­ma – ha scritto il cardinale vicario A­gostino Vallini – si alzerà un’implora­zione al Signore che accompagni e so­stenga i cristiani indiani in questo tempo di sofferenza». E lo stesso av­verrà questa sera a Milano, dove la diocesi ha aderito all’iniziativa di pre­ghiera promossa dal Pime, a Trani­Barletta-Bisceglie e in numerose altre Chiese locali.
Tra le aggregazioni laicali, ieri è giun­ta l’adesione dell’Azione Cattolica, che in un comunicato segnala con «preoccupazione una diffusa indiffe­renza dei media nel raccontare e de­nunciare questa ondata di persecu­zione ora in India, ma anche nei con­fronti dei cristiani del Darfur, dell’Iraq e di altre regioni del mondo».
Si raccoglierà in preghiera anche l’Associazione Comunità Papa Gio­vanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, «per implorare dal Cielo l’im­mediata cessazione di tutti gli atti di violenza contro i cristiani in India». Mentre a mezzogiorno, nella sede nazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre a Roma, verrà celebrata una Messa.
Raccoglimento e digiuno anche da parte delle 50 associazioni nazionali e dagli oltre tre milioni di famiglie del Forum e dal Copercom, il coordina­mento delle associazioni per la co­municazione, invitate ad amplificare con i propri mass media «il grido di questi nostri fratelli». Aderisce alla Giornata anche il settimanale Fami­glia Cristiana, mentre sul sito inter­net di Piùvoce.net Cattolici in rete si ricorda: «Pregare e digiunare per i cri­stiani dell’India è una scommessa su un mondo libero in cui nessuno usi la religione come un’arma da brandire contro l’altro».
Numerose, infine, le adesioni da par­te di esponenti del mondo istituzio­nale e politico. Tra gli altri il ministro delle Politiche Europee, Andrea Ron­chi, il vice presidente del Senato, Van­nino Chiti e il sindaco di Roma, Gian­ni Alemanno.



CRISTIANI/ Socci: continuano le stragi che l'Occidente non vuole vedere
INT. Antonio Socci
venerdì 5 settembre 2008
Dopo l'appello del pontefice perché ritorni la pace in India, la Conferenza Episcopale Italiana ha indetto una giornata di digiuno per venerdì 5 settembre, giorno dedicato, tra l'altro, alla memoria della Beata Teresa di Calcutta. Antonio Socci ci spiega l'evolversi della situazione dei cristiani in India e nei Paesi più “caldi”.
Antonio Socci, come commenta le parole del Papa sulla difficile situazione indiana e l'iniziativa della CEI?
Benedetto XVI ha parlato in maniera molto cauta e paterna perché vuole chiaramente evitare ritorsioni sui territori dell'India interessati e lo scatenamento di altri massacri. Quindi nel suo linguaggio si avvertono note di comprensione, di perdono e una via per trovare una sorta di accordo con gli induisti.
In merito all'iniziativa del digiuno reputo che si tratti di una decisione bella e importante. Questa presa di posizione della CEI segna finalmente un giudizio forte sulla situazione e va dunque salutata con gioia considerandone poi l'autentico significato. Il digiuno dei cristiani non è una manifestazione come quelle dei radicali, ma è innanzitutto una preghiera di aiuto a Dio.
Come vede la situazione in India e quali sono le cause di un simile odio verso i cristiani?
È ormai da molto tempo quel tipo di cultura, che in Occidente viene spesso rappresentata in maniera molto banale e superficiale come una cultura della tolleranza e della convivenza, si mostra per quello che è: nazionalista intollerante e violenta.
L'India è uno Stato dove la religione viene utilizzata come uno strumento di preservazione di un sistema di caste che è assolutamente vergognoso e pazzesco e che purtroppo, nonostante l'abolizione formale, è sopravvissuto a 50 anni di democrazia.
Si può capire, nell'impatto con il mondo indiano, quale tipo di rivoluzione abbia rappresentato il cristianesimo. Fu una totale novità che irruppe nel mezzo delle culture pagane che allora imperversavano praticando ingiustizie per noi oggi inaccettabili. Noi attualmente ragioniamo sempre dando per acquisiti e naturali dei dati e dei comportamenti che derivano da 2000 anni di cristianesimo. Ma molte religioni pagane ignorano lo stesso concetto di pietà. Quindi si può ben capire, da un lato, lo stravolgimento portato in India dai cattolici, dall'altro, la reazione violenta che venne e continua a venir loro inflitta. Tutto ciò pur essendo l'impatto dei missionari cattolici molto umile e rispettoso delle culture altrui, anche a confronto con quello dei protestanti.
Quali sono, secondo lei, le altre situazioni particolarmente critiche, in questo momento, per i cristiani nel mondo?
La prima a venirmi alla mente è quella dell'Egitto dove risiede una minoranza cristiana molto grande, direi anzi che è impreciso parlare di “minoranza” dal momento che rappresentano il 10% della popolazione. Le chiese copte hanno sono quasi unite a Roma, hanno una sensibilità straordinaria e rappresentano l'eredità dei primi cristiani. I cristiani erano in Egitto molto prima dei musulmani e il continuo assedio ideologico e concreto cui sono sottoposti ormai l'assedio sta diventando sempre più soffocante. La settimana scorsa è venuta fuori, nel dibattito politico egiziano, l'idea di proibire i trapianti fra persone di religione diversa. Tale fatto discrimina evidentemente i cristiani, già vittime di una situazione dura e pesante. Poi si consideri la difficile situazione in Libano, unico paese dove i cristiani non rappresentano una minoranza, eppure viene loro mossa sempre guerra.
Uno sguardo più positivo, nonostante l'attuale situazione, si può rivolgere alle situazioni in India e in Cina. In India si contano circa 200 milioni di dalit, i paria, gli intoccabili. Costoro rappresentano un gruppo umano che è molto sensibile al messaggio cristiano, e molte sono le conversioni che provengono dalla loro casta. La Cina pian piano sta accedendo anche all'idea della liberalizzazione politica e in un futuro non vedo impossibile un maggior dialogo sulla questione religiosa.
Nel suo libro, I nuovi perseguitati, lei ha svolto una sconvolgente indagine sulla situazione dei cattolici e in generale dei cristiani in molti Paesi. Trova che l'opinione pubblica abbia in qualche modo cambiato opinione rispetto a qualche tempo fa?
La cosa che mi ha più impressionato è stata la ricezione molto forte che il mio libro ha avuto su persone come Paolo Mieli, Ernesto Galli della Loggia che ne ha scritta la prefazione, o anche Angelo Pane bianco. Si tratta di personaggi di cultura laica e liberale che si rendono conto del panorama devastante delle persecuzioni cristiane e che in qualche modo ne hanno fatta una lotta personale. Paradossalmente sono i cristiani del mondo cattolico Occidentale ad essere inconsapevoli della propria situazione. A parte poche straordinarie esperienze come Aiuto alla chiesa che soffre o Russia Cristiana, che sono stati eroici punti di collegamento nella storia fra Occidente e Oriente cristiani, il mondo cattolico ancora pochi anni fa non si era reso conto dell'esistenza di una Chiesa in decine e decine di paesi perseguitata per la propria fede.
Quando andavo in giro per presentare il mio libro dicevo provocatoriamente: «nelle vostre parrocchie quante volte, durante le preghiere dei fedeli o nelle veglie di preghiera, vengono nominati i cristiani perseguitati?». Ovviamente la risposta era: "Quasi mai".
Eppure non è sempre stato così.
Certo che no! Se si pensa che cos'era l'esempio dei martiri nell'antichità e come questo venisse difeso e proclamato dalla classe intellettuale cristiana dei tempi, ci si accorge di come le cose siano cambiate.
Oggi, con il pontificato di Giovanni Paolo II, si è un po' sfondata questa pigrizia intellettuale. Il precedente Papa si è portato addosso tutto il peso della Chiesa del silenzio. Ma da qui a far passare la reale e drammatica situazione dei cristiani nel mondo attraverso la mentalità comune ce ne vuole. Io continuo a ritenere che molto spesso è più sensibile la stampa laica rispetto alla stampa cattolica su questi argomenti.


