Nella rassegna stampa di oggi:
1) 14/09/2008 11:19 - Papa: a Lourdes, Maria ci mostra la Croce, segno dell’amore di Dio più forte della morte
2) Omelia del Papa a Lourdes per i 150 anni delle apparizioni della Vergine
3) 14/09/2008 11:58 - Papa: Con l’Angelus, Maria l’Immacolata è vicina a noi peccatori
4) Recensione: Massimiliano Fiorin, LA FABBRICA DEI DIVORZI - Il diritto contro la famiglia, Edizioni San Paolo, settembre 2008, ISBN 978-88-215-6313-3, pag. 304, euro 18, - Il diritto contro la famiglia
5) Tra fede e scienza serve unità, non identità - “Le Scritture ci dicono come raggiungere il cielo, non come questo è stato creato” di Roberta Sciamplicotti
6) CONTROCORRENTE CON IL PASSO DEL PELLEGRINO - MARINA CORRADI, Avvenire, 14 settembre 2008
7) «Io, guarita dal tumore, dono e responsabilità» - la storia: Delizia Cirolli, l’infanzia segnata dal cancro che la stava portando alla morte. Oggi ha 43 anni e tre figli La sua è una delle 67 «guarigioni inspiegabili» avvenute a Lourdes e ufficialmente riconosciute. «Ho ricevuto una grazia grande. Ma qui si viene e si torna per condividere tutto con tutti» , Avvenire 14 settembre 2008
8) MEMORIA VIVA - La figura del primo presidente della Cei, morto nel 1989, ieri è stata ricordata anche con gli interventi di Ornaghi, Negri, Quagliariello, Gheda e De Bernardis - Il cardinale Siri, «profeta» nel cuore del XX secolo, Avvenire 14 settembre 2008
14/09/2008 11:19 - Papa: a Lourdes, Maria ci mostra la Croce, segno dell’amore di Dio più forte della morte
Alla messa per il Giubileo delle apparizioni, Benedetto svolge la “catechesi” di Lourdes: scoprire “un cammino di fede e di conversione” che porta dalla scoperta della Croce come segno di salvezza, alla chiamata di Dio, alla missione. Appello ai giovani per la loro vocazione al matrimonio o alla vita religiosa. Il ricordo della persecuzione in India e nel mondo arabo. Il testo completo dell’omelia del papa.
Lourdes (AsiaNews) – La croce, il “patibolo” su cui Gesù è morto per gli uomini “è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza”. Nel celebrare la messa per i 150 anni delle apparizioni della Vergine a Lourdes, Benedetto XVI ha svolto una “catechesi” su questo santuario visitato ogni anno da oltre 6 milioni di pellegrini. Andare a Lourdes è come mettersi “sulle orme di Bernadette”, entrando “in un cammino di fede e di conversione. Oggi Maria viene incontro a noi per indicarci le vie d’un rinnovamento della vita delle nostre comunità e di ciascuno di noi”.
Davanti a oltre 200 mila pellegrini, venuti da tutto il mondo, il papa mostra le tappe di questa catechesi: la “fierezza” con cui guardare la Croce, “sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace”; il “vigore nuovo, in cui la Chiesa può fortificarsi per proclamare con sempre maggior audacia il mistero di Cristo”; la missione universale dei cristiani e della Chiesa, “inviata dappertutto nel mondo per proclamare quest’unico messaggio ed invitare gli uomini ad accoglierlo mediante un’autentica conversione del cuore”; la povertà e debolezza della nostra umanità (come quella di Bernadette “la maggiore di una famiglia molto povera, che non possiede né sapere né potere, è debole di salute”), scelta da Dio per portare frutti e scoprire la vera libertà, come è avvenuto per Maria: “Rimettersi completamente a Dio è trovare il cammino della libertà vera. Perché volgendosi a Dio, l’uomo diventa se stesso. Ritrova la sua vocazione originaria di persona creata a sua immagine e somiglianza”.
Il pontefice è preoccupato che si scopra vera “vocazione” di Lourdes, che è la preghiera anche di fronte alle emergenze che richiedono azioni: “Cari fratelli e sorelle, la vocazione primaria del santuario di Lourdes è di essere un luogo di incontro con Dio nella preghiera, e un luogo di servizio ai fratelli, soprattutto per l’accoglienza dei malati, dei poveri e di tutte le persone che soffrono. In questo luogo Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. "Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione" (Enc. Deus caritas est, n. 36). Lasciarsi assorbire dalle attività rischia di far perdere alla preghiera la sua specificità cristiana e la sua vera efficacia. La preghiera del Rosario, così cara a Bernadette e ai pellegrini di Lourdes, concentra in sé la profondità del messaggio evangelico. Ci introduce alla contemplazione del volto di Cristo. In questa preghiera degli umili noi possiamo attingere grazie abbondanti”.
L’altra preoccupazione del papa è per i giovani: “Maria vuole dirvi ancora che nessuno di voi è indifferente per Dio. Egli posa il suo sguardo amoroso su ciascuno di voi e vi chiama ad una vita felice e piena di senso. Non lasciatevi scoraggiare davanti alle difficoltà! Maria fu turbata all’annuncio dell’angelo venuto a dirle che sarebbe diventata la Madre del Salvatore. Essa sentiva quanto era debole di fronte alla onnipotenza di Dio. Tuttavia disse "sì" senza esitare. Grazie al suo "sì" la salvezza è entrata nel mondo, cambiando così la storia dell’umanità. A vostra volta, cari giovani, non abbiate paura di dire "sì" alle chiamate del Signore, quando Egli vi invita a seguirlo. Rispondete generosamente al Signore! Egli solo può appagare le aspirazioni più profonde del vostro cuore”.
Benedetto XVI si rivolge ai giovani “chiamati al matrimonio”, perché scoprano “la bellezza di un amore vero e profondo, vissuto come dono reciproco e fedele”; ai giovani chiamati da Cristo a “seguirlo nella vocazione sacerdotale o religiosa”, perché scoprano “tutta la felicità che vi è nel donare totalmente la propria vita a servizio di Dio e degli uomini”; alle “le famiglie e le comunità cristiane”, perché siano “ luoghi nei quali possano nascere e maturare solide vocazioni a servizio della Chiesa e del mondo”.
A tutti indica Maria come “Stella della Speranza”: “Sulle strade delle nostre vite, così spesso buie, lei è una luce di speranza che ci rischiara e ci orienta nel nostro cammino. Mediante il suo ‘sì’, mediante il dono generoso di se stessa, ha aperto a Dio le porte del nostro mondo e della nostra storia. E ci invita a vivere come lei in una speranza invincibile, rifiutando di ascoltare coloro che pretendono che noi siamo prigionieri del fato. Essa ci accompagna con la sua presenza materna in mezzo agli avvenimenti della vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni”.
Quasi a commento di questa speranza che brilla nei luoghi oscuri della storia, durante la preghiera universale si è pregato per l’India, dove è in corso un pogrom contro i cristiani in Orissa e in altre aree del Paese; per il mondo arabo; per i malati in Africa. Nell’omelia il papa aveva ricordato il dramma della persecuzione e del dolore di tanti cristiani: “Gesù ha preso su di sé il peso di tutte le sofferenze e le ingiustizie della nostra umanità. Egli ha portato le umiliazioni e le discriminazioni, le torture subite in tante regioni del mondo da innumerevoli nostri fratelli e nostre sorelle per amore di Cristo. Noi li affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, presente ai piedi della Croce”.
Omelia del Papa a Lourdes per i 150 anni delle apparizioni della Vergine
LOURDES, domenica, 14 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubbichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI questa domenica mattina, Festa dell'Esaltazione della Santa Croce, nel presiedere a Lourdes la Santa Messa per il 150° anniversario delle apparizioni della Vergine.
* * *
Signori Cardinali, caro Mons. Perrier.
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio.
Cari pellegrini, fratelli e sorelle,
“Andate a dire ai sacerdoti che si venga qui in processione e che si costruisca una cappella”. È il messaggio che Bernadette ricevette dalla “bella Signora” nell’apparizione del 2 marzo 1858. Da 150 anni i pellegrini non hanno mai cessato di venire alla grotta di Massabielle per ascoltare il messaggio di conversione e di speranza che è loro rivolto. Ed anche noi, eccoci qui stamane ai piedi di Maria, la Vergine Immacolata, per metterci alla sua scuola con la piccola Bernadette. Ringrazio in modo particolare Mons. Jacques Perrier, Vescovo di Tarbes e Lourdes, per la calorosa accoglienza che mi ha riservato e per le parole gentili che mi ha rivolto. Saluto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose, così come tutti voi, cari pellegrini di Lourdes, in special modo i malati. Siete venuti in grande numero a compiere questo pellegrinaggio giubilare con me e ad affidare le vostre famiglie, i vostri parenti ed amici, e tutte le vostre intenzioni a Nostra Signora. La mia riconoscenza va anche alle Autorità civili e militari, che hanno voluto essere presenti a questa Celebrazione eucaristica.
“Quale mirabile cosa è mai il possedere la Croce! Chi la possiede, possiede un tesoro! (Sant’Andrea di Creta, Omelia X per l’Esaltazione della Croce: PG 97, 1020). In questo giorno in cui la liturgia della Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della santa Croce, il Vangelo che avete appena inteso ci ricorda il significato di questo grande mistero: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché gli uomini siano salvati (cfr Gv 3,16). Il Figlio di Dio s’è reso vulnerabile, prendendo la condizione di servo, obbedendo fino alla morte e alla morte di croce /cfr Fil 2,8). E’ per la sua Croce che siamo salvati. Lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace. “Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!” diceva sant’Agostino (Tract. in Johan.,XII,11). Sollevando gli occhi verso il Crocifisso, adoriamo Colui che è venuto per prendere su di sé il peccato del mondo e donarci la vita eterna. E la Chiesa ci invita ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini, per noi uomini. Essa ci invita a rendere grazie a Dio, perché da un albero che aveva portato la morte è scaturita nuovamente la vita. È su questo legno che Gesù ci rivela la sua sovrana maestà, ci rivela che Egli è esaltato nella gloria. Sì, “Venite, adoriamolo!”.
In mezzo a noi si trova Colui che ci ha amati fino a donare la sua vita per noi, Colui che invita ogni essere umano ad avvicinarsi a Lui con fiducia. E’ questo grande mistero che Maria ci affida anche stamane, invitandoci a volgerci verso il Figlio suo. In effetti, è significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza. La Chiesa ha ricevuto la missione di mostrare a tutti questo viso di un Dio che ama, manifestato in Gesù Cristo. Sapremo noi comprendere che nel Crocifisso del Golgota è la nostra dignità di figli di Dio, offuscata dal peccato, che ci è resa? Volgiamo i nostri sguardi verso il Cristo. È Lui che ci renderà liberi per amare come Egli ci ama e per costruire un mondo riconciliato. Perché, su questa Croce, Gesù ha preso su di sé il peso di tutte le sofferenze e le ingiustizie della nostra umanità. Egli ha portato le umiliazioni e le discriminazioni, le torture subite in tante regioni del mondo da innumerevoli nostri fratelli e nostre sorelle per amore di Cristo. Noi li affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, presente ai piedi della Croce.
Per accogliere nelle nostre vite questa Croce gloriosa, la celebrazione del Giubileo delle apparizioni di Nostra Signora di Lourdes ci fa entrare in un cammino di fede e di conversione. Oggi Maria viene incontro a noi per indicarci le vie d’un rinnovamento della vita delle nostre comunità e di ciascuno di noi. Accogliendo il Figlio suo, che Ella ci presenta, siamo immersi in una sorgente viva in cui la fede può ritrovare un vigore nuovo, in cui la Chiesa può fortificarsi per proclamare con sempre maggior audacia il mistero di Cristo. Gesù, nato da Maria, è Figlio di Dio, unico salvatore di tutti gli uomini, che vive ed agisce nella sua Chiesa e nel mondo. La Chiesa è inviata dappertutto nel mondo per proclamare quest’unico messaggio ed invitare gli uomini ad accoglierlo mediante un’autentica conversione del cuore. Questa missione, che è stata affidata da Gesù ai suoi discepoli, riceve qui, in occasione di questo Giubileo, un soffio nuovo. Che al seguito dei grandi evangelizzatori del vostro Paese, lo spirito missionario, che ha animato tanti uomini e donne di Francia nel corso dei secoli, sia ancora la vostra fierezza e il vostro impegno!
