sabato 20 settembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) INCESSANTI VIOLENZE IN INDIA. FOSCO QUADRO GENERALE - A Jabalpur brucia la cattedrale Più ferita nel mondo la libertà religiosa - SE LA LIBERTÀ DIVENTA PRINCIPIO DISCREZIONALE -L’ECCEZIONE ANTI-CATTOLICA RISPETTO AL DIRITTO UNIVERSALE, Avvenire, 20 settembre 2008
2) Quali conseguenze da un possibile attacco all’Iran? - Il mondo potrebbe svegliarsi, una di queste mattine, con una nuova guerra mondiale da gestire: o no?...
3) “La malattia mi sta insegnando a vivere” - Parla il presidente dell’Associazione italiana Sclerosi laterale amiotrofica
4) 19/09/2008 19:45 - VIETNAM – Arcivescovo di Hanoi protesta contro il governo per l’esproprio e distruzione della ex nunziatura
5) SCUOLA/ Non si riducano le domande dei ragazzi a difficoltà psicologiche - IlSussidiario.net - sabato 20 settembre 2008
6) PERCHE’ PADRE PIO PER NOI ? 20.09.2008 – di Antonio Socci - Una rivelazione su ciò che Gesù gli disse quel 20 settembre…. Il 20 settembre è il 90° anniversario della stimmatizzazione di padre Pio e il 23 settembre è il 40° della morte. Proprio alla vigilia di entrambi sta per uscire un libro di don Francesco Castelli che contiene documenti inediti, eccezionali
7) Pubblicati integralmente gli atti della prima inchiesta sul frate di Pietrelcina - Padre Pio e il Sant'Uffizio - Una storia da riscrivere - di Francesco Castelli, L’Osservatore romano, 20 settembre 2008
8) Ai vescovi del Panamá il Papa indica la speranza cristiana come risposta alle sfide della secolarizzazione - Il contributo della Chiesa alla soluzione dei problemi umani; L’Osservatore romano, 20 settembre 2008
9) DIECI ANNI FA GIOVANNI PAOLO II PUBBLICAVA LA «FIDES ET RATIO» - Quell’enciclica cruciale anticipò il pontificato ratzingeriano, Avvenire, 20 settembre 2008
10) Libertà di religione: gli Usa denunciano la Conferenza islamica, Avvenire, 20 settembre 2008


INCESSANTI VIOLENZE IN INDIA. FOSCO QUADRO GENERALE - A Jabalpur brucia la cattedrale Più ferita nel mondo la libertà religiosa - SE LA LIBERTÀ DIVENTA PRINCIPIO DISCREZIONALE -L’ECCEZIONE ANTI-CATTOLICA RISPETTO AL DIRITTO UNIVERSALE, Avvenire, 20 settembre 2008
ANDREA LAVAZZA
L’altra notte estremisti indù hanno dato alle fiamme la cat­tedrale cattolica di Jabalpur, nello Stato indiano del Madhya Pradesh. L’abside di San Pietro e Paolo, con l’altare, le statue dei santi e le vetrate, è andata distrutta: antica di 150 anni, era stata restaurata nel 1997 dopo un terremoto. In precedenza, la furia devastatrice si era scatenata in Kerala e in Karnataka.
Per chi ancora stenti a capire la gravità di quello che sta succe­dendo nel grande Paese asiatico, dove sono ormai centinaia i luoghi di culto cristiani attaccati, danneggiati, rasi al suolo – per non parlare, ovviamente, della violenza sulle persone nell’Oris­sa, che va per fortuna attenuandosi –, si può istituire un para­gone che dovrebbe arrivare alla sensibilità di tutti. Incendiare u­na chiesa è come allestire un grande rogo di libri, strappati dal­le mani dei loro autori e dei loro lettori, tolti dalle biblioteche e dalle vetrine delle librerie, dalle case e dai banchi di scuole e u­niversità.
Appiccare il fuoco a una cattedrale è come cancellare un tassel­lo di storia, di cultura e di tradizione; un deposito di arte, di va­lori e di identità condivisa. In un contesto nel quale il cristiane­simo è minoranza equivale a ridurre in cenere testi che difen­dono un pensiero diverso e non asservito, volumi che denunciano le discriminazioni e propugnano l’emancipazione delle donne e delle classi subalterne. Come in effetti fanno le comunità cat­toliche e protestanti nel tessuto sociale indiano, ancora profon­damente sessista e caratterizzato dalla rigida struttura per caste. Quante giuste battaglie per un singolo romanzo messo al ban­do, per uno scrittore costretto all’esilio o marginalizzato, per un manoscritto rifiutato. Quante doverose mobilitazioni per un film censurato o un saggio non tradotto in una certa lingua. E quan­te requisitorie postume (a volte anche condivisibili) contro l’in­serimento di titoli oggi classici nell’Index Librorum prohibito­rum della Chiesa. Ma oggi, di fronte a un immane falò che si leva in vari Stati del­­l’India, stenta ad alzarsi una protesta che sia, se non corale, al­meno più che sporadica e flebile. Sembra che i mille volentero­si volterriani, pronti a battersi fino alla morte affinché chiunque possa esprimere le proprie idee, anche se non le condividono, nutrano con il filosofo illuminista lo stesso pregiudizio anti-cat­tolico, in base al quale si possa fare un’eccezione rispetto al pro­clamato diritto universale di esprimere liberamente le proprie opinioni. E, di conseguenza, di poter manifestare in piena sicu­rezza la propria fede religiosa. In Occidente qualche personalità (come il presidente dell’Unio­ne interparlamentare Pier Ferdinando Casini) si è spesa per de­nunciare ciò che sta accadendo; a New Delhi intellettuali ed e­sponenti di altre confessioni cominciano a muoversi perché si intervenga contro il nazionalismo violento delle formazioni indù. Ma tenere alta la bandiera delle libertà e dei diritti, come ben do­vremmo sapere, non può essere un esercizio discrezionale, le­gato a preferenze o a simpatie, per quanto le credenze di ciascuno possano essere giustificate. Selezionare e graduare l’impegno sulla scorta di criteri arbitrari è la prima negazione dei quei prin­cipi che in altre occasioni si vogliono invece affermare senza om­bre.
Stare al fianco dei cristiani d’India, perché non vengano brucia­ti i loro libri fatti di mattoni vivi, sembra allora un dovere di chiun­que creda nelle istanze della democrazia liberale e tollerante.


Quali conseguenze da un possibile attacco all’Iran? - Il mondo potrebbe svegliarsi, una di queste mattine, con una nuova guerra mondiale da gestire: o no?...
Quali conseguenze da un possibile attacco all’Iran?