P. Edward, scampato al rogo in Orissa: I radicali indù sono terroristi
P. Edward Sequeira è fra le vittime delle violenze dei fondamentalisti nell’Orissa. Solo per miracolo si è salvato dal rogo del suo orfanotrofio, dove è morta carbonizzata la sua collaboratrice, Rajni Majhi. Ricoverato ora a Mumbai, in cura intensiva, ha accettato di parlare con AsiaNews. Per il sacerdote, occorre una condanna internazionale contro il mancato rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa che domina nell’India rurale. Il commento di p. Bernardo Cervelliera: La "vergogna" è che i cristiani dell'India… vengono massacrati, mentre governi mondiali e associazioni umanitarie tacciono...


Mumbai (AsiaNews) – P. Edward Sequeira è un’altra vittima delle violenze dei radicali indù nell’Orissa, che lui non esita a definire “terroristi”. I gruppi legati al Sangh Parivar lo hanno preso, legato, picchiato per oltre un’ora e poi lo hanno rinchiuso nella stanza incendiandola. P. Edward è riuscito a salvarsi rinchiudendosi nel bagno della sua camera. Prima di perdere i sensi, ha sentito le urla di Rajni Majhi che, legata, era stata buttata nelle fiamme, morendo carbonizzata.
Le prime informazioni parlavano di lei come una suora, poi di una missionaria laica. P. Edward spiega che la ragazza era una delle tante ragazze orfane che lui aveva salvato e che viveva e collaborava con lui nell’orfanotrofio da lui fondato.
Mentre parla di lei, p. Edward non riesce a trattenere le lacrime e scoppia in singhiozzi. La folla dei fanatici forse pensava che Rajni fosse una delle tante conversioni forzate che essi attribuiscono la cosiddetto “proselitismo cristiano”. “Era solo una semplice ragazza indù – dice il sacerdote – che stava prendendo la licenza superiore. Sento ancora nelle orecchie la sua voce: Padre, mi vogliono bruciare viva! Queste sono le ultime parole che ho percepito, dopo ho perso conoscenza… La sua morte è la ferita più profonda nel mio cuore”.
I fondamentalisti indù da tempo diffondono una campagna contro le conversioni cristiane e la loro opera di evangelizzazione. Per p. Edward, 58 anni, il suo impegno di missionario è un’opera per la dignità della persona.
“Negli ultimi 10 anni ho sempre lavorato affianco a i lebbrosi a Padampur, nel distretto di Bargarh. A un centro punto mi sono scontrato con questo problema: nelle comunità rurali dell’India, si preferisce avere il figlio maschio; i genitori hanno magari più di 4 o 5 figlie femmine prima che nasca loro il maschio. E così, queste ragazze molto difficilmente vengono mandate a scuola, spesso finiscono per pascolare le mucche, o sono mandate come serve presso qualche proprietario terriero. Molte di esse soffrono di malnutrizione.
Per questo ho dato il via a un ostello-orfanotrofio per ragazze, per dare loro una possibilità di crescita e di dignità, attraverso la scuola e l’addestramento professionale”.
“Una di queste ragazze era proprio Rajni Majhi, nata da una famiglia indù che avendo già 5 o 6 figlie, l’ha concessa in adozione a un’altra famiglia di tribali indù, che non avevano figli. Quando questa famiglia adottiva è riuscita ad avere figli propri, hanno cominciato a trattare male e discriminare la povera Rajni. Per questo motivo, 4 anni fa lei è venuta al mio orfanotrofio e dopo pochi mesi scoppiava di vita e di gioia. Le ragazze più piccole la chiamavano ‘nanni’ (sorella maggiore) e oltre a studiare, Rajni era un po’ come la responsabile delle ragazze.
“Tutti questi programmi di sviluppo – dalla cura dei lebbrosi ai Dalit – sono tutti a servizio degli indù. Ho lavorato in Orissa per 25 anni e non ho mai convertito neanche una persona al cristianesimo”.
L’odio contro il cristianesimo e contro lo sviluppo delle persone è ciò che spinge i gruppi radicali indù a distruggere la presenza dei cristiani e delle loro istituzioni. “Chi dice che terroristi sono solo quelli che piazzano bombe o portano armi? Ciò che succede in Orissa è un attacco terrorista. Cos’altro sono questi membri della Sangh Parivar, che hanno licenzia di uccidere, distruggere e schiacciare i loro concittadini? Sui cristiani del distretto di Kandhamal si è scatenata un’azione di puro terrorismo”.
P. Edward ricorda quanto gli è successo: “Lunedì 25 agosto, intorno all’1.30, stavo pranzando quando qualcuno bussa alla porta. Apro e c’è una folla di 500 persone che domanda ‘Chi è il prete?’. In questo non vi era nulla di strano: spesso la gente viene da me e mi chiede di accompagnare qualche persona all’ospedale con la mia auto. Quando mi sono presentato, hanno tirato fuori tutte le armi che avevano – asce, falci, lance, sbarre di ferro – e hanno cominciato a colpirmi. Trascinandomi fuori, nel cortile dell’orfanotrofio, mi colpivano gridando: Bajrang Bali Ki Jai! Yesu Christi Murdabada! Lode al Signore Hanuman [il dio indù, col volto di scimmia – ndr]! Distruggete, eliminate Gesù Cristo!
Gli estremisti mi hanno malmenato per almeno un’ora [P. Edward ha ancora oggi ecchimosi su tutto il corpo e 5 ferite alla schiena – ndr].
Poi sono entrati nella mia stanza, hanno raccolto tutti i vestiti e i libri e li hanno ammucchiati al centro, vi hanno versato sopra kerosene, olio e alcuni bastoni di gelatina che avevano portato con loro, mi hanno spinto nelle fiamme e hanno chiuso la stanza dall’esterno.
Rimanendo stranamente calmo – forse mi ha aiutato il Signore – sono andato nel bagno e mi sono chiuso dentro, mentre la stanza era avvolta dalle fiamme e da un fumo denso.
Sentivo la folla che gridava slogan anti-cristiani. Poi li sento andare nel garage e lì bruciano la macchina. Alcuni di loro erano andati sul tetto per bruciare il garage. Intanto il bagno dove ero nascosto si era riempito di una spessa coltre di fumo. Era tutto buio, e mentre i miei polmoni respiravano il fumo, ero preoccupato per i bambini e le bambine dell’orfanotrofio.
Intanto, i bambini e Rajni, che avevano assistito alla folla che mi assaliva, erano entrati nell’orfanotrofio e avevano sbarrato la porta dall’interno. Ma alcuni uomini, dal tetto, sono riusciti a penetrarvi dentro e hanno trascinato Ranji all’esterno, insieme ai bambini. Molti di loro sono fuggiti. Ma quei criminali hanno legato Ranji e dopo aver fatto un falò nella stanza dell’orfanotrofio, l’hanno gettata nelle fiamme. Con le loro lance, falci e altre armi la costringevano a rimanere fra le fiamme”.
Qui p. Edward scoppia a piangere. Quando si riprende aggiunge soltanto: “Rajna era una ragazza così semplice, aveva davanti a sé il futuro… Ora la mia preoccupazione è di aiutare gli orfani. Questi bambini hanno assistito al rogo. Non riesco nemmeno ad immaginare i loro traumi: saranno spaventati per tutta la vita”.
Solo l’arrivo dei vigili del fuoco ha messo fine a quella tragedia. Ma i problemi restano: “Nell’India rurale – continua il sacerdote – diritti umani e libertà religiosa non esistono. Vi sono due Indie: quella industriale, dal potere economico emergente, e quella della povertà rurale, dei poveri e degli sfruttati, senza diritti e senza libertà religiosa; il potere politico si ricorda di loro solo come riserva di voti alle elezioni”.
“Noi veniamo attaccati perchè la Chiesa rende queste persone più coscienti della loro dignità e le aiuta all’autodeterminazione. Col nostro impegno miglioriamo lo stato economico dei poveri e degli emarginati. I Dalit e i tribali diventano più coscienti attraverso la nostra educazione… I proprietari terrieri sono contrari a tutto questo perché non possono più sfruttarli come manodopera a basso costo, con la schiavitù o altre forme di oppressione”.
“Nell’India rurale, la religione è tutta politicizzata, è una pedina nelle mani di alcuni potenti politici che soffiano sul fanatismo religioso per i loro scopi… Sono vandali, sono dei criminali”.
P. Edward conclude con un appello alla comunità internazionale: “Tutti I leader del mondo dovrebbero condannare questo attacco ai cristiani dell’Orissa. Non basta dire – come ha fatto il primo ministro indiano – che esso è ‘una vergogna nazionale’. Il mondo dovrebbe condannare questi atti di terrorismo e imporre sanzioni, denunciando l’India per questi abusi e mancanza di rispetto per i diritti umani e la libertà religiosa”.
di Nirmala Carvalho
AsiaNews 04/09/2008