Seguendo il percorso giubilare sulle orme di Bernadette, l’essenziale del messaggio di Lourdes ci è ricordato. Bernadette è la maggiore di una famiglia molto povera, che non possiede né sapere né potere, è debole di salute. Maria la sceglie per trasmettere il suo messaggio di conversione, di preghiera e di penitenza, in piena sintonia con la parola di Gesù: “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Nel loro cammino spirituale i cristiani sono chiamati essi pure a far fruttificare la grazia del loro Battesimo, a nutrirsi di Eucaristia, ad attingere nella preghiera la forza per testimoniare ed essere solidali con tutti i loro fratelli in umanità (cfr Omaggio alla Vergine Maria, Piazza di Spagna, 8 dicembre 2007). E’ dunque una vera catechesi che ci è proposta sotto lo sguardo di Maria. Lasciamo che la Vergine istruisca pure noi e ci guidi sul cammino che conduce al Regno del Figlio suo! Proseguendo nella sua catechesi la “bella Signora” rivela il suo nome a Bernadette: “Io sono l’Immacolata Concezione”.
Maria le rivela così la grazia straordinaria che ha ricevuto da Dio, quella di essere stata concepita senza peccato, perché “ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48). Maria è questa donna della nostra terra che s’è rimessa interamente a Dio e ha ricevuto da Lui il privilegio di dare la vita umana al suo eterno Figlio. “Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Essa è la bellezza trasfigurata, l’immagine dell’umanità nuova. Presentandosi così in una dipendenza totale da Dio, Maria esprime in realtà un atteggiamento di piena libertà, fondata sul pieno riconoscimento della sua vera dignità. Questo privilegio riguarda anche noi, perché ci svela la nostra dignità di uomini e di donne, segnati certo dal peccato, ma salvati nella speranza, una speranza che ci consente di affrontare la nostra vita quotidiana. E’ la strada che Maria apre anche all’uomo. Rimettersi completamente a Dio è trovare il cammino della libertà vera. Perché volgendosi a Dio, l’uomo diventa se stesso. Ritrova la sua vocazione originaria di persona creata a sua immagine e somiglianza.
Cari fratelli e sorelle, la vocazione primaria del santuario di Lourdes è di essere un luogo di incontro con Dio nella preghiera, e un luogo di servizio ai fratelli, soprattutto per l’accoglienza dei malati, dei poveri e di tutte le persone che soffrono. In questo luogo Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. “Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione” (Enc. Deus caritas est, n. 36). Lasciarsi assorbire dalle attività rischia di far perdere alla preghiera la sua specificità cristiana e la sua vera efficacia. La preghiera del Rosario, così cara a Bernadette e ai pellegrini di Lourdes, concentra in sé la profondità del messaggio evangelico. Ci introduce alla contemplazione del volto di Cristo. In questa preghiera degli umili noi possiamo attingere grazie abbondanti.
La presenza dei giovani a Lourdes è anche una realtà importante. Cari amici, qui presenti stamattina intorno alla Croce della Giornata Mondiale della Gioventù, quando Maria ricevette la visita dell’Angelo, era una giovane ragazza di Nazaret che conduceva la vita semplice e coraggiosa delle donne del suo villaggio. E se lo sguardo di Dio si posò in modo particolare su di lei, fidandosi di lei, Maria vuole dirvi ancora che nessuno di voi è indifferente per Dio. Egli posa il suo sguardo amoroso su ciascuno di voi e vi chiama ad una vita felice e piena di senso. Non lasciatevi scoraggiare davanti alle difficoltà! Maria fu turbata all’annuncio dell’angelo venuto a dirle che sarebbe diventata la Madre del Salvatore. Essa sentiva quanto era debole di fronte alla onnipotenza di Dio. Tuttavia disse “sì” senza esitare. Grazie al suo “sì” la salvezza è entrata nel mondo, cambiando così la storia dell’umanità. A vostra volta, cari giovani, non abbiate paura di dire “sì” alle chiamate del Signore, quando Egli vi invita a seguirlo. Rispondete generosamente al Signore!
Egli solo può appagare le aspirazioni più profonde del vostro cuore. Siete in molti a venire a Lourdes per un servizio attento e generoso accanto ai malati o ad altri pellegrini, mettendovi così sulle orme di Cristo servo. Il servizio reso ai fratelli e alle sorelle apre il cuore e rende disponibili. Nel silenzio della preghiera, sia Maria la vostra confidente, lei che ha saputo parlare a Bernadette rispettandola e fidandosi di lei. Maria aiuti coloro che sono chiamati al matrimonio a scoprire la bellezza di un amore vero e profondo, vissuto come dono reciproco e fedele! A coloro tra voi che Egli chiama a seguirlo nella vocazione sacerdotale o religiosa, vorrei ridire tutta la felicità che vi è nel donare totalmente la propria vita a servizio di Dio e degli uomini. Siano le famiglie e le comunità cristiane luoghi nei quali possano nascere e maturare solide vocazioni a servizio della Chiesa e del mondo!
Il messaggio di Maria è un messaggio di speranza per tutti gli uomini e per tutte le donne del nostro tempo, di qualunque Paese siano. Amo invocare Maria come Stella della speranza (Enc. Spe salvi, n.50). Sulle strade delle nostre vite, così spesso buie, lei è una luce di speranza che ci rischiara e ci orienta nel nostro cammino. Mediante il suo “sì”, mediante il dono generoso di se stessa, ha aperto a Dio le porte del nostro mondo e della nostra storia. E ci invita a vivere come lei in una speranza invincibile, rifiutando di ascoltare coloro che pretendono che noi siamo prigionieri del fato. Essa ci accompagna con la sua presenza materna in mezzo agli avvenimenti della vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni. Felici gli uomini e le donne che ripongono la loro fiducia in Colui che, nel momento di offrire la sua vita per la nostra salvezza, ci ha donato sua Madre perché fosse nostra Madre! Cari fratelli e sorelle, in questa terra di Francia, la Madre del Signore è venerata in innumerevoli santuari, che manifestano così la fede trasmessa di generazione in generazione. Celebrata nella sua Assunzione, essa è la Patrona amata del vostro Paese. Sia sempre onorata con fervore in ciascuna della vostra famiglie, nelle vostre comunità religiose e nelle parrocchie! Vegli Maria su tutti gli abitanti del vostro bel Paese e sui pellegrini venuti numerosi da altri Paesi per celebrare questo Giubileo! Sia per tutti la Madre che circonda d’attenzione i suoi figli nelle gioie come nelle prove! Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, insegnaci a credere, a sperare e ad amare con te. Indicaci la via verso il regno del tuo Figlio Gesù! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino! (cfr Enc. Spe salvi, n.50). Amen.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
14/09/2008 11:58 - Papa: Con l’Angelus, Maria l’Immacolata è vicina a noi peccatori
Continuando la “catechesi” di Lourdes, Benedetto XVI spiega il valore della preghiera quotidiana dell’Angelus e spinge tutti “peccatori e deboli” alla fiducia sincera, “senza orpelli e nella verità”, verso Maria, “di speranza fontana vivace”.
Ecco il testo completo della riflessione di Benedetto XVI prima dell’Angelus a Lourdes:
Cari pellegrini, cari fratelli e sorelle!
Ogni giorno, la preghiera dell’Angelus ci offre la possibilità di riflettere qualche istante, in mezzo alle nostre attività, sul mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. A mezzogiorno, quando le prime ore del giorno cominciano a far gravare su di noi il loro peso di fatica, la nostra disponibilità e la nostra generosità sono rinnovate dalla contemplazione del "sì" di Maria. Questo "sì" limpido e senza riserve si radica nel mistero della libertà di Maria, libertà piena ed integra davanti a Dio, svincolata da ogni complicità col peccato, grazie al privilegio della sua Immacolata Concezione.
Questo privilegio concesso a Maria, che la distingue dalla nostra comune condizione, non l’allontana, ma al contrario la avvicina a noi. Mentre il peccato divide, ci allontana gli uni dagli altri, la purezza di Maria la rende infinitamente prossima ai nostri cuori, attenta a ciascuno di noi e desiderosa del nostro vero bene. Potete vederlo qui a Lourdes, come in tutti i Santuari mariani, folle immense accorrono ai piedi di Maria per confidarle ciò che ciascuno ha di più intimo, ciò che a ciascuno sta particolarmente a cuore. Ciò che molti, per imbarazzo o per pudore, non osano a volte confidare neppure ai loro intimi, lo confidano a Colei che è la Tutta pura, al suo Cuore immacolato: con semplicità, senza orpelli, nella verità. Davanti a Maria, in virtù proprio della sua purezza, l’uomo non esita a mostrarsi nella sua debolezza, a consegnare le sue domande e i suoi dubbi, a formulare le sue speranze e i suoi desideri più segreti. L’amore materno della Vergine Maria disarma ogni forma d’orgoglio; rende l’uomo capace di guardarsi quale egli è e gli ispira il desiderio di convertirsi per dare gloria a Dio.
Maria ci mostra così la giusta maniera di avanzare verso il Signore. Ci insegna ad avvicinarci a Lui nella verità e nella semplicità. Grazie a lei, scopriamo che la fede cristiana non è un peso, ma è come un’ala che ci permette di volare più in alto per rifugiarci tra le braccia del Signore.
La vita e la fede del popolo credente rivelano che il privilegio dell’Immacolata Concezione fatto a Maria non è una grazia solo personale, ma per tutti, una grazia fatta all’intero Popolo di Dio. In Maria la Chiesa può già contemplare ciò che essa è chiamata a divenire. In lei ogni credente può fin d’ora contemplare il compimento perfetto della sua personale vocazione. Possa ciascuno di noi rimanere sempre in azione di grazie per ciò che il Signore ha voluto rivelare del suo piano di salvezza attraverso il mistero di Maria. Mistero nel quale siamo implicati nel modo più toccante, poiché dall’alto della Croce, che noi ricordiamo ed esaltiamo proprio oggi, ci è rivelato dalla bocca stessa di Gesù che sua Madre è nostra Madre. In quanto figli e figlie di Maria, possiamo trarre profitto di tutte le grazie che sono state fatte a lei, e la dignità incomparabile che le procura il privilegio dell’Immacolata Concezione ricade su di noi, suoi figli.
Qui, vicino alla grotta, e in comunione particolare con tutti i pellegrini presenti nei santuari mariani e con tutti i malati nel corpo e nell’anima che cercano conforto, benediciamo il Signore per la presenza di Maria in mezzo al suo popolo e a lei indirizziamo con fede la nostra preghiera:
"Santa Maria, tu che qui ti sei mostrata centocinquant’anni fa alla giovane Bernadette, tu sei veramente "di speranza fontana vivace" (Dante, Par., XXXIII, 12).
Pellegrini fiduciosi qui giunti da ogni parte, noi veniamo ancora una volta ad attingere la fede ed il conforto, la gioia e l’amore, la sicurezza e la pace, alla sorgente del tuo Cuore immacolato: "Mostra te esse Matrem!" Mostrati come Madre per tutti, o Maria! E donaci il Cristo, speranza del mondo! Amen.
Dopo l'Angelus, Benedetto XVI ha salutato i pellegrini presenti in diverse lingue.
Recensione: Massimiliano Fiorin, LA FABBRICA DEI DIVORZI - Il diritto contro la famiglia, Edizioni San Paolo, settembre 2008, ISBN 978-88-215-6313-3, pag. 304, euro 18, - Il diritto contro la famiglia
Dalla prefazione di Claudio Risè: "Dopo quasi quarant'anni dall'introduzione della legge Fortuna-Baslini, fino a che punto il divorzio ha trasformato la società italiana? Che ne è rimasto del matrimonio tradizionale, e quali sono le prospettive future della famiglia? E' anche per rispondere a queste domande che questo libro descrive la realtà delle separazioni coniugali e dell'affidamento dei figli, in Italia, nel primo decennio del XXI secolo.
Si tratta di elementi utili per un bilancio ormai non rinviabile. A giudicare, infatti, dal numero enorme dei fatti di sangue connessi alla disgregazione dei nuclei familiari, e dai malesseri gravi di cui soffrono le persone coinvolte, a cominciare dai minori, il prezzo pagato anno dopo anno per la conquista "civile" del divorzio è davvero molto alto.
Nel frattempo, in tutto il mondo occidentale, la prima generazione che ha conosciuto il divorzio di massa dei propri genitori è diventata adulta. Chi ne fa parte tende a replicare la tendenza all'instabilità familiare che ha conosciuto fin da bambino, o a evitare ogni forma di unione riconosciuta, per non ripetere quell'esperienza traumatica.