di Alberto Leoni
Qualche giorno fa, su queste pagine, si è accennato alla possibilità che ben quattro task force statunitensi si stessero concentrando nell’area del Golfo Persico. Negli stessi giorni trovava una certa diffusione il servizio del giornale olandese Telegraaf secondo cui i servizi segreti olandesi hanno dovuto interrompere un’azione di sabotaggio e ricognizione sui siti atomici iraniani per l’imminenza dell’attacco americano. Una notizia che, si badi, non ha avuto riscontri, smentite o approfondimenti, a parte un articolo di Roberto Santoro su “L’Occidentale”.
Va ripetuto per l’ennesima volta che allarmi di questo tipo sono stati assai ricorrenti negli ultimi anni e che vanno verificati in modo metodico e approfondito. E’ anche vero, tuttavia, che un eventuale attacco all’Iran avrebbe modalità ben diverse dagli ultimi conflitti. Kossovo, Afghanistan e Irak furono attaccati con un preavviso più o meno lungo, fatto di ultimatum e di trattative diplomatiche e ben pochi si stupirono quando iniziarono i bombardamenti. Nel caso dell’Iran, invece, il fattore sorpresa sarà essenziale e il mondo potrebbe svegliarsi, una di queste mattine, con una nuova guerra mondiale da gestire: o no?
Quando si iniziò a pianificare un attacco mirato ai siti nucleari iraniani era ovvio che Israele avrebbe replicato il bombardamento del reattore irakeno di Osirak nel 1981. Ci si accorse ben presto che i siti iraniani erano molti, ben difesi, difficili da colpire e con alcuni “siti civetta”. Era perciò necessario un attacco combinato, anche con forze speciali destinate a conquistare e demolire tali siti. L’intervento americano era, quindi, inevitabile e, nel 2005 e nel 2006, venne pianificata una serie di attacchi su larga scala, tesi a colpire non solo le installazioni nucleari (Natanz, Busher e altre ancora) ma le basi delle Guardie della Rivoluzione. Sono esse, infatti, a tenere sotto controllo il paese e la neutralizzazione del loro potenziale militare potrebbe avviare quel cambio di regime così spesso auspicato. A parte il fatto che gli obbiettivi da colpire, in tal modo, sono passati dai quattrocento iniziali ai duemila dell’ottobre 2007, resta l’altissima probabilità di un coinvolgimento della popolazione civile. Ebbene, nella guerra fra Iran e Irak, il bombardamento delle città da parte dell’aviazione di Saddam Hussein ridestò il patriottismo degli iraniani, portandoli a schierarsi a fianco di un regime che, in una democrazia normale, non durerebbe una settimana. I rischi di un attacco sono enormi: blocco dello stretto di Hormuz, guerra di posizione e di logoramento ai confini con Irak e Afghanistan (si pensi al tracollo che subirebbe la NATO in una simile situazione) possibile coinvolgimento della Russia nel conflitto. Una eventuale sconfitta ( o mancata vittoria) americana avrebbe riflessi epocali, data la nota incapacità europea di sopportare “sangue, sudore e lacrime” per dirla alla Churchill.
La posta in gioco è, tuttavia, altissima poiché la centrale di Busher diventerà pienamente operativa in primavera. Sulla “Stampa” di ieri (15 settembre 2008) Maurizio Molinari riferisce di un dossier che sta circolando presso i servizi segreti occidentali e che tratta di un “Piano 111” approvato dall’ayatollah Khamenei in persona. Si tratterebbe di fingere un guasto alla centrale per procedere a una produzione clandestina di plutonio tale da ottenere 120 kg di plutonio, equivalenti a 15 testate nucleari. Il tutto in due mesi. Va da sé che, una volta ottenuto il materiale, esso dovrebbe essere weaponizzato ma diventerebbe molto più difficile distruggerlo. Inoltre i tempi si sono ulteriormente ridotti a causa dell’imminente fornitura di sistemi antiaerei russi di ultima generazione, rendendo molto più difficili e costose in termini di perdite eventuali attacchi aerei.
In questo frattempo continua una campagna elettorale americana durissima e senza esclusione di colpi come è nella tradizione. Il candidato repubblicano Mc Cain appare, per la prima volta, in lievissimo vantaggio ma si sa che ciò che conta è il numero dei voti elettorali, come ben sa George W. Bush che vinse le elezioni nel 2000 ottenendo meno voti di Al Gore. Poiché Bush è il capo delle forze armate con pieni poteri, potrebbe decidere l’attacco per due motivi:
a) concludere il proprio mandato con una mossa decisiva che imprima una svolta alla guerra al terrore che ha dominato la sua doppia presidenza;
b) mettere di fronte al fatto compiuto un Barack Obama neoeletto. L’incompetenza del candidato democratico in materia internazionale è un fatto notorio. Mai che ne abbia azzeccata una, dall’auspicato ritiro americano dall’Irak (dove la strategia di Petraeus si è rivelata vincente) alla risposta alla crisi georgiana. Paradossalmente Bush potrebbe decidere di lasciare la decisione dell’attacco a Mc Cain solo se questi fosse largamente in testa nei sondaggi; oppure, come è più probabile, attuare quella che nel linguaggio politico americano viene chiamata “October surprise” e cioè un’iniziativa politica o militare attuata immediatamente a ridosso del voto di novembre.
Come si è detto, un attacco improvviso e di ampie proporzioni potrebbe avere effetti catastrofici. Il problema, allora, è come ridurre l’azzardo, riducendone gli effetti negativi sia politici che economici. Per l’opinione pubblica mondiale, dai tempi della Grande Guerra ad oggi, ha sempre avuto grande rilevanza chi fosse stato a sparare il primo colpo. Un attacco preventivo israeliano o americano, come è stato fatto con l’Irak di Saddam Hussein nel 2003 sarebbe squalificante, addirittura disastroso. Ma se il primo colpo fosse tirato da una motovedetta o da un sommergibile iraniano contro una nave americana nel Golfo la questione sarebbe ben diversa e non è nemmeno il caso di ricorrere a un nuovo “incidente del Tonchino” dove rilevamenti incerti di un attacco nordvietnamita alla cacciatorpediniere Maddox furono adottati come “casus belli” per l’intervento in Vietnam. Basterà attuare un blocco navale sulle coste iraniane per scatenare un attacco, anche perché il blocco viene equiparato a un atto di guerra. La base giuridica per il blocco navale sarà una risoluzione del Consiglio di sicurezza che non passerà per il veto russo-cinese ma, con l’appoggio di Inghilterra e Francia e della maggioranza dei membri del consiglio, potrebbe dare una legittimità che l’attacco all’Irak nel 2003 non ebbe mai.
Perché la differenza è questa: che nella flotta diretta verso il Golfo vi sono anche componenti aeronavali anglo-francesi e la stessa NATO, per bocca del suo segretario, l’olandese De Hoop Scheffer vede come reale la minaccia missilistica iraniana. Va altresì notato che l’esercitazione “Brimstone”, svoltasi nel Nord Atlantico davanti alle coste americane ricorda quella avvenuta nelle stesse acque nell’estate del 1997, il cui resoconto si trova in “Fortezze dei mari” di Tom Clancy, un volume dedicato alle operazioni delle portaerei nucleari statunitensi (Mondadori 2000). Lo scenario di quell’esercitazione JTFEX 97 (Joint Task Force Exercise 1997) trasse spunto dall’invasione del Kuwait e le coste della Virginia, del North Carolina e South Carolina furono riadattate elettronicamente, creando una serie di zone di “non navigazione”, determinando un campo di battaglia simile al Golfo Persico. Iniziata il 17 agosto 1997, l’esercitazione durò due settimane e la Task Force che faceva capo alla portaerei George Washington varcò lo stretto di Hormuz il 21 novembre per operare contro l’Irak. Si può dunque ipotizzare che parte della flotta che ha eseguito la Brimstone possa essere in zona per fine ottobre ed essere in grado non solo di attaccare l’Iran ma di impedire il blocco dello stretto di Hormuz. In questo lasso di tempo verrebbe operata l’offensiva diplomatica alle Nazioni Unite. I tempi di realizzazione potrebbero essere più o meno questi. Resta da vedere quali e quanti siano gli indici presuntivi dell’avvicinarsi di un’offensiva di questo tipo: argomento che sarà oggetto di un prossimo articolo.
Il Sussidiario mercoledì 17 settembre 2008