La vergogna dell’India e quella dell’Europa e del mondo
La "vergogna" è che i cristiani dell'India, una forza importante per lo sviluppo sociale ed economico del Paese, vengono massacrati, mentre governi mondiali e associazioni umanitarie tacciono. Un altro esempio di "cristianofobia". L'invito dei vescovi italiani per la Giornata di preghiera e digiuno, domani, memoria della beata Teresa di Calcutta.
di Bernardo Cervellera
Roma (AsiaNews) - L’India del Mahatma Gandhi, della tolleranza, della democrazia è scivolata nella vergogna. “Una vergogna per la nostra Patria”: così il premier Manmohan Singh e il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, hanno definito il pogrom contro i cristiani scatenatosi dal 23 agosto in poi nello stato dell’Orissa. Il bilancio è gravissimo e destinato a crescere: decine di morti (alcune fonti dicono 100); almeno 52 chiese (fra cattoliche e protestanti) distrutte; centinaia di case danneggiate; quattro conventi, cinque fra ostelli e alloggi per giovani, sei istituti cattolici dediti al volontariato e al sociale devastati, centinaia di auto e altri oggetti personali incendiati. Ancora oggi migliaia di cristiani, fuggiti al massacro vivono nelle foreste vicine, nel terrore, senza abiti, né cibo.
L’Orissa, uno stato del nord-est indiano, non è nuovo a queste ondate di persecuzione. Lo scorso dicembre, alla vigilia di Natale, l’organizzazione fondamentalista indù (Vishwa Hindu Parishad, Vhp) ha ucciso 3 persone, attaccato e distrutto 13 chiese e cappelle, ferendo e lasciando senza tetto un gran numero di cristiani sempre nel distretto di Kadhamal. A spingere le folle indù contro i cristiani vi era Swami Laxmanananda Saraswati, uno dei capi del Vhp.
Quest’ultimo sussulto di persecuzione è avvenuto proprio dopo la morte dello Swami ad opera di un gruppo terrorista maoista la sera del 23 agosto. Sebbene anche alla polizia fossero chiari gli autori dell’assassinio dello Swami, alcuni capi del Vhp hanno subito dato la colpa ai cristiani e durante le cerimonie funebri del guru migliaia di radicali indù hanno dato inizio al pogrom col grido “uccidete i cristiani! Distruggete le loro istituzioni!”.
L’accanirsi contro persone e strutture serve ad eliminare la missione dei cristiani. Tribali - spesso utilizzati come schiavi per i lavori agricoli – e Dalit, gli emarginati dalle caste, vedono nel cristianesimo una strada per migliorare la loro situazione, vedere affermati i loro diritti, trovare finalmente una dignità al loro essere uomini. In un certo senso, la persecuzione è la misura dell’efficacia della missione cristiana.
Nell’opporsi all’impegno dei cristiani, i fondamentalisti indù si oppongono anche all’induismo di Gandhi, che voleva per l’India un Paese laico, aperto a tutte le religioni, l’eliminazione delle caste e la dignità dei Dalit, da lui definiti “figli di Dio” (harijian).
Il Vhp, nel suo nazionalismo esclusivo, molto vicino al nazismo, vuole invece eliminare dall’India cristiani, musulmani, parsi. Insomma: distruggere la storia dell’India, da sempre luogo d’incontro e di integrazione fra culture e religioni.
Oltre alla “vergogna” dell’India, vi è anche una “vergogna” per l’Europa e per il mondo. Al di là di qualche sparuta voce – come quella del ministro italiano Frattini - nessun governo ha osato dire qualcosa sui massacri dell’Orissa, domandandone la fine. Molte associazioni così pronte a difendere gruppi, minoranze, specie in estinzione, impegnati pacifisti hanno preferito tacere e anzi sospettare che dietro le accuse di proselitismo fatte dai radicali indù ci sia una qualche verità. Come hanno giustamente additato alcune personalità vaticane, vi è in Europa e nel mondo una specie di “cristianofobia” che cerca di scrollarsi di dosso, anche con la menzogna, l’eredità cristiana. Per questo, le notizie di persecuzione dei fedeli in Orissa, come in Cina o in Medio oriente, non interessano, anzi sono magari giustificate.
Questo rende ancora più importante il nostro servizio di informazione, la nostre preghiera e la nostra testimonianza, in India come in Europa. Anche l’invito dei vescovi italiani a una giornata di preghiera e digiuno per i cristiani dell’India - domani 5 settembre, memoria della beata Teresa di Calcutta – è parte di questo impegno per la verità e l’amore.
AsiaNews 04/09/2008