Il fenomeno occidentale dello "sciopero matrimoniale", o marriage strike, nasce proprio da questo stato d'animo. Le conseguenze di tutto ciò sia sulla natalità sia sulle angosce dei figli circa la "tenuta" della coppia genitoriale sono molto profonde, ed ancora difficili da valutare pienamente.
Così come difficile da valutare è lo stesso futuro di quella che appare, oggi, come una vera e propria società post-matrimoniale.
Nel frattempo, è necessario osservare il fenomeno in modo nuovo, senza più i pregiudizi ideologici degli anni settanta del secolo scorso, che invece sovrabbondano ancora. E' in quest'ottica (secondo lo stesso autore
"politicamente scorretta"), che il libro intende verificare la fondatezza dei luoghi comuni della società divorzista, partendo dal consiglio evangelico secondo il quale è dalla bontà dei suoi frutti che si riconosce la verità di una profezia.
Dal crollo demografico all'aumento dell'instabilità economica, dall'impoverimento dei giovani fino al dilagare dei cosiddetti "oceani di sofferenza", nelle pagine seguenti si cerca di squarciare il velo sulle vere cause di questi fattori di crisi. Finendo col suggerire l'idea che l'istituto del divorzio debba essere ripensato dalle fondamenta, prima che la società occidentale ne venga travolta.
Il libro parte dunque dall'esame di ciò che avviene ogni giorno nei Tribunali e negli studi degli avvocati, dove la "fabbrica dei divorzi" si muove secondo una logica ferrea ed univoca, da catena di montaggio. Dai fatti raccontati risulta con chiarezza quanto sia opportuno che tutti gli operatori di questo settore - avvocati, magistrati e consulenti - rivedano i loro modi di pensare e di agire.
In seguito, il discorso viene esteso all'intera cultura occidentale, alla ricerca di come e dove tutto sia iniziato. Ne risulta, soprattutto, che è il ritorno della figura del padre - segno di autorità, di stabilità, di ordine (ma anche di autentico sguardo verso il futuro) - ciò di cui la nostra società ha più profondamente bisogno.
Su un piano più strettamente giuridico, si tenta poi di rompere il tabù dell'intangibilità della legge sul divorzio, indicando modelli come il cosiddetto covenant marriage, sempre più diffuso negli Stati Uniti, per riscoprire in essi il significato più profondo del matrimonio. Da tutto ciò prende infine forma una sorta di decalogo ideale per gli operatori del diritto, utile a tutti coloro che vogliono capire meglio le conflittualità coniugali, con il quale affrontare il quotidiano in modo diverso, mediante un'opzione più consapevole in favore della funzione della famiglia.
L'autore del libro è un avvocato civilista. Pur conoscendo tutti gli aspetti del fenomeno, egli tiene a rifiutare per se stesso l'etichetta di "matrimonialista" o di "familiarista", proprio in quanto pensa che la mentalità ristretta degli specialisti che si occupano del problema dovrebbe essere profondamente rivista.
Il libro, tuttavia, non è destinata unicamente agli specialisti del diritto ed agli operatori dei servizi sociali, né ai soli esperti di psicologia della famiglia. Tutti coloro che nella loro vita sono entrati in contatto con la "fabbrica dei divorzi", per esperienze personali o di lavoro, potranno qui trovare un modo diverso di guardare ad un fenomeno che, nonostante la sua imponenza e drammaticità, per molti versi è ancora inesplorato.
Dai racconti e dalle argomentazioni del libro, appare chiaro che la realtà del divorzio ancora oggi è coperta dalla nebbia dei pregiudizi ideologici e dei luoghi comuni. Esattamente come l'iceberg al quale si avvicinavano i passeggeri che ballavano sul ponte del Titanic".
Da "La Fabbrica dei Divorzi", pagg. 275-276:
" ... le situazioni di conflitto tra coniugi esistono da quando esiste la famiglia. Cioè, dalla notte dei tempi, in ogni civiltà che sia mai sorta su questa terra, senza alcuna eccezione. Nella nostra società occidentale, così evoluta ed emancipata, oggi sarebbe possibile affrontare questi conflitti con un grado di tutela per il coniuge più debole che ancora cinquant'anni fa - quando ancora si discuteva dell'esistenza di un "diritto di correzione" del marito nei confronti della moglie - sarebbe stato inconcepibile. E invece, piuttosto che cercare un modello di società che sappia garantire in modo più avanzato l'alleanza naturale tra uomo e donna, l'Occidente divorzista ha costruito un sistema che mette i due sessi l'uno contro l'altro, esaltando le ragioni egoistiche di ciascuno.
In fondo, per chi sa osservare la realtà senza pregiudizi, basterebbe un minimo di esperienza per capire che in definitiva la gente oggi divorzia così facilmente soltanto perché può farlo. Sono ormai in pochissimi quelli che riescono a farsi aiutare, in quanto abbiano trovato qualcuno che abbia saputo indicare loro una diversa soluzione. Peraltro, ai nostri giorni sono ancora meno - in una società dove ormai da due generazioni un giovane su tre, e anche più, cresce assieme alla sola madre - quelli che hanno ricevuto fin da piccoli un'educazione di base sufficiente per saper fare famiglia, per quando nella vita dovrebbe venire il proprio turno.
Così, i luoghi comuni... si sono trasformati - non solo per gli interessati ma anche per i loro avvocati, e per tutti gli altri operatori del sistema - nei criteri di fondo che tuttora rendono assai prospera e apparentemente invincibile la fabbrica dei divorzi.
In sintesi, possiamo dire con certezza che la teoria del divorzio come male minore, nella maggior parte dei casi, rappresenta solo un falso pregiudizio per offrire un alibi alla coscienza di chi quel divorzio lo vuole, così come delle altre persone che vengono coinvolte. Però è proprio quel pregiudizio che attira milioni di persone e i loro figli nel tritacarne divorzista. Il più delle volte, senza che alcuno di essi riesca mai a incontrare, dall'inizio della crisi fino ai suoi esiti più rovinosi, qualcuno che sia in grado di offrire in modo credibile un'alternativa.
O almeno - come si diceva in precedenza - che sia in grado di dirgli qualche "no", che poi è il principio di ogni percorso educativo.
Perché, alla fin fine, si tratta solo di un problema di educazione".
Da "La Fabbrica dei Divorzi", pag. 25:
"... Da pietosa esigenza per legalizzare situazioni eccezionali, nate da matrimoni tragicamente sbagliati, il divorzio si è dunque trasformato in un diritto insindacabile della persona. Un diritto che l'autorità pubblica si sente tenuta a riconoscere e garantire - e persino favorire - nel modo più ampio possibile. Nel nuovo sistema giudiziario, "la famiglia, in definitiva, tende a porsi in funzione della persona", ha riconosciuto Cesare Massimo Bianca, autore di un trattato di diritto civile che risale agli anni '80 ed è considerato tuttora tra i più autorevoli.
In quest'ottica, la "liberazione" dell'individuo dai legami familiari è stata assecondata come un processo positivo. La visione di fondo è diventata quella del primato dell'individuo, da liberare dalla potenzialità oppressiva della famiglia tradizionale, vista come espressione di un passato autoritario.
Se quasi cinquant'anni fa il giurista Arturo Carlo Jemolo, con espressione che fece epoca, sosteneva che la famiglia è un'isola che il mare del diritto dovrebbe solo lambire, oggi invece si può ipotizzare che la prassi giuridica in tema di separazione coniugale, divorzio e affidamento dei figli minori abbia invece contribuito non poco a sommergerla".
Massimiliano Fiorin, LA FABBRICA DEI DIVORZI - Il diritto contro la famiglia, Edizioni San Paolo, settembre 2008, ISBN 978-88-215-6313-3, pag. 304, euro 18,00
Tra fede e scienza serve unità, non identità - “Le Scritture ci dicono come raggiungere il cielo, non come questo è stato creato” di Roberta Sciamplicotti
ROMA, sabato, 13 settembre 2008 (ZENIT.org).- Il rapporto tra fede e scienza deve basarsi sull'unità, non sull'identità, ha affermato questo sabato padre Rafael Martínez, docente di Filosofia della scienza presso la Pontificia Università della Santa Croce (PUSC) di Roma.
Intervenendo al Seminario Professionale per giornalisti della stampa internazionale “The Church Up Close – Covering Catholicism in the Age of Benedict XVI”, il sacerdote ha ammesso che la scienza è “una questione molto controversa”, della quale non è facile dare una visione “corretta e adeguata”.
“Come possiamo informare in modo equilibrato sul rapporto tra Chiesa e scienza?”, si è chiesto.
Secondo il sacerdote, c'è una differenza fondamentale tra le dimensioni teoretica e pratica della scienza, da cui deriva il rifiuto da parte della Chiesa di alcuni aspetti relativi alla scienza stessa.
Ciò che la Chiesa non accetta, ha spiegato, non è la scienza o una teoria scientifica in sé, quanto “un uso particolare delle possibilità tecnologiche se questo è contrario alla dignità umana”, non ritenendolo “il modo pratico corretto di risolvere un problema”.
Questo non significa ovviamente che la Chiesa sia contraria alla scienza, ma che alcune sue applicazioni non sono conformi ai suoi insegnamenti, come nel caso della contraccezione.
Per questo motivo, ha riconosciuto padre Martínez, è fondamentale conoscere esattamente ciò che la Chiesa afferma circa le varie questioni e ribadire che non c'è un tentativo di proporre una spiegazione alternativa e contraria alla scienza.
Se si prende in considerazione l'opinione corrente, infatti, sembra spesso che ci sia “un intrinseco e permanente conflitto tra scienza e religione”.
Tale posizione è quella che viene consacrata nella cosiddetta teoria conflittuale, che ha prevalso soprattutto nell'Ottocento per essere poi parzialmente sostituita, nel XX secolo, da una visione “più contestualizzata e meno radicale” nel tentativo di presentare “un'interpretazione più bilanciata del rapporto tra religione e scienza”.
In base alla “teoria armonica”, non c'è infatti conflitto tra religione e scienza, e anzi “il cristianesimo ha favorito e reso possibile la scienza stessa”.
Ad ogni modo, ha osservato il sacerdote, non bisogna incorrere nell'“errore” di “interpretare la fede cristiana come una descrizione del mondo materiale e dei processi fisici”, “una spiegazione di ciò che la scienza ancora non spiega”.
Ricordando il grande impegno di Papa Giovanni Paolo II nell'affermare che fede e scienza devono procedere in modo concorde, padre Martínez ha spiegato che “l'unità non è identità”: “la Chiesa non propone che la scienza diventi religione o viceversa”.
“Le Scritture – ha sottolineato – ci dicono come raggiungere il cielo, non come questo è stato creato”.
CONTROCORRENTE CON IL PASSO DEL PELLEGRINO - MARINA CORRADI, Avvenire, 14 settembre 2008
C’è un filo, che dalla platea di intellettuali del Collegio dei Bernardini a Parigi a Lourdes Benedetto XVI va svolgendo in Francia – in quella Francia che è cuore, e storicamente patria, dell’Europa secolarizzata.
Il filo comincia da una espressione che il Papa venerdì a Parigi ha indicato come il motore della cultura monastica alle radici dell’Occidente. I monaci medioevali, ha detto, non avevano intenzione di creare una cultura. Il loro obiettivo era semplicemente ' quaerere Deum', cercare Dio: «Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane per sempre». Non, però, ha aggiunto Benedetto, che in questa ricerca i monaci guardassero solo alla morte, o alla fine del mondo, a futuri disincarnati aldilà. Cercavano, invece, da uomini vivi, dentro la vita. «Dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo», ha detto il Papa. Dietro le apparenze, le ricchezze, il potere e perfino l’erudizione fine a se stessa, nei monasteri medioevali si tendeva a ciò che apparenza non è, a ciò che è vero.
Poi, ieri davanti ai 260 mila della Messa agli Invalides è risuonata la Prima lettera ai Corinzi, il «fuggite l’idolatria» di Paolo. «Il mondo contemporaneo non si è forse creato i propri idoli? Non ha forse imitato i pagani dell’antichità, distogliendo l’uomo dal suo vero fine, dalla felicità di vivere eternamente in Dio?», ha domandato il Papa alla folla. Indicando in quegli idoli ( eidolon, immagini, fantasmi) l’inganno che distoglie dalla realtà, per confinare l’orizzonte degli uomini nella apparenza. L’inganno antico contro cui nei monasteri medioevali si combatteva, cercando, dietro ciò che passa, ciò che eternamente rimane.