Venti di guerra fra Iran e Usa? Le premesse ci sono tutte
di Alberto Leoni
Chi, in questi anni, ha seguito lo sviluppo della crisi iraniana avrà potuto constatare come, in questi anni, gli allarmi su imminenti attacchi aerei israeliani si siano susseguiti di continuo. Tuttavia, il fatto che un evento così catastrofico non sia ancora avvenuto, paradossalmente, rafforza la convinzione che il prossimo allarme sarà più concreto e credibile. All’inizio di settembre qualcuno prevedeva l’inizio dell’attacco all’Iran per la metà del mese oppure, addirittura, per l’11 settembre. Una bufala, certamente ma come distinguere la bufala, magari diffusa a fini di guerra psicologica, dalla verità?
Ecco dunque una lista di eventi che possono essere interpretati come precondizioni di un eventuale attacco.
PRECONDIZIONI POLITICHE
1. Nelle elezioni americane Barack Obama è in vantaggio oppure i due candidati sono in sostanziale parità ed è possibile una vittoria di stretta misura dei democratici Obama. (Spiegazione: in tal caso Bush potrebbe ordinare un attacco che Obama, giunto alla presidenza, non avrebbe né il tempo né la determinazione di attuare). Condizione probabile fino a novembre 2008 e, in caso di vittoria di Obama, fino gennaio 2009.
2. Olmert dà le dimissioni da capo del governo e viene sostituito da provvisoriamente da Tzipi Livni. (Per una prova suprema come quella che Israele dovrebbe affrontare è necessaria una saldezza e un’unità che, in questo momento, la classe politica israeliana non possiede.) Condizione sussistente.
3. Ahmadinejad e il gruppo di potere che fa capo alle guardie della rivoluzione rimane saldamente al potere (Ogni speranza di un “regime change” è vana dato il capillare controllo poliziesco dei pasdaran) Condizione sussistente.
4. Appoggio di Francia e Inghilterra all’iniziativa americana (Determinante il loro voto all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, anche in presenza di veto russo-cinese) Molto probabile.
5. Appoggio agli USA da parte dell’Arabia Saudita e degli stati del Golfo (Essenziale per operare da basi ravvicinate) Molto probabile.
PRECONDIZIONI MILITARI
1. L’aviazione e l’esercito israeliano hanno compiuto l’addestramento previsto per l’attacco. ( Condizione sussistente).
2. Presenza nel Golfo di almeno due task forces con portaerei nucleari. (Condizione attualmente non sussistente e due task forces sono appena sufficienti, data la pericolosità dei missili anti-nave iraniani: le probabilità di attacco aumenterebbero con tre o quattro portaerei nella zona)
3. Presenza nel Golfo di almeno una task force anfibia per operare contro la centrale di Busher. (Attualmente è presente la Peleliu, mentre la Iwo Jima, che trasporta la 26° Marine Expeditionary Unit è diretta verso l’area di impiego della Quinta flotta, ossia il Golfo Persico)
4. Completamento dell’addestramento specifico della flotta americana e alleata per operare in acque basse e nello stretto di Hormuz. (Addestramento effettuato in agosto.)
5. Il generale David Petraeus assume il comando del CENTCOM il Comando delle forze americane nel settore che va dall’Africa orientale al Pakistan. (Petraeus ha sempre considerato l’Iran come il maggior alleato della guerriglia in Irak: l’ammiraglio William Fallon, precedente capo del CENTCOM, era contrario a un attacco all’Iran ed è stato rimosso all’inizio dell’anno). Condizione sussistente dal 16 settembre.
6. Presenza di bombardieri B52 nella base di Diego Garcia. (Il 4 e 5 settembre sei B52 di stanza a Guam, nell’Oceano Pacifico, hanno effettuato esercitazioni, simulando attacchi al suolo con missili a lunga gittata, sia convenzionali stand-off che Cruise, volando per più di 60 ore consecutive: ogni offensiva nei conflitti più recenti è iniziata con azioni di B52). Come è ovvio, nessuna notizia.
7. Fornitura di sistemi antimissile ultimo modello all’Iran da parte della Russia. Condizione sussistente fra qualche mese.
8. Avvio della centrale atomica di Busher. (Condizione prevista per il marzo 2009)
Naturalmente si possono aggiungere altre condizioni o il conto alla rovescia verso la guerra può essere accelerato o rallentato da fatti, allo stato imprevedibili. La crisi in Georgia, un futuro rientro dell’Ucraina nella sfera di influenza russa prima della sua adesione alla NATO, la presenza (attuale) di bombardieri strategici in Venezuela e il ritorno di personale militare russo a Cuba possono fungere da diversivo o moltiplicare le aree calde del pianeta.
Il Sussidiario venerdì 19 settembre 2008


“La malattia mi sta insegnando a vivere” -
Parla il presidente dell’Associazione italiana Sclerosi laterale amiotrofica

di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 19 settembre 2008 (ZENIT.org).- Nell’ambito delle iniziative per la prima Giornata Nazionale sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è stato presentato il libro “Liberi di Vivere. Malati inguaribili, persone da curare” (edizioni ARES), scritto dal caporedattore del Resto del Carlino, Massimo Pandolfi.
Con l’introduzione del cantante Ron, e dei calciatori Gianluca Vialli e Massimo Mauro, il libro contiene 100 domande a Mario Melazzini, l’oncologo malato di SLA e presidente dell’associazione che li rappresenta, nonché una parte intitolata “Messaggi in bottiglia” che riporta poesie, commenti e testimonianze dei malati di SLA.
Benché si parli di una delle malattie più invalidanti e letali tra quelle che si conoscono, il libro è un vero trattato sulla speranza e sulla voglia di vivere.
Non mancano le parti di denuncia delle ideologie e della cultura che vorrebbe favorire la rimozione di questi malati attraverso forme più o meno velate di eutanasia.
Nelle risposte alle 100 domande, l’oncologo Mario Melazzini ha scritto: “Che la morte non è un diritto è un fatto. Non esiste il diritto a morire. Io non sono così assolutista ma su questo argomento sì”.
“La morte è un evento naturale della vita; è la vita che va permessa, difesa dal primo momento , e cioè dal concepimento e fino alla morte naturale – ha aggiunto –. E questa non è ideologia o religione; no è la natura! La natura ci insegna che la vita va tutelata; questo è il vero rispetto”.
In merito al caso di Eluana Englaro, la ragazza in stato vegetativo che si vorrebbe far morire negandogli l’alimentazione e l’idratazione, Melazzini è stato molto critico: “Quello che i giudici di Milano hanno sentenziato rappresenta un puro caso di legittimazione di una forma di eutanasia. Per me è un omicidio”.
Il presidente dell’AISLA ha denunciato quella che ha indicato come una certa “mentalità dei benpensanti”, secondo cui “hai la dignità di persona umana se hai tutte le funzioni, tutti i punti. Se cominci a perdere qualche funzione,cominciano a scalarti anche i punti”.
“A un certo punto, se perdi molte funzioni perdi tutti i crediti: non ti resta nulla e ti tolgono la patente di persona. Non sei più degno di vivere, non sei più compatibile con una vita degna. Sei ancora vivo, ma la tua vita non è degna di essere vissuta. (…) Ecco dove porta la cultura dei bempensanti: alla selezione della specie”.
Di fronte a questa deriva, Melazzini chiede di tornare all’origine di ciò che siamo. “Te lo posso assicurare, ringrazio la malattia: mi sta insegnando a vivere”.
“Certo può sembrare paradossale – ha precisato l’oncologo – ma io ho scoperto sulla mia pelle che un corpo nudo, spogliato della sua esuberanza, mortificato nella sua esteriorità, fa brillare maggiormente l’anima, ovvero il luogo in cui sono presenti le chiavi che possono aprire, in qualsiasi momento, la via per completare nel modo migliore il proprio percorso di vita”.