D’Agostino: testamento biologico, no alla burocrazia del vivere e del morire
INT. Francesco D'Agostino
venerdì 5 settembre 2008
Professor D’Agostino, continua a far discutere il caso Englaro e il dibattito ad esso legato sul testamento biologico e su una legge al riguardo. È di ieri la notizia del pronunciamento della Regione Lombardia, che ha detto no all’individuazione di una struttura in cui sospendere il trattamento che tiene in vita Eluana.
La cosa più preoccupante, a mio avviso, è che problemi radicali come quello del vivere e del morire vengano dibattuti a partire da casi singoli, che sono tragici ma che proprio per questo rendono difficile una comprensione oggettiva del problema. A parte il caso singolo e tragico della povera Eluana, o di altri malati in stato vegetativo persistente, corriamo il rischio di attivare una gestione burocratica del vivere e del morire che sta divenendo di giorno in giorno più temibile. È inaccettabile l’idea che il sistema sanitario o più semplicemente lo Stato possa dettare delle normative per affidare a soggetti qualificati un potere di vita e di morte su persone in condizioni estreme. Il medico, invece di agire in scienza e coscienza a favore del malato terminale, si trova vincolato a disposizioni meramente procedurali: nel caso Englaro, per esempio, deve attenersi alla sentenza della Corte d’Appello di Milano dove si dice che bisogna tenere umettate le mucose della povera Eluana. Lo dice il magistrato al medico! Sarebbe naturalmente altrettanto grave, se le norme procedurali le avesse stabilite la legge anziché il magistrato. La mia convinzione, invece, è che bisogna lasciare doverosamente ai medici e alla loro deontologia la scelta di come intervenire nel miglior interesse del paziente, fermo restando il divieto di eutanasia, che in Italia è un principio di rango costituzionale e che viene prima della deontologia medica.
Quali sono i requisiti ai quali dovrebbe saper rispondere una legge sul “testamento biologico”?
Sicuramente è ragionevole dar credito alle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), esattamente come è ragionevole dar credito a qualunque richiesta che un paziente competente rivolge al medico curante. Egli ha il dovere di prendere sul serio la richiesta del paziente, ma non il dovere di ubbidire ciecamente a questa pretesa. Non basta che il malato dica al medico “mi dia l’antibiotico”, perché il medico abbia il dovere di obbedire alla volontà del malato. Il medico valuta la situazione concreta e quanto richiede il malato, e in base ai migliori interessi del paziente prenderà le sue decisioni. A mio avviso i pazienti possono redigere dichiarazioni anticipate di qualunque natura, ma innanzitutto bisogna che esse siano legalmente garantite in modo molto forte.
Cosa intende dire?
Mi sembra che la Cassazione abbia preso un grave abbaglio, affermando che le dichiarazioni anticipate possono essere dedotte da testimonianze o addirittura dagli stili di vita della persona. È altrettanto ridicolo che ricostruire una volontà testamentaria attraverso dei testimoni. Quella della Cassazione è una vera e propria fuga in avanti, perché in nessun paese del mondo in cui ci sono testamenti biologici si riconosce la possibilità di dare una libera prova del contenuto di queste dichiarazioni. Vanno fatte per iscritto da pazienti capaci di intendere e di volere e ampiamente informati della rilevanza delle loro stesse dichiarazioni.
Questo requisito, secondo lei, è sempre verificabile?
Chi fa una DAT e le affida al medico deve essere informato che potrebbe non avere occasione di cambiarle. Però, dal mio punto di vista, nelle DAT non possono entrare richieste che andrebbero ritenute illegali se fossero formulate da un paziente competente, come la richiesta di eutanasia o un espianto di organi a fini di commercializzazione,ma solo richieste legali, che andrebbero filtrate dal medico curante il quale dovrebbe essere sempre libero di attendere o non attendere a queste dichiarazioni. La mia convinzione è che occorre affidare alla valutazione sapiente del medico curante l’esecuzione totale, parziale o la non esecuzione della DAT. È ovvio che il medico dovrà sempre dare ragione delle decisioni che prende. Il Comitato di Bioetica aveva affermato nel 2003 che ove si procedesse nel riconoscimento del testamento biologico, sarebbe stato dovere del medico inserire nella cartella clinica del paziente le sue argomentazioni, cioè le argomentazioni del medico sull’esecuzione o la non esecuzione delle volontà anticipate.
Un’eventuale legge sul testamento biologico non è troppo facilmente aperta al rischio di eutanasia?
Intanto bisognerebbe vedere cosa c’è dentro la legge. Il fare discorsi in linea di principio il più delle volte fa perder contatto con la realtà… in questo momento l’argomento che io in Italia userei per rispondere a questa obiezione è che abbiamo dall’ottobre 2007 una sentenza della Cassazione molto liberale, che dilata enormemente la possibilità di recepire le DAT anche per via testimoniale a partire dallo stile di vita. Piaccia o no agli avversari del testamento biologico, in questo momento attraverso la sentenza della Cassazione si può andare dal giudice e dar prova della volontà anticipata del malato in stato vegetativo, per ottenere dal giudice un conseguente decreto che autorizza il tutore del malato a sospendere qualsiasi terapia di sostegno vitale e perfino l’alimentazione. Di fronte a questa situazione non ha senso dire “è rischioso introdurre il testamento biologico”, bisogna dire invece che dall’autunno scorso, anche se l’opinione pubblica non l’ha capito sino in fondo, in Italia c’è la possibilità di dar prova di un testamento biologico perfino orale; figuriamoci poi se scritto. Se il signor Englaro avesse trovato un testo scritto di Eluana, a maggior ragione la Corte di Cassazione lo avrebbe autorizzato ad applicarlo.
Dunque la sentenza citata rappresenta un vulnus nel nostro ordinamento.
Per questo il Parlamento ha attivato un conflitto di attribuzione con la magistratura, dicendo: con questa sentenza la magistratura ha introdotto un istituto giuridico che nel nostro ordinamento positivo fino a oggi non esisteva. Introdurre nuovi istituti giuridici, infatti, è competenza del Parlamento e non della magistratura. È chiaro che la magistratura si difenderà dicendo “noi abbiamo dato semplicemente un’interpretazione estensiva della legge vigente”. E infatti la Cassazione si guarda bene dal parlare di testamento biologico. Vedremo a chi la Corte costituzionale darà ragione. Se il Parlamento invece farà una legge, a quel punto i magistrati saranno vincolati alla legge votata dal Parlamento.