Ad ascoltare il Pontefice c’erano moltissimi ragazzi (con sorpresa delle testate laiche francesi, come 'Liberation', che venerdì aveva titolato ironica sotto la foto del Papa: «Mission impossible»). Un sacco di ragazzi, come anche la sera prima, alla veglia a Notre Dame. E per due volte in due giorni Benedetto XVI ha ripetuto la stessa esortazione: «Non abbiate paura!». Non abbiate paura a vivere il Vangelo, o a seguire una vocazione al sacerdozio che interiormente avvertite. Non abbiate paura – questa sfida già possente nelle parole di Giovanni Paolo II – a ribellarvi agli idoli che vi vengono imposti, non abbiate paura a andare contro a corrente. A cercare, dietro il provvisorio, ciò che nemmeno la morte può cancellare.
Poi, il Papa ieri sera è arrivato a Lourdes. Luogo, ha detto, «di straordinaria prossimità fra il cielo e le terra», dove ancora oggi, 150 anni dopo le apparizioni, milioni di uomini vanno pellegrini ogni anno. Dai dotti del Collegio dei Bernardini alla folla metropolitana degli Invalides, a un popolo di fedeli che magari non sa di monachesimo medioevale, e di idoli: ma semplicemente, umilmente domanda. Allungando le mani, a bagnarle alla sorgente della grotta, a bere; o accendendo, come ieri sera, le fiaccole che illuminano la sterminata processione aux flambeaux. «Questo camminare nella notte, portando la luce, dice molto di più che ogni altra parola pronunciata o intesa», ha detto Benedetto XVI. «Questo gesto riassume da solo la nostra condizione di cristiani in cammino. Abbiamo bisogno di luce e nello stesso tempo siamo chiamati a divenire luce». Immagine diventata carne, la scia lucente nella notte di Lourdes, di quel cercare nel buio e nel rumore, oltre ciò che illusoriamente si possiede. Cercare la luce, e portarla. Ciò che fu il quaerere Deum dei monaci, che quasi senza averne coscienza in questa domanda fondarono l’Europa cristiana – lasciandosi alle spalle fortune e ricchezze e ambizioni, certi che ben altro occorresse inseguire. Francia delle chiese vuote, anno 2008, dalla assemblea della intellighenzia parigina a Notre Dame, agli Ivalides, a Lourdes, dal Papa una parola: cercate ciò che è vero. Oltre gli idoli, ciò che resta per sempre.
«Io, guarita dal tumore, dono e responsabilità» - la storia: Delizia Cirolli, l’infanzia segnata dal cancro che la stava portando alla morte. Oggi ha 43 anni e tre figli La sua è una delle 67 «guarigioni inspiegabili» avvenute a Lourdes e ufficialmente riconosciute. «Ho ricevuto una grazia grande. Ma qui si viene e si torna per condividere tutto con tutti» , Avvenire 14 settembre 2008
DAL NOSTRO INVIATO A LOURDES
I l tumore che le mangiava la gamba. Data per spacciata quasi ancora prima d’iniziare a vivere. Prognosi secca, e raggelante: solo pochi mesi.
Qualcuno in più, forse, amputandole la gamba. E poi la madre che non ci sta, rifiuta, e invece la porta a Lourdes grazie a una colletta. E contro il parere dei tanti che dicono: non reggerà neppure il viaggio. Invece lo regge, andata e ritorno. Di nuovo a casa, malata come prima. Peggio di prima. La madre che non si arrende, e dà ogni giorno alla sua bambina un po’ dell’acqua della Grotta. Finché Delizia, un giorno, si alza... Sono passati trentadue anni dal quel giorno in cui Delizia Cirolli si alzò dal suo letto, da sola. E diciannove da quando, la sua, è stata ufficialmente riconosciuta come una delle 67 «guarigioni inspiegabili» avvenute a Lourdes. Oggi è una signora di 43 anni, madre di tre figli. Torna sempre qui, è un po’ casa sua, e la cosa non sorprende. Come non sorprende che non le venga facile parlare della sua storia: «In qualche modo – dice – sento di avere una responsabilità».
Ascoltandola, nella sua voce si avverte ancora lo stupore.
Lei è una testimone, è un «segno» di Lourdes. Com’è vivere da «miracolata»? Come, e quanto, questo fatto ha segnato la sua vita?
Beh, è una cosa che io cerco di vivere con molta serenità, con la massima semplicità. È chiaro che per me è una cosa molto importante, che ha influito tanto nelle mie scelte, nella mia vita... Ed è per questo che io sono alla fine molto restia a parlare di me, perché penso che devo stare anche attenta a quello che dico. Mi sento anche un po’ questa responsabilità, senza dubbio.
Lei era molto piccola quando è avvenuta la sua guarigione. Cosa ricorda?
Ero piccola, sì: avevo undici anni. Quando è successo io non me ne sono resa conto, per me è stato come se avessi avuto una febbre che poi m’è passata all’improvviso. La consapevolezza della guarigione è arrivata più tardi, nel 1980, dopo che l’Ufficio medico di Lourdes l’ha dichiarata guarigione inspiegabile, e mi hanno detto che cosa avevo avuto. Vede, io prima andavo a Lourdes, mi facevano i controlli, però non sapevo quello che mi stava succedendo. Per me erano dei controlli così, normali, ai quali mi ero ormai abituata. Una routine.
S’è mai chiesta «perché a me»?
Questa è una domanda che mi sono sempre fatta, però... penso innanzitutto che non ho niente di speciale, è un segno, è una grazia troppo grande quella che ho ricevuto. Non lo so perché «a me», non posso dare una spiegazione. Ero una bambina, penso che quello che è successo a me... Ecco, mi auguro possa succedere anche a tante altre persone. A Lourdes, oltre la guarigione fisica che io ho ricevuto, c’è anche una guarigione che si riceve ogni volta che si va là, l’esperienza di Lourdes che è molto forte, che ci arricchisce sempre, perché quando si va a Lourdes è come vivere in una grande famiglia e si condivide tutto, cioè quello che dovrebbe essere la vita di tutti i giorni. C’è la disponibilità con le altre persone, c’è l’ascolto.
Questa è la cosa più bella di Lourdes, quella che ci arricchisce tutti.
Lei ci torna spesso?
Prima ci andavo tutti gli anni, e anche dopo che mi sono sposata. Ci andavo anche con mio marito, perché è una cosa che condividiamo tutti e due, anche mio marito è barelliere, ed è una cosa che ci piace fare insieme. Poi da quando ho i bambini – ne ho tre – non ci vado tutti gli anni, ma quando possiamo ritorniamo tutti a Lourdes. L’ultima volta è stata lo scorso giugno, abbiamo fatto il pellegrinaggio dei bambini. È stato molto bello, perché credo che anche per i miei figli sia stata un’occasione di crescita.
I suoi figli che cosa sanno di lei, di «questa cosa» che è successa nella sua vita?
Sanno tutto, però anche loro la vivono con molta serenità. Cerco di non coinvolgerli troppo, di dire loro che quello che ricevuto è una cosa molto bella.
Salvatore Mazza
MEMORIA VIVA - La figura del primo presidente della Cei, morto nel 1989, ieri è stata ricordata anche con gli interventi di Ornaghi, Negri, Quagliariello, Gheda e De Bernardis - Il cardinale Siri, «profeta» nel cuore del XX secolo, Avvenire 14 settembre 2008
DAL NOSTRO INVIATO A GENOVA,
LUCIA BELLASPIGA
« U n forte senso della trascendenza di Dio, della dignità dell’uomo, e dell’appartenenza alla Chiesa, intesa come appartenenza globale, non solo giuridica, tale da investire ogni momento e ogni azione della sua vita, anche la più quotidiana » . Questa la sintesi tracciata ieri all’università di Genova dal cardinale Angelo Bagnasco chiudendo il convegno dedicato al cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo della città dal 1946 al 1987. Questi i tre «punti cardine» di un uomo da tutti definito poliedrico, al centro dei grandi avvenimenti che hanno mosso molte delle riflessioni interne alla Chiesa in quei quattro decenni ma di riflesso anche interne alla nazione e alle sue politiche. Consigliere di Pio XII, nominato primo presidente della Cei da Giovanni XXIII, per quattro volte elettore in Conclave e – usando le sue stesse parole – « per tre a rischio di uscirne come Papa » , Siri è spesso ricordato per il suo « conservatorismo » all’interno della Chiesa, per la decisa « difesa » della dottrina e dei suoi riti, per il rifiuto del nuovo che in quegli anni avanzava sotto varie forme. Una visione che – hanno sostenuto ieri le testimonianze di storici, giuristi, studiosi della Chiesa – è assai parziale. Come poco note sono tuttora le molte « aperture » di un uomo che amava sì la forma ( anche nella sua stessa persona), ma come contenitore di una sostanza che era rispetto per Dio e per gli uomini.
A Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica, è toccato tracciare un ritratto a due, una sorta di indissolubile parallelo tra Siri e padre Agostino Gemelli, fondatore e per 40 anni rettore della Cattolica: « Due testimoni autorevoli e ascoltati – ha sottolineato –, ma a volte anche temuti e contrastati » . Lettere alla mano, Ornaghi ha evidenziato la consonanza che li portò « lungo l’avventura umana e spirituale a un confronto reciproco sui grandi temi ecclesiali ma anche civili » . A entrambi stava a cuore la formazione dei giovani, a entrambi le grandi questioni della società, intorno alle quali crearono quel « crogiuolo di pensiero e di intuizioni » che furono da allora le Settimane sociali. Le loro riflessioni « sulla libertà della scuola, sui mutamenti culturali della famiglia, sul mondo del lavoro sono ancora oggi pagine di straordinario vigore e attualità » .
Della lungimiranza dell’arcivescovo di Genova ha parlato anche Luigi Negri, vescovo di San Marino- Montefeltro: « Siri già nel preparare la sua presenza al Concilio Vaticano II ha visto con largo anticipo i problemi della Chiesa e della società, intuendo tematiche come il rapporto tra il Papa e il collegio episcopale, il problema della libertà religiosa, della riforma liturgica, della dottrina sociale, del rapporto con un marxismo che in quegli anni tentava di condizionare la Chiesa stessa. Questa lungimiranza – ha aggiunto Negri – nasceva da una fede incondizionata in Dio. Un Dio di fronte al quale, diceva lui, l’uomo deve sparire. Ma sparire in Dio paradossalmente rende l’uomo capace di vedere lontano nei giudizi » .
Un concetto ribadito da Bagnasco: « Nella sua ultima omelia – ricorda il presidente della Cei –, ormai sfinito dalla malattia, ci parlò della luce di Dio, una luce che non abbaglia ma dà prospettiva e senso alle cose umane. Lui così riservato ci stava rivelando il segreto interiore del suo pellegrinaggio: quel vivere, quel respirare, quel bere, nutrirsi della luce di Dio che non impedisce di guardare il mondo – quanto lo ha fatto lui ne siamo tutti testimoni qui! – ma di abbracciarlo con tutte le sue debolezze e contraddizioni » .
Molti altri ancora gli aspetti trattati dai relatori. Paolo Gheda ( socio fondatore dell’Associazione culturale « Cardinal Siri » ) che ha avuto accesso al carteggio tra Siri e Montini, ha parlato del complesso rapporto con l’allora arcivescovo di Milano, futuro Paolo VI, sottolineando come «in svariate occasioni si sostennero, in altre è vero che si confrontarono ma come attori consapevoli di appartenere alla medesima Chiesa e di dover dare il proprio contributo di pensiero » .
Gaetano Quagliariello, presidente della fondazione « Magna Carta » , ha individuato nel Siri che si raffrontava con la politica italiana « la difesa di un patrimonio di princìpi inattingibili e non negoziabili » . Don Pino De Bernardis ha ripercorso l’immediata sintonia di posizioni con don Giussani e il nascente movimento di Cl: « In un momento storico in cui i giovani erano drammaticamente lontani dalla fede e io ero sollecitato a mandare i ragazzi in chiesa, Siri raccomandava: vivete la fede dove siete, nelle case, nelle fabbriche, nelle scuole. Se non era nuovo questo messaggio... » .