19/09/2008 19:45 - VIETNAM – Arcivescovo di Hanoi protesta contro il governo per l’esproprio e distruzione della ex nunziatura
Hanoi (AsiaNews) - L’arcivescovo di Hanoi, mons. Joseph Ngô Quang Kiệt, ha scritto oggi una lettera di protesta al presidente al primo ministro vietnamiti denunciando l’invasione di polizia e la distruzione degli edifici della ex nunziatura avvenuta stamane all’alba (v.: AsiaNews.it, 19/09/2008 http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=13270&size=AA Hanoi sembra ormai vincente la linea della repressione contro i cattolici ). Il prelato ricorda che le promesse del governo di restituire il terreno alla diocesi (promesse fatte anche al Vaticano) e domanda che si fermino tutti i lavori. Egli denuncia anche la campagna di disinformazione in atto le violenze contro la Chiesa. In precedenza la sede della nunziatura doveva essere utilizzata per costruire bar e night club. Voci non ufficiali dicono oggi che il governo vuole costruirvi un parco pubblico.
Ecco il testo completo della lettera dell’arcivescovo di Hanoi:
Segreteria dell’Arcivescovo di Hanoi
Hanoi, 19 settembre 2008
Lettera urgente di protesta
A:
Mr. Nguyen Minh Triet, Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam
Mr. Nguyen Tan Dung, Primo Ministro della Repubblica Socialista del Vietnam
Per conoscenza:
Il Comitato per gli affari religiosi
Il Comitato del popolo della città di Hanoi
Il Dipartimento di pubblica sicurezza della città di Hanoi
Le principali agenzie
La mattina del 19 settembre 2008, nei terreni della ex-nunziatura, che appartengono all’Ufficio arcivescovile di Hanoi, una grande massa di poliziotti e forze della sicurezza, milizie e cani poliziotto ha assediato la residenza dell’arcivescovo di Hanoi e ha bloccato l’accesso a Nha Chung street.
Un altro enorme reparto dell’esercito ha demolito la cancellata e una parte della costruzione; essi hanno anche scavato il prato antistante alla porta di ingresso della nostra nunziatura.
La Segreteria dell’arcivescovo di Hanoi ha più volte chiesto la restituzione dell’edificio e del terreno circostante, ma finora la nostra aspirazione è rimasta inascoltata. All’improvviso, la sera del 18 settembre e la mattina del 19, la televisione di Stato ha trasmesso la notizia relativa al piano di demolizione dell’edificio mistificando la realtà dei fatti, per preparare l’opinione pubblica a questo atto illegale.
Gli sviluppi della vicenda sono in aperto contrasto con la politica del dialogo intrapresa dal governo e dalla Segreteria dell’Arcivescovo. Questo è un atto che soffoca le legittime aspirazioni della comunità cattolica di Hanoi, ridicolizza la legge e manca di rispetto alla Chiesa cattolica del Vietnam. È anche un atto di dubbia moralità, che si fa beffe della coscienza della società civile.
Il dibattito sul possesso della nunziatura è ancora in atto ma [resta il fatto che] le autorità della città di Hanoi e del distretto di Hoan Kiem hanno fatto ricorso all’uso dell’esercito per portare avanti la distruzione della nostra proprietà.
Per questo, la Segreteria dell’Arcivescovo di Hanoi protesta con forza e chiede che:
1) Il governo interrompa l’assedio della sede arcivescovile di Hanoi e cessi di demolire la nostra proprietà.
2) Il governo ripristini la proprietà al suo status originario, ce la restituisca in modo che possa essere utilizzata a scopo di culto e per il benessere di tutta la comunità.
3) Le principali agenzie [gruppi] e la città di Hanoi devono accettare le responsabilità derivanti dalle possibili conseguenze derivanti da questa appropriazione indebita. Abbiamo il diritto di usare tutto quanto è in nostro potere per proteggere la nostra proprietà.
4) Il Presidente, il Primo Ministro della Repubblica Socialista del Vietnam, le autorità cittadine, e le principali agenzie si adoperino per porre fine a questo sopruso.
+ Arcivescovo di Hanoi
Joseph Ngo Quang Kiet
(firmato e sigillato)


SCUOLA/ Non si riducano le domande dei ragazzi a difficoltà psicologiche - IlSussidiario.net - sabato 20 settembre 2008

Giuseppe Luigi Palma, presidente dell'Ordine degli psicologi, ha denunciato che l'Italia è il solo paese europeo a non avere un servizio strutturato di psicologia scolastica. Oggi l'intervento psicologico è garantito da sperimentazioni e non ha una precisa normativa di riferimento, per cui di fatto in questi anni solo due scuole su tre hanno beneficiato dell'intervento di uno psicologo. Tale intervento si è caratterizzato come attività di consulenza, «dimenticando le pratiche per lo sviluppo della persona, per l'educazione alla socialità e alla convivenza».
Secondo Palma la limitazione della presenza dello psicologo è grave, perché stanno emergendo sempre di più problemi che invece lo richiedono, quali «lo scarso impegno nello studio e la mancanza di attenzione durante le lezioni, le difficoltà di relazione all'interno del corpo docente, gli alunni con necessità didattiche particolari, le difficoltà di tipo organizzativo provocate dalle continue innovazioni e riforme, i comportamenti aggressivi e violenti degli alunni».
Il presidente dell'Ordine degli psicologi ha ragione nell'evidenziare l'importanza della presenza degli psicologi dentro la scuola, ma le motivazioni che adduce sono equivoche, come è spesso fuori luogo il motivo per cui genitori o insegnanti chiedono l'aiuto dello psicologo, quasi fosse la panacea di tutte le difficoltà scolastiche sia d'apprendimento sia di relazione.
Ben vengano gli psicologi nella scuola, ma ad una condizione: che non pretendano di sostituirsi a chi educa. La psicologia, infatti, è uno strumento che può aiutare insegnanti e genitori, uno strumento di analisi dei problemi, ma la questione della scuola non è psicologica, è primariamente educativa. Troppo spesso è per sfuggire alla domanda su di sé che un insegnante o un genitore manda dallo psicologo uno studente perché si impegna poco nello studio, perché si distrae durante le lezioni, perché pone troppe domande, perché non è inserito nella classe.
C'è un'urgenza educativa che chiede un impegno più deciso di insegnanti e genitori, un impegno a andare verso gli studenti con uno sguardo di umanità, con una passione per il loro destino da cui essi possono trarre l'energia per affrontare le loro difficoltà. Se è vero che bisogna strutturare maggiormente la presenza degli psicologi dentro la scuola, è altrettanto vero che prima bisogna chiarire che la questione della scuola è l'educazione e che in questo la psicologia è solo uno strumento d'aiuto. Teniamo ben distinti i campi e non riduciamo le domande educative a difficoltà psicologiche. Di tutto abbiamo bisogno, fuorché di una medicalizzazione della scuola.
(Gianni Mereghetti)


PERCHE’ PADRE PIO PER NOI ? 20.09.2008 – di Antonio Socci - Una rivelazione su ciò che Gesù gli disse quel 20 settembre…. Il 20 settembre è il 90° anniversario della stimmatizzazione di padre Pio e il 23 settembre è il 40° della morte. Proprio alla vigilia di entrambi sta per uscire un libro di don Francesco Castelli che contiene documenti inediti, eccezionali, sull’episodio delle stimmate e sulla loro origine. In uno di essi “il cappuccino svela – non lo farà mai più durante la sua vita – il toccante dialogo fra lui e il misterioso personaggio, autore delle stimmate” e le parole che spiegano il motivo di quelle stimmate.