Trapianti e morte cerebrale. "L'Osservatore Romano" ha rotto il tabù
Il giornale del papa ha messo in dubbio che per accertare la morte di una persona basti l'arresto del cervello. E con ciò ha riaperto la discussione sui prelievi d'organi da "cadaveri caldi" a cuore battente. Ancor più critici gli studiosi della Pontificia Accademia delle Scienze. E Ratzinger, quand'era cardinale...
di Sandro Magister
ROMA, 5 settembre 2008 – Con un vistoso articolo in prima pagina, "L'Osservatore Romano" di due giorni fa ha riaperto la discussione sui criteri con cui stabilire la morte di una persona umana.

L'articolo è di Lucetta Scaraffia, docente di storia contemporanea all'Università di Roma "La Sapienza" e firma ricorrente del giornale vaticano. Il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha precisato che l'articolo "non è un atto del magistero della Chiesa né un documento di un organismo pontificio" e che le riflessioni ivi espresse "sono ascrivibili all'autrice del testo e non impegnano la Santa Sede".

Giusto. "L'Osservatore Romano" ha valore di organo ufficiale della Santa Sede soltanto nella rubrica "Nostre informazioni", che riporta le nomine, le udienze e gli atti del papa. La quasi totalità dei suoi articoli è stampata senza il previo controllo delle autorità vaticane e ricade sotto la responsabilità degli autori e del direttore, il professor Giovanni Maria Vian.

Ciò non toglie però che l'articolo ha rotto un tabù, su un giornale che è pur sempre "il giornale del papa".

Quarant'anni fa, il 5 agosto del 1968, il "Journal of American Medical Association" pubblicò un documento – il cosiddetto rapporto di Harvard – che fissò il momento della morte non più nell'arresto del cuore, ma nella cessazione totale delle funzioni del cervello. Tutti i paesi del mondo si adeguarono rapidamente a questo criterio. E anche la Chiesa cattolica si allineò. In particolare con una dichiarazione del 1985 della Pontificia Accademia delle Scienze e poi ancora nel 1989 con un nuovo atto della stessa accademia, avvalorato da un discorso di Giovanni Paolo II. Papa Karol Wojtyla tornò ancora sul tema in successive occasioni, ad esempio con un discorso a un congresso mondiale della Transplantation Society, il 29 agosto del 2000.

In questo modo, la Chiesa cattolica legittimò di fatto i prelievi di organi così come oggi sono universalmente praticati su persone in fin di vita per malattia o per incidente: col donatore definito morto dopo che si è accertato il suo "coma irreversibile", nonostante ancora respiri e il suo cuore batta.

Da allora, su questo punto la discussione nella Chiesa si spense. Le uniche voci che si udivano erano in linea con il rapporto di Harvard. Tra queste voci standard ci fu quella del cardinale Dionigi Tettamanzi, negli anni antecedenti il 2000, quando i temi bioetici erano suo pane quotidiano. Dopo di lui, le autorità della Chiesa più ascoltate in materia sono stati il vescovo Elio Sgreccia, fino a pochi mesi fa presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del pontificio consiglio per la pastorale della salute.

Anche un altro esperto oggi tra i più accreditati in campo ecclesiastico, Francesco D'Agostino, professore di filosofia del diritto e presidente emerito del comitato italiano di bioetica, difende a spada tratta i criteri fissati dal rapporto di Harvard. I dubbi affacciati dall'articolo de "L'Osservatore Romano" non scuotono le sue certezze: "Quella esposta da Lucetta Scaraffia è una tesi che esiste in ambito scientifico, ma è ampiamente minoritaria".

* * *

Sotto traccia, però, nella Chiesa i dubbi crescono. Intanto, da Pio XII in poi, i pronunciamenti della gerarchia sulla questione sono meno lineari di come appaiono. A illustrare queste "ambiguità" della Chiesa c'è un intero capitolo di un libro uscito di recente in Italia: "Morte cerebrale e trapianto di organi. Una questione di etica giuridica", edito dalla Morcelliana di Brescia. Ne è autore Paolo Becchi, professore di filosofia del diritto nelle università di Genova e di Lucerna e allievo di un pensatore ebreo che dedicò riflessioni preoccupate alla questione della fine della vita, Hans Jonas. Secondo Jonas, la nuova definizione di morte accreditata dal rapporto di Harvard era motivata, più che da un reale avanzamento scientifico, dall'interesse, cioè dalla domanda di organi da trapiantare.

Ma soprattutto aumentano nella Chiesa le voci critiche. Già nel 1989, quando la Pontificia Accademia delle Scienze si occupò della questione, il professor Josef Seifert, rettore dell'Accademia Filosofica Internazionale del Liechtenstein, avanzò forti obiezioni alla definizione di morte cerebrale. A quel convegno, quella di Seifert fu l'unica voce dissenziente. Ma anni dopo, quando il 3-4 febbraio del 2005 la Pontificia Accademia delle Scienze si riunì di nuovo a discutere la questione dei "segni della morte", le posizioni si erano capovolte. Gli esperti presenti – filosofi, giuristi, neurologi di vari paesi – si trovarono d'accordo nel ritenere che la sola morte cerebrale non è la morte dell'essere umano e che il criterio della morte cerebrale, privo di attendibilità scientifica, debba essere abbandonato.

Questa conferenza fu uno choc per i dirigenti vaticani che aderivano al rapporto di Harvard. Il vescovo Marcélo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, dispose che gli atti non fossero pubblicati. Un buon numero dei relatori consegnò allora i propri testi a un editore esterno, Rubbettino. E ne venne un libro dal titolo latino: "Finis Vitae", curato dal professor Roberto de Mattei, vicedirettore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e direttore della rivista "Radici Cristiane". Il libro ha avuto una doppia edizione, in italiano e in inglese. Allinea diciotto saggi, metà dei quali di studiosi che non parteciparono al convegno della Pontificia Accademia delle Scienze ma ne condividevano gli orientamenti. Tra questi il professor Becchi. Mentre tra i relatori al convegno spiccano i nomi di Seifert e del filosofo tedesco Robert Spaemann, quest'ultimo molto stimato da papa Joseph Ratzinger.

Sia questo doppio volume edito da Rubbettino, sia quello di Becchi pubblicato dalla Morcelliana hanno dato lo spunto a Lucetta Scaraffia per riaprire la discussione sulle colonne de "L'Osservatore Romano", nel quarantesimo del rapporto di Harvard.