Si è chiuso ieri a Genova il convegno dedicato al porporato che guidò la città ligure per 41 anni. Bagnasco: «In ogni sua azione un autentico senso di trascendenza»
1) 14/09/2008 11:19 - Papa: a Lourdes, Maria ci mostra la Croce, segno dell’amore di Dio più forte della morte
2) Omelia del Papa a Lourdes per i 150 anni delle apparizioni della Vergine
3) 14/09/2008 11:58 - Papa: Con l’Angelus, Maria l’Immacolata è vicina a noi peccatori
4) Recensione: Massimiliano Fiorin, LA FABBRICA DEI DIVORZI - Il diritto contro la famiglia, Edizioni San Paolo, settembre 2008, ISBN 978-88-215-6313-3, pag. 304, euro 18, - Il diritto contro la famiglia
5) Tra fede e scienza serve unità, non identità - “Le Scritture ci dicono come raggiungere il cielo, non come questo è stato creato” di Roberta Sciamplicotti
6) CONTROCORRENTE CON IL PASSO DEL PELLEGRINO - MARINA CORRADI, Avvenire, 14 settembre 2008
7) «Io, guarita dal tumore, dono e responsabilità» - la storia: Delizia Cirolli, l’infanzia segnata dal cancro che la stava portando alla morte. Oggi ha 43 anni e tre figli La sua è una delle 67 «guarigioni inspiegabili» avvenute a Lourdes e ufficialmente riconosciute. «Ho ricevuto una grazia grande. Ma qui si viene e si torna per condividere tutto con tutti» , Avvenire 14 settembre 2008
8) MEMORIA VIVA - La figura del primo presidente della Cei, morto nel 1989, ieri è stata ricordata anche con gli interventi di Ornaghi, Negri, Quagliariello, Gheda e De Bernardis - Il cardinale Siri, «profeta» nel cuore del XX secolo, Avvenire 14 settembre 2008
14/09/2008 11:19 - Papa: a Lourdes, Maria ci mostra la Croce, segno dell’amore di Dio più forte della morte
Alla messa per il Giubileo delle apparizioni, Benedetto svolge la “catechesi” di Lourdes: scoprire “un cammino di fede e di conversione” che porta dalla scoperta della Croce come segno di salvezza, alla chiamata di Dio, alla missione. Appello ai giovani per la loro vocazione al matrimonio o alla vita religiosa. Il ricordo della persecuzione in India e nel mondo arabo. Il testo completo dell’omelia del papa.
Lourdes (AsiaNews) – La croce, il “patibolo” su cui Gesù è morto per gli uomini “è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza”. Nel celebrare la messa per i 150 anni delle apparizioni della Vergine a Lourdes, Benedetto XVI ha svolto una “catechesi” su questo santuario visitato ogni anno da oltre 6 milioni di pellegrini. Andare a Lourdes è come mettersi “sulle orme di Bernadette”, entrando “in un cammino di fede e di conversione. Oggi Maria viene incontro a noi per indicarci le vie d’un rinnovamento della vita delle nostre comunità e di ciascuno di noi”.
Davanti a oltre 200 mila pellegrini, venuti da tutto il mondo, il papa mostra le tappe di questa catechesi: la “fierezza” con cui guardare la Croce, “sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace”; il “vigore nuovo, in cui la Chiesa può fortificarsi per proclamare con sempre maggior audacia il mistero di Cristo”; la missione universale dei cristiani e della Chiesa, “inviata dappertutto nel mondo per proclamare quest’unico messaggio ed invitare gli uomini ad accoglierlo mediante un’autentica conversione del cuore”; la povertà e debolezza della nostra umanità (come quella di Bernadette “la maggiore di una famiglia molto povera, che non possiede né sapere né potere, è debole di salute”), scelta da Dio per portare frutti e scoprire la vera libertà, come è avvenuto per Maria: “Rimettersi completamente a Dio è trovare il cammino della libertà vera. Perché volgendosi a Dio, l’uomo diventa se stesso. Ritrova la sua vocazione originaria di persona creata a sua immagine e somiglianza”.
Il pontefice è preoccupato che si scopra vera “vocazione” di Lourdes, che è la preghiera anche di fronte alle emergenze che richiedono azioni: “Cari fratelli e sorelle, la vocazione primaria del santuario di Lourdes è di essere un luogo di incontro con Dio nella preghiera, e un luogo di servizio ai fratelli, soprattutto per l’accoglienza dei malati, dei poveri e di tutte le persone che soffrono. In questo luogo Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. "Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione" (Enc. Deus caritas est, n. 36). Lasciarsi assorbire dalle attività rischia di far perdere alla preghiera la sua specificità cristiana e la sua vera efficacia. La preghiera del Rosario, così cara a Bernadette e ai pellegrini di Lourdes, concentra in sé la profondità del messaggio evangelico. Ci introduce alla contemplazione del volto di Cristo. In questa preghiera degli umili noi possiamo attingere grazie abbondanti”.
L’altra preoccupazione del papa è per i giovani: “Maria vuole dirvi ancora che nessuno di voi è indifferente per Dio. Egli posa il suo sguardo amoroso su ciascuno di voi e vi chiama ad una vita felice e piena di senso. Non lasciatevi scoraggiare davanti alle difficoltà! Maria fu turbata all’annuncio dell’angelo venuto a dirle che sarebbe diventata la Madre del Salvatore. Essa sentiva quanto era debole di fronte alla onnipotenza di Dio. Tuttavia disse "sì" senza esitare. Grazie al suo "sì" la salvezza è entrata nel mondo, cambiando così la storia dell’umanità. A vostra volta, cari giovani, non abbiate paura di dire "sì" alle chiamate del Signore, quando Egli vi invita a seguirlo. Rispondete generosamente al Signore! Egli solo può appagare le aspirazioni più profonde del vostro cuore”.
Benedetto XVI si rivolge ai giovani “chiamati al matrimonio”, perché scoprano “la bellezza di un amore vero e profondo, vissuto come dono reciproco e fedele”; ai giovani chiamati da Cristo a “seguirlo nella vocazione sacerdotale o religiosa”, perché scoprano “tutta la felicità che vi è nel donare totalmente la propria vita a servizio di Dio e degli uomini”; alle “le famiglie e le comunità cristiane”, perché siano “ luoghi nei quali possano nascere e maturare solide vocazioni a servizio della Chiesa e del mondo”.
A tutti indica Maria come “Stella della Speranza”: “Sulle strade delle nostre vite, così spesso buie, lei è una luce di speranza che ci rischiara e ci orienta nel nostro cammino. Mediante il suo ‘sì’, mediante il dono generoso di se stessa, ha aperto a Dio le porte del nostro mondo e della nostra storia. E ci invita a vivere come lei in una speranza invincibile, rifiutando di ascoltare coloro che pretendono che noi siamo prigionieri del fato. Essa ci accompagna con la sua presenza materna in mezzo agli avvenimenti della vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni”.
Quasi a commento di questa speranza che brilla nei luoghi oscuri della storia, durante la preghiera universale si è pregato per l’India, dove è in corso un pogrom contro i cristiani in Orissa e in altre aree del Paese; per il mondo arabo; per i malati in Africa. Nell’omelia il papa aveva ricordato il dramma della persecuzione e del dolore di tanti cristiani: “Gesù ha preso su di sé il peso di tutte le sofferenze e le ingiustizie della nostra umanità. Egli ha portato le umiliazioni e le discriminazioni, le torture subite in tante regioni del mondo da innumerevoli nostri fratelli e nostre sorelle per amore di Cristo. Noi li affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, presente ai piedi della Croce”.
Omelia del Papa a Lourdes per i 150 anni delle apparizioni della Vergine
LOURDES, domenica, 14 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubbichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI questa domenica mattina, Festa dell'Esaltazione della Santa Croce, nel presiedere a Lourdes la Santa Messa per il 150° anniversario delle apparizioni della Vergine.
* * *
Signori Cardinali, caro Mons. Perrier.
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio.
Cari pellegrini, fratelli e sorelle,
“Andate a dire ai sacerdoti che si venga qui in processione e che si costruisca una cappella”. È il messaggio che Bernadette ricevette dalla “bella Signora” nell’apparizione del 2 marzo 1858. Da 150 anni i pellegrini non hanno mai cessato di venire alla grotta di Massabielle per ascoltare il messaggio di conversione e di speranza che è loro rivolto. Ed anche noi, eccoci qui stamane ai piedi di Maria, la Vergine Immacolata, per metterci alla sua scuola con la piccola Bernadette. Ringrazio in modo particolare Mons. Jacques Perrier, Vescovo di Tarbes e Lourdes, per la calorosa accoglienza che mi ha riservato e per le parole gentili che mi ha rivolto. Saluto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose, così come tutti voi, cari pellegrini di Lourdes, in special modo i malati. Siete venuti in grande numero a compiere questo pellegrinaggio giubilare con me e ad affidare le vostre famiglie, i vostri parenti ed amici, e tutte le vostre intenzioni a Nostra Signora. La mia riconoscenza va anche alle Autorità civili e militari, che hanno voluto essere presenti a questa Celebrazione eucaristica.
“Quale mirabile cosa è mai il possedere la Croce! Chi la possiede, possiede un tesoro! (Sant’Andrea di Creta, Omelia X per l’Esaltazione della Croce: PG 97, 1020). In questo giorno in cui la liturgia della Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della santa Croce, il Vangelo che avete appena inteso ci ricorda il significato di questo grande mistero: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché gli uomini siano salvati (cfr Gv 3,16). Il Figlio di Dio s’è reso vulnerabile, prendendo la condizione di servo, obbedendo fino alla morte e alla morte di croce /cfr Fil 2,8). E’ per la sua Croce che siamo salvati. Lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace. “Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!” diceva sant’Agostino (Tract. in Johan.,XII,11). Sollevando gli occhi verso il Crocifisso, adoriamo Colui che è venuto per prendere su di sé il peccato del mondo e donarci la vita eterna. E la Chiesa ci invita ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini, per noi uomini. Essa ci invita a rendere grazie a Dio, perché da un albero che aveva portato la morte è scaturita nuovamente la vita. È su questo legno che Gesù ci rivela la sua sovrana maestà, ci rivela che Egli è esaltato nella gloria. Sì, “Venite, adoriamolo!”.
In mezzo a noi si trova Colui che ci ha amati fino a donare la sua vita per noi, Colui che invita ogni essere umano ad avvicinarsi a Lui con fiducia. E’ questo grande mistero che Maria ci affida anche stamane, invitandoci a volgerci verso il Figlio suo. In effetti, è significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza. La Chiesa ha ricevuto la missione di mostrare a tutti questo viso di un Dio che ama, manifestato in Gesù Cristo. Sapremo noi comprendere che nel Crocifisso del Golgota è la nostra dignità di figli di Dio, offuscata dal peccato, che ci è resa? Volgiamo i nostri sguardi verso il Cristo. È Lui che ci renderà liberi per amare come Egli ci ama e per costruire un mondo riconciliato. Perché, su questa Croce, Gesù ha preso su di sé il peso di tutte le sofferenze e le ingiustizie della nostra umanità. Egli ha portato le umiliazioni e le discriminazioni, le torture subite in tante regioni del mondo da innumerevoli nostri fratelli e nostre sorelle per amore di Cristo. Noi li affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, presente ai piedi della Croce.
Per accogliere nelle nostre vite questa Croce gloriosa, la celebrazione del Giubileo delle apparizioni di Nostra Signora di Lourdes ci fa entrare in un cammino di fede e di conversione. Oggi Maria viene incontro a noi per indicarci le vie d’un rinnovamento della vita delle nostre comunità e di ciascuno di noi. Accogliendo il Figlio suo, che Ella ci presenta, siamo immersi in una sorgente viva in cui la fede può ritrovare un vigore nuovo, in cui la Chiesa può fortificarsi per proclamare con sempre maggior audacia il mistero di Cristo. Gesù, nato da Maria, è Figlio di Dio, unico salvatore di tutti gli uomini, che vive ed agisce nella sua Chiesa e nel mondo. La Chiesa è inviata dappertutto nel mondo per proclamare quest’unico messaggio ed invitare gli uomini ad accoglierlo mediante un’autentica conversione del cuore. Questa missione, che è stata affidata da Gesù ai suoi discepoli, riceve qui, in occasione di questo Giubileo, un soffio nuovo. Che al seguito dei grandi evangelizzatori del vostro Paese, lo spirito missionario, che ha animato tanti uomini e donne di Francia nel corso dei secoli, sia ancora la vostra fierezza e il vostro impegno!