Il grande evento avvenne il 20 settembre 1918 e forse la data non è casuale: era stato il giorno della presa di Roma da parte dei piemontesi, fine del potere temporale e inizio della persecuzione al papa, ma anche di una purificazione della Chiesa. Il fenomeno delle stimmate impose all’attenzione del mondo quello sconosciuto e umile francescano e ne fece una luce che attrasse e ancora attrae milioni e milioni di persone.

Padre Pio divenne così una straordinaria risposta del Cielo all’apostasia del secolo XX. Un giorno di aprile dell’anno 30 d.C., all’apostolo Tommaso, che non credeva che i suoi compagni avessero davvero visto e parlato con Gesù, dopo la sua morte, risorto nella carne e vivo, Gesù andò incontro e disse “Tommaso metti qua il dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!”.

Così, all’incredulità del secolo delle ideologie, pochi mesi dopo la Rivoluzione d’ottobre, Gesù ha risposto mostrando quelle stesse piaghe, del crocifisso risorto, sul corpo di uno dei suoi più grandi amici, padre Pio: crocifisso per 50 anni davanti al mondo e alla stessa scienza la quale più volte ha studiato e analizzato le sue stimmate ritenendone inspiegabili sia la formazione, sia il perdurare contro ogni legge naturale, sia la sparizione alla vigilia della morte senza lasciar traccia alcuna, di nuovo contro le leggi della biologia.

Francesco d’Assisi fu il primo stimmatizzato e padre Pio è stato il primo e unico sacerdote stimmatizzato della storia della Chiesa. Un fatto che assume un significato particolarmente importante alla luce delle rivelazioni di don Castelli. Storico e docente di Storia della Chiesa, don Francesco Castelli lavora anche nella Postulazione per la causa di beatificazione di Karol Wojtyla. E’ autore di alcuni lavori su padre Pio di cui abbiamo dato notizia anche da queste colonne.

Dunque in questo libro “Padre Pio sotto inchiesta. L’ ‘autobiografia’ segreta” (Ares), di cui parlerà anche il settimanale “Oggi”, pubblica un documento eccezionale: la relazione scritta nel gennaio 1922 da monsignor Raffaello Carlo Rossi, vescovo di Volterra, inquisitore per conto del S. Uffizio a San Giovanni Rotondo nel maggio 1921. Che contiene, fra l’altro, il verbale dei sei “interrogatori” di padre Pio, resi sotto giuramento, dove è contenuta la “bomba”.

Questo dossier era stato secretato e quindi nessuno ha potuto consultarlo. Solo dal giugno 2006 Benedetto XVI ha consentito l’apertura degli archivi del S.Uffizio per i documenti del pontificato di Pio XI (quindi dal 1921 al 1939). Il primo a poterli vedere è stato lo storico Sergio Luzzatto che ha pubblicato di recente un libro dove manifesta molto interesse alla politica e alle ideologie (e anche ai pettegolezzi di paese su padre Pio), ma non altrettanto ai documenti e alla sostanza, né alla materia religiosa (su cui non pare preparato). Forse per una conoscenza sommaria della vicenda di padre Pio, Luzzatto sembra non si sia accorto (nel suo libro non ne dà notizia) dell’esplosiva rivelazione fatta dal giovane frate in quel maggio 1921 al vescovo Rossi.
v Finora, sull’episodio cruciale della stimmatizzazione, si sapeva solo quel poco che padre Pio aveva rivelato per lettera, il 22 ottobre 1918, al suo direttore spirituale. Era la mattina del 20 settembre. Padre Pio aveva appena celebrato la messa, era rimasto solo in chiesa e come di consueto stava nel coro per fare il ringraziamento. “E mentre tutto questo si andava operando”, scrive in quella lettera, “mi vidi dinanzi un misterioso personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue. La sua vista mi atterrisce; ciò che sentivo in quell’istante in me non saprei dirvelo. Mi sentivo morire e sarei morto se il Signore non fosse intervenuto a sostenere il cuore, il quale me lo sentivo sbalzare dal petto. La vista del personaggio si ritira ed io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue”.

Questa finora era l’unica versione del fatto decisivo della vita di padre Pio e c’erano tanti punti interrogativi: chi era il misterioso personaggio? Costui disse qualcosa? Fra i due si svolse un dialogo? Per quale scopo le stimmate sul corpo di padre Pio? Sono domande di enorme importanza.

Adesso, dal libro in uscita, apprendiamo che nel 1921 padre Pio, rispondendo alla richiesta di monsignor Rossi, aveva rivelato i particolari decisivi dell’avvenimento, chiarendo, di fatto, tutti quei punti interrogativi. Ecco le sue precise (e inedite) parole: “Il 20 settembre 1918 dopo la celebrazione della Messa, trattenendomi a fare il dovuto ringraziamento nel Coro tutt’a un tratto fui preso da un forte tremore, poi subentrò la calma e vidi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce, ma non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da lui favoriti. Di qui si manifestava che Lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M’invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui che cosa potevo fare. Udii questa voce: ‘Ti associo alla mia Passione’. E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo”.

Da questo documento straordinario - sottolinea don Castelli – si apprende anzitutto che padre Pio conosceva bene l’identità di chi gli è apparso e soprattutto che “la stimmatizzazione non fu il risultato di una sua richiesta personale”. Altro che autosuggestione e psicosi. Il Padre chiese solo cosa poteva fare per confortare Gesù. Fu Gesù che lo invitò ad aiutarlo a portare il peso dei peccati del mondo, dell’ingratitudine e della mancanza di amore (specialmente dei consacrati).

Il libro contiene anche un altro documento eccezionale e inedito: l’esame accurato delle stimmate fatto dal vescovo. E’ strano che Luzzatto non lo abbia citato. E’ vero che esso confuta totalmente le sue tesi, ma ha un valore storico enorme. Questa è infatti l’unica vera inchiesta del S. Uffizio sulle stimmate. E l’ “inquisitore”, che confessa di essere arrivato “con una personale prevenzione in contrario”, dopo un’ispezione a tutto campo, accuratissima, senza sconti, pure con eccessi di rigore, riconosce infine: “non son potuto rimanere nella personale prevenzione contraria”. Ma anzi, dà voto favorevole. E – ben valutate tutte le altre ipotesi - deve riconoscere che quelle stimmate si spiegano solo con un’origine divina.

Il prelato testimonia pure di aver constatato personalmente il “profumo” (specialmente) del sangue di padre Pio e documenta fenomeni come la temperatura corporea a 48° (quando il padre pensa a Gesù) e la bilocazione. Ora, dopo queste ultime rivelazioni del libro di Castelli, è più chiaro il senso di quelle stimmate. Kierkegaard dice che Gesù ci fa letteralmente scudo col suo corpo santo. Ebbene, padre Pio è lì con lui a fare scudo a ciascuno di noi, (come fece padre Kolbe per quel padre di famiglia). E a milioni si riparano dietro di lui.
Antonio Socci
Da “Libero” 10 settembre 2008


Pubblicati integralmente gli atti della prima inchiesta sul frate di Pietrelcina - Padre Pio e il Sant'Uffizio - Una storia da riscrivere - di Francesco Castelli, L’Osservatore romano, 20 settembre 2008
Dopo la recente apertura degli archivi fino al 1939, quella dei rapporti tra padre Pio da Pietrelcina e il Sant'Uffizio è una storia da riscrivere. Sinora si erano diffusi sospetti e dicerie.
Si riteneva che la Suprema Congregazione fosse stata da sempre contraria al cappuccino, che non avesse mai creduto né alla sua santità né alle sue stimmate. L'organo preposto alla tutela della fede avrebbe così costantemente messo alla prova la vita di un testimone della fede, di un uomo divorato dall'amore di Dio e dei fratelli. Presunto protagonista della campagna denigratoria sarebbe stato, in particolare, un altro francescano, Agostino Gemelli, a cui i responsabili del dicastero romano avrebbero creduto ciecamente. Ma, in tutto ciò, c'è non poco da rivedere.