* * *

E Benedetto XVI? Sulla questione non si è mai pronunciato direttamente, nemmeno da teologo e cardinale. Si sa però che apprezza le argomentazioni dell'amico Spaemann.

Nel concistoro del 1991 Ratzinger tenne ai cardinali una relazione sulle "minacce contro la vita". E nel descrivere tali minacce si espresse così:

"La diagnosi prenatale viene usata quasi di routine sulle donne cosiddette a rischio, per eliminare sistematicamente tutti i feti che potrebbero essere più o meno malformati o malati. Tutti quelli che hanno la buona sorte di essere portati sino al termine della gravidanza dalla loro madre, ma hanno la sventura di nascere handicappati, rischiano fortemente di essere soppressi subito dopo la nascita o di vedersi rifiutare l'alimentazione e le cure più elementari.

"Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma 'irreversibile' saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo o serviranno, anch'essi, alla sperimentazione medica, come 'cadaveri caldi'.

"Infine, quando la morte si preannuncerà, molti saranno tentati di affrettarne la venuta mediante l'eutanasia".

Da queste parole si intuisce che Ratzinger aveva già allora forti riserve sui criteri di Harvard e sulla pratica che ne è derivata. A suo giudizio i prelievi d'organo su donatori in fin di vita avvengono spesso su persone non già morte, ma "messe a morte" a tal fine.

Inoltre, da papa, Ratzinger ha pubblicato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Nel quale si legge, al n. 476:

"Per il nobile atto della donazione degli organi dopo la morte deve essere pienamente accertata la morte reale del donatore".

Commenta Becchi nel suo libro:

"Poiché oggi ci sono buoni argomenti per ritenere che la morte cerebrale non equivalga alla morte reale dell'individuo, le conseguenze in materia di trapianti potrebbero davvero essere dirompenti. E ci si può chiedere quando esse saranno oggetto di una presa di posizione ufficiale della Chiesa".


Essere veri discepoli di Cristo per vincere la violenza in India - Propone la superiora generale delle Missionarie della Carità

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 4 settembre 2008 (ZENIT.org).- Per vincere la violenza di cui sono vittime in queste settimane i cristiani in India, c'è bisogno di autentici discepoli di Cristo, ha affermato suor Mary Nirmala Joshi, superiora generale delle Missionarie della Carità.
La religiosa, che è succeduta a Madre Teresa di Calcutta nella guida della congregazione, ha spiegato a “L'Osservatore Romano” che “la testimonianza cristiana necessaria in India oggi consiste nell'essere discepoli autentici di Cristo nell'amore per la persona di Cristo e nel vivere pienamente l'insegnamento che ci ha lasciato nel discorso della montagna”.
Lo scorso 28 agosto, suor Nirmala ha indirizzato al popolo dell'Orissa e di tutta l'India un messaggio in cui ha ricordato che “non bisogna usare la religione per dividerci e che la violenza in nome della religione è un abuso della religione stessa”.
“Come ripeteva madre Teresa: 'La religione è un'opera di amore. Non è fatta per distruggere la pace e l'unità'”, ha osservato.
“In nome della nostra nazione e della nostra nobile eredità, in nome dei poveri, dei bambini e di tutti i nostri fratelli e sorelle vittime di questa insensata violenza e distruzione: preghiamo, apriamoci alla luce e all'amore di Dio; deponiamo le armi dell'odio e della violenza e indossiamo l'armatura dell'amore; perdoniamoci gli uni gli altri per il male che ci siamo fatti”, ha proposto.
“Domandiamo a madre Teresa di pregare perché possiamo divenire strumenti di Dio e della sua pace, costruttori della civiltà dell'amore”.
In occasione della festa liturgica della beata Teresa di Calcutta, il 5 settembre, anniversario della sua morte, suor Nirmala esprime “profonda gratitudine a Dio per il dono della sua vita di santità e della sua missione mondiale di amore per i più poveri fra i poveri, i meno amati, i meno desiderati, i più dimenticati tra i figli di Dio, a prescindere dalla casta, dal credo, dalla nazionalità o dalla cultura”.
Questo ringraziamento, osserva, si esprime “con la preghiera, con il sacrificio e con umili servizi d'amore verso i nostri fratelli e le nostre sorelle che sono nel bisogno”, ma anche “rinnovando il nostro desiderio di santità e la determinazione a divenire santi, ispirati dal suo esempio”.
Allo stesso modo, si ricorda la beata “come potente strumento di intercessione in cielo, donataci da Dio, implorando la sua intercessione potente ed efficace per la pace e l'armonia fra tutti nell'Orissa e in tutte le aree tormentate del mondo, e per le necessità di quanti soffrono”.
In questi giorni si stanno svolgendo a Calcutta, sulla tomba della beata, Messe precedute dalla recita del rosario, a cui partecipano parrocchie di Calcutta e delle zone vicine, le suore e i Fratelli Missionari della Carità, i malati e i bambini delle loro case e anche “persone non cattoliche appartenenti a tutte le religioni” che “vengono a rendere omaggio, pregando, offrendo fiori e candele e implorando l'intercessione della Madre per le loro necessità e per quelle del Paese e del mondo”.
“È previsto anche un incontro di preghiera tra le religioni”, ha ricordato.
Il grande amore che tutti nutrono per Madre Teresa deriva dal fatto che “ha insegnato con le parole e con l'esempio che qualunque cosa facciamo all'ultimo dei nostri fratelli la facciamo a Dio stesso”.
“Gli abitanti dell'India sono molto orgogliosi della Madre – ha sottolineato suor Nirmala –. In lei hanno trovato qualcuno che davvero si preoccupa di loro. La sua vita è per loro fonte d'ispirazione. Nel suo nome tutti i cuori e tutte le porte si aprono”.
Gli Indiani, ha affermato, “in lei vedono un'India autentica” e “l'incarnazione di Dio stesso”.


Uniti e collaborando si realizza la venuta del Regno di Dio: l’esempio di San Riccardo
Curatore: Buggio, Nerella
Fonte: CulturaCattolica.it
mercoledì 3 settembre 2008
Oggi il suo corpo è custodito e venerato in una parrocchia e questo mi sembra importante, perché è proprio la parrocchia il terreno in cui vivono tutte le varie forme del cristianesimo.
E’ nella parrocchia che si deve trovare l’unità e la collaborazione dei vari movimenti ecclesiali.
Noi cattolici, tutti, siamo impegnati per costruire il regno di Dio, ma ognuno di noi ha un suo modo particolare, quasi esclusivo, per realizzare questo.
I vari ordini religiosi, i vari movimenti ecclesiali, i membri delle nostre comunità, ognuno ha una sua ricetta infallibile perché il regno di Dio sia edificato, ricetta che difficilmente si armonizza con le altre e rende così difficile l’avvento del Regno di Dio.