Seguendo il percorso giubilare sulle orme di Bernadette, l’essenziale del messaggio di Lourdes ci è ricordato. Bernadette è la maggiore di una famiglia molto povera, che non possiede né sapere né potere, è debole di salute. Maria la sceglie per trasmettere il suo messaggio di conversione, di preghiera e di penitenza, in piena sintonia con la parola di Gesù: “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Nel loro cammino spirituale i cristiani sono chiamati essi pure a far fruttificare la grazia del loro Battesimo, a nutrirsi di Eucaristia, ad attingere nella preghiera la forza per testimoniare ed essere solidali con tutti i loro fratelli in umanità (cfr Omaggio alla Vergine Maria, Piazza di Spagna, 8 dicembre 2007). E’ dunque una vera catechesi che ci è proposta sotto lo sguardo di Maria. Lasciamo che la Vergine istruisca pure noi e ci guidi sul cammino che conduce al Regno del Figlio suo! Proseguendo nella sua catechesi la “bella Signora” rivela il suo nome a Bernadette: “Io sono l’Immacolata Concezione”.
Maria le rivela così la grazia straordinaria che ha ricevuto da Dio, quella di essere stata concepita senza peccato, perché “ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48). Maria è questa donna della nostra terra che s’è rimessa interamente a Dio e ha ricevuto da Lui il privilegio di dare la vita umana al suo eterno Figlio. “Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Essa è la bellezza trasfigurata, l’immagine dell’umanità nuova. Presentandosi così in una dipendenza totale da Dio, Maria esprime in realtà un atteggiamento di piena libertà, fondata sul pieno riconoscimento della sua vera dignità. Questo privilegio riguarda anche noi, perché ci svela la nostra dignità di uomini e di donne, segnati certo dal peccato, ma salvati nella speranza, una speranza che ci consente di affrontare la nostra vita quotidiana. E’ la strada che Maria apre anche all’uomo. Rimettersi completamente a Dio è trovare il cammino della libertà vera. Perché volgendosi a Dio, l’uomo diventa se stesso. Ritrova la sua vocazione originaria di persona creata a sua immagine e somiglianza.
Cari fratelli e sorelle, la vocazione primaria del santuario di Lourdes è di essere un luogo di incontro con Dio nella preghiera, e un luogo di servizio ai fratelli, soprattutto per l’accoglienza dei malati, dei poveri e di tutte le persone che soffrono. In questo luogo Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. “Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione” (Enc. Deus caritas est, n. 36). Lasciarsi assorbire dalle attività rischia di far perdere alla preghiera la sua specificità cristiana e la sua vera efficacia. La preghiera del Rosario, così cara a Bernadette e ai pellegrini di Lourdes, concentra in sé la profondità del messaggio evangelico. Ci introduce alla contemplazione del volto di Cristo. In questa preghiera degli umili noi possiamo attingere grazie abbondanti.
La presenza dei giovani a Lourdes è anche una realtà importante. Cari amici, qui presenti stamattina intorno alla Croce della Giornata Mondiale della Gioventù, quando Maria ricevette la visita dell’Angelo, era una giovane ragazza di Nazaret che conduceva la vita semplice e coraggiosa delle donne del suo villaggio. E se lo sguardo di Dio si posò in modo particolare su di lei, fidandosi di lei, Maria vuole dirvi ancora che nessuno di voi è indifferente per Dio. Egli posa il suo sguardo amoroso su ciascuno di voi e vi chiama ad una vita felice e piena di senso. Non lasciatevi scoraggiare davanti alle difficoltà! Maria fu turbata all’annuncio dell’angelo venuto a dirle che sarebbe diventata la Madre del Salvatore. Essa sentiva quanto era debole di fronte alla onnipotenza di Dio. Tuttavia disse “sì” senza esitare. Grazie al suo “sì” la salvezza è entrata nel mondo, cambiando così la storia dell’umanità. A vostra volta, cari giovani, non abbiate paura di dire “sì” alle chiamate del Signore, quando Egli vi invita a seguirlo. Rispondete generosamente al Signore!
Egli solo può appagare le aspirazioni più profonde del vostro cuore. Siete in molti a venire a Lourdes per un servizio attento e generoso accanto ai malati o ad altri pellegrini, mettendovi così sulle orme di Cristo servo. Il servizio reso ai fratelli e alle sorelle apre il cuore e rende disponibili. Nel silenzio della preghiera, sia Maria la vostra confidente, lei che ha saputo parlare a Bernadette rispettandola e fidandosi di lei. Maria aiuti coloro che sono chiamati al matrimonio a scoprire la bellezza di un amore vero e profondo, vissuto come dono reciproco e fedele! A coloro tra voi che Egli chiama a seguirlo nella vocazione sacerdotale o religiosa, vorrei ridire tutta la felicità che vi è nel donare totalmente la propria vita a servizio di Dio e degli uomini. Siano le famiglie e le comunità cristiane luoghi nei quali possano nascere e maturare solide vocazioni a servizio della Chiesa e del mondo!
Il messaggio di Maria è un messaggio di speranza per tutti gli uomini e per tutte le donne del nostro tempo, di qualunque Paese siano. Amo invocare Maria come Stella della speranza (Enc. Spe salvi, n.50). Sulle strade delle nostre vite, così spesso buie, lei è una luce di speranza che ci rischiara e ci orienta nel nostro cammino. Mediante il suo “sì”, mediante il dono generoso di se stessa, ha aperto a Dio le porte del nostro mondo e della nostra storia. E ci invita a vivere come lei in una speranza invincibile, rifiutando di ascoltare coloro che pretendono che noi siamo prigionieri del fato. Essa ci accompagna con la sua presenza materna in mezzo agli avvenimenti della vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni. Felici gli uomini e le donne che ripongono la loro fiducia in Colui che, nel momento di offrire la sua vita per la nostra salvezza, ci ha donato sua Madre perché fosse nostra Madre! Cari fratelli e sorelle, in questa terra di Francia, la Madre del Signore è venerata in innumerevoli santuari, che manifestano così la fede trasmessa di generazione in generazione. Celebrata nella sua Assunzione, essa è la Patrona amata del vostro Paese. Sia sempre onorata con fervore in ciascuna della vostra famiglie, nelle vostre comunità religiose e nelle parrocchie! Vegli Maria su tutti gli abitanti del vostro bel Paese e sui pellegrini venuti numerosi da altri Paesi per celebrare questo Giubileo! Sia per tutti la Madre che circonda d’attenzione i suoi figli nelle gioie come nelle prove! Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, insegnaci a credere, a sperare e ad amare con te. Indicaci la via verso il regno del tuo Figlio Gesù! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino! (cfr Enc. Spe salvi, n.50). Amen.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
14/09/2008 11:58 - Papa: Con l’Angelus, Maria l’Immacolata è vicina a noi peccatori
Continuando la “catechesi” di Lourdes, Benedetto XVI spiega il valore della preghiera quotidiana dell’Angelus e spinge tutti “peccatori e deboli” alla fiducia sincera, “senza orpelli e nella verità”, verso Maria, “di speranza fontana vivace”.
Ecco il testo completo della riflessione di Benedetto XVI prima dell’Angelus a Lourdes:
Cari pellegrini, cari fratelli e sorelle!
Ogni giorno, la preghiera dell’Angelus ci offre la possibilità di riflettere qualche istante, in mezzo alle nostre attività, sul mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. A mezzogiorno, quando le prime ore del giorno cominciano a far gravare su di noi il loro peso di fatica, la nostra disponibilità e la nostra generosità sono rinnovate dalla contemplazione del "sì" di Maria. Questo "sì" limpido e senza riserve si radica nel mistero della libertà di Maria, libertà piena ed integra davanti a Dio, svincolata da ogni complicità col peccato, grazie al privilegio della sua Immacolata Concezione.
Questo privilegio concesso a Maria, che la distingue dalla nostra comune condizione, non l’allontana, ma al contrario la avvicina a noi. Mentre il peccato divide, ci allontana gli uni dagli altri, la purezza di Maria la rende infinitamente prossima ai nostri cuori, attenta a ciascuno di noi e desiderosa del nostro vero bene. Potete vederlo qui a Lourdes, come in tutti i Santuari mariani, folle immense accorrono ai piedi di Maria per confidarle ciò che ciascuno ha di più intimo, ciò che a ciascuno sta particolarmente a cuore. Ciò che molti, per imbarazzo o per pudore, non osano a volte confidare neppure ai loro intimi, lo confidano a Colei che è la Tutta pura, al suo Cuore immacolato: con semplicità, senza orpelli, nella verità. Davanti a Maria, in virtù proprio della sua purezza, l’uomo non esita a mostrarsi nella sua debolezza, a consegnare le sue domande e i suoi dubbi, a formulare le sue speranze e i suoi desideri più segreti. L’amore materno della Vergine Maria disarma ogni forma d’orgoglio; rende l’uomo capace di guardarsi quale egli è e gli ispira il desiderio di convertirsi per dare gloria a Dio.
Maria ci mostra così la giusta maniera di avanzare verso il Signore. Ci insegna ad avvicinarci a Lui nella verità e nella semplicità. Grazie a lei, scopriamo che la fede cristiana non è un peso, ma è come un’ala che ci permette di volare più in alto per rifugiarci tra le braccia del Signore.
La vita e la fede del popolo credente rivelano che il privilegio dell’Immacolata Concezione fatto a Maria non è una grazia solo personale, ma per tutti, una grazia fatta all’intero Popolo di Dio. In Maria la Chiesa può già contemplare ciò che essa è chiamata a divenire. In lei ogni credente può fin d’ora contemplare il compimento perfetto della sua personale vocazione. Possa ciascuno di noi rimanere sempre in azione di grazie per ciò che il Signore ha voluto rivelare del suo piano di salvezza attraverso il mistero di Maria. Mistero nel quale siamo implicati nel modo più toccante, poiché dall’alto della Croce, che noi ricordiamo ed esaltiamo proprio oggi, ci è rivelato dalla bocca stessa di Gesù che sua Madre è nostra Madre. In quanto figli e figlie di Maria, possiamo trarre profitto di tutte le grazie che sono state fatte a lei, e la dignità incomparabile che le procura il privilegio dell’Immacolata Concezione ricade su di noi, suoi figli.
Qui, vicino alla grotta, e in comunione particolare con tutti i pellegrini presenti nei santuari mariani e con tutti i malati nel corpo e nell’anima che cercano conforto, benediciamo il Signore per la presenza di Maria in mezzo al suo popolo e a lei indirizziamo con fede la nostra preghiera:
"Santa Maria, tu che qui ti sei mostrata centocinquant’anni fa alla giovane Bernadette, tu sei veramente "di speranza fontana vivace" (Dante, Par., XXXIII, 12).
Pellegrini fiduciosi qui giunti da ogni parte, noi veniamo ancora una volta ad attingere la fede ed il conforto, la gioia e l’amore, la sicurezza e la pace, alla sorgente del tuo Cuore immacolato: "Mostra te esse Matrem!" Mostrati come Madre per tutti, o Maria! E donaci il Cristo, speranza del mondo! Amen.
Dopo l'Angelus, Benedetto XVI ha salutato i pellegrini presenti in diverse lingue.
Recensione: Massimiliano Fiorin, LA FABBRICA DEI DIVORZI - Il diritto contro la famiglia, Edizioni San Paolo, settembre 2008, ISBN 978-88-215-6313-3, pag. 304, euro 18, - Il diritto contro la famiglia
Dalla prefazione di Claudio Risè: "Dopo quasi quarant'anni dall'introduzione della legge Fortuna-Baslini, fino a che punto il divorzio ha trasformato la società italiana? Che ne è rimasto del matrimonio tradizionale, e quali sono le prospettive future della famiglia? E' anche per rispondere a queste domande che questo libro descrive la realtà delle separazioni coniugali e dell'affidamento dei figli, in Italia, nel primo decennio del XXI secolo.
Si tratta di elementi utili per un bilancio ormai non rinviabile. A giudicare, infatti, dal numero enorme dei fatti di sangue connessi alla disgregazione dei nuclei familiari, e dai malesseri gravi di cui soffrono le persone coinvolte, a cominciare dai minori, il prezzo pagato anno dopo anno per la conquista "civile" del divorzio è davvero molto alto.
Nel frattempo, in tutto il mondo occidentale, la prima generazione che ha conosciuto il divorzio di massa dei propri genitori è diventata adulta. Chi ne fa parte tende a replicare la tendenza all'instabilità familiare che ha conosciuto fin da bambino, o a evitare ogni forma di unione riconosciuta, per non ripetere quell'esperienza traumatica.