La visita apostolica promossa dal Sant'Uffizio nel 1921, ora pubblicata integralmente per la prima volta, svela come veramente andarono i fatti nella loro fase iniziale. Sin dal 1919, al famoso dicastero romano - incaricato anche della verifica della "simulata santità" - arrivavano di continuo lettere dal contenuto inaspettatamente contraddittorio. A chi accusava padre Pio di procurarsi le stimmate con dell'acido fenico - quando non le riteneva frutto di suggestione - si opponevano tanti che ne proclamavano le virtù. A fronte di questa situazione complessa, i cardinali del dicastero pensarono di inviare un visitatore apostolico con lo scopo di verificare di persona la verità dei fatti. Compito difficile: era necessario trovare un "inquisitore" prudente, spiritualmente sensibile, teologicamente preparato.
La scelta cadde su monsignor Carlo Raffaello Rossi, futuro cardinale, da poco consacrato vescovo di Volterra. Il presule, dopo un iniziale rifiuto dell'incarico, fu costretto ad accettare e il 14 giugno 1921, dopo aver risalito i tornanti del Gargano, si trovò davanti a padre Pio. "La fronte alta e serena - scrive monsignor Rossi nella sua relazione - lo sguardo vivace, dolce, l'espressione del viso è di bontà e di sincerità". Ecco come padre Pio apparve a Rossi.
Da quel 14 giugno, per otto giorni, in ogni momento, l'inquisitore si mise a "pedinare" il cappuccino. A tavola scoprì che non mangiava molto ma che era improprio dire che fosse perfettamente digiuno. Con i confratelli padre Pio si rivelava "molto gentile", scherzoso. Dai superiori era particolarmente amato perché "esemplarissimo, non mormoratore". Lunghissimo era il tempo trascorso in confessione: 10-12 ore al giorno. La Santa Messa, infine, era vissuta con straordinaria devozione.
Povero perché privo di tutto, profondamente puro di cuore, padre Pio colpì monsignor Rossi per la sua ubbidienza. Il vescovo gli chiese se intendeva ubbidire sempre alla Chiesa e lo stimmatizzato gli diede una risposta incisiva: "Sì, eccellenza, perché per la Santa Chiesa è lo stesso Dio che parla".
Osservare padre Pio non bastò all'inquisitore. Decise di interrogare il frate chiedendogli di narrare la sua vita umana e mistica fin nei minimi dettagli. Fu una raffica di domande: ben centoquarantadue. Con le mani sul vangelo e sotto giuramento, padre Pio gli ubbidì e compose, in sei deposizioni, una sorta di autobiografia, un documento di fondamentale importanza. Chi lo aveva stimmatizzato? Per quale ragione? Gli aveva affidato una missione? A queste domande, sino a oggi prive di riscontro, il cappuccino rispose: "Il 20 settembre 1918 dopo la celebrazione della Messa trattenendomi a fare il dovuto ringraziamento nel Coro tutto a un tratto fui preso da un forte tremore, poi subentrò la calma e vidi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce, ma non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da Lui favoriti. Di qui si manifestava che Lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M'invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui che cosa potevo fare. Udii questa voce: "Ti associo alla mia Passione". E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo".

Ma non è tutto. A questo punto l'inquisitore volle vedere con i suoi occhi e decise di mettere il dito nella piaga. Tolte le bende dalle mani del cappuccino, esaminò con rigore le stimmate del frate. Le guardava, le controllava e, mentre riguardava, chiedeva. Ne risultò un esame originale con risvolti affascinanti e inattesi. La piaga del costato, cambiava spesso aspetto e in quel momento aveva assunto una forma triangolare, mai osservata da alcuno. Su tutto ciò padre Pio offrì risposte precise e dettagliate spiegando di persona che le sue piaghe, soprattutto quelle dei piedi e del costato, avevano un aspetto cangiante. Oltre alla descrizione fisica delle stimmate, monsignor Rossi rifletté a lungo sulla loro origine. Molte le ipotesi esaminate. Ma tutte si rivelarono contraddittorie o infondate, tranne una: quella dell'origine divina del singolare dono mistico.
"Le stimmate in questione ed esame - concluse Rossi - non sono né opera del demonio, né un grossolano inganno, una frode, un'arte di un malizioso o un malvagio (e) nemmeno un morboso prodotto di suggestione esterna (...) nemmeno le crederei effetto di autosuggestione, per le ragioni esposte a suo luogo". In definitiva, osservò l'inquisitore, gli elementi distintivi "delle vere stimmate si riscontrerebbero in quelle di padre Pio". Altri fatti colpirono l'inquisitore. In primo luogo le febbri altissime, poi il profumo, che percepì lui stesso, a ondate, a momenti, a distanza. Infine, prima di redigere la sua relazione per i cardinali del Sant'Uffizio il visitatore osservò, indagò, domandò anche ad altri testimoni. Raccolse un materiale così abbondante che, sebbene finora sconosciuto, rappresenta, sotto ogni punto di vista, un resoconto completo e originale sul cappuccino.
Cosa emerge di innovativo e definitivo da questa inchiesta? Molti elementi. Il temuto dicastero romano non fu, in queste circostanze, un nemico di padre Pio, tutt'altro! Monsignor Rossi si rivelò un inquisitore preciso fino all'esasperazione ma anche un uomo maturo e di autentico valore, privo di ingiustificate durezze verso il suo inquisito. Se negli anni seguenti, nonostante altre accuse, padre Pio non subì gravi sanzioni canoniche fino al 1931, lo si deve proprio al penetrante giudizio del futuro cardinale. Alla luce della sua relazione, per il Sant'Uffizio padre Pio non era un burbero ma un frate "molto gentile" la cui bontà era chiaramente conosciuta. Circa le stimmate, l'unica indagine del Sant'Uffizio sulle piaghe fu proprio quella di Rossi, un'indagine dall'esito completamente positivo che non fu più messa in discussione fino al 1939. Grazie alle richieste finali di monsignor Rossi, peraltro, l'ex Sant'Uffizio possiede la Cronistoria di padre Pio, scritta dal suo padre spirituale padre Benedetto, un documento ricchissimo di informazioni e sinora pressoché ignorato. Anche per la storia del Sant'Uffizio l'inchiesta del 1921 su padre Pio offre nuovi elementi che illuminano il ruolo di un organismo ecclesiale giudicato spesso dal tribunale delle opinioni in modo approssimativo. In particolare gli atti ora pubblicati permettono di capire la vera portata delle relazioni di Gemelli, relazioni non così decisive come si immaginava. Non solo. Anche le restrizioni ministeriali del 1931, alla luce dei documenti, si rivelano volte ad arginare la devozione verso il frate di Pietrelcina e non dirette a smentire la sua autenticità.
Cosa sia avvenuto a padre Pio dopo il 1939 - anno a partire dal quale è ora impossibile studiare i documenti - e quali informazioni riceveremo, smentendo luoghi comuni o confermandoli, è ancora impossibile saperlo. Rimane vera e penetrante invece, la valutazione su padre Pio di monsignor Rossi che, nel lontano 1921, scrisse: "Padre Pio è un buon religioso, esemplare, esercitato nella pratica delle virtù, dato alla pietà ed elevato forse nei gradi di orazione più di quello che non sembri all'esterno; risplendente in particolar modo per una sentita umiltà e per una singolare semplicità che non son mai venute meno neppure nei momenti più gravi, nei quali queste virtù furono messe per lui a prova veramente grave e pericolosa".