Guardando alla figura di san Riccardo, mi sembra che in lui, sempre aperto alla collaborazione con tutti e mai disposto a criticare gli altri, cercando anzi di vedere sempre il loro lato positivo; ci possa essere una sintesi del come potere insieme lavorare, dialogare e collaborare, armonizzando le varie componenti della nostra fede, per realizzare tutti insieme il Regno di Dio.
Lui, il dott. Pampuri, nella sua vita non ha una sua ricetta personale, esclusiva per l’avvento del Regno di Dio, ma è sempre disponibile ed aperto a collaborare con tutte le varie anime del cattolicesimo.

E’ laico e poi religioso, sempre attento ai giovani, ma anche vicino agli anziani.
Cresce in una famiglia, quella dello zio Carlo e della zia Maria, profondamente religiosa di una fede tradizionale di quel tempo, ma cerca anche vie nuove per annunciare il messaggio di Cristo.
Studia in un collegio cattolico il sant’Agostino a Pavia.
Si impegna subito nell’Azione Cattolicae collabora poi nel Circolo Severino Boezio alla nascita della Fuci, ma vuole anche diventare terziario francescano ed è attivo collaboratore delle Opere Missionarie e di tutte le varie attività della parrocchia.

In Parrocchia infatti collabora con il parroco, si fa animatore liturgico (fa partecipare i ragazzi attivamente alla S.Messa), è catechista ed anche si impegna a promuovere gli Esercizi spirituali e, per avere uniti e vicino i giovani, organizza anche la banda musicale.
Poi si fa religioso nei Fatebenefratelli, sentendo il bisogno di avere una comunità che lo sostenga.
E’ un'anima eucaristica: comunione e visita al SS. Sacramento ogni giorno, ha una grandissima devozione al sacro Cuore di Gesù ed si affida a Maria con affetto filiale.
La sua giornata è scandita dalla preghiera frequente, in ogni attimo libero, e dalla preghiera attinge forza e disponibilità per l’azione pastorale concreta in mezzo a tutti, dialogando con tutti.
Medico condotto è sempre a disposizione di tutti e non ha paura o vergogna di proclamare pubblicamente la sua fede ed è pronto a difenderla coraggiosamente davanti al regime fascista.

E’ staccato dai soldi, con i suoi soldi cerca di fare del bene a tutti, alle persone bisognose vicine ed ai missionari che faticano a portare la verità nel mondo, ma è attento alle necessità della parrocchia e in prima persona ricerca i soldi per il bollettino parrocchiale, per festeggiare il parroco e si preoccupa che i soldi non siano sprecati, ma spesi con oculatezza.
Ecco il dott. Pampuri non esclude nessuna forma di apostolato, e si impegna con ogni mezzo per realizzare il Regno di Dio. Dopo la morte di fra Riccardo (1 maggio 1930) è Padre Gabriele Russotto dei Fatebenefratelli che raccoglie le sue lettere e le testimonianze di chi lo ha conosciuto. Ed in breve tempo
(4 ottobre 1981) è beato e poi viene canonizzato da Giovanni Paolo II (1 novembre 1989).

In questo nostro tempo Mons. Giussani con Comunione e Liberazione ha contribuito a far conoscere San Riccardo ed a diffondere in tutto il mondo la sua devozione, sottolineando la sua semplicità ed il suo desiderio di invitare tutti ad essere uniti e collaborando a fare ogni cosa, anche la più piccola, con Amore grande per diffondere il Regno di Dio.

Oggi il suo corpo è custodito e venerato in una parrocchia e questo mi sembra importante, perché è proprio la parrocchia il terreno in cui vivono tutte le varie forme del cristianesimo.
E’ nella parrocchia che si deve trovare l’unità e la collaborazione dei vari movimenti ecclesiali (dall’Azione Cattolica a tutti gli altri movimenti) con la gente comune.
Qui, a Trivolzio, nella nostra parrocchia ci troviamo tutti insieme ad onorare questo Santo il cui motto è : Non avere paura a cercare la verità e cerca di fare tutto, anche le piccole cose, con Amore grande.
In lui si fonda la vita laicale con la vita religiosa, l’impegno civile con la cura degli ammalati, l’impegno nell’Azione Cattolica con il suo essere terziario francescano.
Il suo impegno è quello di diffondere il Regno di Dio dando la sua collaborazione in ogni ambito della Comunità cristiana.
Oggi c’è bisogno che noi non ci chiudiamo ognuno nel nostro orticello, ma collaboriamo tutti insieme a diffondere il Regno di Dio. Tutti formiamo la Chiesa, tutti siamo Chiesa e solo se saremo uniti il Regno di Dio potrà trionfare. Basta con le diffidenze e le paure degli uni verso gli altri, tutti siamo discepoli dello stesso Gesù che vuole avere bisogno di tutti noi per donare il suo messaggio d’Amore al mondo.
San Riccardo ci sia guida e ci aiuti ad essere sempre più uniti nella diffusione del Regno di Dio.


Genesi
Tra pochi giorni un esperimento sull'universo mostrerà anche a noi nichilisti l'origine del mondo,
il Foglio.it, 4 settembre 2008
Tra pochissimi giorni prenderà il via un esperimento scientifico eccezionale: forse il “più grande che l’uomo abbia mai concepito e realizzato”. Il 10 settembre, il Consiglio europeo per la ricerca nucleare di Ginevra (Cern), un centro internazionale di fisica particolarmente attrezzato per l’esplorazione dell’infinitamente piccolo, accenderà i motori del “Large Hadron Collider” (LHC), il suo nuovo e gigantesco acceleratore di particelle. All’interno dell’anello di 27 chilometri scavato a cento metri di profondità verrà “sparato” un fascio di protoni ad altissima energia, che cercherà di scoprire come è organizzata la materia e quali sono le particelle che la compongono e la fanno funzionare. Uno degli obiettivi sarà la ricerca del “bosone di Higgs”, la particella che qualcuno ha definito il “bosone di Dio” perché sarebbe l’elemento decisivo e finale della struttura della materia. Il giorno dopo, gli scienziati di Ginevra potrebbero annunciarci che l’universo è del tutto diverso da quel che oggi crediamo: potrebbero addirittura aver scoperto che il reale non ha quattro dimensioni ma qualcuna, o molte, di più.
C’è chi ha già avanzato una previsione catastrofica: sembra vi sia il rischio che l’esperimento generi una serie di piccoli “buchi neri”, piccoli “big bang” simili a quelli che hanno originato l’universo e capaci di inghiottire, se non l’universo stesso, almeno il nostro pianeta, la Terra. Restiamo anche noi in attesa, ma tranquilli. Non siamo seguaci di Heidegger, non pensiamo che la tecnica o le tecnologie siano foriere di disastri e magari delle crisi etiche che ci travagliano, o che rappresentino il demoniaco avversario dell’uomo e della sua essenza divina. In questi giorni abbiamo letto delle persecuzioni e dei massacri di cristiani in una remota, povera regione dell’India, a opera di fanatici hindu o di seguaci di riti tribali. Ecco, ci sembra che il fanatismo assassino sia figlio non della tecnica ma piuttosto della ignoranza della tecnica, dell’arretratezza culturale che magari diffida e ha paura della tecnica e delle sue tecnologie. Comunque, non resta che aspettare. Tra pochissimi giorni ci verrà rivelata la verità ultima. Potremo ancora una volta, laicamente, veder confermato che la tecnica non ci ha ucciso. In caso contrario nessuno – né io né i fideisti, i creazionisti o gli heideggeriani – potrà cantar vittoria. Semplicemente non si saremo più, inghiottiti tutti insieme dai buchi neri del Cern di Ginevra.