Il fenomeno occidentale dello "sciopero matrimoniale", o marriage strike, nasce proprio da questo stato d'animo. Le conseguenze di tutto ciò sia sulla natalità sia sulle angosce dei figli circa la "tenuta" della coppia genitoriale sono molto profonde, ed ancora difficili da valutare pienamente.
Così come difficile da valutare è lo stesso futuro di quella che appare, oggi, come una vera e propria società post-matrimoniale.
Nel frattempo, è necessario osservare il fenomeno in modo nuovo, senza più i pregiudizi ideologici degli anni settanta del secolo scorso, che invece sovrabbondano ancora. E' in quest'ottica (secondo lo stesso autore
"politicamente scorretta"), che il libro intende verificare la fondatezza dei luoghi comuni della società divorzista, partendo dal consiglio evangelico secondo il quale è dalla bontà dei suoi frutti che si riconosce la verità di una profezia.
Dal crollo demografico all'aumento dell'instabilità economica, dall'impoverimento dei giovani fino al dilagare dei cosiddetti "oceani di sofferenza", nelle pagine seguenti si cerca di squarciare il velo sulle vere cause di questi fattori di crisi. Finendo col suggerire l'idea che l'istituto del divorzio debba essere ripensato dalle fondamenta, prima che la società occidentale ne venga travolta.
Il libro parte dunque dall'esame di ciò che avviene ogni giorno nei Tribunali e negli studi degli avvocati, dove la "fabbrica dei divorzi" si muove secondo una logica ferrea ed univoca, da catena di montaggio. Dai fatti raccontati risulta con chiarezza quanto sia opportuno che tutti gli operatori di questo settore - avvocati, magistrati e consulenti - rivedano i loro modi di pensare e di agire.
In seguito, il discorso viene esteso all'intera cultura occidentale, alla ricerca di come e dove tutto sia iniziato. Ne risulta, soprattutto, che è il ritorno della figura del padre - segno di autorità, di stabilità, di ordine (ma anche di autentico sguardo verso il futuro) - ciò di cui la nostra società ha più profondamente bisogno.
Su un piano più strettamente giuridico, si tenta poi di rompere il tabù dell'intangibilità della legge sul divorzio, indicando modelli come il cosiddetto covenant marriage, sempre più diffuso negli Stati Uniti, per riscoprire in essi il significato più profondo del matrimonio. Da tutto ciò prende infine forma una sorta di decalogo ideale per gli operatori del diritto, utile a tutti coloro che vogliono capire meglio le conflittualità coniugali, con il quale affrontare il quotidiano in modo diverso, mediante un'opzione più consapevole in favore della funzione della famiglia.
L'autore del libro è un avvocato civilista. Pur conoscendo tutti gli aspetti del fenomeno, egli tiene a rifiutare per se stesso l'etichetta di "matrimonialista" o di "familiarista", proprio in quanto pensa che la mentalità ristretta degli specialisti che si occupano del problema dovrebbe essere profondamente rivista.
Il libro, tuttavia, non è destinata unicamente agli specialisti del diritto ed agli operatori dei servizi sociali, né ai soli esperti di psicologia della famiglia. Tutti coloro che nella loro vita sono entrati in contatto con la "fabbrica dei divorzi", per esperienze personali o di lavoro, potranno qui trovare un modo diverso di guardare ad un fenomeno che, nonostante la sua imponenza e drammaticità, per molti versi è ancora inesplorato.
Dai racconti e dalle argomentazioni del libro, appare chiaro che la realtà del divorzio ancora oggi è coperta dalla nebbia dei pregiudizi ideologici e dei luoghi comuni. Esattamente come l'iceberg al quale si avvicinavano i passeggeri che ballavano sul ponte del Titanic".
Da "La Fabbrica dei Divorzi", pagg. 275-276:
" ... le situazioni di conflitto tra coniugi esistono da quando esiste la famiglia. Cioè, dalla notte dei tempi, in ogni civiltà che sia mai sorta su questa terra, senza alcuna eccezione. Nella nostra società occidentale, così evoluta ed emancipata, oggi sarebbe possibile affrontare questi conflitti con un grado di tutela per il coniuge più debole che ancora cinquant'anni fa - quando ancora si discuteva dell'esistenza di un "diritto di correzione" del marito nei confronti della moglie - sarebbe stato inconcepibile. E invece, piuttosto che cercare un modello di società che sappia garantire in modo più avanzato l'alleanza naturale tra uomo e donna, l'Occidente divorzista ha costruito un sistema che mette i due sessi l'uno contro l'altro, esaltando le ragioni egoistiche di ciascuno.
In fondo, per chi sa osservare la realtà senza pregiudizi, basterebbe un minimo di esperienza per capire che in definitiva la gente oggi divorzia così facilmente soltanto perché può farlo. Sono ormai in pochissimi quelli che riescono a farsi aiutare, in quanto abbiano trovato qualcuno che abbia saputo indicare loro una diversa soluzione. Peraltro, ai nostri giorni sono ancora meno - in una società dove ormai da due generazioni un giovane su tre, e anche più, cresce assieme alla sola madre - quelli che hanno ricevuto fin da piccoli un'educazione di base sufficiente per saper fare famiglia, per quando nella vita dovrebbe venire il proprio turno.
Così, i luoghi comuni... si sono trasformati - non solo per gli interessati ma anche per i loro avvocati, e per tutti gli altri operatori del sistema - nei criteri di fondo che tuttora rendono assai prospera e apparentemente invincibile la fabbrica dei divorzi.
In sintesi, possiamo dire con certezza che la teoria del divorzio come male minore, nella maggior parte dei casi, rappresenta solo un falso pregiudizio per offrire un alibi alla coscienza di chi quel divorzio lo vuole, così come delle altre persone che vengono coinvolte. Però è proprio quel pregiudizio che attira milioni di persone e i loro figli nel tritacarne divorzista. Il più delle volte, senza che alcuno di essi riesca mai a incontrare, dall'inizio della crisi fino ai suoi esiti più rovinosi, qualcuno che sia in grado di offrire in modo credibile un'alternativa.
O almeno - come si diceva in precedenza - che sia in grado di dirgli qualche "no", che poi è il principio di ogni percorso educativo.
Perché, alla fin fine, si tratta solo di un problema di educazione".
Da "La Fabbrica dei Divorzi", pag. 25:
"... Da pietosa esigenza per legalizzare situazioni eccezionali, nate da matrimoni tragicamente sbagliati, il divorzio si è dunque trasformato in un diritto insindacabile della persona. Un diritto che l'autorità pubblica si sente tenuta a riconoscere e garantire - e persino favorire - nel modo più ampio possibile. Nel nuovo sistema giudiziario, "la famiglia, in definitiva, tende a porsi in funzione della persona", ha riconosciuto Cesare Massimo Bianca, autore di un trattato di diritto civile che risale agli anni '80 ed è considerato tuttora tra i più autorevoli.
In quest'ottica, la "liberazione" dell'individuo dai legami familiari è stata assecondata come un processo positivo. La visione di fondo è diventata quella del primato dell'individuo, da liberare dalla potenzialità oppressiva della famiglia tradizionale, vista come espressione di un passato autoritario.
Se quasi cinquant'anni fa il giurista Arturo Carlo Jemolo, con espressione che fece epoca, sosteneva che la famiglia è un'isola che il mare del diritto dovrebbe solo lambire, oggi invece si può ipotizzare che la prassi giuridica in tema di separazione coniugale, divorzio e affidamento dei figli minori abbia invece contribuito non poco a sommergerla".
Massimiliano Fiorin, LA FABBRICA DEI DIVORZI - Il diritto contro la famiglia, Edizioni San Paolo, settembre 2008, ISBN 978-88-215-6313-3, pag. 304, euro 18,00
Tra fede e scienza serve unità, non identità - “Le Scritture ci dicono come raggiungere il cielo, non come questo è stato creato” di Roberta Sciamplicotti
ROMA, sabato, 13 settembre 2008 (ZENIT.org).- Il rapporto tra fede e scienza deve basarsi sull'unità, non sull'identità, ha affermato questo sabato padre Rafael Martínez, docente di Filosofia della scienza presso la Pontificia Università della Santa Croce (PUSC) di Roma.
Intervenendo al Seminario Professionale per giornalisti della stampa internazionale “The Church Up Close – Covering Catholicism in the Age of Benedict XVI”, il sacerdote ha ammesso che la scienza è “una questione molto controversa”, della quale non è facile dare una visione “corretta e adeguata”.
“Come possiamo informare in modo equilibrato sul rapporto tra Chiesa e scienza?”, si è chiesto.
Secondo il sacerdote, c'è una differenza fondamentale tra le dimensioni teoretica e pratica della scienza, da cui deriva il rifiuto da parte della Chiesa di alcuni aspetti relativi alla scienza stessa.
Ciò che la Chiesa non accetta, ha spiegato, non è la scienza o una teoria scientifica in sé, quanto “un uso particolare delle possibilità tecnologiche se questo è contrario alla dignità umana”, non ritenendolo “il modo pratico corretto di risolvere un problema”.
Questo non significa ovviamente che la Chiesa sia contraria alla scienza, ma che alcune sue applicazioni non sono conformi ai suoi insegnamenti, come nel caso della contraccezione.
Per questo motivo, ha riconosciuto padre Martínez, è fondamentale conoscere esattamente ciò che la Chiesa afferma circa le varie questioni e ribadire che non c'è un tentativo di proporre una spiegazione alternativa e contraria alla scienza.
Se si prende in considerazione l'opinione corrente, infatti, sembra spesso che ci sia “un intrinseco e permanente conflitto tra scienza e religione”.
Tale posizione è quella che viene consacrata nella cosiddetta teoria conflittuale, che ha prevalso soprattutto nell'Ottocento per essere poi parzialmente sostituita, nel XX secolo, da una visione “più contestualizzata e meno radicale” nel tentativo di presentare “un'interpretazione più bilanciata del rapporto tra religione e scienza”.
In base alla “teoria armonica”, non c'è infatti conflitto tra religione e scienza, e anzi “il cristianesimo ha favorito e reso possibile la scienza stessa”.
Ad ogni modo, ha osservato il sacerdote, non bisogna incorrere nell'“errore” di “interpretare la fede cristiana come una descrizione del mondo materiale e dei processi fisici”, “una spiegazione di ciò che la scienza ancora non spiega”.
Ricordando il grande impegno di Papa Giovanni Paolo II nell'affermare che fede e scienza devono procedere in modo concorde, padre Martínez ha spiegato che “l'unità non è identità”: “la Chiesa non propone che la scienza diventi religione o viceversa”.
“Le Scritture – ha sottolineato – ci dicono come raggiungere il cielo, non come questo è stato creato”.
CONTROCORRENTE CON IL PASSO DEL PELLEGRINO - MARINA CORRADI, Avvenire, 14 settembre 2008
C’è un filo, che dalla platea di intellettuali del Collegio dei Bernardini a Parigi a Lourdes Benedetto XVI va svolgendo in Francia – in quella Francia che è cuore, e storicamente patria, dell’Europa secolarizzata.
Il filo comincia da una espressione che il Papa venerdì a Parigi ha indicato come il motore della cultura monastica alle radici dell’Occidente. I monaci medioevali, ha detto, non avevano intenzione di creare una cultura. Il loro obiettivo era semplicemente ' quaerere Deum', cercare Dio: «Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane per sempre». Non, però, ha aggiunto Benedetto, che in questa ricerca i monaci guardassero solo alla morte, o alla fine del mondo, a futuri disincarnati aldilà. Cercavano, invece, da uomini vivi, dentro la vita. «Dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo», ha detto il Papa. Dietro le apparenze, le ricchezze, il potere e perfino l’erudizione fine a se stessa, nei monasteri medioevali si tendeva a ciò che apparenza non è, a ciò che è vero.
Poi, ieri davanti ai 260 mila della Messa agli Invalides è risuonata la Prima lettera ai Corinzi, il «fuggite l’idolatria» di Paolo. «Il mondo contemporaneo non si è forse creato i propri idoli? Non ha forse imitato i pagani dell’antichità, distogliendo l’uomo dal suo vero fine, dalla felicità di vivere eternamente in Dio?», ha domandato il Papa alla folla. Indicando in quegli idoli ( eidolon, immagini, fantasmi) l’inganno che distoglie dalla realtà, per confinare l’orizzonte degli uomini nella apparenza. L’inganno antico contro cui nei monasteri medioevali si combatteva, cercando, dietro ciò che passa, ciò che eternamente rimane.