(©L'Osservatore Romano - 20 settembre 2008)


Ai vescovi del Panamá il Papa indica la speranza cristiana come risposta alle sfide della secolarizzazione - Il contributo della Chiesa alla soluzione dei problemi umani; L’Osservatore romano, 20 settembre 2008


Pubblichiamo una nostra traduzione italiana del discorso rivolto dal Papa ai vescovi del Panamá ricevuti in udienza nella mattina di venerdì 19 settembre, in occasione della visita "ad limina Apostolorum".

Cari fratelli nell'episcopato,
"Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere" (1 Ts 1, 2). Queste parole di san Paolo esprimono i miei sentimenti nel ricevervi in occasione della vostra visita ad limina, che manifesta i forti vincoli che uniscono le vostre rispettive Chiese particolari al Successore di San Pietro, Capo del Collegio Episcopale (cfr Lumen gentium, n. 22).
Ringrazio monsignor José Luis Lacunza Maestrojuán, vescovo di David e presidente della Conferenza episcopale, per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome di tutti, rendendomi partecipe delle gioie e dei desideri che portate nel cuore, e anche delle sfide che vi preparate ad affrontare. Sappiate che nelle vostre attività il Papa cammina accanto a voi. Per questo vi chiedo, quando ritornerete nel vostro Paese, di trasmettere la mia vicinanza spirituale ai vescovi emeriti, ai sacerdoti e alle comunità religiose, ai seminaristi e ai fedeli laici, soprattutto a quelli più bisognosi, e di assicurarli che prego per loro, chiedendo a Dio che non vengano meno nelle loro opere per il Vangelo e continuino a esortare tutti, con la parola e con la vita, a trovare la propria felicità nel seguire Cristo e nel condividere con gli altri la gioia che nasce dal sapere che Lui ci ama fino alla fine (cfr Gv 13, 1).

La lettura dei vostri resoconti quinquennali e le conversazioni che abbiamo avuto mi hanno fatto vedere come animate le iniziative finalizzate a seminare generosamente la Parola di Dio nel cuore dei panamensi, per accompagnarli nel cammino della loro maturazione nella fede, di modo che siano autentici discepoli e missionari di Gesù Cristo. In tal senso, aiutati dalle linee tracciate dalla v Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, celebrata ad Aparecida, state intensificando la vostra azione pastorale, anche in vista delle celebrazioni che si stanno preparando per commemorare il v Centenario dell'evangelizzazione del Paese, nel 2013. Questi impegni costituiscono un'opportunità provvidenziale per rafforzare ancora di più la comunione ecclesiale fra le diocesi di Panamá.
È motivo di gioia la feconda azione missionaria di sacerdoti, religiosi e laici, che si oppone alla crescente secolarizzazione della società, intesa come una concezione del mondo e dell'umanità che mette ai margini la trascendenza, che invade tutti gli aspetti della vita quotidiana, sviluppa una mentalità in cui Dio di fatto è assente dall'esistenza e dalla coscienza umana e si serve spesso dei mezzi di comunicazione sociale per diffondere individualismo, edonismo, ideologie e costumi che minano le fondamenta stesse del matrimonio, la famiglia e la morale cristiana. Il discepolo di Cristo trova la forza per rispondere a queste sfide nella conoscenza profonda e nell'amore sincero per il Signore Gesù, nella meditazione della Sacra Scrittura, nell'adeguata formazione dottrinale e spirituale, nella preghiera costante, nella ricezione frequente del sacramento della Riconciliazione, nella partecipazione consapevole e attiva alla Santa Messa e nella pratica delle opere di carità e di misericordia.
Ciò è importante soprattutto per le nuove generazioni. Il ricordo del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo ii, in questo anno in cui si commemora il xxv anniversario della visita che rese alla vostra amata nazione, può servire da stimolo per dedicarsi con impegno alla pastorale giovanile e vocazionale, di modo che non manchino sacerdoti che portino ai panamensi Cristo, fonte di vita in abbondanza per colui che Lo incontra (cfr Gv 10,10). A tale proposito, vi invito a supplicare con fiducia il "Padrone della messe", affinché invii numerose e sante vocazioni al sacerdozio (cfr Lc 10, 2), per la qual cosa è fondamentale anche un corretto discernimento dei candidati al presbiterato, come pure lo zelo apostolico e la testimonianza di comunione e di fraternità dei sacerdoti. Questo stile di vita si deve inculcare fin dal seminario, dove si devono privilegiare una seria disciplina accademica, spazi e tempi di preghiera quotidiana, la degna celebrazione della liturgia, un'adeguata direzione spirituale e un'intensa formazione alle virtù umane, cristiane e sacerdotali. In tal modo, pregando e studiando, i seminaristi possono costruire in essi quell'uomo di Dio che i fedeli hanno diritto di vedere nei loro ministri.
La storia di Panamá è stata segnata dall'encomiabile opera di numerosi missionari e dalla generosa sollecitudine dei religiosi e delle religiose. Che questi modelli luminosi incoraggino al momento presente i consacrati a fare della loro vita una continua espressione di carità cristiana, alimentata dal desiderio di identificarsi radicalmente con Cristo e di servire fedelmente la Chiesa!
Con abnegazione, molte famiglie vivono nella loro patria l'ideale cristiano fra non poche difficoltà, che minacciano la solidità dell'amore coniugale, la paternità responsabile e l'armonia e la stabilità dei focolari domestici. Non saranno mai sufficienti gli sforzi che si compiranno per sviluppare una pastorale familiare vigorosa, che inviti le persone a scoprire la bellezza della vocazione al matrimonio cristiano, a difendere la vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale e a costruire famiglie in cui si educhino i figli all'amore per la verità del Vangelo e ai saldi valori umani.
Nel vostro Paese, come in altri luoghi, si stanno vivendo momenti difficili, che generano disagio, e anche situazioni che suscitano grande speranza. Nel contesto attuale, riveste un'urgenza particolare che la Chiesa a Panamá non smetta di offrire luci che contribuiscano alla soluzione dei pressanti problemi umani esistenti, promuovendo un consenso morale della società sui valori fondamentali. Per questo è essenziale divulgare il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, per consentire una conoscenza più profonda e sistematica degli orientamenti ecclesiali che in particolare i laici devono seguire nel campo politico, sociale ed economico, favorendo anche la loro corretta applicazione in circostanze concrete. Così la speranza cristiana potrà illuminare il popolo di Panamá, desideroso di conoscere la verità su Dio e sull'uomo in mezzo a fenomeni come la povertà, la violenza giovanile, le carenze educative, sanitarie e abitative, l'assedio di innumerevoli sette o la corruzione, che in diversa misura turbano la sua vita e ne impediscono lo sviluppo integrale.
Al termine di questo incontro, affido voi e tutti i figli e le figlie di questa nobile nazione all'intercessione di Santa María la Antigua, affinché il suo amore di Madre risplenda sempre su Panamá e vi conforti nel vostro cammino. Con questi sentimenti vi imparto con affetto la Benedizione Apostolica.