E no, questa volta non potrete dirci nulla. Dal punto di vista teorico-filosofico la pretesa di poter scoprire le origini dell’universo, il punto iniziale del tutto, mi lascia perplesso: ma esistono le “origini”, esiste il “punto iniziale del tutto”? Al di là del quale, se vi si arrivasse, non potrebbe esserci che il nulla: ma come si può individuare il nulla? Se è il nulla, non è percepibile perché, appunto, non è. Certo, ai creazionisti piacerebbe che l’esperimento (la tecnica) confermasse le loro certezze (fideistiche). Vorrei dare un mio modesto contributo per ingentilire – se non correggere – quelle certezze. Loro, appunto, pensano che prima della creazione il nulla fosse solo un buio infinito: la Genesi dice “Et lux facta est”, la creazione comincia così. Bene, si potrebbe invece immaginare che, affacciandoci di là del punto, o del momento, della creazione, scopriremmo piuttosto l’acceccante, infinita luce irradiata dalla presenza, non più velata dalle cose, di Dio: il “fiat” della Genesi riguarda la luce terrena, non quella, increata, di Lui. Per una volta, amici creazionisti, non siate dogmatici. Come immaginare che Dio possa starsene al buio del nulla? E se risplende della sua luce divina, come pensare che voglia negarne il godimento – Lui che è infinita bontà – alla sua creatura prediletta, l’uomo? Questa volta non potrete dirci nichilisti: noi coltiviamo questa speranza.
di Angiolo Bandinelli


«Fatta prevalere la logica della vita», Avvenire 5 settembre 2008
Così, il presidente Formigoni ha motivato il «no» della Lombardia alla famiglia
Englaro, che ora vuole presentare un esposto alla Procura.
Dalla Toscana arriva un’altra smentita Lazio più possibilista sul trasferimento
DA MILANO
PAOLO FERRARIO
« A bbiamo fatto prevalere la logica della vi­ta ». Così, il presidente della Regione Lom­bardia, Roberto Formigoni, ha motivato la decisione di respingere la ri­chiesta della famiglia Englaro, che aveva sollecitato, anche con una diffida, il Pirellone ad indi­care una struttura sanitaria do­ve eseguire il decreto della Cor­te d’appello di Milano del 9 lu­glio. Ai microfoni del Gr1, For­migoni ha ribadito ieri che «non riteniamo che il compito di una struttura sanitaria sia di man­dare una persona a morte». «I familiari di Eluana – ha proseguito il presidente lom­bardo, ricordando che a carico del Pirellone non esiste «alcun obbligo» – non hanno trovato nessuna struttu­ra e la Regione ha confermato di non poter obbligare nessuno. Inoltre, la sentenza è stata impugnata (dalla Procura generale di Milano ndr.) e quindi non c’è una decisione definitiva».
Alla risposta della Regione, la famiglia Englaro sarebbe intenzionata a ribattere con un esposto alla Procura della Repubblica. L’avvocato Franca Alessio, curatrice speciale di Eluana, annunciando la possibile mossa, ha spiegato che è al vaglio «l’ipote­si di fare l’esposto perchè se­condo noi questo rifiuto è pe­nalmente rilevante» in quanto si sarebbe venuto a configurare il reato di mancata esecuzione di un provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Intanto, dalla Toscana, dopo l’assessore regionale alla Sanità, Enrico Rossi, anche il responsa­bile dell’unità di cure palliative­leniterapia dell’Asl 10 di Firenze, Piero Morino, ha smen­tito presunti contatti con gli Englaro per il trasferimento di Eluana. Dal Lazio, invece, il consigliere del Pd, Ales­sio D’Amato, ha fatto sapere che sul territorio regiona­le «ci sono strutture in grado di ospitare» la donna.


Europarlamento choc: aborto-diritto, Avvenire, 5 settembre 2008
DA BRUXELLES
C ontraccezione e aborto tra i mezzi per tutelare la salute materno- infantile ( o « riproduttiva » ) nei Paesi in via di sviluppo. È quanto indica una controversa risoluzione comune approvata ieri dal Parlamento europeo, con 394 voti favorevoli e 182 contrari. Il testo fa riferimento al quinto degli otto Obiettivi del millennio, definiti dalle Nazioni Unite nel 2000 per eradicare, entro il 2015, la povertà, le malattie e il sottosviluppo nel mondo. Il documento, presentato dai gruppi socialisti, verdi, comunisti e liberali dell’Assemblea in vista della conferenza mondiale Onu del 25 settembre prossimo, chiede fra l’altro investimenti per infrastrutture sanitarie, formazione di personale medico in Africa e Asia, « formazione delle donne » in chiave preventiva.
La risoluzione, contestata dal Partito popolare i cui deputati in maggioranza hanno votato contro o si sono astenuti, è stata modificata in aula con l’approvazione di alcuni emendamenti: uno di questi afferma la necessità di una maggiore diffusione della contraccezione mediante preservativi per evitare « malattie e gravidanze indesiderate » ; un altro emendamento fa invece riferimento alla « possibilità di aborto legale e sicuro » per contrastare la mortalità materna nei Paesi poveri.
«È un’altra spinta in direzione abortiva del Parlamento europeo – spiega ad Avvenire il vicepresidente dell’Assemblea Mario Mauro –, ma si tratta di un pronunciamento che non avrà conseguenze pratiche, in quanto privo di basi giuridiche. È un “auspicio” da parte del sedicente schieramento ultraprogressista, che allontana ancor più chi diffida di un’Europa insensibile alla difesa della vita » .
Parere negativo sulla risoluzione è stato espresso da monsignor Giuseppe Merisi, rappresentante della Cei nella Comece, organismo che raggruppa gli episcopati della Ue: « Accanto ad alcuni elementi positivi – afferma Merisi –, il testo ne contiene altri assolutamente negativi, come quello del riferimento all’aborto presentato come diritto. Purtroppo, sui temi della difesa della vita come su quelli della famiglia e altri ancora esiste una sensibilità diffusa, presente come si vede anche nel Parlamento europeo, che privilegia i diritti della libertà individuale contro e oltre i grandi valori della vita e della dignità umana. Occorre maggior impegno – è l’invito di monsignor Merisi – per sensibilizzare le coscienze e le istituzioni su queste tematiche essenziali » . ( R. E.)