Ad ascoltare il Pontefice c’erano moltissimi ragazzi (con sorpresa delle testate laiche francesi, come 'Liberation', che venerdì aveva titolato ironica sotto la foto del Papa: «Mission impossible»). Un sacco di ragazzi, come anche la sera prima, alla veglia a Notre Dame. E per due volte in due giorni Benedetto XVI ha ripetuto la stessa esortazione: «Non abbiate paura!». Non abbiate paura a vivere il Vangelo, o a seguire una vocazione al sacerdozio che interiormente avvertite. Non abbiate paura – questa sfida già possente nelle parole di Giovanni Paolo II – a ribellarvi agli idoli che vi vengono imposti, non abbiate paura a andare contro a corrente. A cercare, dietro il provvisorio, ciò che nemmeno la morte può cancellare.
Poi, il Papa ieri sera è arrivato a Lourdes. Luogo, ha detto, «di straordinaria prossimità fra il cielo e le terra», dove ancora oggi, 150 anni dopo le apparizioni, milioni di uomini vanno pellegrini ogni anno. Dai dotti del Collegio dei Bernardini alla folla metropolitana degli Invalides, a un popolo di fedeli che magari non sa di monachesimo medioevale, e di idoli: ma semplicemente, umilmente domanda. Allungando le mani, a bagnarle alla sorgente della grotta, a bere; o accendendo, come ieri sera, le fiaccole che illuminano la sterminata processione aux flambeaux. «Questo camminare nella notte, portando la luce, dice molto di più che ogni altra parola pronunciata o intesa», ha detto Benedetto XVI. «Questo gesto riassume da solo la nostra condizione di cristiani in cammino. Abbiamo bisogno di luce e nello stesso tempo siamo chiamati a divenire luce». Immagine diventata carne, la scia lucente nella notte di Lourdes, di quel cercare nel buio e nel rumore, oltre ciò che illusoriamente si possiede. Cercare la luce, e portarla. Ciò che fu il quaerere Deum dei monaci, che quasi senza averne coscienza in questa domanda fondarono l’Europa cristiana – lasciandosi alle spalle fortune e ricchezze e ambizioni, certi che ben altro occorresse inseguire. Francia delle chiese vuote, anno 2008, dalla assemblea della intellighenzia parigina a Notre Dame, agli Ivalides, a Lourdes, dal Papa una parola: cercate ciò che è vero. Oltre gli idoli, ciò che resta per sempre.
«Io, guarita dal tumore, dono e responsabilità» - la storia: Delizia Cirolli, l’infanzia segnata dal cancro che la stava portando alla morte. Oggi ha 43 anni e tre figli La sua è una delle 67 «guarigioni inspiegabili» avvenute a Lourdes e ufficialmente riconosciute. «Ho ricevuto una grazia grande. Ma qui si viene e si torna per condividere tutto con tutti» , Avvenire 14 settembre 2008
DAL NOSTRO INVIATO A LOURDES
I l tumore che le mangiava la gamba. Data per spacciata quasi ancora prima d’iniziare a vivere. Prognosi secca, e raggelante: solo pochi mesi.
Qualcuno in più, forse, amputandole la gamba. E poi la madre che non ci sta, rifiuta, e invece la porta a Lourdes grazie a una colletta. E contro il parere dei tanti che dicono: non reggerà neppure il viaggio. Invece lo regge, andata e ritorno. Di nuovo a casa, malata come prima. Peggio di prima. La madre che non si arrende, e dà ogni giorno alla sua bambina un po’ dell’acqua della Grotta. Finché Delizia, un giorno, si alza... Sono passati trentadue anni dal quel giorno in cui Delizia Cirolli si alzò dal suo letto, da sola. E diciannove da quando, la sua, è stata ufficialmente riconosciuta come una delle 67 «guarigioni inspiegabili» avvenute a Lourdes. Oggi è una signora di 43 anni, madre di tre figli. Torna sempre qui, è un po’ casa sua, e la cosa non sorprende. Come non sorprende che non le venga facile parlare della sua storia: «In qualche modo – dice – sento di avere una responsabilità».
Ascoltandola, nella sua voce si avverte ancora lo stupore.
Lei è una testimone, è un «segno» di Lourdes. Com’è vivere da «miracolata»? Come, e quanto, questo fatto ha segnato la sua vita?
Beh, è una cosa che io cerco di vivere con molta serenità, con la massima semplicità. È chiaro che per me è una cosa molto importante, che ha influito tanto nelle mie scelte, nella mia vita... Ed è per questo che io sono alla fine molto restia a parlare di me, perché penso che devo stare anche attenta a quello che dico. Mi sento anche un po’ questa responsabilità, senza dubbio.
Lei era molto piccola quando è avvenuta la sua guarigione. Cosa ricorda?
Ero piccola, sì: avevo undici anni. Quando è successo io non me ne sono resa conto, per me è stato come se avessi avuto una febbre che poi m’è passata all’improvviso. La consapevolezza della guarigione è arrivata più tardi, nel 1980, dopo che l’Ufficio medico di Lourdes l’ha dichiarata guarigione inspiegabile, e mi hanno detto che cosa avevo avuto. Vede, io prima andavo a Lourdes, mi facevano i controlli, però non sapevo quello che mi stava succedendo. Per me erano dei controlli così, normali, ai quali mi ero ormai abituata. Una routine.
S’è mai chiesta «perché a me»?
Questa è una domanda che mi sono sempre fatta, però... penso innanzitutto che non ho niente di speciale, è un segno, è una grazia troppo grande quella che ho ricevuto. Non lo so perché «a me», non posso dare una spiegazione. Ero una bambina, penso che quello che è successo a me... Ecco, mi auguro possa succedere anche a tante altre persone. A Lourdes, oltre la guarigione fisica che io ho ricevuto, c’è anche una guarigione che si riceve ogni volta che si va là, l’esperienza di Lourdes che è molto forte, che ci arricchisce sempre, perché quando si va a Lourdes è come vivere in una grande famiglia e si condivide tutto, cioè quello che dovrebbe essere la vita di tutti i giorni. C’è la disponibilità con le altre persone, c’è l’ascolto.
Questa è la cosa più bella di Lourdes, quella che ci arricchisce tutti.
Lei ci torna spesso?
Prima ci andavo tutti gli anni, e anche dopo che mi sono sposata. Ci andavo anche con mio marito, perché è una cosa che condividiamo tutti e due, anche mio marito è barelliere, ed è una cosa che ci piace fare insieme. Poi da quando ho i bambini – ne ho tre – non ci vado tutti gli anni, ma quando possiamo ritorniamo tutti a Lourdes. L’ultima volta è stata lo scorso giugno, abbiamo fatto il pellegrinaggio dei bambini. È stato molto bello, perché credo che anche per i miei figli sia stata un’occasione di crescita.
I suoi figli che cosa sanno di lei, di «questa cosa» che è successa nella sua vita?
Sanno tutto, però anche loro la vivono con molta serenità. Cerco di non coinvolgerli troppo, di dire loro che quello che ricevuto è una cosa molto bella.
Salvatore Mazza
MEMORIA VIVA - La figura del primo presidente della Cei, morto nel 1989, ieri è stata ricordata anche con gli interventi di Ornaghi, Negri, Quagliariello, Gheda e De Bernardis - Il cardinale Siri, «profeta» nel cuore del XX secolo, Avvenire 14 settembre 2008
DAL NOSTRO INVIATO A GENOVA,
LUCIA BELLASPIGA
« U n forte senso della trascendenza di Dio, della dignità dell’uomo, e dell’appartenenza alla Chiesa, intesa come appartenenza globale, non solo giuridica, tale da investire ogni momento e ogni azione della sua vita, anche la più quotidiana » . Questa la sintesi tracciata ieri all’università di Genova dal cardinale Angelo Bagnasco chiudendo il convegno dedicato al cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo della città dal 1946 al 1987. Questi i tre «punti cardine» di un uomo da tutti definito poliedrico, al centro dei grandi avvenimenti che hanno mosso molte delle riflessioni interne alla Chiesa in quei quattro decenni ma di riflesso anche interne alla nazione e alle sue politiche. Consigliere di Pio XII, nominato primo presidente della Cei da Giovanni XXIII, per quattro volte elettore in Conclave e – usando le sue stesse parole – « per tre a rischio di uscirne come Papa » , Siri è spesso ricordato per il suo « conservatorismo » all’interno della Chiesa, per la decisa « difesa » della dottrina e dei suoi riti, per il rifiuto del nuovo che in quegli anni avanzava sotto varie forme. Una visione che – hanno sostenuto ieri le testimonianze di storici, giuristi, studiosi della Chiesa – è assai parziale. Come poco note sono tuttora le molte « aperture » di un uomo che amava sì la forma ( anche nella sua stessa persona), ma come contenitore di una sostanza che era rispetto per Dio e per gli uomini.
A Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica, è toccato tracciare un ritratto a due, una sorta di indissolubile parallelo tra Siri e padre Agostino Gemelli, fondatore e per 40 anni rettore della Cattolica: « Due testimoni autorevoli e ascoltati – ha sottolineato –, ma a volte anche temuti e contrastati » . Lettere alla mano, Ornaghi ha evidenziato la consonanza che li portò « lungo l’avventura umana e spirituale a un confronto reciproco sui grandi temi ecclesiali ma anche civili » . A entrambi stava a cuore la formazione dei giovani, a entrambi le grandi questioni della società, intorno alle quali crearono quel « crogiuolo di pensiero e di intuizioni » che furono da allora le Settimane sociali. Le loro riflessioni « sulla libertà della scuola, sui mutamenti culturali della famiglia, sul mondo del lavoro sono ancora oggi pagine di straordinario vigore e attualità » .
Della lungimiranza dell’arcivescovo di Genova ha parlato anche Luigi Negri, vescovo di San Marino- Montefeltro: « Siri già nel preparare la sua presenza al Concilio Vaticano II ha visto con largo anticipo i problemi della Chiesa e della società, intuendo tematiche come il rapporto tra il Papa e il collegio episcopale, il problema della libertà religiosa, della riforma liturgica, della dottrina sociale, del rapporto con un marxismo che in quegli anni tentava di condizionare la Chiesa stessa. Questa lungimiranza – ha aggiunto Negri – nasceva da una fede incondizionata in Dio. Un Dio di fronte al quale, diceva lui, l’uomo deve sparire. Ma sparire in Dio paradossalmente rende l’uomo capace di vedere lontano nei giudizi » .
Un concetto ribadito da Bagnasco: « Nella sua ultima omelia – ricorda il presidente della Cei –, ormai sfinito dalla malattia, ci parlò della luce di Dio, una luce che non abbaglia ma dà prospettiva e senso alle cose umane. Lui così riservato ci stava rivelando il segreto interiore del suo pellegrinaggio: quel vivere, quel respirare, quel bere, nutrirsi della luce di Dio che non impedisce di guardare il mondo – quanto lo ha fatto lui ne siamo tutti testimoni qui! – ma di abbracciarlo con tutte le sue debolezze e contraddizioni » .
Molti altri ancora gli aspetti trattati dai relatori. Paolo Gheda ( socio fondatore dell’Associazione culturale « Cardinal Siri » ) che ha avuto accesso al carteggio tra Siri e Montini, ha parlato del complesso rapporto con l’allora arcivescovo di Milano, futuro Paolo VI, sottolineando come «in svariate occasioni si sostennero, in altre è vero che si confrontarono ma come attori consapevoli di appartenere alla medesima Chiesa e di dover dare il proprio contributo di pensiero » .
Gaetano Quagliariello, presidente della fondazione « Magna Carta » , ha individuato nel Siri che si raffrontava con la politica italiana « la difesa di un patrimonio di princìpi inattingibili e non negoziabili » . Don Pino De Bernardis ha ripercorso l’immediata sintonia di posizioni con don Giussani e il nascente movimento di Cl: « In un momento storico in cui i giovani erano drammaticamente lontani dalla fede e io ero sollecitato a mandare i ragazzi in chiesa, Siri raccomandava: vivete la fede dove siete, nelle case, nelle fabbriche, nelle scuole. Se non era nuovo questo messaggio... » .
Si è chiuso ieri a Genova il convegno dedicato al porporato che guidò la città ligure per 41 anni. Bagnasco: «In ogni sua azione un autentico senso di trascendenza»