(©L'Osservatore Romano - 20 settembre 2008)


DIECI ANNI FA GIOVANNI PAOLO II PUBBLICAVA LA «FIDES ET RATIO» - Quell’enciclica cruciale anticipò il pontificato ratzingeriano, Avvenire, 20 settembre 2008
GIACOMO SAMEK LODOVICI
I l 14 settembre di dieci anni fa Giovanni Paolo II firmava la
Fides et ratio,
un’enciclica davvero importante, incentrata sul tema, che tanto sta a cuore anche a Benedetto XVI, dei rapporti tra filosofia e Rivelazione. Papa Wojtyla vi rimarcava la possibilità di una solidarietà reciproca e di una cooperazione benefica tra fede e filosofia, intese come due forme di esercizio del pensiero ( nn. 43 e 79 dell’enciclica). Infatti, pur se può forse sembrare sorprendente, anche l’atto di fede in Dio ( che può essere accompagnato da sentimenti – per esempio – di slancio, e che può culminare in un rapporto d’amore) è un atto della ragione, precisamente quello di una ragione credente: credere significa assentire, cioè ritenere vera un’affermazione, ed è la ragione, in sinergia con la volontà, che compie tale atto. Ora, i contributi della Rivelazione alla ricerca filosofica sono molteplici. Per esempio, il cristianesimo valorizza la ragione affermandone la capacità di cogliere la verità ( perciò, oggigiorno, c’è un nesso tra indebolimento della fede e relativismo), anticipa e propone alla ricerca filosofica dei temi che essa può conseguire da sola, le consente di orientarsi quando essa ha sbagliato o corre il rischio di sbagliare, ne mantiene desto l’anelito alla verità ( ammonendola a non piegarsi agli interessi di parte), procede oltre i risultati della filosofia. D’altra parte, la filosofia « si configura come uno dei compiti più nobili dell’umanità » e può essere straordinariamente propizia all’atto di fede, in vari modi. Per esempio, la filosofa può verificare la convergenza tra alcune delle sue risposte alle grandi domande esistenziali (' chi sono?', ' da dove vengo?', ' dove vado?', ecc.) e le risposte date dalla Rivelazione. In particolare – dice l’enciclica – la filosofia può fornire ' prove' razionali dell’esistenza di Dio, come dicono anche, per esempio, il
Libro della Sapienza ( 13,1- 9), la Lettera ai Romani ( 1,19- 21) ed i Concili Vaticano I ( nella
Dei Filius) e Vaticano II ( nella Dei Verbum).
Queste prove sono estremamente preziose, perché possono essere proposte a chi non è cristiano e che può diventarlo: grazie ad esse può pervenire ( succede, anche se non spesso) ad affermare l’esistenza del Dio dei filosofi ( che è Persona, Creatore, Onnisciente, ecc.), che è propedeutico alla fede nel Dio cristiano. Inoltre, la filosofia può soccorrere anche chi è credente, perché nei periodi di aridità spirituale ed incertezza può contribuire a superare i dubbi, a perseverare, ecc.
Sennonché, la separazione storicamente avvenuta tra fede e filosofia ha prodotto gravi conseguenze: « La ragione privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale » ; dal canto suo, « la fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale » e « di essere ridotta a mito o superstizione » . Al riguardo, nell’enciclica si legge il grande rammarico di Giovanni Paolo II perché tra i credenti si verificano « pericolosi ripiegamenti sul fideismo, che non riconosce l’importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l’intelligenza della fede, anzi per la stessa possibilità di credere in Dio » . Certo ( cfr. Pascal), il Dio dei filosofi, non è identico al Dio di Gesù Cristo, ma può condurvi: rinunciare alla conoscenza di Dio che è accessibile con la filosofia è come rinunciare ad un tesoro solo perché è meno prezioso di un altro.
Wojtyla rimarcava la possibilità di cooperazione benefica tra fede e filosofia


Libertà di religione: gli Usa denunciano la Conferenza islamica, Avvenire, 20 settembre 2008
DI ALBERTO SIMONI
H a utilizzato l’Onu, i forum e i consessi internazionali per far avanzare la sua agenda e mi­nare ovunque la libertà religiosa. Que­sta l’accusa che il Dipartimento di Sta­to americano muove all’Oci (Organiz­zazione per la conferenza islamica) nel decimo rapporto sulla libertà religio­sa nel mondo. Il voluminoso documento è stato pre­sentato ieri a Washington dall’amba­sciatore John V. Hanford III, responsa­bile del progetto, e dal segretario di Sta­to Condoleezza Rice che ha ribadito la centralità della tutela della libertà re­ligiosa fra gli obiettivi della politica e­stera statunitense. Il rapporto, che passa in rassegna il gra­do di libertà di cui godono i fedeli del­le varie fedi nel mondo e i tipi di abu­si (ne vengono individuati cinque) che le persone soffrono per colpa (o negli­genza) dei governi, contiene un duro atto d’accusa contro l’Oci. Secondo Washington, infatti, l’organizzazione che raggruppa 57 Paesi a maggioran­za musulmana ha lavorato all’interno degli organismi internazionali, come l’Onu e le sue molteplici diramazioni e agenzie, per «indebolire – si legge – le protezioni alla libertà religiosa». Il Dipartimento di Stato porta anche al­cuni esempi, come quando la delega­zione dell’Oci, capeggiata dal Pakistan, dichiarò nella sessione del dicembre 2007 del Consiglio per i Diritti Umani la sua opposizione nel «riconoscere il diritto degli individui di cambiare li­beramente religione». Un atteggia­mento che ha trovato concretezza poi nelle legislazioni e nelle azioni che di­versi governi aderenti all’Oci hanno as­sunto. Come le norme e le leggi con­tro le conversioni e la blasfemia. Le norme camuffate dietro il vago con­cetto di «diffamazione della religione» in sede Onu, in realtà nascondono il significato di «diffamazione dell’i­slam », è la denuncia degli Stati Uniti.
In realtà, nota il rapporto, la reazione al proselitismo e il timore per le con­versioni hanno spinto diversi governi, non solo di matrice islamica, a limita­re i diritti individuali. Nel mirino fini­scono Malaysia, Grecia e Israele che hanno passato leggi «per frenare il pro­selitismo pacifico». «Altri Paesi hanno votato o introdotto leggi anticonver­sione », si legge nel documento, che ci­ta il caso di 28 Stati dell’India.
Ma è stata l’Organizzazione islamica ad aver utilizzato in modo sistematico il suo potere per influenzare le dina­miche e i processi decisionali alle Na­zioni Unite «portando le leggi sulla bla­sfemia in vigore in molti Paesi dell’O­ci a un livello internazionale».
Come nelle versioni precedenti, il rap­porto contiene una sorta di giudizio sullo stato della libertà religiosa nei di­versi Paesi. Non cambia la lista degli Stati sotto osservazione, quelli che nel linguaggio del Dipartimento di Stato destano «particolare preoccupazione». Come nell’edizione del 2007 sono ot­to: Myanmar, Cina, Eritrea, Iran, Nord Corea, Arabia Saudita, Sudan e Uz­bekistan, quest’ultimo entrato nell’e­lenco dei «cattivi» proprio lo scorso an­no.
Si allunga la fila di repressioni a Myan­mar e il dossier cinese si arricchisce del caso Tibet e del giro di vite del go­verno di Pechino nei confronti della minoranza uighura nello Xingjiang. Il Dipartimento di Stato sottolinea an­che che «i vescovi della Chiesa cattoli­ca sono vittime di repressioni in gran parte a causa della loro lealtà al Vati­cano il cui governo è accusato di in­terferenza nelle vicende interne della Cina».
Una notazione a parte per l’Arabia Saudita. Già nel 2007, lo staff guidato da Hanford III aveva evidenziato i lie­vi miglioramenti sul piano della tolle­ranza e del rispetto delle pratiche di culto estranee all’islam. «Malgrado la libertà religiosa resti gravemente limi­tata in Arabia – si legge nel testo – ci so­no stati dei miglioramenti in aree spe­cifiche come la maggiore garanzia al diritto di possedere e usare materiale religioso per uso personale».